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Traducibilità del gergo criminale russo nelle intercettazioni telefoniche in Italia

Traducibilità del gergo criminale russo nelle intercettazioni telefoniche in Italia

Michela Cobelli

Fondazione Milano

Milano Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18 20151 MILANO

Relatore: professor Bruno Osimo

Diploma in Mediazione linguistica

dicembre 2013

© Michela Cobelli per l’edizione italiana 2013

La traslitterazione dal russo è stata eseguita in conformità alla norma ISO/R 9:1995.

Abstract in italiano

Il proposito è affrontare il problema della traducibilità del gergo criminale russo nella realtà giudiziaria italiana. Partendo da alcuni stralci di intercettazioni telefoniche sono analizzate espressioni gergali russe da un punto di vista storico, linguistico e culturale. Più gli intertesti del gergo criminale russo sono impliciti, maggiore è per il mediatore linguistico la difficoltà di decodificarli perché i numerosi residui necessitano di una traduzione metatestuale. Nell’ultima parte è approfondita la figura del mediatore linguistico che deve tenere conto delle differenze culturali per tradurre il messaggio superficiale, ma anche le sue implicazioni. Si cerca di spiegare usi e costumi della criminalità russa.

English abstract

The purpose is to tackle the problem of translating Russian criminal slang in Italian judicial inquiries. Starting from a series of wiretap extracts, Russian slang expressions have been examined from a historical, linguistic and cultural point of view. The more the Russian criminal slang intertextuality is implicit, the harder the task of the translator, who must be able to take into account all the relevant cultural differences and ensure that neither what is explicit nor what is implicit is lost in translation. The project also explains the customs and traditions of Russian criminality.

Резюме на русском языке

Цель настоящей работы – рассмотреть вопрос переводимости русского воровского жаргона в итальянской судебной практике. В ходе работы, начиная с прослушивания нескольких телефонных разговоров, проанализированы некоторые российские жаргонные выражения с исторической, языковой и культурной точки зрения.Следует отметить, что, чем больше интертекст является имплицитным, тем больше у переводчика встречается трудностей при переводе, т.к. остаточные элементы необходимо передать посредством метатекстового перевода. Переводчик должен принять во внимание культурные различия и не только перевести поверхностные сообщения, но и их импликации. Кроме того, в данной работе затронуты обычаи русского преступного мира.

INDICE

1 PREFAZIONE……………………………………………………………………………………………………………………………5

1.1 Il gergo………………………………………………………………………………………………………………………………..5

2 LE INTERCETTAZIONI IN ITALIA……………………………………………………………………………………………………7

2.1 Le Forze di polizia………………………………………………………………………………………………………………….9

2.2 Contrabbando…………………………………………………………………………………………………………………….11

2.3 Ricettazione……………………………………………………………………………………………………………………….13

2.4 Le parolacce:Il mat russo………………………………………………………………………………………………………17

2.5 Gerarchia criminale……………………………………………………………………………………………………………..19

2.6 Il ruolo delle donne……………………………………………………………………………………………………………..24

2.7 La droga…………………………………………………………………………………………………………………………….27

3 MEDIAZIONE LINGUISTICA: ASPETTI E DIFFICOLTÀ DELLA TRADUCIBILITÀ DEL GERGO E DELLA MEDIAZIONE GIURIDICA……………………………………………………………………………………………………………32

4 APPENDICE……………………………………………………………………………………………………………………………35

5 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI…………………………………………………………………………………………………….39

1 PREFAZIONE

1.1 Il gergo

Nella mitologia greca Argo era il nome della nave che portò Giasone e gli Argonauti alla conquista del vello d’oro, dalla Grecia alla Colchide, sulle estreme rive del Mar Nero. Si diceva che la polena della nave potesse comprendere tutte le lingue ma che ne parlasse una sola, la “lingua degli uccelli”, comprensibile solamente mediante la magia (Argonautiche 2003). Dal francese argot, che inizialmente era la parlata della malavita e dei militari,in italiano il «gergo» è una forma di linguaggio utilizzata da certi gruppi sociali che non vogliono essere compresi da persone estranee al gruppo, e è configurata come un codice segreto, la cui funzione criptica da un lato esclude gli altri dalla comunicazione e dall’altro rafforza i legami e il senso di coesione interna, visto che i gerganti condividono attività, esperienze e ambiti di vita comuni (Treccani).Dal punto di vista linguistico il gergo, secondo la definizione di Cohen (1919) si appoggia su una lingua o su un dialetto preesistenti, sui quali si innesta un nuovo lessico, attraverso un processo definito appunto di rilessicalizzazione e di risemantizzazione, che implica l’utilizzo di particolari procedimenti fonomorfologici nella formazione di parole nuove e l’impiego massiccio di metonimie e metafore, sineddochi e altre figure retoriche, capaci di creare sempre nuove relazioni semantiche, a volte anche complesse, specie quando si basano sul gioco contrastivo fra lingua e dialetto. I gerghi storicamente attestati in Italia risalgono al tardo medioevo e si dividono tradizionalmente in due gruppi, quelli della malavita e quelli di mestiere. La linea di demarcazione non è sempre facilmente tracciabile, dato che la storia della malavita e del vagabondaggio, in cui si riconoscono alcune categorie di emarginati sociali (delinquenti, giostrai e giocolieri, ciarlatani, truffatori, questuanti, mendicanti e imbonitori), si mescola con la storia dei lavoratori migranti, che passano di paese in paese e di casa in casa nell’esercizio dei loro mestieri, come i calderai, i seggiolai, gli arrotini, gli spazzacamini, i muratori, i ciabattini, eccetera. Oggi, il linguaggio giovanile è considerato una sorta di gergo, perché è usato per lo più nell’interazione verbale all’interno del gruppo e è caratterizzato da un insieme di lessemi espressivi, metaforici distribuiti per aree geografiche. Il termine si è esteso a indicare i lessici speciali, infatti si usa spesso parlare di gergo burocratico, gergo sportivo, gergo giornalistico. Si può parlare di gergo studentesco anche se esso non caratterizza un ceto sociale, perché il gruppo non è stabile ma in continuo ricambio e in esso c’è un’esigenza di differenziazione che nasce da un particolare stato d’animo: un’opposizione polemica dello studente nei confronti dei suoi superiori (Beccaria 1973).

Studiare l’etimologia delle espressioni gergali russe è un compito straordinariamente difficile, poiché la formazione di queste parole è di gran lunga più ampia di quelle della lingua letteraria e si creano sulla base di elementi di diversi sistemi lessicali della lingua russa, ad esempio:

1. арбуз (arbùz) nella lingua letteraria significa «cocomero», in gergo ha il significato di «testa».

2. рожак (ròžak) è un’espressione puramente popolare e significa «testa».

3. бобочка (bòbočka) viene dal dialetto di Kursk боба, e in gergo vuol dire «camicia».

4. литерка (lìterka) è un socioletto: viene dalla parola литер (lìter) «documento di viaggio» ma in gergo militare significa «luogotenente».

5. шопник (šòpnik) viene dall’inglese shop e vuol dire «ladro specializzato nei furti nei negozi».

6. гасиловка(gasìlovka) è un’espressione gergale per dire «rissa» e ha origine sì dal verbo гасить (gasìt’) che in russo vuol dire «reprimere, soffocare», ma il suo significato è influenzato dal gergo giovanile, per il quale гасить (gasìt’) significa «fare a pugni» (Gračev 2009).

Il gergo russo si è formato negli ambienti malavitosi alla fine del Settecento quando lo zar Pietro I iniziò a varare una serie di riforme che avrebbero reso la Russia uno Stato più stabile e più moderno: tra queste la creazione di un sistema regolare di polizia e un apparato carcerario meglio organizzato. Fino al 1930 venivano arrestati e rinchiusi in carcere o nelle colonie penali gruppi di rivoluzionari o delinquenti comuni, ma è dal 1934, in seguito all’assassinio di Sergej Mironovič Kirov, importante esponente del partito comunista sovietico strettamente legato a Stalin, che cominciano«le grandi purghe» (Большой террор) ovvero la persecuzione su vasta scala di criminali, oppositori politici o sospetti tali, collaboratori di fiducia di Stalin, membri del governo, dell’esercito e della polizia politica, con accuse che andavano dal tradimento, alla cospirazione controrivoluzionaria, al sabotaggio o a alleanze con nemici dell’Unione Sovietica all’estero (Rjazanovskij 2008). Se non condannati subito a morte, i detenuti erano costretti ai lavori forzati e vivevano in condizioni disumane, tanto che spesso morivano di stenti o suicidi. I gulag nati per essere luoghi di rieducazione e di reinserimento nella società, diventarono in realtà delle vere e proprie scuole per il crimine, in cui i detenuti si univano in bande, reclutavano propri adepti e, una volta fuori, organizzavano delle vere e proprie gang. In carcere ai vertici di questi gruppi vi erano i ворвзаконе (vor v zakòne), i cosiddetti «ladri nella legge»: figure importantissime e ancora oggi molto influenti nel mondo criminale della Russia, come vedremo più avanti. Questi «ladri nella legge» obbediscono a un codice non scritto (la legge) di completa sottomissione alle leggi della vita criminale, tra cui il rifiuto del lavoro e delle attività politiche, l’obbligo di non collaborare con le autorità, di non avere una famiglia, non avere commerci, né soldi dichiarati, né case e nemmeno un indirizzo di residenza (Gurov 1990).

È quindi nei gulag che si inizia a parlare in феня(fénija): il gergo criminale russo. L’espressione gergale Ботатьпофене (bòtat’ po féne) vuol proprio dire «parlare nel gergo dei ladri»; con la sua variante фeнибoтать (féni bòtat’). Nonostante in russo «parlare» si dica говорить (govorìt’), la parola ботать (bòtat’) probabilmente viene dalla parola russa болтать (bòltat’) che significa «chiacchierare, parlare molto», e è entrata nell’uso colloquiale in forma gergale dopo varie rilessicalizzazioni di espressioni dialettali. In origine, ботатьнаофене (bòtat’ na oféne), voleva dire «parlare la lingua degli ofeni», gli офени (oféni), erano venditori ambulanti, per lo più vagabondi che commerciavano piccole merci, la cui parlata ha esercitato una grandissima influenza sul gergo russo. Dagli anni 1910-1930 la parola феня (fénja), senza la vocale iniziale «o», venne usata per distinguere il vero e proprio gergo criminale russo. Esiste anche un gioco di parole фенявботах (fénija v bòtah), che significa «conoscere il gergo dei ladri senza appartenere al mondo criminale» (Gračev 2009).

2 LE INTERCETTAZIONI IN ITALIA

In Italia, l’intercettazione, prevista e disciplinata dall’articolo 266 (e seguenti) del codice di procedura penale, è un mezzo tramite il quale si ricerca la prova di un reato e è consentita in caso di delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o la reclusione per un periodo superiore a cinque anni: delitti contro la pubblica amministrazione, delitti riguardanti sostanze stupefacenti, armi o sostanze esplosive, delitti di contrabbando, reati di ingiuria, minaccia, usura, attività finanziaria abusiva, manipolazione del mercato e molestie telefoniche.

Il pubblico ministero, laddove vi siano gravi indizi di reato, richiede al giudice per le indagini preliminari (salvo ipotesi d’urgenza) l’autorizzazione a disporre di un’intercettazione ambientale o telefonica mediante decreto motivato in cui indica modalità e durata delle operazioni. Di norma la durata non può superare i quindici giorni, ma è rinnovabile per periodi di ulteriori quindici giorni fino a un massimo di ventiquattro mesi nei casi di reati più gravi. Le comunicazioni intercettate sono registrate e trascritte, anche sommariamente, in un verbale e entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni sono disposte in segreteria. I verbali e le registrazioni sono conservati integralmente presso il Pubblico Ministero che ha disposto l’intercettazione fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione. Dopo di ché possono essere distrutte (Repubblica 2013).

A causa delle leggi sulla segretezza e sulla privacy che tutelano queste operazioni e i loro interessati, non mi è stato possibile accedere personalmente ai verbali di procedimenti penali o alle intercettazioni telefoniche effettuate da vari organi di polizia italiana nella lotta contro la piccola criminalità russa presente sul territorio milanese. L’unica soluzione, meno ambiziosa, ma ugualmente interessante, è stata quella di ricevere oralmente gli stralci di intercettazioni di seguito analizzate. Il lavoro di ricerca è tutto documentabile.

2.1 Le forze di polizia

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

I: какие были мусора?

U: были чёрные и эти местные.

I: всех пошугали.

I: Quali spazzature c’erano?

U: C’erano i neri e i locali.

I: Si sono tutti spaventati.

I: Che forze dell’ordine c’erano?

U: C’erano i Carabinieri e la Polizia Locale.

I: Si sono spaventati tutti.

Il testo è uno stralcio di intercettazione dei Carabinieri di Milano e riguarda un tentativo di rapina ai danni di una banca nei pressi di Milano. Qui e negli estratti successivi, la lettera I indica l’Intercettato, la lettera U l’utente che risponde.

La parola мусoр (mùsor) in russo significa «spazzatura» e nel gergo moderno viene attribuita a un rappresentante delle forze dell’ordine, anche se, quando comparve nel lessico degli emarginati sociali all’inizio del Novecento, indicava, in particolare, un «agente della polizia investigativa». Nonostante esista in ebraico la parola mùser che significa «guida, direttiva», la maggior parte delle parole gergali che si riferiscono agli organi di polizia ha una connotazione totalmente negativa, pertanto il nesso figurativo alla spazzatura è il più plausibile. I criminali usano altri termini per nominare la polizia in genere: ad esempio, мент(ment), parola usata nei discorsi criminali agli inizi del Novecento e tuttora diffusissima nella lingua colloquiale, nel gergo criminale si riferisce a un qualsiasi rappresentante delle forze dell’ordine. In ungherese mente (in russo ментик, méntik) era il nome della giacca corta della divisa dell’esercito austro-ungarico e i detenuti dei gulag la utilizzavano per nominare i propri aguzzini.

Un’altra importante parola contenuta nei giuramenti e nelle canzoni criminali, è гат (gat). Ci sono varie ipotesi sull’origine di questo termine: la prima è che probabilmente proviene dalla parola russa каторга (katòrga) «ergastolo», quindi гат (gat) indica «una persona che ha l’autorità di punire un’altra negandole la libertà», la seconda è che può avere origine da кат (kat) che significa «carnefice» e a sua volta derivante dalla parola russa катать (katàt’) «frustare» e «picchiare». La terza ipotesi, avvalorata dal fatto che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento la lingua criminale russa è stata influenzata da tanti germanismi, vuole che la parola гат (gat), provenga dal tedesco Gat«cella di isolamento». Detto questo, in russo, il termine гат (gat) assume due sfumature: indica un giustiziere che ha la possibilità di mandare un detenuto in isolamento e, riferito ai criminali rei di aver compiuto atti riprovevoli o di tradimento nei confronti dei propri compagni, significa «infame». In russo standard la parolaгад(gad) vuol dire «canaglia, vigliacco».

Da questi termini, derivano anche i sostantivi che indicano le stazioni di polizia: мусарня(musàrnja) eгадиловка(gadìlovka), espressioni puramente gergali, e ментовка(mentòvka),entrata nella lingua comune, tutte sempre con una connotazione dispregiativa.

In altre intercettazioni, non prese in esame, i rappresentanti delle forze dell’ordine vengono chiamati con nomi di animali, proprio per sottolineare il disprezzo e lo spregio nei loro confronti: легавые (legavýe), «cani da ferma»,пёс (pës) «cagnaccio», барбoс(barbòs) «cane da guardia» spesso tenuto in cortile, собака(sobàka) «cane», сука (sùka) «cagna»,дятел (djàtel)«picchio», perché rimanda all’atto del picchiare, дракон (drakòn) «drago» e змей(zmej) «serpente» (Gračev 2009).

In Russia il corpo di polizia (Полиция) dipende dal Ministero degli affari interni (Министерство внутренних дел Российской Федерации)e è riconoscibile per il colore blu scuro della divisa, il berretto con visiera e la targhetta identificativa (questa uniforme è entrata in vigore dal 2012 al posto di quella di colore grigio scuro). In Italia, invece, esistono cinque forze di polizia nazionali, la Polizia di Stato, i Carabinieri, la Guardia di Finanza, la Polizia Penitenziaria e il Corpo Forestale dello Stato, le quali dipendono da ministeri diversi. Chi si occupa di indagini è la Procura con la collaborazione, in particolare, di tre di queste: La Polizia di Stato, dipendente dal Ministero dell’Interno del Dipartimento Pubblica Sicurezza, che vigila sul mantenimento e la tutela dell’ordine pubblico; l’Arma dei Carabinieri, forza militare di polizia in servizio permanente di pubblica sicurezza con collocazione autonoma nell’ambito del Ministero della Difesa; la Guardia di Finanza, forza di polizia a ordinamento militare, dipendente direttamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Questi tre corpi di polizia al di là delle loro competenze sono riconoscibili per le uniformi diverse che indossano, tanto che tra i criminali russi in Italia, è uso comune identificarli proprio per il colore della loro divisa. I poliziotti sono chiamati «i blu», синие (sìnie), i carabinieri «i neri»чёрныеërnye), i finanzieri «i grigi»серые(sérye). I poliziotti della polizia locale, invece, un servizio di polizia fornito dagli enti locali statali, con competenza riferita al territorio dell’ente dal quale dipende, sono chiamati местные (méstnye)«i locali».

2.2 Contrabbando

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

U: Васия, у тебя дым остался?

I: да чтото есть а что тебе надо?

U: оставь мне шесть Марусьек красных и четырые Маруськи белых.

U: Vasija, ti è rimasto del fumo?

I: Si, c’è qualcosa. Cosa ti serve?

U: Lasciami sei marus’ka rosse e quattro bianche.

U: Vasija, ti è rimasto del tabacco?

I: Si, c’è qualcosa. Cosa ti serve?

U: Sei Marlboro rosse e quattro Marlboro light.

 

Questo estratto di intercettazione telefonica è stato estrapolato da una conversazione durante un’indagine della Guardia di Finanza di Milano sul contrabbando di sigarette. Il venerdì mattina, al parcheggio della fermata della metropolitana Cascina Gobba a Milano, c’è un mercato, al cui interno sono stati scoperti traffici illeciti coperti da attività legali. Furgoncini provenienti dall’est europeo trasportano turisti in Italia, pressoché ignari che lo stesso autista nasconda partite di sigarette contraffatte che poi rivenderà in Italia. Nonostante alla fine del 2012 (Il Giorno, 17/12/2012) siano stati sequestrati alcuni lotti di materiale contraffatto e siano stati arrestati i responsabili, sembra che questa attività non sia ancora cessata.

Il contrabbando dei tabacchi consiste nell’introduzione clandestina di sigarette nel territorio italiano in violazione delle leggi doganali. L’articolo 291 bis del Decreto del Presidente della Repubblica del 23 Gennaio 1973 numero 43 punisce chiunque introduce, vende, trasporta, acquista o detiene nel territorio italiano un quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando superiore a dieci chilogrammi convenzionali. La pena prevista è sia la multa di Euro 5,00 per ogni grammo di prodotto contrabbandato, sia la reclusione da due a cinque anni. La pena è aumentata se il contrabbando è effettuato con mezzi di trasporto appartenenti a terze persone estranee al reato. E’ previsto, inoltre, che la multa passi a Euro 25,00 per ogni grammo di prodotto e la reclusione da tre a sette anni, se il reato è commesso utilizzando mezzi di trasporto fraudolentemente alterati per occultare le sigarette, se il reato è commesso facendo uso di armi o utilizzando società di persone o di capitali. L’aggravante viene contestata quando, ad esempio, il tir utilizzato per il trasporto presenti un doppio fondo ove occultare il tabacco lavorato estero o altri artifizi idonei ad eludere i controlli doganali. La legge è ancora più severa se il contrabbando è gestito da una associazione costiuita da tre o più persone; in tal caso, l’articolo 291 quater, prevede la reclusione da tre ad otto anni per coloro che hanno costituito l’associazione per delinquere e, per i partecipanti all’associazione, la pena della reclusione da uno a sei anni. Lo Stato, quindi, punisce pesantemente il traffico di sigarette sia in termini di reclusione, sia di multa e a ciò si deve aggiungere che è sempre ordinata la confisca dei mezzi di trasporto modificati ad hoc ed utilizzati nel contrabbando.

In gergo criminale il contrabbandiere (контрабандист, kontrabandìst, in russo standard) viene chiamato Авиатор(aviàtor) che in russo significa «pilota». Дым (dym) in russo significa «fumo» e è un termine generico di riferimento al tabacco, in russo табак (tabàk).Маруська(Marùs’ka), invece, è una variante familiare del nome proprio Мария (Marija) «Maria», leggermente dispregiativo, e in russo è anche un nome usato come variabile metasintattica, cioè indica un elemento generico all’interno di una determinata categoria (per esempio: x, y, tizio, eccetera) ma, in gergo criminale, è un termine più specifico, perché si riferisce alle vere e proprie sigarette, che nella lingua standard si dicono сигареты(sigaréty).

Il colore è un elemento fondamentale per dare forma e nome a soggetti che non devono essere nominati. Il rosso e il bianco, in questo caso, rievocano i colori dei pacchetti delle sigarette Marlboro. Le rosse sono le sigarette contenute nel pacchetto rosso, mentre le bianche sono le sigarette contenute nel pacchetto bianco e sono light. Nel gergo criminale russo i colori evocano anche altri concetti, come ad esempio чёрныйворон (čërnyj vòron) letteralmente significa «corvo nero»: durante le deportazioni staliniane degli anni Venti, i ricercati venivano prelevati dalle loro case di notte, al buio (nero), e portati in prigione sui camion (i corvi, che nel leggendario comune sono animali che portano disgrazie) (Gračev 2009).

2.3 Ricettazione

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

U: а где они оставили вчерашнюю тачку?

I: там, за колоньо. она же палёная.

U: у тебя ксива есть, вчера братанызапалили свою тачкую. их чут не приняли чёрные. успели слинять.

U: Dove hanno messo lacarriola di ieri?

I: Lì, a Cologno. Ma èbruciata.

U: Tu hai i documenti, ieri i fratellihanno bruciatola carriola. E per poco non li hanno presi i neri. Han fatto in tempo a scolorirsi.

U: Dove hanno lasciato l’auto ieri?

I: A Cologno. Ma è stataabbandonata.

U: Tu hai idocumenti, ieri i socihanno abbandonato l’auto perché per poco non venivano presi dai Carabinieri. Han fatto in tempo a filarsela.

Uno dei reati più comuni tra i criminali russi in Italia è il reato di ricettazione. La ricettazione, prevista e punita dall’articolo 648 del Codice penale italiano, si configura quando chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve o occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, al quale egli non abbia partecipato, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere e occultare. Le bande russe presenti a Milano oltre a rubare auto per smontarle e rivenderne i pezzi, le sottraggono per commettere furti o rapine. In questa intercettazione della Guardia di Finanza di Milano, l’indagine era incentrata su una banda che aveva rubato un’automobile per compiere una rapina in una banca nei pressi di Cologno Monzese a Milano. La parola тачка (tàčka) nella lingua russa significa «carriola». In italiano ha una connotazione negativa, in russo invece è considerata uno strumento pratico e utile perché aveva aiutato l’uomo a portare pesi eccessivi e a alleggerirgli il carico di lavoro, perciò nel gergo criminale per «carriola» s’intende un’automobile idonea per gli scopi prefissati. La parola ксива (ksìva), puramente gergale, è apparsa alla fine dell’Ottocento e inizi Novecento, col significato di «documenti, passaporto». In ebraico kosav significa «approvato» e ktivah «scrittura». Ai tempi dei gulag la ксива (ksìva) era un messaggio scritto molto personale e importante che veniva passato illegalmente da cella a cella, da lager a lager, dal carcere alla libertà e viceversa. Палёнаятачка (palënaja tačka), ovvero «auto bruciata», dal verbo запалить (zapalìt’) «bruciare», non indica un’automobile che è stata letteralmente bruciata, ma che è stata rubata e successivamente abbandonata, perché come in questo caso, con l’arrivo dei Carabinieri, non è stato più possibile portare a termine la rapina. Interessante notare come anche in italiano nell’espressione «un’occasione bruciata», il verbo «bruciare» abbia un valore metaforico e indica «un’occasione sfuggita». L’auto senza libretto si traduce con машина без ксивы (mašìna bez ksìvy), invece левая ксива (lévaja ksìva), letteralmente si traduce come «documento sinistro», ma va inteso come «documento falso», questo perché, nonostante in russo e in italiano i due termini per dire «sinistra» siano etimologicamente diversi, sono entrambi di connotazione negativa. Perché? È stato molto stimolante cercare la risposta a questa domanda. L’aggettivo левый (lévyj) viene dall’antico slavo ecclesiasticoлѣвъ (lěvŭ) e, a sua volta,dal latino laevus el’aggettivo italiano«sinistro»sempre dal latino sinister.In latino questi aggettivi erano sinonimi e presentavano sempre e solo valenze semantiche negative sia nel senso primordiale concreto sia metaforico (ovvero «avverso, perverso, funesto, maligno, cattivo» eccetera). Tuttavia nel linguaggio religioso e esclusivamente con riferimento all’interpretazione dei segni augurali, connessi appunto alle alogicità delle credenze mistiche e superstiziose, sia laevus sia sinister potevano significare sia «beneaugurante, propizio» sia «maleaugurante, infausto», cioè potevano avere valenza semantica antitetica a seconda della credenza religiosa che variava da popolo a popolo e da un’epoca all’altra della storia di un medesimo popolo (Romaniello 2004). Infatti, per i Romani, un evento laevus era di buon auspicio perché “proveniente da oriente”, invece, per i Greci e altri popoli come i Russi, lo stesso evento era considerato infausto. Al contrario, un evento sinister, era maleaugurante per i Romani, ma propizio per i Greci o i Russi. In italiano della parola laevus c’è traccia solo nei linguaggi scientifici (chimica, matematica e medicina)ad esempio in «levogiro»: un composto otticamente attivo capace di far ruotare verso sinistra il piano di una luce polarizzata (Treccani). In russo invece non c’è traccia di parole che abbiano la radice sinister. Interessante quindi è stato notare che nelle due lingue è sopravvissuto il termine che, secondo i dettami della religione, aveva una connotazione negativa rimasta tale fino a oggi (Romaniello 2004).

La mano sinistra, ha anche un’importanza socio-culturale molto rilevante: nella cultura cristiana, era considerata la “mano del diavolo”, il quale è sempre raffigurato mancino e, non a caso, il segno della croce si fa con la mano destra. Negli anni Venti il mancinismo fu associato alla demenza e negli anni Quaranta fu messo in relazione con la dislessia e considerato addirittura una devianza, tanto che i bambini erano costretti a scrivere con la mano destra, fino agli anni Settanta in cui si è smesso di imporre l’uso della mano destra (Mendoza 1995).

Ecco che nel gergo criminale russo i documenti falsi riprendono questo concetto storico-culturale, e sono definiti «documenti sinistri», ovvero «falsi».

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

I: а вчера они были на движухе?

U: да. но был стрëм.

I: Ieri erano alla festa?

U: Sì. Ma era pericoloso.

I: Ieri han fatto il colpo?

U: Sì, ma è stato pericoloso.

Particolarmente interessante è stato analizzare le varie espressioni che avvertono un imminente pericolo. Атанда (atàndà) è un’espressione puramente gergale apparsa all’inizio del Novecento, e significa «basta, silenzio non urlate!». È un prestito dal francese Attendant che significa «in attesa». Le varianti di questa parola sono атанде! (atandé), Атандэ! (atandè) «aspettate!» e vogliono dire «attenzione! Prudenza!». Атанда (atàndà) era molto in uso presso i truffatori dei giochi delle carte, e solo dal 1940 è stata introdotta nel gergo dei ladri col significato di «pericolo». Espressioni come стоятьнаатанде (stojàt’ na atandé) «essere prudenti durante il compimento di un reato, avvertendo i complici in caso di pericolo» o метатьатанду (metàt’ atàndu) «rinnegare le proprie parole o le proprie promesse» sono molto usate dai criminali del gergo moderno. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta questo termine si è esteso nel gergo giovanile: атанда!Родителиприехали (atàndà, rodìteli prièhali) «attenti sono arrivati i genitori».

Dal termine атанда (atàndà) deriva la parola атас (atàs), anch’essa entrata successivamente nel gergo giovanile. Alcune espressioni con questo termine sono: стоятьнаатасе (stojàt’ na atàse) «trovarsi in pericolo nel momento del reato e segnalare al complice l’imminente minaccia di pericolo»,атасник (atàsnik) «persona in pericolo durante un reato» e атасказачий (atàs kazàčij) col significato di «rapina» anche se letteralmente significa «pericolo cosacco». I cosacchi furono impiegati durante la rivoluzione russa del 1905 con funzioni di polizia nei confronti dei rivoltosi, spesso per sedare tumulti, affrontare e disperdere cortei di rivoluzionari perciò, a causa della loro fama di feroci combattenti, era sufficiente la diffusione della voce che sarebbero intervenuti i cosacchi, perché cortei di dimostranti si sciogliessero spontaneamente.

Il termine вассер! (vàsser), espressione puramente gergale, è un avvertimento al ladro «attenzione! Pericolo! Guarda là!». Secondo il dizionario di I. P. Vorivod della città kazaka Alma-Ata la parola вассор (vàssor) è apparsa all’incirca nel 1937 col significato di «pericolo, attenzione». Dopo poco tempo questa parola acquisì un altro significato, quello di «un posto vuoto» o di «un affare irrecuperabile». Questo concetto riflette più tardi l’espressione голыйвассор (gòlyj vàssor), letteralmente «pericolo nudo», in gergo«insuccesso». Successivamente si è diffusa l’espressione colloquiale ливердавят (lìver davjàt), ovvero «ti vedono, si sono accorti di te, evidente pericolo» che negli anni Settanta ha cominciato a coincidere con la parola gergale стрём (strëm), usata per lo più nell’espressione быть/стоятьнастрёме (byt’/stojàt’na strëme), ovvero «essere di guardia» nel momento in cui viene commesso un reato (in gergo italiano «fare il palo»), anche se la parola sola viene usata come avvertimento di un pericolo. Il verbo стремить (stremìt’) «tenere d’occhio», viene dal verbo tedesco strömen«scorrere» dell’acqua. Cos’hanno in comune l’acqua e un pericolo? Nel gergo di Odessa вассер! (vàsser), dallo yidish Vàser«acqua!», era un avvertimento specifico, per chi si trovava in mare perché segnalava una perdita d’acqua nelle navi. Tra i ladri russi вода! (vodà) «acqua!» divenne un segnale di emergenza generico. Nel gergo criminale moderno vengono utilizzate una serie di parole con la parola вассер: вася (vàsja), segnale di pericolo e «poliziotto», васёк (vasëk) «giovane cadetto ladro», голыйвассер (gòlyj vàsser) «inutile, irrecuperabile, vino secco, droga diluita». Il termine зекс (zeks)«allarme» ha origine dall’espressione dialettale di Odessa стоятьназексе (stojàt’ na zékse) «stare all’occhio», infatti зекать (zekàt’) nella lingua criminale significa «guardare», dal tedesco sehen «vedere» e dal russo popolare зенки (zénki) «occhi». Ma зекс(zeks) potrebbe provenire anche dal tedesco Sechs «sei»: le guardie carcerarie avevano sei distintivi cuciti sulle loro divise e quando i prigionieri dei gulag avvistavano una guardia in avvicinamento urlavano il numero «sei» per allertare di un imminente pericolo (Gračev 2009).

Движуха (dvižùha) è una parola puramente gergale. Deriva dalla parolaдвижение (dviženie)che significa «movimento» e assume nel gergo il significato di «baldoria, trambusto» e, proprio a seguito di questa immagine, nel gergo giovanile vuol dire «festa». Nel gergo criminale, invece, il vocabolo viene usato per definire «un colpo». Una particolarità interessante è che, in italiano, «fare festa a qualcuno» significa «uccidere o danneggiare una persona»: probabilmente questa espressione deriva dalle antiche esecuzioni capitali che venivano rese pubblicamente e richiamavano tutta la popolazione della zona, come se fosse una festa (Treccani). Non è insolito che un colpo possa essere compiuto lasciando dietro di sé un crimine come un omicidio. Мокрое дело(mòkroe délo) «un affare bagnato», è un omicidio, (l’aggettivo «bagnato» richiama l’immagine del sangue), mentre, сухое дело(suhòe délo) «un affare asciutto», significa che il colpo è avvenuto senza, però, spargimento di sangue.

2.4 Le parolacce: il mat russo

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

I: ятутнадбывалтачкупиздатую. Надодвижуху сделать.

I: Ho trovato unacarriolabellissima. Bisogna fare una festa.

I: ho trovato un’automobilefighissima. Bisogna organizzare un colpo.

Questa intercettazione è stata estrapolata dai verbali della Polizia di Stato di Milano e mostra come espressioni volgari e parolacce non manchino nel lessico dei criminali russi. Ma una varietà particolare del turpiloquio russo merita una piccola spiegazione perché si tratta di una cornice culturale prettamente russa e estranea a altre culture: il cosiddetto мат(mat).

Il мат(mat)era il linguaggio sacro usato nei rituali pagani, nuziali, agrari legati alla fertilità della Madre-Terra (Мать Сыра Земля). I principi della fecondità erano associati al culto agrario, riconducibile a una divinità femminile, nella doppia funzione di partoriente e di nutrice, e a una maschile, «fertilizzatrice». La Grande Dea, madre di tutti gli esseri viventi, vegetali, animali e uomini, s’identificava con la Terra, dalla quale tutto originava e alla quale tutto era ricondotto, in un ciclo eterno. Con l’avvento del cristianesimo il мат(mat), che probabilmente deriva da мать (mat’)«madre», venne bandito perché manifestazione dei culti pagani e il suo linguaggio, legato alla sfera della sessualità, era considerato blasfemo (Ledeneva 1998).

La parola матoggi ha diversi significati: scacco matto, materassino da palestra, stuoia, parolaccia e bestemmia. L. I. Skvorzov, noto linguista russo, afferma che letteralmente la parola мат (mat)significa «grido» o «urlo» e è un’onomatopea che riporta ai suoni prodotti involontariamente da varie specie animali nel periodo del calore e a mugolii e ruggiti propri della fase di accoppiamento (Skvorzov 2003). In Russia parlare in pubblico dell’attività sessuale o degli organi genitali è sempre stato un tabù oltre che un reato perseguibile per legge, pertanto, quando vengono trattati questi argomenti, si tende a usare eufemismi o parole prestate dal latino. Il мат (mat) è un codice versatile nel quale l’arcaico si mescola con il moderno: ha la capacità di sfuggire il suo senso erotico descrivendo i sentimenti umani universali, esprimendo ammirazione e disprezzo, estasi e catastrofi. A seconda dell’intonazione, la frase ёб твою мать (ëb tvojù mat’), letteralmente «fotti tua madre», può voler dire sia «non ci credo!» sia «vai a farti fottere!». La frase полный пиздец(pòlnyj pizdéc) «fine assoluta», può voler dire «mandare tutto a puttane» oppure «sono fottuto». Il мат (mat) è formato esclusivamente da lessemi provenienti dalle radici еб– dal verbo ебать (ebàt’)«scopare», пизд- dal sostantivo пизда (pizdà)«figa», e хуй- daхуй (huj)«cazzo»e, sfruttando la flessibilità della lingua russa standard fatta di suffissi e prefissi, giochi di parole e doppisensi, dal мат (mat) si generano immagini antropomorfe: ad esempio, il significato della parola russa «cadere»упасть(upàst’) può essere espressa in tre forme del мат (mat): ёбнуться(ëbnut’sja, da еб), пиздануться(pizdanùt’sja, da pizdà), e хуякнуться(hujaknùt’sja, da huj): è l’orecchio russo che capta le sottigliezze dei tre diversi modi di cadere. Per dire «far niente» si usa la pittoresca espressione хуем груши околачивать(hùem grùši okolàčivat’) «far staccare le pere dall’albero a colpi di cazzo» che in italiano, per mantenere la parola «cazzo»tradurremmo con «cazzeggiare», perdendo, però, completamente la sfumatura spiritosa esistente nell’espressione russa (Erofejev 2003).

In un paese che ha sofferto la mancanza di libertà di parola, il мат (mat) svolge il ruolo di lingua della dissidenza, della protesta contro l’ideologia politica e religiosa e esprime aggressione. Chi ha governato la Russia ha sempre avuto interesse nel controllare la lingua: dagli zar a Lenin che hanno spinto a semplificarne la pronuncia, a Stalin con il suo saggio sulla linguistica da una prospettiva marxista(Stalin, 1950), a Hruščёv che voleva che si scrivessero le parole esattamente come si pronunciavano. Ma è dopo il crollo dell’Unione Sovietica che si rese necessario creare un nuovo vocabolario per decifrare la realtà criminal-capitalistica e l’esistenza di tantissimi neologismi provenienti dal gergo delle prigioni e dal mondo della droga. Quelle parole trasformarono il russo in una lingua ironica, coercitiva e pragmatica. Nello stesso momento il turpiloquio apparve anche nella letteratura. Solženicyn nel suo romanzo Una giornata di Ivan Denisovič rappresenta la parlata dei gulag facendo uso del мат (mat). Ma anche Puškin, Lermontov, Turgenev, Čechov hanno scritto in мат (mat) poesie o lettere personali mai pubblicate perché censurate dall’impero zarista prima e dal regime sovietico, più tardi. Oggi la Russia si divide sul futuro del мат (mat): i proibizionisti (le vecchie generazioni, insegnanti e intellettuali) che lo ritengono pornografico e offensivo, e i permissivisti, contrari a qualsiasi forma di proibizionismo, eppure per i vagabondi, i criminali, i contadini, i militari, gli alcolisti e i tossicodipendenti il мат (mat) non è un oggetto d’analisi, ma il loro ambiente linguistico naturale (Erofejev 2003).

2.5 Gerarchia criminale

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

I: тыизсебяфраеранестрой. ятебятримесяцакрышевал.

U: базаранет. ясвоёотработал.

I: Non fare il libero. Ti ho protetto tre mesi.

U: Non c’è discussione. Ho finito di lavorare.

I: Non fare lostronzo. Ti ho protetto per tre mesi.

U: Basta discutere. Mi sono sdebitato lavorando per te.

 

Intercettazione telefonica della Guardia di Finanza di Milano per sospetta estorsione: reato commesso da chi, costringendo taluno con violenza o minaccia a fare o omettere qualcosa, procura a sé o a altri un ingiusto profitto con danno altrui e è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 516 a euro 2.065 (articolo 629 codice penale).

È difficile dare una spiegazione chiara e definita della parolaфраер(fràer) perché il suo significato ha subìto nei secoli enormi cambiamenti e ogni cultura venuta in contatto con questo termine ne ha «personalizzato» il significato. Innanzitutto è una parola che viene dal tedesco: il Freier nella lingua popolare germanica è «il corteggiatore», e in gergo «la vittima di un reato» o«un cliente dei bordelli», mentre l‘aggettivo frei significa «libero».

Il termine фраер(fràer) in russo è un’espressione puramente gergale introdotta direttamente nel gergo criminale negli anni Venti con diversi significati: una persona oggetto di reato, una persona onesta, un uomo alla moda, un delinquente non professionista, uno stupido, ma anche il braccio destro del ворвзаконе (vor v zakòne). Usato come aggettivo significa «ricco» (probabilmente per un’associazione di pensiero: se una persona è libera, può vestire alla moda e pertanto è ricca) (Mokienko 2009).

Oggi, nella criminalità russa, фраер(fràer) ha un’accezione assolutamente negativa, perché chi è libero è colui che non fa parte del mondo criminale, non rispetta la legge dei ladri, e che, addirittura, può collaborare con la polizia. In italiano, a seconda del contesto, può avere diversi traducenti: nel caso della suddetta intercettazione, la frase intera può essere tradotta come non fare «lo stronzo»,«l’infame» o «l’ingrato».

Sempre nel testo sopra riportato, il verbo крышевать (kryševàt‘) significa «proteggere». Nella criminalità russa il крыша (krýša)«il protettore» è una figura molto importante e non ha nulla a che vedere col pappone di prostitute. Comparve nel maggio 1987 quando il governo sovietico emanò una serie di leggi che regolamentavano le attività individuali e collettive per una ristrutturazione dell’economia nazionale. A Mosca il primo segnale di quella rivoluzione fu il mercato Ryžskij in cui durante i fine settimana i rivenditori indipendenti delle numerose piccole aziende appena nate smerciavano di tutto, dai jeans agli adesivi. I «protettori»fecero la loro comparsa costringendo i commercianti a pagare il pizzo, dando così inizio al racket. La protezione riservata ai commercianti si limitava a evitare che altri крыша (krýša) estorcessero denaro ai propri protetti, poiché di fatto, i rapporti di protezione erano fondati sulla violenza e sulle minacce.Negli anni Novanta entrò in vigore un’altra legge sul settore bancario e in poco tempo nacquero una miriade di banche (tremila nella sola Mosca), le quali successivamente furono obbligate a essere «protette» dai крыша (krýša) e, se i dirigenti rifiutavano qualsiasi tipo di compromesso, soprattutto gestire i soldi sporchi della malavita, venivano uccisi. Insomma, tanto si rafforzava il mondo degli affari, tanto si evolvevano le organizzazioni criminali che diventarono dei veri e propri eserciti addestrati e organizzati, difesi da avvocati e gestiti da esperti della finanza. Il vecchio regime del ворвзаконе (vor v zakòne) si era sgretolato lasciando il posto a una nuova generazione di крыша (krýša), o padrini,caratterizzata dallo stile: ville, residenze lussuose e automobili costose. Negli anni Novanta i padrini controllavano oltre 40.000 società. Negli ultimi dieci anni si sono trasformati in rispettabili uomini d’affari, alcuni di loro sono nella ristretta cerchia d’élite politica e economica e sono diventati veri e propri partner commerciali alla pari. Gestiscono, tutt’oggi, attività legali come le esportazioni di gas e petrolio e, in Europa, vendono materiale e tecnologia nucleare (Gentelev 2011).

Il базар(bazàr) è il «mercato». Quest’espressione gergale, entrata nella lingua colloquiale col significato di «chiasso, baccano», nel gergo vero e proprio significa «conversazione». In italiano è difficile tradurla se si volesse mantenere l’immagine del mercato inteso come luogo di contrattazione di prezzi e di ritrovo, pertanto, nell’esempio della suddetta intercettazione si può tradurre come «non c’è discussione», perché I ha ripagato un debito lavorando per U e ora non vuole più avere niente a che fare col suo protettore.

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

U:послущайбратан, можемвсёсработатьчистонатомжеместе.

I:нетбратан. тамоченьстрёмно.

U: дапацанызачасеёразберут.

U: Ascolta fratello, possiamo lavorare tutti in modo pulito in quel posto?

I: No fratello, è molto pericoloso.

U: Ma i ragazzi, la smonteranno in un’ora.

U: Ascolta fratello, è sicuro quel posto?

I: No. È molto pericoloso.

U: Ma i ragazzi, la smonteranno in un’ora.

Dai materiali delle indagini dei Carabinieri di Cassano d’Adda (Milano). In questa intercettazione gli utenti si stanno mettendo d’accordo sull’iter da seguire per il furto di un’auto. I delinquenti rubano le auto o per servirsene per compiere altri reati, o per rivenderne i pezzi. Nel testo in esame, l’auto rubata verrà smontata e impacchettata in un’ora e spedita in Ucraina, Moldavia o nei paesi dell’est. Ai fini delle indagini è utile conoscere quale posizione occupa ciascun membro all’interno della propria banda, perché a seconda del ruolo rivestito, la legge modula diversamente l’entità della pena comminata (articolo 416 bis codice penale , Libro II, Titolo V).

Negli anni Trenta i detenuti delle colonie penali formarono bande, all’interno delle quali esistevano delle regole da rispettare e una struttura gerarchica definita, al cui vertice c’era il ворвзаконе (vor v zakòne) «ladro nella legge», ossia un ladro che obbedisce a un codice i cui membri sono tenuti a rispettare. Secondo la tradizione russa il ladro infrangeva uno dei principi fondamentali su cui si basava l’apparato statale sovietico: l’abolizione della proprietà privata. Il codice d’onore non scritto (la legge dei ladri) prevedeva l’opposizione allo Stato, l’estraneità dalle leggi sovietiche, il rifiuto del lavoro e del matrimonio (Martinetti 1995). I ворвзаконе (vor v zakòne) erano una sorta di confraternita criminale, una casta quasi monastica, cavalleresca che riusciva a dirigere le proprie attività criminali dalle prigioni e che sopravvisse per tutto il periodo staliniano. Si distinguevano nelle prigioni anche per il fatto di presentare uno stile del tutto particolare: erano uomini legati a un mondo ricco di simboli, ladri coperti interamente da tatuaggi e accomunati da un codice linguistico, la феня(fénja). Si diventava ladri nella legge solo dopo una lunga esperienza di carcere e, dopo una sorta di assemblea generale, сходка(shòdka), che si svolgeva nelle stesse prigioni in presenza di altri ladri, si procedeva all’incoronazione del nuovo membro (Varese 2005). L’iniziato veniva presentato da due ladri nella legge che avevano il compito di fornire un resoconto circa la vita criminale del nuovo adepto, ricordando i suoi meriti all’interno del mondo carcerario, dimostrando che è stato fedele alla tradizione e sarebbe stato in grado di consolidare il gruppo dei ladri. Il motivo della discussione sulla candidatura del novizio era quello di scoprire se avesse avuto rapporti con la giustizia. Alla fine della discussione si univano le mani e si procedeva a pronunciare il giuramento, dando al novizio un soprannome. L’incoronazione rappresentava l’ammissione al mondo dei ladri e la notizia a essa relativa veniva diffusa in tutto il paese tramite la posta dei ladri (Martinetti 1995).

Oggi, dopo il crollo dell’Unione sovietica, i discendenti dei ворвзаконе (vor v zakòne) sono i пахан(pahàn) «i padrini». Esistono due teorie sull’origine di questo termine: la prima è che venga dall’espressione colloquiale папахен(papahèn) «paparino», la seconda sostiene che venga dalla parola пахарь (pàhar’) «aratore», un contadino che lavora, un capofamiglia. Tra gli anni Sessanta e Settanta nel gergo criminale gli viene attribuito il significato di «padrino» (Mokienko 2009). Oggi i padrini sono uomini d’affari, entrati nella vita politica ed economica della Russia, gestiscono attività legali come le esportazioni di gas e di petrolio e, in Europa, vendono tecnologia nucleare (Gentelev 2011).

Il braccio destro del padrino è il блатной(blatnòj), colui che ha legami stretti col suo superiore:in origine era una persona che aveva le conoscenze giuste per poter accedere a certi status speciali percorrendo strade più semplici di quelle autorizzate.Блат (blat) in russo è, infatti, «la raccomandazione», proviene dal tedesco Blatt, che significa «foglio di carta» (Ledeneva 1998). Nella Russia imperiale sì iniziò a parlare di blat, favori e raccomandazioni, già nel 1762, quando la zarina Ekaterina la Grande (di origini tedesche) estese la servitù della gleba su larga scala, concedendo terre e contadini ai capi del colpo di stato che l’aiutarono a salire al trono e a tutti i suoi favoriti (Rjazanovskij 2008).

I приблатнённые(priblatnënnye) sono i collaboratori dei блатные(blatnýe). In russo il suffisso при(pri-) indica avvicinamento.

Il шестёрка(šectërka) è, invece,un servo di basso rango destinato a servire i capi della banda perché è considerato un debole. La radice шесть(šest’) «sei» è legata al simbolo del numero «sei»: il distintivo cucito sulla manica dei poliziotti che richiamava un pericolo. Nel gergo russo esiste il verboшестерить (šesterìt’) che significa «fare il ruffiano, il lecchino».

Братан (bratàn) è un accrescitivo della parola Брат (brat), dato dal suffisso -an,e significa«fratello». Anche in italiano i membri di uno stesso gruppo si chiamano «fratelli» tra di loro, ma forse è il termine inglese bro che rende meglio l’idea del legame che unisce i membri delle associazioni criminose, che va al di là dei rapporti di parentela.

пацан(pacàn) è un termine di uso colloquiale, che molto probabilmente deriva dalla parola russa парень(pàren’)«ragazzo».Tra gli anni Trenta e Cinquanta ha subìto una trasformazione entrando a far parte del gergo criminale, e venne usata per indicare un «giovane ladro», mentre negli anni Sessanta veniva chiamato così un giovane candidato a essere un ladro nella legge. Dagli anni Settanta possiede ben quattro significati: 1. Rappresentante privilegiato dei gruppi nella BTK (Воспитательно-трудовая колония), la colonia penale di educazione, in cui venivano reclusi giovani tra i 14 e i 20 anni. 2. Giovane detenuto che infrangeva sistematicamente il regime nel ИТУ (исправительно-трудовая колония), la colonia penale di rieducazione in cui venivano reclusi gli adulti. 3) lesbica attiva 4) il fante nel gioco delle carte. Spesso questo termine viene affiancato da altre parole: пацанзелёный, (pacàn zelënyj) letteralmente «un ragazzo verde» ma col significato di «un ladro adolescente», пацанзолотой (pacàn zolotòj), letteralmente «un ragazzo d’oro», ma col significato di ladro minorenne,пацанправилный (pacàn pràvilnyj) letteralmente «un ragazzo corretto», col significato di un giovane criminale professionale e пацан приморённый (pacàn primorënnyj) letteralmente «ragazzo tormentato», ovvero un giovane allievo della ИТУ, che trasgredisce in modo lieve le regole del codice e viene obbligato a eseguire le pulizie nella cella (Mokienko 2009).

Vi sono, infine, una serie di delinquenti comuni, ex criminali, e individui in genere che, in base alle loro caratteristiche fisiche, sociali o comportamentali, si trovano nei gradini più bassi della scala gerarchica criminale. Tra questi vi sono i мужик (mužik) ovvero «i mugiki», i contadini della steppa, il cui termine assume un senso generico e dispregiativo di «contadino povero, rozzo e zotico», ci sono iчушка (čùška) «porcellini», чухон(čuhòn)«i menefreghisti»,обитенные(obitènnye) «gli offesi», петух(petùh) «i galli» o «i maneschi», козли (kòzli) «i caproni» eccetera (Mokienko 2009).

2.6 Il ruolo delle donne

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

I: привет братан! Где Димон?

U: привет братан! Димон свалил в Болонью, его маруха там живёт. он там с нашими пацанами сдыбался.

I: Ciao fratello! Dov’è Dimitrij?

U: Ciao fratello! Dimitrij si è buttato a Bologna. La sua donna vive lì. Egli è entrato in contatto con i nostri ragazzi.

I: Ciao fratello! Dov’è Dimitri?

U: Ciao fratello! Dimitrij è scappato a Bologna. La sua donna vive lì. Egli è in contatto con i nostri ragazzi.

 

Il ruolo che le donne rivestono nelle principali trame criminose è ben diverso da quello degli uomini. Ci sono delitti tipicamente maschili che per le loro modalità particolarmente articolate escludono a priori l’impiego delle donne. Il contrabbando di sigarette, ad esempio, prevede che i viaggi illeciti siano realizzati a bordo di potenti autoarticolati o furgoni, in cui il tabacco viene occultato dietro pesanti e sofisticati carichi di copertura e che in caso di inseguimenti si possano verificare episodi di speronamenti ai danni delle Forze dell’ordine e violente sparatorie.

Le donne sono attive in altri reati, in fasi differenti e a livelli molteplici, da quelli più marginali a quelli incredibilmente rilevanti. Nel primo caso, all’interno dei grandi cartelli dediti al traffico degli stupefacenti, in cui l’associazione a delinquere è multi-livellata, la presenza femminile è limitata alla gestione, anche occasionale, di depositi di transito della merce illecita (abitazioni comuni o capannoni). Invece, all’interno della tratta di essere umani, occupano un ruolo addirittura più secondario, quello di vittime costrette a prostituirsi in strada, in locali notturni o in casa. In Italia la prostituzione è regolatadallalegge 75 del 20 febbraio del 1958, meglio conosciuta come Legge Merlin, che punisce con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 258 a euro 10.329 […] chiunque […] abbia la proprietà o l’esercizio, sotto qualsiasi denominazione, di una casa di prostituzione, o comunque la controlli, […] partecipi alla proprietà, esercizio, direzione o amministrazione di essa e […] chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui.

Nel gergo criminale russo le prostitute vengono chiamate in tanti modi, più o meno offensivi: амара (amàra) dal francese amour «amore», шлюха(šljùha) «puttana» è un’espressione popolare ironico-dipregiativa che deriva dal verbo шляться(šljàt’cja) «bighellonare» e indica una donna dissoluta e di facili costumi. È anche un gioco di parole tra l’antico termine шлюхота(šljùhota)«fango, sudiciume», eшляхта(šljàhta) così chiamata la «nobiltà» polacca e lituana dal Medioevo all’Ottocento. Infatti шляхи (šljàhi) venivano definite le donne nobili che avevano, per soldi o per divertimento, un comportamento dissoluto e provotatorio, inaccettabile secondo le tradizioni russe orientali.

Шалава(šàlava) «prostituta», è un termine influenzato dallo yidishšilev«combinare, unire», e veniva usato per designare una donna che si univa sessualmente con altri uomini. Путана (putàna) è una prostituta che si fa pagare con valuta straniera, probabilmente ha origine da due termini latini: puta che voleva dire «fanciulla» e putto. I putti nell’arte romana erano le figure di bambini nudi con le ali, raffigurati in scene erotiche o religiose su quadri, rilievi o vasi. Successivamente si generò una variante volgare femminile per cui puta o putta, voleva dire anche «prostituta». Un’altra versione, meno accreditata, vuole che nell’antica Roma esistesse una dea minore dell’agricoltura chamata Puta (dal verbo putare «potare») e che, durante la celebrazione della potatura, le sacerdotesse organizzassero delle orge in suo onore (Ernout-Meillet 2001). Блядь(bljàd’) «puttana» viene dall’antico verbo russo блядити (bljàditi) «non mantenere promesse, ingannare», ma a seguito di una contaminazione semantica, oggi il suo significato si avvicina di più al verbo anticoблудити (blùditi) «vagare errare» nel significato di una donna che non ha una meta precisa e che commette errori.Блуд (blùd)in russo significa «fornicazione». Sull’etimologia del termine Курва(Kùrva)«puttana» esistono due ipotesi: la prima, dal latino curvus «distorto, tortuoso, perverso», rievoca l’immagine di una donna che si è allontanata dalla retta via, l’altra, la più accreditata, vuole che provenga da курица (kùrica) «gallina». L’uso del termine «gallina» è influenzato dal francese, nella Francia dell’Ottocento una prostituta di lusso veniva chiamata cocotte «gallinella», termine che oggi viene usato affettuosamente per chiamare una ragazzina o una donna amata. Infine, центровая(centròvaja) è una prostituta molto richiesta, nella parola c’è il termine центр (centr) che significa «centro» (Mokienko 2009).

Al contrario, i reati per i quali le donne costituiscono un fattore determinante e rilevante in grado di aumentare esponenzialmente le possibilità di successo della trama criminale sono i delitti fiscali, connessi a traffici di natura illecita, in cui le donne si inseriscono ai livelli più alti dell’organizzazione criminale, con diffusione maggiore di quanto non accada nella realtà di numerosi Consigli di Amministrazione. È vicenda recentissima quella scoperta dall’indagine denominata «Caronte», condotta dai Carabinieri di Palermo, nella quale un’ex olimpionica di nazionalità russa era stata collocata, all’interno della complessa organizzazione criminale, al vertice di una società che noleggiava imbarcazioni di lusso attraverso le quali venivano assicurati trasporti illeciti di minori (Corriere del Mezzogiorno, ottobre 2013). Le donne a capo di queste organizzazioni o compagne dei boss si chiamanoмаруха(marùha) che può voler dire «donna», «compagna» o «prostituta». Molto usata nel mondo criminale sin dagli inizi del Novecento, маруха(marùha) viene da мара(màra)«strega»: nella mitologia slava era uno spirito maligno che personificava la morte. Nel gergo criminale ha assunto un valore denigratorio: маруха(marùha) è colei che condiziona, ad esempio, le schiave del sesso da un punto di vista psicologico, preservando per tale via i guadagni illeciti e riducendo al minimo l’eventualità di fenomeni di ribellione delle sottomesse (Gračev 2009).

In altre intercettazioni telefoniche è stata utilizzata dagli utenti un’altra parola riferita alla «donna-amante» del boss della banda: шкурля(škùrlja), ma purtroppo non ho trovato alcuna storia etimologica su questo termine.

2.7 La droga

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

U:это чуваксел на кoлёса, думаю что скоро сядет на иглу.

I: я вчера удивался дымом.

U: Questotizioha iniziato con leruote, penso che presto comincerà con l’ago.

I: Io ieri mi sono strangolato col fumo

U: Questo tizio ha iniziato con lepasticche, penso che presto comincerà a bucarsi.

I: Io ieri ho fumato tantissimo.

La Russia è uno dei più importanti snodi del traffico internazionale di droga proveniente dall’Estremo Oriente e dall’Asia centrale e funge da ponte verso l’Europa. La crisi economica e sociale che è seguita al crollo dell’Urss e il conseguente strapotere di gruppi criminali hanno permesso il business del narcotraffico, facilitato da un lato dal fatto che i nuovi stati erano più concentrati a riorganizzarsi a livello amministrativo anziché a controllare i confini, rimasti praticamente aperti fino agli anni 1993-1994, e dall’altro lato dall’intensa cooperazione delle organizzazioni criminali nel favorire il traffico e lo smercio degli stupefacenti. La mafia russa alla fine degli anni Novanta si è alleata sia con i cartelli colombiani sia con i produttori di droga dell’Afghanistan per favorire il contrabbando di cocaina e oppio e facilitarne il transito, attraverso il territorio, verso l’Europa (ONU 2010).

La Russia consuma oltre 58 tonnellate all’anno di oppio e si stima che ben 70 tonnellate di eroina siano destinate alla sola Russia (in tutto il mondo ne vengono consumate 340 tonnellate totali). In termini economici il valore di mercato dell’eroina in Russia, ammonta a 55 miliardi di dollari. Secondo i dati forniti dal ministero della salute russo, nel 2009, dei circa cinque milioni di tossicodipendenti stimati nel paese, il 70% sono giovani di età compresa tra i 16 e i 30 anni e il numero di morti annuali è stato superiore ai 70.000.Alla rotta afghana dell’eroina, già avviata negli anni dell’occupazione sovietica dell’Afghanistan (1979-1989), si sono aggiunte nel giro di poco tempo la cocaina proveniente dall’America latina e le sostanze sintetiche di origine cinese e nordcoreana (ONU 2010).

In Italia, invece, il traffico di cocaina, organizzato dalla mafia colombiana, è controllato e gestito a livello locale dalla ‘ndrangheta e dalla Camorra (UNODC 2010). L‘articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 309/90 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), commina pene severissime (da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000) per tutte le condotte, se non autorizzate, connesse alla coltivazione, produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione, vendita, distribuzione, commercio, trasporto o consegna, per qualunque scopo, di sostanze stupefacenti. Tali sanzioni (articolo 73, comma 1 bis) sono estese anche a coloro che importano, esportano, acquistano, ricevono a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detengono sostanze stupefacenti o psicotrope, per uso non esclusivamente personale.

