Jana Králová: La traduzione dei nomi propri Civica Scuola Interpreti e Traduttori «Altiero Spinelli»

Jana Králová: la traduzione dei nomi propri ABSTRACT La traduzione dei nomi propri rappresenta una delle sfide più difficili. Il lavoro approfondisce il tema sia da un punto di vista teorico sia analizzando un caso concreto. La seconda parte della tesi consiste nella traduzione del saggio di Jana Králová, in cui si analizzano i metodi generali adottati nella traduzione dei nomi propri e i problemi derivanti dalle relazioni specifiche tra la lingua emittente e ricevente. La prima parte di approfondimento pratico analizza la traduzione di alcuni nomi contenuti nel libro Harry Potter and the philosopher’s stone. I nomi propri richiedono un trattamento particolarmente accurato laddove hanno un significato; creano effetti comici e descrivono tratti della personalità dei personaggi. Non tradurne il significato significherebbe interrompere il processo comunicativo. Lo studio si è focalizzato sull’individuazione delle strategie più comuni per capire come sia stato tradotto il mondo immaginario di Harry Potter, e per individuare quali informazioni siano andate perse e quali siano state acquisite. ENGLISH ABSTRACT Proper names are one of the most difficult translation challenges. This paper focuses on this subject, both from a theoretical point of view and by analyzing a case study. The second part of the thesis consists of the translation of Jana Kràlovà’s essay, which analyzes the general methods adopted in the translation of proper names, and the problems arising from the specific relationships between the source and target language. The first part analyzes the translation of some names contained in the book Harry Potter and the philosopher’s stone. Where proper names have a meaning, they require particularly careful treatment; they create comic effects and describe the characters’ personality. If their meaning is not translated, the communicative process is interrupted. The study focused on the identification of the most common strategies, in order to understand how the imaginary world of Harry Potter has been translated and to identify which information has been lost and which has been acquired. ZUSAMMENFASSUNG Die Übersetzung der Eigennamen stellt eine der schwierigsten Herausforderungen dar. Die Arbeit untersucht dieses Thema sowohl unter theoretischem Gesichtspunkt als auch durch die Analyse eines konkreten Falls. Der zweite Teil der Arbeit besteht aus der Übersetzung des Aufsatzes von Jana Králová, in dem die generellen Methoden, die bei der Übersetzung der Eigennamen angewandt werden, und die Probleme, die von der spezifischen Beziehung zwischen der Ausgangssprache und der Zielsprache herrühren, untersucht werden. Der erste Teil analysiert die Übersetzung der Eigennamen des Buches Harry Potter and the Philosopher’s stone. Die Eigennamen verlangen dort, wo sie eine Bedeutung haben, eine besonders sorgfältige Behandlung; sie erzeugen eine komische Wirkung und beschreiben die Persönlichkeit der Figuren. Wenn man ihre Bedeutung nicht übersetzt, unterbricht man den kommunikativen Prozess. Die Studie konzentriert sich auf die Identifizierung der geläufigsten Strategien, um zu verstehen, wie die imaginäre Welt von Harry Potter übersetzt wurde, und um zu erkennen, welche Informationen verloren gingen und welche hingegen gewonnen wurden. Sommario 1. La traduzione dei nomi propri 4 1.1 I nomi propri e il loro significato semantico, semiotico e fonosimbolico 7 1.2 I nomi propri in Harry Potter 8 1.3 I nomi propri e il latino 14 1.4 I nomi propri nella versione originale e in quella tradotta 15 1.5 Analisi: esempi di traduzione 15 1.6 Riferimenti bibliografici 23 2. Traduzione con testo a fronte 25 1. La traduzione dei nomi propri La traduzione dei nomi propri è uno dei problemi che il traduttore deve affrontare in ogni testo, indipendentemente dal tema o dal soggetto a cui lavora. In grammatica il nome proprio designa una singola e determinata persona o cosa in contrapposizione al nome comune. Quando si cita questa categoria grammaticale, si pensa immediatamente agli antroponimi (nomi di persona) e ai toponimi (nomi di luogo), nonostante siano solo una parte del problema. Il concetto di «nomi propri» non è chiaramente definito e delimitato dalla linguistica e rappresenta quindi una sfida per il traduttore. In ogni lingua ci si chiede spesso, in relazione ai nomi propri, se sia necessario tradurli o meno. Purtroppo non esiste una risposta generale, poiché la macro e la microstruttura di ogni testo richiedono decisioni diverse. Per esempio, lo stesso testo inteso per un pubblico differente può richiedere la traduzione dei nomi propri in un caso e la loro conservazione in un altro. Tra i generi tradotti per bambini si trovano la fiaba, il romanzo fantascientifico, il romanzo di avventure, eccetera. Contengono molti nomi propri che richiedono una traduzione accurata: spesso sono ricchi di significato, svolgono un ruolo importante nella storia, creano effetti comici e descrivono tratti della personalità dei personaggi. Non tradurli significherebbe sopprimere una parte della loro funzione originaria e interrompere il processo comunicativo iniziato dall’autore. Alcune fiabe più famose al mondo contengono nomi propri nei titoli. Nell’elenco sottostante si trovano esempi di fiabe raccolte dai fratelli Grimm, da Perrault e opere di Lewis Carroll. • Cenerentola Cinderella Ashenputtel Cenicentia Cendrillion • Cappuccetto Rosso Little Red Riding Hood Rotkäppchen Caperucita Roja Le Petit Chaperon rouge • Biancaneve e i sette nani Snow White and the Seven Dwarves Schneewittchen Blancanieves y los siete enanitos Blanche-Neige et les sept nains • Hansel e Gretel Hansel and Gretel Hänsel und Gretel Hansel y Gretel Hansel et Gretel • Alice nel paese delle meraviglie Alice in Wonderland Alice im Wunderland Alicia en el país de las maravillas Alice au pays des merveilles (Aguilera 2008). In molte storie per bambini i nomi dei personaggi hanno un chiaro intento descrittivo che può essere esplicito o implicito e questo comporta una differenza notevole nella loro traduzione. Per dare il nome a un personaggio immaginario un autore ha due alternative: a) se vuole che il personaggio in questione sia più veritiero possibile, può scegliere il nome dal vasto repertorio dei nomi propri presenti nella cultura di cui fa parte; b) se vuole creare un mondo fantastico, può inventare nomi immaginari, assurdi, divertenti. La studiosa tedesca Christiane Nord sostiene che non c’è nome nella letteratura che non nasconda un’intenzione dell’autore, considerando, ovviamente, che tale intenzione può essere più evidente ad alcuni lettori rispetto ad altri. I nomi propri comunemente usati nella realtà, che vengono attribuiti spesso ai protagonisti delle storie di infanzia, hanno come unico scopo quello di identificare un referente, ossia il personaggio. La situazione è diversa se si considerano i nomi inventati, che spesso non sono attribuiti ai personaggi in modo casuale. In molti casi sono nomi descrittivi che danno chiare indicazioni sull’aspetto fisico (talvolta supportato anche dalle illustrazioni), sul carattere del personaggio e che sono determinanti per lo svolgimento delle vicende (Nord 2003:48). La traduzione di un nome può comportare il rischio di perdere alcune informazioni sul personaggio. Le eventuali modifiche apportate dalla traduzione dovrebbero mantenere l’effetto del nome originale anche nel testo tradotto. 1.1 I nomi propri e il loro significato semantico, semiotico e fonosimbolico I nomi nelle opere letterarie sono spesso usati per trasmettere un messaggio al lettore. I nomi possono contenere un significato semantico, semiotico e fonosimbolico. Dal punto di vista semantico, i nomi hanno un ruolo molto importante nella letteratura per bambini. Essi descrivono una determinata qualità di un elemento narrativo particolare e/o creano effetti comici. Un esempio è la personalità di un personaggio sintetizzata dal suo nome. Spesso i nomi contengono indizi sul destino di un personaggio e indicazioni sullo sviluppo della storia (Fernandes 2006:46). Dal punto di vista semiotico invece, i nomi agiscono in qualità di segni, creando associazioni storiche antiche o più recenti (per esempio Archimedes, Wolfgang Amadeus Mozart); indicando il genere (Hermione, femminile; Ronald, maschile), la classe (Sir Nicolas De Mimsy-Porpington), la nazionalità (Marco Rossi, Carlo Marelli sono nomi tipici italiani), l’identità religiosa (Davide e Gabriele sono nomi biblici) eccetera. I nomi sono spesso gli elementi semiotici di un testo più urgenti e al contempo i più problematici da tradurre, soprattutto perché il loro significato è strettamente connesso all’aspetto culturale. Le difficoltà nella loro traduzione sono legate alla complessità di tradurre schemi culturali. Nella letteratura per bambini, per esempio, il fattore culturale potrebbe indurre il bambino a stare “a distanza” e a perdere il messaggio nascosto nella trama. Per questo motivo molti traduttori optano per ambientare la storia nel mondo culturale del ricevente, al posto che nel mondo estraneo ed esotico spesso creato dalla cultura emittente, dando così la possibilità al giovane lettore di individuare il messaggio. Non sempre, tuttavia, si incontrano ostacoli nella loro traduzione. Alcuni nomi possono avere, infatti, un carattere internazionale e vengono quindi adottati convenzionalmente dalla cultura ricevente con la stessa forma di quella utilizzata dalla cultura emittente (esempio: Oxford, Big Ben). Inoltre, la lunga tradizione e il continuo uso dei nomi propri contribuiscono al loro alto grado d’integrazione nel sistema lessicale di molte lingue. Ciò può avere contribuito allo sviluppo degli «esonimi». Gli esonimi sono termini con cui viene indicato il nome di una località, di un’entità geografica che differisce dalla forma ufficiale originale. Per esempio «Parigi» è l’esonimo italiano della città che in Francia è chiamata Paris; «Londra» è l’esonimo della città inglese London eccetera. Questi nomi non rappresentano un problema per la traduzione data la loro natura divenuta convenzionale (Fernandes 2006:46-47). Il fonosimbolismo è il procedimento di creazione di parole e di espressioni che suggeriscono, con il suono medesimo, il senso, l’immagine ed evocano un fatto o una condizione (Fernandes 2006:47-48). 