Il fenomeno della droga in Italia non è così agghiacciante come in Russia: secondo il Dipartimento delle politiche Antidroga italiano, nella Relazione annuale 2013, i soggetti tossicodipendenti con bisogno di trattamento risultano circa 438.500. La cocaina, dopo un tendenziale aumento nel 2007, segna una costante e continua contrazione di consumatori sino al 2012, stabilizzandosi nel 2013 con circa 81.100 dipendenti. Per quanto riguarda l’eroina si osserva un costante e continuo calo del consumo sin dal 2004 e oggi si contano circa 52.000 tossicodipendenti. È stato registrato, invece, un lieve aumento diconsumatori regolari dicannabis, che sono arrivati oggi a quota 145.000 (DPA 2013).

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità «sono da considerare sostanze stupefacenti tutte quelle sostanze di origine vegetale o sintetica che, agendo sul sistema nervoso centrale provocano stati di dipendenza fisica e/o psichica, dando luogo in alcuni casi a effetti di tolleranza (bisogno di incrementare le dosi con l’avanzare dell’abuso) ed in altri casi a dipendenza a doppio filo e cioè a dipendenza dello stesso soggetto da più droghe».

Possiamo suddividere le sostanze stupefacenti e psicotrope nei seguenti gruppi:

OPPIACEI

STIMOLANTI

DEPRESSIVI

ALLUCINOGENI

CANNABIS e derivati

Oppio

Cocaina

Barbiturici

Mescalina

Marijuana

Morfina

Amfetamine

Tranquillanti

L.S.D.

Hashish

Eroina

Crack

 

DOM (S.T.P.)

Olio di hashish

Metadone

 

Ecstasy o M.M.D.A.

 

 

EROINA героин

L’eroina si ottiene dalla trasformazione chimica della morfina, un derivato dell’oppio. Si presenta come polvere bianca o marrone, spesso granulare, amara, molto solubile in acqua, con odore di acido. Nel gergo russo viene chiamata in diversi modi e i più comuni sono:

Герасим(Geràsim) «Gerasimo»nome proprio maschile,Гербалайф (Gerbalajf)«Herbalife», nota azienda operante nel settore del benessere e della perdita del peso, Герман(Germàn)«Germano», nome proprio maschile: questi sostantivi hanno la particolarità comune di cominciare per гер-, le prime tre lettere in russo della parola «eroina».Перец(pérec) «pepe», probabilmente per il fatto che l’eroina si presenta sotto forma di polvere marrone,хмурый(hmùryj)«cupo»,тёмный (tëmnyj) «buio», probabilmente per l’alternanza di stati euforici e depressivi, o la forte eccitazione e passività che provoca l’uso di questa droga.Гавно(gàvno) «merda», Гриша (Grìša)diminutivo del nome proprio maschile «Gregorio»,эйч (èjč) lettera«H» pronunciata in inglese e iniziale della parola inglese heroin.

METADONE Метадон

È uno stupefacente morfinosimile, impiegato da anni nella terapia di mantenimento dei tossicomani da eroina. Ultimamente il Consiglio Superiore della Sanità ha ribadito che il metadone è uno stupefacente di media tossicità, in grado di indurre uno stato di specifica tossicodipendenza. Quindi il ricorso terapeutico, allo scopo di mitigare la sindrome di astinenza da morfinici, va sempre praticato in idonei ambienti di ricovero, cura o assistenza medica. Il metadone è una polvere cristallina bianca, amara, solubile in acqua, e nel gergo russo si chiama лошадка (lòšadka) «cavallina» e вода (vodà) «acqua».

COCAINA кокаин

Nasce dalla raffinazione delle foglie della pianta di coca. Si presenta generalmente in polvere, cristallina, bianca, simile al sale fine e allo zucchero raffinato tendente a ingiallire al prolungato contatto con l’aria. Si può trovare anche sotto forma di compresse, tavolette o allo stato liquido in fiale. In gergo russo viene chiamata: га́нжа (gànža) «ganja», nome indigeno delle sommità fiorite della canapa indiana. кокос (kòkos) «cocco», кокс(koks) «coke», un carbone derivato dalla distillazione del petrolio, Николай Николаевич(Nikolàj Nikolàevič), nome proprio e patronimico «Nicola figlio di Nicola», sono sostantivi che riprendono il suono kok- di «cocaina» in russo. Снег(sneg) «neve» o мел (mel) «gesso» per la sua forma tendenzialmente in polvere e il colore bianco. Номер 1(nòmer odìn) «numero uno» o первый(pérvyj) «primo», così chiamata anche in inglese.

ANFETAMINA Амфетамин

Gruppo di farmaci ad azione eccitante usati anche nella terapia di alcune malattie nervose, sotto stretto controllo medico. Prodotta spesso in laboratori clandestini, si trova sul mercato sottoforma di polveri cristalline più o meno biancastre, in fiale o pasticche e capsule di vario colore e forma. Si assume generalmente per via orale o per iniezione endovenosa. Gli effetti che ne derivano sono simili a quelli provocati dalla cocaina: eccitazione, potenziamento delle capacità intellettive e della memoria, annullamento delle sensazioni di fame, di dolore e di sforzo fisico e quali sintomi secondari tremori, irritabilità, loquacità e ansietà. In gergo: Амфа (àmfa) abbreviazione di «anfetamina», витамин (vitamìn) «vitamina»,Федя (Fédja)diminutivo russo del nome proprio maschile Fëdor, спиды (spìdy) dall’inglese speedy«velocità», скорость (skòrost’) «velocità», шустрый (šùstryj)«svelto», быстрый (býstryj) «veloce» come viene chiamata in inglese, probabilmente per la rapidità degli effetti, oppure капча (kapča) «captcha» acronimio inglese di completely automated public turing test to tell computers and humans apart: un test utilizzato per richiedere all’utente di scrivere quali siano le lettere o i numeri presenti in una sequenza che appare distorta o offuscata sullo schermo. Probabilmente perché sotto effetto dell’anfetamina, il mondo circostante appare alterato proprio come i codici che appaiono sullo schermo.

L.S.D. ЛСД

È il più potente allucinogeno conosciuto. Si presenta sotto forma di pillole di varie dimensioni, di piccoli francobolli o zollette di zucchero. Gli effetti dell’assunzione portano all’intensificazione delle esperienze sensoriali quali il colore, il suono e il tatto, allucinazioni, visive e uditive, e a un’errata percezione del tempo e dello spazio. Segni d’intossicazione sono pupille dilatate e tremori. In gergo troviamo: микродот(mìkrodot), in inglese per microdot si intendono le pasticche più piccole,двадцать пятое(dvàdcat’ pjàtoe) «venticinque»dal nome col quale è anche chiamata questa droga, LSD-25, Лиза (Lìza) diminutivo del nome proprio femminile«Elisabetta»,ли́зер(lìzer) da «acido lisergico», кислота (kislotà) «acido», лимон (limòn) «limone», Люся(Ljùsja) diminutivo del nome femminile russo «Ljudmila».

ECSTASY экстази

È un composto chimico derivato dall’anfetamina. Si presenta sotto forma di pillole, capsule o pastiglie di vario colore con l’indicazione della quantità di dosaggio e quindi con effetti variabili, distinti in psichici e fisici. In gergo viene nominata витамин E(vitamìn e) «vitamina E», come in inglese,o semplicemente E o Ешка ška), vezzeggiativo della lettera «e», oppure рейв (réiv) «rave», festa illegale con musica elettronica dove facilmente l’ecstasy circola.

MARIJUANA марихуана

Èricavata dalle infiorescenze e dalle foglie della pianta della «cannabis indica» mischiate. Appare come una mistura somigliante vagamente al tabacco o all’origano, di colorazione variante dal verde chiaro al verde scuro o al bruno. Анаша́(anašà),баш(baš)dall’inglese bash «colpo» o, in slang, «festa», беладонна (beladònna) «belladonna», una pianta velenosa,дед(déd)«nonno», дядя(djàdja) «zio», шишки (šìški)«pezzi», probabilmente per il fatto che viene venduta in piccoli pezzi, appunti.Infine Мария Ивановна (Marìja Ivànovna) nome proprio e patronimico «Maria di Ivan», Мара (Màra) o Маша (Màša), diminutivi del nome «Maria» eМэри(Mèri) dall’inglese Mary.

HASHISH Га́шиш

Viene prodotta dalla resina della cannabis (canapa indiana). Si presenta in forma solida, di colore marrone, emanante un forte odore e viene assunta fumandola. In gergo: гаш (haš) o хэш(hèš) abbreviazioni di hashish,гарсон (garsòn) dal francese garçon«ragazzo», probabilmente per il fatto che a fumarla sono tendenzialmente i giovani, Галя(Gàlja), diminutivo del nome proprio femminile «Galina», камень(kàmen’) «pietra, sasso» per la loro forma tipica di piccoli sassolini duri da sminuzzare, oppureдурь (dur’)«capriccio, ghiribizzo». Хлеб (hleb) «pane», Геннадий(Gennàdij)nome proprio maschile.

Qualsiasi tipo di droga sotto forma di pasticca, viene chiamata колeсo (kоlecò) in russo standard «la ruota», perché la forma della pasticca ricorda una ruota(Mokienko 2009).

Il gergo della droga spesso coincide con il linguaggio dei giovani e lì, in virtù di un’operazione creativa, i significati propri di molti termini subiscono estensioni metaforiche, che poi, spesso, tracimano nella lingua colloquiale di molti parlanti senza distinzione d’età. In molti casi l’accostamento, sul piano sincronico, di due vocaboli che in realtà hanno etimologia diversa (per esempio, Гашиш e Геннадий) costituisce un fenomeno comunissimo nell’attività linguistica di ogni parlante, per cui si hanno talvolta slittamenti indebiti nel significato di alcuni termini. Si parla, pertanto, di paretimologia quando la spiegazione etimologica è arbitraria, basata su assonanze e associazioni o influenzata da lingue straniere. Conti anche il fatto che il gergo della droga è una forma di linguaggio utilizzata per evitare di essere compresi da persone estranee e si configura come un codice segreto, la cui funzione criptica da un lato esclude dalla comunicazione gli altri e dall’altro rafforza i legami e il senso di coesione interna (Treccani).

3 MEDIAZIONE LINGUISTICA: ASPETTI E DIFFICOLTÀ DELLA TRADUCIBILITÀ DEL GERGO E DELLA MEDIAZIONE GIURIDICA

Quando si parla di «traducibilità» si intende la possibilità di sostituire a livello strutturale, culturale o espressivo gli elementi linguistici del prototesto con quelli del metatesto. Il livello più elementare di traducibilità è quello lessicale, mentre il livello più alto è quello culturale. Le difficoltà della traducibilità di quest’ultimo livello sono legate ai problemi insiti nel testo e nella cultura, poiché se il testo è portatore di un implicito culturale (una serie di informazioni date per scontate in una cultura ma diverse in un’altra) il traduttore deve tenere conto delle differenze culturali e di tutto ciò che è implicito nell’enunciato. Due lingue differenti danno una forma linguistica diversa agli stessi concetti e, anche in ambito simile, presentano spesso significati non perfettamente sovrapponibiIi. Il contenuto implicito di una cultura si manifesta quando la cultura emittente e la cultura ricevente prese in considerazione danno per scontate cose diverse, per cui il non-detto culturale, una sorta di inconscio collettivo, può venire a galla solo se viene messo in relazione tra le due culture (Osimo 2010).

Le espressioni gergali sono un tipico esempio di enunciati legati alla storia e alla cultura del paese in cui vengono usate. Più gli intertesti sono impliciti, e di conseguenza il significato da cogliere non è solo quello esplicitato dalle parole ma anche quello sottinteso da esse, maggiore è la difficoltà per il mediatore di decodificarli perché i numerosi residui necessitano di una traduzione metatestuale. La competenza del mediatore è evidentemente importante perché deve recepire le sottigliezze e decidere di tradurre o non tradurre l’elemento della traduzione che può essere ritenuto una sottodominante meno prioritaria, difficile o addirittura impossibile da tradurre. Tenere conto delle differenze culturali significa, pertanto, tradurre non solo il messaggio superficiale, ma anche le sue implicazioni (Osimo 2010).

Il lavoro svolto dal mediatore linguistico nel settore giuridico-legale solleva alcune problematiche: l’articolo 111 della Costituzione dispone che «nel processo penale la legge assicura che la persona accusata di un reato […] sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo» e che il diritto all’interprete è direttamente ricollegabile al principio universale del diritto alla difesa, riconosciuto come «inviolabile in ogni suo stato e in ogni grado del procedimento» (articolo 24.2). Nonostante questo riconoscimento normativo, l’attuazione concreta della tutela linguistica rimane contraddittoria:

– il codice di procedura penale non contraddistingue le competenze dell’interprete da quelle del traduttore, contrariamente a quanto avviene in ambito formativo e professionale.

– l’incarico può essere conferito a chiunque sia ritenuto dall’autorità procedente capace di adempiere al compito «bene e fedelmente». Vale a dire che è auspicabile, ma non vincolante, nominare professionisti o persone in possesso di un diploma o di una laurea in interpretazione o traduzione.

– la normativa non impone che la lingua utilizzata nel procedimento sia la lingua madre della persona alloglotta, ma basta che le sia «sufficientemente nota».

Tali incongruenze si ripercuotono sulla qualità dell’assistenza linguistica e pertanto sull’efficacia difensiva dell’imputato. È intuitivo come un traduttore, che in genere lavora solo sulla lingua scritta, non sia ipso facto in grado di interpretare oralmente dichiarazioni spesso complesse e estese senza una preparazione specifica e come, viceversa, un interprete non necessariamente possieda la forma mentis e le competenze di un traduttore giuridico. Oltre a ciò uno straniero che parla una lingua minoritaria, ha poche possibilità di usufruire di un’assistenza adeguata, data la difficoltà di reperire sul mercato professionisti in grado di lavorare con combinazioni linguistiche rare, rendendo così più arduo il lavoro degli inquirenti che si ritrovano a avere una documentazione poco accurata e precisa (Curtotti-Nappi 2002).

Nel lavoro del mediatore è fondamentale tenere a mente che i termini giuridici sono profondamente radicati in un contesto socio-istituzionale e il loro significato può mutare con il modificarsi di quel contesto. La lingua giuridica è caratterizzata da complessità e verbosità a livello sintattico tali da permettere la massima precisione e accuratezza, di conseguenzala componente che presenta maggiori difficoltà per il traduttore è certamente la terminologia, tratto altamente differenziato e differenziante tra le varie lingue che è al centro dei processi interpretativi e costituisce il momento focale dei processi traduttivi (traduzione di cariche, ruoli, uffici, istanze e atti).Perché l’analisi del senso, ovvero l’interpretazione, sia effettuata correttamente, è necessaria, ovviamente, un’ottima conoscenza del sistema giuridico in cui è stato prodotto il prototesto e un’attenta analisi del testo può evitare errori di false equivalenze, per esempio, nel caso in cui le lingue o i sistemi giuridici coinvolti nella traduzione siano affini.

Per quanto riguarda l’interpretazione orale, oltre alla conoscenza approfondita dei sistemi giuridici della cultura emittente e ricevente, si incontrano altre difficoltà: durante gli interrogatori il mediatore linguistico si trova, da un lato, di fronte a persone estranee al linguaggio giuridico, o di livello culturale mediobasso, o in stato di forte emotività, il cui linguaggio piò essere frammentato e confuso e, dall’altro si interfaccia con operatori giudiziari che usano un linguaggio tecnico e più complesso, per questo deve essere abile a cambiare registro, passando da un linguaggio più semplice a un registro più formale e viceversa.

A differenza dell’interpretazione di trattativa in ambito medico o commerciale, in cui entrambe le parti concorrono per il medesimo obbiettivo e sono più disponibili a chiarire eventuali fraintendimenti (il medico e il paziente collaborano per guarire la malattia, il compratore e il venditore per concludere un accordo reciprocamente vantaggioso), nell’interpretazione giuridica, le due parti sono in conflitto e la collaborazione, molto spesso, viene meno perché, l’operatore giudiziario cerca la verità (per via diretta o mediata), mentre l’imputato, per paura o per scelta, può far finta di non capire, omettere particolari importanti o non svelarla proprio. Entra, così, in gioco una componente non poco importante, il fattore psicologico per cui il mediatore deve essere in grado di riconoscere e far presente le ambiguità e le sfumature del parlante, deve cercare di capire se derivano da incomprensioni culturali o linguistiche, indipendenti dalla volontà dell’indagato o intenzionali. La collaborazione di mediatori può essere d’aiuto per instaurare rapporti di fiducia tali da far collaborare le vittime perché è attraverso la tutela della vittima che si cerca di incentivare la collaborazione con le istituzioni giudiziarie e reprimere il reato. Tuttavia il mediatore dovrà risolvere unicamente le problematiche di ordine linguistico e non andare oltre la sua sfera di competenza: deve essere imparziale, evitando di dare consigli o di far trapelare le sue impressioni e emozioni; deve essere preciso, chiedendo chiarimenti su eventuali ambiguità, restando fedele al contenuto del messaggio e rispettando il senso dato da chi parla; e discreto, mantenendo la riservatezza sugli affari trattati e provvedendo alla salvaguardia dei documenti in proprio possesso (Russo-Mack 2005).

4 APPENDICE

 

CODICE DI PROCEDURA PENALE

PARTE PRIMA

LIBRO TERZO
PROVE

TITOLO III
Mezzi di ricerca della prova

Capo IV
Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni

Art. 266.
Limiti di ammissibilità.

1. L’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione è consentita nei procedimenti relativi ai seguenti reati:

a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’articolo 4;

b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’articolo 4;

c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;

d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive;

e) delitti di contrabbando;

f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato (1), molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono;

f-bis) delitti previsti dall’articolo 600-ter, terzo comma, del codice penale, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1 del medesimo codice. (2)

2. Negli stessi casi è consentita l’intercettazione di comunicazioni tra presenti. Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale, l’intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.

Art. 266-bis.
Intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche.

1. Nei procedimenti relativi ai reati indicati nell’articolo 266, nonché a quelli commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche, è consentita l’intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi.

Art. 267.
Presupposti e forme del provvedimento.

1. Il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari l’autorizzazione a disporre le operazioni previste dall’art. 266. L’autorizzazione è data con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini.

1-bis. Nella valutazione dei gravi indizi di reato si applica l’articolo 203. (1)

2. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone l’intercettazione con decreto motivato, che va comunicato immediatamente e comunque non oltre le ventiquattro ore al giudice indicato nel comma 1. Il giudice, entro quarantotto ore dal provvedimento, decide sulla convalida con decreto motivato. Se il decreto del pubblico ministero non viene convalidato nel termine stabilito, l’intercettazione non può essere proseguita e i risultati di essa non possono essere utilizzati.

3. Il decreto del pubblico ministero che dispone l’intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni. Tale durata non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di quindici giorni, qualora permangano i presupposti indicati nel comma 1.

4. Il pubblico ministero procede alle operazioni personalmente ovvero avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria.

5. In apposito registro riservato tenuto nell’ufficio del pubblico ministero sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l’inizio e il termine delle operazioni.

(1) Comma inserito dall’art. 10 della L. 1 marzo 2001, n. 63.

Art. 268.
Esecuzione delle operazioni.

1. Le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni è redatto verbale.

2. Nel verbale è trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate.

3. Le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica. Tuttavia, quando tali impianti risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria.

3-bis. Quando si procede a intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, il pubblico ministero può disporre che le operazioni siano compiute anche mediante impianti appartenenti a privati.

4. I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati in segreteria insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l’intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga.

5. Se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

6. Ai difensori delle parti è immediatamente dato avviso che, entro il termine fissato a norma dei commi 4 e 5, hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche. Scaduto il termine, il giudice dispone l’acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, che non appaiano manifestamente irrilevanti, procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione. Il pubblico ministero e i difensori hanno diritto di partecipare allo stralcio e sono avvisati almeno ventiquattro ore prima.

7. Il giudice dispone la trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l’espletamento delle perizie. Le trascrizioni o le stampe sono inserite nel fascicolo per il dibattimento.

8. I difensori possono estrarre copia delle trascrizioni e fare eseguire la trasposizione della registrazione su nastro magnetico. In caso di intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche o telematiche i difensori possono richiedere copia su idoneo supporto dei flussi intercettati, ovvero copia della stampa prevista dal comma 7. (1)

(1) La Corte Costituzionale, con,ha dichiarato sentenza 10 ottobre 2008, n. 336 l’incostituzionalità del presente articolo “nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate.”

Art. 269.
Conservazione della documentazione.

1. I verbali e le registrazioni sono conservati integralmente presso il pubblico ministero che ha disposto l’intercettazione.

2. Salvo quanto previsto dall’articolo 271 comma 3, le registrazioni sono conservate fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione. Tuttavia gli interessati, quando la documentazione non è necessaria per il procedimento, possono chiederne la distruzione, a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato o convalidato l’intercettazione. Il giudice decide in camera di consiglio a norma dell’articolo 127.

3. La distruzione, nei casi in cui è prevista, viene eseguita sotto controllo del giudice. Dell’operazione è redatto verbale.

Art. 270.
Utilizzazione in altri procedimenti.

1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza.

2. Ai fini della utilizzazione prevista dal comma 1, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni sono depositati presso l’autorità competente per il diverso procedimento. Si applicano le disposizioni dell’articolo 268 commi 6, 7 e 8.

3. Il pubblico ministero e i difensori delle parti hanno altresì facoltà di esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati nel procedimento in cui le intercettazioni furono autorizzate.

Art. 270-bis.
Comunicazioni di servizio di appartenenti al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza e ai servizi di informazione per la sicurezza. (
1)

1. L’autorità giudiziaria, quando abbia acquisito, tramite intercettazioni, comunicazioni di servizio di appartenenti al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza o ai servizi di informazione per la sicurezza, dispone l’immediata secretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti tali comunicazioni.

2. Terminate le intercettazioni, l’autorità giudiziaria trasmette al Presidente del Consiglio dei ministri copia della documentazione contenente le informazioni di cui intende avvalersi nel processo, per accertare se taluna di queste informazioni sia coperta dal segreto di Stato.

2. Prima della risposta del Presidente del Consiglio dei ministri, le informazioni ad esso inviate possono essere utilizzate solo se vi è pericolo di inquinamento delle prove, o pericolo di fuga, o quando è necessario intervenire per prevenire o interrompere la commissione di un delitto per il quale sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. Resta ferma la disciplina concernente la speciale causa di giustificazione prevista per attività del personale dei servizi di informazione per la sicurezza.

4. Se entro sessanta giorni dalla notificazione della richiesta il Presidente del Consiglio dei ministri non oppone il segreto, l’autorità giudiziaria acquisisce la notizia e provvede per l’ulteriore corso del procedimento.

5. L’opposizione del segreto di Stato inibisce all’autorità giudiziaria l’utilizzazione delle notizie coperte dal segreto.

6. Non è in ogni caso precluso all’autorità giudiziaria di procedere in base ad elementi autonomi indipendenti delle informazioni coperte dal segreto.

7. Quando è sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, qualora il conflitto sia risolto nel senso dell’insussistenza del segreto di Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri non può più opporlo con riferimento al medesimo oggetto. Qualora il conflitto sia risolto nel senso della sussistenza del segreto di Stato, l’autorità giudiziaria non può acquisire né utilizzare direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali è stato opposto il segreto di Stato.

8. In nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte costituzionale. La Corte adotta le necessarie garanzie per la segretezza del procedimento.

(1) Articolo inserito dall’art. 28 della L. 3 agosto 2007, n. 124

Art. 271.
Divieti di utilizzazione.

1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli articoli 267 e 268 commi 1 e 3.

2. Non possono essere utilizzate le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni delle persone indicate nell’articolo 200 comma 1, quando hanno a oggetto fatti conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvo che le stesse persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati. 3. In ogni stato e grado del processo il giudice dispone che la documentazione delle intercettazioni previste dai commi 1 e 2 sia distrutta, salvo che costituisca corpo del reato.

5 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Beccaria G.L. a cura di (1973), I linguaggi settoriali in Italia. Milano: Bompiani 7-59.

Berruto G. 2004 Prima lezione di sociolinguistica. Roma-Bari: Laterza.

Cohen M. 1919 «Note sur l’argot». Bulletin de la Société de linguistique de Paris, 21:132-147.

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Revzin, Rozencvejg, I tipi di realizzazione del processo traduttivo

I tipi di realizzazione del processo traduttivo

MARTINA TURRISI

 

Fondazione Milano

Milano Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

 

 

Relatore: professor Bruno OSIMO

 

 

Diploma in Mediazione linguistica

Marzo 2012

© I. I. Revzin, V. J. Rozencvejg: «Osnovy obŝego i mašinnogo perevoda» 1964
© Martina Turrisi per l’edizione italiana 2012

I tipi di realizzazione del processo traduttivo

 

 

Abstract in italiano

La prefazione tratta dei problemi di traduzione più interessanti riscontrati nel testo dal punto di vista dell’autrice della tesi. La traduzione tratta di un’analisi che vuole definire i processi traduttivi per cercare di darne uno schema preciso con cui un traduttore può affrontare il testo in lingua straniera. Revzin e Rozencvejg analizzano diversi aspetti della teoria della traduzione: le caratteristiche della traduzioneparola per parola, precisa e libera; alcuni fenomeni generati dagli scambi interlinguistici come prestiti e calchi; la parte comune a due lingue e i rapporti che intercorrono tra due termini ad essa appartenenti.

 

English abstract

The foreword examines the most interesting translation problems faced in the text from the point of view of the author of the thesis. The translation deals with an analysis regarding the definition of the translating process, trying to give a precise scheme that can be used by the translator when in need of translating a text from a foreign language. Revzin and Rozencvejg look into different aspects of the translation theory: the characteristics of literal translation, of translation word by word, of precise translation and of free translation; some phenomena generated by the interlinguistic exchange, as calques and loanwords; the common part of two languages and the relations between two terms belonging to it.

 

Резюме на русском языке

Введение изучает более интересные встречающиеся в тексте проблемы перевода из точки зрения автора этой дипломной работы. Перевод касается определения процесса перевода, испытывая определить схему, которую переводчик может использовать когда он переводит текст с иностранного языка. Ревзин и Розенцвейг изучают некоторые аспекты теории перевода: характеристики буквального, дословного, точного и свободного перевода; явления языковых контактов как заимствования или калькирования; общую часть двух языков и отношения между терминами в ней включены.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Prefazione

 

1.1 La presente tesi ha come oggetto la traduzione dei paragrafi § 22, §23, §24 e §25 del quarto capitolo dell’opera Oсновы общего и машинного перевода [Fondamenti di traduzione generale e automatica], pubblicato nel 1964 da Isaak Iosifovič Revzin e Viktor Ûl’evič Rozencvejg. I due studiosi russi presentano l’opera come un manuale per gli studenti delle facoltà di lingue, incentrato sulla problematica della traduzione generale e automatica.

Gli argomenti trattati nel quarto capitolo, intitolato “I tipi di realizzazione del processo traduttivo”, tracciano una sorta di guida attraverso il processo traduttivo partendo dalla definizione delle tre grandi categorie di traduzione: parola per parola, adeguata e libera. Passando per un’analisi approfondita dei tipi di corrispondenza tra l’emento della lingua emittente e l’emento della lingua ricevente, gli studiosi individuano una parte comune a due lingue che è la base da cui far partire la scelta di un traducente piuttosto che di un altro.

La definizione della parte comune porta a identificare le differenze tra le diverse corrispondenze (piene o parziali) e a individuare, invece, quelle parole che sono derivanti dagli scambi interlinguistici, come prestiti e calchi.

 

1.2 Durante la traduzione del testo sono emersi alcuni problemi relativi alla resa nella lingua ricevente (italiano) di concetti e termini provenienti dalla lingua emittente (russo). Di seguito l’analisi dei problemi di traduzione più significativi riscontrati.

(§22 pag. 121.).

«Он обозначает “чужеязычности” перевода, т. е. перенос поэтических, жанровых, индивидуальных особенностей оригинала литературно-художественного текста, противоречащих эстетическим нормам литературы, к которой приобщается переводимое произведение.» (§22 pag. 121)

Чужеязычность è un sostantivo composto dagli aggettivi чужой [alieno, straniero] e язычный [della lingua] più il suffisso –нoсть (Che ha, appunto, la proprietà di trasformare gli aggettivi in sostantivi. Cfr. il suffisso italiano –ità. Semplice – semplicità).

Dalla consultazione di tre diversi dizionari è emerso che tale sostantivo non ha un corrispettivo in italiano, per cui il problema che si pone al traduttore è quello di cercare, evincendolo dal contesto e dalle proprie conoscenze in materia, di adattare tale concetto alla cultura ricevente, rendendolo il più chiaro possibile. Dalla traduzione dei due aggettivi (che uniti ne creano un ulteriore,  чужеязычный [di lingua straniera]) si riesce a trarre il senso del termine russo, ovvero “l’appartenenza a un’altra lingua”. Il passaggio successivo consiste nella scelta del termine o della perifrasi con cui rendere il concetto per adattarlo alle norme grammaticali e alle peculiartià culturali della lingua verso cui si traduce.

La frase risulterà, in italiano, come segue:

«Evidenzia la altruità linguistica della traduzione, ovvero il trasferimento di certe particolarità poetiche, di genere o individuali del prototesto artistico, in contraddizione con le norme estetiche della letteratura alla quale si associa l’opera di traduzione.»

Un altro problema di traduzione che si incontra nel testo è la resa dei modi di dire o delle frasi famose, che molto spesso sono tradotte in maniera diversa in ogni cultura.

La traduzione letterale di queste frasi è solitamente una scelta sbagliata per rendere il senso del prototesto; per questo motivo, quando un traduttore si trova di fronte a modi di dire o espressioni proprie di una lingua deve prestare attenzione e assicurarsi che non esista un corrispettivo, nella cultura emittente, che mantenga l’idea espressa nel prototesto.

Appurata la presenza o meno di tale modo di dire nella lingua verso cui si traduce, si può passare alla traduzione, che sarà letterale in caso di mancata corrispondenza e adeguata in caso di effettiva presenza all’interno della fraseologia della cultura ricevente.

Vediamo di seguito qualche esempio di corrispondenza piena del concetto e del lessico:

  • Кто сеет ветер, пожнет бурю. (lett. Chi semina vento miete tempesta)

Chi semina vento raccoglie tempesta.

  • Око за  око, зуб за зуб.

Occhio per occhio, dente per dente.

 

Un esempio di corrispondenza parziale, ovvero il caso in cui il concetto è rispettato ma la scelta lessicale è differente lo troviamo nella seguente espressione idiomatica:

  • Отправиться к праотцам. [Andare dagli antenati]

Andare all’altro mondo.

 

L’ultimo esempio invece racchiude in sé la mancata corrispondenza tra cultura emittente e cultura ricevente, quando cioè il traduttore si limita a tradurre letteralmente la frase idiomatica o il modo di dire: ( Es. В гостях хорошо, а дома лучше. [Dagli ospiti è bello, ma a casa è meglio.])

 

1.3 Abbiamo visto quindi l’approccio utilizzato durante la traduzione del testo, semplificato in questi tre esempi rappresentativi dei problemi più comuni che si incontrano quando si affronta la traduzione di un testo da una lingua straniera.

Le differenze culturali talvolta rendono complicata la resa di determinati concetti, esattamente come le abitudini linguistiche complicano la resa di certi concetti a causa di mancate corrispondenze o di corrispondenze che non rendono effettivamente l’idea espressa nel proto testo con la stessa sfumatura di significato. Il compito di un traduttore sarà quindi mediare tra l’una e l’altra cultura per trovare la combinazione ideale che rispecchi al meglio il senso e lo stile di entrambe le lingue.

 

 

 

 

 

2. Traduzione

Глава IV

ТИПЫ РЕАЛИЗАЦИЯ ПРОЦЕССА ПЕРЕВОДА

 

§22. Некоторые важные понятия традиционной теории перевода

 

 

В теории перевода издавна рассматриваются такие понятия, как «буквальный», «адекватный», «вольный» перевод и т.п. Эти понятия не построены по единому критерию: с ондной стороны, они обозначают явления языковые (соответствие или несоответствие тово или иного элемента ПЯ элементу ИЯ), с другой/ явления художественно-эстетические; соответствие или несоответствие образа, жанровых или индивидуальных особенностей и т. п. При построении научной процесса, эту понятия должны быть замены более точными.

 

 

Перед тем как перейти к изложению этих новых понятия, полезно будет, однако, выяснить, какой смысл вкладывался традиционно в термины «буквальный», «адекватный», «вольный» перевод с тем, чтобы попытаться сохранить то ценное с лингвистической точки зрения, что в них содержалось. Мы будем исходить из анализа термина «буквальный перевод», поскольку в него, как правило, вкладывался лингвистический смысл.

 

Термин «буквальный перевод» употребляется многозначно:

1) он обозначает «чужеязычности» перевода, т. е. перенос поэтических, жанровых, индивидуальных особенностей оригинала литературно-художественного текста, противоречащих эстетическим нормам литературы, к которой приобщается переводимое произведение.

 

В этом смысле термин «буквальный перевод» противопоставлен так называемому, употребляется лишь для случая, термин «склонению на наши нравы».т. е. такому переводу, при котором переводимое произведение вольно пересказывается.  В дальнейшем это противопоставление, не изменив своей теоретико-литературной сущности, вылилось в противопоставление буквального и вольного перевода;

 

2) он обозначает поэлементный перевод (пословный, посинтагменный, и т. п.). Иногда в этом смысле употребляется термин «дословный перевод».

 

В данном значении термин «буквальный перевод», по-видимому, употребляется лишь для случая, когда поэлементное соответствие установлено незакономерно, в в нарушениие определенных форм языка, стиля, жанра и т . п. Противопоставлен же он термину «адекватный перевод», где под адекватным понимается перевод с учетом широкого контекста (обычно не только лингвистического).

 

Что не касается случая, когда поэлементный перевод не противоречить никаким нормам, то термин «буквальный» здесь или совсем не употребляется, или же употребляется наряду с термином «дословный» лишь для случая, когда единицей перевода является слово;

 

3) он обозначает перевод слово в слово для случая, когда происходить перенос лексико-грамматических норм одного языка в другой, и в этом, по-видимому, противопоставлен переводу грамотному, выполненному с учетом норм языка.

 

Разумеется,все это не точные определения, а лишь приблизительные описания, являющиеся  попыткой как-то уточнить существующее словоупотребление.

Теперь мы перейдем к введению некоторых терминов, уточняющих перечисленные выше.

Эти термины будут описывать разные типы реализации основной схемы перевода, в зависимости от характера тех заранее заданных соответствий, которые ею предполагаются.

 

 

§23. оснобные типы соответствий между единицами ИЯ и единицами ПЯ

 

Мы видели, что язык/посредник целесообразно строить таким образом, чтобы в нем для каждой единицы перевода в ИЯ и ее соответствия в ПЯ имелись:

 

а) набор элементарных смысловых единиц;

б) история порождения соответствующего отрезка текста (как с точки зрения вхождения в определенные конфигурации, так и с точки зрения траснформационных преобразований).

в) стилистическая характеристика.

 

Мы будем называть соответствие полным, если единица ИЯ соответствует тому же набору характеристик в языке/посреднике, что и переводящая ее единица ПЯ.

В класс слов, между которым можно установить полное соответствие, входят слова-термины, значение которых органиченно их предметной соотнесенностью.

 

В этот класс входят не только научные термины, но и все единицы языка, которые обозначают категории, общие двум языкам. Например, общими для русского и романо-германских языков будут слова числительные, слова, обозначающие пространственные отношения, основные понятия экономической и политической жизни европейческих народов и т. д. По предварительным подсчетам, около 40% полнозначных слов (существительных, прилагательных, глаголов и наречий) в общественно/политических текстах на международные темы всегда переводятся на французский, английский, немецкий и др. языки одними и теми же словами.

 

Ср. относительно рассматриваемых здесь явлений следующее определение: «Будем называть конгруэнтными такие два элемента сопоставленных словарей, которые, занимая одинаковое место в парадигматической системе, обладают тождественными синтагматическими функциями. Примером полной конгруэнтности может служить термин «статическая чувствительность» англ. Static sensitivity, фр. sensibilté statique, чем. statische Empfindlichkeit, исп. sensibilidad estatica, итал. sensibilità statica, голл. Statische gevoeligheid, польск. wydajnosc statyczna, швед. Statisk känslighet» (Андреев, Зaмбржицкий, Пазухин, Пак, стр. 1).

Обратимся теперь к неполным соответствиям. Прежде всего здесь можно выделить следующие три группы, в зависимости от того, какие характеристики единиц оказываются несовпадающими:

 

а) соответствия со смысловым и стилистическим инвариантом, т. е. те, в которых не совпадает лишь характеристика порождения.

 

В качестве примера рассмотрим здесь перевод следующего русского предложения:

‘Керсон умер в 1925 г., лишь ненадолго пережив свою политическую смерть’.

 

В немецком и французском переводе жтого предложения значение следствия может быть передано соотношением двух ядерных предложений без последующей трансформации:

нем.Еr überlebte seinen politischen Tod nicht lange, (denn) er starb 1925. фр. Il ne survécut pas longstemps à sa mort politique: il mourut en 1925.

 

 

Когда мы говорим о сохранении стилистической характеристики, то имеем в виду не только соответствующие пометы к отдельным словам, но и общий характер построения, то, что иногда называют «стилистической фигурой». Следует указать, что эта характеристика не столь расплывчата, как может показаться на первый взгляд. Поскольку основные фигуры могут быть перечислены (это, кстати, делалось уже в античных курсах риторики), то вполне можно представить себе ракое дополнение к алгоритму синтаксического анализа, которое проверяет построение фразы с точки зрения наличия в ней одной из заданных фигур[i];

 

б) соответствия со смысловым инвариантом, т. е. те, в которых могут различаться не только характеристики порождения, но и стилистические.

 

Очень характерно расхождение в стилистических нормах при переводе некоторых газетных текстах, например, спортивной хроники. В немецкой газете много специальных выражений, обычно очень образных, но мало понятных для «непосвященного». Большинство слов должно быть снабжено пометой «фамильярно» или «непринужденно». Вот один пример (Ш в а н е б а х, Р е в з и н, стр. 83): Für die eindrucksvollte Vorstellung sorgte Halbweltergewichtler Niegsch, als er favorisierten Strauss mit einem schweren RechtHaken abfing un zu Boden zwang.

 

Сохранение в переводе стилистических характеристик отдельных слов дает в лучшем случае образчик плохого «спортивного жаргона».

‘О наиболее ярком представлении позаботился боксер полусреднего веца Нигш, поймав любимца публики Штрауса на крюк справа и бросив его на землю’.

 

 

 

 

Ср. более «спокойный» перевод:

‘Наиболее убедительно провел бой боксер полусреднего веса Нишг, которому удалось нокаутировать тяжелым ударом правой своего противника, любимца публики Штрауса’.

 

 

 

 

Несохранение стилистической характеристики часто ведет к  явлениям, которые в переводческой практике получили наименование сглаживания. Примером сглаживания является перевод на русский язык немецкого предложения: In Chemnitz war der Boden für ihn zu heiss geworden. ― ‘В Хемнице пребывание стало для него опасным’. Здесь, однако, можно сохранить стилистическую характеристику и оставить образное выражение и в переводе, например, ‘В Хемнице земля горела под его ногами’.

 

 

 

Еще пример сглаживания: ‘Х. N’y va pas par quatre chemins’ ― ‘Х. Пишет об этом довольно откровенно’;

 

 

в) соответствия, не сохраняющие смысла

По поводу этого третьего случая необходимо заметить следующее. Ясно, что полное несохранение смысла противоречит самому определению перевода. Дела, однако, в том, что в наборе смысловых единиц, соответствующих отрезку текста, могут бытьболее или менее весомые, т. е. может быть введена определенная иерархия компонентов смысла. Рассмотрим для примера предложение: ‘африканские народы кровью завоевалисвою незавицимость;. Оно было переведено на французский язык следующим образом: Les peuples d’Afrique ont achetél’Indépendance au prox de leur sang. Слово ‘завоевать’ дало в переводе слово acheter которое значит «А. Каузирует для себя имение некоторого объекта в оцмен на деньги».

 

На первый взгляд может показаться, что смысл русского слова вовсе не сохранен. На самомо деле это не так, уибо в слове ‘завоевать и в слове ‘купить’ имеется элементарное значение:  «А. Каузирует для себя имение некоторого объекта». Это общее значение в данном контексте является релевантным, а значение, указывающее на средство каузирования имения  русского (силой, в обмен на денги и т. д.) здесь иррелевантно. Инимы словами, рассматриваемое здесь соответствие устанавливается таким образом, что сохранияется основной элементарный смысловой дифференциальный признак некоторй группы слов, а нейтрализуятся признаки, отличающие эти слова между собой. Так, слова ‘приобрести’, ‘купить’, ‘завоевать’, ‘украсть’ и др., имеющие общий смисл «каузировать имение для себя», могут заменят друг друга.

 

Таким образом, ва множестве элементарных смислов, сопоставляемых слову, можно выделить несколько основных, наиболее важных, которые осуществляют несоотнесение с ситуацией. Это подмножество выделенных наиболее важных значений мы будем называть основным значением слова. Основное значение слова и будет смысловым инвариантом, сохраняющимся в переводе. При этом  следует иметь в виду, что основное значение слова может быть выделено самой структурой языка/посредника, т. е. заранее задано.

 

Тем самым обеспечивается реализация процесса перевода по схеме № 4.

Аналогическое явление имеет место, когда необходимо выделить основное значение слова, но это выделение не может быть задано, а выводится из ситуации.

 

Рассмотрим следующие предложение: ‘Два длинных ряда густых деревьев почти упираются в набережную’.

 

 

При переводе на французский язык прямого соответствия для ‘ упираются в…’ нет.  Это и понятно, ввиду сложности семантической структуры данного слова. Словарное его определенное троякое: 1) «плотно отеретьсйа частью своего тела или концом какого-нибудь предмета»; 2) «идя натолкнуться на что-нибудь, обнаружить какое-нибудь препятствие» (прост); 3) (перен.) «упрямо не соглашаться с чем-нибудь, на что-нибудь…»

 

Эти значения иллюстрируются, соответственно, следующими примерами. ‘Упереться ногами в землю; шел, шел и уперся в забор; уперся и не поехал никуда’ (см. «Цловарь русского языка» С. И. О ж е г о в а, изд. 1953 г.) Строго говоря, не одно из этих определенных не соответствует смислу искомого слова. Интуитивно мы понимаем, что из преведенных иллюстраций ближе других к нему подходит значение ‘упереться’ в предложении ‘шел, шел и уперся в забор’.

 

 

Такое понимание обусловливается тем, что ряд деревьев может рассматриваться как линия ровно расположенных и в определенном порядке следующих друг за другом однородных объектов. Это  элементарное значение следования из одной точки (начало) по направлению к другой (конец) входит в состав значения слова ‘упереться’, как в контексте ‘шел, шел и уперся в забор’, так и контексте ‘ряд деревьев, упирающихся в набережную’.

 

Можно было бы при синтезе французского предложения выбрать из многочисленных французских эквивалентов слова ‘упереться’ слово Ьи1ег, т. е., «идя, натолкнуться на препятствие».

 

Поступая таким образом, мы, однако, полагаем что французский читатель обладает тем же жизненным опытом, что и русский автор, что он будет в состаяании, следовательно, выделить в слове buter эелементарное значение «следовать от одной точки (начало) по направлению к другой (конец)» и отбросить дифферензиальный признак «идя натолкнуться на препятствие». Но переводчик может заменить слово ‘упераются’ другим словом, включающим элементарное значение «следовать от одной точки (начало) к другой (конец)», например, словом ‘идут до…’ ― vont jusqu’à. ‘Два ряда деревьев упираются в набережную’ будет переведено так: Deux rangées d’arbres vont jusqu’au quai.

 

Мы охарактеризовали, таким образом, неполные соответствия со структурно-семантической или системной точки зрения (а именно, с точки зрения того набора характеристик в языке-посреднике, через которой устанавливается  соответствие).

 

Теперь обратимся к другой стороне вопроса. Рассмотрим неполные соответствие ц точки зрения тех условий контекста, в которых они устанавливаются, т. е. с точки зрения их функционирования в речи.

 

 

Здесь можно выделить два вида неполных соответствия:

а) условные и б) вероятностные.

Условым соответствием называется такое, при котором единицы перевода некоторого подъязыка ИЯ соответствуют единицам ПЯ прн условии наличия определенного окружения для данной единизы.

 

 

 

В этот класс бходят слова с разной категоризацией в двух (или больше) языках, т. е. значителньое большинство слов. ср. нога jambe /pied рука main/bras. Для того, чтобы установить соответствия этих слов в ПЯ, нам нужно знать их окружение, их контекст (ср. ‘Ребенок сидел у него не на ногах’ и ‘Он ударил его ногой’).

 

 

 

Таким образом, понятие условного соответствия отражает ту известную в теории перевода идею, что перевод зависит от контекста (см. §21). Так, при переводе предлоюения ‘Перед дворцом раскинулась широкая площадь’ мы, между прочим, наталкиваемся на следующую трудность: слово ‘широкий’ не имеет полного соответствия во французском языке: оно противопоставлено в оснобном слову ‘узкий’, в то времия как фр. large противопоставлено в основном слову long (длинный). Но слово large включает  в себя элементарное значение ‘протяженность в пространстве’, которое содержится и в слове vaste. Учитывая микроконтекст слова ‘широкий’ в преведенном предложении (широкая полщадь), мы при синтезе французского текста быберем в качестве условного соответствня слова широкий фр. vaste.

 

 

Полные и условные соответствия инеют то общее, что для некоторой единицы перевода находится прямое соответствие (в данном подъязыке).

Рассмотрим теперь случай, когда такое однозначное соответствие неосуществимо даже для некоторого подъязык.

Мы будем называть вероятностным  такое соответствие, при котором единице перевода в ИЯ соответствует несколько переводов в ПЯ, принципально не сводимых друг к другу, причем дла каждого из переводов нельзя указать разумно ограниченный контекст, которой его однозначно определяет, а можно указать лишь некоторую вероятность того, что будет избран тот или другой перевод.

 

 

Например, для слова «беседа» нельзя указать разумно ограниенного контекста, который определил бы выбор фр. causerie, нем. Unterhaltung или же фр. entretien, нем. Graspräch, Unterredung. Но можно определить вероятсность появления  того или другого соответствия для данного подъязыка.

 

 

Рассмотрим следующее предложение: «Источники существования этого заведения туманны». Прямого соответствия слова «заведение» в английском, французском, немецком и других языка не имеется. Как правило, оно встречается в сочетании со словами, с которыми образует одну единицу перевода (ср. учебное заведение — institution d’enseignement, Mittel- und Hochschule и т. д.).

 

В данном же тексте речь идет о некотором акционерном обществе, скрывающем под видом научно-исследовательского института неблаговидную политическую деятельность. Лишь знание этого факта, выведенное из статьи в целом, позволяет с высокой мерой вероятности выбрать соответствие слову зеведение: Cette officine dispose de ressources d’origine douteuse.

 

Необходимо отметить, что если полные и условные соответствия описывали ситуацию для которой обращение к действительности по схеме № 3 не является необходимы, то вероятностная эквивалентность описывает тот случай, когда однозначное решение возможно лишь в случае обращения к действительности, а для схеми № 4 возможно лишь указание вероятного соответствия.

 

П р и м е ч а н и е. как правило, прямые соответствия совпадают со взаимнооднозначными соответствиями. Напомним, что с взаимнооднозначным называется соответствие,  удовлетворяющее следующим тробованиям: А соответсвует В и только В, В соответствует А и только А. Примером такого соответствия могут быть слова: январ – Januar – Janvier – January; семь – Sieben – Sept — Seven (возможны и грамматические взаимнооднозначные соответствия: Der Himm ist blau – le ciel est bleu – the sky is blue. Или же: Er hatte gesehen — il avait vu — he had seen.[ii]

Заметим, однако, что понятие прямого соответствия шире, чем понятие взаимно-однозначного соответствия. Соответсвие может быть прямым, но не взаимно-одназначным например, русск. Начинать, нем. Beginnen, anfangen, англ. To start, to begin, to commence.

 

В связи с этим схема, разбираемая в дальнейшем, является обобщением схемы, предложенной авторами ранее (Р е в з и н, Р о з е н ц в й г, стр. 56-57).

 

§ 24.Основные определения теории перевода

 

Введем одно вспомогательное понятие, а именно понятие «суперкатегории».

Мы будем говорить, что две единицы перевода, на которорых одна выделена в ИЯ относительно ПЯ, а другая выделена в ПЯ относительно ИЯ, относятся к одной суперкатегорий, если между ними можно установить прямое соотетствие, и к разным суперкатегориям, если такого соответствия установить нельзя. Например, Wandzeitung и ‘стенная газета’ принадлежат к одной суперкатегории, а ‘уют’ и comfort — к разным суперцатегориям.

 

 

Возьмем теперь два языка L1 и L2 и выделим все единицы перевода относительно них.

Каждая из единиц перевода принадлежит к какой-то суперкатегории, построенной на основании анализа соответствий межды этими двумя языками. Некоторыя суперкатегории включают единизы перевода двух языков, другие же включают единицы перевода только одного из двух языков. Мы получили два множества суперкатегорий, которые, вообще говоря, перескаются. Cм. Схему № 8:

 

В заштрихованной части находятса суперкатегории, включающие L1 и L2, или, иначе говоря, единицы, между которым можно установить прямое соответствие.

Рассмотрим теперь процесс перевода с L1 на L2 или с L2 на L1.

 

Возможны два принципально различных типа перевода:

1) элемент α входит в общую часть двух языках с L1 и L2. Поскольку в суперцатегорию элемент α входит некоторый такой элемент β, что между α и β установлено прямое соответствия, то переход от α к β является простым перекодированием. Такой перевод мы будем называть интерлинеарным. Частный случай интерлинеарного перевода, а именно, когда единицей перевода является слово, представляет дословный перевод.

 

Подробнее переводаом как перекодированием мы займемся в § 25.

 

 

2) элемент α не входит х общую часть двух языков L1 и L2. Здесь положение сложнее н возможно несколько разных подтупов.

а) процесс перевода осуществляется так, как будто элемент входит в общую часть двух языков, т. е. считается, что можно установить прямое соответствие между α и каким-то β в L2. Иначе говоря, здесь расширяется система L2, она дополняется рядом с  суперкатегорий из L1. Такой перевод мы и будем называть буквальным.

 

 

б) Процесс перевода осуществляется так, что элемент α заменяется внутри L1 каким-то элементом α1, который входит в заштрихованную часть, причем элемент α1 выбирается так, чтобы смысл высказывания сохранился. Затем устанавливается прямое соответствие между α1 и β1, где β входит в одну суперкатегорию с α1. Токй перевод мы будем называть упрощающим.

Отличие этой схемы”от предыдущей в том, что здесь исходный элемент не обязательно лежит в общей части двух языков. Возможен также случай, когда переводящий элемент выбирается не обязательно из общей части.

 

в) Процесс перевода  происходит в начальной стадии так же, как в 1 или в 26, т. е. yстанавливается соответствие непосредственно между α иβ, если оба лежат в общей части, или, как в б между α и α1 и затем между α и β. Теперь уже внутри L2 производится модуляция или трансформация, т. е. выбираются все отрезки текста, имеющие тот же смысл, что и β (т.е. β1, β2…, βn), и устанавливается соответствие между исходной единицей перевода и каким-то из рассмотренных β1 ( β1 или β2… или βн). Такой перевод мы будем называть точным.

г) специальным случаем точного перевода является такой перевод, при котором выбор соответствия производится с сохранением стилистической характеристики и с учетом законов сцепления в языке L2 между данным отрезком и окружающими его отрезками, полученными в результате перевода других единиц (т, е. с учетом контекста в ПЯ). Такой перевод мы будем называть адекватным.

Легко заметить что по этому определению всякий адекватный перевод является вместе с тем переводом точным. Обратное не верно.

 

 

Что касается отношения интерлинеарного и точного перевода, то можно заметить, что кажды интерлинеарный перевод является одновременно переводом точным. Адекватным иитерлинеарный, в том числе дословный, перевод может быть лишь при условии, что сохраняется стилистическая характеристика и соблюдаются законы сцепления, т. е. когда любой точный перевод становится адекватным.

 

д) Возможен и такой перевод, при котором выбор элемента перевода производится исходя не из законов соответствия, а исключительно из законов сцепления. Такой перевод мы будем называть вольным.

 

Поскольку вольный перевод, в смысле этого определения, может быть описан лишь при условии привлечения понятий поэтики, то он нами в дальнейшем рассматриваться не будет.

 

Подробному анализу типов реализации процесса перевода будут посвящены §§ 25—29.

 

§ 25. Общая часть двух языков и ее роль впереводе, заимствование и калькирование

 

При любом процессе обучения другому языку и тем самым установления соответствий между двумя языками мы должны выделить некоторое число прямых соответствий, полученных путем непосредственного указания на предметы. Именно область предметов, относящаяся к «пересечению двух культур» (Q u i n e, 1953, стр. 62) и является основой двуязычного общения, а тем самым и перевода, причем постепенно эта область расширяется с увеличением контактов (ср. § 6) и в конце концов приводит к образованию того, что мы назвали общей частью двух языков.

 

Для того, чтобы легче представить себе процесс возникновения общей части двух языковых систем, вспомним, как протекает на начальном этапе процесс изучения иностранного языка школьниками или студентами.

При помощи учебника и учителя учащийся узнает значение слов и грамматических форм этого языка, т. е. их перевод на родной язык. Этот перевод бывает, как правило, дословным, так как на данном этапе иностранный язык состоит из элементов, имеющих каждый лишь одно соответствие в родном языке.

 

В результате неоднократных сопоставлений эти соответствия закрепляются в памяти, образуя, по выражению Л. В. Щербы, язык с двумя терминами. Это и есть на данном этапе процесса обучения общая часть родного и иностранного языка.

 

Общая часть двух языков особенно наглядно выступает в лексике. Оно и понятно: словарные единицы языка менее связаны между собой, чем его фонологические, морфологические или синтаксические элементы. Воздействие языковых контактов заметно, однако, и в морфологии и в синтаксисе.

С точки зрения теории и практики перевода следует особо остановиться на явлениях, способствующих установлению прямых соответствий и образованию общей части двух систем языков: заимствовании и калькировании.

 

Обратимся к заимствованиям.

Известно, что языки заимствуют друг у друга слова и словосочетания. Некоторые из этих слов, так называемые интернационализмы, встречаются во многих языках (ср,, например, ‘демократия’ —democracy, démocratie, Demokratie; ‘социализм’ — socialism, socialisme, Sozialismus; ‘революция’ — revolution, réevolution, Revolution; ‘партия’ — party, parti, Partei; ‘университет’ — university, université, Universität; ‘трагедия’ — tragedy, tragédie, Tragödie; ‘баскетбол’ —” basket-ball, basket-ball, Basketball). Подобные, слова обнаруживаются во многих языках, в том числе и неродственных, но не во всех.

 

 

В связи с этим указывалось, что термин «интернационализмы» не точен. Предлагали заменить его термином «регионализм». Однако и этот термин неудобен, поскольку слова, принадлежащие к этой группе слов, бытуют и в языках географически отдаленных.

 

Мы будем пользоваться термином «интернационализм», учитывая вхождение этих слов в язык международных, политических и научных общений, а также в международные искусственные языки. Уже при первом взгляде заметно, что хотя и в фонологическом и в морфологическом отношении интернационализмы подчиняются системе данного языка, они, тем не менее, сохраняют между собой сходство (оно более явно выступает в написании).

 

С точки зрения теории перевода важно отметить, что эти слова входят в общую часть соответствующих языков и, следовательно, переводятся интер-линеарно.

Интернационализмы часто встречаются при переводе политических текстов. В основном, однако, они принадлежат к языку науки, интернациональной по своему содержанию[iii].  Создаваемые в том или  ином языке, главным образом из древнегреческих или латинских морфем, интернациональные научные термины-слова и словосочетания распространяются в другие языки (ср, возникшие в последнее время термины: ‘кибернетика’, ‘энтропия’). В основном — это существительные (в том числе сложные: ‘диалектология’, ‘спектрометр’ и т. д.).

Однозначности научной терминологии принципиально не противоречит тот факт, что в отдельных науках, например, в языкознании, наблюдается неустойчивость в употреблении терминов (ср, ‘язык’, ‘речь’ langue, langage, parole, ‘фонема’, ‘морфема’, ‘синтагма’ и т. п.).

 

По мере развития и уточнения основных понятий, научная терминология приобретает однозначность. Чем абстрактнее наука, т. е. чем больше она основывается на теоретически определенных понятиях, тем точнее ее терминология. (Ср., например, однозначную математическую терминологию).

 

Развитие международной торговли, сообщений и научно-технических контактов приводит, как известно, к международной стандартизации технической терминологии, т. е. к расширению общей части языков.

 

 

Наряду с интернационализмами входят в общую часть двух данных языков, т.е. переводятся дословно, и заимствования. (Ср., например, русские слова, заимствованные из французского: ‘роман’, ‘визит’, ‘маневры’, ‘партизан’ и, с друг й.стороны, .французские заимствования из русского: soviet).

 

Важно учесть, однако, что не все слова,, заимствованные языком А из языка В, входят в -их общую часть. Так, например, заимствованное из французского, слово ‘конферансье’ соответствует во французском языке не conférencier, a présentateur. Французскому слову conférencier соответствует в русском языке не ‘конферансье’, а ‘лектор’. Русское слово ‘демонстрация’ (ср. ‘уличная демонстрация’), заимствовано с немецкого Demonstration, но во французском языке слову в этом значении соответствует не démonstration, а manifestation. Нет прямых соответствий также и между такими словами, как заимствованное из немецкого ‘санаторий’ (‘лечебное учреждение, оборудованное для лечения и отдыха’) и французским sanatorium.

 

 

Слова типа ‘демонстрация’ — Demonstration — démostration, представляются,  на первый взгляд, интернациональными, в действительности, однако, они ими не являются. Это так называемые ложные друзья переводчика.

Многие из этих «ложных друзей» восходят этимологически к тому же источнику, что затрудняет их различение. Ср. ‘пассажир’ (обозначающее общее понятие) и фр. passager (‘пассажир на судне’), фр. voyage (‘путешествие’) и англ. voyage (‘морское путешествие’); русск. ‘тривиальный’, англ. trivial и фр. trivial (‘вульгарный’); фр. salaire ‘заработная плата рабочего’, и англ. salary ‘заработная плата человека ‘свободной профессии’; русск. ‘лояльный’, фр. loyal и англ. loyal (‘преданный’); русск. ‘фигура’, фр. ‘figure’ (‘лицо’). Ложными друзьями могут быть и части словосочетаний. Ср., например, англ. fresh water (‘пресная вода’) и eau fraîche (‘прохладная вода’).