1.2 I nomi propri in Harry Potter Come è possibile tradurre il mondo immaginario di Harry Potter in un’altra lingua e cultura? Come si trasformano i simpatici nomi inglesi e le parole inventate presenti nei testi originali? Quali informazioni vanno perse? O vengono acquisite? I lettori delle altre lingue condividono lo stesso senso dello humor dei lettori inglesi? Hanno le stesse percezioni quando leggono la versione tradotta di Harry Potter? Com’è possibile che i libri della Rowling, considerati i riferimenti specifici culturali, abbiano oltrepassato i confini e siano stati in testa alla classifica delle vendite? I libri di Harry Potter contengono una lunga serie di personaggi e come in tutto il regno delle fiabe, i nomi hanno generalmente un aspetto allusivo e metaforico. Analizzandone le traduzioni, ci si chiede se i traduttori abbiano mantenuto i nomi originali dei personaggi o abbiano adottato equivalenti linguistici o parafrasi. Paragonando il testo originale e la traduzione nelle varie lingue si nota che i nomi dei personaggi principali sono stati tendenzialmente mantenuti in tutte le traduzioni. Troviamo per esempio Harry Potter, Malfoy, Hagrid, Mr. e Mrs. Dursley, Dudley, Hogwarts o Hermione nella maggior parte delle lingue con piccoli adattamenti. Hermione, per esempio, diventa Hermine in tedesco; Dudley diventa Duda in portoghese; Malfoy diventa Malafoy in francese. Le strategie più comuni utilizzate nella traduzione dei nomi propri sono (Garcés 2003: 124-125): a) La sostituzione con un nome simile nella lingua corrispondente, cercando di mantenere alcuni dei significati impliciti; b) La sostituzione con nomi che sembrano più famigliari ai lettori del testo tradotto, anche se non creano associazioni specifiche; c) L’uso di nomi che mantengono il significato metaforico e le allusioni prodotte e che cercano di riprodurre gli effetti fonologici del nome del testo originale (…). a) È il caso del Professor Snape, insegnante di pozioni. Il nome viene mantenuto nelle traduzioni in spagnolo, catalano, portoghese e tedesco. In italiano diventa invece «Professor Piton», producendo quindi le stesse associazioni (Ita. «Piton» = Eng. Snake) e in francese Professor Rouge (con il significato di rosso come colore del sangue, cattivo). In questo caso si usano parole diverse ma si mantengono alcune delle allusioni presenti nella versione originale. b) Un esempio si trova nella traduzione del servo di Filch, chiamato Peeves nella versione inglese originale, tradotto in italiano con il nome «Pix». c) I traduttori catalani, portoghesi e italiani hanno tradotto i nomi propri, mentre altri, come per esempio i traduttori spagnoli e tedeschi, li hanno mantenuti in inglese. Un esempio è la traduzione di Mrs. Norris, il gatto di Filch. Il testo italiano cambia il nome ma mantiene l’allitterazione traducendolo in «Mrs. Purr», creando così associazioni con il suono che emette il gatto. Il portoghese rende lo stesso effetto aggiungendo una r al nome inglese: Madame No-r-r-ra (…). Alcuni esempi di traduzione dei nomi propri tratti dal libro Harry Potter e la pietra filosofale, tradotto da Marina Astrologo: Lingua emittente Lingua ricevente The Fat Lady had gone on a night-time visit and Hermione was locked out of Gryffindor Tower (chapter 9) La Signora Grassa era andata a fare una passeggiata notturna e Hermione si trovò chiusa fuori dalla torre di Grifondoro Questo caso è un esempio di una procedura “coincidente” che viene usata quando il significato del nome è trasparente. Lingua emittente Lingua ricevente Yet Harry Potter was still there, asleep at the moment, but not for long (chapter 2) Eppure Harry Potter abitava ancora lì; in quel momento dormiva, ma non sarebbe stato per molto. Esempio di copia: il concetto di “prendere in prestito” costituisce il tipo più semplice di traduzione. In questa procedura, i nomi sono riprodotti nel testo tradotto esattamente come appaiono nel prototesto senza essere sottoposti ad adattamenti ortografici. Lingue emittente Lingua ricevente Harry Potter and the Philosopher’s Stone (nome) Harry Potter e la pietra filosofale (aggettivo) Esempio di trasposizione: si sostituisce una classe di parole con un’altra senza modificare il significato del messaggio originario. Lingua emittente Lingua ricevente Fancy seeing you here, Professor McGonagall Albus Dumbledore didn’t seem to realize that he had just arrived in a street where everything from his name to his boots was unwelcome Che combinazione! Anche lei qui, professoressa McGranitt? Albus Silente non sembrava rendersi conto di essere appena arrivato in una strada dove tutto, dal suo nome ai suoi stivali, risultava sgradito Esempio di sostituzione: nel primo caso si nota la scelta di un nome che ha un’ortografia simile a quella del nome originario inglese (Fernandes 2006: 50-55). In Harry Potter si trovano anche costruzioni lessicali per descrivere o denominare determinati personaggi. Un esempio è Lord Voldemort, chiamato, nella versione originale, He-Who-Must-Not-Be-Named oppure You-Know-Who. La maggior parte dei traduttori opta per una traduzione parola per parola. Il nome diventa così in italiano «Colui-Che-non-Deve-Essere-Nominato», in spagnolo El-que-no-debe-ser-nombrado. Il nome You-Know-Who diventa «Tu-Sai-Chi» in italiano, Du-Weisst-schon-wer in tedesco, Lo-que-usted-sabe in spagnolo (Garcés 2003: 127). Il fattore più sorprendente di Harry Potter e la pietra filosofale è l’abbondanza di nomi propri di persona. Già nel primo libro il numero dei personaggi supera il centinaio; inoltre molti di questi hanno nome e cognome. Va evidenziata anche la particolarità dell’uso di nomi francesi, latini, scozzesi, britannici comuni e rari, mitologici, astronomici, immaginari, nomi semplicemente copiati da mappe, nomi comici, nomi inventati eccetera. Tutto questo rende i libri molto originali, emotivi e intriganti. L’autrice avendo come target il pubblico dei bambini/adulti inglesi, usa molti nomi che appaiono convenzionali e del tutto normali ai loro occhi e che possono non essere capiti dai lettori italiani. Questi ultimi non hanno, infatti, accesso alle stesse associazioni fatte nel prototesto, dato che i lettori della cultura emittente e quelli della cultura ricevente dispongono di un background conoscitivo diverso. La traduzione deve quindi essere molto precisa. In linea generale la Rowling sviluppa allusioni con la maggior parte dei nomi, difficili da percepire anche per i giovani lettori britannici dato che sono “nascoste” con molta creatività. Le allusioni “nascoste” (anagrammi, riferimenti culturali eccetera), sono molto difficili da rendere nelle altre lingue. É evidente che il lettore di diversa cultura e lingua non possa produrre le associazioni proposte dall’autrice (Jaleniauskienė Čičelytė, 2009: 35). Altri segni distintivi dello stile della Rowling sono le invenzioni di nomi, i giochi di parole, i giochi linguistici che formano una parte considerevole del mondo magico creato, rappresentando un’affascinante sfida per il traduttore. Considerando che il significato di un nome non è sempre chiaro, per il traduttore non è sufficiente possedere una buona conoscenza della lingua emittente e ricevente, ma è necessario disporre di una conoscenza profonda anche delle rispettive culture. I nomi propri sono spesso molto divertenti e danno molte informazioni sulla personalità dei personaggi. Nel caso di Harry Potter, la traduzione dei nomi che descrivono in modo implicito il personaggio non è per niente semplice. In questi casi il traduttore deve interpretare il riferimento descrittivo nell’originale e cercare di trasmettere le stesse informazioni nella versione della lingua ricevente. Ne consegue che talvolta i nomi propri dei personaggi sono diversi, nel significato, da quelli originari ma ne mantengono l’intento descrittivo. Spesso è stato chiesto all’autrice a che cosa si fosse ispirata nell’inventare o scegliere i nomi propri. Ecco come risponde la Rowling in un’intervista rilasciata a Christopher Lydon: I’m big on names – I like names, generally. You have to be really careful giving me your name if it’s an unusual one, because you will turn up in book six. Erm – I – I collect – some of them are invented; Voldemort is an invented name, Malfoy is an invented name, Quidditch is invented, erm – but I also collect them, from all kinds of places: maps, street names, people I meet, old books, old saints, erm – Mrs Norris, people will have recognised, comes from Jane Austen. Erm – Dumbledore is an old English word meaning bumblebee. Because Albus Dumbledore is very fond of music, I always imagined him as sort of humming to himself a lot (Rowling e Lydon 1999). Si ha l’impressione che la Rowling, giocando con l’aspetto semantico e fonetico dei nomi, abbia voluto “prendersi gioco” dei propri lettori e degli stessi personaggi. Sembra che il motivo per cui utilizzi questa strategia non sia fine a se stesso ma sia quello di suggerire informazioni salienti sui personaggi. 1.3 I nomi propri e il latino La maggior parte dei nomi dei personaggi richiama la lingua latina. Ne sono esempi le desinenze dei nomi in -or, -us (Agus, Lucius, Dementor, Severus), i rimandi a figure mitologiche antiche (esempio: Hermione, Minerva) e le formule magiche (esempio: Wingardium Leviosa, formula che permette di far volare gli oggetti; da levis, “leggero”). La scuola di Hogwarts è descritta come un castello medievale. La sua rappresentazione corrisponde molto all’immaginario comune dell’epoca medievale in cui si praticavano la stregoneria e la magia e il latino era la lingua letteraria. Il latino aiuta il lettore a percepire il distacco tra il villaggio in cui Harry ha vissuto una vita normale con gli zii e la nuova vita a Hogwarts, in cui tutto è avvolto dalla magia. I nomi in latino danno l’impressione che il mondo descritto sia collocato in una dimensione spaziale e temporale lontana. 1.4 I nomi propri nella versione originale e in quella tradotta Nella traduzione dei nomi propri di Harry Potter e la pietra filosofale non sempre è stato possibile rimanere aderenti all’originale. Confrontando la versione originale con quella italiana, si nota, infatti, che alcuni nomi sono stati tradotti, mentre altri hanno mantenuto la versione di partenza, ritenuta più evocativa e immediata. Generalmente sono rimasti invariati i nomi che non connotano i personaggi dal punto di vista semantico. Sono stati invece tradotti quelli che contengono informazioni descrittive, al fine di renderli comprensibili al pubblico italiano. A volte la traduzione ha ricalcato il significato del nome originale o ha privilegiato l’assonanza con esso, ha arricchito la descrizione del personaggio o ne ha tralasciato alcuni elementi. Trattandosi di una storia raccontata in più volumi, in alcuni punti la traduzione probabilmente è stata difficoltosa perché il significato implicito di alcuni nomi dei personaggi è stato svelato dall’autrice solo nei volumi successivi al primo. 