Некоторые из подобных слов навязчиво появляются в переводах. Так, например, слово practically (имеющее значение — ‘фактически’) часто переводится словом ‘практически’, которое в русском языке сопоставляется со словом ‘теоретически’. Слово pathetic (имеющее значение .’трогательный’, ‘жалкий’, ‘патетический’) постоянно переводится как ‘патетический’. Ср. также аccording to liberal estimates — ‘по широким подсчетам’ (вместо ‘по скромным подсчетам’); comfortable income — не ‘комфортабельный доход’, а ‘хороший доход’ и т. п.

 

Некоторые из ложных друзей являются таковыми лишь в определенных подъязыках. Ср., например, фр, attaque, англ. attack в следующих контекстах; les attaques contre le droits démocratiques  (the attacks on democratic rights) — ‘наступление (а не атака) на демократические права…,’ также в немецком gegen die demokratischen Rechte Attacke reiten.

 

Отметим, что в результате языковых контактов заимствованное слово может воздействовать на значение соответствующего ему слова в языке, из которого оно заимствовано. Так, русское слово ‘бригада’ однозначно соответствовало французскому brigada лишь в. военных текстах. В сочетаниях типа ‘бригада рабочих’ это слово. переводилось через équipe. В последнее время, однако, оно и в таких сочетаниях стало переводиться через brigade.

(Ср. ‘коммунистические бригады’ — les brigades communistes).

 

Подобные способы расширения общей части языков, а  следовательно   и возможностей интерлинеарного перевода, требуют особого рассмотрения. K этому мы сейчас и переходим в связи с рассмотрением вопроса о калькировании.

 

В результате регулярных языковых контактов происходит не только н не столько заимствование, сколько калькирование, изменение структуры значения слов по образцу структуры значения слов другого языка и образование новых слов (и словосочетаний), воспроизводящих структуру иноязычных. (Ср. ‘трогательный’, фр. touchant, ‘предрассудок’, фр. préjugé, ‘влияние’, фр. influence; фр. emulation socialiste ‘социалистическое соревнование’, sans-parti ‘беспартийный’; ‘мировоззрение’, нем. Weltanschaaung, нем. Planwirschaft ‘плановое хозяйство’; ‘нарсуд’ — англ. peoples court, ‘рабфак’, англ. workers faculties, ‘дом отдыха’ — англ. Rest House; ‘трудовая книжка’, англ. Labour Book.

 

 

Заимствуя слово, язык перенимает его звуковую субстанцию; при калькировании этого не происходит: иноязычное слово (словосочетание) переводится, причем в переводе сохраняется структура модели (ср. Grandi cantieri del comunismo, grands chantiers du communisme, die großen Bauten des Kommunismus — ‘великие стройки коммунизма’;  critica e autocritica, critique et autocritique, Kritik und Selbstkritik — ‘критика и самокритика omnipotens, tuit-poussant  Allmächtig — ‘всесильный’). Понятно, поэтому, почему свежие кальки часто воспринимаются как нечто чужеродное, а некоторые из них не принимаются.[iv] Для того, чтобы калька принималась, необходимо, чтобы язык испытывал потребность в обозначении новых понятий, получивших уже обозначение в другом языке, иначе говоря, потребность в единой категоризации действительности, единой семантической системе, возникающей в процессе контакта и, в свою очередь, способствующей ему.

 

Когда русское сочетание ‘ударная бригада’ передается на французский язык через birgade de choc, то этот перевод — калька сегодня больше не является буквальным, а становится интерлинеарным, ибо тот отрезок действительности, то содержание, которое обозначается словами ‘ударная бригада’, не имел обозначения во французском языке, а при необходимости. иметь такое было образовано сочетание, воспроизводящее семантическую структуру русского словосочетания.

В §16 указывалось, что русским существительным на -ость в романских языках соответствует, как правило, не суффиксальное образование от соответствующего прилагательного (эта русская словообразовательная модель им не свойственна), а словосочетание (ср. ‘партийность’ — esprit de parti, ‘идейность’ — richesse d’idées, richesse idéologique, haute tenue idéologique и т. и., то же — в румынском). Между тем, по мере того как контакты между языками усиливаются, заметно стремление к калькированию и этих слов[v]. (Ср. возникшие в румынском языке partinitate — ‘партийность’, ideinitate — ‘идейность’).

 

 

Tаким образом, регулярные языковые контакты приводят к сближению словообразовательных моделей: то, что было переводом буквальным, может стать приемлемым, интерлинеарным переводом. Граница между буквальным и интерлинеарным переводом зависит от границ общей части двух языков, а она изменчива.

Калькирование — весьма распространенное явления в практике международных организаций. Поучительна в этом:отношении деятельность Организации Объединенных Наций.

 

Устный и письменный перевод всех выступлений и текстов, составляющих документацию ООН и различных ее организаций, на официальные языки (или на часть из них, т. е. на рабочие языки, принятые в данной организации) требует строгой терминологической стандартизации, унификации понятий. С этим связано издание большого количества терминологических справочников и словарей, представляющих большой интерес для изучения языковых контактов и способов образования общей части. Приводим для иллюстрации сокращенный список терминов на английском, французском и русском языках, связанных со структурой Организации Объединенных Наций по вопросам образования, науки и культуры (ЮНЕСКО). При сопоставлении этих терминов легко обнаруживается калькирование:

 

General Conference

Conférence Générale

 

President of the General Conference

Président de la Conférence Générale

 

Programme Commission

Commission du programme

 

Administrative Commission

Commission administrative

 

Division on Regional Activities

Division des activités régionales

 

Department of Social Sciences

Départment des Sciences sociales

 

Division of Applied Social

Sciences

Division des sciences sociales

appliquées

 

Statistical Division

Division de statistique

Statistical Division

Division de statistique

Генеральная   конференция

 

 

Председатель Генеральной конференции

 

 

 

Комиссия по программе

 

 

Административная комиссия

 

 

Отдел региональной деятельност

 

 

 

Департамент социальных наук

 

 

Отдел   прикладных   социальных наук

 

 

 

Статистический отдел

 

 

Одной из интересных и до сих пор не решенных проблем теории перевода является вопрос о том, в каких случаях переводчик заимствует и в каких он калькирует? Ответ на этот вопрос можно было’ бы искать, например, в характере семантического элемента, передающегося при языковом контакте. Замечено, что когда возникает необходимость передачи семантического элемента, чуждого данной действительности, происходит, как правило, заимствование (фр, заимствование с русского:  samovar, cosaque, steppe).

 

Наблюдения над заимствованиями приводят к мысли, что они обозначают конкретные предметы быта, ‘ремесла’ и т. п. (Ср. ‘костюм’, ‘пальто’, ‘бокал’, ‘пудра’, ‘суп’, ‘паштет’, ‘монтер’ и т. п.).

 

Интересно введение в текст заимствованного слова как основной прием перевода многозначных, так сказать «многоплановых», слов при передаче, памятников восточной литературы. Так, В. Н. Топоров, переводчик буддистского памятника «Дхаммапада» с языка пали последовательно применяет этот принцип. В отличие от других многочисленных переводчиков этого памятника, пытавшихся толковать значение основного термина книги «дхамма» (слово «дхамма» означает ‘добродетель’, ‘закон’, ‘учение’, ‘религия’, ‘элемент’, ‘качество’, ‘вещь’, ‘явление” и т. д.), В. Н. Топоров вводит это слово в русский текст (Т о п о р о в, 1960, стр. 32 и 133).

 

Возможно, что проблема калькирования или заимствования может быть решена с привлечением некоторых теоретико-информационных соображений. При заимствовании расширяется алфавит морфем ПЯ, при калькировании же алфавит морфем остается неизменным.

 

Рассмотрим теперь некоторое сообщение  (слово, которое мы хотим перевести). Если оно употребляется очень часто (например, обозначает бытовой предмет), то имеет  смысл кодировать его одной морфемой (как правило, заимствованное слово неразложимо),  даже  за счет небольшого расширения алфавита. Если же оно употребляется редко, то выгоднее иметь длинное (по числу морфем) сообщение, но зато не расширять алфавит. Заметим, что решение этой задачи имеет большое общелингвистическое значение (ср. вопрос о том, выгодно ли считать дифтонги и аффрикаты одной фонемой).

 

Среди калек значительное место занимают так называемые крылатые слова, т. е. речения, возникшие благодаря переводу общих литературных источников. Сюда относятся речения библейского происхождения, слова и сочетания, связанные с античной мифологией, а также высказывания выдающихся людей.

 

Ввиду важности этих крылатых слов, как с практической точки зрения (они часто ставят неопытного переводчика в затруднительное положение), так и с точки зрения теории   (они   наглядно  показывают  мощность   контактов между европейскими  языками),  мы  приведем здесь  ряд показательных примеров:

 

Русский

Французский

Английский

Немецкий

Да будет свет.

Que la lumière soit.

Es werde

Licht.

Запретный плод.

Le Fruit défendu.

Forbidden

fruit.

Verbotene

Frucht. Feigenblatt.

Фиговый  листок.

Fig-leaf

Feigenblatt.

Перст божий.

Le   doigt   de

Dieu.

The finger of God

Der Finger Gottes.

Око за  око, зуб за зуб.

Œil pour œil,

dent pour

dent.

Eye for eye, tooth for tooth.

Auge um Auge, Zahn um Zahn.

Я умываю руки.

Je m’en lave les mains.

I wash my hands.

Ich wasche meine Hände in Unschuld.

Отправиться к праотцам.

Aller aux pâtres.

Be gathered to ones fathers

Zu seinen Vätern versammelt werden.

Кто сеет ветер, пожнет бурю.

Qui sème le vent récoltera la tempête.

Sow the wind and reap the wirlwind.

Wer Wind säet, wird Sturm ernten.

Плыть против течения.

Aller à contre courant.

Swim against the stream.

Wider den Strom schwimmen.

Метать бисер перед свинья

и.

Jeter des perles devant les pourceaux.

Cast pearls before swines.

Die Perlen vor die Säue werfen.

От избытка сердца глаголят уста.

De l’abondance du cœur la bouche parie.

Out of the abundance of the heart, the mouth speaks.

Wes das Herz voll ist,

es gehet     der Mund über.

Нет пророка в своем отечестве.

Personne n’est prophète dans sa patrie.

No man is a prophet in his own country.

Der    Prophet

gilt nichts in seinem Vaterlande.

Отдать богу божье, а цесарю цесарево.

Rendre à César ce qui ap

artient à César.

Render onto Caesar what Caesar’s is, and onto God what God’s is.

Gebet dem Kaiser, was des Kaisers ist,und Gott, was Gottes ist.

Деньги не пахнут.

L’argent ne sent pas mauvais.

Money has no smell.

Geld stinkt nicht.

А все-таки она вертится.

Et pourtant elle tourne (se meut).

(Ср. итальянский. oригинал:  Eppur si muove!)

Sie dreht sich doch.

Не взирая на лица.

Sans égard pour personne.

Without respect of persons.

Ohne Ansehen der Person.

Яблоко раздора.

Pomme de discorde.

The apple of discord.

Der       Zankapfel.

Ад вымощен добрыми намерениями.

L’enfer est pavé de bonnes intentions.

The (road to) Hell is paved with good intentions.

Mit guten Absichten ist die Hölle gepflastert.

В доме повешенного не говорят о веревке.

On n

 parle pas de corde dans la maison du pendu.

Im Hause des Gehängten spricht  man nicht vom Strang.

Все хорошо, что хорошо кончается.

Tout est bien, qui finit bien.

All’s well that ends well.

Ende gut — alles   gut.

Человеку свойственно ошибаться.

rrer est humain.

To err is human.

Irren ist menschlich.

Место под солнцем.

La place au soleil.

Der Platz an der Sonne.

 

 

CAPITOLO IV

TIPI DI REALIZZAZIONE DEL PROCESSO TRADUTTIVO

 

22.  Alcuni concetti importanti della teoria tradizionale del processo traduttivo

 

Nella teoria del processo traduttivo sono da sempre presenti diversi concetti di traduzione, come ad esempio quelli di “traduzione parola per parola”, “adeguata” o “libera”. Questi concetti non si basano su un unico criterio: da un lato indicano dei fenomeni linguistici (corrispondenza o mancata corrispondenza di questo o quell’elemento della cultura emittente con un elemento della cultura ricevente), dall’altro lato indicano un fenomeno artistico-estetico; concordanze o discordanze dell’immagine, delle peculiarità di genere o individuali eccetera Costruendo una teoria scientifica che punta alla descrizione costruttiva del processo, questi concettivanno sostituiti con altri più precisi.

 

Prima di illustrare questi nuovi concetti è utile, tuttavia, spiegare quale sia il significato, secondo la tradizione, dei termini traduzione “parola per parola”, “adeguata” o “libera”, per cercare di mantenere la parte valida dal punto di vista linguistico. Inizieremo dall’analisi delconcetto di “traduzione parola per parola”, considerato che, di regola, ha un significato linguistico.

 

 

Il termine “traduzione parola per parola” ha significati diversi:

1) evidenzia la altruità linguistica della traduzione, ovvero il trasferimento di certe particolarità poetiche, di genere o individuali del prototesto artistico, in contraddizione con le norme estetiche della letteratura alla quale si associa l’opera tradotta.

 

 

In questo senso il termine “traduzione parola per parola” è contrapposto al cosiddetto “declinazione (russo sklonenie) secondo i nostri costumi”, cioè al processo traduttivo per cui l’originale viene tradotto liberamente. Da qui in poi tale contrapposizione, senza tradire la propria essenza teorico-letteraria, sfocerà nella contrapposizione fra traduzione libera e parola per parola.

 

 

2) evidenzia la traduzione elemento per elemento (parola per parola, sintagma per sintagma). Talvolta in questo senso si usa il termine doslovnyj [parola per parola].

 

In questa accezione il termine “traduzione parola per parola”, evidentemente, si usa nel caso in cui la corrispondenza elemento per elemento sia realizzata in modo irregolare, violando certe norme linguistiche, stilistiche, di genere, eccetera. Si contrappone al termine “traduzione adeguata”, dove per “adeguato” s’intende la traduzione contestuale (non soltanto linguistica).

 

Nel caso in cui la traduzione “unità per unità” non sia in contraddizione con alcuna norma, il termine “bukval’nyj” o non viene del tutto utilizzato, oppure viene utilizzato il termine “doslovnyj”, solo nel caso in cui l’unità di traduzione sia la parola .

 

 

3) evidenzia la traduzione parola per parola nel caso in cui avvenga un passaggio delle norme lessico-grammaticali da una lingua all’altra e in questo, ovviamente, si contrappone a una traduzione corretta, realizzata tenendo conto delle norme linguistiche.

 

Queste non sono definizioni precise, ma solo descrizioni approssimative che tentano di precisare in qualche modo l’uso che viene fatto dei termini del discorso.

Ora passiamo all’introduzione di alcuni termini che precisano meglio quelli elencati sopra.

Essi descriveranno diversi tipi di realizzazione dello schema base della traduzione, che dipendono dal carattere delle corrispondenze assegnate in precedenza e che sono da esse previsti

 

 

23. Tipi base di corrispondenza tra unità della cultura emittente e unità della cultura ricevente

 

Abbiamo visto che è opportuno che il linguaggio d’intermediazione sia costruito in modo che ci sia, per ogni unità traduttiva dalla lingua emittente e le sue corrispondenze nella lingua ricevente:

 

a) una serie di unità semplici di senso;

b) la storia della nascita dei tratti corrispondenti del testo (sia dal punto di vista dell’entrata in una determinata configurazione, sia dal punto di vista delle trasformazioni);

c) la caratterizzazione stilistica.

 

Definiremo questa corrispondenza “piena” se l’unità delle lingua emittente e l’unità della lingua ricevente che la traduce corrispondono alla stessa serie di caratteristiche nel linguaggio di intermediazione.

Nella classe di parole tra cui possiamo stabilire una corrispondenza piena figurano termini il cui significato si limita alla loro correlazione oggettuale.

 

 

In questa classe non rientrano solo i termini scientifici, ma anche tutte le unità di entrambe le lingue che indicano categorie comuni alle due culture. Per esempio la lingua russa e le lingue romanze hanno in comune i numerali, i termini che indicano una relazione di spazio, i principali concetti della vita economica e politica dei popoli europei, eccetera. Secondo un calcolo preliminare, circa il 40% delle parole nozionali (sostantivi, aggettivi, verbi e avverbi) nei testi sociopolitici su temi internazionali spesso sono tradotti in francese, inglese, tedesco e nelle altre lingue con gli stessi termini.

 

 

In relazione ai fenomeni qui analizzati, si veda la prossima definizione: «Definiremo congruenti le due unità dei dizionari confrontati che, occupando un unico posto sull’asse paradigmatico, hanno le stesse identiche funzioni sintagmatiche. Un esempio della piena congruenza potrebbe essere il termine statičeskaâ čuvstvitel’nost’ [sensibilità statica] (inglese static sensitivity; francese sensibilité statique; tedesco Statische Empfindlichkeit; spagnolo sensibilidad estatica; olandese statische gevoeligheid; polacco wydajnosc statyczna; svedese statisk känslighet” (Andreev, Zambržickij , Pazuhin, Pak:1).

 

Passiamo, ora, alle corrispondenze parziali. Innanzitutto in questo caso è possibile fare una divisione nei seguenti tre gruppi, a seconda di quali caratteristiche si rivelino discordanti:

 

a) corrispondenza con invarianti di senso e stilistiche, ovvero quelle in cui coincidono solo le caratteristiche della provenienza.

 

Come esempio vediamo la traduzione della seguente frase in russo:

 

“Kerson umer v 1925 g., liš’ nenadolgo pereživ svoû političeskuû smert’.“ [Kerson non sopravvisse a lungo alla sua morte politica: morì nel 1925.]

 

Nella sua traduzione in tedesco e in francese il ruolo della conseguenza può essere affidato al rapporto tra le due frasi nucleari, senza un’ulteriore trasformazione:

tedesco Er überlebte seinen politischen Tod nicht lange, (denn) er starb 1925. francese Il ne survécut pas longstemps à sa mort politique: il mourut en 1925.

 

Quando parliamo del mantenimento delle caratteristiche stilistiche prendiamo in considerazione non solo le indicazioni corrispondenti a certe parole, ma anche il carattere generale della struttura, quello che talvolta viene definito “figura stilistica”. Conviene segnalare che questa caratteristica non è vaga ma può essere riconosciuta a prima vista. Siccome le figure semplici possono essere elencate (ciò è stato fatto nei vecchi corsi di retorica), ci si può immaginare che questa sia un’integrazione all’algoritmo dell’analisi sintattica che affronta la costruzione della frase dal punto di vista della presenza, in essa, di una tra le figure indicate;

 

b) corrispondenza con le invarianti di senso, cioè quelle in cui possono distinguersi non soltanto le caratteristiche della provenienza, ma anche quelle dello stile.

 

È tipica la discordanza tra le norme stilistiche traducendo testi giornalistici, come per esempio della cronaca sportiva. Sui giornali tedeschi ci sono molti termini speciali, spesso piuttosto coloriti ma poco comprensibili per i non appassionati. Ecco un esempio (Švanebah, Revzin:83): Für die eindrucksvollte Vorstellung sorgte Halbweltergewichtler Niegsch, als er favorisierten Strauss mit einem schweren Recht-Haken abfing un zu Boden zwang.

 

 

 

Il mantenimento nella traduzione di caratteristiche stilistiche di singole parole conferisce, nella migliore delle ipotesi, un esempio di cattivo “gergo sportivo”.

“O najbolee ârkom predstavlenii pozabotilsâ bokser polsrednego veca Nišg, pojmav lûbimca publiki Štrausa na krûk sprava i brosiv ego na zemlû.” [Di uno show più spettacolare si è occupato il peso welter Nieshg, colpendo Strauss, il favorito del pubblico, con un gancio destro buttandolo a terra.]

 

Si veda una traduzione più “tranquilla”:

“Naibolee ubeditel’no provël boj bokser polusrednego vesa Nišg, kotoromu udalos’ nokautirovat’ tâžëlym udarom pravoj svoego protivnika, lûbimca publiki Štrausa.”

[Il peso welter Nieshg ha condotto l’incontro in modo più convincente, riuscendo a mettere k.o. con un colpo destro il suo avversario Strauss, il favorito del pubblico.]

 

Non mantenere le caratteristiche di stile spesso porta a fenomeni che nella pratica della traduzione hanno assunto la definizione di “appiattimento”. Un esempio di appiattimento è la traduzione in russo della seguente frase in tedesco: In Chemnitz war der Boden für ihn zu heiss geworden. [A Chemnitz il terreno era diventato troppo caldo per lui.]– V Hemnice prebyvanie stalo dlâ nego opasnym. [Restare a Chemnitz era diventato pericoloso per lui.] Qui, tuttavia, si può mantenere la caratteristica stilistica e lasciare un’espressione figurata nella traduzione, come per esempio: “V Hemnice zemlâ gorela pod ego nogami.” [A Chemnitz la terra gli bruciava sotto i piedi].

 

Un altro esempio di appiattimento: “X. n’y va pas par quatre chemins” [X. Non ci gira intorno – lett. X. Non gira intorno al cespuglio.] – “X. pišet оb ètom dovol’no otkrovenno” (it. «X. scrive in maniera piuttosto franca»).

 

c)   corrispondenze che non mantengono il senso.

In riferimento a questo terzo caso è necessario osservare quanto segue. È chiaro che il non mantenimento totale del senso contrasti con la definizione stessa di traduzione. La questione, tuttavia, è che nella serie di unità di senso corrispondenti al brano di un testo possono esserci unità più o meno importanti, ovvero può essere che sia stabilita una gerarchia certa degli elementi di senso. Prendiamo come esempio la frase: “Afrikanskie narody krov’û zavoevali svoû nezavisimost’.” [I popoli africani hanno pagato con il sangue la loro indipendenza] tradotta in francese come segue: Les peuples d’Afrique ont acheté l’indépendance au prix de leur sang. Il verbo russo zavoevat’ è reso con il verbo francese acheter, che significa “comprare, acquistare”.

 

A prima vista sembrerebbe che il senso del verbo russo zavoevat’ non sia mantenuto. Ma in realtà non è così, poiché sia il verbo russo zavoevat’ sia il verbo francese acheter hanno il significato elementare di “comprare, acquistare”. Questo significato generale in un dato contesto è rilevante, ma il significato di ottenere la proprietà (con la forza, pagando una certa somma di denaro, eccetera) qui è irrilevante. In altre parole, la corrispondenza qui affrontata si stabilisce in modo tale da mantenere il segno differenziale di base, elementare e di senso di un certo gruppo di parole, ma neutralizza le proprietà che differenziano queste parole. Così le parole priobresti, kupit’, zavoevat’, ukrast’, eccetera, che hanno come significato generale “comprare, acquistare”, possono differenziarsi una dall’altra.

 

 

In tal modo, tra la maggioranza dei sensi elementari confrontati con la parola, si possono assegnare alcuni sensi di base, i più importanti, che sono in correlazione con il contesto. Possiamo chiamare questo sottoinsieme di sensi più importanti “sensi generali di una parola”. Il senso generale di una parola sarà anche un’invariante che si mantiene nella traduzione. A fronte di ciò prendiamo in considerazione che il significato generale di una parola può essere assegnato alla struttura stessa del linguaggio di intermediazione, cioè può essere fissato precedentemente.

 

 

Così si assicura la realizzazione del processo di traduzione secondo lo schema num. 4.

Un fenomeno analogo avviene quando è necessario assegnare il significato generale di una parola, ma questa assegnazione non può essere prefissata, ma deve essere dedotta dal contesto.

 

Analizziamo la seguente frase: “Dva dlinnyh râda gustyh derev’ev počti upiraûtsâ v naberežnuû.” [lett. Due lunghe file di alberi fitti quasi si imbattono sul lungomare.]

 

Nella traduzione in lingua francese la corrispondenza diretta con “upiraûtsa v…” [si  imbattono in] non c’è. Considerata la complessità della struttura semantica della parola data ciò è comprensibile. La sua definizione sul dizionario riporta tre voci: 1. puntellarsi, appoggiarsi; 2. imbattersi; in qualcosa; (coll.); 3. (pop.) impuntarsi”.

 

 

 

Questi significati sono illustrati, rispettivamente, dai seguenti esempi: “puntare i piedi a terra; camminò e camminò, e si imbattè in una staccionata; si impuntò e non andò da nessuna parte (vd. «Slovar’ russogo âzika», S. I. Ožegov, pubbl. 1953). In senso stretto nessuna di queste definizioni corrisponde al significato della parola cercata. In modo intuitivo capiamo che tra gli esempi riportati quello che ò più simile al senso di “imbattersi” si trova nella frase “camminò, camminò e si imbatté in una staccionata”.

 

Tale interpretazione dipende dal fatto che la fila di alberi può essere vista come una fila di oggetti simili disposti uniformemente e che si susseguono in un certo ordine. Questo semplice significato della successione da un punto (inizio) verso un altro (fine) entra nella composizione del significato della parola “uperet’sâ” sia nel contesto “imbattersi in qualcosa”, sia nel contesto della frase stessa.

 

 

Stando alla sintesi della frase francese, si sarebbe potuto scegliere, tra i numerosi traducenti del verbo uperet’sâ, il verbo buter, ovvero “imbattersi in qualcosa”.

 

Così facendo, tuttavia, supponiamo che il lettore francese abbia avuto le stesse esperienze di vita dell’autore russo, e che quindi sia nella condizione di individuare nel verbo buter il significato semplice di “successione da un punto (inizio) verso un altro (fine)” e di lasciare da parte la definizione “imbattersi in qualcosa”. Il traduttore può, però, cambiare il verbo “upiraûtsâ v…” con altre parole che comprendono il significato semplice di “successione da un punto (inizio) verso un altro (fine)”, per esempio con le parole “idut do” – vont jusqu’à. “Dva râda derev’ev upiraûtsâ v naberežnuû.” sarà tradottain francese così: “Deux rangées d’arbres vont jusqu’au quai.” [Due file di alberi arrivano fino al molo.]

 

Abbiamo così caratterizzato la corrispondenza parziale dal punto di vista semantico-strutturale o sistemico (e proprio dal punto di vista di quella serie di caratteristiche del linguaggio di intermediazione attraverso cui si instaura una corrispondenza).

 

Passiamo ora all’altra parte della questione. Osserviamo le corrispondenze parziali dal punto di vista delle condizioni del contesto in cui esse prendono forma, ovvero dal punto di vista del loro funzionamento nel discorso.

 

Per quanto riguarda le corrispondenze parziali è possibile fare una suddivisione in due aspetti diversi aspetti:

a) convenzionali e b) verosimili.

Le corrispondenze convenzionali sono così definite poiché gli elementi di una traduzione di una qualsiasi sottolingua della lingua emittente corrispondono alle condizioni di esistenza di un certo ambiente per l’elemento dato.

 

Rientrano in questa classe parole provenienti da una diversa categorizzazione in due (o più) lingue, ovvero una significativa maggior parte delle parole. Cfr. noga jambe/pied, ruka main/bras. Per stabilire una corrispondenza di queste parole nella lingua emittente è necessario conoscere il loro ambiente, il loro contesto (cfr. “Rebënok sidel u nego ne na nogah” [il bambino non stava sulle sue ginocchia.] e “On udaril ego nogoj” [Gli ha tirato un calcio.]).

 

Così il concetto di corrispondenza parziale riflette l’idea affermata che la traduzione dipenda dal contesto (21). Dunque per la traduzione della frase “Pered dvorcom raskinulas’ širokaâ ploŝad’” [davanti al palazzo si estende una grande piazza] ci imbattiamo in un’altra difficoltà: la parola širokij [grande, ampio] non ha una corrispondenza piena nella lingua francese: può essere contrapposta alla parola generale uzkij [stretto], così come la parola francese large [grande, ampio] può essere contrapposta alla parola long [lungo] (russo dlinnyj). Ma la parola large comprende in se il significato elementare di “estensione nello spazio”, che si trova anche nella parola vaste [vasto]. Considerando il microcontesto della parola širokij nella frase proposta in precedenza (širokaâ ploŝad’), secondo la sintesi del testo francese scegliamo in qualità di corrispondenza convenzionale della parola russa širokij la parola francese vaste.

 

Ciò che le corrispondenze piene e convenzionali hanno in comune è che per ogni unità traduttiva esiste una corrispondenza diretta (nella data sottolingua).

Affrontiamo ora il caso in cui tale corrispondenza univoca sia non sia realizzabile per una certa sottolingua.

Definiremo “probabile” la corrispondenza secondo cui a un elemento della lingua emittente corrispondono diversi traducenti nella lingua ricevente, in linea di principio non riconducibili uno all’altro e per ognuno dei quali, nello stesso tempo, è necessario indicare un contesto ragionevolmente limitato; tale contesto definisce l’elemento in modo univoco, e può  indicare soltanto una certa probabilità circa la scelta di un traducente piuttosto che di un altro.

 

Per esempio, per la parola “beseda” [conversazione] è necessario indicare in modo ragionevole un contesto limitato che determini la scelta del francese causerie, del tedesco Unterhaltung oppure del francese entretien e del tedesco Gespräch, Unterredung. Ma si può determinare la probabilità della comparsa di una corrispondenza piuttosto che di un’altra per la sottolingua data.

 

Analizziamo la seguente frase: “Istočniki suŝestvovaniâ etogo zavedeniâ

tumanny” [Le fonti per il sostentamento di questa impresa sono poco chiare]. Non c’è una corrispondenza diretta della parola “zavedenie” [istituzione, impresa] in inglese, francese, tedesco e altre lingue. Di regola essa si incontra insieme a parole con cui si forma un’unità traduttiva (cfr. uchebnoe zavedenie [scuola] – institution d’enseignement, Mittel- und Hochschule eccetera.).

In questo testo si parla di una società per azioni che cela dietro l’aspetto dell’istituzione scientifica o di ricerca un’attività politica illecita. Soltanto la conoscenza di questo fatto, che si deduce dall’articolo intero, permette di scegliere con maggiore verosimilità un traducente per zavedenie: Cette officine dispose de ressources d’origine douteuse. [Questa impresa dispone di risorse poco chiare.]

 

Bisogna sottolineare che se le corrispondenze piene e convenzionali descrivono una situazione per cui le condizioni (la realtà) dello schema 3 non sono necessarie, l’equivalenza probabile descrive quel caso per cui una scelta univoca è possibile soltanto a tali condizioni, mentre secondo lo schema 4 è possibile soltanto indicare una corrispondenza probabile.

 

 

N o t a.  Di regola le corrispondenze dirette coincidono con le corrispondenze biunivoche. Ricordiamo che una corrispondenza è definita biunivoca quando soddisfa le seguenti condizioni: A corrisponde a B e solamente a B, B corrisponde ad A e solamente ad A. possono esserne esempi le seguenti parole: ânvar’ – Januar – Janvier – January; sem’ – Sieben – sept – seven (sono possibili anche corrispondenze biunivoche grammaticali: Der Himmel ist blau – le ciel est bleu – the sky is blue. O ancora: Er hatte gesehen – il avait vu – he had seen.)

 

Sottolineiamo tuttavia che il concetto di corrispondenza diretta è più ampio di quello di corrispondenza biunivoca. La corrispondenza può essere diretta, ma non biunivoca; per esempio: načinat’ [iniziare] – beginnen, anfagen, to start, to begin, to commence.

 

 

In relazione a questo, lo schema analizzato di seguito rappresenta la sintesi dello schema offerto precedentemente dagli autori (Revzin, Rozencvejg:56-57).

 

24. Definizioni di base della teoria della traduzione

 

Introduciamo un concetto ausiliario, il concetto di “sovracategoria”.

Diremo che due unità traduttive, delle quali una individuata nella lingua emittente in relazione alla lingua ricevente, e l’altra individuata nella lingua ricevente in relazione alla lingua emittente, appartengono a una sopracategoria se tra loro si può stabilire una corrispondenza diretta, o a un’altra se tale corrispondenza non è possibile. Per esempio, Wandzeitung e stennaâ gazeta [giornale murale] appartengono a una sopracategoria, mentre uût e comfort [comodità] a un’altra.

 

 

Prendiamo ora due lingue L1 e Led evidenziamo tutte le unità traduttive che si riferiscono a esse.

Ogni unità traduttiva appartiene a una certa sopracategoria formata sulla base dell’analisi delle corrispondenze tra queste due lingue. Alcune sopracategorie comprendono unità traduttive di entrambe le lingue, altre invece di una sola tra le due. Abbiamo ottenuto due insiemi di sopracategorie che, in generale, si intersecano.

Vediamo lo schema 8:

 

Nella parte tratteggiata si trovano le sopracategorie che comprendono unità di L1 e di L2, o in altre parole le unità tra le quali di può stabilire una corrispondenza diretta.

Osserviamo ora il processo della traduzione da L1 a Lo da  L2 a L1.

 

Sono possibili in linea di principio due diversi tipi di traduzione:

1)  l’elemento α rientra nella parte in comune alle due lingue  L1 e L2. Poiché nella sopracategoria dell’elemento α rientra un certo elemento β, e quindi tra α e β si stabilisce una corrispondenza diretta, allora il passaggio da α a β è una semplice ricodifica. Chiameremo tale traduzione interlineare. Il caso particolare di una traduzione interlineare, e precisamente quando le unità di traduzione sono parole, rappresenta la traduzione parola per parola.

 

Ci occupiamo più nel dettaglio della traduzione come ricodifica nel paragrafo 25.

 

2)  l’elemento α non rientra nella parte in comune alle due lingue  L1 e L2. In questo caso la situazione è più complessa e sono possibili alcuni sottotipi.

a) il processo di traduzione avviene come se l’elemento rientrasse nella parte comune alle due lingue, quindi si ritiene che si possa stabilire una corrispondenza diretta tra l’elemento α e un elemento β in L2. In altre parole, in questo caso si amplia il sistema di L2 e si integra accanto alla sopracategoria di L1. Definiremo tale traduzione parola per parola.

 

b) il processo di traduzione avviene in modo che un elemento αsi sostituisca all’interno di L1 con un elemento α1 che rientra nella parte tratteggiata; allo stesso tempo l’elemento α1 è scelto affinchè il senso della frase sia mantenuto. In seguito si stabilisce una corrispondenza diretta tra α1 e β, dove β rientra in una sopracategoria con α1. Definiremo tale traduzione semplificante.

La differenza di questo schema rispetto al precedente è che qui l’elemento originario non si trova per forza nella parte comune alle due lingue. È inoltre possibile il caso in cui l’elemento traducente non sia scelto obbligatoriamente dalla parte comune.

 

c) il processo di traduzione si svolge nel primo stadio come in 1 o in 26, ovvero si stabilisce direttamente una corrispondenza tra α e β se entrambi si trovano nella parte in comune o, come affrontato nel punto b, tra α e α1 e in seguito tra  α1 e β. Ora, all’interno di L2 avviene già una modulazione o una trasformazione, ovvero vengono scelte tutte le parti di un testo che hanno lo stesso senso, sia β (cioè β1,  β2 … βn), sia le corrispondenze stabilite tra le unità traduttive e uno tra gli elementi β1 già visti (β1, β2… o βn). Definiremo tale traduzione precisa.

d)  il caso particolare di traduzione precisa è rappresentato da quella traduzione in cui la scelta della corrispondenza avviene mantenendo le caratteristiche stilistiche e tenendo conto delle regole di coerenza nella lingua L2 tra la parte data e le parti che lo circondano, che risultano dalla traduzione di altre unità (ovvero tenendo conto del contesto della cultura ricevente). Definiremo tale traduzione adeguata.

È facile sottolineare che per questo la definizione di ogni traduzione adeguata si trova insieme alle traduzioni precise. Il contrario non è corretto.

 

Per quanto riguarda la relazione tra traduzione interlineare e traduzione precisa, si può evidenziare che ogni traduzione interlineare è, al contempo, precisa. Una traduzione interlineare, compresa quella parola per parola, può essere adeguata solo alla condizione che si mantenga la caratterizzazione stilistica e si osservino le leggi di coesione, ovvero quando una qualsiasi traduzione precisa diventa adeguata.

 

e) è possibile anche quella traduzione per cui la scelta dl traducente avviene esclusivamente sulla base delle leggi della coesione e non su quelle della corrispondenza. Definiremo tale traduzione “libera”.

 

Visto che la traduzione libera, intesa con questa definizione, può essere realizzata solo alle condizioni in cui si considera il concetto di poetica, questa non può essere da noi approfondita di più.

 

I paragrafi 25-29 sono dedicati a un’ulteriorе analisi dei tipi di realizzazione del processo traduttivo.

 

25. La parte in comune a due lingue e il suo ruolo nella traduzione, prestiti e calchi

 

Secondo un processo qualsiasi di apprendimento di un’altra lingua e la stessa instaurazione di corrispondenze tra due lingue, bisogna individuare un certo numero di corrispondenze dirette, ottenute tramite il riferimento diretto agli oggetti. È proprio l’ambito degli oggetti riguardanti l’intersezione di due lingue (Quine, 1953, pag.62) a essere la base della comunicazione bilingue e della stessa traduzione; al contempo tale ambito si amplia gradualmente con un aumento dei contatti e porta, infine, alla formazione di quella che noi chiamiamo parte comune a due lingue.

 

Per potere immaginare più facilmente il processo di genesi della parte comune al sistema di due lingue, ricordiamo come si svolge la prima fase del processo di studio di una lingua straniera per gli scolari e gli studenti.

Con l’aiuto del manuale e dell’insegnante lo studente impara il significato delle parole e le forme grammaticali di quella lingua, ovvero la loro traduzione nella sua lingua madre. Tale traduzione è, di regola, parola per parola, poiché nella fase data la lingua straniera si compone di elementi che hanno ognuno una sola corrispondenza nella lingua madre.

 

 

In conseguenza di un confronto continuo, queste corrispondenze si fissano nella memoria formando, come da definizione di L. V. Ŝerba, una lingua con due termini. È proprio questa, nella fase indicata del processo di apprendimento, la parte comune alla lingua madre e a quella straniera.

 

La parte comune a due lingue compare soprattutto in modo evidente nel lessico. Ed è chiaro: le unità lessicali di una lingua sono meno collegate tra loro rispetto agli elementi fonologici, morfologici o sintattici. L’influenza dei contatti linguistici è evidente, tuttavia, sia nella morfologia che nella sintassi.

Dal punto di vista della teoria e della pratica della traduzione ci si concentra separatamente su ciò che aiuta l’istituzione di corrispondenze dirette: i prestiti e i calchi.

 

 

Analizziamo i prestiti.

È noto che le lingue traggono l’una dall’altra parole e collocazione. Alcune di queste parole, i cosiddetti internazionalismi, si trovano in molte lingue (cfr, per esempio, demokratiâ [democrazia]– democracy, démocratie, Demokratie; socializm [socialismo] – socialism, socialisme, Sozialismus; revolûziâ [rivoluzione] – revolution, réevolution, Revolution; partiâ [partito] – party, parti, Partei; universitet [università]– university, université, Universität; tragediâ [tragedia] – tragedy, tragédie, Tragödie; basketbol [basket] – basket-ball, basket-ball, Basketball). Queste parole compaiono in molte lingue, comprese anche lingue non nazionali, ma non in tutte.

 

In relazione a ciò è stato affermato che il termine internazionalismo non è preciso. È stato proposto di sostituirlo con il termine “regionalismo”. Tuttavia anche questo è inadatto, poiché le parole appartenenti a questo gruppo esistono anche in lingue geograficamente lontane.

 

Useremo il termine “internazionalismo” considerando l’entrata di queste parole nella lingua dei contatti internazionali, politici e scientifici, e anche nelle lingue artistiche straniere. Già a prima vista è chiaro che, sebbene nelle relazioni fonologiche e morfologiche gli internazionalismi sottostiano al sistema della lingua data, essi non di meno conservano tra loro una somiglianza (più evidente nella parte scritta).

 

 

È d’obbligo sottolineare che, dal punto di vista della teoria della traduzione, queste parole rientrano nella parte comune di lingue corrispondenti e, pertanto, si traducono in modo interlineare.

Gli internazionalismi spesso si trovano nelle traduzioni di testi politici. Tuttavia essi appartengono, in sostanza, alla lingua della scienza, internazionale secondo il suo contenuto. Creati in tale o tal altra lingua, soprattutto da morfemi latini o greci, i termini internazionali scientifici e le collocazioni si diffondono in altre lingue (cfr. i termini “kibernetica” [cibernetica], “èntropiâ” [entropia] nati negli ultimi tempi). Sono, di base, sostantivi (anche i termini complessi come “dialettologiâ” [dialettologia], “spektometr” [spettrometro] eccetera).

 

L’univocità della terminologia scientifica per la maggiore non contrasta il fatto che in certe scienze, come per esempio in linguistica, ci sia un’instabilità nell’uso dei termini (cf. “âzyk” [lingua], “reč” [discorso] langue, langage, parole, “fonema”, “morfema”, “sintagma” eccetera.).

 

 

Con lo sviluppo e la precisazione dei concetti di base, la terminologia scientifica acquisisce univocità. Più astratta è una scienza, ovvero più essa si basa su certi concetti teorici, più la sua terminologia sarà precisa. (Cfr., per esempio, l’univocità della terminologia matematica).

 

 

Lo sviluppo del commercio internazionale, delle relazioni e dei contatti tecnico-scientifici porta, come è noto, alla standardizzazione della terminologia tecnica, ovvero all’ampliamento della parte comune a due lingue.

 

Oltre agli internazionalismi, nella parte comune a due lingue date – cioè che si traducono parola per parola – rientrano anche i prestiti. (Cfr., per esempio, le parole russe prese in prestito dal francese: “roman”, [romanzo] “vizit” [visita], “manevry” [manovre], “partizan” [partigiano] e, dall’altro lato, le parole francesi prese in prestito dal russo: “soviet”).

 

È necessario considerare, tuttavia, che non tutte le parole che sono prestiti in una lingua A da una lingua B rientrano nella parte a loro in comune. Come per esempio la parola “konferans’e” [presentatore], prestito dal francese, non corrisponde alla parola “conférencier” [conferenziere] ma alla parola “presentateur” [presentatore]. Alla parola francese “conférencier” non corrisponde in russo “konferans’e”, ma “lektor”. Il termine russo “demonstraciâ” [dimostrazione] (cfr. uličnaâ demonstraciâ [dimostrazione di piazza]), è un prestito dal tedesco Demonstration, ma in francese, a parità di senso, non è la parola démonstration a corrispondere, ma la parola manifestation. Non c’è corrispondenza diretta neanche tra alcune parole come il prestito dal tedesco “sanatorij” [sanatorio, casa di cura] e il francese “sanatorium”.

 

Parole come “demonstraciâ” [dimostrazione] – ted. “Demonstration”– fr. “démonstration” si presentano a prima vista come internazionalismi, ma in realtà non lo sono. Essi sono i cosiddetti falsi amici di un traduttore.

 

Molti di questi falsi amici risalgono etimologicamente a quella fonte che rende difficile la loro individuazione. Cfr. “passažir” [passegero] (nel suo senso generale) e fr. passager [passeggero a bordo], fr. voyage [viaggio] e ingl. voyage [viaggio per mare]; “triviâl’nyj” [banale], ingl. trivial e fr. trivial [rozzo]; fr. salaire [salario di un lavoratore] e ingl. salary [stipendio per chi esercita una libera professione]; loâl’nyj [leale, corretto], fr. loyal, ingl. loyal [fedele, devoto]; rus. figura, fr. figure (viso).

I falsi amici posso anche essere parte di collocazioni . Cfr., per esempio, ing. fresh w

ater (acqua fresca) e il fr.. eau fraîche (acqua dolce).

Alcune parole simili compaiono nelle traduzioni in modo inopportuno. Per esempio la parola practically (che significa “in realtà, di fatto”) spesso è tradotta con la parola praktičeski, il cui significato in russo si oppone a teoretičeski. La parola pathetic (toccante, commuovente, patetico) è sempre tradotta in russo con “patetičeski”. Cfr. anche l’espressione “according to liberal estimates” – in russo “po širokim podsčëtam” (al posto di “po skromnym  podsčjotam”); comfortable income – in russo “horošij dohod” e non “komfortabel’nyj dokhod”, eccetera.

 

Alcuni falsi amici sono tali solamente in alcune sottolingue. Cfr. per esempio: fr. “attaque”, ingl. “attack” [attacco]; in altri contesti: “les attaques contre le droits démocratiques” (“the attacks on democratic rights”) – “nastuplenie [offensiva] na demokratičeskie prava…”, cfr. anche: ted. “gegen die demokratischen Rechte Attacke reiten”.

 

 

Sottolineiamo che, come risultato dei contatti linguistici, un prestito può assumere il significato della parola corrispondente nella lingua da cui esso deriva. Così la parola russa “brigada” corrisponde univocamente al francese brigade solo nei testi incentrati sulla guerra. In sintagmi come “brigada rabočih”, tale parola è tradotta con “équipe”. Negli ultimi tempi, tuttavia, essa si traduce in certi contesti con brigade.

(cfr. “kommunističeskie brigady” – les brigades communistes”).

 

 

Metodi simili di ampliamento della parte comune alle lingue, e dunque anche delle possibilità di traduzione interlineare, richiedono un approccio particolare. Lo affrontiamo ora in relazione all’approccio alla questione dei calchi.

 

Il calco è una conseguenza di contatti linguistici regolari più del prestito; esso è un cambiamento della struttura del significato delle parole in base al modello della struttura del significato delle parole nell’altra lingua, e genera la formazione di parole nuove (e di collocazioni) che riportano la struttura di altre lingue. (Cfr. “trogatel’nyj” [toccante], fr. touchant, “predrassudok” [pregiudizio] fr. préjugé, “vliânie” [influenza] fr. influence; fr. emulation socialiste “sozialističeskoe sovernovanie” [emulazione socialista], fr. sans-parti “bespartijnyj” [senza partito]; “mirovozzrenie” [concezione del mondo] ted. Weltanschauung, “planavoe hozâjstvo” [economia pianificata] ted. Planwirschaft; “narsud” [tribunale popolare] ingl. peoples court, “rabfak”, ingl. workers faculties, “dom otdyha” [casa vacanze] ingl. Rest House; “trudovaâ knižka” ingl. Labour Book).

 

Con il prestito la lingua assume la sua sostanza fonetica; con i calchi ciò non accade: le parole di altre lingue (e le collocazioni) si traducono, e nella traduzione si mantiene la struttura del modello (cfr. it. grandi cantieri del comunismo, fr. grands chantiers du communisme, ted. die großen Bauten des Kommunismus – “velike strojki kommusizma”; it. critica e autocritica, fr. critique et autocritique, ted. Kritik und Selbstkritik – “kritika i samokritika”; lat. omnipotens, fr. tout-puissant, ted. Allmächtig – “vsesil’nyj” [onnipotente]). È chiaro, quindi, il motivo per cui i nuovi calchi spesso sono assorbiti come qualcosa di estraneo e che alcuni di questi non attecchiscono. Perché questi attecchiscano è necessario che la lingua abbia sentito la necessità di definire nuovi concetti già presenti in altre lingue; la necessità, in altre parole, di un’unico frammento di realtà, di un unico sistema semantico che si crea nel processo dei contatti e che, a sua volta, contribuisce a formarlo.

 

 

Quando “udarnaâ brigada” [brigata d’assalto] si traduce in francese “brigade de choc”, tale traduzione non è più un calco parola per parola, ma diventa interlineare dacché il frammento di realtà, che è il contenuto ed è indicato dalle parole “udarnaâ brigada”, non aveva designazione in francese; per necessità è stata creata tale collocazione, che riproduce la struttura semantica della collocazione russa.

 

Nel paragrafo 16 è stato indicato che ai sostantivi russi che terminano in -ost’ di regola non corrisponde, nelle lingue romanze, alla suffissazione del corrispondente aggettivo (tale modello di formazione delle parole non è caratteristico delle lingue romanze), ma a una collocazione (cfr. “partijnost’” [appaetenenza al partito] – fr. esprit de parti; “idejnost’” [dedizione a un’idea], fr. richesse d’idées, richesse idéologique, haute tenue idéologique eccetera.; lo stesso in rumeno). Nel frattempo, quando i contatti tra le lingue si rafforzano, è evidente una tendenza al calco anche di queste parole. (cfr. parole nate in lingua rumena come partinitate – “partijnost’ ”, ideinitate – “idejnost’ ”).

 

In questo modo regolari contatti linguistici portano a una convergenza dei modelli di formazione delle parole: quella che era una traduzione parola per parola potrebbe diventare una traduzione interlineare accettabile. Il confine tra la traduzione parola per parola e quella interlineare dipende dai confini della parte comune a due lingue, ed essa è mutevole.

Il calco è un fenomeno molto diffuso nella prassi dell’organizzaione internazionale. È indicativa, in questo caso, l’attività dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

 

La traduzione orale e scritta di tutti i discorsi e dei testi che compongono la documentazione dell’ONU e delle altre sue organizzazioni, nelle lingue ufficiali (o anche solo in parte di esse, ovvero nelle lingue di lavoro utilizzate nell’organizzazione), richiede una precisa uniformazione dei termini e dei concetti. A ciò è connessa la pubblicazione di una grande quantità di norme redazionali e di dizionari terminologici, che sono di grande interesse per lo studio dei contatti linguistici e delle modalità di formazione della parte in comune. Portiamo a dimostrazione un breve elenco di termini in inglese, francese e russo, legati alla struttura dell’Organizzazione delle Nazioni Unite in relazione all’istruzione, alla scienza e alla cultura (UNESCO).Confrontando questi termini si trovano facilmente dei calchi:

 

General Conference

Conférence Générale

 

President of the General Conference

Président de la Conférence Générale

 

Programme Commission

Commission du programme

 

Administrative Commission

Commission administrative

 

Division on Regional Activities

Division des activités régionales

 

Department of Social Sciences

Départment des Sciences sociales

 

Division of Applied Social

Sciences

Division des sciences sociales

appliquées

 

Statistical Division

Division de statistique

Statistical Division

Division de statistique

Генеральная   конференция

 

 

Председатель Генеральной конференции

 

 

 

Комиссия по программе

 

 

Административная комиссия

 

 

Отдел региональной деятельност

 

 

 

Департамент социальных наук

 

 

Отдел   прикладных   социальных наук

 

 

 

Статистический отдел

 

 

Uno dei problemi interessanti e ancora irrisolti della teoria della traduzione è il seguente: in quali casi un traduttore sceglie un prestito e in quali un calco? Si potrebbe cercare la risposta a questa domanda nel carattere dell’elemento semantico, che si trasmette a fronte del contatto linguistico. È stato osservato che quando compare la necessità della trasmissione dell’elemento semantico, estraneo alla data realtà, si sceglie il prestito (prestiti dal russo al francese: samovar, cosaque, steppe).

 

 

Le osservazioni sui prestiti portano all’idea che essi indichino oggetti concreti della vita quotidiana, di un “mestiere” eccetera (cfr. “kostûm”, “pal’to”, “bokal”, “pudra”, “sup”, “paštet”, “monter” eccetera).

 

È interessante l’immissione di prestiti nel testo come procedimento di base per la traduzione di parole con più significati, anche dette “politematiche”, per la trasmissione di opere della letteratura orientale. Di conseguenza V. N. Toporov, traduttore dell’opera buddista Dhammapada dalla lingua pali, applica questo principio. Diversamente da numerosi altri traduttori di quest’opera, che tentano di chiarire il significato del termine principale del libro “dhamma” (la parola “dhamma” significa virtù, legge, dottrina, religione, elemento, qualità, cosa, fenomeno eccetera), Toporov introduce tale parola nel testo russo (Toporov, 1960, pagg. 32 e 133).

 

 

È possibile che il problema dei calchi o dei prestiti possa essere risolto con la raccolta di alcune considerazioni teorico-informative.

Per quanto riguarda i prestiti si amplia l’alfabeto dei morfemi della lingua emittente; per i calchi l’alfabeto dei morfemi resta invariato.

 

Consideriamo ora un messaggio (una parola da tradurre). Se esso ricorre frequentemente (per esempio quando si tratta di un oggetto di uso quotidiano), ha senso codificarlo con un morfema (di regola i prestiti non possono essere scomposti), a discapito di un modesto ampliamento dell’alfabeto. Se invece esso ricorre raramente, è più utile usare un messaggio lungo (per quantità di morfemi), ma in compenso non ampliare l’alfabeto. Sottolineiamo che la soluzione a questo problema ha un grande significato nella linguistica generale (cfr. la questione circa l’utilità di considerare dittonghi e affricate come un fonema).

 

Tra i calchi ricoprono un posto significativo le cosiddette parole famose, ovvero locuzioni nate grazie alla traduzione di fonti comuni della letteratura. A ciò risale l’origine delle locuzioni bibliche, parole e composizioni di parole, legate all’antica mitologia, ma anche alle dichiarazioni di gente di spicco.

 

Data l’importanza di queste parole famose, sia dal punto di vista della pratica (spesso pongono un traduttore poco esperto di fronte a una situazione complicata) che da quello che della teoria (mostrano in modo evidente la possibilità di contatti tra le lingue europee), riportiamo di seguito un elenco di esempi significativi.

 

Russo

Francese

Inglese

Tedesco

Da budet svet. [Che sia luce]

Que la lumière soit.

Es werde

Licht.

Zapretnyj plod. [Il frutto proibito]

Le Fruit défendu.

Forbidden

fruit.

Verbotene

Frucht. Feigenblatt.

Figovyj listok. [Foglia di fico]

Fig-leaf

Feigenblatt.

Perst božij. [Il dito di Dio]

Le   doigt   de

Dieu.

The finger of God

Der Finger Gottes.

Oko za oko, zub za zub. [Occhio per occhio, dente per dente]

Œil pour œil,

dent pour

dent.

Eye for eye, tooth for tooth.

Auge um Auge, Zahn um Zahn.

 umyvaû ruki. [Me ne lavo le mani]

Je m’en lave les mains.

I wash my hands.

Ich wasche meine Hände in Unschuld.

Otpravit’sâ k praotcam. [Tornare al Creatore]

Aller aux pâtres.

Be gathered to ones fathers

Zu seinen Vätern versammelt werden.

Kto seet veter, požnet burû. [Chi semina vento raccoglie tempesta]

Qui sème le vent récoltera la tempête.

Sow the wind and reap the wirlwind.

Wer Wind säet, wird Sturm ernten.

Plyt’ protiv tečeniâ. [Nuotare contro corrente]

Aller à contre courant.

Swim against the stream.

Wider den Strom schwimmen.

Metat’ biser pered svin’âmi. [Gettare perle ai porci]

Jeter des perles devant les pourceaux

Cast pearls before swines.

Die Perlen vor die Säue werfen.

Ot izbytka serdca glagolât usta.
[Dall’abbondanza del cuore la bocca parla]

De l’abondance du cœur la bouche parie.

Out of the abundance of the heart, the mouth speaks.

Wes das Herz voll ist, des gehet     der Mund über.

Net proroka v svoem otečestve. [Nessuno è profeta in patria]

Personne n’est prophète dans sa patrie.

No man is a prophet in his own country.

Der    Prophet

gilt nichts in seinem Vaterlande.

Otdat’ bogu bož’e, a cezarûu cezarevo.
 [Diamo a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare.]

Rendre à César ce qui                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            appartient à César.

Render onto Caesar what Caesar’s is, and onto God what God’s is.

Gebet dem Kaiser, was des Kaisers ist,und Gott, was Gottes ist.

Den’gi ne pahnut. [Il denaro non ha odore]

L’argent ne sent pas mauvais.

Money has no smell.

Geld stinkt nicht.

A vse-taki ona vertitsâ.

Et pourtant elle tourne (se meut).

(Cfr. l’originale in italiano:  Eppur si muove!)

Sie dreht sich doch.

Ne vziraâ na lica. [Senza guardare in faccia]

Sans égard pour personne.

Without respect of persons.

Ohne Ansehen der Person.

Âbloko razdora. [Il pomo della discordia]

Pomme de discorde.

The apple of discord.

Der       Zankapfel.

Ad vymoŝen dobrymi namerniâmi.
[la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni]

L’enfer est pavé de bonnes intentions.

The (road to) Hell is paved with good intentions.

Mit guten Absichten ist die Hölle gepflastert.

V dome povešennogo ne govorât o verevke.

[Non parlare di corda in casa dell’impiccato]

On ne parle pas de corde dans la maison du pendu.

Im Hause des Gehängten spricht  man nicht vom Strang.

Vse horošo, čto horošo končaetsâ.

[Tutto è bene quel che finisce bene]

Tout est bien, qui finit bien.

All’s well that ends well.

Ende gut  — alles gut.

Čeloveku svojstvenno ošibat’sâ. [Errare è umano]

Errer est humain.

To err is human.

Irren ist menschlich.

Mesto pod solncem. [Un posto al sole]

La place au soleil.

Der Platz an der Sonne.

 

jhgjhg

,mn,mn,m

..m,

.,.,m

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[i] Aвторы пользуются случаем свою признательность И. Ю. Шехтеру, указавшему им на важность данного момента при формализации понятия «адекватный перевод».

Gli autori colgono l’occasione per mostrare il loro apprezzamento a I. Û. Shehter, che ha indicato loro l’importanza del momento per la formalizzino del concetto di traduzione adeguata.

 

[ii] термин «упрощающий перевод», как и другие используемые здесь термины, не носит оценочного характера. упрощение следует понимать только как выбор удобной формы относительно ПЯ.

Il termine traduzione semplificante, così come gli termini qui utilizzati, non ha carattere valutativo. la semplificazione è da intendersi unicamente come una scelta della forma adatta in relazione alla cultura ricevente.

 

[iii] «…единственность значения слов характерна для научного метода. так как сходные определения введены учеными всех стран, то перевод облегчается однозначным соответствием научных словарей» (Бриллюэн, стр.14).

«l’univocità del significato delle parole è caratteristica per il metodo scientifico. Le definizioni semplici sono state definite da studiosi di tutti i paesi, dunque la traduzione si semplifica in una corrispondenza univoca sui dizionari scientifici.» (Brillouin, pag. 14).

 

[iv] В этой связи приведем следующее высказывание и. р. Гальперина: «в самом деле, что такое «калька»? Рабское копирование чужого строя предложения на родном языке? Если под «калькой» понимается нарушение норм языка, на который делается переводе в угоду сохранения синтаксиса языка, с которого делается перевод, то’почему это нужно назвать «калькой», а не просто грамматической ошибкой? перевод, который делает учительница в рассказе чехова «дорогие уроки»: ‘он ходил на улице и встречал господина своего знакомого, и сказал: куда вы устремляетесь, видя ваше лицо такое бледное, это делает мне больно’.—тоже нужно признать «калькой», если под «калькой» понимать ту или иную степень насилия над строем языка» (Г.а л ь п е р и н, стр.  136).

In riferimento a questo riportiamo le parole di I. R. Gal’perin: “Cosa sono effettivamente i calchi? Imitazioni pedisseque della struttura di altre proposte nella lingua madre? Se per calco si intende una violazione delle norme linguistiche con le quali si realizza la traduzione, per compiacere il mantenimento della sintassi della lingua, allora questo va definito calco. Perché non un semplice errore di grammatica? La traduzione che fa un alunno del racconto di  Čehov Lezioni care:

“Lui andava per la strada e incontrò un uomo che conosceva; disse: – Dove vi precipitate? È doloroso vedere il vostro viso così pallido.” Va chiamato anche questo calco, se per calco si intende questa o quella categoria di violazione nei confronti della costruzione di una lingua.” (Gal’perin, pag.136)

 

[v] Ср. в немецком языке, где, как правило, суффиксальным образованием соответствуют сложные слова, ср. Ideengehalt, Ideenreichtum, Ideenreinheit, Parteistandpunkt, Parteigeist. B последнее время ста употребляться Parteilichkeit.

Cfr. la lingua tedesca, dove di regola alle suffissazioni corrispondono parole complicate. Cfr. Ideengehalt, Ideenreichtum, Ideenreinheit, Parteistandpunkt, Parteigeist. Negli ultimi tempi si è iniziato ad usare anche Parteilichkeit.

 

 

 

 

 

 

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Theodore Savory: Translating the Bible

Theodore Savory: Translating the Bible

 

 

MARGHERITA PREVIDE MASSARA

 

 

Fondazione Milano

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

 

 

Relatore: professor Bruno Osimo

Diploma in Scienze della Mediazione Linguistica

Dicembre 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© Theodore Savory 1969

© Margherita Previde Massara per l’edizione italiana 2010

 

Theodore Savory: Translating the Bible

 

ABSTRACT

La Bibbia è il testo sacro di riferimento per milioni di persone, che nelle sue pagine hanno trovato e trovano conforto,  forza e modelli etici e riveste un ruolo unico nel panorama degli studi sulla traduzione. La prima parte del lavoro propone un’analisi dei due principali orientamenti della traduzione della Bibbia, quello formale e quello dinamico. Il primo è improntato a una resa che riproduca il più possibile il prototesto (sia nella forma che nel contenuto) e il secondo mira all’accessibilità del metatesto.Nella seconda parte viene presentato l’approccio di Erri De Luca alla traduzione di alcuni libri dell’Antico Testamento con esempi basati sull’apparato metatestuale dei suoi lavori. La tesi si conclude con la traduzione di «Translating the Bible», dal libro The Art of Translation di Theodore Savory.

ENGLISH ABSTRACT

The Bible is the holy book for millions of people who find in its pages relief, strength and ethical patterns. It plays a unique role among translation studies. The first part of this work analyses the two main approaches to Bible translation, the one oriented toward formal equivalence and that oriented toward dynamic equivalence. The former aims at a rendering which reproduces the source text as much as possible (both in form and in content) and the latter aims at the accessibility of the target text. The second part shows Erri De Luca’s approach to the translation of some of the Old Testament books, with examples based on the metatextual apparatus of his works. The thesis concludes with the translation of «Translating the Bible», from the book «The Art Of Translation» by Theodore Savory.

 

NEDERLANDSE SAMENVATTING

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Sommario

1.Prefazione. 4

1.1 Due fondamentali orientamenti in traduzione. 5

1.1.1 I princípi della traduzione formale. 7

1.1.2 I princìpi della traduzione dinamica. 9

1.2 Erri De Luca. 16

2. Traduzione con testo a fronte. 21

2.1 Translating the Bible. 23

References – Riferimenti bibliografici 55

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


1.Prefazione


1.1 Due fondamentali orientamenti in traduzione

 

Partendo dal presupposto che «non esiste, per essere esatti, niente di simile agli equivalenti identici» (Belloc, 1931 a e b:37), quando si traduce è necessario cercare il traducente che più si avvicini all’originale. Ci sono due tipi fondamentali di equivalenza: formale e dinamica.

L’equivalenza formale pone l’attenzione sul messaggio, sia nella forma che nel contenuto. In una traduzione di questo tipo bisogna prestare attenzione a corrispondenze come poesia-poesia, frase-frase e concetto-concetto. Tenendo conto di questo orientamento formale, l’importante è che il messaggio nella cultura ricevente corrisponda il più possibile ai diversi elementi della cultura emittente. Per questo motivo il messaggio nella cultura di arrivo dovrà essere costantemente confrontato con il messaggio della lingua di partenza, al fine di determinarne lo standard di accuratezza e correttezza.

Il tipo di traduzione che esprime al meglio questa equivalenza strutturale potrebbe essere chiamata «traduzione glossante» (Nida 1964: 159). Il traduttore, in questo caso, cerca di riprodurre la forma e il contenuto dell’originale senza perseguire ideali estetici, quasi parola per parola, con glosse.

Una traduzione glossante è pensata per permettere al lettore di identificarsi il più possibile con una persona appartenente al contesto della cultura emittente e di capire tutto quello che può delle usanze e delle modalità di pensiero e di espressione. Per esempio un’espressione come «bacio santo» (Romani 16,16) in una traduzione glossante verrebbe resa alla lettera e in una nota a piè pagina verrebbe spiegato che questo, ai tempi dell’Antico Testamento, era un modo comune di salutarsi.

Al contrario, una traduzione che mira a creare un’equivalenza dinamica si basa sul «principio dell’effetto equivalente» (Rieu e Phillips 1954). L’imperativo di questo tipo di traduzioni non è che il messaggio della cultura ricevente corrisponda con esattezza a quello della cultura emittente, ma che il rapporto tra ricevente e messaggio sia sostanzialmente lo stesso di quello esistente tra i riceventi originali e il messaggio.

Una traduzione dinamica mira a una totale naturalezza dell’espressione e cerca di collegare il ricevente a modalità comportamentali attinenti al suo contesto culturale. Non pretende che il ricevente capisca i modelli culturali del contesto della cultura emittente per poter comprendere il messaggio. Naturalmente ci sono molti gradi di traduzione dinamica. Per riprendere l’esempio sopra citato, una resa che mira a trovare un traducente dinamico è quella di Phillips, che traduce «greet one another with a holy kiss» con «give one another a hearty handshake all around».

Tra i due estremi della traduzione, tra l’equivalenza rigorosamente formale e l’equivalenza rigorosamente dinamica, ci sono innumerevoli gradi intermedi, che rappresentano vari standard accettabili di traduzione.


1.1.1 I princìpi della traduzione formale

 

Per capire meglio le caratteristiche dei diversi tipi di traduzione è importante analizzare più nel dettaglio i princìpi che governano una traduzione formale. Una traduzione di questo tipo è orientata alla cultura emittente, ossia è pensata in modo tale da far trapelare il più possibile della forma e del contenuto del messaggio originale.

A questo scopo si cerca di riprodurre determinati elementi formali, come unità grammaticali e coerenza nell’uso delle parole e nei sensi riguardanti il contesto della cultura emittente. La riproduzione di unità grammaticali implica:

– tradurre nomi con nomi, verbi con verbi, ecc.

– mantenere frasi e periodi intatti (ossia non separare e

poi  riassemblare le unità)

–       mantenere tutti gli indicatori formali, per esempio punteggiatura, divisione in paragrafi e paragrafi rientrati in poetica (Nida 1964: 165).

Per riprodurre la coerenza nell’uso delle parole, una traduzione formale di solito mira alla cosiddetta “concordanza terminologica”: nel metatesto, rendere una certa parola del prototesto sempre con una parola specifica. Questo principio può essere spinto fino all’estremo e il risultato sono serie di parole quasi senza senso. D’altra parte, in alcuni tipi di traduzione formale, va comunque cercato un certo grado di concordanza.

Il traduttore può anche servirsi di parentesi, incisi o corsivi (come nella King James) per aggiungere parole utili alla comprensione. Ecco un esempio «And to every beast of the earth, and to every fowl of the air, and to every thing that creepeth upon the earth, wherein [there is] life, [I have given] every green herb for meat: and it was so» (Genesi 1,30).

Per riprodurre sensi riguardanti il contesto della cultura emittente, la traduzione formale di solito non  cerca di adattare le espressioni idiomatiche, ma piuttosto di riprodurle più o meno parola per parola, così che il lettore possa percepire il modo in cui l’originale ha fatto uso di elementi della cultura locale per comunicare il senso.

In molti casi, comunque, determinati elementi formali del prototesto semplicemente non si possono riprodurre. Per esempio possono esserci giochi di parole, chiasmi, assonanze o acrostici. In questo caso è necessario ricorrere a note. In alcuni rari casi si riesce a creare un gioco di parole che si avvicina all’equivalenza. Per esempio, traducendo il testo ebraico di Genesi 2,22 troviamo la parola ishàh, che significa donna e deriva da ish, uomo. Quindi il traduttore inglese può usare rispettivamente «woman» e «man». Corrispondenze formali di questo tipo sono però molto rare, perché le lingue sono anisomorfe.

Una traduzione formale ha molti passi che il lettore medio fatica a capire. Si rendono quindi necessarie note, che hanno la funzione non solo di spiegare alcune delle caratteristiche formali che altrimenti non verrebbero adeguatamente rese, ma anche di rendere comprensibili alcuni equivalenti formali utilizzati, dal momento che queste espressioni potrebbero essere chiare solo nel contesto della cultura o della lingua emittente.

Alcuni tipi di traduzioni formali, per esempio quelle interlineari e le concordanze, hanno valore estetico limitato. Altre invece, hanno un grande valore estetico. Per esempio le traduzioni preparate per i linguisti raramente si spingono oltre la resa strettamente formale. In queste traduzioni la formulazione di solito è piuttosto letterale e le varie parti sono spesso numerate in modo tale da rendere più rapido il confronto tra le unità corrispondenti.


1.1.2 I princìpi della traduzione dinamica

 

Oltre alle traduzioni formali, ve ne sono di dinamiche. In queste l’attenzione è concentrata non tanto sul messaggio, quanto sulla reazione del lettore della cultura ricevente. La traduzione dinamica è una traduzione della quale una persona bilingue può ragionevolmente dire «è proprio come lo diremmo noi». In ogni caso è importante capire che una traduzione dinamica non è un altro messaggio più o meno simile a quello della fonte. È una traduzione e come tale deve riflettere in modo chiaro il senso e l’intento del prototesto.

La traduzione dinamica è « l’equivalente naturale più prossimo del prototesto» (Nida 1964: 166). Questo tipo di definizione consta di tre termini essenziali:

–       equivalente: orientato al prototesto;

–       naturale:        orientato alla cultura ricevente;

–       più prossimo: che lega i due orientamenti al livello      

                             al livello  più alto di approssimazione.

 

Considerato che la traduzione dinamica mira principalmente a un’equivalenza reattiva piuttosto che  formale, è importante definire in modo più esaustivo le implicazioni del termine «naturale» applicato a questo tipo di traduzioni. Il termine naturale è applicabile a tre aree del processo comunicativo. Una resa naturale deve aderire alla cultura ricevente, al contesto del messaggio specifico e al lettore del metatesto.

Il fatto che una traduzione sia conforme alla cultura ricevente nel suo insieme è un fattore essenziale di qualunque versione stilisticamente accettabile. Di fatto questa conformità si nota solo quando manca. J. H. Frere (1820: 481) spiega chiaramente il concetto affermando: «Pensiamo che la lingua della traduzione dovrebbe essere un elemento puro, impalpabile e invisibile, fare da tramite a pensieri ed emozioni e nient’altro. Non dovrebbe mai attirare l’attenzione su di sé. È bene evitare prestiti». Questo tipo di adattamento alla cultura ricevente produce un metatesto privo di traduzionalità (A. Popovič 2006: 174).

La traduzione naturale coinvolge due principali aree di adattamento: la grammatica e il lessico. In generale le modifiche grammaticali sono quelle più immediate, dal momento che molti cambiamenti grammaticali sono dettati dalla struttura della lingua ricevente. Ciò significa che si è spesso obbligati a un diverso ordine delle parole, o all’uso di verbi e pronomi al posto di nomi. La struttura lessicale del messaggio del prototesto è invece meno facile da adattare alle necessità semantiche della cultura ricevente, dal momento che ci sono numerose possibilità alternative. Generalmente devono essere presi in considerazione tre livelli lessicali:

–                    parole per le quali ci sono paralleli già disponibili, per

esempio «fiume», «albero», «sasso», «coltello».

–     parole che identificano oggetti diversi dal punto di vista

culturale, ma con funzioni in qualche modo simili. Per esempio la parola

«libro», che in italiano sta per «complesso di fogli della stessa misura,

stampati o  manoscritti, e cuciti insieme così da formare un volume,

fornito di copertina o rilegato» (Vocabolario Treccani 2010), ma che

all’epoca del Nuovo Testamento stava per una pergamena o un papiro

lungo arrotolato;

–                   parole che identificano particolarità culturali, per esempio

khomer (unità di capacità), eyfah (unità di misura), kerubìm

per citarne soltanto alcuni presenti nella Bibbia.

 

Solitamente il primo gruppo non presenta problemi. Il secondo può causare equivoci. Il traduttore deve decidere se usare un altra parola che rifletta la forma dell’originale, ma che non ha la stessa funzione, o se usare una parola che identifichi la stessa funzione a discapito dell’identità formale. Traducendo le parole del terzo gruppo è difficile evitare “associazioni strane”. La traduzione che cerca di colmare un vuoto culturale molto ampio non può sperare di eliminare tutte le tracce della struttura lessicale originaria. Per esempio per quanto riguarda la traduzione della Bibbia è praticamente impossibile non parlare di farisei, sadducei, tempio di Salomone, città rifugio o di temi biblici come unzione, procreazione adultera, sacrificio di esseri viventi e agnello di Dio, poiché queste espressioni sono insite nella struttura di pensiero del prototesto.

È inevitabile anche che, quando le due culture sono molto diverse, ci siano molti temi fondamentali che non possono essere “naturalizzati” dal processo traduttivo. Per esempio, gli indiani Jívaro dell’Ecuador di sicuro non possono capire Corinzi 11,14 «La natura stessa non vi insegna che è un disonore per l’uomo portare la chioma? Se invece la donna porta la chioma, ciò è per lei un onore, poiché la chioma le è stata data per copertura» (La Nuova Diodati), perché gli uomini Jívaro si lasciano crescere i capelli, mentre le donne adulte se li rasano. Similmente in molte zone dell’Africa Occidentale è considerato riprovevole il comportamento dei discepoli che accolgono Gesù a Gerusalemme lanciando sul suo cammino foglie e rami. Secondo le usanze dell’Africa Occidentale, il sentiero percorso da un capo a piedi o su una cavalcatura deve essere completamente pulito e chiunque vi getti anche solo un ramo, commette una grave mancanza di rispetto (Nida 1964:168). Ciononostante, queste discrepanze culturali sono meno difficili da superare di quanto si pensi, specialmente se le note sono usate per mettere in luce la diversità culturale.

La naturalezza dell’espressione nella cultura ricevente è un problema di  co-adeguatezza a vari livelli, dei quali i più importanti sono:

–       classi di parole: se non esiste un sostantivo per «amore» bisogna dire «Dio ama» invece di «Dio è amore».

–      categorie grammaticali: in alcune lingue il numero

grammaticale dei predicati nominali deve concordare con

quello del soggetto. In questo caso non si potrà dire «The two

shall be one», ma bisognerà dire «The two persons shall act

as though they are one person».

–                       classi semantiche: è possibile che in una lingua le  imprecazioni si basino

su storpiature volgari del nome della divinità, ma che in altre lingue si

faccia più ricorso a scatologia e parti anatomiche.

–                       tipi di discorso: alcune lingue necessitano di citazioni dirette e

altre no.

–       contesti culturali: in alcune società la pratica tipica del Nuovo Testamento di sedersi per insegnare sembra strana, se non sconveniente.

 

Oltre a essere appropriata per la lingua e la cultura ricevente, la traduzione naturale deve essere in armonia con il contesto del messaggio. I problemi quindi non si limitano a caratteristiche grammaticali e lessicali, ma possono anche sconfinare in dettagli come l’intonazione e il ritmo della frase (Pound 1954: 298). Il problema è che « se rimane invischiato solo nelle parole, il traduttore perde lo spirito originale dell’autore» (Manchester 1951: 68).

Per certi versi la traduzione naturale può essere descritta più facilmente parlando di ciò che omette anziché di ciò che dice. Sono le gravi anomalie, eliminate in una buona traduzione, che fanno sentire il lettore totalmente estraneo al contesto. Per esempio delle volgarità in un testo che ci si aspetta sia serio sono inappropriate e di sicuro non suonano naturali. Ma le volgarità rappresentano un problema meno spinoso rispetto allo slang o ai colloquialismi.

Alcuni traduttori riescono a evitare le volgarità e lo slang, ma non l’errore di far sembrare un complicato documento legale quello che in realtà era un messaggio relativamente chiaro nella cultura emittente, nel tentativo di essere il meno ambigui possibile. In queste traduzioni rimane ben poco della naturalezza dell’originale.

Gli anacronismi sono un altro modo di violare la co-adeguatezza del messaggio e del contesto. Per esempio una traduzione che usa «ossido di ferro» invece di «ruggine» sarebbe corretta dal punto di vista tecnico, ma sicuramente anacronistica. D’altro canto traducendo «i cieli e la terra» con «universo» in Genesi 1,1 non ci si allontana così tanto quanto ci si aspetterebbe, dal momento che le popolazioni antiche avevano un’idea molto avanzata di un sistema organizzato che comprendeva «i cieli e la terra» (Nida). Gli anacronismi comportano due tipi di errori:

–     l’uso di parole della contemporaneità che falsificano la vita

in un periodo storico diverso, per esempio tradurre

«posseduto dal demonio» con «mentalmente deviato»;

–       l’uso di una lingua obsoleta nella cultura ricevente e quindi

dare un’impressione di irrealtà.

 

L’appropriatezza del messaggio all’interno del contesto non è un mero problema di contenuto referenziale delle parole. L’impressione complessiva di un messaggio non è data solo da oggetti, eventi, astrazioni e rapporti simboleggiati dalle parole, ma anche dalla contestualizzazione stilistica. Inoltre gli standard di accettabilità stilistica per vari tipi di discorso cambiano radicalmente da una lingua all’altra.

È essenziale non solo che una traduzione eviti alcuni errori ovvi nell’adattamento del messaggio al contesto, ma anche che incorpori alcuni elementi positivi dello stile che forniscano il tono emotivo appropriato al discorso. Questo tono emotivo deve riflettere con precisione il punto di vista dell’autore. Quindi elementi come sarcasmo e ironia devono essere resi accuratamente nella traduzione dinamica.

Un altro elemento caratterizzante della naturalezza della traduzione dinamica è quanto il messaggio si addice al lettore della cultura ricevente. L’appropriatezza va giudicata sulla base del suo livello di esperienza e della capacità di decodificazione. D’altro canto non si ha sempre la certezza di come abbia reagito o avrebbe dovuto reagire il lettore della cultura emittente. Per esempio i traduttori della Bibbia hanno dato molta importanza al fatto che la lingua del Nuovo Testamento era la koiné, la lingua dell’uomo comune, e quindi una traduzione dovrebbe essere rivolta all’uomo comune. La verità è che il primo destinatario di molti messaggi del Nuovo Testamento non era l’uomo comune, ma l’uomo appartenente a una comunità religiosa. Per questo motivo espressioni come “Aba, padre” e “battezzato in Cristo”, possono essere usate e ci si aspetta che vengano capite.

Una traduzione dinamica inevitabilmente richiede un certo numero di adattamenti formali, che coinvolgono tre aree principali:

–                  Forme letterarie particolari;

–                  Espressioni semanticamente esocentriche (Nida 1964: 170);

–                  Sensi culturospecifici (Nida 1964: 170).

La traduzione della poesia ovviamente richiede più adattamenti rispetto alla prosa, dal momento che le forme ritmiche differiscono nella forma e di conseguenza nel risultato estetico. Nella traduzione della Bibbia, la procedura comune è mirare a dare una certa dignità alla prosa dove l’originale utilizzava la poesia, perché in generale il contenuto dei libri sacri è considerato molto più importante rispetto alla sua forma.

Quando periodi semanticamente esocentrici nella lingua emittente sono senza senso o fuorvianti se tradotti alla lettera, si è obbligati ad apportare degli adattamenti alla traduzione dinamica. Per esempio, il modo di dire semitico «cingere i lombi della mente» (Pietro 1,13) può significare, se tradotto alla lettera,  nient’altro che «mettere una cintura attorno ai fianchi dei pensieri». In questo caso bisogna passare da un tipo di espressione esocentrica a una endocentrica per esempio «predisporre la mente all’azione». Inoltre un modo di dire non solo potrebbe essere senza senso, ma potrebbe addirittura distorcere il senso. In questo caso dev’essere modificato. Spesso una metafora può essere sostituita con una similitudine, per esempio «sons of thunder» (come erano chiamati Giacomo e Giovanni) può diventare «men like thunder» (Nida 1964).

I sensi culturospecifici sono quelli che più perdono nel processo traduttivo, dato che dipendono moltissimo dal contesto culturale della lingua in cui sono usati e quindi non sono direttamente trasferibili ad altri contesti linguistico-culturali. Nel Nuovo Testamento la parola tapeinos, di solito tradotta con «humble» o «lowly» in inglese, aveva connotazioni emotive ben definite nel mondo greco, dove aveva il significato peggiorativo di «low», «humiliated», «degraded», «mean» o «base» (Nida 1964: 171). I cristiani facevano parte della classe sociale più bassa e adottarono questa parola come simbolo di un’importante virtù cristiana. Le traduzioni del Nuovo Testamento in inglese non possono pensare di poter rendere tutti i significati emotivi latenti nella parola greca. Allo stesso modo traduzioni come «unto», «messia» e «cristo» non rendono pienamente giustizia al greco Christos, che aveva associazioni intimamente collegate alle speranze e alle aspirazioni della prima comunità giudaico-cristiana. Questi elementi emotivi di senso non sono collegati soltanto a termini teologici, ma vanno applicati a tutti i livelli di vocabolario.


1.2 Erri De Luca

 

Il desiderio che muove Erri De Luca è di «prendere alla lettera  ̶  e dunque ridare il posto principale a  ̶  quel formato iniziale della rivelazione che è l’ebraico antico». Non mira certo a dare una traduzione gradevole da leggere, anzi per primo ammette: «Le mie traduzioni sono un po’ ingessate nella lingua d’arrivo».

De Luca s’avvicina all’ebraico negli anni Ottanta, quando fa l’operaio. Durante il lavoro ripete canti che trova nelle scritture per scandire le martellate, per darsi un ritmo e far passare la giornata al cantiere. Inizia a studiarlo lentamente, «semplicemente per curiosità e per compagnia». Di mattina, tra le cinque e le sei e mezza legge una pagina della Bibbia. Si definisce «un frequentatore di quelle scritture, un lettore assiduo, quotidiano» e non rivendica alcuna forma di autorità sull’ebraico antico, se non la sua continua intimità con questa lingua.

Iod. De Luca traduce il tetragramma sacro, che gli ebrei non pronunciano, con «Iod», la sua lettera iniziale. Le Bibbie cristiane traducono con «Dio», dal greco theòs, che è un nome comune a tutte le divinità e viene scritto con la lettera minuscola. In ebraico l’unità di dio, l’Ehad (Uno), è talmente assoluta da non poter essere nominata.

Una delle differenze più evidenti tra la traduzione di De Luca e le altre è che il primo tende a modellare l’italiano sulla sintassi ebraica. In ebraico biblico il soggetto solitamente segue il verbo, non viene fatta un’eccezione nemmeno se il soggetto è Iod. Come sostiene l’autore, «in quella rivelazione il verbo è più importante del soggetto. Il dire e il fare hanno la precedenza» .

Per De Luca l’ebraico ha, tra le altre caratteristiche, una grande fisicità. Le traduzioni italiane usano «spirito» e «anima» dove l’ebraico usa «vento», «soffio» e «fiato». Nel famoso discorso della montagna Gesù dice «Beati i poveri di spirito», l’ebraico «shfal rùah», che riprende da Isaia 57,15 («In luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi»). De Luca traduce «shfal rùah» con «abbassàti di vento», resa decisamente poco consueta per il lettore italiano. Afferma che «poveri di spirito» è meno  forte della sua versione, che rende invece l’idea di persone oppresse al punto tale da «avere il collo piegato, il fiato rivolto a terra, trascinato al suolo». Traducendo «ruàh» con «vento» invece che con «spirito», il senso dell’umiltà è forse più concreto: gli uomini non possiedono nemmeno il respiro. È un vento esterno che entra in ciascuno, esce e prosegue oltre.

De Luca parte dal principio che, nella sua traduzione della Bibbia, l’italiano è una lingua di servizio. Quella di De Luca è quasi sempre una traduzione interlineare: mette le parole italiane sotto quelle ebraiche e «se la frase intera suona storta è quasi certo che almeno in origine è dritta nella sua lingua» ebraica.

Erri De Luca è preciso: se l’ebraico usa un solo verbo per il «fare» di Dio, ossia «asà», nella sua traduzione ci sarà solo quel verbo. Si dichiara «estremista» della «fedeltà» e dell’«obbedienza» al testo ebraico, intendendo che è favorevole a un approccio estremamente filologico. Eccone un esempio.

De Luca traduce il comandamento dell’amare il prossimo come sé stessi con «e amerai il tuo compagno come a te» (Levitico 19,18), mentre la Bibbia CEI nell’edizione del 1974 traduce con «amerai il tuo prossimo come te stesso». De Luca spiega che il verbo amare è costruito con l’ebraico «le», simile alla preposizione «a» italiana, dunque in forma dativa. «L’amore non carnale è spesso meravigliosamente dativo, quello fisico è spesso accusativo, caso di un complemento oggetto». [non so se mettere questo esempio qui o più su, quando dico che modella la sintassi italiana su quella ebraica[o.b.1] ]

Traduce Kohèlet 4,1 con «E sono tornato io e ho visto tutti gli oppressi che sono fatti sotto il sole. E ecco lacrima degli oppressi» a differenza, per esempio, della Bibbia CEI nell’edizione del 1974 che traduce «Ho poi considerato tutte le oppressioni che commettono sotto il sole. Ecco il pianto degli oppressi», sostenendo che la parola «haashukìm» è la stessa che compare poco oltre nel verso e che viene tradotta con «gli oppressi».

Spesso nelle introduzioni e nelle note alle sue traduzioni De Luca sostiene di non voler correggere altre traduzioni e nemmeno di pensare che le sue scelte siano esatte e definitive, non perfezionabili. Dichiara solo di seguire altre piste, meno battute. Per esempio l’autore della Vulgata, San Girolamo, il «nonno dei traduttori» come lo chiama lui, ha tradotto «Hèvel» con «vanitas», da cui l’italiano «vanità» («Vanità delle vanità, dice Qoelet, vanità delle vanità, tutto è vanità». Ecclesiaste 1,2). De Luca non vuole correggere San Girolamo, ma tentare un’altra strada, ossia quella della coincidenza di Hèvel con Abele. Sostiene che i traduttori non abbiano dato importanza all’uguaglianza di Abele con Hèvel e lui vuole «credere che in quella lingua e in quei libri nessuna parola è libera, tutte sono serve di un pensiero sacro: che vuole essere interrogato almeno secondo la lettera». Di solito dei nomi dei personaggi dell’antico testamento viene detta la parola da cui derivano, mentre di Abele no. Succede il contrario, che da Abele si arrivi a una parola. Per De Luca questa parola è «spreco»: «Spreco di sprechi ha detto Kohèlet, spreco di sprechi il tutto è spreco». Trova la sua spiegazione in parte nel verso successivo «Cosa è di avanzo per l’Adam». Per indicare l’uomo, Kohèlet potrebbe usare «ish», più frequente in lingua sacra, invece usa «Adàm», padre di tutti gli uomini e nello specifico padre di Abele. L’autore fa notare come queste coincidenze di nomi propri siano evidenti in ebraico e quasi totalmente perse in traduzione. «Hèvel è il frutto doloroso di Adàm». Per De Luca lo spreco si riferisce alla morte prematura di Abele.

Un’altra affermazione molto chiara di De Luca è la volontà di affrontare il testo così come la storia gliel’ha lasciato, in alcune parti corrotto o con errori, perché «anche il guasto appartiene alla provvidenza che accompagna un testo sacro». Un esempio si trova in Kohèlet 5,9, che la versione CEI del 1974 traduce «Chi ama il denaro mai si sazia di denaro e chi ama la ricchezza non ne trae profitto», mentre De Luca traduce «Chi ama argento non si sazierà di argento e chi ama in abbondanza niente raccolto». Il problema di questo passo è che il verbo «amare» in lingua sacra non viene mai costruito come qui, con la preposizione «be», che significa «in». I grammatici sostengono che si tratti di una dittografia, un errore di raddoppio della consonante finale della parola precedente. De Luca non vuole cambiare il testo ebraico, ma mantenere la difficoltà, l’«amare in». Per lui significa «chi è avido di abbondanze non si sazierà di un buon raccolto».

In alcuni passi De Luca si sposta con decisione dalle altre traduzioni perché nell’ebraico vede qualcosa di totalmente diverso da quello che hanno visto e vedono altri traduttori. La traduzione di Ecclesiaste 3,14 è in molte Bibbie «gli uomini avranno timore davanti a Elohìm». Per De Luca è l’esatto contrario e traduce «E Elohìm ha fatto che avranno timore via dal suo volto», dunque se si allontaneranno da lui.

Un altro esempio è la traduzione di Ecclesiaste 2,8. La Nuova Diodati presenta «mi procurai dei cantanti e delle cantanti, le delizie dei figli degli uomini e strumenti musicali di ogni genere», la versione CEI del 1974 «mi sono procurato cantori e cantatrici, insieme con le delizie dei figli dell’uomo». De Luca traduce «Shiddà vershiddòt» con «favorita» (e quindi «ho fatto per me cantori e cantatrici e soavità dei figli dell’Adàm, una favorita e delle favorite») sostenendo che nell’elenco delle piacevolezze non dovrebbe mancare questo intrattenimento, ma soprattutto che «shad» in ebraico è mammella.

Quando gli viene chiesto che vocabolario usa, la risposta è sempre la stessa: «nessuno». Erri De Luca si serve della concordanza ebraica, in cui di ogni parola è segnato il passo della Bibbia in cui compare. È lui stesso a dire «La coincidenza insegna che ogni parola uscita sta in una corrente, ha un verso e non ritorna indietro». La coincidenza in lingua sacra non è mai infeconda, porta sempre quantomeno a una riflessione sui sensi possibili, alternativi o paralleli a quelli attualizzati nelle altre traduzioni. Spesso le sue note che riportano una coincidenza hanno l’aspetto della seguente «”Ahàv”, amare: suolo, straniero, saggezza, conoscenza, violenza, vino, olio, giorni, correzione, lite, regalo, focacce, salvezza, nome, ricco, giudizio».

De Luca, partendo dalla certezza grammaticale che tutti i comandamenti sono rivolti a un tu maschile, si chiede chi fosse questo tu. Forse Mosè? Si risponde di no, che Mosè aveva solo il compito di trasmettere il decalogo. Si fa aiutare dalla coincidenza: «z*kh*r» in ebraico è sia «maschio» che forma del verbo «ricordare». Ne conclude che al maschio è affidato il compito di ricordare, alla femmina di generare. Il maschio è «ostruito» per natura e la lingua ancora una volta aiuta l’autore, che ci dice che la circoncisione è la cerimonia di un’apertura. Infatti i non circoncisi erano chiamati «i chiusi».

Quello che emerge dalle note di Erri De Luca è una sorta di biografia della parola, dell’«utensile divino».

 

2. Traduzione con testo a fronte

2.1 Translating the Bible

“So great is the force of established usage that even acknowledged corruptions please the greater part, for they prefer to have their copies pretty rather than accurate.” Jerome

Among our present studies the translation of the Bible holds an important, indeed a unique, position. There are two chief reasons for this.
The first and most fundamental in that the subject matter of the Bible, and especially of the Old Testament, touched the man’s very existence; it tell him about his origin, his purpose and his destination. For countless generations men have been advised to seek the reason for their lives in the pages of the Bible, and to drawn from the same source the rules by which these rules ought to be governed; they have absorbed this instruction at impressionable ages, so that many of them have grown up with the doctrines of the Bible woven into their emotional constitutions. The Bible has become in a real sense different from all other books, and with this it has been untouchable. Men have sought in its pages comfort, or inspirations, or strength, and have found these blessings emotionally rather than logically offered them. this is what they have preferred, so that their religious attitude rests on an unshakable faith, in which they permit no alteration. The cold logic of any thinker who, in fact, may seek to do no more than underline the difference between beliefs that are based on emotion and tenets that are demonstrable facts is likely to be received, and has often been received, with a storm of opposition and abuse unjustified as it is unjustifiable.

The second reason for the unique position for the Bible text among translations is of course the unapproachable quality of the text of the Authorized Version. This has been praised so often, so universally, and for so long that there in no need, at this point, to do more than recall the fact.

 

2.1 Translating the Bible

“So great is the force of established usage that even acknowledged corruptions please the greater part, for they prefer to have their copies pretty rather than accurate.” Jerome

Tra i nostri studi attuali, la traduzione della Bibbia occupa una posizione importante, se non addirittura unica. I motivi principali sono due. Il primo e basilare è che l’argomento della Bibbia, e specialmente dell’Antico Testamento, tocca proprio l’esistenza dell’uomo; gli racconta la sua origine, il suo scopo e la sua meta. Per generazioni e generazioni agli uomini è stato raccomandato di cercare il motivo della loro vita nelle pagine della Bibbia e dalla stessa fonte trarre le regole che la disciplinino. Hanno assorbito questo insegnamento in età influenzabili tanto che molti di loro sono cresciuti con la dottrina della Bibbia radicata nella costituzione emotiva. La Bibbia è diventata effettivamente diversa dagli altri libri e per questo è intoccabile. Tra le sue pagine le persone hanno cercato conforto, ispirazione, forza e hanno sentito che queste benedizioni erano loro offerte irrazionalmente più che logicamente. È quello che hanno preferito e questo ha fatto sì che la loro attitudine religiosa poggi su una fede salda e che non ne permettano alcuna alterazione . La fredda logica di un qualsiasi pensatore che, in effetti, voglia solo evidenziare la differenza tra credenze basate su emozioni e princìpi invece dimostrabili coi fatti probabilmente verrebbe recepita, e spesso così è stato, con una tempesta di ostilità e insulti tanto ingiustificata quanto ingiustificabile.

Il secondo motivo della posizione unica che occupa la Bibbia fra le traduzioni è di certo la qualità inavvicinabile del testo della Authorized Version. Quest’ultima è stata lodata così spesso, così universalmente e così a lungo, che non si può fare altro, a questo punto, che prenderne atto.

 

 

Yet from this there follows the consequence that the English-speaking peoples, having grown up with it, are inclined, normally and naturally, if like most people they are normal an natural and not rational, to resent  any suggestion of change in its matchless words and phrases. No other translators have to face this position: that there already exists a magnificent example of the very work to which they have set their hands, a version so beloved, so enshrined in the hearts of their readers, that they can hope to improve it, here and there, only in matters of editorial detail.

From the point of view of the student of translation the Bible is peculiar in that it has for long been known as a translation. The earliest manuscripts have either perished or have not yet been discovered. There is evidence that an established Hebrew text of the Old Testament was in use at the end of the first century A. D., and that from it were derived both the Greek version known as the Septuagint, the earliest part of which may date back to the third century, and, in the fourth century, the Latin version known as the Vulgate.

The Vulgate was the work of Eusebium Hieronymus, more usually known as St Jerome, the finest scholar of his age and the first to make a translation of the whole Bible into Latin. His aim was to keep to the wording of his predecessors whenever this seemed to him to be accurate, and to introduce changes only when corruption of the text was apparent. His translation has long been regarded as one of three supreme versions, fit to be compared with Luther’s German Bible and our own King James’s Version. It continued in general use in Britain until the time of the Reformation. A very large number of English translations of the Bible have been made in last six hundred years, and they may be considered in three ways: as fragments of historical bibliography; as part of the development of theological doctrine; and as a series of examples of translational practice.

 

Eppure la conseguenza è che le persone anglofone, essendo cresciute con l’Authorized Version, sono naturalmente e normalmente inclini, se come la maggior parte delle persone sono normali e naturali piuttosto che razionali, a rifiutare qualsiasi proposta che cambi le sue parole e frasi impareggiabili. Nessun altro traduttore si trova a dover affrontare questa situazione: proprio del lavoro al quale hanno apposto la loro firma c’è già un esempio perfetto, una versione così amata, così racchiusa come un gioiello nel cuore dei lettori, che possono sperare di migliorarla, qua e là, solo in qualche dettaglio editoriale.

Dal punto di vista degli studiosi di traduzione, la Bibbia è particolare per il fatto che per moltissimo tempo è stata conosciuta solo in traduzione. I manoscritti più antichi sono andati distrutti o non sono stati ancora scoperti. Ci sono prove del fatto che un testo ebraico ufficiale era in uso alla fine del primo secolo d.C. e che da esso derivanosia la versione greca nota come Septuaginta, le prime parti della quale potrebbero risalire al III secolo, e nel IV secolo la versione latina, conosciuta come Vulgata.

La Vulgata è opera di Eusebius Hieronimus, più comunemente noto come San Girolamo, il più raffinato studioso del suo tempo e il primo a fare una  traduzione dell’intera Bibbia in latino. Il suo intento era di attenersi alla formulazione dei suoi predecessori quando questa fosse accurata e di introdurre dei cambiamenti solo laddove il testo fosse palesemente corrotto. La sua traduzione è stata a lungo considerata  una delle tre versioni supreme, paragonabile alla Bibbia tedesca di Lutero e alla King James. Ha continuato a essere comunemente usata in Gran Bretagna fino alla Riforma. Negli ultimi seicento anni sono state fatte moltissime traduzioni inglesi della Bibbia e possono essere considerate in tre modi: frammenti di bibliografia storica; parte dello sviluppo della dottrina teologica e infine una serie di esempi di pratica traduttiva.


Each of these has its place in the growth of literary scholarship: in this chapter the translating must be given emphasis over the other aspects.

As a preliminary point, attention should be called to the fact, peculiar to Bible translating, that over the years there have been changes in our knowledge of the original texts, changes in our knowledge of the Hebrew and ancient Greek languages, and changes in our use of our own language.

Translators of other books do not expect to have to meet the first two of these vital characteristics of Bible translation.

The first English version was due to the conviction of John Wyclif (? 1320- 82), Master of Balliol and Canon Lincoln, that men could be expected to order their lives in accordance with the precepts of the Bible only if they were able to read the book itself. He was probably not the actual translator; the work, based on the Vulgate, was done by his friends. There were two versions: he earlier is believed to have been made largely by Nicholas of Hereford in 1382, and the second, a revision, was edited by John Purvey, who had been Wyclif’s secretary, in 1390.

The first translation, following Wyclif’s advice, was a very literal translation; it often preserved the word order and the Latin constructions of the Vulgate, even when the consequence was not good English. Purvey, however, is believed to have compared several Latin manuscripts, and, defending his method, produced a more natural text.

At this time the Bible, like very other book, was written by hand and so could be reproduced only by the laborious process of copying. The scribes who undertook this task were always liable to make mistakes, a form of human frailty which has been responsible for countless uncertainties in all the earliest manuscripts.

 

 

Ognuno di questi ha il proprio posto nell’evoluzione dello studio del testo.

Per prima cosa, l’attenzione va posta sul fatto, tipico della traduzione della Bibbia, che negli anni sono avvenuti cambiamenti nella nostra conoscenza degli originali, in quella della lingua ebraica e del greco antico e nell’uso della nostra lingua madre. I traduttori di altri libri non incontrano le prime due di queste essenziali caratteristiche della traduzione della Bibbia.

La prima versione inglese si deve alla convinzione di John Wyclif (?1320 – 1382), preside al Balliol college e canonico al Lincoln, che ci si poteva aspettare dagli uomini che disciplinassero la loro vita secondo i precetti della Bibbia solo se fossero stati in grado di leggerla. È probabile che non fosse lui il vero traduttore, ma che il lavoro, basato sulla Vulgata, sia stato svolto dai suoi collaboratori. Ne esistevano due versioni: la prima, del 1382, si crede sia opera in gran parte di Nicholas di Hereford e la seconda, una revisione, fu curata nel 1390 da John Purvey, segretario di Wyclif.

La prima traduzione, sotto suggerimento di Wyclif, era molto letterale. Spesso conservava l’ordine delle parole e delle costruzioni latine della Vulgata, anche quando ciò produceva un inglese non gradevole. Tuttavia si crede che Purvey abbia messo a confronto molti manoscritti latini e, difendendo il suo metodo, abbia realizzato un testo più naturale.

In questo periodo la Bibbia, come ogni altro libro, era scritta a mano e perciò poteva essere riprodotta solo col laborioso processo di copiatura. Gli scribi che si assumevano questo compito a volte facevano errori, fragilità umana che è  responsabile di innumerevoli dubbi in tutti i manoscritti più antichi.

 

The first printed Bible was the work of William Tyndale (? 1484 – 1536), and was not made from the Vulgate but from the Greek of Erasmus- Tyndale believed that the quality of the English was of greater importance than literal faithfulness. He began to make his translation about 1523, when he was living in London, but found it advisable to move to Germany. Here, first at Cologne and later at Worms, he completed the printing of the New Testament in 1526. This was followed in 1530 buy the Pentateuch, translated from the Hebrew.

Tyndale had not finished the Old Testament at the time of his martyrdom, and in 1535 the first complete printed English Bible was produced at Cologne by Miles Coverdale (1488 – 1569). He used German and Latin texts since he knew neither Greek nor Hebrew, and he often followed Tyndale closely.

Tyndale had left a quantity of manuscript translations of parts of the Old Testament, and these were taken by one of his followers, John Rogers, added to the existing Tyndale version, and a composite work completed by using the necessary parts of Coverdale. The whole was produced at Antwerp under the pseudonymous editorship of Thomas Matthew  in 1537. two years later it was re-edited by Richard Taverner.

In 1538 Cromwell ordered that every church should contain Bible for general use, and to meet the demand a revision of the Matthew Bible was made by Coverdale. It was known as the Great Bible and is most familiar to us today because it contained the Psalms as they still appear in our Book of Common Prayer. It is sometimes called Cranmer’s Bible because he wrote a preface to the edition of 1540.

The famous Geneva Bible appeared in 1560. it was the work of William Whittingham, John Knox, and others who were determined to further the doctrine of Protestantism. This was the Bible of Shakespeare, and it was a great and popular success.

 

La prima Bibbia stampata fu opera di William Tyndale (?1484-1536) e non era una traduzione della Vulgata, ma della versione greca di Erasmo. Tyndale credeva che la qualità dell’inglese fosse di maggiore importanza rispetto alla fedeltà letterale. Iniziò questa traduzione nel 1523 circa, quando viveva a Londra, ma ritenne meglio trasferirsi in Germania. Qui, prima a Colonia e poi a Worms, completò la stampa del Nuovo Testamento nel 1526, a cui seguì il Pentateuco, tradotto dall’ebraico.

Tyndale non aveva finito l’Antico Testamento quando subì il martirio e nel 1535 a Colonia fu stampata da Miles Coverdale (1488-1560) la prima Bibbia inglese completa. Si servì di testi latini e tedeschi, dal momento che non conosceva né il greco né l’ebraico e spesso aderì strettamente a Tyndale.

Tyndale lasciò molte traduzioni manoscritte di parti dell’Antico Testamento che vennero raccolte da uno dei suoi seguaci, John Rogers, aggiunte alla versione esistente di Tyndale e fu realizzata un’opera composita usando le parti di Coverdale necessarie. Fece stampare il tutto ad Anversa sotto lo pseudonimo di Thomas Matthew nel 1537. Due anni dopo ci fu la versione di Richard Taverner.

Nel 1538 Cromwell ordinò che ogni chiesa avesse una Bibbia che potesse essere consultata da tutti e per andare incontro a questa richiesta Coverdale realizzò una revisione della Bibbia di Matthew. Si chiamava Great Bible ed è molto familiare a noi oggi perché contiene i Salmi così come appaiono ora nel Book of Common Prayer.  A volte viene chiamata «Bibbia di Cranmer» perché questi scrisse una prefazione all’edizione del 1540.

La famosa Bibbia di Ginevra fa la sua comparsa nel 1560. Era opera di William Whittingham, John Knox e altri, determinati a promuovere la dottrina del Protestantesimo. Questa fu la Bibbia di Shakespeare, un successo enorme e popolare.
Its rendering of Genesis iii, 7, ‘and they sowed fig-tree leaves together and made themselves breeches’, has caused it to be affectionately known as the Breeches Bible.

The reception, favourable or antagonistic, given to all these Bibles from Tyndale’s onwards, was determined not by their literary standards but by the doctrinal character of the included ‘Notes’. It was because  Archbishop Parker disapproved of the Puritan notes to the Geneva Bible, that he caused a panel of bishops to edit another version. This, appropriately known as the Bishops’ Bible, appeared in 1568. It was not so much a new translation as a re-writing of the Geneva Bible, and it remained the authoritative Bible of the Church in Britain for forty-three years.

At about the same time members of the Roman Catholic Church felt the need to produce a Bible of their own. Translations of the New Testament, published in 1582, and of the Old Testament in 1609 were the work of professor Gregory Martin of the English College of Douai and (temporarily) of Rheims. They were based on the Vulgate and contain a proportion of Latinisms which do not tend towards easy reading. A typical feature, interesting from the point of view of translation, is its version of the Psalms.  The Psalms in the Vulgate were based on a Gallican psalter from the Greek Septuagint: hence  the Douai psalter is a translation of a translation of a translation. We have met this phenomenon before. Although the Douai-Rheims Bible more than once received editorial attention, it was due for a complete revision by the eighteenth century, and this was undertaken by Bishop Richard Challoner. He produced several successive revisions of his own work which finally took the form of the Douai Bible as in use, with minor emendations, today.

On 14th January, 1603, King James I summoned the bishops and other clergy to a conference at Hampton Court.

 

La sua resa di  Genesi III, 7 «and they sowed fig-tree leaves together and made themselves breeches»  le ha dato il soprannome di «Breeches Bible».

La ricezione, favorevole o contraria, di tutte queste bibbie, da quella di Tyndale in poi, fu determinata non dal loro standard letterario, ma dal carattere dottrinale delle «Note» aggiunte. La disapprovazione dell’arcivescovo Parker per le note puritane alla Bibbia di Ginevra e l’insoddisfazione per la Great Bible favorirono la formazione di un gruppo di vescovi incaricati di curarne un’altra versione. Questa, giustamente conosciuta come Bishops’ Bible, apparve nel 1568. Era più una riscrittura della Bibbia di Ginevra che un nuova traduzione e rimase la Bibbia di riferimento della Chiesa in Gran Bretagna per quarantatré anni.

All’incirca nello stesso periodo i cattolici romani sentirono la necessità di realizzare una propria Bibbia. Traduzioni del Nuovo Testamento, pubblicate nel 1582, e dell’Antico Testamento nel 1609, furono opera del professor Gregory Martin del Collegium anglorum duacense e (temporaneamente) di Rheims. Le sue traduzioni erano basate sulla Vulgata e contengono molti di latinismi che non facilitano la lettura. Una caratteristica tipica, interessante dal punto di vista traduttivo, è la sua versione dei Salmi. I Salmi della Vulgata si basano su un salterio gallicano della Septuaginta: quindi il libro dei Salmi di Douai è una traduzione di una traduzione di una traduzione. Abbiamo già incontrato questo fenomeno in passato. Nonostante la Bibbia di Douai-Rheims più di una volta avesse ricevuto attenzione editoriale, fu sottoposta a una revisione completa nel Settecento, intrapresa dal vescovo Richard Challoner. Fece molte revisioni del suo stesso lavoro, che infine prese la forma della Bibbia di Douai che, con modifiche secondarie, è in uso oggi.

Il 14 gennaio 1603 Re Giacomo I radunò i vescovi e altri esponenti del clero in una conferenza alla Hampton Court.
On the following day Dr John Reynolds, President of Corpus Christi, Oxford, and Dean of Lincoln, put forward this plea: ‘May your Majesty be pleased that the Bible be new translated, such as are extant not answering the original?’ To this the King agreed, saying, ‘ I confess I could never yet see a Bible well translated in English; but I think that of all, that of Geneva is the worst’. Here and thus was the birth of the Authorized Version.

In July of the following year the forty-seven learned men were appointed, and three years later began their work, which was published by the King’s Printer in 1611. the Bishops’ Bible  was the foundation, and reference was freely made to other translations mentioned above as well as to Greek and Hebrew texts. King James had supplied a set of rules which were to be observed, and the translators adopted the principle of giving their readers the spirit and meaning of their ‘originals’ in preference to a closer translation. They were especially careful of the rhythm and euphony of their work, and in this their success has never been approached.

As a literally achievement the Authorized Version is unlikely to be superseded by any other as long as the English language is spoken or read, a claim that can hardly be made for any other translation in the literature of the world.

Like all its predecessors, the Authorized Version received its share of criticism. Where the critics found fault with its scholarship the deserved attention, and although new translations of several books were made during the next two centuries it was not until 1870 that the Bishop of Winchester, addressing the Upper House of Convocation, suggested the Upper House of Convocation, suggested the  appointment of a committee to produce what is now known as the Revised Version. The New Testament was published in 1881, the Old Testament in 1884 and the Apocrypha in 1895. Praise for the Revised Version has always been couched in guarded terms.

 

Il giorno seguente, il dottor John Reynolds, presidente del Corpus Christi College di Oxford e decano del Lincoln, avanzò questa proposta: «Potrebbe Sua Maestà gradire che la Bibbia fosse nuovamente tradotta poiché quelle esistenti non sono rispondenti all’originale?». Il re acconsentì dicendo: «Confesso di non essere mai riuscito a vedere una Bibbia ben tradotta in inglese; tuttavia penso che, tra tutte, quella di Ginevra sia la peggiore». Qui e così è nata la Authorized version.

Nel luglio dell’anno seguente vennero designati quarantasette eruditi e tre anni più tardi cominciarono l’opera che fu pubblicata dal Kings Printer nel 1611. La Bishops’ Bible ne era la matrice e c’erano riferimenti liberi ad altre traduzioni menzionate in precedenza, così come ai testi greco ed ebraico. Il re Giacomo aveva fornito regole da osservare e il principio adottato dai traduttori fu quello di dare al lettore lo spirito e il significato degli «originali», preferendoli a una traduzione più letterale. Prestarono particolare attenzione al ritmo e all’eufonia e in questo il loro successo rimane ineguagliato.

 

Come successo letterario è improbabile che la Authorized Version verrà sostituita da qualche altra versione finché l’inglese verrà parlato o scritto, affermazione che difficilmente può essere fatta per qualsiasi altra traduzione a livello mondiale.

Come tutte le Bibbie precedenti, anche l’Authorized Version ricevette la sua parte di critiche. Non avevano torto i critici che trovarono difetti interpretativi e anche se durante i due secoli successivi furono ritradotti diversi libri, non fu prima del 1870 che il vescovo di Winchester, rivolgendosi alla Upper House of Convocation, propose la nomina di una commissione per realizzare quella oggi conosciuta come Revised Version. Il Nuovo Testamento fu pubblicato nel 1881, il Vecchio Testamento nel 1884 e i Vangeli Apocrifi nel 1895. Le lodi alla Revised Version sono sempre state avanzate in modo cauto.

 

It was, as it was meant to be, an improved rendering of the Greek text, for which reason it has been widely approved in colleges and used by students, because its textual accuracy outweighs other features. It cannot be read with the same sensuous pleasure: put shortly, it is an example of what has already been described as ‘translator’s English’.

An edition of the Revised Version with modifications more acceptable to American opinion was published in 1901 and was known as the American Standard Version. It was protected by copying which was acquired in 1928 by the International Council of Religious Education, and in due course this body determined on a revision. A committee of thirty-two scholars began work in 1937; they did not attempt a new translation, but a new version based on its predecessors of 1611, 1881 and 1901, with due consideration given to most recent opinions. The New Testament was published in 1946 and the two Testaments together in 1952 – the Standard Revised Version.

Its welcome was surprising and was deserved. English readers on both sides of the Atlantic appreciated the fact that here was the Bible in good literary English, unspoilt by Americanisms and free from such  obsolescent words as ‘saith’ and ‘thou’. It was really the first of the twentieth-century Bibles which seemed to promise ‘to do for today and tomorrow what we Authorized Version did for the seventeenth and following centuries’. Criticism was nearly all based on doctrinal points, and an actual test conducted on 1,358 children in Ohio proved that it was more readily and accurately understood than was the Authorized Version. A translator unconcerned with doctrine could wish for nothing better.

Many readers will be surprised to learn that between 1902 and 1966 at least twenty-eight versions of the Bible, or at any rate of considerable parts of it, were produced in the English language.

 

Era, così come era stata concepita, una resa migliorata del testo greco e per questo motivo fu ampiamente approvata nei college e usata dagli studenti, perché la sua accuratezza testuale controbilancia altre caratteristiche. Non può essere letta con lo stesso piacere dei sensi: in breve, è un esempio di ciò che è già stato descritto come «traduttese».

Un’edizione della Revised Version con modifiche più accettabili per la cultura americana fu pubblicata nel 1901 ed è conosciuta come la American Standard Version. Era protetta da copyright, che nel 1928 fu acquisito dall’International Council of Religious Education e a un certo punto quest’organo decise che era necessaria una revisione. Una commissione di trentadue studiosi si mise al lavoro nel 1937. Non si cimentarono in una nuova traduzione, ma in una nuova versione basata sulle precedenti del 1611, 1881 e 1901, dando il dovuto peso alle opinioni più recenti. Il Nuovo Testamento fu pubblicato nel 1945 e i due Testamenti insieme nel 1952: la Standard Revised Version.

Fu accolta in modo sorprendente e meritato. I lettori inglesi da entrambi le parti dell’Atlantico apprezzarono il fatto che fosse una Bibbia in un buon inglese letterario, non contaminata da americanismi e libera da parole obsolete come «saith» e «thou». Fu davvero la prima delle Bibbie del Novecento che sembrava promettere «di fare per oggi e per domani, quello che l’Authorized Version ha fatto per il Seicento e i secoli successivi». Le critiche erano quasi tutte fondate su questioni dottrinali e un vero test condotto su 1358 bambini del’Ohio dimostrò che era più leggibile e comprensibile rispetto all’Authorized Version. Un traduttore che non si preoccupa della dottrina non potrebbe volere di meglio. Molti lettori saranno sorpresi di apprendere che tra il 1902 e il 1966 furono realizzate in inglese almeno ventotto versioni della Bibbia, o comunque di parti considerevoli.

 

 

Why did this happen? No translator of the Bible can hope to produce a greater literally masterpiece than the Authorized Version, and it consequence there is reason for an examination of the hopes and ideals of modern translators.

One cannot begin such an examination without recalling the universal, fundamental and wholly natural tendency among all peoples to prefer the language in which they read Holy Writ to be slightly archaic, old-fashioned if it please you, slightly different from the language of the market-place or even of the study, slightly mysterious in phrase and in image. All such people will read ‘And the veil of the Temple was rent in twain’ with far greater satisfaction than its modern paraphrase: ‘And the curtain in the Temple was torn in half’.

Obviously the Authorized Version satisfies these desires. Equally obviously there are many who sincerely believe that the message of the Bible can only be understood, appreciated, and in the literal sense assimilated into the reader’s character if it is put before him in the plain speech of modern times. Translators who share this opinion do not hope to do more than to produce a version in acceptable English, fit to be considered as a reasonable alternative to the Authorized Version. their belief must be that they are making the Bible easier to read, and that they are thereby increasing the number of its readers, a wholly laudable object.

Others are evidently working under the inspiration of scholarship.

Learning and scholarship continuously improve our knowledge of the earliest sources of the Bible text and also of the languages in which it was written, so that we are becoming increasingly aware that in the traditional versions there are mistakes which can be corrected, obscure passages that need no longer remain difficult, and preferable readings to passages which at one time seemed to offer alternatives.

 

Perché? Nessun traduttore della Bibbia può sperare di creare un capolavoro letterario migliore della Authorized Version e di conseguenza vale la pena di esaminare le speranze e gli ideali del traduttori moderni.

Non si può cominciare un’analisi di questo tipo senza ricordare la tendenza universale, fondamentale e totalmente naturale in tutti i popoli a preferire, per le Sacre Scritture, una lingua piuttosto arcaica, fuori moda se preferite, un po’ diversa dalla lingua del mercato o anche dello studio, con frasi e immagini misteriose. Queste persone leggevano «and the veil of the Temple was rent in twain» con maggior soddisfazione rispetto alla parafrasi moderna «and the curtain in the Temple was torn in half».

È chiaro che l’Authorized Version soddisfa questi desideri. È ugualmente chiaro che ci sono molti che credono sinceramente che il messaggio della Bibbia possa essere capito, apprezzato e assimilato nel suo senso letterale solo nella lingua semplice dei tempi moderni. I traduttori che condividono questo pensiero non sperano di fare altro che produrre una versione in un inglese accettabile, che possa essere considerata un’alternativa alla Authorized Version. Il loro credo deve essere di realizzare una Bibbia più facilmente leggibile e quindi di aumentare il numero di lettori: scopo senz’altro lodevole.

Altri stanno evidentemente lavorando ispirati all’accademia. Lo studio e l’accademia migliorano continuamente la nostra conoscenza delle più antiche fonti del testo della Bibbia e anche le lingue in cui è stato scritto e così siamo sempre più consapevoli del fatto che nelle versioni tradizionali ci sono errori che possono essere corretti, passi oscuri che non è necessario rimangano difficili e letture preferibili a passi che un tempo sembravano offrire alternative.

 

 

These defects, and others, scholarship is now prepared to remove or reduce, to present us with a version of the Bible which is written in modern English and is accurate because it tells us, as nearly as is possible, what the original authors really meant us to read.

In an attempt to estimate fairly the results of revision, the principle of reader-analysis, used elsewhere, may helpfully be repeated, asking question, Why does anyone read the Bible? The readers may be divided into the following groups:

1)    The clergy and the theological students, who must always maintain a professional concern of the Bible, which fills the place of their fundamental textbook.

2)    The devout men and women who lead Christian lives, and who read the Bible regularly in the course of their devotions.

3)    Less regular readers who are, however, likely at any time to read a few verses, a page, or a chapter, solely for their own satisfaction.

4)    All the members of the congregations in churches and chapels, to whom the Bible is read aloud in public worship.

 

The first group hardly enters the present discussion, for professors are expected to know as much as possible of their subject, and like all scholars must keep abreast of its progress. But the facts remain that, first, a striving after scholarly accuracy is largely discounted by the absence of any indisputably accurate original Hebrew or Greek versions. The available sources are not ‘original’, they are copies, or copies of copies of copies, and all of them different and inaccurate and puzzling in various degrees.

 

 

L’accademia ora è pronta a rimuovere o ridurre questi e altri difetti, per darci una versione della Bibbia scritta in inglese moderno e che sia accurata perché ci dice il più possibile quello che gli autori originali davvero volevano che leggessimo.

Nel tentativo di valutare con equità i risultati della revisione, il principio dell’analisi dei lettori, usato altrove, potrebbe essere utilmente ripetuto domandandosi «perché una persona legge la Bibbia?» I lettori possono essere divisi nei seguenti gruppi:

1)    Il clero e gli studiosi di teologia che devono sempre mantenere un interesse professionale per la Bibbia, che rappresenta il loro libro di testo fondamentale.

2)    Le donne e gli uomini devoti che conducono vite cristiane e che leggono la Bibbia regolarmente nel corso delle loro preghiere.

3)    I lettori meno regolari, che comunque è possibile leggano qualche verso, pagina o capitolo semplicemente per piacere personale.