1.5 Analisi: esempi di traduzione I principi con cui l’autrice ha scelto i nomi propri di alcuni personaggi costituiscono il punto di partenza di alcune riflessioni relative alle scelte attuate dalla traduttrice. Cogliendo nel nome originario e in quello tradotto gli aspetti descrittivi considerati nelle rispettive versioni, ne ho individuati alcuni particolarmente interessanti al fine di un’analisi: Versione inglese Versione italiana ALBUS DUMBLEDORE ALBUS SILENTE Albus Dumbledore è il preside della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. L’autrice descrive così l’aspetto fisico di Dumbledore: «Era alto, magro e molto vecchio, a giudicare dall’argento dei capelli e della barba, talmente lunghi che li teneva infilati nella cintura. Indossava abiti lunghi, un mantello color porpora che strusciava per terra e stivali dai tacchi alti con le fibbie. Dietro gli occhiali a mezzaluna aveva due occhi di un azzurro chiaro, luminosi e scintillanti, e il naso era molto lungo e ricurvo, come se fosse stato rotto almeno due volte» (Rowling, traduzione di M. Astrologo 1998: 12). Il nome «Albus» deriva dall’aggettivo latino albus-a-um, che significa «bianco, luminoso, chiaro, splendente, sereno». Rimanda culturalmente ad altri aggettivi come «buono, sincero» eccetera. Probabilmente l’autrice ha scelto questo nome per descrivere l’aspetto umano del personaggio e delinearne l’appartenenza alla sfera dei buoni. La parola dumbledore in inglese antico è il nome del calabrone (bumblebee). L’autrice fornisce le motivazioni per cui ha scelto questo nome per il personaggio nel libro Conversazione con J.K. Rowling, un testo che nasce dall’intervista della giornalista Lindsey Fraser alla scrittrice. Ecco le parole dell’autrice: «L’ho scelto perché avevo un’immagine di questo mago benevolo, sempre in movimento, intento a mormorare tra sé, e poi mi piaceva il suono della parola». Il cognome Dumbledore descrive bene l’atteggiamento del personaggio nel corso del romanzo. In realtà l’immaginario comune non vede il calabrone come un insetto innocuo, bensì come un animale pericoloso. La scrittrice sostiene di aver considerato anche l’aspetto fonetico nella scelta del nome. La parola presenta, infatti, un’allitterazione in /d/ che la rende musicale e piacevole all’orecchio. L’idea che il lettore si fa di Dumbledore è di un personaggio che compare in modo silenzioso nei momenti cruciali, per dare importanti insegnamenti di vita. Dumbledore, infatti, aiuta Harry nei momenti di difficoltà. La traduttrice ha deciso di tradurre il nome Albus Dumbledore come Albus Silente. Si è soffermata sulla parola dumb contenuta nel cognome che significa «muto» e ha cercato di rendere l’idea del silenzio con la scelta di Silente. L’intenzione della Rowling era però ben diversa: con l’uso del termine «silente» si perde il rimando al calabrone, al ronzio e all’attività frenetica di cui la scrittrice si era servita per identificare il personaggio. La parola inglese non può neppure essere scomposta nel morfema dumb. La traduttrice non ha quindi tenuto conto dell’effetto che la Rowling voleva creare con la scelta di questo nome, ma ha comunque mantenuto l’aspetto silenzioso del personaggio. L’autrice commenta così la scelta della traduttrice italiana: Sometimes I find strange little aberrations. […] In the Italian translation, Professor Dumbledore has been translated into “Professore Silencio”. The translator has taken the “dumb” from the name and based the translation on that. In fact “dumbledore” is the old English word for bumblebee. I chose it because my image is of this benign wizard, always on the move, humming to himself, and I loved the sound of the word too. For me “Silencio” is a complete contradiction. But the book is very popular in Italy – so, it obviously doesn’t bother the Italians! (Rowling e Fraser 2002:-32-33). Versione inglese Versione italiana MINERVA McGONAGALL MINERVA McGRANITT La professoressa McGonagall è la vicepreside della scuola di Hogwarts e insegnante di trasfigurazione. La Rowling descrive così questo personaggio: «Al suo posto, davanti a lui c’era una donna dall’aspetto piuttosto severo, che portava un paio di occhiali squadrati della forma identica ai segni che il gatto aveva intorno agli occhi. Anche lei indossava un mantello, ma color smeraldo. I capelli neri erano raccolti in uno chignon. Aveva l’aria decisamente scombussolata» (Rowling, 1998:13). La professoressa McGonagall è molto intransigente, è una persona severa, rigida ma anche sensibile. Il cognome originale McGonagall non ha in sé nessun significato particolare. L’autrice ha preso questo nome dal poeta scozzese William McGonagall, famoso per la scarsa considerazione dei suoi versi. La Rowling commenta così la sua scelta: «Yeah, McGonagall, old erm – very, very, very bad Scottish poet, McGonagall is – I just loved the name» (Rowling e Lydon 1999). Il cognome è quindi stato scelto per una semplice preferenza dell’autrice, senza l’intento di definire caratteristiche della personalità del personaggio. Nella versione italiana la traduttrice ha mantenuto il nome Minerva, che si rifà alla dea romana, simbolo dell’ingegno e della sapienza. Per quanto riguarda il cognome, invece, la Astrologo ha trovato un nome adatto al carattere del personaggio: McGranitt. Il nome rimanda alla parola «granito», un materiale caratterizzato da impenetrabilità e durezza che però si rompe facilmente se viene colpito nel suo punto di rottura. L’immagine del granito può essere associata alla severità della professoressa, che nasconde però capacità di comprensione. La traduttrice sceglie di creare un nome che riproduce il suono del nome principale: viene mantenuto il prefisso scozzese «Mc» in entrambe le versioni. Il nome così tradotto si arricchisce di connotazioni non presenti nella versione originale. Versione inglese Versione italiana ARGUS FILCH ARGUS GAZZA Argus Filch è il custode di Hogwarts e ha il compito di controllare la scuola e gli studenti. È sempre accompagnato dalla gatta Mrs. Purr che si aggira per i corridoi dell’edificio alla ricerca degli studenti che infrangono le regole. Si distingue per il suo atteggiamento scontroso nei confronti dei ragazzini di Hogwarts. Il nome «Argus» deriva dalla mitologia greca. Argo era un essere prodigioso, il guardiano ideale che si distingueva per avere migliaia di occhi sparsi per il corpo. Il nome quindi si addice molto bene alla funzione che il personaggio svolge nella scuola. Sul dizionario si legge che un significato di filch è «rubacchiare» (Picchi 2007). Non è molto chiaro il motivo per cui l’autrice abbia scelto questo nome per caratterizzare il personaggio. Sicuramente Argus si aggira per la scuola furtivo proprio come se fosse un ladro e i suoi movimenti richiamano quelli di un bandito. La traduttrice italiana ha tradotto solo il cognome, scegliendo il nome Gazza. La parola «gazza» fa pensare immediatamente alla gazza ladra, l’uccello che, attratto dagli oggetti luccicanti, li ruba e li nasconde nel proprio nido. La Astrologo ha optato per un nome che traducesse il significato semantico della parola originale, richiamando, implicitamente, l’idea del ladro. In questo caso la traduzione ha avuto come dominante l’aspetto semantico posseduto dal nome senza aggiungere informazioni di carattere descrittivo. Versione inglese Versione italiana SEVERUS SNAPE SEVERUS PITON Severus Snape è il direttore della casa dei Serpeverde e insegnante di pozioni a Hogwarts. La Rowling descrive alcuni tratti fisici del personaggio: Severus Snape è magro, ha il naso adunco e la pelle giallastra, porta sempre il mantello nero, ha due occhi gelidi e vuoti che fanno pensare a un tunnel immerso nel buio. È una descrizione che rimanda ad aspetti oscuri e misteriosi del personaggio. Fin dall’inizio della storia si evidenzia l’odio che nutre nei confronti di Harry Potter. Odio che nasce dall’astio nutrito nel passato per il padre del protagonista. Severus Snape ha un atteggiamento scontroso nei confronti di Harry, ma non è suo nemico, poiché ha un debito da saldare con suo padre che gli aveva salvato la vita. Il nome «Severus» deriva dal latino «austero, severo, aspro» e caratterizza immediatamente il personaggio. Severus Snape si contraddistingue per l’aspetto austero, gli insegnamenti molto severi e un’aria misteriosa. Probabilmente la traduttrice, nella versione italiana, non ha variato il nome Severus perché appartiene allo stesso campo semantico di «austero, rigido» ed è comprensibile anche al pubblico italiano. La traduttrice ha adottato un’altra modalità per la traduzione del cognome che da Snape è diventato Piton. Il nome inglese richiama la parola snake che significa «serpente». L’immagine del serpente descrive bene il carattere del personaggio: astuto e infido. La scelta di Piton mantiene il carattere descrittivo perché ricalca il contenuto semantico del nome originale. Versione inglese Versione italiana PROFESSOR QUIRREL PROFESSOR RAPTOR Il professor Quirrel è insegnante di Difesa contro le Arti Oscure di Hogwarts. Di lui si scrive: «si fece largo un giovanotto pallido dall’aria molto nervosa. Aveva un tic all’occhio […]. Una mente geniale..dicono che nella foresta nera ha incontrato i vampiri […]. Da allora non è più lui, lo spaventano gli studenti, lo spaventa la sua stessa materia» (Rowling, 1998: 70). Solo alla fine del libro si scopre che in Raptor era nascosto Voldemort, il nemico numero uno di Harry. Voldemort si era impossessato del corpo del professore per tornare a Hogwarts e uccidere Harry. Il Professor Raptor è quindi una persona succube, debole, insicura e nervosa. Il nome Quirrel scelto dalla Rowling rimanda immediatamente alla parola squirrel che in inglese significa «scoiattolo». Lo scoiattolo è un animale piccolo, vivace e veloce, molto agile che si caratterizza per i movimenti nervosi e rapidi. Al contempo è indifeso e timoroso, preda di animali più forti. Si possono individuare alcune analogie tra le caratteristiche del piccolo animale e il personaggio in questione: i tic del professore richiamano i movimenti rapidi e convulsi dello scoiattolo. Nella versione italiana Quirrel diventa Raptor. Il suono di questa parola richiama alla mente il ratto. Anche il ratto è un animale veloce, piccolo, che si nasconde agilmente di fronte al pericolo ma che è facile preda di animali più grandi. Il ratto vive in ambienti umidi, bui e sporchi. Il rimando a questo animale aggiunge una connotazione negativa al personaggio ed evidenzia la sua appartenenza alla sfera del male. La traduzione perde l’elemento di legame con lo scoiattolo. Tuttavia la traduttrice riproduce il gioco di allusioni che si creano nel nome originale. La sua scelta è probabilmente più descrittiva di quella dell’autrice; aggiunge l’elemento che contempla l’aspetto oscuro del personaggio. Versione inglese Versione italiana MUGGLES BABBANI La saga di Harry Potter è stata creata attorno a un mondo magico e fantastico e offre di conseguenza una lettura invertita del concetto di «normale» e «anormale», considerando i “non-maghi” delle persone strane. Sia l’autrice che la traduttrice hanno scelto rispettivamente i nomi muggle e «babbani» per indicare le persone non dotate di magia che hanno una scarsa considerazione del mondo di Harry Potter. La parola mug ha tra i diversi significati anche quello di «babbeo, sciocco, credulone» e dà origine al nome muggle. Parallelamente, nella traduzione italiana, è stato scelto il nome babbano, basandosi sul termine «babbeo» sinonimo di «sciocco». La versione della traduttrice punta a riprodurre l’effetto voluto dall’autrice e mantiene l’elemento descrittivo del nome (Garcés 2003: 128). 1.6 Riferimenti bibliografici AGUILERA, ELVIRA CÁMARA. (2009). «The Translation of Proper Names in Children’s Literature». 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It is distinguished from appellatives above all by the absence of generic meaning and as a rule it is not capable of characterizing an object (with the exception of so-called speaking names) and it relates to the objects it designates primarily on the basis of individual, social or chronologically determined conventions. (Karlík, Nekula, Pleskalová eds. 2002: 205). Regarding the function of proper names, onomastic theory has yet to devise a generally accepted definition, let alone an enumeration and description of their functions. Principally and specifically, they are understood to perform (1) a nominating, indentifying and individualizing function (see above) and (2) a differentiating function specifying the mutual relationships between the elements thus defined. Additionally, one sometimes identifies a communicative function, dependent on the familiarity of the participants in the communicative act with the denoted object (addressing someone by their Christian name provides both information of a linguistic nature – gender, name formation – and of a pragmatic nature – relationship to the person addressed etc.), (4) an associative, evocative or connotative function (Fiat Bravo car), (5) ideologising, myth-forming and honorific functions (Masarykova univerzita/ Masaryk University, Avenida del Generalísmo), (6) the function of social classification, localization or categorization of the named object in all kinds of social, religious, national, cultural and spatial contexts (El Juez Salomón de Granada in the heading 0. NOTE INTRODUTTIVE Il nome proprio rappresenta una caratteristica linguistica specifica di tipo nominale. Denota un’entità individuale e singola o una quantità percepita come un’entità individuale e identificata come un oggetto unico. Si distingue dagli appellativi soprattutto per l’assenza di un significato generico, di norma non è in grado di caratterizzare un oggetto (con eccezione dei cosiddetti nomi parlanti) ed è in relazione agli oggetti che definisce principalmente sulla base di convezioni individuali, sociali o determinate cronologicamente. (Karlík, Nekula, Pleskalová a cura di 2002:205). Per quanto riguarda la funzione dei nomi propri, la teoria onomastica deve ancora trovare una definizione ampiamente condivisa, come pure l’enumerazione e la descrizione delle loro funzioni. In particolare, per prima cosa, si ritiene che i nomi propri abbiano la (1) funzione di nominare, identificare, caratterizzare (vedere sopra) e di differenziare (2), specificando le relazioni reciproche tra gli elementi in tal modo definiti. Talvolta, inoltre, svolgono una funzione comunicativa (3), a seconda della familiarità dei partecipanti con l’oggetto indicato nell’atto comunicativo (il fatto di chiamare qualcuno con il nome di battesimo fornisce informazioni sia di natura linguistica [genere, formazione del nome], sia di natura pratica [rapporto con la persona a cui ci si rivolge ecc.]). Inoltre svolgono le seguenti funzioni: (4) funzione associativa, evocativa o connotativa (la Bravo della Fiat), (5) funzioni ideologizzanti, mitizzanti e onorifiche (Masarykova univerzita/ Masaryk University, Avenida del Generalìsmo), (6) funzione di classificazione sociale, localizzazione o categorizzazione dell’oggetto citato in ogni tipo di contesto sociale, religioso, nazionale, culturale e spaziale (El Juez Salomón de Granada nel titolo of a newspaper article about the wisdom of a judge), (7) descriptive, characterizing functions (United Nations Organisation, but e.g. also surnames formed on the basis of the names of professions, many nicknames, occasionally the “speaking names” mentioned above) and (8) expressive and emotional functions as well as the related aesthetic and poetic functions, which also include the impression given by a particular name in a certain community. (Karlík, Nekula, Pleskalová eds. 2002: 145). In a pragmatic sense, an onymic system manifests itself, from a functional standpoint, as choice, usage, and perhaps impact, of proper names. Every onymic (naming) process is further determined by its social relevance, taken to mean the recognition of a need to name a given object (Knappová 1992: 211; 1995: 276). The outcome of the naming act depends on general linguistic factors, on the naming system of the given language, on the usability of its linguistic and word-building facilities and on aspects of these relating specifically to proper names. The choice of a specific name is therefore a product of the relationship between the needs of the relevant community and the usage of means of expression in the given language (Knappová 1992: 211). Proper names therefore represent polyfunctional units and they are a specific component of every culture. The features mentioned are highlighted in inter-cultural communication, where proper names consequently have a specific status, frequently becoming the most noticeable markers of the “foreignness” of a text. It is no surprise, then, that quite contradictory views are found on how to translate them. In the Czech tradition, these issues are discussed by Levý (1983: 114-117) di un articolo di giornale riguardante la saggezza di un giudice), (7) funzioni descrittive, caratterizzanti (Organizzazione delle Nazioni Unite, ma per esempio anche i cognomi formati sulla base dei nomi delle professioni, molti soprannomi, a volte anche i “nomi parlanti” sopra menzionati) e (8) funzioni espressive ed emotive oltre alle connesse funzioni estetiche e poetiche che comprendono anche l’impronta lasciata da un nome particolare in una determinata comunità (Karlík, Nekula, Pleskalová a cura di 2002:145). In termini pratici, un sistema onomastico si manifesta da un punto di vista funzionale come scelta, impiego e probabile impatto dei nomi propri. Ogni processo di nominazione è ulteriormente determinato dal suo valore sociale, considerata la necessità di dare un nome a un dato oggetto. Il risultato dell’atto di nominazione dipende da fattori linguistici generali, dal sistema di nominazione della lingua considerata, dalla fruibilità delle sue strutture linguistiche e di formazione delle parole e dai loro aspetti connessi in modo specifico ai nomi propri. La scelta di un determinato nome è quindi un prodotto della relazione tra le necessità della comunità considerata e l’uso dei mezzi di espressione nella lingua presa in esame (Knappová 1992:211). I nomi propri rappresentano quindi unità polifunzionali e sono componenti specifiche di ogni cultura. Le caratteristiche menzionate sono messe in risalto nella comunicazione interculturale in cui i nomi propri hanno quindi uno status specifico, diventando spesso gli indicatori più evidenti dell’”alterità” di un testo. Non sorprende quindi che vi siano idee piuttosto contraddittorie in merito a come tradurli. Nella tradizione ceca Levý (1983: 114-117) esamina questi aspetti in connection with the definition of translation procedures. Levý draws attention to the fact that in literary translation proper names can be translated only where they have exclusively semantic value and he discusses the role played by the status of the name in the semantic structure of the translated work (text). He also points out that occasionally substitution is necessary, except in the case of translation between closely related languages (cf. Arregui Baragán 2006) and he emphasizes that it is vital to adopt a flexible approach to the translation of proper names, bearing in mind its chronological and social conditioning and the impact of the translator’s idiolect. In recent times many authors have attempted to define norms for handling proper names in the translation process and they frequently arrive at contradictory conclusions. For example, Moya (2000) introduces the concept that although proper names are defined as untranslatable it must be borne in mind that there are many exceptions to this rule. On the other hand, champions of opposite view, i.e. that proper names can be translated like any other form of name (e.g. Fischer 2006), acknowledge that in this respect there are certain specific historically conditioned conventions. Here they are in agreement with the work of R. Rabadán (1991: 130-132), considered a classic today, according to which proper names represent linguistic material which could in theory be translated, but historical (and geographical) norms determine whether their translation is obligatory (e.g. in Spanish the names of kings and princes and selected toponyms and the titles of official organizations and institutions are treated as appellatives), while in all other cases transcription is recommended. A specific case of this is in relazione alla definizione delle procedure di traduzione. Levý punta l’attenzione sul fatto che nella traduzione letteraria i nomi propri possono essere tradotti solo laddove hanno un valore esclusivamente semantico ed esamina il ruolo svolto dallo status del nome nella struttura semantica dell’opera (testo) tradotta. Levý sottolinea inoltre che a volte è necessaria una sostituzione, eccetto nel caso di traduzione tra lingue strettamente connesse (Arregui Baragán 2006) ed evidenzia che è indispensabile adottare un atteggiamento flessibile nei confronti della traduzione dei nomi propri, tenendo presente il suo condizionamento cronologico e sociale e l’impatto dell’idioletto del traduttore. Recentemente molti autori hanno cercato di definire le norme per affrontare i nomi propri nel processo traduttivo e giungono spesso a conclusioni contraddittorie. Per esempio Moya (2000) introduce il concetto che nonostante i nomi propri siano considerati intraducibili, bisogna ricordare che ci sono molte eccezioni a questa regola. D’altra parte i difensori dell’opinione opposta secondo cui i nomi propri possono essere tradotti come tutte le altre forme del nome (Fischer 2006), riconoscono che a questo riguardo ci sono certe convenzioni specifiche determinate storicamente. In questo caso concordano con l’opera di R. Rabadán (1991:-130-132), oggi considerata un classico, secondo cui i nomi propri rappresentano un materiale linguistico che in teoria potrebbe essere tradotto, ma norme storiche (e geografiche) determinano se la loro traduzione è obbligatoria (per esempio in spagnolo i nomi dei re e dei principii, i toponimi selezionati e i titoli delle organizzazioni e delle istituzioni ufficiali sono considerati appellativi), mentre in tutti gli altri casi si consiglia la trascrizione. Un caso specifico a questo riguardo è rappresentato dai names which carry certain connotations, but in this case I identify with Newmark’s assertion that their translation is historically determined. The fact that is difficult to define a uniform approach to the translation of proper names has been pointed out recently by Arregui Baragán (2006: 187), for example, and especially in connection with the functions mentioned under (3) – (7) above and, like Levý (1983) earlier, this author emphasizes the necessity to thoroughly analyse the source text and place it in its cultural context in the broadest sense. 