4)    Tutti i membri delle congregazioni nelle chiese e nelle cappelle, ai quali la Bibbia viene letta ad alta voce durante le funzioni religiose.

 

Il primo gruppo difficilmente rientra in questo dibattito, dal momento che ci si aspetta che i professori sappiano il più possibile della loro materia e che come tutti gli studiosi si tengano aggiornati. Ma il punto rimane che, prima di tutto, il dibattito sull’accuratezza accademica è ampiamente inficiato dalla mancanza di una versione originale greca o ebraica incontestabile. Le fonti disponibili non sono “originali”, ma copie, o copie di copie di copie e sono tutte diverse, non accurate e enigmatiche a vario titolo.
The maker of a really new  translation has to choose between a number of imperfect sources, and in places of divergence he has to choose the one he prefers, or condemn them all and make his own emendation.

The second question asks how great is the appeal of pure scholarship in the world of today; what is its place, if any, in the Welfare State? One has nor heard the bishops and archbishops loudly proclaiming from the Episcopal pulpits the virtues of the latest translations, nor asking for their general use in their dioceses. And yet, since bishops may not illogically be supposed to represent in general the scholarly element in what is essentially a learned vocation, their doing so would be a justification of the scholars’ views, and would support the idea that scholarly accuracy in the text of the scriptures was of overwhelming importance.

The fourth group does not ask for much space, for its members have little opportunity to express their opinions on what is read to them, or to state their wishes as to what should be read. This leaves the second and third groups, which are much the largest, and therefore the most important for the translator who wishes to reach the hearts and minds of his readers. The fundamental fact about both the devout and the casual reader is that nearly all of them learned to know and to love the Authorized Version during the impressionable years of childhood. This is of overwhelming importance; all that is contained and implied in the phrase ‘at their mother’s knee’ colours the whole of their Bible reading.

The conservatism of children is well known; and it is a characteristic of all human minds that they resent and oppose change. That their opposition may be illogical, their resentment indefensible, and their whole attitude obstructionist, is of no significance, for their attitude is universal and constitutes a real factor in human progress in every sort of human activity.

 

Chi si appresta a realizzare una traduzione davvero nuova della Bibbia deve scegliere tra molte fonti imperfette e in caso di discrepanze deve optare per quella che preferisce o bocciarle tutte per fare la sua correzione personale.

La seconda domanda è «quanto interessa l’accademia pura nel mondo di oggi? Quale il suo posto, se ne ha uno, nel welfare state?» Nessuno ha mai sentito i vescovi e gli arcivescovi annunciare a gran voce dal pulpito le traduzioni appena uscite e neanche  chiedere che vengano usate nella diocesi. Tuttavia, dal momento che i vescovi dovrebbero rappresentare, non senza motivo, l’elemento accademico di quella che essenzialmente è una vocazione colta, il loro agire in questo modo sarebbe una giustificazione delle opinioni degli studiosi e confermerebbe l’idea che l’accuratezza accademica del testo delle scritture è di enorme importanza.

Il quarto gruppo non richiede un’ampia trattazione, dal momento che i credenti hanno poche possibilità di esprimere le loro opinioni su quello che viene loro letto. Rimangono il secondo e il terzo gruppo, che sono i più numerosi e quindi i più importanti per il traduttore che voglia raggiungere il cuore e la mente dei lettori. Il punto fondamentale sia per il lettore devoto sia per quello occasionale è che più o meno tutti hanno imparato a conoscere e ad amare l’Authorized Version da piccoli, quando si è più impressionabili. Questo è di importanza estrema; tutto ciò che è contenuto e sottinteso nella frase “at their mother’s knee” colora l’intera lettura della Bibbia. È noto che i bambini sono conservatori. È inoltre una caratteristica della mente umana rifiutare o ostacolare i cambiamenti. È irrilevante che la loro opposizione possa essere illogica, il loro risentimento indifendibile e la loro modo di pensare ostruzionistico, poiché il loro atteggiamento è universale e costituisce un vero fattore del progresso umano in ogni tipo di attività umana.

 

But there are others, and their name is legion, who form indeed the greater part of the rising generation. When Sir Arthur Quiller-Couch spoke of the prose of the Authorized Version, he said ‘It is in everything we see, hear, feel, because it is us, in our blood’.

These words occur at the end of a lecture which gave in May 1913. read today, more than half a century later, they might easily evoke the comment ‘It sure is not’. And this is true. The generation that learned of the Bible at their mother’s knees has been replaced by another; mothers have been more variously employed and their knees have found different functions. Their children have changed accordingly. At one time it was said that we do less than justice to the newer translations if we conclude that they have improved those parts of the Bible that nobody wants to read and have failed to leave those parts that everybody reads in the form in which all will continue to do so; but opinions also change, and the Bibles of the present century deserve a sympathetic consideration.

A survey of all these Bibles shows the uniform intention of making the book more freely read by the multitude. The example was set by Dr Weymuth, whose New Testament in modern speech in 1903 was the first undoubtedly successful attempt to present the gospels and epistles in the language of contemporary Englishmen. Other versions at about the same time were not so popular, and this may have been in part due to Weymouth’s scholarly yet balanced point of view.  He said that ‘without a tinge of antiquity it is scarcely possible that there should be that dignity of style that befits the sacred themes’. Clearly, the operative word is ‘tinge’, implying that the antiquity must not be obtrusive; and this opinion survives to the present day, for we have been told by Dr Alexander Jones of Liverpool that in forfeiting ‘biblical language’ we lose something that is ‘very precious’.

 

Ma ci sono anche altri, e potremmo dire che il loro nome è legione, che di fatto costituiscono la maggior parte della nuova generazione. Quando Sir Arthur Quiller-Couch parlò della prosa dell’Authorized Version disse «È in tutto ciò che vediamo, sentiamo, proviamo, perché è dentro di noi, nel nostro sangue».

Queste furono le sue parole alla fine di una conferenza che tenne nel marzo del 1913. Letta oggi, più di mezzo secolo più tardi, potrebbe facilmente suscitare il commento «non è di sicuro così». E questo è vero. Questa generazione che ha conosciuto la Bibbia sulle ginocchia della madre è stata sostituita da un’altra; la madre ha avuto un impiego più eterogeneo e le sue ginocchia hanno svolto altre funzioni. I loro figli sono cambiati di conseguenza. Una volta si diceva che non rendiamo affatto giustizia alle traduzioni più recenti se ci limitiamo a dire che hanno migliorato le parti della Bibbia che nessuno vuole leggere e invece hanno lasciato invariate le parti che tutti leggono nella forma in cui tutti continueranno a leggerle. Ma anche le opinioni cambiano e le Bibbie di questo secolo meritano una considerazione positiva.

Uno sguardo generale su tutte queste Bibbie mostra l’intenzione uniforme di rendere il libro più facilmente leggibile da un vasto pubblico. L’esempio viene dal dottor J. Weymouth, il cui New Testament in Modern Speech del 1903 fu il primo e indiscutibilmente riuscito tentativo di presentare i Vangeli e le Epistole nella lingua degli inglesi moderni. Altre versioni pubblicate nello stesso periodo non furono così popolari e questo forse fu dovuto in parte al punto di vista accademico, anche se bilanciato, di Weymouth. Quest’ultimo affermò che  «senza un tocco di antico è poco probabile  che ci sia quella dignità stilistica che si addice ai temi sacri». È evidente che la parola chiave è «tocco» e ciò implica che l’antico non deve essere prominente. Questa opinione sopravvive ancor oggi, perché come dice il professor Alexander Jones di Liverpool, rinunciando alla «lingua biblica» perdiamo qualcosa di «molto prezioso».

 

There are detectable three distinct genera of twentieth-century Bibles. The most primitive are the simple paraphrases that have aimed at nothing more than plain, modern English, with little or no concern for textual accuracy. The most daring fall into the category of pseudo-translation, discussed in Chapter XIII, and in reading them one wonders what their successors will be like in a hundred years’ time. The temptation is irresistible to prophesy that our descendants may open the first chapter of Genesis and read: ‘Well, to start with, God made the earth and the sky; the earth was misshapen and empty and dark everywhere…and he said “Let’s have a light here”… “Ah, that’s good.”’

 

The second genus, which is commendably the largest contains real new translations make by real scholars, driven by devotion and enthusiasm. Many of these reach a surprisingly large number of readers, and their translators are deservedly rewarded. There is always great interest in noting and comparing the short expositions of their translators have included in their prefaces. And these differ. Dr James Moffatt, for example, whose New Testament was published in 1913 and Old Testament in 1924, wished to ‘present the books of the Old and the New Testaments in effective, intelligible English’. Monsignor Ronald Knox, whose translation has been received by the Roman Catholic Church as a worthy companion, or perhaps a successor, to the Douai Bible, aimed at a ‘timeless, acceptable’ English; and the Reverend J. B. Phillips, whose successes in this sphere have been the most spectacular, set himself the seemingly impossible task of ‘forgetting’ the Autohrized Version and the translating the Greek Testament ‘s if it were new’.

 

Si possono individuare tre generi distinti di bibbie del Novecento. Le più primitive sono le semplici parafrasi che miravano a nient’altro che a un inglese semplice e moderno, con un’accuratezza testuale minima, se non inesistente. Le più ardite costituiscono la categoria delle pseudotraduzioni, discusse nel capitolo XIII, la cui lettura ci fa domandare come saranno le traduzioni che verranno fra centinaia di anni. È irresistibile la tentazione di predire che i nostri successori potrebbero aprire il primo capitolo della Genesi e leggere «Bene, per cominciare Dio creò la terra e il cielo; la terra era deforme e vuota e tutta buia…e disse “Facciamo un po’ di luce qui”… ”Oh, così va bene”».

Il secondo tipo, che lodevolmente è il più numeroso, contiene traduzioni sicuramente nuove, fatte da veri studiosi, guidati da entusiasmo e devozione. Molte di queste versioni raggiungono una quantità sorprendente di lettori e i loro traduttori sono meritatamente ricompensati. È sempre grande l’interesse nell’annotare e confrontare le brevi esposizioni dei loro princìpi, che i traduttori espongono nelle prefazioni. E queste differiscono l’una dall’altra. Per esempio il professor James Moffatt, il cui Nuovo Testamento venne pubblicato nel 1913 e il Vecchio nel 1924, desiderava «presentare i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento in un inglese efficace e comprensibile». Il monsignor Ronald Knox, la cui traduzione è stata accolta dalla chiesa cattolica come degna compagna, o forse erede, della Bibbia di Douai, mirava a un «inglese senza tempo e accettabile». Il reverendo J. B. Phillips, i cui successi in questo campo furono i più spettacolari, si prefisse quello che sembrava l’impossibile obiettivo di «dimenticare» l’Authorized Version e di tradurre il Testamento greco «come se fosse nuovo».

 

Obviously, there is nothing to prevent anyone from reopening the familiar Greek Testament, with which in years gone by he gained admission to Oxford or Cambridge, and setting about the same task, and, in fact, a number of men have done so. The most significant differences are to be found between the theologians, whose practical knowledge of Greek is almost limited to the New Testament, and those who have a classical scholar’s wider familiarity with the literature of ancient Greece.

The thirds and the most sophisticated genus contain the new translations made by committees of scholars, made slowly and with the greatest possible care, with reference to and comparisons of the most trustworthy of the ancient scripts. In our generations nothing has approached the New English Bible and the Jerusalem Bible.

A suggestion that a completely new translation of the Bible should be undertaken was made at the General Assembly of the Church of Scotland in 1946. the idea met with general approval, a committee was formed in the following year, and, meeting in Westminster Abbey under Bishop Hunkin of Truro, appointed three panels of translators and a fourth panel of literary advisers. General director of the whole enterprise was Professor C. H. Dodd of Cambridge.

The panels worked slowly, with constant interchange of drafts, corrections and opinions; and the version of the New Testament was approved in March 1960, representing thirteen years’ work.

 

È ovvio che non c’è niente che vieti di riaprire il solito Testamento greco, con il quale anni prima ci si è guadagnati l’ammissione a Oxford e Cambridge e prefiggersi lo stesso obiettivo e, infatti, in molti l’hanno fatto. Le differenze più significative vanno ricercate fra i teologi, la cui conoscenza pratica del greco è limitata quasi esclusivamente al Nuovo Testamento e coloro che invece hanno una dimestichezza più ampia e di stampo classico con la letteratura dell’antica Grecia.

Il terzo e più sofisticato tipo contiene le nuove traduzioni fatte da commissioni di accademici, lentamente e con la maggior cura possibile, con riferimenti a e paragoni con i testi antichi più attendibili. Nella nostra generazione niente ha eguagliato la New English Bible e la Jerusalem Bible.

La proposta di intraprendere una traduzione completamente nuova della Bibbia fu avanzata all’Assemblea Generale della Church of Scotland nel 1946. L’idea raccolse il consenso generale e negli anni successivi venne creato un comitato che, riunitosi nell’Abbazia di Westminster sotto la guida del vescovo Hunking di Truro, designò tre panel di traduttori e un quarto di consulenti letterari. Il direttore generale del progetto era il professor C. H. Dodd di Cambridge.

I panel lavoravano lentamente, con uno scambio continuo di bozze, correzioni e opzioni. La versione del Nuovo Testamento fu approvata nel marzo del 1960, dopo tredici anni di lavoro.

 

Professor Dodd has told us of the principles and ideals that the translators had set before themselves. They wished to produce a Bible which should be an accurate transcription of the best authenticated texts, which should be scholarly with no trace of pedantry, which above all should be couched in modern English idiom with a preference for short and simple sentences; and which should be equally suitable for reading aloud or for private study. If this were accomplished, the hope that the New English Bible would be universally accepted as an authoritative translation, and one which would encourage many to become more familiar with the words and doctrines of the scriptures.

Immediately on its publication the New English Bible received the widespread examination that was only to be expected, and Dr D. Nineham has done valuable service by editing a large collection of these reviews. They show, inevitably, a large number of individual comments on isolated words and phrases, most of which are negligible since there is no reason to suppose that the critics were better scholars than the translators. As a work of translation the New English Bible has received more care from competent scholars than had any of its predecessors: it is undoubtedly more easily read by the ‘ordinary man’ who does not know the Authorized Version particularly well, and is therefore likely to achieve its aim of producing a better and more widespread appreciation of the fundamentals of Christianity. The theologians have been more generous in their early assessments than have the purely literary critics; the have praised its faithfulness to the original Greek, and have especially commented the way in which  it succeeds in bringing out the differences between the styles  of the different books. This is an uncommon virtue in Bible translations: there is a tendency to translate as if all four gospels had been written in faultless, literary Greek of their time, whereas they were written in more colloquial styles, and with different feelings and purposes.

 

 

Il professor Dodd ci ha esposto i princìpi e gli ideali che i traduttori si erano imposti. Volevano creare una Bibbia che fosse un’accurata trascrizione dei migliori testi autenticati che, dal punto di vista accademico, non fosse per nulla pedante e che soprattutto fosse scritta nell’inglese moderno con una preferenza per le frasi semplici e corte. Inoltre volevano che fosse ugualmente adatta alla lettura pubblica e allo studio privato. Il raggiungimento di questi obiettivi avrebbe fatto sperare in un’accettazione universale come traduzione autorevole che avrebbe incoraggiato molti a prendere più confidenza con le parole e la dottrina delle scritture.

Immediatamente dopo la sua pubblicazione, come ci si aspettava, la New English Bible è stata ampiamente esaminata e il professor D. Nineham ha dato un prezioso contributo curando una vasta raccolta di recensioni. Queste inevitabilmente contengono molti commenti personali riguardo a parole e frasi isolate, la maggior parte delle quali sono trascurabili, dal momento che non c’è motivo di credere che i critici siano esperti più capaci dei traduttori. Come opera di traduzione la New English Bible ha ricevuto da studiosi competenti più  attenzione delle versioni precedenti: è indubbiamente più facile da leggere per «l’uomo comune» che non conosce particolarmente bene la Authorized Version; ha quindi probabilmente raggiunto il suo obiettivo di far apprezzare meglio e di più i fondamenti della Cristianità. I teologi sono stati più generosi nelle loro prime valutazioni di quanto non lo siano stati i critici puramente letterari. Hanno lodato la sua fedeltà all’originale greco e hanno elogiato in particolar modo come riesce a far emergere la differenza tra gli stili dei vari libri. Questa è una virtù poco comune nelle traduzioni della Bibbia: c’è una tendenza a tradurre come se i quattro Vangeli fossero stati scritti nel greco impeccabile e letterario del loro tempo, nonostante fossero scritti con stili più colloquiali e con sentimenti e scopi diversi.

 

The New English Bible is a welcome expression of contemporary opinion among theologians, and as such it is of the greatest value to students. Laymen have freely found fault with it, largely because it lacks the lilt and rhythm of the Authorized Version. Yet they have applauded its approach to ‘the current speech of our time’ and the abandonment of any foredoomed attempt to design a ‘timeless’ English, when there can be no such language.

 

The book is reported to have sold six millions copies in its first four years, proof, if proof were needed, that it is a really great achievement in an age in which neither Christianity nor scholarship is even moderately conspicuous. It is therefore worth recording the creation of a by-product of the translator’s labours in the form of revised text of the Greek New Testament, edited by Dr. R. V. G. Tasker.

 

While we are awaiting the Old Testament of the New English Bible the gap  is filled by  the publication of the Old Testament if the Jerusalem Bible in 1966. This very large volume takes its name from the School of Biblical Studies, where some years ago a group of Dominican scholars undertook a translation of the Hebrew and Greek texts into French. La Bible de Jérusalem was an unqualified success all over France and in other Roman Catholic countries.

The English version was also a new translation, made by English Catholics from the same sources and continuously compared with its French counterpart, a method of production that has had no precedent in translating. Readers and reviewers alike have praised the style of the translation with a surprising consistency, and there can be no doubt that this version appears in delightful and lucid English. Moreover, it reflects more than might be expected of the poetry of the poetical books and passages.

A final appraisal of so many translations covering so long a period of time is as nearly impossible as can be imagined, yet a few thoughts seem to be clear.

 

La New English Bible è un’apprezzabile espressione dell’opinione contemporanea tra i teologi e come tale è di grandissimo valore per gli studenti. I laici l’hanno abbondantemente criticata, principalmente perché le mancano la cadenza melodiosa e il ritmo dell’Authorized Version. Tuttavia hanno lodato il suo approccio al «discorso parlato del nostro tempo e l’abbandono del tentativo utopistico di creare un inglese “senza tempo”», dove non può esistere una lingua di questo tipo.

Secondo i dati, il libro avrebbe venduto sei milioni di copie nei primi quattro anni, prova, se fosse necessario, che è davvero un grande successo in un’epoca in cui né cristianesimo né accademia sono anche solo moderatamente importanti. È quindi degna di nota la creazione di un prodotto collaterale delle fatiche del traduttore nella forma di un testo revisionato del Nuovo Testamento greco, curato dal dottor R. V. G. Tasker.

Mentre aspettiamo l’Antico Testamento della New English Bible, il vuoto è colmato dalla pubblicazione dell’Antico Testamento della Jerusalem Bible nel 1966. Questo grandissimo volume prende il nome dalla School of Biblical Studies, dove qualche anno fa un gruppo di studiosi domenicani ha intrapreso in francese una traduzione dei testi ebraici e greci. La Bible de Jérusalem è stata un successo senza pari in tutta la Francia e negli altri paesi cattolici romani.

La versione inglese era una versione nuova fatta da cattolici inglesi, confrontandola continuamente con la controparte francese e basata sulle stesse fonti, metodo produttivo che non aveva precedenti nella traduzione. I lettori e i recensori hanno lodato lo stile della traduzione con una coerenza sorprendente e senza dubbio questa versione è scritta in un inglese gradevole e chiara. Inoltre riflette più di quello che ci si aspetterebbe la poesia dei libri e dei passi poetici.

Un valutazione finale di così tante traduzioni che coprono un periodo così lungo è, come si può ben immaginare, quasi impossibile; tuttavia alcune riflessioni sembrano assodate.

 

The whole period from 1382 to 1966 has been one of almost continuous correction and revision, and there is no reason to suppose that this correction and revision will ever cease. Changes in our knowledge of the ancient languages occur and modify belief as to the nearest equivalents of various words and phrases. More rapidly our own language changes, both in the associations of words and the effects of idioms, so that what was once a good translation may become an incongruous one a decade or two later. Moreover, the readers differ. The historically minded may find satisfaction in the books of the Old Testament; the lovers of poetry, even though it be translated poetry, may share this satisfaction in the poetical books, and while the devout will want little beyond the gospels, the mystics may turn to the Revelation and the academic students to the sometimes involved words of St Paul. To make an ideal all-purposes Bible is probably as difficult or as impossible as to find a universally satisfying ideal in any other facet of human activity.

 

L’intero periodo che va dal 1382 al 1966 è stato caratterizzato da un’opera continua di correzione e revisione e non c’è motivo di credere che queste correzioni e revisioni cesseranno. Cambiamenti nella nostra conoscenza delle lingue antiche modificano le opinioni circa i traducenti più prossimi di parole e frasi varie. La nostra lingua cambia ancora più rapidamente, sia per quanto riguarda le associazioni di parole, sia negli effetti dei modi di dire, così che quella che una volta era una buona traduzione potrebbe diventare dieci o vent’anni più tardi disarmonica. Inoltre anche il lettore cambia. Quello interessato agli aspetti storici può trovare soddisfazione leggendo i libri dell’Antico Testamento; gli amanti della poesia, anche se tradotta, possono condividere questa soddisfazione per i libri poetici e mentre il devoto vorrà qualcosa di più dei Vangeli, i mistici potrebbero rivolgersi alla Rivelazione[1] e gli accademici alle parole a volte difficili di San Paolo. Realizzare una Bibbia ideale per tutti gli scopi è probabilmente difficile o impossibile quanto trovare un ideale in ogni altro aspetto dell’attività umana, che sia universalmente soddisfacente.


Riferimenti bibliografici

Belloc H. 1931. On Translation. Oxford: Clarendon Press.

CEI 1998. La prima Bibbia. Per la famiglia, la catechesi e la scuola. Cinisello Balsamo: San Paolo.

Conferenza Episcopale Italiana 1974. La sacra Bibbia. Roma: CEI.

De Luca E. 2002. Vita di Sansone. Dal libro Giudici/Shoftim. Capitoli 13, 14, 15, 16. Traduzione e cura di Erri De Luca. In appendice: testo ebraico. Milano: Feltrinelli.

De Luca E. 2004. Kohèlet/Ecclesiaste. Traduzione e cura di Erri De Luca. Milano: Feltrinelli.

De Luca E. 2004. Vita di Noe/Noah. Il salvagente. Dal libro Genesi/Bereshit. Traduzione e cura di Erri De Luca. Milano: Feltrinelli.

De Luca E. e Martino G. 2007. Sottosopra. Alture dell’Antico e del Nuovo Testamento. Milano: Mondadori.

Frere J. H. 1820 «Review on Mitchell’s Aristophanes». Quart. Rev. 46. 474-505.

Manchester P. T. 1951. «Verse Translation as an Interpretative Art». Hispania 34. 68-73.

Nida E. A. 1964. Toward a Science of Translating. With Special Reference To Principles And Procedures Involved In Bible Translating. Leiden: E. J. Brill.

Oxford King James Bible 1769 Authorized Version. Disponibile in internet all’indirizzo www.kingjamesbible.org consultato nel novembre 2010.

Popovič A. 2006. La scienza della traduzione. Aspetti metodologici. La comunicazione traduttiva. A cura di Bruno Osimo. Milano: Hoepli. Titolo originale: Teória umeleckého prekladu. Bratislava: Tatran 1975.

Pound E. 1954. Literary Essays of Ezra Pound. (a cura e con introduzione di T. S. Eliot). London: Faber & Faber. 298.

Revisione 1991/2003 La Sacra Bibbia.Antico e Nuovo Testamento. La nuova Diodati. Svizzera: Wollerau: La buona novella, 2008 (Lavis : L.E.G.O.).

Rieu E. V. 1953. «Translation». In Cassell’s Encyclopedia of Literature. London: Cassell & Company. 1: 554-559.

Rieu E. V. e Phillips J. B. 1954. «Translating the Gospels». Concordia Theol. Monthly 25. 754-765.

Savory H. T. 1957. The Art of Translation. London: Cape. 105-120.

Vocabolario Treccani Online. Disponibile in internet all’indirizzo www.treccani.it consultato nel novembre 2010.

Wilt T. 2003. Bible Translation. Frames of Reference. Manchester: St Jerome.

 

 

 



[1] Solitamente tradotta come «Apocalisse».

Hell-O Gavrilov Analisi comparativa prototesto-metatesto

Hell-O Gavrilov

Analisi comparativa prototesto-metatesto

LORENA PIROTTA

Fondazione Milano

Milano Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18 20151 Milano

Relatore: Bruno OSIMO

Diploma in Mediazione linguistica

Luglio 2013

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© Lorena Pirotta 2013


Hell-o Gavrilov: analisi comparativa prototesto-metatesto

 

Abstract in italiano

Il lavoro si propone di compiere un’analisi comparativa di due versioni (statunitense e russa) di una stessa puntata tratta dalla serie televisiva Glee. L’analisi è stata compiuta attraverso l’ausilio della tabella di valutazione usata dai docenti di traduzione del Dipartimento di Lingue di Fondazione Milano. La versione russa è caratterizzata da un particolare tipo di doppiaggio, il voice-over. Il testo si divide in tre parti. La prima è un capitolo che definisce e spiega in cosa consiste il voice-over; la seconda è l’analisi con testo a fronte di prototesto e metatesto, compiuta a seconda delle categorie presenti nella tabella, e la terza è la conclusione, cioè l’“analisi dell’analisi”.

 

English abstract

The purpose of the study is to analyze and compare two versions (U.S. and Russian) of the same episode from the TV serial Glee. The comparative analysis was made thanks to the evaluation grid used by Fondazione Milano’s Dipartimento Lingue translation teachers. The Russian version is characterised by a peculiar kind of dubbing, voice-over. The text is divided into three parts. The first one is a chapter defining and explaining what voice-over is all about; the second part is the analysis of parallel texts and that was made according to the categories contained in the grid, and the third one is the conclusion, i.e. the “analysis of the analysis”.

 

Резюме на русском языке

Целью этой диссертации является произведение сравнительного анализа двух вариантов того самого эпизода сериала Glee (Хор/Лузеры). Анализ произведён благодаря oценочной таблице, употребляемой преподавателями из школы для переводчиков Fondazione Milano. Русский вариант характеризован особенным видом дублирования, voiceover. Диссертация поделена на три части. Первая ― глава, определяющая и объясняющая, что voiceover такое; вторая часть ― анализ двух параллельных текстов, проиведён согласно категориям таблицы, а третья является заключением, т.е. “анализ анализа”.

 


 

Sommario

  1. Prefazione_________________________________________________________________ 3
  2. Voice-over­­­­­­­­­­­­­­_________________________________________________________________ 9

2.1.  Origine e definizione del termine___________________________________________ 9

2.2.  Voice-over translation___________________________________________________ 11

  1. Analisi___________________________________________________________________ 12

3.1.  Scena 1 (00:32)________________________________________________________ 12

3.2.  Scena 2 (03:49)________________________________________________________ 13

3.3.  Scena 3 (05:40)________________________________________________________ 15

3.4.  Scena 4 (06:39)________________________________________________________ 17

3.5.  Scena 5 (11:50)________________________________________________________ 19

3.6.  Scena 6 (14:21)________________________________________________________ 20

3.7.  Scena 7 (17:40)________________________________________________________ 22

3.8.  Scena 8 (21:46)________________________________________________________ 24

3.9.  Scena 9 (25:55)________________________________________________________ 26

3.10.               Scena 10 (42:07)_____________________________________________________ 28

  1. Conclusioni_______________________________________________________________ 30
  2. Riferimenti bibliografici_____________________________________________________ 34

 

  1. 1.  Prefazione

La traduzione è un processo che si compone di tre fasi:

  1. lettura e analisi del prototesto[1] al fine di individuarne la dominante e le possibili dominanti del metatesto[2];
  2. stesura del metatesto;
  3. critica della traduzione, cioè l’analisi comparativa di due testi (prototesto e metatesto).

È proprio sul terzo punto che si concentra questa tesi: l’elaborato presenta l’analisi delle differenze tra la puntata Hell-O della serie televisiva americana Glee (prima stagione, episodio 14) e la versione russa della stessa, il cui titolo è Привет (serie Хор, anche conosciuta come Лузеры). L’originale in inglese (o inglese americano) è, ovviamente, il prototesto, mentre la puntata tradotta, il metatesto. Particolarità interessante del metatesto preso in considerazione è il voice-over: l’episodio, diversamente da quanto ci si possa aspettare, non è doppiato, ma è tradotto tramite questa tecnica, a cui è dedicato l’intero capitolo 2 (più precisamente, la sezione 2.2.).

L’analisi è stata svolta con l’ausilio della tabella di valutazione che i docenti del Dipartimento di Lingue di Fondazione Milano usano per correggere i compiti di traduzione degli studenti. Questa tabella, tratta da Valutrad: un modello per la qualità della traduzione [Formato Kindle] di Bruno Osimo, è l’evoluzione di quella pubblicata in Traduzione e qualità. La valutazione in ambito accademico e professionale e, nel caso specifico di questa tesi, non è stata usata con l’obiettivo di valutare il metatesto, bensì di catalogare le differenze che questi presenta rispetto al prototesto.

 

Di seguito la tabella di riferimento, composta da quattro parti, che riguardano rispettivamente senso, forma, rapporti tra le culture e competenza del traduttore:

Sigla

Spiegazione della sigla

Cambiamento/ricadute sulla ricezione

Esempi

Categorie che riguardano il senso

A

Aggiunte

Una singola parola è aggiunta.

Il gatto↠il gatto bianco

CS

Calchi Semantici e  Sintattici

Calco di parola che determina senso diverso e incomprensibile.

Il tuo comportamento è morbido.

M

Cambiamento radicale di senso riguardante una parola (Word) o più, Mistranslation

L’errore è tale da compromettere il senso generale della frase.

The triumph of spirit over  circumstance↠il trionfo della spiritualità sul caso

MOD

MODulazione: specificazione-generalizzazione, parole-termini, ambiguazione-disambiguazione

Una parola è resa più specifica o più generica. Un termine è diventato parola comune o viceversa. Ridondanza semantica. Modifica del livello di ambiguità di un’espressione in entrambi i sensi.

Non mi dà fastidio, lo sopporto.

OM

OMissioni

Una singola parola è omessa.

Il gatto bianco↠il gatto

 

 

 

Sigla

Spiegazione della sigla

Cambiamento/ricadute sulla ricezione

Esempi

Categorie che riguardano la forma

C

Cadenza, punteggiatura, rima, metrica, capoversi

È stato alterato uno di questi elementi, modificando il ritmo del testo.

Il capoverso dell’originale scompare nella traduzione o viceversa ne compare uno prima inesistente.

CAC

CACofonia

Allitterazioni, assonanze involontarie.

Le ostiche ostriche

ENF

ENFasi, ordine delle parole

Dislocazioni, frase scisse, ordine anomalo delle parole che determina diversa accentuazione della frase.

È te che volevo ↠ Io volevo te

P

Presentazione – forma grafica – layout – impaginazione

Migliore/peggiore riproduzione degli aspetti grafici rispetto alle norme suggerite dal committente.

Per esempio, uso di virgolette alte/basse in modo difforme dalla stylesheet del committente.

R

Registro, tipo di testo

Uso di parole di registro uguale a/diverso da quello desiderato. Migliore/peggiore.

Parmi d’udire un botto ↠ Cos’è ‘sto casino?

S

Stile complessivo dell’autore

Migliore/peggiore rendimento dello stile.

Per esempio sostituzione di congiunzioni alle virgole in un autore che ha la ripetizione della virgola come tratto poetico.

U

Uso: locuzioni, collocazioni, calchi non semanticamente sbagliati, resa inefficace

Una singola parola, sebbene non semanticamente sbagliata, è collocata in modo involontariamente marcato.

L’ho mandato in quella città (anziché “a quel paese”).

È supposto saperlo.

 

Sigla

Spiegazione della sigla

Cambiamento/ricadute sulla ricezione

Esempi

Categorie che riguardano i rapporti tra le culture

INTRA

Uso di SINonimi, ripetizioni, rimandi intratestuali

Sinonimizzazione e desinonimizzazione. Coglimento di rimandi interni da un capo all’altro del testo. Ridondanza lessicale.

Eliminazione (volontaria o involontaria) delle ripetizioni volutamente disseminate in parti diverse del testo per creare rimandi interni da una parte all’altra del testo.

DT

Destinatario – Dominante del Testo- leggibilità

Migliore/peggiore coglimento del lettore modello e della dominante del testo.

Un testo volutamente complesso, con ricerca di forme peculiari, viene standardizzato anche se non è rivolto a un lettore modello standard.

D

Deittici, rimandi interpersonali, punto di vista

Migliore/peggiore riproduzione del punto di vista del narratore o del personaggio, ideologia personale.

Questo/quello

Ora/allora

Qui/là

I

Rimandi Intertestuali, realia

Migliore/peggiore coglimento dei rimandi esterni ad altri testi o altre culture.

Eliminazione (volontaria o involontaria) dei rimandi interculturali o intertestuali volutamente disseminati in parti diverse del testo per creare rimandi esterni dal testo ad altri testi/culture.

 

sSigla

Spiegazione della sigla

Cambiamento/ricadute sulla ricezione

Esempi

Categorie che riguardano la competenza del traduttore

O

Ortografia

Errori d’ortografia nella cultura ricevente.

Un pò, qual’è, ti dò

G-S

Errori Grammaticali e Sintattici

Errori di grammatica o sintassi nella cultura ricevente.

Sebbene è,

inerente il,

in stazione.

E

Enciclopedia – precisione fattuale – conoscenza del mondo

La dotazione enciclopedica della traduttrice è insufficiente a colmare l’implicito culturale.

Blue helmets ↠ elmetti celesti

L

Logica

La logica della traduttrice è insufficiente a colmare l’implicito culturale.

Sapeva che non sarebbe sopravvissuta alla propria morte.

 

 

Siccome la tesi analizza materiale audiovisivo, categorie come P, O e G-S, a parer mio, non verranno prese in considerazione. La mia ipotesi è che anche altre categorie, come E, INTRA, U, S, DT e CAC, non compariranno nell’analisi delle dieci scene scelte, in quanto non penso sia possibile riscontrare differenze o “errori” in ambito enciclopedico, o ridondanze lessicali; dubito che vi siano collocazioni inesatte; non credo sia possibile parlare di “stile dell’autore” né tanto meno di dominante del testo e, a parer mio, il metatesto non presenta alcuna cacofonia. Al contrario, ritengo che le altre categorie, come ENF e MOD saranno molto ricorrenti, trattandosi di un episodio tradotto con la tecnica del voice-over, tipicamente inespressiva.

La scelta di questa puntata è dovuta alla presenza di continui giochi di parole legati al titolo della stessa e ai testi delle canzoni in cui i personaggi si esibiscono durante tutta la durata dell’episodio (si tratta, infatti, di una serie televisiva musicale). È però probabile che nel metatesto questi giochi vadano perduti o diano luogo a differenze di categoria L, come è riscontrabile già a partire dal titolo dell’episodio (Hell-O tradotto in Привет).

Il titolo della tesi stessa si propone come un “gioco di parole”: Hell-O Gavrilov sta a indicare che l’elaborato è l’analisi comparativa prototesto-metatesto della cosiddetta “traduzione Gavrilov” nella puntata Hell-O.

 

  1. 2.  Voice-over

Il voice-over è una tecnica di traduzione audiovisiva, diversa dal doppiaggio, in cui le voci degli attori sono registrate sopra l’originale, udibile in sottofondo. Si tratta di un metodo molto usato in documentari o interviste, mentre in alcuni paesi (soprattutto dell’Europa orientale) è impiegato per tradurre tutti i tipi di film. Generalmente con questa tecnica di traduzione si ha una sola voce maschile che parla a ritmo lento e segue l’originale di circa due secondi. Gli speaker cercano di sembrare quanto più trasparenti possibile per il pubblico; ecco perché non mostrano la minima emozione e mantengono sempre la stessa intonazione. Questo sistema differisce dal doppiaggio per la mancata sincronizzazione e per il fatto che molti suoni esterni ai dialoghi non hanno bisogno di essere riprodotti perché direttamente udibili dallo spettatore dalla colonna sonora originale. Altra differenza è la mancata pretesa di sostituirsi all’originale: presentando il film come qualcosa di non originale, il voice-over permette una resa metatestuale.

 

2.1.         Origine e definizione del termine

L’origine del voice-over è da ricercarsi nella figura del commentatore del cinema muto: il compito del commentatore era quello di spiegare le scene proiettate per una maggiore comprensione della pellicola da parte degli spettatori, o di leggere didascalie. Con l’avvento del suono nel 1927, registrare le voci degli attori risultò molto difficile, data la mole e il peso delle telecamere dotate di microfono. Fu così che nacque il post-shooting voice-over (dopo le riprese): le voci degli attori venivano registrate dopo le riprese e integrate con il video, risolvendo i problemi della registrazione poco funzionale e sostituendo definitivamente la figura del commentatore del cinema muto.

Per meglio comprendere il significato del termine voice-over di seguito sono riportate alcune definizioni:

  • Harrington, nel suo glossario di termini cinematografici descive il voice-over come “any spoken language not seeming to come from images on the screen” (1973:165), cioè come una qualsiasi lingua parlata che non sembra provenire dalle immagini sullo schermo.
  • Il Shorter Oxford English Dictionary definisce il voice-over “narration spoken by an unseen narrator in a film or a TV programme; the unseen person providing the voice” [narrazione di un narratore invisibile in un film o programma televisivo; persona non visibile che parla].
  • Secondo il Merriam Webster online, voice-over è “1a: the voice of an unseen narrator speaking (as in a motion picture or television commercial); 1b: the voice of a visible character (as in a motion picture) expressing unspoken thoughts”[3]. Secondo la prima definizione, quindi, per voice-over si intende la voce di un narratore non visibile (come in un film o in una pubblicità televisiva), mentre per la seconda, il voice-over è la voce di un personaggio visibile (come in un film) che esprime i propri pensieri.
  •  L’enciclopedia online Wikipedia definisce il voice-over come segue:

Voice-over (also known as off-camera or off-stage commentary) is a production technique where a voice—that is not part of the narrative (non-diegetic)—is used in a radio, television production, filmmaking, theatre, or other presentations. The voice-over may be spoken by someone who appears elsewhere in the production or by a specialist voice actor. It is pre-recorded and placed over the top of a film or video and commonly used in documentaries or news reports to explain information[4].

Secondo questa definizione, il voice-over è una tecnica usata in radio, televisione, cinematografia, teatro e altro. Generalmente la voce non è parte della narrazione, ma può appartenere a un personaggio che appare in altri momenti nella produzione o di un attore specializzato. È registrata separatamente e sovrapposta a un film o a un video, di solito usata in documentari o interviste.

2.2.         Voice-over translation

Come metodo di traduzione, il voice-over non è da intendersi come voce narrante sovrapposta alle immagini, ma come traduzione sovrapposta al discorso originale. Il voice-over per la traduzione audiovisiva di film nell’Est europeo, e più precisamente in Russia, è detto traduzione Gavrilov (перевод Гаврилова), dal nome di uno dei suoi più importanti interpreti, Andrej Gavrilov. Definita anche traduzione a una sola voce (одноголосый перевод), questa tecnica era, fin dagli inizi, molto diffusa nel campo della cinematografia pirata. Durante il governo Brežnev, come piena applicazione della dottrina della sovranità limitata, il Goskino (Commissione di stato sovietica per il cinema, Госкино, Государственный комитет по кинематографии СССР) non permetteva la distribuzione di film occidentali al pubblico. Le pellicole erano fruibili solo a una ristretta élite (di politici, funzionari dello Stato e altri personaggi eminenti) che si avvaleva di interpreti che traducevano in simultanea per permettere la piena comprensione del film. Il sopracitato Andrej Gavrilov, insieme con Aleksej Mihalev e Leonid Volodarskij, era uno di questi privilegiati interpreti. La distribuzione illegale era l’unico modo per poter vedere film occidentali, così gli stessi interpreti al servizio del governo cominciarono a tradurre anche per un pubblico più ampio. La maggior parte dei film veniva tradotta in simultanea a causa del bisogno di avere la registrazione pronta nel minor tempo possibile, vista la concorrenza tra i distributori; spesso, però, la traduzione veniva registrata dopo che gli interpreti avevano preso nota dei punti più ostici. Le voci erano conosciute e ogni interprete aveva il suo genere preferito da tradurre: per esempio, Gavrilov si cimentava in rese di film d’azione (famosa la sua performance in Die hard), Mihalev prediligeva commedie e film drammatici (Il silenzio degli innocenti), mentre Volodarskij non aveva un genere fisso (lo si ricorda però per la celebre traduzione di Guerre stellari). Dopo la perestrojka, nell’ambito della traduzione Gavrilov si diffusero doppiaggi a più voci di film e serie tv, ma il grande schermo e la distribuzione pirata continuarono a preferire il metodo del voice-over. Nel corso del tempo è però cambiata la resa del registro osceno (мат), magistralmente evitata da Gavrilov e colleghi tramite abili perifrasi.

 

  1. 3.  Analisi

 

3.1.         SCENA 1 (00:32)

 

– Hey babe, looking good! – Привет детка, классно выглядишь.

– Feeling good, Mercedes. – И чувствую себя классно, Мерседес.

– This is amazing. – Невероятно.

Ever since Glee club won sectionals, С тех пор как хор выиграл на отборочные,

Everybody looks at us differently. Все смотрят на нас иначе.

– I want to be with you, Rachel. – Рейчел, я хочу быть с тобой.

– We’re glitterati. – Мы знаменитые.

I feel like Lady Gaga. Чувствую себя Леди Гагой.

– Get used to it, guys. – Привыкайте.

We’re stars now. Теперь мы звезды.

On par with all the jocks and popular kids.  

OM

Oh, it’s the dawn of a new era here at Mc Kinley, Это начало новой эры в МакКинли.

And we are gonna rule this school! Мы будем править этой школы!

  Вот увидите.

A

– Ooh-hoo, welcome to loser town. – Добро пожаловать в город неудачников.

– Population: you. – Ваш город.

D

 

 

3.2.         SCENA 2 (03:49)

 

– There. – Вот так.

You no longer confuse me with your she-male looks. Теперь ты не cбиваешь меня с толку своим женоподобном видом.

I’m going to donate this to the victims of hurricane Katrina. Я передам это жертвам урогана Катрина.

They can use it to plug the holes in their trailers. Этим они заткнут дыры в своих трейлерах.

– Sue. – Сью.

Please tell me how you managed to pull off getting reinstated. Скажи пожалуйста, как ты умyдрилась добиться восстановления.

– Well, William, – Уильям.

OM

I realized back in my condo in Boca that I had indeed behaved poorly. Ещё у себя в квартирe в Бока, я поняла действительно плохо себе вела.

Riddled with remorse, Терзаясь угрызениями совести,

I arranged a dinner so Figgins and I could have a little professional sit-down. я устроила ужин, чтобы пообщаться с Фиггинсом, на профессиональной темы.

ENF

– Sue, there’s no way I’m letting you back into that school. – Сью, я не за что, не позволю тебе вернуться в школу.

D

– Mind flagging down that waiter? – Ты не позовёшь официанта?

– We had a very frank and healing discussion. – У нас был очень откровенный разговор.

OM

And you know what, Will? И знаешь что, Уилл?

It was like he was seeing me and my moral integrity for the very first time. Былo тaкоe ощущение, что меня и мою душевную чистоту oн видел впервые в жизни.

M

– So here’s what’s going to happen.  

OM

As of right now, I am reinstated. -Если ты не востановишь меня в должности,

ENF

Or I will tell your wife and the entire congregation of the cornerstone bible way church of our sexual congress. я расскажу твой жене и всей пастве из церкви краеугольного камня о нашем общении.

OM

It’s your choice. Тебе выграть. Решай.

A

Smile. Улыбочку.

– God! – Боже!

– Okay, look, Sue, if you’re back, let’s bury the hatchet. – Раз, что ты вернулась, давай зароем топор войны.

– I won’t be burying any hatchets, William, unless I happen to get a clear shot to your groin. – На это я не пойду раз и, что удастся засадить ты между ног.

D

You humiliated me. Ты унизил меня.

– You did this to yourself, Sue. – Ты сама в этой винавата.

OM

All I did was enjoy watching it happen. Я всего ли с удовольствием наблюдал за происходящей.

– Yeah, well, enjoy this, William. – Ну слажно с этим.

D

Now that I am back and my position is secured, Теперь, я вернулась и моя должность мне гарантированна,

I will not stop until you are fired, and your little glee club is annihilated into oblivion. Я не остановлюсь до тех пор, пока тебя не уничтожен.

OM

OM

– Bring it. – Начинай.

R

– Oh, I will bring it, William. – И начну!

R

You know what else I’m gonna bring? Знаешь что я сделаю?

I’m going to bring some Asian cookery Я притащу китайской еды,

MOD

to rub your head with, чтобы втереть тебе в волосы,

‘cause right now you got enough product in your hair потому что в твоей голове столько всякой дряни,

MOD

to season a wok. что только супa не хватает.

M

 

 

3.3.         SCENA 3 (05:40)

 

– Hello. – Привет.

Hello? Привет?

– Hello! – Привет!

– What do you guys say when you answer the phone? – Что вы говорите, когда поднимаете трубку?

– What up? – Чё надо?

– Who this be? – Кто это?

R

– No, she’s dead. This is her son. – Нет, она мертва. Это её сын.

– O-kay… – Ладно…

Alexander Graham Bell, inventor of the telephone, Александр Грэхем Белл, изобретатель телефона,

Liked to say “ahoy, ahoy” when he answered the phone. Говорил “Эй, эй, эй”.

MOD

It was Edison who decided that “hello” was a more appropriate greeting. Но потом решил, что слово “привет” подходит болше.

OM

INTRA

Look, I am really proud of what you guys did at sectionals, Я очень горжусь с тем, что вы сделали на отборочных,

ENF

but as most of you have realized by now, it hasn’t made a bit of difference in your day-to-day at school. но, как вы уже понили, это мало, что изменил в вашей школьной жизни.

ENF

  K сожaлению, должен это сказать.

A

– I have a slushie-stained training bra to prove it. – Заляпанный гaзировкой лифчик тому доказательство.

OM

– The fact is, we’re gonna have to be better, even more spectacular,at regionals. – Дело в том, на конкурсе нам прийдёт выступить ещё лучше, ещё завершившие,

MOD

It’s time for some reinvention, some new New Directions. пообновиться новыми и новыми горизонтами.

M

We need a new… Hello. Нам нужно новое приветствие.

ENF

Here’s your assignment for the week. Вот ваше задание на неделю.

Come up with a fresh number, but it has to have “hello” in the song title. Придумайте новый номер, но в названии песня должно быть слово “привет”.

INTRA

All right? Договорились?

 

 

3.4.         SCENA 4 (06:39)

 

– Hi. – Привет.

– Hi. – Привет.

– This is kind of weird, isn’t it? – Странно, да?

MOD

– Yes. – Да.

– I mean, here we are. We’ve been in this exact situation a hundred times. – Здесь мы были в токой же ситуации сотни раз.

OM

ENF

Only this time, I could just lean over and kiss you if I want to. Только на этот раз, я мог бы наклониться и поцеловать  тебя, если бы захотел.

And I want to. А я хочу. Очень хочу.

A

– No, hold on. Hold on. Hold on. – Нет, погоди, стой. Стой.

INTRA

– I’m sorry. – Прости.

– I just need to clean up first, so I’ll be right back. – Мне нужно сначала привести себя в порядок, так что я сейчас вернусь.

Just hold on. Дождись минутку.

– No, no, no, no. – Нет, нет, нет.

Hey, Emma, Эмма,

I don’t care. мне плевать.

R

We’ve kissed before. Мы уже целовались.

– Yeah, but you caught me by surprise sneak attack that time. – Да, но в тот раз ты застал меня врасплох.

It was like a… A pearly white harbor. Это было как поцелуй Перл Харбор.

M

I’m sorry, this is a completely unattractive quality. Прости, это так некрасиво.

MOD

– You are adorable. – Ты прелесть.

You’re right, too. Но ты права.

M

We need to clean up a little before we charge forward. Мы должны привести себя в порядок перед тем, как двигаться дальше.

Get the monkeys off our backs. Разобраться с нашими проблемами.

R

Let’s do this right. Давай сделаем всё правильно.

We should go on a date. Нужно пойти на свидание.

– Okay. – Хорошо.

– Get to know each other as these… -Узнать друг друга, получше…

New people, как новые люди,

not tied down by anyone. которыx никто не сдерживает.

My place. У меня.

I’ll cook. Готовить буду я.

– I didn’t know you could cook. – Я не знала, что ты готовишь.

– There are so many things you don’t know about me. – Ты обо мне столько не знаешь,

And I can’t wait to introduce them all to you. и жду с терпение когда ты всё это узнаешь.

I’ll see you later. До скорого.

 

 

3.5.         SCENA 5 (11:50)

 

– And that, fellow Glee clubbers, is how we say hello. – Вот так, дорогие, мы здоровимся, привет.

Mr. Schuester, I’d like to run some of my “hello” ideas by you. Мистер Шустер, хотелась бы кое-что с вами соглосовать.

OM

INTRA

– You’re a really good dancer. – Ты так классно танцуешь.

– Thanks, but my feet weren’t really moving. – Спасибо, но я вообше нe двигал ногами.

– That was the best part. – Это и было самым лучшим.

– Oh.  

OM

– Brit and I were wondering if you wanted to go out. – Мы с Брит подумали может быть ты хочешь куда-нибудь сходить.

– On a… Date? – На…свидание?

With which one of you? С кем из вас?

– With both of us. – С нами обееми.

– With both of us. – С нами обееми.

– Breadstix, eight o’clock. – Бредстикс, восемь ноль ноль.

R

Table for three? Столик на троих?

– Cool. – Класс.

– What did they want? – Что они хотели?

– Oh, nothing. Just the time. – Ничего, время спрашивали.

 

 

3.6.         SCENA 6 (14:21)

 

– Well, obviously, hawaiian pizza’s the best because it’s got ham and pineapple on it, right? – Гавайская пицца самая лучшая, потому что в ней есть ветчина и ананас.

OM

ENF

– True. Mm-hmm. – Точно.

– So, it’s better than most pizzas because it has… – Она лучше других пицц…

– All right, guys, you got to get moving on those “hello” numbers. – Ребята, нужно скорить работу над нумерами со словом “привет”.

INTRA

Who has got something to show us? Кому есть что показать?

Volunteers?  

OM

– Mr. Schuester, – Мистер Шустер,

I think I found a song я нашла песню,

that sums up my feelings perfectly. которая идеально выражает мои чувства.

– Fantastic, Rachel. – Чудесно, Рейчел.

Show us what you got. Показыбай что у тебя.

– Guys, guys, guys. – Стоп, стоп ребята.

INTRA

I don’t want to be a buzz-kill, не хочу портить вам настроение,

R

but the assignment was “hello” но задание было слово “привет”.

INTRA

– I’m sorry. I was just focusing on the first syllable. – Простите. Я сосредоточилась на первом слоге.

L

CS

– You know what? – Знаете что?

I don’t think you guys understand the seriousness of what we’re up against. По моему вы не доцениваете серьёзность нашых проблем.

R

While we were busy winning our sectionals, Пока мы выгрывали наши отборочные,

MOD

Vocal Adrenaline was busy winning theirs. Вокальный Адреналин выигрывал свои.

MOD

They’re last year’s national champions. Они прошлогодние национальные чемпионы.

They haven’t lost a competition in three years. Они три года не проигрывали состязание.

This is the big leagues, guys. Ребята, это высшая лига.

MOD

If we don’t place at regionals, Glee club is over. Если мы не займем призовое место на конкурсе, клубу конец.

MOD

I

 

 

3.7.         SCENA 7 (17:40)

 

– Lionel Richie, huh? – Лайонел Ричи?

ENF

One of my favorites. Я его тоже люблю.

MOD

– Oh, my god, – Боже,

you’re Jessie St. James. ты Джесси Сент-Джеймс

You’re in Vocal Adrenaline. из Вокального Адреналина.

P

– And you’re Rachel Berry. – А ты Рэйчел Берри.

I saw you perform at sectionals. Я видел твое выступление на отборочных.

Your rendition of Don’t Rain On My Parade was flawed. Твоя исполнение песни Не порти мне праздник была с грехами.

I

You totally lacked Barbra’s emotional depth. Тебя не хватала емоциональности Барбры.

MOD

But you’re talented. Но ты талантливая.

This is one of my favorite haunts. Я часто сюда прихожу.

OM

M

I like to come and flip through the celebrity biographies. Мне нравится листать биографии знаменитостей.

Pick up some lifestyle tips. У них есть чему поучиться.

MOD

I’m a senior now, so this year’s kind of my victory lap. Я в выпускном классе, так что этот год для меня вроде кругa почёта.

R

Snagging a fourth consecutive national championship Стать чемпионом страны четвёртый раз поряд

would just be gravy. было бы просто чудесном.

I’m getting out of Ohio soon. Скоро я уеду от-сюда.

D

I’ve got a full ride to a little school called the University of California Los Angeles. У меня стипендия в Калифорнийском Университете.

MOD

I

Maybe you’ve heard of it. It’s in Los Angeles. Это в Лос-Анджелесе.

OM

M

What do you say, we take it for a spin? Может, споём? Как ты? Давай, споём!

INTRA

R

– Here? – Здесь?

Oh, no, I-I-I’m kind of nervous. нет,  я стесняюсь.

ENF

– I remember when I used to get nervous. – Я тоже, когда ты стеснялся, но?

L

Come on. I do this all the time. Давай. Я частенько это делаю.

I like to give impromptu concerts for the homeless. Так импровизирую концерты для бездомных.

OM

It’s so important to give back. Так важно, добрые дела.

– We should do this more often. – Можно делать это почаще.

How’s Friday night? как насчёт пятницы?

OM

 

 

3.8.         SCENA 8 (21:46)

 

– Excuse me. – Извините.

We’d like to send these back. Мы хотим этo вернуть.

– But you ate all of it. – Но вы всё съели.

– Look, I’m pretty sure you have to do what we say. – Я уверена, что вы должны нас слушаться.

ENF

MOD

And this food was not satisfactory. И эта еда не была неудовлетворительной.

– There was a mouse in mine. – В моей была мышь.

– So, we’d like more, please. – Так что, будьте добры, замените.

All right, hottest guys in the school. И так, самый симпатичныe парни в школе.

R

Go. Начинай.

– Okay, um, Puck’s super-fine. – Ладно, Пак супер классный.

Finn’s cute, too. Финн тоже симпатичный.

– Yeah, but he’s not hot, though. – Да, но он не сексуальный.

R

– He really isn’t. – Пожалуй.

– And you know what, Brit?  

OM

I think that dwarf girlfriend of his is dragging down his rep. – Но его репутации вредит его уродливая подрушка.

R

M

I mean, if he were dating, say, popular pretty girls like us, Если он, на пример, встречался с такими популярными красотками, как мы,

he would go from dumpy to smokin’. oн бы из никого стал клёвым.

U

– Hello? Hey, I’m right here. – Эй, я ещё здесь.

OM

INTRA

Would you guys mind, like, including me in your conversations? Девчонки, можете принять меня в свои разговоры?

– I’ll just give you an introduction into the way that we work. – Давай, я тебе расскажу как мы работаем.

You buy us dinner Ты нас угощаешь ужином,

and we make out in front of you. и мы целуемся у тебя на глазах.

R

It’s like the best deal ever. Лучше не придумаешь.

– Did you see what Rachel was wearing today? – Ты видела, в чём была сегодня Рэйчел?

– I know. She looked like Pippi Longstocking, but, like, Israeli. – Да она была похожа на израильскую Пеппи ДлинныйЧулок.

R

ENF

– Those sweaters make her look homeschooled. – B этих свитерax у неё такой домашний вид.

M

– Hey, guys, come on. Don’t make fun of Rachel. – Эй, девчонки, хватит издеваться над Рэйчел.

MOD

She’s… She’s kind of cool. Она… Классная.

ENF

R

– Finn, that’s mean. – Финн, это грубо.

– You know what, actually? – А вообще знаешь что?

Would you mind waiting in the car? Можешь подождать в машине?

And leave your credit card. И оставь свою кредитку.

– Did you know that dolphins are just gay sharks? – Ты в курсе, что дельфины – это акулы-гей?

Yeah… Да…

 

 

3.9.         SCENA 9 (25:55)

 

– Hey, Rach, can we talk? – Рэйчел, мы можем поговорить?

R

Look, I want to apologize. Я хочу извиниться.

ENF

I realized I don’t want to date other girls. Я понил, что не хочу встречаться с другими девушками.

Only you. Только с тобой.

You do talk too much, and usually you’re just talking about yourself. Ты слишком много болтаешься, обычно и только о себе.

But at least I don’t feel alone when I’m with you. Но с тобой я не чувствую себя одиноким.

– I’m glad you’ve come to that realization, – Я рада, что ты это oсознал,

MOD

but you’re too late. но ты опоздал.

I’ve met someone else, Я познакомила с другим парним,

a boy who’s finally worthy of my talent and love. который наконец достоин моего таланта и любви.

– Whoa, whoa, wait. – Стой, погоди.

INTRA

Do I know him? Я его знаю?

Is he, is he bigger than me? Он выше меня? Да?

INTRA

– Oh, he doesn’t go to this school, – Он учится в другой школе,

ENF

and he’s a senior. и он в выпускном классе.

R

His name is Jessie, and he’s the male lead in Vocal Adrenaline. Его зовут Джесси, и он главный солист в Вокалном Адреналине.

We’re both aware that our Romeo-and-Juliet romance will be a challenge, Мы оба знаем, что наш запретный роман будет не простым,

I

but our deep respect for each other’s talent will carry us through. но мы всё преодолеем.

OM

– Rachel, don’t you think that’s kind of suspicious? – Рэйчел, а тебе не кажется это подозрительным?

R

We make it to Regionals  

OM

and suddenly the top guy in our main competition picks you up? Что тебя внезапно подцепил солист нашего главного соперника?

– I know it’s hard to believe – Сложно поверить в то,

OM

that anyone would like me что кто-то может увлечься мной

without an ulterior motive, без каких-либо причин,

but you have to respect that our love is real. но ты должен уважать наши чувства.

MOD

Move on, Finn. Забыть о прошлом, Финн.

I finally have. Я уже забыла.

– Mr. Shue… We have a problem. – Мистер Шу. У нас проблема.

 

 

3.10.      SCENA 10 (42:07)

 

– Hey. – Привет.

I ended it with Jessie. Я порвала с Джесси.

You can spread the word. Можешь сказать остальным.

I know you know how to do that. Знаю это умеешь.

– Look, I’m sorry, uh… – Прости.

OM

Look, I know this really sucks for you, Знаю, тебе сейчас фигово,

but I think it’s for the best. но думаю, это к лучшему.

– Taking one for the team. – Жертво ради команды.

I get it. Я понимаю.

– No, not just for the team. – Не просто ради команды.

For us. Ради нас.

You and me. Нас с тобой.

I’ve been thinking a lot lately. Я в последнее время много думал.