1. GENERAL CHARACTERISTICS OF TRANSLATION PROCEDURES IN THE CASE OF PROPER NAMES Although it follows from the above that it is very difficult to generalize about an approach to the translation of proper names, some authors (e.g. Levý 1983, Knappová 1983, Mougoyanni 2001, Fischer 2006) identify the following procedures for their translation: 1.1 Calque This approach is used mainly where a generic name is a component of the proper name: (Cz.) Černé moře – (Sp.) Mar Negro – (Fr.) Mer Noir – (En.) Black Sea – (Ger.) Schwarzes Meer (Mougoyanni 2001) – the Berlin street name – Straße der Menschenrechte (En. Human Rights Street) – (Sp.) calle de los Derechos Humanos (Fischer 2006: 228). nomi che presentano particolari connotazioni. In questo caso tuttavia mi riconosco nell’affermazione di Newmark secondo cui la loro traduzione è determinata storicamente. Il fatto che sia difficile definire un atteggiamento uniforme verso la traduzione dei nomi propri è stato sottolineato recentemente per esempio da Arregui Baragán (2006:-187). Soprattutto in relazione alle funzioni sopra menzionate (3) – (7) e al pensiero di Levý (1983) precedentemente riportato, l’autore evidenzia la necessità di analizzare in modo approfondito il prototesto e collocarlo nel suo contesto culturale nel senso più ampio del termine. 1. LE CARATTERISTICHE GENERALI DELLE PROCEDURE DI TRADUZIONE NEL CASO DEI NOMI PROPRI Da quanto detto precedentemente risulta molto difficile fare considerazioni di carattere generale riguardo all’atteggiamento verso la traduzione dei nomi propri. Tuttavia alcuni autori (come Levý 1983, Knappovà 1983, Mougoyanni 2001, Fischer 2006) individuano le seguenti procedure per la loro traduzione: 1.1 Calco É l’approccio usato principalmente laddove un nome generico è una componente del nome proprio: (Cz) Černe moře. (Sp.) Mar Negro. (Fr) Mer Noir. (En.) Black Sea- (Ger.) Schwarzes Meer (Mougoyanni 2001)- il nome della strada di Berlino Straße der Menschenrechte (En. Human Rights Street)- (Sp.) calle de los Derechos Humanos (Fischer 2006:228). 1.2 Loanword/transcription This may also include orthographical adaptation: Berlin – (Sp). Berlín, Texas – (Sp., for historical reasons) Tejas (Mougoyanni 2001: 48). 1.3 Substitution Substitution can be of two kinds: – a number of variants of the same personal name, especially those of Graeco-Latin (Christian) origin: Jan – (Sp.) Juan – (Fr.) Jean – (En.) John etc. (Mougoyanni 2001: 48), (Ger.) Mainz – (Sp.) Maguncia – (Cz.) Mohuč – especially in the case of toponyms, replacement by a “cultural equivalent”: (Ger.) Marktplatz – (Sp.) Plaza Mayor (Fischer 2006: 228) Substitution between e.g. Spanish and Czech involves particular issues in the case of place names and names of other geographical features or institutions which are familiar metonyms in the source community: (Sp.) Ciudad Condal – Barcelona, (Sp.) Ciudad Imperial – Toledo, (En.) Emerald Isle – (Cz.) Irsko – (En.) Ireland, etc. 1.4 Explicitation This involves adding information, especially of a cultural nature: (Ger.) Bundeshaus – (Sp.) Bundeshaus, la sede del Parlamento Federal (Fischer 2006: 228). 1.2 Prestito / trascrizione Può anche comportare l’adattamento ortografico: Berlin- (Sp.) Berlín, Texas – (Sp., per ragioni storiche) Tejas (Mougoyanni 2001: 48). 1.3 Sostituzione La sostituzione può essere di due tipi: – serie di varianti dello stesso nome di persona, specialmente quelli di origine greco-latina (cristiana): Jan- (Sp.) – Juan – (Fr.) Jean – (En.) John ecc. (Mougoyanni 2001: 48), (Ger) Mainz – (Sp.) Maguncia. (Cz) Mohuč – sostituzione con un “equivalente culturale”, soprattutto nel caso di toponimi: (Ger.) Marktplatz- (Sp.) Plaza Mayor (Fischer 2006: 228). Traducendo dallo spagnolo al ceco, per esempio, nascono particolari problemi nel caso di toponimi e di nomi di altre caratteristiche geografiche o di istituzioni che sono metonimi conosciuti nella comunità di partenza: (Sp.) Ciudad Condal – Barcelona, (Sp.) Ciudad Imperial- Toledo, (En.) Emerald Isle- (Cz.) Irsko- (En.) Ireland, eccetera. 1.4 Esplicitazione L’esplicitazione aggiunge informazioni, soprattutto di natura culturale: (Ger.) Bundeshaus – (Sp.) Bundeshaus, la sede del Parlamento Federal (Fischer 2006:228). 1.5 Generalisation Fischer (2006:228) includes under the concept of generalization the replacement of a proper name by an appellative: (Ger.) Berliner Dom/ Kölner Dom/ Berner Münster- (Sp.) cathedral. In my view this is a case of a general proprium-apelativum relationship as a means of expressing textual cohesion and coherence and its use in translation may be restricted in certain languages by other factors (Kullová 1990, Králová 1994). 2. PROBLEMS ARISING FROM THE SPECIFIC RELATIONSHIP BETWEEN THE SOURCE AND TARGET LANGUAGES Especially in conditions of cultural asymmetry, if we perceive translation as a source of innovation in the target culture, analysis of the translation of proper names must also respect a further rule, namely the specific nature of this relationship in respect of each language/culture pair, its historical conditioning and last but not least the intended function of the translated text. 2.1 The influence of the internal structure of the source and target languages In the analysis of translations, although the choice of a proper name is to some extent always a compromise between the naming requirements of a given society and the usage of the means of expression of the language concerned (Knappová 1992: 211), the role of the structure of the source and target languages is frequently disregarded. One author who has studied this issue is Fischer (2006: 236-238), who pays particular attention to the problems arising with German vocabulary and orthography in transfer to Spanish. 1.5 Generalizzazione Fischer (2006: 228) include nel concetto di generalizzazione la sostituzione di un nome proprio con un appellativo: (Ger.) Berliner Dom/ Kölner Dom/ Berner Münster – (Sp.) catedral. Dal mio punto di vista si tratta di un caso di relazione generale nome proprio – nome comune, inteso come mezzo di espressione della coerenza e della coesione testuale, il cui uso nella traduzione può essere, in alcune lingue, limitato da altri fattori (Kullová 1990, Králová 1994). 2. I PROBLEMI CONNESSI ALLA RELAZIONE SPECIFICA TRA LA LINGUA EMITTENTE E LA LINGUA RICEVENTE Soprattutto in condizioni di asimmetria culturale, se si considera la traduzione una fonte d’innovazione nella cultura ricevente, l’analisi della traduzione dei nomi propri deve rispettare un’ulteriore regola che comprende la natura specifica di tale relazione rispetto ad ogni coppia di lingue/culture, il suo condizionamento storico e da ultimo, ma non meno importante, la funzione prevista del testo tradotto. 2.1 L’influenza della struttura interna della lingua emittente e ricevente Nell’analisi delle traduzioni, nonostante la scelta dei nomi propri sia, per una certa misura, sempre un compromesso tra le necessità di nominazione di una determinata società e l’uso dei mezzi di espressione della lingua interessata (Knappová 1992:-211), il ruolo della struttura delle lingue emittenti e riceventi è spesso trascurato. Fischer è un autore che ha studiato questo aspetto (2006:- 236-238), prestando particolare attenzione ai problemi che nascono con il lessico tedesco e con l’ortografia nella traduzione verso lo spagnolo. It can be said that the sharper the structural and typological differences are between source and target language the more complicated the use of the loanword/transcription procedure in translation becomes, including any graphical adaptations. Whereas in structurally and typologically similar languages, especially analytic languages, the chief problem arises in the pronunciation of foreign names, if we take Czech as an example in comparison with other (analytic) languages, the highly developed (especially nominal) inflection and the formation of names by word derivation in Czech represent an obstacle to the use of transcription in preference to other procedures. This is because inflection and derivation cause such significant shifts, not only in spelling but also in phonetics, that the various word forms, including those of adjectives, differ to a greater or lesser extent from the original foreign-language forms. An indirect confirmation of this is not only, for example, the fact that the rules of Czech orthography apply to the spelling of the inflected forms and the derivation of adjectives, with the result that changes occur in the spelling of the respective forms, including cases where the rules provide for two alternative forms in Czech, e.g. Carrara – adj. carrarský/ kararský, La Mancha – adj. lamančský, Mallorca – genitive Mallorky/Mallorcy, adj. mallorský, Québec – genitive Québeku/Québecu, adj. quebecký/ québecký. (see Rules of Czech Ortography), but also the need to apply legal constraints to the formation of certain proper names (names of enterprises and institutions – Knappová 1995). Si può dire che più sono marcate le differenze strutturali e tipologiche tra la lingua emittente e ricevente, più si complica l’uso della procedura del prestito/trascrizione nella traduzione, implicando l’adattamento grafico. Al contrario, nelle lingue simili dal punto di vista strutturale e tipologico, soprattutto le lingue analitiche, -il problema principale deriva dalla pronuncia dei nomi stranieri. Se si prende il ceco come esempio e lo si confronta