I feel like I have all these problems, you know, У меня такое ощущение, что на меня свaлился токой ворох проблем, понимаешь,

MOD

with Quinn and-and basketball and girls and stuff, с Квинн, с баскетболом, девушками и всякое такое,

and I’ve been so overwhelmed trying to figure them all out. я сильно заглажу попытками все исключить.

Then I realized the only thing I needed to fix was us. А потом понял, что исправлять нужно было только наше отношение.

R

I want us to be together, Rachel. Рэйчел, я хочу, чтобы мы были вместе.

A real couple. Настоящий парой.

Look, I even circled some dates on your crazy calendar. Смотри, даже обвёл некоторые даты в твоём дурацком календаре.

Is you not being able to talk right now А то, что ты молчишь

a good thing or a bad thing? это хорошо или плохо?

– I can’t. – Я не могу.

– Can’t what? – Что не можешь?

– I-I can’t be a couple with you. – Не могу быть твоей девушкой.

ENF

MOD

It’s the team. Из-за команды.

We-we can’t have any, um, drama right now. Нам сейчас не нужно драмы.

ENF

You know, we need… We need to focus on Regionals. Мы должны сосредоточиться на конкурсе.

ENF

MOD

And I appreciate your offer. Спасибо за предложение.

S

But in the spirit of being a team player, Но я как командный игрок

I have to decline. вынуждена отказаться.

– Hey, whoa. I’m not just some guy that you met at the music store, – Я не просто какой-то парень, с котором ты познакомилась в музыкальном магазине,

S

that you can just blow off. и которого можно отшить.

I don’t give up that easy. Я так просто не сдаюсь.

See you at rehearsal. Увидимся на репетиции.

 

 

  1. 4.  Conclusione

Come mostrato dall’analisi delle dieci scene, ci sono categorie più ricorrenti di altre e categorie che non compaiono. Le prime sono sicuramente MOD, OM, R, INTRA ed ENF, mentre C, CAC, DT, O, E e G-S sono quelle che non sono state prese in considerazione. Più precisamente, queste categorie non appaiono nell’analisi perché, come già ipotizzato precedentemente, la dominante del testo non ha subìto alcuna variazione e non sono presenti cambiamenti enciclopedici, grammaticali, ritmici od ortografici. Più che di «cambiamenti», sarebbe meglio parlare di «differenze». I due testi, infatti, differiscono l’uno dall’altro per generalizzazioni o specificazioni, per omissioni o aggiunte, per cambiamenti radicali di senso, per ripetizioni o rimandi intertestuali, per punti di vista e, in un paio di casi, anche per logica.

Prendiamo ora in considerazione le categorie di cui ci siamo avvalsi per quest’analisi:

– MOD: come già detto, si tratta di una delle categorie più ricorrenti. La versione russa tende a generalizzare quanto detto nell’originale, ma è da notare la presenza di specificazioni, anche se più rare. La maggior parte delle differenze di tipo MOD riguarda parole singole, come «Regionals» tradotto con «конкурсе», oppure espressioni come «Glee club», divenuto semplicemente «клуб» (quest’ultima differenza è catalogabile anche come I, se prendiamo in considerazione il fatto che il Glee club fa parte dei realia).

– OM: questa è, con ogni probabilità, la categoria più ricorrente. La sua alta frequenza è dovuta al fatto che il voice-over russo, generalmente di ritmo poco sostenuto per permettere agli spettatori una migliore comprensione, deve stare al passo con l’originale inglese, indubbiamente più veloce. Questo porta all’omissione sia di singole parole, sia di frasi intere, come nel caso della battuta «On par with all the jocks and popular kids» presente nella prima scena analizzata. Nonostante la categoria si presenti molte volte, il senso del prototesto non viene in alcun modo compromesso; la resa risulta più “concentrata”, ma certamente comprensibile.

– A: pur se non frequenti come le omissioni, le aggiunte sono presenti. Sebbene si tratti di singole parole o frasi intere, come nel caso della categoria OM, il senso del metatesto non si allontana troppo da quello del prototesto.

– R: le differenze di registro sono assai frequenti in questa analisi e la loro presenza è sicuramente dovuta al fatto che i protagonisti della serie televisiva sono al 90% adolescenti; risulta pertanto difficile rendere dei termini gergali o colloquiali senza rischiare di fare un “cambiamento” di tipo R.

– INTRA: contrariamente a quanto inizialmente ipotizzato, cioè che questa categoria avrebbe fatto parte del gruppo di quelle non analizzate, le differenze di tipo INTRA sono molto ricorrenti e riguardano la parola «hello», su cui è incentrato l’intero episodio, tradotta con «привет». Si tratta sicuramente di una traduzione corretta, in quanto entrambe le parole significano «ciao», ma dal momento che, come precisato nella prefazione, la puntata è basata sul gioco di parole “hello-hell”, in particolare la sesta scena analizzata, questa traduzione risulta poco efficace. Non è molto funzionale anche dal punto di vista della relazione che intercorre tra le battute degli attori e le canzoni, che, nel caso specifico di questo episodio, girano tutte intorno alla parola «hello». La categoria INTRA è, però, usata anche in un altro senso: riguarda le ripetizioni dell’originale (per esempio, «Guys, guys, guys») che non vengono riprodotte nella versione russa («Стоп, стоп ребята»).

– ENF: anche questa è una delle categorie più frequenti perché, trattandosi di voice-over, per definizione senza emozione alcuna, la resa dell’enfasi inglese in russo è inefficace. Le frasi che sono state catalogate come ENF sono molte, anche se, in realtà, questa categoria sarebbe attribuibile a tutto il testo perché l’enfasi suggerita dall’originale manca completamente nella versione russa.

– D: meno frequente delle precedenti, ma pur sempre presente, la categoria dei deittici riguarda la differenza di punti di vista, soprattutto spaziali («I’m getting out of Ohio soon» reso «Скоро я уеду от-сюда»).

– M: si tratta di una categoria non molto ricorrente, ma comunque presente; differenze di tipo M generalmente compromettono il senso del testo, ma nell’analisi svolta, in alcuni casi, il messaggio passa indenne. Alcune M riguardano semplicemente parole singole («moral integrity» tradotta con «душевную чистоту»), altre, come nel caso di tante altre categorie, sono applicabili a intere frasi.

– CS: nell’analisi svolta, questa categoria appare solo una volta, accompagnata dalla categoria relativa alla logica (L). La battuta presa in considerazione è: «I’m sorry. I was just focusing on the first syllable», in russo: «Простите. Я сосредоточилась на первом слоге». Estrapolata dal contesto (il personaggio canta la canzone Gives You Hell, non attenendosi di proposito al compito, cioè quello di cantare canzoni i cui titoli contengano la parola «hello»), sembra che la battuta sia stata tradotta egregiamente, ma in realtà si tratta di un calco che, oltre a compromettere il senso delle battute, dà origine a un problema di logica: la prima sillaba di «привет» in russo non vuol certo dire «inferno».

– L: oltre alla scena citata, questa categoria appare in un’altra battuta: «I remember when I used to get nervous», in russo tradotta con «Я тоже, когда ты стеснялся, но?». Con questa traduzione, considerabile anche M, la logica dell’originale manca totalmente. Prendendo in considerazione la battuta in inglese, capiamo che il personaggio, dandosi delle arie, risponde alla sua interlocutrice con un tono quasi di scherno, dicendo di ricordarsi i tempi, presumibilmente lontani, in cui anche lui si vergognava a esibirsi. Nella frase russa, il messaggio che passa non è certo questo, anzi, sembra una battuta senza alcuna logica.

– I: questa categoria è stata citata in uno degli esempi della categoria MOD, ma è presente anche in altre battute, come «Your rendition of Don’t Rain On My Parade was flawed», in cui, nella versione russa, il rimando interculturale creato dal titolo della canzone non è reso, visto che questi viene tradotto: «Твоя исполнение песни Не порти мне праздник была с грехами». Altro esempio di differenza di categoria I è la battuta «I’ve got a full ride to a little school called the University of California Los Angeles», la cui traduzione («У меня стипендия в Калифорнийском Университете») non fa comprendere allo spettatore russo di quale università il personaggio stia parlando.

– P: contrariamente a ogni aspettativa, questa categoria è stata utilizzata in quest’analisi, sebbene in un solo caso. Pur trattandosi della trascrizione di un discorso orale, è presente una differenza nella riproduzione degli aspetti grafici rispetto all’originale, e più precisamente nella battuta «Oh, my god, you’re Jessie St. James. You’re in Vocal Adrenaline», in russo resa «Боже, ты Джесси Сент-Джеймс из Вокального Адреналина». Nella versione inglese, la battuta è composta da due frasi (non considerando l’esclamazione iniziale) divise da un punto fermo, mentre quella russa è una frase sola. La mia scelta di trascrizione potrebbe essere discutibile, ma difendo questa mia decisione dicendo che non c’era altro modo per scrivere questa battuta, se non rendendola una frase sola.

– U: anche questa è una categoria che appare solo una volta nell’analisi e avevo pensato non fosse rilevante. «… He would go from dumpy to smokin’» è una cosiddetta collocation, che in russo viene tradotta in un modo che, pur facendo arrivare messaggio e senso a destinazione, non presenta una collocation equivalente («… Oн бы из никого стал клёвым»).

– S: è una categoria che ho trattato solo nelle ultime battute dell’ultima scena analizzata, anche se, analogamente alla categoria ENF, si potrebbe attribuire a tutto il testo. Nella prefazione ho espresso la mia idea secondo cui, per questo testo, non è possibile parlare di “stile dell’autore”. Magari è così, ma è sicuramente presente lo “stile dell’attore(o del personaggio?”. Come esempio consideriamo i due protagonisti: Finn, in genere comincia le proprie battute con qualche esclamazione del tipo «Hey, whoa!» che in russo non viene assolutamente tradotta; Rachel, invece, tende a esordire con congiunzioni, stile che nella traduzione russa viene evitato, dando quindi origine a differenze stilistiche.

Come si può vedere da questa “analisi dell’analisi”, alcune delle ipotesi iniziali proposte nella prefazione sono state confermate, mentre altre sono state smentite. Nessuna traduzione è identica, altrimenti sarebbe copia. A parer mio, il testo preso in considerazione è un’interessante fonte di differenze traduttive, dovute soprattutto alla tecnica del voice-over.

 

  1. 5.  Riferimenti bibliografici

– Osimo B[bo1] . 2000-4 Doppiaggio, in Corso di traduzione 4:17, Modena, Logos, disponibile in internet all’indirizzo: http://courses.logos.it/IT/4_17.html consultato nel mese di febbraio 2013.

Qui devi ripetere tutto … http://courses.logos.it/IT/4_18.html

Qui devi ripetere tutto … http://courses.logos.it/IT/4_19.html

Qui devi ripetere tutto … http://courses.logos.it/IT/4_20.html

– Harrington, John 1973 The rethoric of film New York: Holt, Rinehart and Winston.

– Franco, Eliana/ Matamala, Anna/ Orero, Pilar 2010 Voice-over Translation: An Overview Bern, Berlin, Bruxelles, Frankfurt am Mein, New York, Oxford, Wien: Peter Lang.

Qui devi ripetere tutto – http://en.wikipedia.org/wiki/Voice-over_translation consultato nel mese di febbraio 2013.

– Osimo, Bruno 2004 Traduzione e qualità: la valutazione in ambito accademico e professionale Milano: Hoepli.

– Osimo, Bruno 2010 Propedeutica della traduzione: corso introduttivo con tabelle sinottiche Milano: Hoepli.

– Osimo, Bruno 2013 Valutrad: un modello per la qualità della traduzione Milano: Bruno Osimo Editore [Formato Kindle].

– Falchuck, Brad Hell-O tratto da Glee USA Ian Brennan 2009.



[1] Prototesto: testo dell’originale, testo della cultura emittente, da cui si avvia il processo traduttivo. (Osimo:2010)

[2] Metatesto: testo della traduzione, testo della cultura ricevente, a cui si giunge mediante il processo traduttivo. (Osimo:2010)

 

Kalevi Kull: A sign is not alive – a text is. (Kalevi Kull: A sign is not alive – a text is)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kalevi Kull: A sign is not alive – a text is.

(Kalevi Kull: A sign is not alive – a text is)

 

Abstract in italiano

La biosemiotica è un sottoinsieme della scienza dei segni applicata al mondo biologico. Il suo obbiettivo è colmare la distanza tra mondo umano e non umano, dal punto di vista della comunicazione. La vita è comunicazione. Sulla base della traduzione di «A sign is not alive – a text is» di Kalevi Kull viene analizzato il rapporto tra  biosemiotica e processo traduttivo. La traduzione non è confinabile al campo della linguistica; il suo raggio d’azione si estende a tutto il mondo dei segni.

 

English abstract

 

Biosemiotics is a subset of the  sign science  applied  to the biological world. Its purpose is to bridge the gap between the human world and the non-human world. Life is communication. On the basis of the translation of “A sign is not alive – a text is” by Kalevi Kull the connection between biosemiotics and the translation process was analyzed. Translation cannot be confined to the linguistics field; its sphere of activity extends over the whole world of signs.

 

Résumé en français

 

La biosémiotique est un sous-ensemble de la science des signes appliquée au monde biologique. Son but est  de combler la distance entre le monde humain et le monde non-humain, sur le plan de la communication. La vie est communication. Sur la base de la traduction de l’article «A sign is not alive – a text is» écrit par Kalevi Kull, on a analysée la relation entre la biosémiotique et le processus traductif. La traduction ne peut pas être confinée au domaine de la linguistique ; son rayon d’action s’étend à tout le monde des signes.

 

 

 

 

 

Sommario

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. 1. Prefazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1.1 Introduzione alla biosemiotica

Letteralmente la biosemiotica è la sintesi tra biologia e semiotica. Non si tratta di una nuova disciplina ma di un ramo della semiotica, ovvero della scienza dei segni, che racchiude in sé la biologia, le scienze del linguaggio e le scienze della comunicazione. Una delle definizioni migliori di biosemiotica è data, a mio avviso, da Kalevi Kull nell’introduzione di Information, codes and signs in living systems di Marcello Barbieri: «La biosemiotica può essere definita come la scienza dei segni nei sistemi viventi» (Kull 2007:2). Senza giri di parole, sintetica e diretta. È ovvio che è solo una prima definizione, ma riesce brevemente a riassumere in modo chiaro gli  aspetti principali di questa disciplina. «La scienza dei segni deve sviluppare il linguaggio con cui parlare dei segni e deve essere in grado di riferire sia ai segni degli animali, sia ai segni degli uomini» (Morris 1946:9). In realtà, volendo essere più precisi, si dovrebbe parlare di segni degli animali umani e non umani. Tuttavia «non si tratta semplicemente di riprendere una terminologia usata nell’osservazione del comportamento animale per applicarla al comportamento umano; in tal caso, la prospettiva da cui si guarda ai segni comprende l’intero mondo animale, umano e non umano. Questa prospettiva è chiaramente biosemiotica» (Petrilli 2000). Uno degli obbiettivi di questa branca è descrivere l’essere vivente in termini di processo comunicativo e di decodificare la semantica e la grammatica dell’essere vivente, definendone i simboli, le regole e i sensi impiegati nel processo comunicativo. È importante ricordare che il senso di un segnale può dipendere dal contesto. Ad esempio, l’adrenalina facilita la fuga quando sono presenti ansia e stress oppure favorisce la digestione, quando ci si sente rilassati e sereni. Ciò dimostra che il simbolo dell’adrenalina non è univoco e che il contesto gioca un ruolo fondamentale. A questo proposito la biosemiotica ha il pregio di prendere in considerazione l’intero spettro dell’essere vivente, partendo dai batteri, passando per le piante e arrivando fino all’uomo. Per esempio, possiamo paragonare i sistemi di difesa vegetali a quelli animali; se una pianta viene attaccata da un agente nocivo, è in grado di difendersi rilasciando delle sostanze volatili repellenti per allontanare il suddetto o perfino attraenti  per attirare i parassiti del parassita. Parallelamente, esistono altri organismi, non necessariamente di tipo vegetale, in grado di fare la stessa cosa, impiegando dei mezzi di comunicazione analoghi.

La biosemiotica si occupa anche della ricerca della natura biologica  dei segni e della base semiotica della biologia. L’evoluzione del senso è caratterizzata dalla sua estensione al di là del tempo e dello spazio e dalla classificazione della sua struttura. Tale processo ha gradualmente fatto sì che i sistemi prebiologici si evolvessero fino all’uomo.

 

1.2 Il processo traduttivo

«Normalmente, quando si parla di traduzione, si ha in mente una sottospecie molto particolare di questo processo, ossia la riespressione di un testo in una lingua (codice naturale) diversa da quella in cui il testo è stato originariamente concepito e scritto» (Osimo 2001:3). Se quest’affermazione non venisse approfondita, si potrebbe pensare che la traduzione riguarda solo i testi verbali nel loro rapporto tra più lingue. Tuttavia, il processo traduttivo si occupa anche del rapporto che intercorre tra linguaggi diversi di una stessa lingua, «avendo ogni lingua un plurilinguismo interno più o meno sviluppato» (Petrilli 2000:5). A questo punto, non possiamo confinare la traduzione esclusivamente nel campo della linguistica; occorre ampliare il suo raggio d’azione poiché coinvolge la semiotica, comprendendo quindi i linguaggi non verbali,oltre a quelli verbali. Da questo punto di vista, «la traduzione è un’operazione segnica, nel senso che avviene tra segni  e non è riducibile al linguistico-verbale» (Petrilli 2000). È necessario ora fare una distinzione tra lingua e linguaggio, dato che ne abbiamo parlato fin’ora, e per farlo riprenderò le parole di Ferdinand de Saussure: «Per noi, una lingua si confonde col linguaggio; essa ne è semplicemente una determinata parte, seppur essenziale. La lingua è al tempo stesso un prodotto sociale della facoltà del linguaggio ed un insieme di convenzioni necessarie, adottate dal corpo sociale per consentire l’esercizio di questa facoltà negli individui. Il linguaggio appartiene a diversi campi e anche al dominio individuale e al dominio sociale e non si lascia classificare in nessuna categoria di fatti umani. Al contrario,la lingua è in sé una totalità e un principio di classificazione» (Saussure 1971:126). In breve, la lingua è il modo concreto in cui si manifesta la capacità del linguaggio umano, dal quale però si distingue.

Nel momento in cui incontriamo un processo semiosico o un segno allora assistiamo anche al processo traduttivo. Qui, la traduzione esula dalla «semiosfera» di Jurij M. Lotman, ovvero da quell’ambito della semiosi in cui i processi del segno operano nel gruppo di mondi circostanti interconnessi, gli Umwelt. Allora il processo traduttivo «potrebbe estendersi all’intero mondo organico, ossia ovunque ci siano segno e semiosi e spaziando per l’intera «biosfera» o «semiobiosfera», come la biosemiotica» (Petrilli 2000).

Riprendendo le parole che Susan Petrilli scrive nel suo libro La traduzione,  possiamo ora dare una nuova definizione di processo traduttivo:

La traduzione è un’operazione semiosica ritrovabile ovunque ci sia segno, cioè in qualsiasi espressione di vita, ma è principalmente un’operazione semiotica che presuppone la presa di coscienza, la riflessione e cioè un uso mediato dai segni.

 

1.3 I tipi di traduzione

Se si vuole che il processo traduttivo abbia successo, la strategia comunicativa dovrà essere completa e tenere in considerazione che esistono vari tipi di traduzione, che comprendono gli aspetti linguistici, ma anche quelli culturali; ecco qui di seguito l’elenco dei tipi di traduzione che conosciamo:

 

  •  Traduzione intralinguistica
  •  Traduzione intersemiotica
  •  Traduzione intertestuale
  •  Traduzione metatestuale
  •  Traduzione culturale
  •  Traduzione mentale

 

Quella che, per eccellenza, rientra nell’ambito biosemiotico è la traduzione di tipo intersemiotico, ovvero quella che avviene tra diversi linguaggi non verbali e anche al di fuori dei linguaggi umani fino ad arrivare a traduzioni «di ordine specificamente biologico».

«La traduzione non riguarda solo il mondo umano, ossia l’antroposemiosi, ma è una modalità costitutiva dell’intero mondo vivente, della biosemiosi, della biosfera» (Petrilli 2000:9). Ecco lo schema della ripartizione dei tipi di processo traduttivo, dal punto di vista biosemiotico:

Semiobiosfera

|

Traduzione intersemiosica

(tra sistemi segnici)

|

Traduzione endosemiosica

(in un sistema segnico)

|

Antroposemiosi

|

Traduzione antroposemiosica

|

Traduzione intersemiotica

(in cui compare un linguaggio)

|

Traduzione interlinguistica

(tra linguaggi)

|

Traduzione endolinguisica

(in un solo linguaggio)

|

Traduzione endoverbale

(nel linguaggio verbale)

 

 

 

 

 

 

 

  • – Diglossica  tra lingua standard e dialetto
  • – Diafasica  tra registri diversi
  • – Diamesica tra scritto e orale

 

1.4 La semiobiosfera

Abbiamo già visto la definizione che Jurij M. Lotman dà del termine «semiosfera». Thomas A. Sebeok ne riprende il concetto e lo amplia dato che, secondo Jurij M. Lotman, «la semiosfera è l’oggetto della semiotica globale o semiotica della vita ed è circoscritto alla sfera della cultura umana» (Ponzio 2002:325). Infatti, stando alla semiotica globale, semiosi e vita coincidono ed è per questa ragione che possiamo chiamarla «semiotica della vita». Così intesa, la semiosfera si identifica con la biosfera e sintetizzando i due concetti, possiamo utilizzare il termine comune «semiobiosfera». In poche parole, la biosfera è quella parte del nostro pianeta che comprende i segni vitali, si tratta ovvero del luogo in cui viviamo e di ciò che siamo. Al contrario, la semiosfera ingloba tutto ciò che riguarda le varie culture e, come ho accennato in precedenza, ha un’estensione limitata, almeno rispetto al concetto di biosfera.

Al di fuori della semiosfera possono esistere sia comunicazione sia linguaggio, nonostante Lotman escludesse totalmente «il mondo della prodigiosa terra di nessuno popolata da molteplici creature senza parola ma persino l’uomo stesso nella sua inalienabile costituzione animale» (Ponzio 2002:12). Sebeok addirittura definisce quest’asserzione sconcertante ed effettivamente Lotman non tiene conto del fatto che l’antroposemiosi è impiantata nella zoosemiosi e che la semiosi umana si svolge prevalentemente in maniera extraverbale. La zoosemiotica è un ramo della biosemiotica particolarmente prolifico, dato che gli animali sono dei mediatori semiosici, da un certo punto di vista. Essi possono essere considerati «agenti di trasformazione» a metà strada fra le piante, organismi che mettono in moto gli interpretanti e i funghi, che decompongono gli interpretanti (Sebeok 1988:65). Nel ruolo di mediatori, gli animali elaborano i segni che abbracciano l’intero spettro sensorio, ciascuno secondo la sua specifica gamma di organi sensori, ma anche semplicemente in proporzione ad essa. Anche se può sembrare che l’ambiente inanimato non assuma nessuna funzione semiosica, esso può agire come una sorta di fonte di messaggi. La traduzione può essere ritenuta come implicita nel concetto di segno; infatti, un segno senza interpretante, ovvero senza un altro segno che ne comunichi il significato, non può essere compreso. Il significato di un segno non può essere circoscritto entro dei limiti. In teoria, ogni volta che qualcosa ha significato, non c’è tipo di segno che non possa essere coinvolto e fornire così interpretanti del segno. È questo che fa del significato e della traduzione un fatto semiotico anche quando la traduzione e l’interpretazione avvengono nell’ambito del verbale, tra linguaggi della stessa lingua (traduzione endolinguistica) o tra lingue diverse (traduzione interlinguistica). All’interno del processo traduttivo, la difficoltà non riguarda la traducibilità, che una condizione della vita stessa del segno; le problematiche sono legate alla restrizione dell’interpretante al campo verbale.

La comunicazione è un fenomeno comune a tutti gli organismi viventi; per esempio, è comunicazione il messaggio genetico che si trasmette di padre in figlio, marcare il territorio (come fanno i cani), il dolore che ci avverte di una qualunque disfunzione all’interno del nostro organismo. La comunicazione sicuramente non è univoca; può essere verbale, mimica, gestuale o cinesica e infine prossemica, ovvero implicita nei vari atteggiamenti degli esseri umani.

 

1.5 Un esempio pratico di traduzione intersemiotica tra un animale umano e un animale non umano

Finora, sul piano teorico, abbiamo parlato di come tutti gli organismi viventi riescano a comunicare e a trasmettere messaggi anche se non sono dotati dell’uso della parola; dal punto di vista pratico, se un animale umano, ovvero una persona, volesse capire il linguaggio di un animale non umano, ad esempio di un cane, si troverebbe davanti ad una traduzione intersemiotica. Il cane, infatti, comunica utilizzando il linguaggio del proprio corpo e sta all’uomo capire quello che “Fido” sta cercando di dirgli, immagazzinando i suoi movimenti e le sue posture e traducendoli in un messaggio che abbia un senso per l’uomo, quindi verbale. Si tratta di una vera e propria traduzione; infatti, per sapere come interpretare il linguaggio corporeo del cane, l’uomo deve documentarsi, imparare a conoscerlo standoci a contatto, studiarne il comportamento sul campo, parlare con etologi, comportamentisti e persone competenti. Le stesse cose che si fanno per prepararsi adeguatamente a tradurre un testo scritto.

È importante ricordare che il cane “parla” completamente un’altra lingua rispetto a noi e che quindi anche noi comunichiamo con il cane attraverso gesti e movimenti. Ad esempio, per noi, il contatto visivo è estremamente importante; difficilmente quando parliamo con un’altra persona non la guardiamo negli occhi e se lo facciamo, è considerato un segno di maleducazione. Quando ci avviciniamo ad un cane che non conosciamo guardandolo negli occhi, il messaggio che il cane recepisce è di sfida e si comporterà di conseguenza. Viceversa, possiamo essere noi a fraintendere un messaggio del cane; normalmente siamo portati a pensare che il cane agita la coda solo per fare le feste o quando è contento. In realtà, ad ogni suo stato d’animo, corrisponde un movimento diverso della coda; se Fido è tranquillo agiterà la coda abbastanza velocemente, se impaurito la terrà tra le zampe posteriori, se in collera terrà la coda alta e la agiterà velocemente. È ovvio che se sta per attaccarci e noi capiamo che vuole farci le feste, il problema non è di poco conto. Fortunatamente per noi, il cane non utilizza mai un solo “movimento” per trasmettere il proprio stato d’animo o le proprie intenzioni. Agitare la coda è solo uno dei segnali di cui il cane si avvale per comunicare l’imminente attacco. Se portasse tutto il peso sulle zampe anteriori, rizzasse il pelo del dorso, non distogliesse lo sguardo, mostrasse i denti e ringhiasse, allora avreste motivo di preoccuparvi seriamente.

Ho voluto fare un esempio pratico di quello che ho scritto nella prefazione di modo che si avesse la possibilità di capire concretamente cos’è la traduzione del linguaggio degli organismi viventi, al di fuori del campo verbale.

 

 

 

 

 

 

 

 

1.6 Riferimenti bibliografici     

 

BARBIERI, MARCELLO. 2007 Biosemiotics: Infos, codes and signs in living systems  Nova Science Publishers.

 

BARBIERI, MARCELLO. 2008 Introduction to biosemiotics: the new biological synthesis  Springer.

 

ECO, UMBERTO. 1997  Semiotica e filosofia del linguaggio  Torino: Einaudi.

 

ECO, UMBERTO. 2003 Dire quasi la stessa cosa: esperienze di traduzione Milano: Bompiani.

 

HOFFMEYER, JESPER. 1996 Signs of meaning in the universe Bloomington: Indiana University Press.

 

HOFFMEYER JESPER, FAVAREAU DONALD.2009 Biosemiotics: an examination into the signs of life and the life of signs University of Scranton Press.

 

MORRIS, CHARLES. 1946 Signs, language and behavior Prentice-Hall

 

MOUNIN, GEORGES. 1971 De Saussure: la vita, il pensiero, i testi esemplari Firenze: Sansoni.

 

OSIMO, BRUNO. 2004 La traduzione totale: Spunti per lo sviluppo della scienza della traduzione Milano:Hoepli.

 

OSIMO B. 2001 Propedeutica della traduzione Milano:Hoepli.

 

PETRILLI, SUSAN. 2001 Lo stesso altro Roma: Meltemi.

 

PETRILLI, SUSAN. 1999/2000 La traduzione Roma: Meltemi.

 

PETRILLI SUSAN, PONZIO AUGUSTO. 1999 Fuori campo:i segni del corpo fra rappresentazione ed eccedenza Mimesis.

 

PONZIO, AUGUSTO. 2002 Vita Roma: Meltemi.

 

ROTHSCHILD, FRIEDRICH SALOMON. 1994 Creation and evolution: a biosemiotic approach Universal and Berne.

 

SEBEOK, THOMAS ALBERT. 2001 Global Semiotics Bloomington: Indiana University Press.

 

SEBEOK, THOMAS ALBERT. 1998 Come comunicano gli animali che non parlano Edizioni dal Sud.

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Traduzione con testo a fronte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A sign is not alive – a text is

 

Kalevi Kull

Department of Semiotics, University of Tartu

Tiigi Str. 78, Tartu, Estonia

 

 

e-mail: kalevi@zbi.ee

 

 

 

Abstract. The article deals with the relationships between the concepts of life process and sign process, arguing against the simplified equation of these concepts. Assuming that organism (and its particular case – cell) is the carrier of what is called ‘life’, we attempt to find a correspondent  notion in semiotics that can be equaled to the feature of being alive. A candidate for this is the textual process as a multiple sign action. Considering that biological texts are generally non-linguistic, the concept of biotext should be used instead of ‘text’ in biology.

 

.

 

 

 

 

 

In this note I would like to pay attention to the importance of non-oversemplification in applications of semiotic concepts in biology. This infers from the threshold of the type of diversity ( the categorized

La staticità del segno, la vitalità del testo

 

Kalevi Kull

Dipartimento di semiotica, Università di Tartu

Tiigi Str. 78, Tartu, Estonia

e-mail: kalevi@zbi.ee

 

Abstract –  L’articolo tratta del rapporto fra il concetto di «processo della vita»

e il concetto di «processo segnico» e mette in discussione l’equazione semplificata di tali idee. Ponendo che l’organismo – e la particella che lo compone, ovvero la cellula – sono portatori di ciò che è noto come « vita », dobbiamo cercare di reperire un concetto corrispondente nell’ambito della semiotica che possa essere equiparato all’essere in vita. Tale concetto può essere quello di «processo testuale» in quanto azioni segniche multiple. Tenendo in considerazione che i testi di tipo biologico sono generalmente non linguistici, in biologia dovremmo servirci del concetto di biotesto al posto di quello di testo».

 

 

If we put together many branches and great

quantity of leaves, we still cannot understand

the forest. But if we know how to walk

through the forest of culture with our eyes

open, confidently following the numerous

paths which criss-cross it, not only shall we

be able to understand better the vastness

and complexity of the forest, but we shall

also be able to discover the nature of the

leaves and branches of every single tree.

U. Eco (1990: xiii)

 

 

 

Vorrei qui porre l’accento sul fatto che è importante non fare semplificazioni eccessive dei concetti semiotici in biologia. Lo possiamo inferire dalle soglie del tipo di diversità (la diversità

 

 

diversity) that  the contemporary biology describes as characteristic to all living systems.

There is not only Floyd Merrell, who has written about “ the life ~ Signs equation” (Merrell 1996:315n1). Particularly in that part of semiotics which is strongly influenced by Peircean ideas, the expressions like ‘living signs’ have become quite frequent in recent years. Another factor behind these claims is the influence of biosemiotic studies, including its basic assumption that semiosis and life are coextensive.  That the issue is not of secondary importance for semiotics, is evident from Thomas A. Sebeok’s statements:

 

I postulate that two cardinal and reciprocal axioms of semiotics – subject, as always, to falsification – are: (1a) The criteria mark of all life is semiosis; and (1b) Semiosis presupposes life. […] Further semiosic unfolding – such as the genesis of ordered oppositions like self/other, inside/outside, and so forth – derive from, or are corollaries of, the above pair of universal laws.

(Sebeok 2001:10-11)

 

The idea about the identity of life and semiosis, no doubt, has been a productive core hypothesis, considerably assisting in the attempts to find a correspondence between biology and semiotics. In a more detailed analysis, a question arises, whether biology itself can learn anything from these ideas; e.g., whether it may be possible to give a more profound description to the concept of life using its semiotic features.

The claims above can be easily interpreted as if a sign, being an element of life, is itself alive. Still, one has to keep in mind that the problem of elements in sign science is very different from the problem of elements in chemistry.

A discussion about the relationship between the concepts of ‘life’ and ‘sign’ is complicated due to the fuzziness of the ‘life’ concept altogether. A collection of life definitions provided by Barbieri (2001:235-242) perfectly demonstrates the diversity of these definitions. However, the problem is inescapable for biology, and I suggest that a semiotic approach will be very helpful in achieving a more clear understanding (if not a solution) of it. categorizzata) che la biologia contemporanea descrive come peculiarità di ogni sistema vivente. Floyd Merrel, autore di The Life Signs equation (Merrel, 1996: 315n1), non è stato l’unico. In particolare,in quel ramo della semiotica così fortemente influenzato dalle idee di Peirce, espressioni come «segni viventi» sono diventate piuttosto frequenti, recentemente. Esiste un altro fattore dietro queste affermazioni ed è l’influenza degli studi in materia di biosemiotica, che comprendono la sua congettura di base; secondo questa, semiosi e vita sarebbero coestensive. Grazie alle affermazioni di Thomas A. Sebeok, risulta evidente che la questione non è di secondaria importanza per la semiotica:

Sostengo che due assiomi della semiotica cardinali e reciproci – soggetti,come sempre, alla falsificazione – sono: (1 a) Il criterio distintivo di qualsiasi forma di vita è la semiosi;

(1 b) La semiosi presuppone la vita […] Ulteriori sviluppi semiosici come la genesi delle opposizioni – ad esempio proprio/altrui, interno/esterno e così via – derivano della suddetta coppia di leggi universali.

(Sebeok,2001:10-11)

L’idea a proposito dell’identità di vita e semiosi è stata indubbiamente un’ipotesi produttiva, che ha notevolmente sostenuto i tentativi di trovare una corrispondenza tra biologia e semiotica. Ad un’analisi più approfondita ci si chiede se la biologia stessa possa imparare qualcosa in più da tali idee; ad esempio, è possibile dare una definizione più dettagliata del concetto di vita, utilizzando le sue peculiarità semiotiche?

Le suddette affermazioni possono essere facilmente interpretate se poniamo che il segno, essendo un elemento di vita, è vivo. Eppure, occorre ricordare che il problema degli elementi, nella scienza dei segni, è molto diverso da quello degli elementi in chimica.

La complessità del dibattito a proposito della relazione tra i concetti di «vita» e «segno» è dovuta all’indefinibilità del concetto di ’vita‘ nel suo insieme. Barbieri ha fornito una serie di definizioni di «vita» (2001:235-242) che mostra perfettamente la diversità che intercorre tra queste definizioni. Tuttavia, nell’ambito della biologia, il problema è ineluttabile e ritengo che un approccio semiotico possa essere utile per raggiungere una più immediata comprensione del problema (se non una soluzione).

 

 

BIOTEXT

Sign, however an absolutely necessary element of any semiotic system, still cannot be taken as a fundamental semiotic unit, because sign cannot exist as a single sign – sign is always a part of a bigger system, sign is always accompanied by another sign(s). This is not because signs always just happen to be placed not far from each other and in multitude, but because it belongs to the very nature of sign to be ‘a part of’, to be a meron. At least in some traditions in semiotics, this bigger system can be called ‘text’.Comparing the above statement (that sign cannot exist as a single sign), by analogy, to a biological key idea that the minimal living unit is cell, one may conclude that the same should be applicable here – ‘cell cannot exists as a single cell’. However, this comparison is not exact, and not true. Because, the cell, on the one hand, being “the simplest entity to possess real semiotic competence” (Hoffmeyer 1997:940), on the other hand always includes a whole multitude of signs. This contradiction can be solved if to speak on ‘semiosis’ instead of ‘sign’ (as actually in the case in most biosemiotic writings): cell is a minimal semiosic unit.  Semiosis is – according to its common definition – the action of signs, the sign process. “According to Peirce, semiosis is a continuous process that is based on the interpretation of one sign through another. Jakobson described this process as translation” (Krampen et al 1987:244). Since semiosis is nota n action of just one sign, since semiosis involves always a multitude f signs, it is a textual process like translation is. In this way, it has to be concluded that semiosis is not an action of a sign, but an action of signs, and accordingly a more complex structure than that of a single sign has to be present in a simplest semiosic system. If to call this text, one should consider that

 

 

IL BIOTESTO:

Il segno, che rimane comunque un elemento indispensabile per qualunque sistema semiotico, continua a non essere considerato come un’unità semiotica fondamentale, poiché il segno non può esistere come elemento a sé stante – il segno fa sempre parte di un sistema più grande – il segno è sempre accompagnato da uno o da più segni. Questo non avviene perché i segni sono semplicemente sempre collocati in massa, vicini gli uni agli altri, ma perché il segno appartiene alla vera natura segnica al fine di essere ’una parte di‘, al fine di essere un merone. Almeno in qualche tradizione semiotica, questo sistema più grande è chiamato ’testo’. Se paragoniamo, per analogia, la frase “il segno non può esistere come elemento a sé stante” all’idea biologica chiave secondo la quale la  microscopica unità vivente è la cellula, qualcuno potrebbe concludere che la stessa frase può valere anche nel seguente caso: “la cellula non può esistere come elemento a sé stante”. Tuttavia, quest’affermazione non è né precisa né vera. Questo perché,da un lato, la cellula è “la più semplice entità avente reale competenza semiotica” (Hoffmeyer 1997:940); dall’altro lato, la cellula comprende un’intera moltitudine segnica. Possiamo risolvere questa contraddizione se parliamo di semiosi invece che di «segno» (come accade nella maggior parte degli scritti biosemiotici): la cellula è una microscopica unità semiosica. Per definizione, la semiosi è l’azione dei segni, ovvero il processo segnico. “Secondo Peirce, la semiosi è un processo continuo che si basa sull’interpretazione di un segno attraverso un altro segno. Jackobson ha definito questo processo con il termine «traduzione» (Krampen et al. 1987:244). Dato che la semiosi non riguarda l’azione di un solo segno ma coinvolge sempre una moltitudine di segni, possiamo dire che la semiosi è un processo testuale come allo stesso

 

 

it may be a non-linguistic text, and therefore it is more proper to call it a biotext.

If so, then the following conclusion becomes necessary – the basic semiosic unit biotext. Each text is a composition of signs, however, signs are nothing more than functional parts of text that cannot exist without or outside a text.

This can be seen as a reference to a contradiction between the Peircean (or American) and Saussurean (or French, or European) traditions in the development of semiotics throughout the last century. This is a contradiction between ‘sign semiotics’ and ‘text semiotics’ (M. Lotman, 2002).

Whether ‘text’ is a proper term in this status, is of course discussable, because a common interpretation of this term assigns to text the stability, linearity, and fixity. However, e.g., J. Lotman’s usage of the term is much more general when he writes, for instance, about “iconic (spatial, non-discrete) texts” (Lotman 1990:77).

Sign becomes a meaningful entity only due to its relationship to a sign process, semiosis. Accordingly and analogously, text can be seen as a semiotic entity only if a textual process is considered – a text interpretation, a translation in any of these forms.

Thus, in analogy with the term “semiosis” for sign process, we seem to require a term for text process. On the one hand, this may be a false conclusion, because semiosis always assumes the participation of number of signs, semiosis already is textual (s.l.) process. If single signs can be distinguished, then, in contrary, semiosis never concerns only a single sign. Therefore, it seems that there is no need for an additional term. On the other hand, it is possible to distinguish between semiosis that occurs in particular parts of a text, and the semiosis of the whole text. This is the process in which the whole text, including its multiple codes and levels, in toto, interprets itself. The whole text process, or total interpretation (or perhaps total translation, according to Torop 1995), is what also occurs, for instance, when a  new organism is born. ‘Giving birth’ means that a complete set of conditions and patterns is created (“transferred”) that guarantees the independent life for a new organism. This is the same as in case of

 

 

modo è la traduzione. A questo proposito, possiamo concludere che la semiosi non è l’azione di un segno, ma è l’azione di più segni, e di conseguenza una struttura più complessa della suddetta deve far parte in un sistema semiosico più semplice. Se lo chiamiamo testo, dobbiamo tenere in considerazione che potrebbe un testo non linguistico,indi per cui sarebbe più appropriato chiamarlo biotesto. In questo caso, si rende necessaria la seguente conclusione: l’unità semiosica di base è il biotesto. Ogni testo è una composizione di segni ma i segni sono semplicemente parti funzionali del testo che non possono esistere senza un testo o al di fuori di esso.

Ciò potrebbe fare riferimento alla contraddizione esistente fra la tradizione nello sviluppo della semiotica di Peirce (o americana) e la tradizione nello sviluppo della semiotica di Saussure ( francese o europea) che ha interessato tutto il secolo scorso.

Si tratta di una contraddizione fra «la semiotica dei segni» e «la semiotica del testo». (M. Lotman, 2002)

Naturalmente occorre verificare se «testo» è il termine che più si addice a questo status, poiché l’interpretazione comune di questo termine attribuisce al testo stabilità, linearità e fissità. Tuttavia, l’impiego che J. Lotman fa del termine è molto più generico quando scrive, per esempio, di «testi iconici (spaziali – non discreti». (Lotman 1990: 77). Il segno diventa un’entità significativa grazie al suo rapporto con il processo segnico, la semiosi. Quindi, il testo può essere analogamente considerato un’entità semiotica esclusivamente se teniamo in considerazione il processo testuale  – l’interpretazione di un testo, una traduzione in qualunque sua forma.

Perciò, analogamente al termine «semiosi» nel processo segnico, sembra che occorra un termine anche per il processo testuale. Da una parte, potremmo essere arrivati ad una falsa conclusione, perché la semiosi suppone sempre la partecipazione di un certo numero di segni, la semiosi è già un processo testuale, in senso lato.  Anche se possiamo distinguere i singoli segni, la semiosi non riguarda mai solo un singolo segno. Quindi, sembra che non sia necessario un termine supplementare. D’altra parte, è possibile distinguere tra la semiosi che si verifica in tratti particolari del testo e la semiosi di tutto il testo. Attraverso questo processo, l’intero testo, compresi i suoi molteplici codici e livelli, in toto, interpreta sé stesso.

L’intero processo testuale, o interpretazione totale (o forse traduzione totale, conformemente a Torop, 1995), è ciò che si verifica,

total translation, when the life of a text can be transferred into the life of a new text. Quite often, the term semiosis has been used in so general meaning that the total text interpretation has also been termed with it. However, it seems to be reasonable – in order to leave less place for misunderstandings – to distinguish between semiosis as an ‘organ process’, and ‘something else’ as an ‘organism’ process. This ‘something else’ being equal to – life.

A comparison between the concepts of biological function an sign action (Emmeche 2002) demonstrates that the functional differentiation within a self-referencial system is equivalent to the appearance of signs. This is because the functional differentiation means the existence of other-reference. Moreover, “it is stable integration of self-reference and other-reference which establishes the minimum requirement for an umwelt and thereby sets living systems apart from all their non-living predecessors” (Hoffmeyer 1999:156). Without functional differentiation there is no signs (like Lotman expresses it – in case of identical partners, there is nothing to communicate about). Therefore it is reasonable to say that an organism is always a biotext.

Speaking in this way on semiosis of biotexts, it leads to at least an interesting research program to apply the concepts and tools of holistic biology in text analysis. Several notions, like e.g., archetype, homology, analogy, etc., are already in use in both areas.

 

Organism as a self-interpreting biotext

In case of single (simple) tokens, their recognition is based primarily on the existing categories an interpreting system possesses for signs. Therefore, a token is recognized as a representative of a category, and accordingly, its individuality becomes lost in transmission. Categori-sation is a phenomenon that is always accompanying sign processes; it is a precondition of the existence of codes.

 

 

ad esempio, quando nasce un organismo. «Dare alla luce» significa creare («trasferire») una serie completa di condizioni e schemi  che garantiscano ad un nuovo organismo una vita indipendente. È lo stesso nel caso della traduzione totale, quando la vita di un testo può essere trasferita nella vita di un nuovo testo. Il termine «semiosi» è stato impiegato piuttosto spesso con un’accezione così generica che anche l’interpretazione totale del testo è stata  definita con tale termine. Comunque, sembra sensato – per lasciare meno spazio ai fraintendimenti –  fare una distinzione tra la semiosi in quanto

« processo organico » e « qualcos’altro » in quanto «processo dell’organismo». Questo « qualcos’altro » equivale alla vita.

Se paragoniamo i concetti di « funzione biologica » e « azione segnica » (Emmeche 2002) dimostriamo che la differenziazione funzionale all’interno di un sistema autoreferenziale è equivalente all’aspetto dei segni. Ciò avviene perché la differenziazione funzionale implica l’esistenza eteroreferenziale.

Inoltre, «è l’integrazione stabile di autoreferenza ed eteroreferenza a stabilire il requisito minimo per l’umwelt e pertanto separa i sistemi viventi, da tutti i loro predecessori non viventi» (Hoffmeyer 1999:156). Senza la differenziazione funzionale, i segni non esisterebbero ( come afferma Lotman – nel caso di partner identici, non c’è nulla da comunicare).

Quindi, è sensato asserire che un organismo è sempre un biotesto.

Parlare così della semiosi dei biotesti conduce se non altro ad un interessante programma di ricerca con lo scopo di applicare i concetti e  impiegare gli strumenti della biologia olistica, nell’analisi del testo. Numerosi concetti, come ad esempio « archetipo », « omologia », «analogia» ecc., sono già in uso in entrambe le aree.

 

 

L’Organismo come biotesto auto interpretante

 

L’identificazione dei segni singoli (semplici) è basata principalmente sulle categorie esistenti che il sistema d’interpretazione possiede per i segni.

Quindi, un segno viene identificato come il rappresentante di una categoria e di conseguenza la sua individualità viene persa durante il

 

In case of compound tokens, their recognition is also a compound process. The particular combination of the element signs in the compound token may be unique, therefore the recognition process can also leave a unique trace.

Since compound token is not the same as a set of signs, one has to ask what turns it into one sign. Another aspect of the nature of the compound signs is that there is more than simply a recognition that occurs in the compound sign interpretation.

A remarkable idea of Jakob von Uexküll concerns the distinction between the two kinds of signs – Merkzeichen and Wirkzeichen. The forms ones are related to perceptual categories, whereas for the latter ones the operational (effectual), or motor categorization takes place. A code between perceptual and operational categories makes it possible for a compound sign to become one whole sign. This occurs if several perceptual categories converge in one operational category. A similar idea has been proposed by Gerald Edelman by his concepts of senso-motor categorization. Mechanism like this means that a principal difference is achieved from just an automatic response to certain factor in environment – this is an ability to recognize individuality. It is a process of interpretation, which, as we saw, requires more than a single sign process – it deals with the text (Kull 1998).

Operational categories are the categories of behavioral acts, of body movements, etc. In case of humans, the operational categories can be those of spoken words.

Due to the complex inner structure of organism, consisting in a large number of cells and many tissues, all begin in a communicative relationship, there can be the perception-operation cycles that are entirely embedded in the body.  This means, inside the body a sequence of perception-operation-perception-operation may include several sequential systems of communication. Accordingly, several levels of categories and categorization can be developed between the

 

 

passaggio. La   « categorizzazione » è un fenomeno che accompagna sempre il processo segnico; si tratta di una precondizione dell’esistenza dei codici.

Anche l’identificazione dei segni composti è un processo composto. La combinazione particolare dei segni dell’elemento, per quanto riguarda il segno composto, può essere unica e per questo anche il processo d’identificazione può lasciare una traccia unica.

Dato che il segno composto non è uguale ad un insieme di segni, ci si deve chiedere cosa lo trasforma in un segno. Un altro aspetto della natura dei segni composti riguarda il fatto che ciò che si verifica nell’interpretazione del segno  composto è più di una semplice individuazione.

Un’idea rilevante di Jakob von Uexküll riguarda la distinzione fra i due tipi di segni – Merkzeichen e Wirkzeichen. I primi si riferiscono alle categorie percettive, mentre per i secondi ha luogo la categorizzazione operativa (efficace) o  moto-categorizzazione. Esiste un codice tra la categoria percettiva e la categoria operativa che permette al segno composto di diventare un segno completo. Questo si verifica se svariate categorie percettive convergono in una categoria operativa. Un’idea simile è stata proposta da Gerald Edelman secondo il suo concetto di categorizzazione senso-motoria. Un meccanismo come questo implica il raggiungimento della differenza principale da una semplice risposta automatica a un determinato fattore nell’ambiente – questa è un’abilità che permette di riconoscere l’individualità. Si tratta di un processo d’interpretazione, che, come abbiamo visto, richiede più di un processo per il singolo segno – riguarda il testo ( Kull 1998).

Le categorie operative sono categorie di atti comportamentali, di movimenti del corpo, ecc. Nel caso degli umani, le categorie operative possono identificarsi con quelle delle « parole dette ».

Grazie alla struttura interna dell’organismo, che consiste nel gran numero di cellule e tessuti, tra i quali intercorre una relazione comunicativa, possono esistere i cicli percettivo – operativi, che sono totalmente insiti nel corpo. Ciò significa che all’interno del corpo la sequenza percezione – operazione – percezione – operazione potrebbe

perceptual and the effectual ones. Which means the development of internal texts, the models.

 

Biosemiotics means biology

 

It is appropriated to remind here few formulations by T. A. Sebeok.

 

The aim of biosemiotics is to extend the notions of general semiotics. To encompass the study of semiosis and modeling in all species. The premise which guides biosemiotics is, in fact, that the forms produced by a specific species are constrained by the modeling system(s) which has evolved from its anatomical constitution. The aim of biosemiotics is to study not only the species belonging to one of the five kingdoms, Monera, Protoctista, Animalia, Plantae, and Fungi, but also to their hierarchically developed component parts, beginning with the cell, the minimal semiosic unit […]. In a phase, the target of biosemiotics is the semiosic behavior of all living things. (Sebeok, Danesi 2000:15)

 

The basic claim of Sebeok, that the semiosic phenomena begin with the first cell, is certainly consistent with the view of many biologists that cell is the elementary unit of being alive – a fundamental statement in biology since mid 19th century. This also means that the simplest mechanism of sign can be found in a system which has at least the complexity of living cell.

The next statement above says that the sign relationship, which is constituted by a modeling system, evolves from the anatomical constitution of cellular life. I would state it more broadly, using the term morphology instead of anatomy – the morphological units of living systems are semiosic.

In order to understand the nature of organic forms, we need to consider that these forms are very weird if we would like to get them from the mixing of non-living particles. A key to decipher the diversity of organic forms both the inter-organismal and intra-organismal, is (according to a biosemiotic approach) to look at these

comprendere numerosi sistemi sequenziali di comunicazione. Analogamente, molti livelli delle categorie e della categorizzazione possono essere sviluppati tra le categorie percettive e quelle operative. Il che implica lo sviluppo dei testi interiori, ovvero i modelli.

 

Biosemiotica significa biologia

 

È giusto ricordare ora alcune formulazioni di T. A. Sebeok.

 

Lo scopo della biosemiotica è di estendere i concetti della semiotica generale al fine di comprendere lo studio della semiosi e della modellizzazione in tutte le specie. Secondo la premessa che accompagna la biosemiotica, in effetti, le forme prodotte da specie specifiche sono vincolate dal/i sistema/i di modellizzazione che si è/si sono evoluto/i dalla sua costituzione anatomica. Lo scopo della biosemiotica non è solo quello di studiare le specie appartenenti a uno dei cinque regni, Monera, Protoctista, Animalia, Plantae e Fungi, ma anche le loro componenti sviluppate in una gerarchia, a partire dalla cellula, l’unità semiosica minima […]

In poche parole, l’obbiettivo della biosemiotica è il comportamento semiosico di tutte le cose viventi. (Sebeok, Danesi 2000:15)

 

L’affermazione di base di Sebeok, secondo la quale i fenomeni semiosici  iniziano con la prima cellula, è senza dubbio coerente con l’opinione di molti biologi che considerano la cellula l’unità elementare dell’essere vivente – asserzione fondamentale in biologia dalla metà dell’800.

Ciò significa anche che il più semplice  meccanismo segnico può essere reperito in un sistema che sia almeno caratterizzato dalla complessità della cellula vivente. Quest’ultima affermazione di Sebeok dice che la relazione segnica, che è costituita da un sistema di modellizzazione, si evolve a partire dalla costituzione anatomica della vita cellulare. Lo direi in senso più generale usufruendo del termine «morfologia» anziché di «anatomia» – le unità morfologiche dei sistemi viventi sono semiosiche.

Al fine di capire la natura delle forme organiche, dobbiamo considerare che queste forme sono molto strane se vogliamo separarle dal mescolamento delle particelle non viventi. Una chiave per decifrare la diversità delle forme organiche, sia interorganismiche sia intraorganismiche, è quella (secondo un approccio biosemiotico) di considerare forme comunicative, come forme che derivano dalla

as communicative forms, as the forms which are a result of categorization of various types. Then, for instance, biological species appear as categories in inter-organismal semiosis, and tissues as categories of intercellular communication within a multicellular organism. These principal objects of biological research being semiosic in their nature, we have to occlude that whole biology unavoidably becomes influenced by the understanding of semiosis.

When looking at biology as a whole, we can recognize a metasemiosic process in it, as represented in Fig. 1 via two capacious triads. It shows morphology and biological systematic as dealing with main intra-organismic and inter-organismic communicative structures, or categories, respectively. Physiology and ecology represent the synchronic, developmental biology and evolutionary biology the diachronic dimensions. However, of course, these can be interpreted also as the three dimensions of sign in the Peircean sense. Or, as a great chain of semiosis with alternating endosemiotic and exosemiotic steps.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figure 1. A metasemiosic structure of biology, with endosemiotic (left) and exosemiotic (right) domains.

 

 

 

 

categorizzazione di svariati tipi. Poi, ad esempio, le specie biologiche si presentano come categorie nella semiosi interorganismica, mentre i tessuti come categorie della comunicazione intercellulare all’interno di un organismo multicellulare. Dato che questi oggetti principali della ricerca biologica sono semiosici di  natura, dobbiamo concludere che tutta la biologia è inevitabilmente influenzata dalla comprensione della semiosi.

Se osserviamo la biologia nel suo insieme, possiamo riconoscere un processo metasemiosico al suo interno, come mostrato nella figura 1attraverso due triadi completi. La figura mostra la morfologia e la sistematica biologica in relazione alle sue principali strutture comunicative o categorie rispettivamente intraorganismiche e interorganismiche.

La fisiologia e l’ecologia rappresentano la biologia evolutiva sincronica e diacronica. Tuttavia, è ovvio che queste possono essere interpretate anche come le tre dimensioni del segno, secondo l’idea di Peirce. O anche, come la grande catena della semiosi con fasi endosemiotiche che si alternano a fasi esosemiotiche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 1. Qui di sopra, una struttura biologica metasemiosica, con campi endosemiotici (sinistra) e campi esosemiotici (destra).

 

 

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Aspetti psicologici del processo traduttivo

Aspetti psicologici del

processo traduttivo

CHIARA ZAPPA

Fondazione Milano

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

 

 

Relatore: professor Bruno Osimo

Diploma in Scienze della Mediazione Linguistica

Ottobre 2012

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© Chiara Zappa per l’edizione italiana 2012

 

ABSTRACT IN ITALIANO

Il processo traduttivo si svolge per una parte molto consistente  nella mente del traduttore. Si esaminano gli aspetti psicologici del processo traduttivo per indagare le dinamiche mentali del discorso interno coinvolto nella percezione, elaborazione e produzione del testo.

 

ABSTRACT IN ENGLISH

A considerably consistent part of the translating process  occurs in the translator’s head. An analysis of the psychological aspects of this translating process and of the mental dynamics of the inner speech involved in the perception, the elaboration and the production of the text is investigated here.

 

RÉSUMÉ EN FRANÇAIS

Le processus de la traduction se développe surtout dans la tête du traducteur. On examinera l’aspect psychologique du processus de la traduction pour explorer  les dynamiques mentales du discours intérieur intéressé par la perception, l’élaboration et la production du texte.

 

Sommario:

Introduzione

Capitolo 1: La percezione

1.1 – Lev Semënovič Vygotskij

1.2 Bertrand Russell e Roman Jakobson

1.3 George Berkeley

1.4 Sigmund Freud

1.5 Conclusioni

 

Capitolo 2: La rielaborazione

2.1 – Peirce

2.2 – Saussure

2.3 – Lotman

2.4 – Agar

2.5 – Conclusioni

 

Capitolo 3: La resa

3.1 – Pópovič

3.2 – Shannon e Weaver

3.3 – Whorf

3.4 – Eco

3.5 – Conclusioni

 

 

 

Introduzione:

Spesso capita, specialmente ai lettori più accaniti e più aperti ad ogni genere, di recarsi in libreria ad acquistare un libro. Nonostante questo, quasi a nessuno capita di soffermarsi sulle prime pagine stampate di un libro, quelle con le note della casa editrice e, ovviamente nel caso si trattasse di un autore straniero, quella con il nome del traduttore. Io stessa prima di studiare mediazione saltavo a piè pari quelle pagine “inutili”. Questo avviene perché ad ognuno di noi viene naturale trattare ogni tipo di opera che ci è concesso leggere nella nostra lingua madre, come se fosse stata scritta nella stessa. È raro che i profani del campo si soffermino a pensare, leggendo, a quale potrebbe essere la versione originale del testo. Pensando al ruolo del traduttore in questo senso, mi è venuto da domandarmi cosa esattamente conferisca al lettore la sicurezza che si tratti di un testo filologico, oppure, come sia possibile distinguere lo stile dell’autore dall’influenza del traduttore. La mia tesi si focalizzerà proprio sui meccanismi per i quali avvengono queste modifiche del prototesto. Più in particolare sul ruolo che alcuni fattori psicologici, come lo stato d’animo del momento, possono giocare sulla resa finale di un testo. Per poter fare questo, occorre analizzare passo per passo le tre fasi principali del processo traduttivo.

 

Capitolo 1

 

LA PERCEZIONE

1.1 Il primo passo in assoluto che compie un traduttore è leggere il testo originale. Quindi partendo da questo possiamo definire quasi con certezza la lettura come primo processo traduttivo: quando un testo viene letto e assimilato nella mente, avviene un processo di traduzione da un codice di tipo verbale (testo scritto) al codice mentale che Vygotskij chiama linguaggio interno (nel quale viene scritto il testo mentale) (Osimo 2001:9).

« […] il discorso interno deve essere considerato non come un linguaggio meno il suono, ma come una funzione verbale del tutto particolare e originale per la sua struttura e le sue modalità di funzionamento, che proprio perché organizzata in modo del tutto diverso da quello del discorso esterno si trova con quest’ultimo in un’unità dinamica indissolubile nei passaggi da un piano all’altro» (Vygotskij 1990: 363).