con altre lingue (analitiche), si nota che la flessione complessa (soprattutto nominale) e la formazione dei nomi tramite la derivazione ostacola l’uso della trascrizione preferendo altre procedure. La flessione e la derivazione causano, infatti, cambiamenti non solo nella scrittura ma anche nella fonetica talmente significativi che le diverse forme di parole, comprese quelle degli aggettivi, si differenziano in misura maggiore o minore da quelle originarie della lingua straniera. Una conferma indiretta di quanto detto, per esempio, è il fatto che le regole dell’ortografia ceca si applicano alla corretta grafia delle forme flesse e alla derivazione degli aggettivi. Ne risultano dei cambiamenti nell’ortografia delle rispettive forme, compresi i casi in cui in ceco le regole forniscono due alternative: per es. Carrara – agg. carraský/ karaský, La Mancha – agg. lamančský, Mallorca – genitivo Mallorky/ Mallorcy. agg. mallorský, Québec- genitivo Québeku/Québecu, agg. quebecký/québecký. (vedere Pravidla českého pravopisu [Regole dell’Ortografia Ceca]). Un’ulteriore conferma è l’esigenza di applicare vincoli legali alla formazione di determinati nomi propri (nomi di imprese a istituzioni- Knappová 1995). A separate issue is raised by the introduction of proper names and titles from a third culture – this involves not only different conventions of transliteration from other character sets: (Sp.) Al Qaida – (Cz.) al-Kaida; (Sp.) Bahréin – (Cz.) Bahrajn etc., but the necessity for a “double substitution” in the target language. To illustrate the relationship referred to, an excerpt from the cultural programme of the Cervantes institute in Prague is shown here: Juan Critósomo de Arriaga, conocido como «el Mozart español», nación en Bilbao el 21 de enero de 1806 y falleció en París en 1826… (p. 22). Juan Critósomo de Arriaga, známý jako “ španělský Mozart” se narodil v Bilbau (1) 27. Ledna 1806 a zemřel v Paříží (2) v roce 1826…(p.23) Juan Critósomo de Arriaga, known as “the Spanish Mozart”, was born in Bilbao (1) on 27th January 1806 and died in Paris (2) in 1826…(p. 23) In case (1) the inflective nature of Czech is observed in the change of a grammatical suffix: v Bilbau (in Bilbao); in case (2) the Czech name for the capital of France is substituted: v Paříží (in Paris). 2.2 Sociolinguistic aspects In condition of cultural asymmetry, sociolinguistic aspects also come to the fore. Such issues are associated not only with the prestige of the source or target language, but also with their variability in the light of linguistic internationalization, both from a synchronic and a diachronic standpoint, as well as, last but not least, with the approach to the codification of linguistic phenomena. Una diversa questione si è sollevata con l’introduzione di nomi propri e di titoli da una terza cultura che non implica solo diverse convenzioni di traslitterazione da altri alfabeti (Sp.) Al Quaida – (Cz.) al-Kaida; (Sp.) Bahréin- (Cz.) Bahrajn ecc., ma la necessità di una “doppia sostituzione” nella lingua ricevente. Per chiarire le relazioni a cui si è fatto riferimento, viene riportato qui un estratto del programma culturale dell’istituto Cervantes di Praga: Juan Critósomo de Arriaga, conocido como «el Mozart español», nación en Bilbao el 27 de enero de 1806 y falleció en Paris en 1826… (p.22) Juan Critósomo de Arriaga, známý jako “španělský Mozart” se narodil v Bilbau (1) 27. Ledna 1806 a zemřel v Pařízi (2) v roce 1826 (p. 23) Juan Critósomo di Arraga, conosciuto come “il Mozart spagnolo”, nacque a Bilbao il 27 gennaio 1806 e morì a Parigi nel 1826 (p.23). Nel primo caso (1) la natura flessiva del ceco si osserva nel cambiamento del suffisso grammaticale: v Bilbau (in Bilbao); nel secondo caso (2) il nome ceco della capitale francese è sostituito: v Paříži (in Paris). 2.2 Aspetti sociolinguistici In condizioni di asimmetria culturale si evidenziano inoltre gli aspetti sociolinguistici. Essi non sono collegati solamente al prestigio della lingua emittente e ricevente, ma anche alla loro variabilità alla luce dell’internazionalizzazione linguistica, sia da un punto di vista sincronico che diacronico, e, da ultimo ma non meno importante, al modo di affrontare la codifica dei fenomeni linguistici. Further symptoms of variability in language include e.g. the existence of parallel subsystems of proper names in different social groups and spheres of communication. A commonly quoted example is the forms of proper names used in the family circle, but a more significant instance from our standpoint is the difference between the forms of a name in documents or official communications and those that occur in the home environment, amongst friend, schoolmates etc., as well as for example the existence of dual toponyms in bilingual regions, whether from a diachronic or a synchronic standpoint. As examples one could mention the Spanish variants San Sebastián – Donostia, and the corresponding adjectives sansebastiano – donostiarra, or Sevilla with the adjectives sevillano – hispalense. Linguistic internationalization is not, at least not in the Czech environment, an isolated phenomenon. For example, diachronically speaking, Czech has been influenced by German and by Russian and for a considerable time it co-existed with Slovak, while today it is subject to the influence of English. The prestige of a given language has also influenced the choice of Christian names, for example, and sometimes the choice of variant forms of address in both formal and informal situations and it is particularly prominent in its impact on commercial nomenclature (Knappová 1995:283). Sociolonguistic considerations are also involved in the approach to codification of the treatment of foreign names, in both original and translated texts. The relatively unequivocal codification system of Czech is associated, as mentioned above, not only with an academic linguistic tradition, but also with the highly involved nominal inflection and system of derivation, which complicate the treatment of sound/phonemes Ulteriori aspetti della variabilità in una lingua si trovano nell’esistenza di sottosistemi paralleli di nomi propri in diversi gruppi sociali e in diverse sfere di comunicazione. Generalmente si riportano come esempio le forme dei nomi propri usate nel contesto famigliare. Tuttavia un esempio ancor più significativo dal nostro punto di vista è la differenza tra le forme di un nome nei documenti o nelle comunicazioni ufficiali e quelle a cui si ricorre nell’ambiente famigliare, tra gli amici, tra i compagni di scuola ecc. come anche la presenza di doppi toponimi nelle regioni bilingui, sia da un punto di vista diacronico che sincronico. Si potrebbero prendere come esempio le varianti spagnole San Sebastián- Donostia e gli aggettivi corrispondenti sansebastiano- denostiarra, o Sevilla con gli aggettivi sevillano- hispalense eccetera. L’internazionalizzazione linguistica non è, almeno nella società ceca, un fenomeno isolato. Parlando da un punto di vista diacronico, per esempio, il ceco ha subito l’influenza del tedesco e del russo e per un periodo considerevole è coesistito con lo slovacco, mentre oggi è soggetto all’influenza dell’inglese. Il prestigio di una determinata lingua ha anche influenzato la scelta dei nomi di battesimo e, talvolta, la scelta di forme diverse di nomi sia in situazioni formali che informali ed ha un particolare impatto sulla terminologia commerciale (Knappová 1995:-283). Le considerazioni sociolinguistiche interessano anche l’approccio verso la codifica del trattamento dei nomi stranieri, sia nei testi originali che tradotti. Il sistema di codifica del ceco, relativamente poco ambiguo, è collegato, come citato in precedenza, non solo alla tradizione linguistica accademica ma anche alla flessione nominale fortemente presente e al sistema di derivazione. Questi ultimi complicano il trattamento dei suoni/fonemi that are non-existent in Czech, or significantly vary the form of a name, or that of an adjective derived from it, from the original proper name. In addition to this, as a Slavonic language, Czech also has a specific codified system for the transliteration of names from cyrillic-alphabet languages and a system for transcription form languages using ideograms or syllabaries (interestingly enough, excluding Arabic and Hebrew), and for the transliteration of other characters found in Latin-alphabet languages. The impact of social factors is clearly in evidence where the choice of names predominantly involves associative, ideologising (myth-forming or honorific) functions – cf. Karl-Marx-Stadt – Chemnitz, Gottwaldov – Zlín, street names etc.). Particular names can, for example, facilitate the dating of a text and can sometimes also identify its geographical origin, because a social situation and the associated communication needs are frequently the motivation for naming or re-naming, even in a stabilized place-name system. The constant demand for new names is reflected not only in the creation of new proper names for new products but also in the naming or re-naming of institutions (Knappová 1992:212). Analysis must take account of the historical conditioning of translation norms – in respect of Czech one could mention e.g. instructions regarding the inflection and gender-based variation of personal forenames and surnames or, by contrast, an emphasis on expressing che non esistono in ceco o cambiano in modo significativo la forma di un nome o quella di un aggettivo che ne deriva, dal nome proprio originario. Inoltre, in qualità di lingua slava, il ceco dispone di un sistema codificato specifico per la traslitterazione dei nomi dall’alfabeto cirillico, di un sistema per la trascrizione dalle lingue che usano ideogrammi o sillabari (è interessante che siano esclusi l’arabo e l’ebraico) e per la traslitterazione di altri caratteri presenti nelle lingue con l’alfabeto latino. L’impatto dei fattori sociali è chiaramente evidente laddove la scelta dei nomi implica prevalentemente funzioni associative e ideologizzanti (mitizzanti e onorifiche), si confronti Karl-Marx-Stadt – Chemnitz, Gottwaldov – Zlín, nomi di strade. Alcuni nomi particolari possono, per esempio, facilitare la datazione di un testo e talvolta possono identificarne l’origine geografica, poiché un evento sociale e le connesse necessità di comunicazione sono spesso motivo di nominazione o rinominazione persino in un sistema di toponimi stabile. La costante richiesta di nuovi nomi si riflette non solo nella creazione di nomi propri per nuovi prodotti ma anche nella nominazione o rinominazione delle istituzioni (Knappová: 1992:212). L’analisi deve considerare il condizionamento storico delle norme di traduzione come una