Quindi la lettura viene vista come una “deverbalizzazione del testo scritto”. La lettura è già una prima interpretazione involontaria, poiché ciò che viene letto non cade su una tabula rasa, ma su un terreno in fermento, ricco di esperienze e di idee e di provvisori tentativi di capire. Un terreno molto individuale, che dà luogo a interpretazioni soggettive e solo parzialmente condivisibili.

Già questo comporta alcuni problemi per il lettore-traduttore. Per quanto un traduttore possa sforzarsi di leggere un testo con il desiderio di incarnare lo spirito del lettore più generico possibile, essendo un essere umano ha enormi limiti e resta, pur tuttavia, un individuo, dotato di gusti, idiosincrasie, preferenze, antipatie. Il traduttore non può pretendere di negare la propria personalità solo perché poi dovrà tradurre per altri lettori, anche perché questa negazione potrebbe rivelarsi pericolosa (Osimo 2000-2004).

È quindi inevitabile che il lettore, ma in questo caso, il traduttore interiorizzi il concetti e le parole secondo la propria cultura e il proprio bagaglio di conoscenze, oltre ovviamente ad altri fattori quali possono essere lo stato emotivo e l’esperienza. In questo caso, oltre ad una traduzione di tipo interlinguistico, ovvero il cambiamento del codice da una lingua all’altra, avviene una traduzione di tipo “intersemiotico”.

Perciò possiamo riassumere il tutto dicendo che un fattore molto importante nel processo traduttivo, è quello culturale. Lo scopo della traduzione è portare il prototesto che esiste in un cultura da trasformare nel metatesto di un’altra. Il problema è che a prescindere dalla differenza di lingua d’origine, ogni testo diventa un metatesto diverso per ognuno sulla base di gusti, preferenze, esperienze e molto altro.

 

1.2 Sulla percezione delle parole, sono state molte le teorie e le contestazioni, come ad esempio quella di Bertrand Russell, citato da Jakobson, secondo il quale «No one  can understand the word cheese unless he has a nonlinguistic acquaintance with cheese». Russell presuppone che nessuno possa riconoscere la parola se non è parte della propria cultura o della propria esperienza personale diretta. Jakobson contesta questa idea, secondo la teoria che un individuo che non conosca il formaggio, possa comunque comprendere di cosa si tratti semplicemente attraverso una conoscenza in un certo senso “grammaticale” della parola (in questo caso l’esempio è stato quello del latte cagliato). In questo contesto, non ha senso attribuire un significato (signatum) alla cosa in sé e non al segno: nessuno ha mai sentito l’odore né il sapore del significato di «cheese» o di «apple». Il signatum può esistere solo se esiste anche un signum.

« Noi distinguiamo tre modi di interpretazione di un segno linguistico, secondo che lo si traduca in altri segni della stessa lingua, in un’altra lingua, o in un sistema di simboli non linguistici. Queste tre forme di traduzione debbono essere designate in maniera diversa: 1) la traduzione endolinguistica o riformulazione consiste nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di altri segni della stessa lingua; 2) la traduzione interlinguistica o traduzione propriamente detta consiste nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di un’altra lingua; 3) la traduzione intersemiotica o trasmutazione consiste nell’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di sistemi di segni non linguistici» (Jakobson, 1966).

Tornando quindi a parlare di lettura, questa può essere scomposta in varie sottofasi: il segno viene percepito dal soggetto; viene riconosciuto come tale e successivamente viene compreso ed entra a fare parte della cultura del soggetto sotto forma di testo mentale. Utilizzando il concetto lotmaniano di semiosfera (che vedremo in seguito), per cui le singole culture interagiscono l’una coll’altra arricchendosi attraverso lo scambio tra la propria cultura e quella altrui, si può considerare la lettura, al termine del processo, un arricchimento della cultura del soggetto leggente (Osimo 2001:13). La fase di comprensione del segno letto, la semiosi, riguarda quindi l’interazione con la cultura del soggetto, e quindi un aspetto soggettivo e personale. Non si può pensare che esso sia un processo meramente automatico e non interpretativo, conseguentemente identico per qualsiasi sia il soggetto.

 

1.3 George Berkeley è stato un vescovo della chiesa anglicana del 700. Anch’egli ha analizzato il contenuto della nostra “coscienza” ovvero di ciò che fino ad ora, abbiamo chiamato fattori personali e esperienze, e che influiscono sulla nostra percezione del prototesto che dobbiamo tradurre.

La filosofia di Berkeley assume, come punto di partenza, l’empirismo lockiano, nei suoi due elementi fondamentali: il problema critico e la necessità di partire da ciò che immediatamente sperimentiamo. Nonostante Berkeley nutra profonda stima nei confronti di Locke, si distacca dalla suo approccio secondo lui, troppo attaccato alle idee materiali.

Berkeley distingue il percepito e il percipiente, dove il primo è un’idea come oggetto presente nella coscienza e il secondo la mente. Infatti secondo la sua teoria, le idee non hanno niente da aggiungere alla coscienza già esistente, quindi esiste una sola esperienza, quella interiore: sperimentare vuol dire percepire le idee che sono nella nostra mente. L’idea non è che la cosa stessa presente nella mente, con gli stessi caratteri di singolarità e di determinatezza (Lamendola 2007).

Quindi anche secondo Berkeley è da definirsi impossibile avere un’idea che potrebbe considerarsi oggettiva, poiché qualunque carattere diamo all’oggetto del nostro pensiero, proviene forzatamente dalla nostra coscienza interna.

Proprio perché non esiste niente che non sia coscienza interna, Berkeley sostiene che non è possibile comprendere per intero, neanche un discorso che ci viene fatto nella nostra madrelingua. Spesso, per utilizzare una metafora matematica, vi sono delle incognite, ovvero il “residuo” di ciò che si sta dicendo, inserite dal parlante che il ricevente trascina fino alla fine del discorso, nella speranza di riuscire a risolverle una volta giunti al termine.  Molto spesso capita di riuscire a “tappare i buchi” tramite varie congetture o conoscenze proprie, mentre altre volte magari anche per incapacità di esprimersi del parlante stesso, capita di ritrovarsi con delle lacune che rendono il messaggio pressoché incomprensibile.

 

1.4 A livello psicologico è possibile apportare come esempio l’analisi psicoanalitica di Freud. Egli paragona la psiche ad un territorio diviso in regioni, vi sono cioè certe “parti” della mente che si trovano in relazione tra di loro e sono l’inconscio, il preconscio e il conscio (Bernardi, Condolf 2006:81).

La metafora più efficace è quella dall’iceberg in cui l’inconscio sarebbe la parte sotto il libello del mare, il preconscio la zona di galleggiamento e il conscio, la parte in superficie. Essendo l’inconscio la parte nascosta e quindi, non visibile, è possibile che si vengano a creare degli “incidenti”. La psiche dei bambini è composta interamente da inconscio, poiché le altre due zone aumentano e prendono forma crescendo.

  • L’inconscio è il bagaglio di pulsioni di cui dispone ogni individuo e di pensieri e sentimenti inconsci e come tali sconosciuti e non immediatamente raggiungibili dalla coscienza.
  • Il preconscio è la linea di demarcazione che divide conscio da inconscio
  • Il conscio è sinonimo di quanto una persona è consapevole in un determinato momento. Coincide con pensieri, sentimenti, emozioni che sono presenti nell’individuo e sui quali egli può agire con volontà.

Freud ha puntualizzato costantemente che non esistono linee di confine nette tra queste aree, che sono tre aspetti del funzionamento mentale che interagiscono continuamente (Bernardi, Condolf 2006:82).

 

1.5 Conclusioni: Quindi grazie alle teorie finora analizzate possiamo affermare con cognizione di causa, che è impossibile leggere un testo scritto o attivare una qualsiasi percezione senza che già questo primo procedimento venga influenzato da ciò che siamo, che siamo stati o che speriamo di poter diventare. Due persone di due culture diverse, guardando una stessa cosa, vedranno cose diverse.

 

Capitolo 2

 

LA RIELABORAZIONE

Ci troviamo ora ad analizzare la seconda parte del processo traduttivo, che seppure risulti essere la parte più immediata nella mente di un traduttore, nel senso che la rielaborazione mentale di un testo avviene in pochissimi secondi, è comunque la più complessa.

Il traduttore è un lettore anomalo, poiché non è capace di leggere un potenziale prototesto senza pensare – in modo più o meno volontario – a come potrà proiettare questo testo sulla cultura e sulla lingua riceventi, quindi senza pensare ai metatesti possibili. Questo modo di leggere deforma l’atto interpretativo della lettura poiché, oltre a non essere una lettura ingenua, non è nemmeno una lettura critica “normale”. È una lettura in cui si presta molta attenzione alla dominante del prototesto, ci si interroga se possa coincidere o no con la dominante dell’eventuale metatesto, ci si interroga sul potenziale impatto del testo sulla cultura ricevente e si comincia a svolgere l’analisi traduttologica, un’analisi critica molto particolare. Una volta recepito il messaggio scritto, e fatto diventare messaggio non verbale, si arriva alla vera e propria interpretazione (Osimo 2000-2004).

 

2.1 «il solo pensiero che è possibile conoscere è, senza eccezione, il pensiero in segni. Perciò ogni pensiero deve necessariamente essere pensiero di segni» (Peirce. 5.260).

«qualcosa che sta per qualcuno al posto di qualcos’altro sotto certi aspetti o capacità»  (Peirce. 2.228).

Da queste due citazioni di Pierce si comprende quanto alla fine, tutti i teorici della semiotica concordino sul fatto che una volta estratto dalla carta, il significato di una parola diventi irrimediabilmente soggettivo. A sostegno di ciò, Peirce porta avanti la tesi della «semiosi illimitata» ovvero: qualsiasi segno è passibile di dare il via a una catena teoricamente infinita di interpretazioni e di traduzioni. Tale fuga degli interpretanti teoricamente infinita trova però il suo compimento (almeno transitorio) in un interpretante logico finale. Il processo di significazione di Peirce è un processo di tipo abduttivo, per cui si evince una regola dal risultato che si ottiene. Questo procedimento è analogo a quello che viene effettuato all’interno della mente del soggetto. Dal segno che viene percepito la mente forma un interpretante che cerca di individuare le regole che definiscono il segno e i sistemi di segni che vengono percepiti. Dato che all’interno di un testo vi sarà sempre una parte che rimarrà implicita e che non viene rivelata apertamente dall’autore, si innesca un meccanismo di abduzione (Osimo 2001: 34-37-39).

Questo significa che una volta trasformato il linguaggio scritto in linguaggio interno, il traduttore deve necessariamente reinterpretare tramite abduzione ciò che ha letto per trovare il primo residuo traduttivo di un prototesto, ovvero ciò che è andato perso quando l’autore stesso è passato da linguaggio interno a linguaggio verbale scritto.

Il linguaggio interno è caratterizzato da una sintassi non lineare (linguaggio frammentato) quindi diversa da quella verbale e più simile a quella di un ipertesto con collegamenti multidirezionali e velocissimi (Osimo 2011: 142).

Triade di Peirce:

Nella triade di Peirce:

A

segno

Qualsiasi cosa
percettibile: parola,
sintomo, segnale,
sogno, lettera, frase.
Il segno sta per
l’oggetto, rimanda
all’oggetto. Senza, è
impossibile
conoscere l’oggetto

B

oggetto

Ciò a cui rimanda il
segno. Può essere
percepibile o
immaginabile.
Determina il segno.
Esiste a prescindere
dal segno.

C

interpretante

Segno, pensiero che
interpreta un segno
precedente. Ogni
nuovo interpretante
getta nuova luce
sull’oggetto.

 

Peirce sosteneva che il segno, che noi possiamo identificare come il prototesto, passi per l’interpretante si trova nella mente del traduttore, per poi diventare oggetto. L’interpretante si forma nella mente della persona, in questo caso del traduttore e può essere paragonato ad una palla stroboscopica. Il soggetto, percepisce gli innumerevoli riflessi luminosi e colorati, esattamente come in discoteca, che lo investono, lo sfiorano e perché no, lo abbagliano e corrispondono ai diversi punti di vista dai quali si osserva e alle molte sfumature che una parola può avere. Lo schema successivo evidenzia come una parola possa avere molteplici sensi.

 

Oggetto

O

 

 

Un’interpretazione simile è stata elaborata da Ogden e Richards (1949), ma nella loro versione un simbolo (le parole sono segni sibolici) non rimanda direttamente al referente (l’oggetto extralinguistico che si desidera significare): tale riferimento è mediato da un pensiero di chi codifica (o decodifica). Questo pensiero interpretante non è uguale per tutti, poiché è dettato dall’esperienza soggettive fatte dall’individuo con quel segno, con quell’oggetto e con i segni e gli oggetti a loro mentalmente assimilabili (Osimo 2011:27).

 

2.2 Ci sono molteplici teorie sull’interpretazione delle parole, Ferdinand De Saussure aveva teorizzato un rapporto esclusivamente biunivoco tra la parola e il suo significato.

In antitesi con la teoria “realistica” della lingua, Saussure spiega che il segno linguistico, unisce un “concetto” a una “immagine linguistica”. Su questo presupposto, Saussure distingue tra signifiant (significante) e signifié (significato): il significato è ciò che il segno esprime; il significante è il mezzo utilizzato per esprimere il significato, ovvero l’immagine. Ma il significato e il significante non sono separabili: secondo Saussure, sono come le due facce dello stesso foglio. Ma pur essendo inseparabili, il rapporto tra i due è arbitrario: ciò è dimostrato dal fatto che, per esprimere uno stesso significato (ad esempio, sorella), le diverse lingue usano significanti diversi (sorella in italiano, soeur in francese, e così via). Ma per Saussure “arbitrario” non vuol dire soggettivo e libero: ma piuttosto “immotivato”, cioè non necessario in rapporto al significato che viene espresso.

Si parla di arbitrarietà in quanto gli elementi del segno linguistico non sono naturalmente “motivati” ma dipendono da una tacita convenzione tra i parlanti di una lingua.

L’arbitrarietà si ha tanto sul piano dell’espressione (il significante) quanto su quello del contenuto (il significato), che peraltro sono indistinguibili all’atto pratico.

«Il legame che unisce il significante al significato è arbitrario, o ancora, poiché intendiamo con segno il totale risultante dall’associazione di un significante a un significato, possiamo dire più semplicemente: il segno linguistico è arbitrario […] La parola arbitrarietà richiede anche un’osservazione … non deve dare l’idea che il significante dipenda dalla libera scelta del soggetto parlante … vogliamo dire che è immotivato, cioè arbitrario in rapporto al significato, con il quale non ha alcun aggancio naturale nella realtà» (De Saussure 1978: 85.87).

 

2.3 Un contributo prezioso alla traduttologia e alla delineazione del concetto di traducibilità da un punto di vista semiotico ci viene da Jurij Lotman, fondatore della scuola semiotica di Tartu. Per capire ciò che dice Lotman a proposito della traducibilità, è opportuno risalire alla più generale visione lotmaniana di cultura:

«[…] se per la sopravvivenza biologica di un singolo individuo è sufficiente che vengano soddisfatti determinati bisogni naturali, la vita di una collettività, quale che sia, non è possibile senza una cultura […] Tutti i bisogni dell’uomo si possono ripartire in due gruppi. Gli uni richiedono una soddisfazione immediata e non possono (o quasi) venire accumulati. […] I bisogni che possono essere soddisfatti mediante l’accumulazione di riserve formano un gruppo distinto. Essi sono la base oggettiva per l’acquisizione, da parte dell’organismo, di informazione extragenetica» (Lotman 1987: 26-27).

Nella dialettica natura/cultura, Lotman si inserisce attribuendo all’uomo, tra tutti gli esseri viventi, la possibilità di far parte di entrambi i sistemi:

«Così l’uomo nella lotta per la vita è inserito in due processi: nell’uno interviene come consumatore di valori materiali, di cose, nell’altro invece come accumulatore d’informazione. Ambedue sono necessari all’esistenza. Se all’uomo come creatura biologica è sufficiente il primo, la vita sociale presuppone ambedue» (Lotman 1987: 28).

Però secondo Lotman nel mondo semiotico non esistono soltanto lo spazio della cultura e della natura, ma anche lo spazio della non cultura, «quella sfera che funzionalmente appartiene alla Cultura, ma non ne adempie le regole». Quando Lotman parla di «Cultura», si riferisce all’insieme delle culture che costituiscono il mondo umano, e all’interno di ciascuna cultura ravvisa «un insieme di lingue», perciò ogni esponente di una data cultura è «una sorta di “poliglotta”» (Osimo 2000-2004).

La concezione lotmaniana di cultura riguarda da vicino gli studi sulla traduzione e sulla traducibilità.

«[…] la cultura è un fascio di sistemi semiotici (lingue) formatisi storicamente […] La traduzione dei medesimi testi in altri sistemi semiotici, l’assimilazione di testi diversi, lo spostamento dei confini fra i testi che appartengono alla cultura e quelli che si trovano oltre i suoi limiti costituiscono il meccanismo d’appropriazione culturale della realtà. Tradurre un certo settore della realtà in una delle lingue della cultura, trasformarlo in un testo, cioè in un’informazione codificata in un certo modo, introdurre questa informazione nella memoria collettiva: ecco la sfera dell’attività culturale quotidiana. Solo ciò che è stato tradotto in un sistema di segni può diventare patrimonio della memoria. La storia intellettuale dell’umanità si può considerare una lotta per la memoria. Non a caso la distruzione di una cultura si manifesta come distruzione della memoria, annientamento dei testi, oblio dei nessi» (Lotman 1987: 31).

In scritti successivi, e in particolare nel saggio intitolato Della semiosfera, la concezione semiotica è sempre più basata sul concetto di traduzione.

«[..] tutto lo spazio semiotico può essere considerato un unico meccanismo (se non organismo). Allora fondamentale risulterà non quello o quell’altro mattoncino, ma il “sistema grande” denominato «semiosfera». La semiosfera è quello spazio semiotico al di fuori del quale non è possibile l’esistenza stessa della semiosi» (Lotman 1992: 13).

La semiosfera confina con lo spazio circostante, che può essere extrasemiotico (uno spazio in cui non si verificano processi di significazione, come uno spazio naturale) oppure eterosemiotico (ossia appartenere a un altro sistema semiotico, come per esempio un testo musicale nei confronti di un testo pittorico). In particolare, tutti i meccanismi di traduzione rientrano nel concetto di semiosfera perché sta alla base della generazione del senso. Ciò che all’interno di un sistema è (un fatto, un fenomeno, un evento), finché resta ciò che è senza venire descritto è al di fuori della semiosfera, resta nel mondo extrasemiotico (Osimo 2000:2004).

«L’eterogeneità strutturale dello spazio semiotico forma riserve di processi dinamici ed è uno dei meccanismi di elaborazione di nuova informazione all’interno della sfera» (Lotman 1992:16).

Quindi secondo Lotman la differenza tra sistemi non è più il problema per eccellenza del traduttore. Il residuo traduttivo non è più un ingombrante fardello la cui gestione crea problemi al traduttore. Il fatto che non sia possibile mai tradurre tutto è una garanzia per la conservazione delle differenze, così come è una garanzia per la conservazione della vita culturale (Osimo 2000:2004).

 

2.4 Si analizza che una proporzione molto cospicua di un messaggio completo, è costituita da ciò che viene dato per scontato, da ciò che è considerato implicito. Ma ciò che è implicito in un contesto culturale non coincide mai con ciò che è considerato implicito in un altro contesto culturale. Il traduttore ha sempre bisogno di tenere conto di questo aspetto. Il suo compito consiste nella mediazione culturale (di cui quella linguistica è uno dei tanti aspetti) tra la cultura dell’emittente e quella del ricevente (Osimo 2011:36).

Lotman non è stato il solo ad analizzare la cultura come elemento di cruciale importanza durante il processo traduttivo. Infatti anche Michael Agar, un famoso antropologo americano, ha utilizzato il concetto di traduzione per spiegare agli antropologi cos’è la cultura. La sua conclusione è stata mettere in evidenza un nuovo concetto, la Languaculture (linguacultura), per sottolineare che non ha senso che la lingua e la cultura vengano trattate separatamente. La descrizione di una cultura diversa dalla propria è complessa e labile poiché dipende dai punti di vista. Con queste basi, la cultura non è altro che una traduzione di “cos’è la cultura x da un punto di vista y”.

«Using a language involves all manners of background knowledge and local information on addition to grammar and vocabulary» (Agar 2006:2).

Agar nota anche che nella descrizione di una cultura diversa dalla nostra, fatta a persone della nostra stessa cultura, quando si trova qualcosa che non si può descrivere nella propria lingua, si è costretti ad usare il “nome”, quindi un termine utilizzato nella lingua d’origine e per riuscire a spiegare al meglio l’”oggetto” in questione, si è costretti ad utilizzare molte più parole. Questi fenomeni sono chiamati rich point e corrispondono a quei momenti di vero e proprio arricchimento della lingua poiché la comunicazione va in crisi (quindi anche la traduzione) e occorre forzatamente una perifrasi.

 

2.5 Conclusioni: Per quanto detto, anche la semiofera entra a far parte di tutto ciò che il traduttore “si porta dietro”, o in questo caso sarebbe meglio dire “nel quale si trova immerso”, durante il processo traduttivo. Come in precedenza, anche in questo capitolo, abbiamo evidenziato l’importanza del background personale e la sua imprescindibile influenza anche sulla seconda parte del processo traduttivo, senza contare che si è forse rafforzata la convinzione che non  sia assolutamente possibile creare un metatesto uguale al prototesto ma in una lingua differente.

 

Capitolo 3

LA RESA

Finora abbiamo analizzato le prime due fasi del processo traduttivo, ovvero tutti i vari processi mentali che hanno pertinenza con la lettura, la comprensione, l’interpretazione e la rielaborazione di un testo, o per la precisione di un prototesto. Tutte queste sfaccettature del processo traduttivo rimangono comunque qualcosa di intangibile, che nessuno a parte il traduttore stesso può conoscere. Il passo successivo è riuscire a far diventare il discorso interno, creato dal testo letto e “assorbito”, un metatesto che comprenda dentro si sé una parte del suo senso originale, trasposto in un’altra lingua e soprattutto cultura.

Anche il processo di scrittura è uno di quei procedimenti traduttivi quotidiani di cui molto spesso non ci rendiamo conto. Quando ci si accinge a produrre un testo, raramente si è consapevoli del fatto che in realtà quello che stiamo compiendo è un processo di traduzione, e nella fattispecie una traduzione intersemiotica. Durante la scrittura si verifica un cambiamento di codice: si passa da un testo mentale a un testo verbale scritto. La scrittura è inoltre una traduzione verbalizzante in quanto traduce un testo non verbale in un testo verbale (Osimo 2001:11).

 

3.1 Secondo il famoso semiotico cecoslovacco Anton Pópovič, padre dei termini prototesto e metatesto che abbiamo utilizzato fin’ora, il processo traduttivo è qualunque cosa contenga per l’appunto, un prototesto e un metatesto ove una parte del prototesto non viene resa e prende il nome di residuo traduttivo, una parte rimane invariata (nei limiti del possibile, in base a quanto detto prima) e viene chiamata invariante ed esiste una parte aggiunta.

 

Il problema che si pone effettivamente quando ci si dedica alla decodifica di un messaggio è proprio la presenza dei due altri elementi oltre all’invariante. Come abbiamo visto non è possibile tranne in casi di testi chiusi, quindi tecnici trovare il traducente perfetto per una parola, tantomeno per un concetto. Quindi si viene a creare un residuo traduttivo che per quanto ci si sforzi non si riesce proprio a fare rientrare nel corpo principale del metatesto. Quindi accorrono in nostro aiuto le aggiunte, ovvero è possibile completare l’informazione lasciata incompleta dalla parola, o insieme di parole, scelte per tradurre, per l’appunto aggiungendo qualcosa. Questo qualcosa può essere una spiegazione di servizio sapientemente amalgamata nel metatesto principale che prende il nome di circonlocuzione, oppure può essere inserita sottoforma di metatesto secondario, quindi un apparato di spiegazione, come ad esempio le note del traduttore a piè di pagina.

Anche la scelta di come integrare queste aggiunte fa parte di un’influenza del traduttore che deve scegliere se interrompere la linearità della lettura con una nota, facendo quindi notare la sua presenza e distaccandosi dal testo, oppure cercare di rendersi invisibile e scrivere in maniera più naturale possibile, seppure all’inseguimento dell’espressione perfetta per un concetto non suo. Questo rappresenta la prima prova conscia, oltre al contorno psicologico e quindi semi-inconscio, dell’influenza del traduttore sul metatesto.

 

3.2 Claude Shannon e Warren Weaver, due ingegneri americani, si sono a loro volta occupati del problema della trasmissione del messaggio, cercando di dare all’argomento, un’impronta matematica. Secondo la loro analisi, il processo comunicativo è rappresentato come il passaggio di un segnale (il messaggio) da una fonte (il soggetto emittente) attraverso un trasmettitore (il mezzo concretamente utilizzato) lungo un canale ad un ricevente (il soggetto destinatario) grazie ad un recettore. Il trasmettitore e il recettore sono indispensabili per realizzare due passaggi cruciali: la codifica e la decodifica.

In questo schema è rappresentato il processo di ricezione del messaggio e il traduttore è qui rappresentato come canale attraverso il quale deve passare un prototesto per diventare metatesto in un’altra cultura. Come abbiamo visto il traduttore è allo stesso tempo vittima e fautore involontario delle interferenze nella comunicazione del messaggio.

La teoria matematica della comunicazione di Shannon e Weaver nasce dalla ricerca di una risoluzione per un preciso problema tecnico: studiare le condizioni per migliorare l’efficienza della trasmissione di segnali attraverso apparati tecnici di trasmissione. In realtà, l’influenza delle loro ricerche è andata oltre il problema specifico per cui era nata. Il loro schema ha l’obiettivo di individuare quegli elementi che devono essere presenti ogni qual volta si verifichi un trasferimento di informazione. Lo schema di Shannon e Weaver, è quindi stato applicato alla comunicazione linguistica. Come lo stesso Weaver ha specificato, quando si parla con un’altra persona il cervello è la codificazione dell’informazione, l’apparato vocale il trasmettitore, le vibrazioni sonore il canale della comunicazione, l’orecchio dell’interlocutore il ricettore ed il suo cervello il decodificatore del messaggio (Guidotti 2011).

Anche con questo tipo di approccio per lo più orale, si va ad affrontare il problema delle interferenze che fanno del messaggio decodificato dal ricevente un metatesto più o meno, ma in ogni caso, differente rispetto al prototesto. È stato Jakobson a inserire il modello di Shannon e Weaver in un contesto più linguistico.

 

3.3 Benjamin Lee Whorf ha studiato varie lingue che non fanno parte del gruppo indoeuropeo, e che non rientrano nemmeno tra le poche lingue non indoeuropee con cui la civiltà occidentale entra a contatto relativamente spesso, come il turco o il finlandese o l’estone o l’ungherese. Questi studi gli hanno dato modo di capire che l’espressione linguistica, ma anche il contenuto stesso, dei pensieri sono fortemente influenzati dalla lingua in cui vengono espressi, che non esiste un pensiero psichico a priori, unico e universale, che può trovare espressioni diverse nelle varie lingue e nei diversi individui. Una delle lingue studiate da Whorf è il hopi, lingua amerindia del territorio attualmente occupato dall’Arizona. A noi sembra che la suddivisione del mondo in concetti e l’attribuzione di parole ai concetti sia “naturale”, anzi spesso non ci poniamo il problema se lo sia (Osimo 2000 2004).

«Noi spezzettiamo la natura, la organizziamo in concetti e attribuiamo significati nel modo in cui lo facciamo perlopiù perché abbiamo sottoscritto un contratto in cui c’impegniamo a organizzarla in questo modo, contratto che vale in tutta la nostra comunità linguistica ed è codificato negli schemi della nostra lingua. Il contratto, naturalmente, è implicito e non è dichiarato, ma le sue condizioni sono assolutamente obbligatorie.» (Whorf 1967:213-214.)

Whorf sosteneva che ognuno di noi nel momento della propria nascita, abbia firmato senza saperlo un contratto. Si tratterebbe dell’influenza non solo del luogo dove si nasce: continente, Stato, regione, città e via via andando a scalare, ma anche della famiglia nella quale si nasce. Tutto ciò che ci circonda, ci insegna a classificare la realtà in categorie secondo i suoi canoni “tipici”. È come se ognuno di noi fosse “portatore sano” della propria cultura pur non rendendosene conto. Proprio questa incoscienza, nel momento della traduzione, può comportare il rischio di infettare il messaggio a causa di elementi culturali altrui che ci sembrano sbagliati.

Oltre a quello evidenziato da Pópovič, c’è anche un altro elemento di difficoltà più “pratico”, se così vogliamo chiamarlo, per un traduttore, ovvero il passaggio da una cultura con una diversa struttura grammaticale, sintattica e/o lessicale rispetto a quella ricevente. Anche stavolta l’influenza del traduttore sul metatesto diventa conscia seppure non evitabile, poiché dover conformare il “modo di esprimersi” in una lingua, in un’altra comporta necessariamente una modifica del prototesto tramite aggiunte o residui.

Facendo una riflessione un po’ più pratica si evidenzia che: nella lingua di tutti i giorni sopravviviamo con circa 2000 parole, viviamo con circa 5000 parole, ne usiamo raramente altre 2000 circa, mentre il totale di quello che chiamiamo il lessico comune, cioè tutte le parole usate, anche solo sporadicamente, nella comunicazione quotidiana ammonta a qualche decina di migliaia di unità (De Mauro 1999-2000,1:VII-XLII, VI: 1163-83).

Un normale dizionario di lingua di circa 100.000 – 140.000 lemmi contiene quindi in larga parte parole non conosciute o non usate dalla maggioranza dei parlanti. Tra queste ci sono parole di basso uso, parole di livello colto, parole obsolete, parole letterarie e poetiche, rare, varianti, e poi un’infinità di parole riconducibili a un qualche lessico specialistico. Tuttavia anche questa non è che la punta di un iceberg. Infatti, l’insieme delle parole e locuzioni possibili, utilizzate da qualche parlante o qualche comunità di parlanti è di molte volte superiore, nell’ordine dei milioni di unità. Il totale dei termini utilizzati nei diversi linguaggi speciali assomma quindi a decine di milioni, senza contare i nomi dei prodotti: altri milioni e milioni (Riediger 2010).

 

La struttura del lessico secondo Tullio De Mauro

 

Vocabolario di base (VDB) = 6522

o Lessico fondamentale (F)= 2.049

o Lessico di alto uso (AU)= 2.576

o Lessico di alta disponibilità (AD)= 1897

o Lessico comune (CO) = 47.060

VDB + CO = 45-50.000 unità lessicali come per i dizionari delle altre lingue

 

 

Lessico tecnico-scientifico (TS) = 107.194

Lessico solo letterario (LE) = 5.208

Lessico regionale (RE) = 5.407

Lessico dialettale (DI) = 338

Esotismi (ES) = 6.938

Basso uso (BU) = 22.550

Obsoleti (OB) = 13.554

 

Una lingua possiede, come abbiamo visto, moltissime parole che in ogni cultura possono venire usate per rappresentare “concetti” diversi.

Quindi potremmo supporre che bastasse rendere il senso di un testo, anche se con parole diverse da quelle scelte dell’autore, per riuscire a essere dei buoni traduttori. Perché il senso è identificabile come contesto, ovvero conseguenza dell’atto locutorio, invece il significato è semplicemente la definizione del vocabolario. In una lingua una certa combinazione di parole può fornire un senso, ma può anche essere la manifestazione dello stile dell’autore. Lo stile può essere lo scostamento dall’uso dei vocaboli rispetto al dizionario, quindi inevitabilmente s’intreccia con quello del traduttore.

 

3.4 Un altro elemento importante per un traduttore è la differenza tra un testo aperto e un testo chiuso. Il testo aperto è quello che abbiamo preso in esame fino a ora. Interessante è il testo chiuso, qualcosa con una struttura rigida che se vogliamo potrebbe essere idealizzato come più facile da trattare e quindi tradurre. Il testo chiuso può essere per esempio un elenco del telefono oppure una tabella degli orari dell’autobus, che sono composti per lo più da termini specifici e numeri. Ricordiamo che il bello del termine, per quanto il contesto in cui si trova possa essere complesso, è che possiede una traduzione tecnica “universale” ed è libero da fraintendimenti o altre interpretazioni.

Proprio su questo ultimo punto si è focalizzato il semiotico e scrittore Umberto Eco. In contrasto con la disputa della scuola lacaniana degli anni Settanta, dove si cominciava a pensare di poter interpretare liberamente ogni genere di testo, Eco bolla tutte le interpretazioni differenti dallo scopo per cui il testo chiuso era stato creato come decodifiche aberranti. L’autore di un testo chiuso non prevede interpretazioni diverse da quella canonica, perciò anche e soprattutto la libertà d’azione del traduttore è limitata, ad esempio dall’ISO (Organizzazione Internazionale per la Normazione), un organo che si occupa di standardizzare un termine e i suoi significati in tutte le lingue.

Ma se il traduttore è vincolato e indirizzato verso una certa interpretazione, il lettore può facilmente sfuggire a quest’obbligo.

«Possiamo usare una carte geografica per imaginare viaggi e avventure straordinarie, ma in tal caso, la carta è diventato puro stimolo e il lettore si è trasformato in narratore. Quando mi chiedono quale libro porterei con e su un’isola deserta rispondo “L’elenco telefonico; con tutti quei personaggi, potrei inventare storie infinite”» (Eco 1994:75).

 

3.5 Conclusioni: Specialmente in questo capitolo, è chiaro come vi siano alcune scelte che il traduttore compie consciamente. Per quanto queste non rientrino nella psicologia che sta dietro ad un’interpretazione del testo piuttosto che a un’altra, sono scelte che vengono fatte anche stavolta, in base alle proprie preferenze personali. Scegliere un sinonimo, a seconda della sfumatura che si coglie, un tempo verbale anziché un altro o un certo tipo di sintassi in base anche alla cultura del lettore a cui ci si indirizza, sono problemi esistenziali noti a qualunque traduttore che cerchi effettivamente di trasportare un messaggio da una lingua all’altra. Perciò la traduzione si situa in un limbo tra la filologia rispetto al prototesto e la pertinenza con il metatesto, e di conseguenza con la cultura ricevente.

 

Conclusione

In conclusione, per quanto detto finora, possiamo considerare ognuno di noi un traduttore “inconscio” perché seppure non a livello intralinguistico, capita a tutti nel proprio quotidiano di attivare un qualche processo traduttivo.

Con questa tesi volevo sottolineare quanto due persone della stessa nazionalità, cultura, città e addirittura famiglia, con le medesime conoscenze linguistiche, la medesima età e sesso e se vogliamo estremizzare, persino con lo stesso DNA, trovandosi davanti a uno stesso prototesto producono due metatesti differenti. Questo non significa che uno sia necessariamente più corretto dell’altro.

 

Riferimenti bibliografici:

Bernardi M., Condolf A. (2006), Psicologia per il tecnico dei servizi sociali, Roma, Clitt.

De Mauro T. (a cura di), Grande dizionario italiano dell’uso, GRADIT, UTET, 1999-2000.

Guidotti M (2011), I modelli della comunicazione sociale, consultabile al sito: http://www.galenotech.org/comunicazione.htm

Jakobson R. (1959), On linguistic aspects of translation, consultabile al sito: http://www.stanford.edu/~eckert/PDF/jakobson.pdf.

Lamendola F. (2007), Introduzione alla filosofia di George Berkeley, ariannaeditrice, consultabile al sito: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=10965

Osimo B. (2000-2004), Corso di traduzione Logos, Modena: consultabile al sito: http://courses.logos.it/IT/index.html.

Osimo B. (2001), Propedeutica della traduzione: corso introduttivo con tavole sinottiche, Milano: Hoepli.

Osimo B. (2002), On psychological aspects of translation, Tartu.

Osimo B. (2011), Manuale del traduttore: guida pratica con glossario terza edizione, Milano: Hoepli.

Ratiu Kloss K. (2012), Freud: Zur Psychopathologie des Alltagslebens: atti mancati verbali e loro conseguenze in traduzione, Milano.

Riediger H (2010), Cos’è la terminologia e come si fa un glossario, 2012.

Saussure F. (1916), Corso di linguistica generale, Bari: Laterza, 1978.

Vygotskij L (1982), Myšlеniе i rеč´, in Sоbraniе sоčinеnij v šеsti tоmah, 2. Traduzione italiana Pensiero e linguaggio, di L. Mecacci, Bari, Laterza, 1990.

Zuzana Jettmarová: Czech and Slovak Translation Theories

 

Zuzana Jettmarová: Czech and Slovak Translation Theories

JENNIFER PERLETTI

Fondazione Milano

Milano Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

Relatore: professor Bruno Osimo

Diploma in Mediazione Linguistica

Dicembre 2010

 

 

© Zuzana Jettmarová

© Jennifer Perletti per l’edizione italiana 2010

 

Zuzana Jettmarová: Teorie Traduttive ceche e slovacche

(Zuzana Jettmarová: Czech and Slovak Translation Theories)

 

Abstract in italiano

In questa tesi è presentata un’analisi dei problemi traduttivi riscontrati in un capitolo preso da un lavoro di Zuzana Jettmarová riguardante le teorie traduttive ceche e slovacche. La tradizione ceca e slovacca è poco conosciuta e spesso malinterpretata. Vengono analizzati i problemi traduttivi riguardanti la traducibilità culturale, la traduzione di termini settoriali e non. Sono stati presi ad esempio alcuni termini per ogni categoria; per ogni termine è stata data la definizione e la motivazione che ha portato alla scelta di un determinato traducente e all’esclusione di altri.

 

English abstract

This thesis shows an analysis of the translation problems that have been found in a chapter of Zuzana Jettmarová’s book about the Czech and Slovak translation theories. The Czech and Slovak tradition is little known and often misinterpreted. The translation problems analysed in this thesis concern cultural translatability and the translation of technical terms and common words.  for each category some examples are provided; there is a definition for each term that has been analysed and the reason why a given translatant has been chosen instead of others.

 

Zusammenfassung

Diese Abschlussarbeit befasst sich mit Problemen der Übersetzung eines Kapitels aus dem Buch von Zuzana Jettmarová über Aspekte der tschechischen und slowakischen Übersetzungstheorie, deren Tradition nur wenig bekannt ist und oft falsch interpretiert wird. Im Mittelpunkt stehen Fragen der Übersetzbarkeit von Kulturen sowie der Übersetzung von Fach- und Standardsprache anhand einer Reihe von Beispielen. Für jedes Wort werden eine Definition und die Begründung angegeben, die zur entsprechenden Übersetzungsentscheidung geführt hat.

 

Sommario

 

1. Prefazione  3

1.1 Introduzione  4

1.2 Traducibilità Culturale  6

1.3 Traducibilità Settoriale  10

1.4 Traducibilità non Settoriale  13

2. Traduzione  18

3. Riferimenti bibliografici della prefazione  121

 

 

 

1. Prefazione


1.1 Introduzione

«For us structuralism automatically means our structuralism, but for the rest of the world it means the French one, and so the jolly misunderstanding keeps going on» (Volek 2005:135; transl. Z. J.)

Questa frase può essere considerata riassuntiva del testo da me tradotto per la tesi:

un testo teorico sullo strutturalismo. Qui però lo strutturalismo viene visto da un diverso punto di vista. Mentre tutti associano lo strutturalismo praghese a Jakobson e quindi al formalismo russo, in questo testo viene espressa una teoria diversa: viene analizzata la nascita dello strutturalismo praghese, che non ha nulla a che fare con il formalismo russo. Si analizzano le cause che hanno relegato lo strutturalismo praghese dietro una cortina di ferro impedendogli di diffondersi. È bene quindi dare una definizione delle diverse scuole.

• Strutturalismo praghese: nasce negli anni Venti a Praga, ed è il risultato di numerose assimilazioni: la tradizione ceca dell’estetica e della linguistica, il formalismo russo, la linguistica di Saussure, il modello del sistema epistemologico di Bühler, la fenomenologia di Husserl, la sociologia di Durkheim, la logica di Carnap ecc. Il campo della poetica strutturale praghese si concentra sulla dimensione del testo sia come artefatto sia come opera d’arte integrata nel suo contesto storico della recezione e con i suoi effetti contestuali; da qui l’origine di concetti dinamici della scuola di Praga come «norme» e «valori».

• Strutturalismo francese: nasce tra gli anni Sessanta e Settanta dagli studi di Ferdinand De Saussure, che intese la lingua come un sistema autonomo e unitario di segni, occupandosi dei valori e delle funzioni determinate dalle relazioni reciproche dei singoli elementi linguistici, considerati come parti di un ordinamento strutturale in continua interdipendenza e interazione. Secondo lo strutturalismo, la storia è un’insieme discontinuo di processi eterogenei retti da un sistema impersonale di strutture psico-antropologiche, culturali, economiche, ecc. Parallelamente, contro l’interpretazione della realtà in termini di divenire e progresso lo strutturalismo difende il primato di una considerazione volta a studiare la realtà come un insieme relativamente costante e uniforme di relazioni. Da qui la tendenza a privilegiare il punto di vista sincronico rispetto a quello diacronico.

• formalismo russo: la scuola formalista si è sviluppata in Russia negli anni Venti, i suoi maggiori esponenti sono stati: Viktor Šklovskij, Ûrij Tynânov, Boris Èjhenbaum, Roman Jakobson, Grigorij Vinokur. Il formalismo si è poi suddiviso in due distinti movimenti: l’OPOJÂZ (Obscestvo Izučeniâ Poetičeskogo Âzyka – La Società per lo studio del linguaggio poetico) a San Pietroburgo e il Circolo linguistico a Mosca. I formalisti più estremisti ritenevano che la forma avesse un valore preponderante rispetto al contenuto semantico, e che quindi il testo andasse analizzato esclusivamente nei suoi aspetti formali. In questo modo viene rovesciato il concetto stesso di «contenuto».

La traduzione di un testo così fortemente teorico, riguardante un argomento poco diffuso, mi ha portato ad avere diverse difficoltà nella sua traduzione, ho quindi deciso di effettuare un’analisi traduttologica, in cui descriverò i problemi riscontrati nella traduzione.

Qui di seguito verranno quindi suddivisi in punti e trattati i problemi da me affrontati. La suddivisione non rispecchia l’ordine in cui sono apparsi i problemi, ma è volta ad racchiudere in categorie le problematiche riscontrate.

1.2 Traducibilità Culturale

«People sometimes forget that an interpreter must translate not just from language to another but from one culture to another. Sometimes, the equivalent idea simply does not exist in both cultures» (Jurga Zilinskiene, titolare dell’agenzia Today Translations)

La differenza culturale ha infatti un’importanza estremamente rilevante ai fini della traduzione. È bene sottolineare infatti che Zuzana Jettmarová non è di madrelingua inglese. La scelta di scrivere in lingua inglese deriva dal desiderio di riuscire a diffondere le teorie dello strutturalismo ceco e slovacco fino ad ora relegate all’interno di un ambiente poco conosciuto, la cui lingua ne ha impedito la diffusione. Questo comporta che l’autrice in prima persona abbia dovuto trasformare il proprio concetto mentale in un testo scritto, non nella sua lingua madre, ma in inglese. Zuzana Jettmarová quindi non è solo autrice di questo testo, ma anche traduttrice. Il processo traduttivo lascia dietro di sé dei residui ai quali si aggiunge una differenza culturale tra la lingua del testo mentale e quella del testo scritto. La cultura è:

un complesso di idee, di simboli, di azioni e di disposizioni storicamente tramandati, acquisiti, selezionati e largamente condivisi da un certo numero di individui, mediante i quali questi ultimi si accostano al mondo in senso pratico e intellettuale (Fabietti 2004: 12).

Come si può ben capire da questa affermazione la cultura è un elemento di fondamentale importanza nella stesura di un testo, e ancora più importante nella sua traduzione. Ciò che per l’autore e per la sua cultura risulta scontato, può non esserlo per la cultura ricevente. Nel testo da me tradotto vi sono esempi, in cui si nota l’influenza culturale dell’autrice nel momento in cui ha dovuto stendere il testo, quindi nel passaggio dal ceco all’inglese, in quanto alcuni concetti/termini dati quasi per scontati, in realtà non lo sono per il lettore modello pensato dall’autrice. Il significato dei termini in questione sono infatti noti a quella fascia di lettori con un’istruzione semiotica alle spalle, ma per il lettore occidentale tali termini sono pressoché sconosciuti. Vi sono anche esempi in cui un determinato termine presenta un traducente diverso da quello inteso dall’autrice, proprio per le diverse influenze culturali dell’autore e del lettore.

Parlando concretamente analizzerò due esempi in particolare: il termine translativity e il concetto di literary translation, ovvero la differenza tra la traduzione artistica e la traduzione letteraria.

Inizialmente il termine «translativity» è stato da me erroneamente tradotto con il termine «traducibilità», mentre in realtà la traduzione corretta del termine è «traduzionalità». Il traducente inglese per «traducibilità»è  «translatability»: con questa parola si intende «la possibilità di sostituzione strutturale e culturale o funzionale e semantica, oltre che espressiva, degli elementi linguistici del prototesto con quelli del metatesto. La sostituzione funzionale è ottenuta nel metatesto mediante cambiamenti stilistici». (Popovič  2006:174)

La traduzionalità invece è la relazione comunicativa nella catena di comunicazione tra l’autore del prototesto e il ricevente del metatesto; a seconda del grado di traduzionalità di un testo, il lettore si rende più o meno facilmente conto che si tratta di un testo tradotto. La traduzionalità si realizza nel testo come aspettativa del lettore riflessa dalle opposizioni dialettiche versus metatesto, attualizzazione versus esotizzazione, storicizzazione versus modernizzazione. La traduzionalità si riflette nello stile deltesto e ha carattere semiotico di modellizzazione (Popovič  2006:174)

Quello che mi ha portato in errore nella traduzione del termine translativity è il fatto che culturalmente parlando, il termine è quasi praticamente sconosciuto, mentre può essere considerato parte integrante del vocabolario di uno studioso slavo con alle spalle degli studi linguistici. L’argomento della traduzionalità infatti, viene trattato all’interno del testo da me tradotto, senza alcuna spiegazione a riguardo, è dato quindi per scontato che il lettore sappia di cosa si sta parlando, mentre per quanto mi riguarda è stato necessario un approfondimento per coglierne il significato. Anton Popovič e Jiři Levý invece nelle loro pubblicazioni affrontano ampiamente il tema.

Passando ora al secondo esempio, in inglese parlando di literary translation ci si riferisce alla: translation of literary works (novel, short stories, plays, poems, etc). If the translation of non-literary works is regarded as a skill, the translation of fiction and poetry is much more of an art. (WordIQ Dictionary).

Quando Zuzana Jettmarová utilizza questo termine si riferisce alla «traduzione artistica» mentre noi ci riferiamo alla «traduzione letteraria». Nonostante questa differenza concettuale ho deciso di mantenere come traduzione  il termine «traduzione artistica». Ora cercherò di spiegare le differenze concettuali dello stesso termine (literary translation) nella mia cultura e in quella dell’autrice, in modo da poter esporre la mia scelta traduttiva difronte a questo problema.

Nella concezione italiana la traduzione artistica è un aspetto della traduzione letteraria, un approccio traduttivo al genere letterario in cui si presta particolare attenzione al mantenimento di espressioni e figure retoriche, nonché l’inconfondibile traccia personale del traduttore. Ma come già detto è semplicemente un aspetto della traduzione letteraria ed è quindi legato ad essa, questo non  significa che sia l’unico modo per tradurre un testo letterario, in quanto ad esempio in un testo poetico, si può decidere di applicare una traduzione artistica, rimanendo fedele alle rime e alla metrica e alle figure retoriche, modificando però in modo consistente il significato originale, oppure si può optare per una tipo traduzione in cui si tralascia questa fedeltà per una nei confronti del significato originale del testo.

Con il termine «traduzione letteraria» invece si identificano tutte quelle traduzioni fatte nell’ambito editoriale e non settoriale specialistico.

Per quanto riguarda la cultura dell’autrice si potrebbe dire che il concetto sia pressoché l’opposto. Inizialmente vi erano due tipi di testo: i testi artistici e i testi non-artistici (ossia i testi riguardanti la letteratura specialistica scientifica). Verso gli anni Cinquanta alcuni specialisti della seconda tipo hanno cominciato a considerare la traduzione solo dal punto di vista linguistico, ritenendo che il comune denominatore dei testi artistici e non fosse proprio la loro natura linguistica. In questo modo la traduzione dei testi artistici viene trattata come un caso particolare del concetto di «traduzione» e quindi analizzata come campo specifico. Questa concezione non ha però incontrato l’appoggio della maggior parte dei traduttori di testi artistici, i quali ritenevano che «sottolineando la natura linguistica del processo traduttivo, gli autori citati ignoravano la sua natura creativa e si sono impegnati nel ridar vita, sulla base della traduzione adeguata, all’antica concezione estetica della traduzione del testo artistico.» (Lûdskanov 2008:18) Hanno sviluppato così una concezione diversa di traduzione chiamata «concezione teorico-letterario».

Si può così notare che il concetto di «traduzione artistica» per l’autrice viene generalizzato nell’inglese perdendo così il carico di significato culturale inteso dall’autrice e nel cercare di riportare il testo in italiano ho quindi avuto un ulteriore ostacolo culturale e ho deciso di tradurre il termine literary translation con «traduzione artistica», proprio per rimanere fedele all’autrice e per mettere in risalto la differenza culturale, donando così nuovamente il carico di significato culturale andato perso nell’inglese.

1.3 Traducibilità Settoriale

Dopo una prima lettura, mi sono resa conto che la mia inesperienza riguardo alla traduzione di questo tipo di testi mi avrebbe portato ad avere difficoltà nell’uso di una terminologia corretta. All’interno del testo ho trovato molti termini settoriali di cui non conoscevo il significato. Alcuni dei termini che più mi hanno creato problemi sono stati:

• genre

• markedness

• trasduction

Qui di seguitò darò una definizione dei termini appena citati, per poi spiegare cosa mi ha causato dei problemi e come li ho risolti.

GENRE: Il termine «genre» deriva dal francese. È un termine ampiamente utilizzato nella retorica, teoria del testo e in tempi più recenti anche nella linguistica, per fare riferimento a un determinato genere di testo. Solitamente la definizione di «genre» si basa sul concetto che costituisca una convenzione particolare condivisa da un gruppo di testi riguardante il contenuto e/o la forma. È però difficile definire un particolare genere in termini di sufficienti proprietà testuali e necessità. Spesso accade infatti che mentre si identifica un determinato «genre» per la forma, questo sia diverso per il contenuto. È facile trovare  eccezioni ed è quindi altrettanto difficile, non essendoci regole fisse, riuscire a dare una definizione esatta del termine. Tradizionalmente, soprattutto nella letteratura si tende a considerare il «genre» come un insieme di forme fisse, ma allo stesso tempo la teoria enfatizza la dinamicità delle forme e delle funzioni. Persino l’ordine gerarchico è soggetto a continui cambiamenti. Vista quindi la sua dinamicità, anche la definizione stessa di «genere testuale» è relativa.

Per quanto riguarda la semiotica, il «genre» può essere considerato un codice condiviso, sotto forma di tacito contratto tra l’autore del testo e il lettore.

 

MARKEDNESS: Caratteristica che fa sì che una parte del testo risalti in confronto al contesto o al co-testo, si differenzi dall’enunciato nella forma in cui ce lo si potrebbe facilmente aspettare. Può essere lessicale (per esempio un salto di registro), sintattica (dislocazioni, frasi scisse) stilistica, grafica.

Il termine venne introdotto da  Roman Jakobson, che si occupò per primo dell’opposizione tra marcatezza e non-marcatezza nel 1921. Il suo obiettivo era quello di creare una teoria di significato generale, evidenziando le differenze principali tra il significato generale e contestuale nella morfologia e nella semantica. Il concetto di «marcatezza» è importante nella scienza della traduzione, perché mentre si traduce è necessario riconoscere la marcatezza delle caratteristiche del prototesto al fine di poterle mantenere nel metatesto.

 

SALIENCE:  is the state or condition of being prominent.

Nella semiotica il termine «salience» si riferisce alla relativa importanza o prominenza di un testo o di un segno. Quando si considera la «salience» relativa a un segno particolare in un contesto di altri segni, questa aiuta a classificare velocemente la grande quantità di informazioni in ordine di importanza e quindi a prestare attenzione a ciò che è più importante. Questo processo impedisce a un individuo di essere sovraccarico di informazioni.

In riferimento alla scienza della comunicazione la «salience» viene utilizzata come metro per valutare quanto una percezione prominente o rilevante coincida con la realtà.

 

Per quanto riguarda il termine «genre» ho pensato di tradurlo con il termine «genere», trovandolo però troppo generale, come si può ben notare dalla definizione sopra fornita, ho ritenuto necessario apportare un’aggiunta e ho quindi infine tradotto il termine con «genere testuale». In questo modo sono riuscita a essere più specifica agevolando il lettore nella comprensione del testo.

In riferimento al termine «markedness», una volta compreso il suo significato ho trovato un traducente settoriale adeguato così da poter infine tradurre il termine con «marcatezza».

Mi sono posta un problema relativo alla traduzione del termine «salience», in quanto tradurlo con importanza avrebbe potuto essere riduttivo e avrebbe persino potuto dare adito a fraintendimenti all’interno del testo, in quanto spesso nel testo, accanto al termine «salience» si trovava il termine «important», tradurre entrambi con «importanza» e «importante» avrebbe provocato confusione nel lettore e sarebbe stato più difficile comprendere il testo. Queste ragioni mi hanno portato a scegliere il traducente «prominenza» per tradurre il termine «salience».

1.4 Traducibilità non Settoriale

In questo capitolo mi occuperò invece dei problemi traduttivi riscontrati nei termini non settoriali. Alcuni termini, non sono linguistici, bensì termini settoriali di un altro/i settore/i, che vengono “presi in prestito” dal settore linguistico per poter meglio spiegare alcuni concetti. Questo vale per i termini «modelling» e «transduction».

Il termine «transduction» da me tradotto con trasduzione è solitamente usato nel campo della genetica e della biofisica. In campo genetico, la trasduzione è il processo attraverso il quale il DNA viene trasferito da un batterio a un altro tramite un virus.  Si riferisce inoltre a un processo per mezzo del quale un DNA estraneo può essere introdotto in un altra cellula tramite un virus che funge da vettore. È un mezzo comune usato dai biologi molecolari per inserire stabilmente un gene estraneo nel genoma di una cellula ospitante. Quando i batteriofagi (i virus che infettano i batteri) infettano una cellula batterica, il loro normale metodo di riproduzione prevede di sfruttalre il sistema di replicazione, trascrizione e traslocazione della cellula batterica ospitante per creare numerosi virioni, o completare particelle virali.mentre in biofisica la trasduzione è il processo per mezzo del quale un trasduttore accetta energia sotto una determinata forma e la restituisce energia correlata in una forma diversa, come la trasduzione onde acustiche sottoforma di voltaggio del microfono.

Entrambi gli usi di questo termine si riferiscono a una sorta di passaggio da un determinato elemento a un altro. Ed è proprio uno spostamento quello che intende  Doležel quando parla di «trasduzione» nel tempo e nello spazio: la percezione che si ha dello stesso messaggio viene influenzata  dalla distanza di tempo e da un differente spazio cosicché il messaggio viene percepito in modo diverso.

Questa relazione mi ha portato a usare il termine «trasduzione» sebbene non appartenesse a questo settore.

Per quanto riguarda il termine «modelling» invece, la sua definizione inglese è molto generica e il suo uso è comunque applicato ad altri settori:

modelling:

1. (Fine Arts & Visual Arts / Art Terms) (Non-sporting Hobbies / Modelmaking & Model Railways) the act or an instance of making a model

2. (Clothing & Fashion) the practice or occupation of a person who models clothes

3. (Psychiatry) a technique in psychotherapy in which the therapist encourages the patient to model his behaviour on his own

 

Mi è stato quindi difficile capire come tradurre il termine. Inizialmente lo avevo tradotto con «modellatura». La definizione di questo termine però non era appropriata, in quanto significa: conferimento o assunzione di una determinata forma.

Nel testo invece si parla ad esempio di

«modelling of hierarchically more complex structures (processes and products) yields models readily applicable to less complex structures.»

Quindi il termine «modellatura» non era adatto.

Il termine corretto da usare è «modellizzazione». Con tale termine si intende quel processo cognitivo che porta alla costruzione di un modello di un sistema fisico o processo reale attraverso l’applicazione dei principi basilari di una teoria.

La modellizzazione di un sistema fisico non è un’attività puramente mentale in quanto prevede l’interazione con oggetti reali nelle attività di osservazione e sperimentazione.

Newton, pur senza utilizzare i termini «modello» e «modellizzazione», è stato il primo che ha seguito tale approccio, chiamato modellizzazione Newtoniana.

Il termine «modellizzazione» viene utilizzato anche in campo matematico, rappresenta il processo che  consente di selezionare particolari aspetti di una  realtà (un fenomeno fisico, una situazione in campo  economico, un fenomeno naturale), di rappresentarli con i linguaggi della logica, stabilendo delle relazioni di tipo matematico.

Da queste definizioni si può notare che «modellizzazione» è il termine che più corrisponde a ciò che vine detto nel testo da me tradotto.

Vi sono altri termini invece dove non settoriali, appartenenti al linguaggio comune che mi hanno però creato problemi nella traduzione, in quanto un solo termine inglese può presentare più traducenti italiani, ed è opportuno individuare il traducente corretto a seconda del contesto. In questo caso, il termine che mi ha creato maggiori problemi è stato il termine «language» i cui traducenti possono  essere sia «lingua» che «linguaggio». Mi pare opportuno quindi dare la definizione del termine «language» per poi spiegare le differenze tra «lingua» e «linguaggio».

Secondo il Cambridge learner’s Dictionary (second edition) il termine «language» ha 4 significati:

1. COMMUNICATION [U] communication between people, usually using words.

2. ENGLISH/SPANISH/JAPANESE ETC [C] a type of communication used by the people of a particular country

3. TYPE OF WORDS [U] words of a particular type, especially the words used by people in a particular job

4. COMPUTERS [C,U] a system of instructions that is used to write computer programs

 

Secondo il dizionario Garzanti le definizioni di «lingua» e «linguaggio» sono:

LINGUA: sistema fonematico, grammaticale e lessicale per mezzo del quali gli appartenenti a una comunità comunicano tra loro.

LINGUAGGIO: facoltà degli esseri umani di comunicare tra loro per mezzo della lingua; la facoltà di esprimersi usando un qualsiasi sitema; l’insieme dei mezzi espressivi e stilistici propri di una determinta arte.

 

Si può quindi dedurre che per la lingua inglese il termine «language» comprende entrambi i traducenti italiani, ossia in questo caso la lingua inglese è generalizzante rispetto a quella italiana, che «offe la possibilità di distinguere senza specificazioni ulteriori la distinzione tra il termine più specifico «lingua» (con cui di norma s’intendono le lingue naturali) e il più generico «linguaggio», con cui s’intendono tutti i linguaggi, anche artificiali ed extratestuali, nel cui novero figurano anche quelli naturali, o lingue» (Bruno Osimo: Manuale del traduttore  2008:209).