linea guida per i traduttori letterari- in relazione al ceco, si potrebbero citare, per esempio, le informazioni riguardanti la flessione e la variazione basata sul genere dei nomi e cognomi di persona o, al contrario, l’insistenza per esprimerli them in an invariable form – frequently feminine names in the masculine gender form etc. – as an instruction to literary translators etc. 2.3 Functions of the text, text type and genre The treatment of names of foreign origin in a text also depends on the text type and the genre of the source text. As an example one could mention the recommendation for the transcription of names from languages which do not use the Latin alphabet – in the case of Russian names the original names are reconstructed – e.g. Shakespeare, but in the transliteration of continuous text the transliteration is preserved, to some extent reflecting the usual pronunciation of foreign-language expressions in Czech – Jazyk komedij Šekspíra (the language of Shakespeare’s comedies) (Rules of Czech Orthography, No. 76). A different approach to transliteration is found in private documents, for example. The situation is rather different in cases where nominating, identifying and differentiating functions of proper names are predominant. For example, whereas in the Czech press and in fiction the Czech version of a German place name is commonly found, such as Norimberk, railway station announcements always refer to this city in the German form Nürnberg. In personal documents the original language version is usually chosen; in literary translation, by contrast, usage varies (Levý 1983, Knappová 1983). in una forma invariata, (spesso i nomi femminili nella forma di genere maschile) ecc. 2.3 Le funzioni del testo, del tipo di testo e del genere Il trattamento dei nomi propri di origine straniera in un testo dipende anche dal tipo di testo e dal genere del prototesto. Può esserne esempio la raccomandazione di trascrizione dei nomi dalle lingue che non usano l’alfabeto latino (nel caso dei nomi russi, i nomi originali vengono ricostruiti) come Shakespeare, ma nella traslitterazione di un intero testo la trascrizione viene mantenuta, riflettendo, per una certa misura, in ceco, la pronuncia consueta delle espressioni della lingua straniera– Jazyk komedij Šekspíra (La lingua delle commedie di Shakespeare) (Pravidla českého pravopisu, [Regole dell’Ortografia Ceca]:73). Un approccio diverso nei confronti della traslitterazione è riscontrato, per esempio, nei documenti privati. La situazione è piuttosto diversa nei casi in cui le funzioni di nominare, identificare e differenziare i nomi propri sono predominanti. Mentre nella stampa e nella narrativa ceca è diffusa la versione ceca di toponimi tedeschi come Norimberk, gli annunci della stazione ferroviaria si riferiscono sempre alla città usando la sua forma tedesca Nürnberg. Nei documenti personali si opta solitamente per la versione originale della lingua, mentre nella traduzione letteraria l’uso varia (Levý 1983, Knappová 1983). 3. POLYFUNCTIONALITY OF PROPER NAMES AS A SOURCE OF VARIABILITY OF NORMS IN TRANSLATION The instability and absence of universal norms in the translation of proper names is associated with their polyfunctionality and with problems arising from specific relationships between source and target languages as elements of the source and target polysystems. It follows that there is considerable instability in norms governing proper names and that they are conditioned by time and place – as an example one could mention the era of the 19th century Czech National Revival, when the tradition of translating vernacular names into Czech was laid down (Knappová 1983). To some extent a prescriptive approach always applies, however, e.g. trade names are prescribed by the commercial law code (Knappová 1995), though this norm is more or less binding in some languages and some texts than in others. The question now arises as to how far this instability of the norms may be associated on the one hand with the status of proper names in the linguistic system and on the other hand with the status of a proper name in the source and target language systems respectively, and in the source and target polysystems in general. 3.1 The centre-periphery concept One possible solution is to apply the centre-periphery concept. Because there is no paradigm universally accepted in the humanities, including translation studies, it is very difficult to pinpoint unequivocally where the centre and the periphery of a given (poly)system lie. The rule of peripheries states that there is always an attempt at some periphery to dislodge fashions dictated 3. POLIFUNZIONALITÀ DEI NOMI PROPRI COME FONTE DI VARIABILITÀ DELLE NORME NELLA TRADUZIONE L’instabilità e l’assenza di norme universali nella traduzione dei nomi propri è associata alla loro polifunzionalità e ai problemi che emergono da relazioni specifiche tra la lingua emittente e la lingua ricevente come elementi dei rispettivi polisistemi. Ne consegue una considerevole instabilità nelle norme che governano i nomi propri e il fatto che essi siano condizionati dal tempo e dal luogo. Come esempio si potrebbe citare l’epoca della Rinascita nazionale ceca dell’ottocento in cui la tradizione di tradurre i nomi locali in ceco fu abbandonata (Knappová, 1983). Tuttavia in una certa misura si applica sempre un approccio normativo, per esempio i nomi dei marchi sono imposti dal codice di legge commerciale (Knappová 1995) anche se questa norma è più o meno vincolante in alcune lingue e in alcuni testi rispetto ad altri. Il problema che ora emerge è fino a che punto l’instabilità delle norme può essere associata da una parte allo status dei nomi propri nel sistema linguistico e dall’altra allo status dei nomi propri rispettivamente nei sistemi della lingua emittente e ricevente, e nei loro polisistemi in generale. 3.1 Il concetto «centro-periferia» Una soluzione possibile è applicare il concetto «centro-periferia». Dato che non esiste nessun paradigma universalmente condiviso negli studi umanistici, compresi gli studi di traduzione, è molto difficile individuare inequivocabilmente dove si trovi il centro e la periferia di un determinato (poli)sistema. La regola afferma che c’è sempre un tentativo in certe periferie di rimuovere le mode imposte by some hegemonical centres, seeking alternatives (Sales Salvador 2002). The classical Prague School concept was mainly concerned with the centre and periphery of the linguistic system, however. But systemicity is understood here as relative and the higher the level of language, the weaker the systemic arrangement. The place of certain items or rules in the system appears to be less firm, and peripheral. This manifests itself, for example, in their irregularity, reduced frequency, the limitation of their occurrence to loan words, including proper names etc. (Karlíl – Nekula – Pleskalová 2002: 55). From the standpoint of the lexical system of a given language, proper names are generally considered a peripheral phenomenon: as Knappová (1992:212) notes, the reason for this is the fact that their main function is identification, unconnected with the semantic function, as a result of the substantial reduction or even elimination of the initial semantic component of proper name and the limited or non-existent link with the original appellative meaning. Its semantic value is specific – arising from the familiarity of the name qua name and its most significant semantic component is the linguistic and extra-linguistic information derived from the name and the function it performs in the given text. In translation studies the centre-periphery concept assumes various forms, mainly in connection with integration processes, both in the field of linguistics and in the field of literary studies (Sales Salvador, 2002) and in connection with polysystem theory, mainly because this approach is based on inter-cultural analysis, cross-cultural and intra-cultural dynamics, and this makes it a better tool for dealing with many varieties of complex situations. da centri egemonici, cercando delle alternative (Sales Salvador 2002). Il concetto classico della scuola di Praga era tuttavia principalmente interessato al centro e alla periferia del sistema linguistico. Tuttavia qui la sistematicità ha un senso relativo e più è alto il livello della lingua, più la struttura sistemica è fragile. La posizione di certi elementi o regole nel sistema sembra meno solida e periferica. Questo si manifesta, per esempio, nella loro irregolarità, nella frequenza ridotta e nella limitata presenza di prestiti, compresi i nomi propri eccetera (Karlík- Nekula – Pleskalová 2002:55). Dal punto di vista del sistema lessicale di una determinata lingua, i nomi propri sono generalmente considerati un fenomeno periferico: come osserva la Knappová, ne è motivo il fatto che la loro funzione principale è l’identificazione, separata dalla funzione semantica, come risultato della riduzione sostanziale o addirittura dell’eliminazione della componente semantica iniziale del nome proprio e del legame limitato o assente con il significato appellativo originario. Il suo valore semantico è specifico; emerge dalla familiarità del nome in quanto nome e la sua componente semantica più significativa è l’informazione linguistica ed extralinguistica che deriva dal nome e dalla funzione che esso svolge nel testo in questione. Negli studi sulla traduzione il concetto «centro-periferia» assume diverse forme, principalmente in rapporto ai processi di integrazione, sia nel campo della linguistica e nella teoria della letteratura (Sales Salvador, 2002), sia in relazione alla teoria dei polisistemi, soprattutto perché questo approccio si basa su un’analisi interculturale e su dinamiche multiculturali e intraculturali, e diventa quindi un migliore strumento per affrontare le varie situazioni complesse. If we are searching for a point of contact with translation studies, one way to deal with the centre-periphery issue is, following Daneš (1979), to emphasise the role of the receptor as a carrier of the social values the linguistic community ascribes to the literary language, to its respective resources and varieties of usage and the attitude to it in a given community. The recognition of the role of the receptor in the identification of central and peripheral elements of the (poly)system: translators as receptors sui generis identify central-peripheral phenomena from their own perspective in accordance with the contemporary norms of the target community. This is because the situation is seen as somewhat different in a cultural sense, and in a broader sense of the word: if a proper name is a marker of a certain source culture, it is difficult to treat it as a peripheral element in that culture. Nevertheless, if a proper name becomes one of the basic markers of the “foreignness” of the text, one manifestation of which is the use of resources not belonging to the target language, the receptor’s role in evaluating a particular element as “foreign” proves to be crucial. 3.2 “Foreign” proper names as elements of the periphery of the (poly)system On the other hand, the very concept of a polysystem raises a further problem for analysis in translation studies – central elements of the source polysystem may be peripheral elements in the target polysystem and vice versa. An example of a resource of this type is, in fact, proper names, whether anthroponyms, toponyms or names of institutions. Se si cerca un punto di contatto con gli studi sulla traduzione, secondo Daneš un modo di affrontare la questione di centro-periferia è quello di mettere in risalto il ruolo del ricevente come portatore dei valori sociali che la comunità linguistica attribuisce al linguaggio letterario, alle sue rispettive risorse, alle varietà di uso e all’atteggiamento nei suoi confronti in una determinata comunità. Il riconoscimento del ruolo del ricevente nell’identificazione degli elementi centrali e periferici del (poli)sistema: i traduttori come riceventi sui generis individuano i fenomeni centrali-periferici dalla loro punto di vista, in conformità alle norme contemporanee della comunità ricevente. Tutto ciò avviene poiché si considera la questione in un modo diverso da un punto di vista culturale e nel senso più ampio del termine: se un nome proprio è una marca di una determinata cultura emittente, risulta difficile considerarlo un elemento periferico in quella cultura. Tuttavia, se un nome proprio diventa una delle marche dell’”estraneità” di un testo, ne è dimostrazione l’uso di risorse che non appartengono alla lingua ricevente, il ruolo del ricevente nel valutare un particolare elemento come “estraneo” si rivela decisivo. 3.2 Nomi propri “estranei” come elementi della periferia del (poli)sistema D’altra parte il concetto stesso di polisistema solleva un’ulteriore questione per l’analisi negli studi sulla traduzione. Gli elementi centrali del polisistema emittente possono essere elementi periferici nel polisistema ricevente e viceversa. Un esempio di un caso di questo tipo è, infatti, rappresentato dai nomi propri, sia che si tratti di antroponimi, toponimi o nomi di istituzioni. Central elements of the system are relatively stable in their usage, conforming to the rules of the linguistic system and perhaps contributing to its internal cohesion and consistency as well as to the dynamic balance of the relevant sub-system and the linguistic system as a whole, while peripheral elements exhibit these criteria to a far lesser extent (Daneš 1979). It is not merely by chance, then, that proper names as polyfunctional elements of the source polysystem frequently become peripheral features of the target (poly)system: instability of usage is manifested not only in their formal aspects (unusual phraseology or pronunciation), but also in the formation of alternative names, although they are, as mentioned above, frequently referred to in prescriptive rule-books. The relationship between centre and periphery in a linguistic system is a dynamic one – originally peripheral elements find their way into the centre of the linguistic system and vice versa. Proper names can also serve as an example of such elements – even if some of them in principle retain the character of lexical quotations, for many reason they adapt themselves to the rules of the receiving polysystems (cf. Fischer 2006). This is a state of affairs similar to the discovery by Vachek (1981) (for Czech and other inflected languages), that one of the characteristics of transfer from the periphery to the centre of a system is, in addition to a fixed written and spoken form, incorporation into the nominal declension paradigm of the receiving language. This property applies in particular to inflected languages – besides the issue of declension it involves the ability to create new words, especially by means of derivation (cf. examples for Czech in section 2.2 above; for German see Fischer 2006: 236-238). Gli elementi centrali del sistema sono relativamente stabili nel loro uso, si attengono alle regole del sistema linguistico e contribuiscono probabilmente alla sua coesione e coerenza interna, e all’equilibrio dinamico del relativo sottosistema e del sistema linguistico nell’insieme, mentre gli elementi periferici mostrano questi criteri in misura minore (Daneš 1979). Non è solo un caso, quindi, che i nomi propri in qualità di elementi polifunzionali del polisistema emittente diventino frequentemente aspetti periferici del (poli)sistema ricevente: l’instabilità dell’uso si manifesta non solo nei loro aspetti formali (fraseologia o pronuncia insolita) ma anche nella formazione di nomi alternativi, nonostante, come già citato in precedenza, ci si riferisca spesso ad essi nei manuali normativi. Il rapporto tra il centro e la periferia in un sistema linguistico è dinamico. Originariamente gli elementi periferici si fanno strada verso il centro del sistema linguistico e viceversa. I nomi propri possono anche essere un esempio di questi elementi, anche se molti di loro mantengono in linea di principio il carattere di citazioni lessicali e si adattano per diversi motivi alle regole del polisistema ricevente. (cf. Fischer 2006). Questo è un caso simile alla scoperta di Vachek (1981) (per il ceco e altre lingue flessive) secondo cui una delle caratteristiche di trasferimento dalla periferia al centro di un sistema è, oltre a una forma scritta e parlata stabilita, l’inserimento nel paradigma di declinazione della lingua ricevente. Questa proprietà si applica particolarmente alle lingue flessive. Oltre alla questione della declinazione, implica anche la capacità di creare nuove parole, soprattutto mediante la derivazione (si confrontino gli esempi per il ceco nella sezione 2.2, per il tedesco si veda Fischer 2006: -236-238). 4. CONCLUSION The distinctive status of proper names in inter-cultural communication, as specific substantive polyfunctional linguistic resources, gives rise to a number of problems when it comes to their translation. To begin with, the theoretical concepts relating to this issue are extremely varied; furthermore, it cannot be exhaustively resolved by recourse to prescriptive works of reference such as dictionaries and rules of orthography. This is because it is not merely the specific relationship between source and target languages that is involved here (and not only their internal rules at that). Sociolinguistic considerations as well as text type and genre are also of considerable consequence here. If we consider the nature of proper names not only as specific polyfunctional linguistic resources, but also as significant manifestations of the “foreignness” of a text, it seems advantageous to apply the centre-periphery concept. The central concept here seems to be that of the receptor of a text as a carrier of the social values the linguistic community ascribes to the particular resources of a given language and to their usage and of the attitudes to it in that community: if proper names are perceived by their receptors as “foreign”, it is clear that in the given target (poly)system they represent peripheral elements. By contrast, if they adapt to the internal rules of the given linguistic system and to its internal paradigms and their form is stabilised, they gradually become central elements. The application of the centre-periphery concept thus makes it possible to describe the dynamics of the “treatment” of proper names in translation, placing it in its broadest chronological, geographical and socio-cultural contexts. 4. CONCLUSIONE Lo status particolare dei nomi propri nella comunicazione interculturale, in qualità di risorse linguistiche polifunzionali specifiche, fa emergere una serie di problemi traduttivi. Innanzitutto, i concetti teorici riguardanti questo problema sono molto diversi. Inoltre non si può risolvere completamente la questione ricorrendo a opere normative o consultando dizionari o regole di ortografia, perché in questo caso non è coinvolta solo la relazione specifica tra la lingua emittente e la lingua ricevente (e non solo le loro regole interne). Anche le considerazioni sociolinguistiche, come il tipo di testo e il genere, hanno un’importanza notevole. Se consideriamo la natura dei nomi propri non solo come risorse linguistiche polifunzionali specifiche ma anche come indicatori significativi dell’ “estraneità” di un testo, sembra conveniente applicare il concetto «centro-periferia». Il ricevente del testo in qualità di portatore dei valori sociali che la comunità linguistica attribuisce alle particolari risorse di una determinata lingua e al suo uso, e l’approccio verso di esso in quella comunità, sembrano i concetti centrali: se i nomi propri sono percepiti dai riceventi come “estranei”, è chiaro che nel (poli)sistema ricevente rappresenteranno elementi periferici. Di contro, se di adattano alle regole interne del determinato sistema linguistico e ai suoi paradigmi interni e la loro forma è stabile, diventano gradualmente elementi centrali. L’applicazione del concetto «centro-periferia» permette così di descrivere la dinamica del “trattamento” dei nomi propri in traduzione, in un contesto cronologico, geografico e socioculturale più ampio. The concepts of centre and periphery as they were adopted by the Prague School in its classical era continue to be widely unrecognised, and not only in translation studies. The objective of the present chapter has been to demonstrate, taking proper names as an example, that the appropriate application of these concepts can be of considerable value, not only for purposes of theoretical descriptions of translation but also in the practice of translation. I concetti di «centro-periferia» come sono stati adottati dalla Scuola di Praga nella sua epoca classica sono ancora ampiamente disconosciuti e non solo negli studi sulla traduzione. L’obiettivo di questo capitolo è stato quello di dimostrare, prendendo come esempio i nomi propri, che l’applicazione appropriata di questi concetti può essere molto utile non solo per le descrizioni teoriche della traduzione ma anche nella pratica stessa della traduzione. References – Riferimenti bibliografici Akademiká pravidla českého pravopisu. 1993. Praha ARREGUI BARAGÁN, N. 2006. La traducción de alusiones culturales: los antropónimos. In. BRAVO UTRERA, S. – GARCĺA LÓPEZ, R. (coord.). 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