Una citazione di Saussure a parer mio definisce bene la differenza tra «lingua» e «linguaggio»:

Ma che cos’è la lingua? Per noi, essa non si confonde con linguaggio; essa non ne è che una determinata parte, quantunque, è vero, essenziale. Essa è al tempo stesso un prodotto sociale della facoltà del linguaggio ed un insieme di convenzioni necessarie, adottate dal corpo sociale per consentire l’esercizio di questa facoltà negli individui. Preso nella sua totalità, il linguaggio è multiforme ed eteroclito; a cavallo di parecchi campi, nello stesso tempo fisico, fisiologico, psichico, esso appartiene anche al dominio individuale e al dominio sociale; non si lascia classificare in alcuna categoria di fatti umani, poiché non si sa come enucleare la sua unità. […]Separando la lingua dalla parole, si separa a un sol tempo: 1. ciò che è sociale da ciò che è individuale; 2. ciò che è essenziale da ciò che è più o meno accidentale. […]Il legame che unisce il significante al significato è arbitrario o ancora, poiché intendiamo con segno il totale risultante dall’associazione di un significante a un significato, possiamo dire più semplicemente: il segno linguistico è arbitrario.[…]

(F. de Saussure 1967: 19, 23-24, 83-93).

Una volta colta la differenza tra i due termini sono stata in grado di capire quando tradurre «language» con «lingua» e quando con «linguaggio».

 

 

2. Traduzione

 

 

Czech and Slovak Structuralism – Past and Present

When Jiří Levý published his České theorie překladu (Czech Theories of Translation) in 1957 and his pioneering Umění překladu (The Art of Translation) in 19631, he had a fully-fledged theoretical and methodological framework at his disposal – Prague Structuralism as it haddeveloped during its Classical period (mid 20s – late 40s) and after, as well as the Czech tradition of informed thinking about and discussions of translation functions and methods during the period between the late 19th and early 20th century. Outside his country, isolated behind the ‘iron curtain’, Prague Structuralism continued to be widely misinterpreted, being equated with Russian Formalism and so doomed to oblivion with the advent of post-structuralism. However, the reality was different. While in the 30s and in the post-WWII period Prague influenced not only European linguistic structuralism but also modern linguistics generally, misunderstandings may have arisen from the following two facts: (1) the incorrect assumption that the Russian formalist Roman Jakobson, an important figure in the Czech Classical period, represented once and for all the entirety of what is called Prague Structuralism2; and (2) the wrong assumption that Prague structuralism had been linked with French structuralism, and so both were discarded by post-structuralism in the mid 70s.

This is why one may encounter the surprising claim that “Many of the theoretical ideas and methods of analysis advanced in the post-structuralist period were introduced in the structuralist thought of the Prague School.” (Doležel 2000b: 634)

Identifying post-structuralism with a period in Western intellectual history rather than with a particular ontological or epistemological stance,

 

 

Lo strutturalismo ceco e slovacco – passato e presente.

Quando Jiří Levý pubblicò České theorie překladu (Teorie ceche della traduzione) nel 1957 e il pionieristico Umění překladu (L’arte della traduzione) nel 19631 aveva a disposizione un sistema teorico e metodologico completo: lo strutturalismo praghese così come si era sviluppato durante il periodo classico (metà degli anni Venti fino alla fine degli anni Quaranta) e successivamente, così come la tradizione ceca di una riflessione dotta sulle funzioni e i metodi della traduzione tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

Al di fuori del suo paese, isolato dietro una cortina di ferro, lo strutturalismo praghese continuava ad essere ampiamente mal interpretato, poiché veniva equiparato al formalismo russo e pertanto condannato all’oblio con l’avvento del post-strutturalismo. Tuttavia la realtà era diversa. Sebbene negli anni Trenta e nel secondo periodo post-bellico Praga non influenzasse soltanto lo strutturalismo della linguistica europea, ma anche la linguistica moderna in generale, le incomprensioni possono essere sorte a causa di due fattori: (1) la supposizione inesatta secondo la quale il formalista russo Roman Jakobson, una figura importante all’interno del periodo classico ceco, rappresentasse una volta per tutte l’insieme di ciò che veniva chiamato strutturalismo praghese2; (2) la supposizione errata secondo la quale lo strutturalismo  praghese fosse collegato a quello francese e così vennero entrambi messi da parte dal post strutturalismo alla metà degli anni Settanta.

Ecco perché qualcuno può imbattersi nella sorprendente affermazione «molte delle idee teoretiche e dei metodi di analisi avanzati nel periodo post-strutturalista sono stati introdotti nella corrente di pensiero strutturalista della scuola di Praga» (Doležel 2000b: 634).

Identificando il post-strutturalismo con un periodo della storia intellettuale occidentale piuttosto che con un particolare posizione ontologico o epistemologico,

Doležel (2000b: 634) points out that there is no historical continuity between Prague and French structuralism:

In the minds of many Western theorists, structuralism is associated with French structuralism; therefore, post-structuralism is commonly understood as a theoretical challenge to French structuralism. But the identification of structuralism with its French manifestation is a distortion of an aspect of twentieth century intellectual history. The term structuralism was coined when the concept of structuralism was formulated in Prague in the late twenties. French structuralism ignored this legacy.

This means that there was one road leading from Russia to the pre-war Prague centre ofstructuralist linguistics, aesthetics and poetics, and another one leading to post-war Paris. This also explains, as Doležel (2000b: 635) remarks, that Jakobson, considered a hero of French structuralism, was also considered as a direct link between Russian Formalism and French structuralism. Consequently, the resulting Prague and Paris paradigms were different from each other in spite of having had the ‘Jakobsonian Connection’, but at different times and in different circumstances.

Volek (2005: 296) notes that while French structuralist poetics concentrated on the code and also, in the early 60s, on the text as a carrier of potential meanings, the domain of Prague structuralist poetics was the dimension of text both as an artefact and as a work of art3 embedded in its historical context of reception and with its contextual effects; hence the origin of dynamic Prague concepts such as norms and values. Post-structuralism thus reacted to French structuralism only, while on the other hand French structuralism itself regarded Czech structuralism as a pre-structuralist phenomenon.4 This is also why the Derridean différence, based on the Saussurean linguistic systemic ‘value’,

 

 

Doležel (2000b: 634) evidenzia la mancanza di continuità storica tra lo strutturalismo praghese e quello francese:

nella mente di molti teorici occidentali, lo strutturalismo è associato allo strutturalismo francese; pertanto il post-strutturalismo viene comunemente inteso come una sfida teorica  allo strutturalismo francese. Ma identificare lo strutturalismo con la sua espressione francese è una distorsione di un aspetto della storia intellettuale del Novecento. Il termine strutturalismo è stato coniato quando il concetto di strutturalismo venne formulato a Praga verso la fine degli anni Venti. Lo strutturalismo francese ignora questo retaggio.

Questo significa che c’era solo una strada che prima della guerra conduceva dalla Russia al centro praghese della linguistica, estetica e poetica strutturali e un’altra che conduceva, dopo la guerra, a Parigi. Questo spiega anche, come fa notare Doležel, che jakobson, considerato un eroe dello strutturalismo francese, era anche considerato un collegamento diretto tra il formalismo russo e lo strutturalismo francese. Di conseguenza i paradigmi praghese e parigino che ne risultavano erano diversi l’uno dall’altro nonostante avessero avuto una “Jakobsonian Connection”, seppur in tempi e circostanze diversi.

Volek (2005:296) osserva che mentre la poetica dello strutturalismo francese si concentrava sul codice e anche, nei primi anni Sessanta, sul testo in quanto portatori dei significati potenziali, il campo della poetica strutturale praghese era la dimensione del testo sia come artefatto sia come opera d’arte3 integrata nel suo contesto storico della recezione e con i suoi effetti contestuali; scuola di Praga come «norme» e «valori». Il post-strutturalismo così fu una reazione soltanto allo strutturalismo francese, mentre dall’altro lato lo strutturalismo francese stesso considerava lo strutturalismo ceco come un fenomeno pre-strutturalista4. Questo è anche il motivo per cui la différence di Derrida, basata sul “valore” sistemico linguistico Saussureano,

 

based on the Saussurean linguistic systemic ‘value’, was miles away from the Czech concept of ‘meaning’ embedded in the context of communication.

It is true that the Classical period of Prague structuralism, also called semiotic or structural aesthetics as one of its branches represented the semiotics of art (the other branch was linguistic), was officially discontinued at the end of the 40s by the communist regime. The beginnings of this first period date back to the establishment of the Prague Linguistic Circle in 1926 and its Prague Theses presented in 1929 under the initiatives of such prominent figures as Vilém Mathesius, the Russian emigré Roman Jakobson, Bohuslav Havránek, Jan Mukařovský and many others. These four names are associated with the exceptional and forward-looking nature of Prague structuralism: Mathesius was a Czech linguist, conceiving his structuralist thoughts as early as in 1911, Jakobson was a Russian formalist – a linguist also involved in literary theory5, Havránek was a linguist involved in Slavic studies, and Mukařovský, perhaps the most important contributor to the development of Prague semiotics, was an outstanding personality in literary studies and aesthetics.

In the 1920s, Prague was also a meeting point for scholars from diverse disciplines and countries. This is why Prague structuralism is the result of numerous absorptions – the Czech aesthetic and linguistic tradition, Russian formalism, Saussurean linguistics, Bühler’s Organonmodel, Husserl’s phenomenology, Durkheim’s sociology, Carnap’s logic, etc.6 In 1939, with the advent of the Nazi regime and the German occupation of Czechoslovakia, Jakobson as a Jew fled to Sweden and then to the US where he continued his activities at

Harvard.

Although the Prague Circle was suspended and structuralism repressed from the early 50s as it was found incompatible with Marxist ideology, especially with its vulgarized version presented by Stalin, its development during the 50s was only slowed down, but not discontinued. Conditions were more relaxed for linguists (although they were required to follow the lines of Marxian linguistics) than for theoreticians of art:

era ben lontana dal concetto ceco di «significato» inglobato nel contesto della comunicazione.

È vero che il periodo classico dello strutturalismo praghese, conosciuto anche come estetica semiotica o strutturale in quanto uno dei suoi rami rappresentava la semiotica dell’arte (l’altro riguarda la linguistica), era stato ufficialmente interrotto alla fine degli anni Quaranta dal regime comunista. Gli inizi di questo primo periodo risalgono alla fondazione del Circolo linguistico di Praga nel 1926 e delle relative Tesi praghesi presentate nel 1929 su iniziativa di personaggi rilievo come Vilém Mathesius, l’esule russo Roman Jakobson, Bohuslav Havrànek, Jan Mukařovoský e molti altri. Questi quattro nomi sono associati all’eccezionale e progressista spirito d’avanguardia dello strutturalismo praghese: Mathesius era un linguista ceco, che aveva concepito i suoi pensieri strutturalisti già nel 1911, Jakobson era un formalista russo – un linguista impegnato anche nella teoria del testo5,  Havrànek era un linguista impegnato nella slavistica mentre  Mukařovoský, forse colui che ha dato il maggior contributo allo sviluppo della semiotica praghese, era una personalità prominente negli studi letterari e dell’estetica.

Negli anni Venti Praga rappresentava anche un punto di incontro per studiosi di varie discipline e paesi. È per questo motivo che lo strutturalismo praghese è il risultato di numerose assimilazioni: la tradizione ceca dell’estetica e della linguistica, il formalismo russo, la linguistica di Saussure, il modello del sistema epistemologico di Bühler, la fenomenologia di Husserl, la sociologia di Durkheim, la logica di Carnap ecc6. Nel 1939 con l’avvento del regime nazista e dell’occupazione tedesca della Cecoslovacchia, Jakobson, in quanto ebreo, fuggì in Svezia e successivamente negli Stati Uniti, dove continuò le sue attività alla Harvard.

Nonostante il circolo di Praga fosse stato sospeso e lo strutturalismo represso a partire dai primi anni Cinquanta, in quanto ritenuto incompatibile con l’ideologia marxista, specialmente nella versione volgarizzata propugnata da Stalin, il suo sviluppo durante gli anni Cinquanta fu soltanto rallentato, ma non interrotto.

 

Conditions were more relaxed for linguists (although they were required to follow the lines of Marxian linguistics) than for theoreticians of art:

art was to service the new Czechoslovak society in tune with the Soviet ideology, based on Marxism-Leninism and the method of socialist realism. Literature was seen as a prominent art form for mass conversion to Marxist ideology and the education of the masses. Now that domestic production was being aided by the influx of translations from Russia, this highlighted the need for the institutionalization of controlled and regulated translator practices and training, as well as for translation theory. And this is where Levý, the founder of Czechoslovak translation studies, came in.

Structuralism was revived in the 60s by the second generation, then suppressed in the 70s – 80s, and again revived in the early 90s by the third generation of Prague structuralists. All intermittent periods of suppression were accompanied by an exodus7 of Prague structuralists who continued their work at universities in the US, Canada, Germany, Switzerland and elsewhere. To make the picture more realistic – it was in fact only the first half of the 50s and the 70s that were tough periods for Prague semioticians – easier for their colleagues in linguistics.

Deconstruction, as a prominent poststructuralist trend, with its undermining poststructuralist metaphysical logocentrism, shares some common features with Prague school structuralism of the 40s thanks to its links with Russian formalism and the avantgarde (cf. e.g. Derrida’s deautomatization and Mukařovský’s deformation). But apart from the deconstructivist antilogocentric epistemology and its poetological practice, i.e. analysis, that does not fully comply with this epistemology, Doležel (2000b: 639) notes some other fundamental differences, e.g. that Prague posited a polyfunctional language adapted to the diverse communicative needs of society, while Derridean language was monofunctional and thus all social communication was to be conducted in poetic language.

 

arte significava servire la nuova società cecoslovacca conformemente all’ideologia sovietica, basata sul marxismo-leninismo e sul metodo del realismo socialista. La letteratura era vista come una forma d’arte importante per la conversione di massa all’ideologia marxista e all’istruzione delle masse. Ora che la produzione nazionale era stata favorita dall’afflusso di traduzioni dalla Russia, divenne evidente il bisogno di un’istituzionalizzazione della pratica e della formazione controllata e regolata del traduttore così come della teoria traduttiva. Ed è qui che entra in gioco Levý, il fondatore della scienza della traduzione cecoslovacca.

Lo strutturalismo venne riportato in auge negli anni Sessanta dalla seconda generazione, poi soppresso negli anni Settanta-Ottanta e riportato nuovamente in auge agli inizi degli anni Novanta dalla terza generazione degli strutturalisti praghesi. Tutti i periodi intermittenti di repressione furono accompagnati dall’esodo7 degli strutturalisti praghesi che continuarono il loro lavoro presso le università statunitensi, canadesi, tedesche, svizzere e altrove. Per rendere l’immagine più realistica, solo la prima metà degli anni Cinquanta e gli anni Settanta sono stati periodi duri per i semiotici praghesi, mentre sono stati più semplici per i loro colleghi linguisti.

La decostruzione, come importante tendenza post-strutturalista con il suo debilitante logocentrismo metafisico post-strutturalista, possiede alcune caratteristiche in comune con la scuola strutturalista praghese degli anni Quaranta grazie al suo collegamento con il formalismo russo e l’Avant-garde ( si veda per esempio la «de-automatization» di Derrida e «deformazione» di Mukařovoský).  Ma oltre all’epistemologia decostruttiva e anti-logocentrica e la sua pratica poetologica, ossia l’analisi, che non è completamente conforme con questa epistemologia, Doležel (2000b: 639) segnala altre differenze fondamentali, come per esempio che Praga postulava un linguaggio polifunzionale adattato alle varie esigenze di comunicazione della società, mentre il linguaggio Derridano era monofunzionale e quindi tutte le comunicazioni sociali vanno portate avanti nel linguaggio poetico.

 

Pragmatics is another poststructuralist trend, which, however, does not deny the logocentric basis of human cognition but strives to overcome the limitations of structuralism by linking signs to their socio-cultural, cognitive and other environments.

In making his comparison between Prague structuralism and pragmatics, Doležel (2000b: 639) categorizes pragmatics into three types: (1) indexical, (2) interactive and (3) ideological. Indexical pragmatics represents the classical type introduced by Bühler and Morris, with established relationships between messages and their users, between signs and their interpreters. The interactive type represents the relationship between communicative practices and humans in (inter)action (cf. theories of human/literary communication, speech-act theory etc.). The two types of pragmatics were inherent parts of Prague structuralism already in its Classical period. The official name for its semiotic literary branch was theory of literary communication; however, the general principle of Prague functionalism (including its purely linguistic branch) rested on the communicative function of elements in the message together with the hierarchy of communicative functions of the message as a whole, in a particular communicative use and context. This is where Levý’s theory and model of translation, as well as his analytical method, derive from. Levý’s approach was adopted by Popovič who pointed out its methodological advantages over the descriptive poetics of the time, in terms of bridging the gap between description and explanation (1975: 50):

 

What was missing was a view on translation as both text in communication and communication in text; this means a new dynamic view of literary activity in translating. The communication aspect casts light on new, unknown processes taking place during the course of the realization8 of an artistic text.

 

Doležel (2000b: 641) points out a striking difference: while during the western poststructuralist era, in isolated Czechoslovakia, scholars like Jiří Levý, Miroslav Procházka and members of the Nitra school (e.g. Anton Popovič and František Miko)

La pragmatica è un’altra tendenza post-strutturalista, che, tuttavia, non nega le basi logocentriche della cognizione umana ma si sforza di superare i limiti dello strutturalismo collegando i segni ai loro ambienti socio-culturali, cognitivo e altri. Paragonando lo strutturalismo praghese e la pragmatica,  Doležel (2000b: 639) classifica la pragmatica in tre tipi: (1) indicale, (2) interattiva e (3) ideologica. La pragmatica indicale rappresenta il tipo classico introdotto da Bühler e Morris, con relazioni stabilite tra i messaggi e i loro utenti, tra i segni e i loro interpreti. Il tipo interattivo rappresenta la relazione tra la pratica comunicativa e le (inter)azioni umane (vedi: teorie della comunicazione umana/letteraria, le teorie dell’atto discorsuale ecc.). I due tipi di pragmatica erano parti integranti dello strutturalismo praghese già nel periodo classico. Il nome ufficiale del il ramo della semiotica letteraria era teoria della comunicazione letteraria; tuttavia, il principio generale del funzionalismo praghese (incluso il ramo puramente linguistico) si basa sulla funzione comunicativa degli elementi nel messaggio insieme alla gerarchia delle funzioni comunicative del messaggio come insieme, in un particolare uso e contesto comunicativo. Da qui deriva la teoria e il modello di traduzione di Levý così come il suo metodo analitico. L’approccio di Levý è stato adottato da Popovič, il quale mette in evidenza i suoi vantaggi metodologici rispetto alla poetica descrittiva del tempo, per quanto riguarda il divario tra la descrizione e la spiegazione (1975: 50;  40 versione italiana):

Non erano presenti il concetto di «traduzione» come testo nella comunicazione e il concetto di comunicazione nel testo, e quindi mancava lo sguardo dinamico sul concetto di processo traduttivo. L’aspetto comunicativo mette in luce i processi che si verificano con la realizzazione8 del testo

Doležel (2000b: 641) evidenzia una differenza sorprendente: poiché durante l’era post-strutturalista occidentale, nell’isolata Cecoslovacchia, studiosi come Jiří Levý, Miroslav Procházka e i membri della scuola di Nitra (ad esempio: Anton Popovič e František Miko)

 

further advanced the literary communication theory on the Prague Classical foundations, and thus preserved its continuity, the conception of literary communication in western post-structuralism started with the wholesale rejection of the structuralist heritage.

Doležel explains this difference by pointing to the fact that Prague structuralism started with functional linguistics, transformed as early as the 30s – 40s into functional stylistics, which included both poetic and non-poetic types of language use. In other words, the Prague functional theory of communication, or language use, easily subsumed the study of literary poetics as well as the study of non-poetic discourses; this is why the specificity of literature could have been moved from language to language use. Sládek (2005: 160-161) sees another parallel dichotomy between structuralisms in the conception of structure; while poststructuralism, in its reaction to French structuralism, advocates open structures and instability of meaning, already in the 30s and 40s Mukařovský (1946, in 2000: 27) held to the concept of open structure, seeing it as a dynamic, energetic whole of dialectic contradictions; a structure was conceived of as a networked set of components, whose inner equilibrium is in turns constantly being disrupted and then re-established again, and therefore manifesting itself as a set of dialectic contradictions, i.e. while the identity of a structure is what survives over time, its internal hierarchical composition and the interrelationships of its components are in constant change due to reception processes. The structure as a whole is accessible to an observer only through its manifestations and functions.

This also means that readers/receivers themselves are an open, changing system, and so is the meaning of a message when it is undergoing the process of semiosis during reception, i.e. when becoming established as a semantic structure in the reader’s mind. But in contrast with extreme subjectivism and existential scepticism, Mukařovský and Prague structuralists seek objectivity on the level of supra-individuality, that is in collectivity or intersubjectivity, on which any communication is based.

 

hanno ulteriormente avanzato la teoria della comunicazione letteraria sulla base del periodo classico praghese e perciò preservato la sua continuità; la concezione della comunicazione letteraria nel post-strutturalismo occidentale è iniziata con il totale rifiuto dell’eredità strutturalista.

Doležel spiega questa differenza riferendosi al fatto che lo strutturalismo praghese è iniziato con la linguistica funzionale, trasformatasi già negli anni Trenta-Quaranta in stilistica funzionale, che include sia i tipi poetici e non dell’uso della lingua. In altre parole la teoria della comunicazione, o uso della lingua, funzionale praghese contemplava facilmente sia lo studio della poetica letteraria sia lo studio dei discorsi non-poetici; ecco perché la specificità della letteratura poteva essere spostata dalla lingua all’uso della lingua. Sládek (2005: 160-161) vede un’altra dicotomia parallela tra gli strutturalismi nella concezione di «struttura»; mentre il post-strutturalismo, nella sua reazione allo strutturalismo francese, è a favore della struttura aperta e dell’instabilità del significato, già negli anni Trenta e Quaranta  Mukařovoský (1946, in 2000: 27) rimaneva fedele al concetto di struttura aperta, come insieme dinamico ed energetico di contraddizioni dialettiche; la struttura era concepita come una serie di componenti collegate, il cui equilibrio interno viene costantemente infranto e ristabilito a fasi alterne e perciò si manifesta come una serie di contraddizioni dialettiche, ossia mentre l’identità di una struttura è ciò che sopravvive nel corso del tempo, la sua composizione gerarchica interna e le interrelazioni delle sue componenti sono in constante cambiamento a causa dei processi di ricezione. La struttura come insieme è accessibile a un osservatore soltanto attraverso le sue manifestazioni e funzioni. Questo significa che anche i lettori/riceventi stessi sono un sistema aperto, mutevole e così è il significato del messaggio quando subisce il processo di semiosi durante la ricezione, ossia quando viene riconosciuto come struttura semantica nella mente del lettore. Ma in contrasto con l’estremo soggettivismo e scetticismo esistenziale, Mukařovoský e gli strutturalisti praghesi cercano oggettività ad un livello di sovra-individualità, cioè nella sua collettività o intersoggettività, sul quale si basa ogni comunicazione.

 

 

And here is where contextually bound norms and cultural codes as intersubjective entities on the one hand, as well as the producer’s and receiver’s idiolects as (individual or group) subjective entities on the other, come in. Thus an artefact/text as a material object may have a number of different meanings, functions and values.

However, (the inherently deterministic) ideological pragmatics and Prague structuralism have been in opposition since the 30s. Doležel (2000b: 640), explaining why ideological interpretation of a literary work is a tautological trick and sharply distancing it from the Prague school of aesthetics and poetics as inherently empirical theories9, points out that the criticism of pragmatic determinism of art and literature by the Prague scholars was actually the reason why these scholars were silenced by the totalitarian Marxist/Stalinist ideology and its communist regime. More precisely, Prague structuralists believed in a trichotomy of: (a) immanent development of literary structures over time seen as a chronological series of sets of generic models with their centres and peripheries, (b) the author’s individual agency in producing a work of art based on deviations from contemporary models, and (c) contextual social factors. This is also why Prague semiotics respected the sociological dimension as an integral part of its theoretical and analytical modelling and, at the same time, could not be accused of immanentism10. Talking about the role of an individual in art, Mukařovský (1966: 223) conceptualized dialectical individual agency as an antagonistic external force reperesenting a contingency that is the carrier of social and ideological influences accidentally inflicted on the immanence of artistic structure.

The post-modern way of treating concepts, preferably metaphorical, is also something alien to Prague structuralism where Mukařovský, emphasizing the procedures of rigorous concept formation and systematization went even so far as to identify these procedures with structuralism; for him, a concept was defined by the position it occupied in the conceptual system network rather than by the itemization of its contents (Doležel 2000b: 644).

E qui si inizia a parlare di norme legate al contesto e codici culturali come entità intersoggettive da un lato e di idioletti dell’emittente e del ricevente  come entità soggettive (individuale o gruppo) dall’altro. In questo modo un artefatto/testo in quanto testo materiale può avere diversi significati, funzioni e valori.

Tuttavia, la pragmatica ideologica (intrinsecamente deterministica) e lo strutturalismo praghese sono in contrasto sin dagli anni Trenta. Doležel (2000b: 640), spiegando perché l’interpretazione ideologica di un opera letteraria è un tranello tautologico e distanziandola aspramente dalla scuola di estetica e poetica di Praga in quanto teoria intrinsecamente empirica9, evidenzia che la critica del determinismo pragmatico dell’arte e della letteratura da parte degli studiosi praghesi era in realtà la ragione per cui questi studiosi erano stati messi a tacere dall’ideologia totalitaria marxista/leninista e dal regime comunista. Più precisamente gli strutturalisti praghesi credevano in una tricotomia di: (a) lo sviluppo immanente delle strutture letterarie nel corso del tempo visto come una serie cronologica di un complesso di modelli generici con i loro centri e le loro periferie, (b) il ruolo individuale dell’autore nel produrre un’opera d’arte basata sulle deviazioni dai modelli contemporanei e  (c) dei fattori sociali contestuali. Anche per questo motivo la semiotica praghese rispettava la dimensione sociologica in quanto parte integrante della sua modellizzazione teorica e analitica e allo stesso tempo non poteva essere accusata di immanentismo10. Parlando del ruolo di un individuo nell’arte, Mukařovoský (1966: 223) concettualizzava il ruolo individuale dialettico come una forza antagonista esterna che rappresenta una contingenza, ossia il portatore di influenze sociali e ideologiche accidentalmente inflitte all’immanenza della struttura artistica.

La via post-moderna del trattamento dei concetti, preferibilmente metaforici, e anche qualcosa di alieno allo strutturalismo praghese dove Mukařovoský, enfatizzando le procedure di una rigorosa formazione e sistematizzazione dei concetti si è spinto fino a identificare queste procedure con lo strutturalismo; per lui, un concetto è definito dalla posizione che esso occupa nella rete del sistema concettuale piuttosto che dalla specificazione del suo contenuto (Doležel 2000b: 644).

Poststructuralist hermeneutics as represented by Ricoeur has structural analysis incorporated as one stage of interpretation: “And since a text is a quasi-individual, the validation of an interpretation applied to it may be said to give a scientific knowledge of the text.” (Ricoeur, quoted in Doležel 2000b: 645) – this is an example of the way Ricoeur approaches the distinction between natural sciences striving for regularities and laws on the one hand, and humanities concerned with individualized phenomena to understand them in their uniqueness. Doležel (2000b: 646) remarks that Prague structuralist poetics was both theoretical (universalist) – designing universal concepts, models and methods, and analytical (particularist) – testing these universal tools in the analysis of particular phenomena, thus at the same time enhancing the development of theoretical categories and stimulating new discoveries. Alternation, that is combining functional analysis with theoretical reflection, the procedure called the ‘zig-zag’ method, was typical of Prague structuralists, including Levý, and later the Slovaks Miko and Popovič.11

Back in the 20s, Mukařovský demonstrated this method himself by first constructing an abstract systemic theory (theoretical poetics), then applying it as a tool in textual analysis (analytical poetics) and through its application advancing the theory further; his analysis focused on narratological and stylistic structures of Czech poetry and prose, aiming to discover the author’s individuality and uniqueness against the background of established textual regularities. At the same time he discovered the correlation between the semantic structure and texture of a work of art – the fact that his semiotic analyses were not limited to linguistic style only resulted in another theoretical advancement; i.e. the form has thus become an integral part of semantics.

In the 40s and 60s, the same method was applied e.g. by Felix Vodička in literary historiography – in his attempt to reconstruct history in parallel with the construction of theory. Similarly, Levý’s history of translation published in 1957 preceded his theory of translation published in 1963. While working on his history Levý discovered that history was basically a series of translation methods related to translation functions in particular historical contexts.

L’ermeneutica post-strutturalista come rappresentata da Ricoeur incorpora l’analisi strutturale come uno stadio dell’interpretazione:«E dato che un testo è quasi-individuo, si può dire che la convalida dell’interpretazione ad esso applicata dia una conoscenza scientifica del testo» (Ricoeur, citato in Doležel 2000b: 645). Questo è un esempio del percorso con cui Ricoeur affronta la distinzione tra la scienza naturale che lotta per la regolarità e la legge da un lato e l’umanità che si interessa di fenomeni personali per capirli nella loro unicità. Doležel (2000b: 646) ribadisce che la poetica strutturalista praghese era sia teorica (universalista), ideando concetti, modelli e metodi universali, che analitica (particolarista), mettendo alla prova questi strumenti universali nell’analisi dei fenomeni particolari, incrementando così lo sviluppo delle categorie teoriche e stimolando nuove scoperte. L’alternanza, che unisce l’analisi funzionale e la riflessione teorica, la procedura chiamata metodo a “zig-zag”, era tipica degli strutturalisti praghesi, incluso Levý e successivamente gli slovacchi Miko e Popovič 11.

Tornando agli anni Venti, Mukařovoský dimostrò da solo questo metodo formulando innanzitutto una teoria sistemica astratta (poetica teorica), poi applicandola come strumento nell’analisi testuale (poetica analitica) e avanzando ulteriori teorie attraverso la sua applicazione;  le sue analisi si concentravano sulle strutture narratologiche e stilistiche della poesia e della prosa ceca, mirando a scoprire l’individualità e l’unicità dell’autore sullo sfondo di regolarità testuali consolidate. Allo stesso tempo egli scoprì la correlazione tra la struttura semantica e la tessitura di un’opera d’arte – il fatto che le sue analisi semiotiche non erano limitate allo stile linguistico che determinò un altro avanzamento teorico; ossia la forma è quindi diventata parte integrante della semantica. Negli anni Quaranta e Sessanta lo stesso metodo fu applicato per esempio da Felix Vodička nella storiografia letteraria, nel suo tentativo di ricorstruire la storia in parallelo con la formulazione della teoria. In modo simile, la storia della traduzione di Levý pubblicata nel 1957 ha preceduto la sua teoria della traduzione pubblicata nel 1963. Mentre lavorava sulla sua storia Levý ha scoperto che la storia era sostanzialmente una serie di metodi di traduzione collegati alle funzioni traduttive in particolari contesti storici.

Hand in hand with this method goes another important methodological aspect; while the positivist deterministic causality with its savoir pour prévoir had been put under scrutiny, Prague structuralism aimed at the anti-positivist savoir pour construire – re/constructing the object in its environment (both as an act and product of communication, as a category of social interaction in the culture), with a number of more or less active or relevant factors. More precisely, functionalism aimed not at establishing the causes of phenomena but at establishing the position of the latter within a higher-order whole. The advantage of the functional approach, as Levý (1971: 102) notes, is that it focuses on the internal structure of the system and not only on its relationships with the environment.12 Combined with the open systems theory, this approach has one methodological advantage: the researcher does not feel limited by any existing theoretical and conceptual networks but is free to search for, discover and extend them by any new factors or entities that may have been or have been found relevant in the origination (i.e. generation), make-up (i.e. structure) and functioning (i.e. position and value) of the object under study, on any level of the systemic hierarchy.

For Doležel (2000b), Prague in its epistemology anticipated Ricoeur’s ‘science of the individual’ as well as the underlying problem humanities face today – that is the need to treat both – lawlike universals and unique specifics. With the idea of ‘possible worlds’ restored to epistemological prominence today, Doležel believes that humanities can either opt for rational argument, systematic method, conceptual precision and empirical evidence, or for antirationality, random insight, conceptual sloppiness and ideological dogma.

Brief reference to Slovak structuralism will show that while between 1918 and 1993 the Czechs and Slovaks lived in one country, Czechoslovakia, they developed slightly different versions of structuralism. Matejov and Zajac (2005: 8-19) mapping the Slovak history, point out the following aspects: Slovak structuralism (with origins dating back to the 40s)

Un altro importante aspetto metodologico va di pari passo con questo metodo; mentre la causalità deterministica positivista con il suo savoir pour prévoir era stata messa sotto osservazione, lo strutturalismo praghese mirava all’anti-positivista savoir pour construire, ri/costruire l’oggetto nel suo ambiente (sia come atto e prodotto della comunicazione, sia come categoria di interazione sociale nella cultura), con alcuni fattori più o meno attivi o rilevanti. Più precisamente l’obiettivo del funzionalismo non era quello di stabilire le cause dei fenomeni ma quello di stabilire la posizione di questi ultimi all’interno di un insieme di ordine superiore. L’approccio funzionale, come osserva Levý (1971: 102), ha il vantaggio di concentrarsi sulla struttura interna del sistema e non soltanto sulle sue relazioni con l’ambiente12. Combinato con la teoria dei sistemi aperti, questo approccio ha un vantaggio metodologico: il ricercatore non si sente limitato da  reti teoriche e concettuali, ma è libero di ricercarle, scoprirle ed estenderle con ogni nuovo fattore o entità che può essere o è stato ritenuto rilevante nella creazione (la generazione), nella composizione (la struttura) e nel funzionamento (posizione e valore) dell’oggetto in esame, a qualsiasi livello di gerarchia sistemica.

Secondo Doležel (2000b), l’epistemologia della scuola di Praga ha anticipato la “scienza dell’individuo” di Ricoeur così come il problema implicito che le scienze umane si trovano a dover affrontare oggi: ossia il bisogno di affrontare sia gli universali dotati di regolarità sia gli specifici unici. Dato che nell’epistemologia attuale l’idea dei “mondi possibili” è di nuovo in primo piano, Doležel crede che le scienze umane possano optare o per la tesi razionale, il metodo sistematico, la precisione concettuale e l’evidenza empirica, o per anti-razionalismo, l’intuizione casuale, la sciatteria concettuale e il dogma ideologico.

Un breve riferimento allo strutturalismo slovacco mostrerà che tra il 1918 e il 1993 mentre cechi e slovacchi vivevano in un unico paese, la Cecoslovacchia, hanno sviluppato versioni leggermente diverse dello strutturalismo. Mappando la storia slovacca Matejov e Zajac (2005: 8-19) hanno evidenziato i seguenti aspetti: lo strutturalismo slovacco (le cui origini risalgono agli anni Quaranta)

 

was rooted in Czech structuralism, Russian formalism and scientism of the neo-positivist Vienna school. It was especially the influence of Vienna that markedly distanced the Slovaks from the Czechs, who adhered to Husserl’s phenomenology.

This resulted in two different orientations: while Mukařovský was developing his semiotic aesthetics, the Slovaks took to literary poetics (and from there to historical poetics in the 60s). František Miko, drawing on Bühler and semiotics, developed his general theory of style that was to be integrated in translation theory by Anton Popovič in the late 60s and was soon to become a fundamental underpinning of research conducted by the Nitra Center of Literary Communication, a research unit established at the University of Nitra in 1967.

Under the influence of Lotman’s semiotics13 and Polish literary structuralism14, Nitra was gradually developing its (socio)semiotics15 of literary communication, a broadly conceived project covering both theory and empirical research, by using the same zig-zag method as their Czech colleagues. The project encompassed a number of aspects, including metacommunication, translation (Anton Popovič) and interliterary communication (esp. Dionýz Ďurišin).

From the 50s to the 90s, Slovak structuralism underwent fluctuations like its Czech counterpart. Popovič and others, producing research and publishing results during the 70s and early 80s, must have somehow conceded and reconciled their scientism and rationalistic structuralism with Marxist methodology, which at the time was fortunately very different from the vulgarized Stalinist version that hit the Prague structuralists in the early 50s.

The result of the critical revision of structuralism in Slovakia that took place during the 90s is, in Matejov and Zajac’s (2005: 19) words,

 

 

era radicato nello strutturalismo ceco, nel formalismo russo e nello scientismo della Scuola neo-positivista di Vienna. Fu soprattutto l’influenza di Vienna che distanziò in modo considerevole gli slovacchi dai cechi, che aderivano alla fenomenologia di Husserl.

Questo ebbe come risultato due orientamenti diversi: mentre Mukařovský stava sviluppando la sua estetica semiotica, gli slovacchi si dedicavano alla poetica letteraria (e da lì alla poetica storica negli anni Sessanta). Františec Miko, basandosi su Bühler e sulla semiotica, sviluppò la sua teoria generale dello stile che doveva essere integrata nella teoria della traduzione di Anton Popovič verso la fine degli anni Sessanta e che presto sarebbe diventata un sostegno fondamentale della ricerca condotta dal Centro della Comunicazione Letteraria di Nitra, un’unità di ricerca istituita all’università di Nitra nel 1967.

Sotto l’influenza della semiotica di Lotman13 e dello strutturalismo letterario polacco14, Nitra stava gradualmente sviluppando la sua (socio)semiotica15 della comunicazione letteraria, un progetto di ampio respiro che ricopriva sia la teoria che la ricerca empirica utilizzando lo stesso metodo a zig-zag dei loro colleghi cechi. Il progetto comprendeva molti aspetti, tra cui la meta-comunicazione, la traduzione (Anton Popovič) e la comunicazione interletteraria (specialmente Dionýz Ďurišin).

Dagli anni Cinquanta agli anni Novanta, lo strutturalismo slovacco subì delle fluttuazioni così come il suo omologo ceco. Popovič e gli altri, facendo ricerche e pubblicandone i risultati durante gli anni Settanta e nei primi Ottanta, devono aver in qualche modo ceduto e riconciliato il loro scientismo e il loro strutturalismo razionalistico con la metodologia marxista, che al tempo fortunatamente era molto diversa dalla versione volgarizzata Staliniana che si abbatté lo strutturalismo praghese agli inizi degli anni Cinquanta.

Secondo Matejov e Zajac (2005: 19), il risultato della revisione critica dello strutturalismo in Slovacchia che ebbe luogo durante gli anni Novanta,

that although structuralism has become a tradition, the latter has in turn become part and parcel of analytical tools in Slovak literary studies.

In a discussion of the prospects for structuralism by the end of the 60s, Mukařovský stated that the term itself (i.e. structuralism) was not so important; what was crucial was that the principles of the structuralist approach should become part and parcel of research as he believed that it was a generally valid method for analysis and explanation of social and other phenomena (Grygar 2005: 206).

Ongoing Czech discussions since the early 90s, revising and confronting structuralism with parallel isms seem to suggest that Mukařovský’s anticipation was correct, although admitting that some Classical theoretical concepts might need revision and/or further elaboration (cf. e.g. Sládek 2005, Macura – Schmidt 1999). However, they need it not as the result of unavoidable confrontations between structuralism and ‘anti-structuralism’, as Doležel (2005: 14-15) calls the influential and popular poststructuralist branch of criticism (based on substantial ignorance of Czech structuralism as a result of slavica non legitur)16, but rather for their own sake against the background of the general rising tide of epistemological scepticism today.

Taking it from here, we shall now look at the development and make-up of the Czech and Slovak communication models as later applied to the field of translation in general, and translation of works of art in particular (i.e. the model of intercultural literary communication). It is pertinent to note that while it is true that today the social relevance and volume of translated fiction (prose, poetry, drama) may be significantly lower than before, the relevance of the model has not diminished, for two reasons: (1) fiction also includes such prolific genres as films and computer games, folklore – now in relation to interest in oral cultures, etc., (2) modelling of hierarchically more complex structures (processes and products) yields models readily applicable to less complex structures.                                                                                                                                                              
è che sebbene lo strutturalismo sia diventato una tradizione, quest’ultima a sua volta è diventata parte integrante degli strumenti di analisi della scienza del testo slovacca.

In un dibattito sulle prospettive dello strutturalismo alla fine degli anni Sessanta, Mukařovský affermò che il termine in sé (strutturalismo) non era così importante; quello che era essenziale era che i principi dell’approccio strutturalista diventassero parte integrante della ricerca poiché egli credeva fosse un metodo generalmente valido per l’analisi e la spiegazione dei fenomeni sociali e non (Grygar 2005: 206).

Dalle discussioni in corso in Cechia dai primi anni Novanta, dalla revisione e dal confronto dello strutturalismo con gli “ismi” paralleli, si direbbe che l’anticipazione di Mukařovský era corretta, nonostante si debba ammettere che alcuni concetti teorici classici abbiano bisogno di una revisione e/o di un’ulteriore elaborazione (Sládek 2005, Macura – Schmidt 1999).Tuttavia, ne hanno bisogno non in quanto risultato di un confronto inevitabile tra lo strutturalismo e l’«anti-strutturalismo», come Doležel chiama il ramo della critica post-strutturalista influente e diffusa (basato sulla sostanziale ignoranza dello strutturalismo ceco in conseguenza della regola slavica non legitur),16 ma piuttosto per una presa di posizione sullo sfondo di un’odierna marea generale di scetticismo epistemologico crescente.

Riprendendo da qui, guarderemo lo sviluppo e la composizione dei modelli di comunicazione cechi e slovacchi in quanto successivamente applicati al campo della traduzione in generale e alla traduzione delle opere d’arte in particolare (ossia il modello di comunicazione letteraria interculturale). È pertinente notare che mentre è vero che oggi l’importanza sociale e il volume della letteratura artistica tradotta (prosa, poesia, commedia) possono essere significativamente minori rispetto a prima, l’importanza del modello non è diminuita per due ragioni: (1) la letteratura artistica include anche alcuni generi testuali prolifici come i film e i giochi per i computer, il folklore, ora in relazione all’interesse per la cultura orale ecc., (2) la modellizzazione di strutture gerarchicamente più complesse (processi e prodotti) produce modelli prontamente applicabili a strutture meno complesse.

 

While a theoretical model may never be complete as it is a generalized and simplified representation of its object in all its diversified modalities, its analytical counterpart as a tool for empirical research may be (1) extended or modified as a result of new empirical findings heuristically discovered, and/or (2) streamlined in tune with a particular research focus of a particular researcher.

On its general level, the communication model was conceived to cover any human communication/interaction, then specifically in art through artistic signs, i.e. artefacts/texts

(objective structures) and their messages as works of art. In 1948 Mukařovský, having adopted Bühler’s three-function model relating language functions to participants in communication, extended the model by inserting the fourth, aesthetic function pertaining to the message itself:

 

 

Referential/Objects and Situations           

 

 

Aesthetic/Sign

 

 

Expressive/Sender                                   Appeal/Listener

 

Fig. 1. Mukařovský’s funtions in communication


Sebbene il modello teorico non possa essere mai completo in quanto è una rappresentazione generalizzata e semplificata del suo oggetto in tutte le sue modalità diversificate, il suo omologo analitico in quanto strumento per la ricerca empirica può (1) essere esteso o modificato in conseguenza di nuove scoperte empiriche in campo euristico  e/o (2) ottimizzato in accordo con un particolare focus di ricerca di un particolare ricercatore.

Al suo livello generale, il modello di comunicazione era concepito per coprire ogni comunicazione/interazione umana, a quel tempo specialmente nell’arte attraverso i segni artistici, ossia gli artefatti/testi (struttura oggettiva) e i loro messaggi come opere d’arte.

Nel 1948 Mukařovský, dopo aver adottato il modello a tre funzioni di Bühler che mette in relazione le funzioni della lingua con i partecipanti alla comunicazione, ha esteso il modello inserendo la quarta funzione, quella estetica riferita al messaggio stesso:

 

 

     Referenziale/Oggetti e Situazioni           

 

 

Estetica/Segno

 

 

Espressivo/Emittente                         Appello/Ascoltatore

 

Fig. 1. Le funzioni di Mukařovský nella comunicazione.

At a conference in Bloomington in 1958, Jakobson (1960) presented his six functions corresponding to six factors in verbal communication:

    

         Factors                                                                     Functions

 

                Context                                                            Referential/Cognitive

  Sender   Message  Addressee                       Emotive  Poetic  Conative

         Contact                                                            Phatic17

         Code                                                                 Metalinguistic18

 

Fig. 2. Jakobson’s functions in communication

In Mukařovský’s and Jakobson’s terms, a verbal message, produced, transmitted and perceived in the process of communication, and embedded in its socio-cultural context, always carries a dominating function (the dominant19); other functions may be present as accessory or ancillary. The dynamic aspect of function, pointing to the historicity, or sociohistorical embeddedness of verbal messages, implies that one and the same text may acquire different (especially. dominant) functions at different times and in different cultures. This important aspect, thoroughly treated by Mukařovský in his Aesthetic Norm, Function and Value as Social Facts (Czech version 1936/1966), is one of the cornerstone concepts underlying Prague functional dynamism, and sharply distancing it from other, static and ahistoric functionalisms. Mukařovský, concerned with the aesthetic function, explained how one and the same aesthetic object may lose its dominant, i.e. aesthetic, function over time and acquire another dominant function20.


Alla conferenza a Bloomington nel 1958, Jakobson (1960) ha presentato le sue sei funzioni corrispondenti ai sei fattori della comunicazione verbale:

 

Fattori                                                              Funzioni

 

                     Contesto                                                           Referenziale/Cognitiva

  Emittente  Messaggio  Ricevente                    Emotiva  Poetica  Conativa

           Contatto                                                            Fatica17

           Codice                                                               Metalinguistica18

 

Fig. 2. Le funzioni di Jakobson nella comunicazione

Secondo Mukařovský e Jakobson, un messaggio verbale, prodotto, trasmesso e percepito nel processo di comunicazione e racchiuso nel suo contesto socio-culturale, ha sempre una funzione dominante (la dominante19); altre funzioni possono essere presenti come accessorie o ausiliarie. L’aspetto dinamico di Funzione, in riferimento alla storicità o all’integrazione socio-storica del messaggio verbale, implica che il medesimo testo può assumere funzioni differenti (specialmente dominanti) in tempi e culture diverse. Questo aspetto importante, discusso a fondo da Mukařovský nella sua La funzione, la norma e il valore estetico come fatti sociali (versione ceca 1936/1966), è uno dei concetti fondamentali alla base del dinamismo funzionale praghese e fortemente separato dagli altri funzionalismi statici e astorici. Mukařovský, in relazione alla funzione estetica, ha spiegato come lo stesso oggetto estetico possa perdere la sua funzione dominante, cioè l’estetica, nel tempo e assumere un’altra funzione dominante20.

 

Applied to translation by Levý and Popovič, this pivotal dynamic concept has become one of the strongest descriptive and explanatory variables underlying the interrelationships between translation method, the product’s structure and its function/s, as well as its socio-cultural embedding.21

The dominant function (and other functions) of a verbal message as a whole, encoded in text structure, is gradually constituted from elements and their interrelationships in the receiver’s mind during the process of perception. On the completion of the reception process, understood as a combination of linear perception and interpretation22 based on the interaction of the sender’s and receiver’s sociolects and idiolects, shared world view, value systems, etc., functions (intended by the sender for the intended receiver), if perceived, turn into values for the receiver. The reception process itself is seen as an incremental operation normally completed when the reader perceives the last element of the text.

From the communicative aspect, the important feature of reception is that the reader is conceived as a ‘learning system’ – every new incremental textual unit perceived is interpreted against the background of the text perceived so far, and, at the same time, the perception and interpretation of the new unit modify the previously perceived part of the message in the reader’s cognition.23 To further bridge the part-and-whole ‘gap’, Mukařovský introduced the concept of the aperception frame; in the light of their (socio-cultural) experience with particular genres, readers, when exposed to a text identified or presented as belonging to a specific sub/genre, anticipate a certain frame of reference to the world, a specific textual/message structure, its typical ‘language’ or style and function, which are activated in memory at the point of encounter. Naturally, when receivers encounter textual structures as wholes or their parts that do not match their aperception frame, as e.g. in a translation – the perception process and its outcome (functions perceived as value)

 

Applicato alla traduzione da Levý e Popovič, questo concetto dinamico e importantissimo è diventato una delle più forti variabili descrittive ed esplicative che stanno alla base delle interrelazioni tra il metodo traduttivo, la struttura del prodotto e la/e sua/e funzione/i, così come la sua integrazione socio-culturale21. La funzione dominante (e le altre funzioni) di un messaggio verbale come insieme, codificato nella struttura testuale, è gradualmente costituita da elementi e dalle loro interrelazioni nella mente del ricevente durante il processo di percezione. Al completamento del processo di ricezione, inteso come una combinazione della percezione e dell’interpretazione lineare22 basata sull’interazione di socioletti e di idioletti del mittente e del ricevente, sulla visione del mondo, i sistemi di valori condivisi ecc. , le funzioni (progettate dall’emittente per il ricevente ipotizzato), se percepite, diventano valori per il ricevente. Il processo di ricezione stesso è visto come un’operazione incrementale completata normalmente quando il lettore percepisce l’ultimo elemento del testo.

Dall’aspetto comunicativo, la caratteristica importate della ricezione è che il lettore è concepito come un “sistema d’apprendimento”: ogni nuova unità testuale incrementale percepita è interpretata sullo sfondo del testo finora percepito e allo stesso tempo, la percezione e l’interpretazione della nuova unità modificano la precedente parte del messaggio percepita nella cognizione del lettore23. Per colmare ulteriormente il “divario” parziale e totale, Mukařovský ha introdotto il concetto di struttura appercettiva; alla luce della loro esperienza (socio-culturale) con particolari generi testuali, i lettori, quando vengono esposti a un testo identificato e presentato come appartenente a un sub/genere specifico, anticipano una certa struttura di riferimento al mondo, una specifica struttura testuale/di messaggio, il suo “linguaggio” o stile tipico e la funzione, che sono attivate nella memoria al momento dell’incontro. Naturalmente, quando i riceventi incontrano delle strutture testuali nel loro insieme o in parti che non corrispodono alla loro struttura appercettiva, come per esempio nella traduzione, il processo percettivo e il suo risultato (le funzioni percepite come valori)

 

are not habitual, but may later become so through further repeated encounters. This mechanism is the underpinning of Levý’s dynamic category of translativity with an explanatory force (cf. below).

Because one and the same artefact (text as objective material) may be perceived at a time (and/or in a culture) distanced from the time of its production, with all the ‘risks’ of different interpretation of the message (work of art), and hence its perceived functions and values, Doležel (2000a), inspired by Levý’s model of communication in translation, introduced the concept of transduction:

 

Author – Message – Receiver1      (transduction in time)

 

 

                           Receiver2    –    Receiver3  (transduction in time and space)

 

Fig.3. Doležel’s transduction in communication.

 

non sono abituali, ma possono successivamente diventare tali attraverso ulteriori incontri ripetuti. Questo meccanismo è il sostegno della categoria dinamica della traduzionalità con una forza esplicativa di Levý (riportato sotto).

Poiché lo stesso artefatto (testo come oggetto materiale) può essere percepito in un tempo (e/o in una cultura) distante dal tempo della sua produzione, con tutti i “rischi” di differenti interpretazioni dello stesso messaggio (opera d’arte) e da qui le sue funzioni e valori percepiti, Doležel (2000a) ispirato dal modello della comunicazione nella traduzione di Levý, ha introdotto il concetto di trasduzione:

 

Autore – Messaggio – Ricevente1    (trasduzione nel tempo)

                                                      

                            Ricevente2 – Ricevente3 (trasduzione nel tempo e nello spazio)

 

Fig. 3. la trasduzione nella comunicazione di Doležel

 

 

 

 


TRANSLATION THEORY

 

From Levý’s and Popovič’s perspective, translation as a message emerges as a result of threefold interpretation: (1) the interpretation of the world by the SLT author, (2) the translator’s interpretation of SLT’s message, and (3) the receiver’s interpretation of the message encoded in TLT. Differences in resulting interpretations, as well as misinterpretations, stem from objective socio-spatial distances conditioning both intersubjective and individual factors. To cater for such differences Popovič (1975) introduced the concept of experiential complex understood as the translator’s and the receiver’s set of internalized, individually acquired life-experience that is used as a background during production and reception processes.

In 1963, constructing the translation model on the lines of information theory, Levý (1963a, in 1971: 36-37) specifies the multiple communication chain as follows:

 

 Author                                        Translator24                                   Reader

Reality    –    Selection      –     Text25   –        Reading        –        Text      –       Reading

                    Stylization           (SLT)              Stylization              (TLT)              Concretization

 

Fig. 4. Levý’s communication chain in translation

Levý (1971: 48) points out that it is the translator’s/receiver’s passive idiolect that exerts influence on SLT interpretation, while, on the other hand, it is the translator’s active idiolect that leaves the imprint on the translated text.

 


Teoria della traduzione

 

Dalla prospettiva di Levý e Popovič, la traduzione come un messaggio emerge come un risultato di una triplice interpretazione: (1) l’interpretazione del mondo da parte dell’autore della cultura emittente, (2) l’interpretazione del traduttore del messaggio della cultura emittente e (3) l’interpretazione del ricevente del messaggio codificato nella cultura ricevente. Le differenze nelle interpretazioni che ne risultano, così come le interpretazioni errate, provengono dalle distanze socio-spaziali obiettive che condizionano sia i fattori intersoggettivi che quelli individuali. Per venire incontro a tali differenze Popovič (1975) ha introdotto il concetto di complesso esperienziale inteso come l’insieme delle esperienze di vita interiorizzate e acquisite individualmente del traduttore e del ricevente, che viene usato come sfondo durante il processo di produzione e ricezione.

Nel 1963, realizzando il modello di traduzione sulla base della teoria d’informazione, Levý (1963a, in 1971: 36-37) specifica la catena di comunicazione multipla come segue:

 

Autore                                        Traduttore24                                   Lettore

Realtà –  Selezione      –     Testo25   –         Lettura        –        Testo       –      Lettura

      Stilizzazione (cultura emittente) Stilizzazione  (cultura ricevente)  Concretizzazione

 

Fig. 4. la catena di comunicazione nella traduzione di Levý

 

Levý (1971: 48) fa notare che è l’idioletto passivo del traduttore/ricevente che esercita un’influenza sull’interpretazione della cultura emittente, mentre dall’altra parte è l’idioletto attivo del traduttore che lascia un’impronta sul testo tradotto.

 

Therefore translation can be viewed as a result of SLT values that were perceived by the translators’ passive idiolect, in combination with their active idiolect through which they articulated the values perceived from the SLT. At this point Levý, having carried out some experiments, formulates his hypotheses about translation universals (although he only speaks of assumed general tendencies) – those of stylistic levelling and generalization, as well as the translator’s tendency to overtranslation in terms of a tendency to highlight the SLT stylistic features assumed as being SLT- typical. In 1965 Levý (1971: 149n) observed explicitation in terms of additional surface syntactic structures, linking it with the psychological process of interpretation (SLT reception) and subsequent communication (TLT production). These tendencies were later incorporated into the conceptual category of shifts by Popovič (1975) and subcategorized (a) into constitutive, objectively or intersubjectively motivated shifts on the one hand, and individual, subjectively motivated shifts on the other; and (b) into resulting macrolevel and microlevel changes in expression.26

Obviously, the Czech understanding of translation equivalence was quite different from what was considered to have been the concept of the 60s – 70s in the West or in linguistic translation theories in the USSR and the GDR. But unfortunately, apart from Levý’s German version (1969) of his Art of Translation, the insight into the Czech theory of translation was confined to a mere handful of brief studies accessible in English, of which an even smaller number enjoyed wider circulation in TS. These include, first of all, Jakobson’s On Linguistic Aspects of Translation (1959) which, however, lacks the dynamic dimension and concentrates on the linguistic aspect of translatability from the functional perspective, hence the wrongly interpreted meme of ‘equivalence in difference’. The second well-known article is Jakobson’s Closing Statement presented at an interdisciplinary conference at the University of Indiana, Bloomington in 1958 and published under the title

 

 

Perciò la traduzione può essere vista come il risultato dei valori della cultura emittente che viene percepito dall’idioletto passivo dei traduttori, in combinazione con il loro idioletto attivo attraverso il quale hanno articolato i valori percepiti dalla cultura emittente. A questo punto Levý, dopo aver condotto alcuni esperimenti, formula le sue ipotesi sugli universali della traduzione (sebbene parli solo di presunte tendenze generali), quelle del livellamento stilistico e della generalizzazione, così come la tendenza del traduttore all’ipertraduzione in relazione alla tendenza di evidenziare le caratteristiche stilistiche della cultura emittente come se fossero tipiche della cultura emittente. Nel 1965 Levý (1971: 149n) ha osservato l’ esplicitazione in termini di strutture sintattiche superficiali aggiuntive, collegandolo con il processo psicologico di interpretazione (ricezione della cultura emittente) e con la conseguente comunicazione (produzione nella cultura ricevente). Queste tendenze sono state successivamente incorporate nella categoria concettuale dei cambiamenti traduttivi di Popovič (1975) e subacategorizzate (a) nei cambiamenti constitutivi, obiettivamente e intersoggettivamente motivate da un lato e individuali, soggettivamente motivate dall’altro; e (b) nei cambiamenti che determinano cambiamenti espressivi di macro livello e micro livello.26  

Ovviamente, la concezione ceca dell’equivalenza traduttiva era molto diversa da quello che si considera fosse il concetto degli anni Sessanta e Settanta in occidente o nelle teorie linguistiche della traduzione nell’Unione sovietica e nella Repubblica Democratica Tedesca. Ma sfortunatamente, eccezion fatta per la versione tedesca dell’arte della traduzione di Levý (1969) la comprensione della teoria ceca della traduzione era limitata a una mera manciata di brevi studi accessibili in inglese, di cui soltanto un numero ancora minore godeva di una più ampia circolazione nella scienza della traduzione. Si tratta prima di tutto di Gli aspetti linguistici della traduzione (1959) di Jakobson che tuttavia, non possiede la dimensione dinamica e si concentra sugli aspetti linguistici della traducibilità dalla prospettiva funzionale, da qui il meme erroneamente interpretato dell’“equivalenza nella differenza”. Il secondo articolo famoso è il Closing Statement di Jakobson presentato a una conferenza interdisciplinare alla Indiana University Bloomington nel 1958 e pubblicato con il titolo Linguistics and Poetics (1960), where he briefly presented his six communicative functions related to the communication model. Levý’s widely circulated Translation as a Decision Process (1967), presented at a 1966 conference in Moscow, and the less widely circulated Will Theory of Translation be of Use to Translators (1965) represent Levý as the author of the pragmatic minimax principle in translation, conceptualizing the translation decision process as a game – a series of interdependent cognitive processes under specific constraints, and empirically establishing the above mentioned procedural tendencies that later became known as translation universals.

In fact, what counts as equivalence is the reproduction in translation of the (communicatively relevant) functions of dominant SLT message elements (on different hierarchical structural levels, but understood semantically as meaning constituted by both form and content27) contributing to the realization of the intended dominant function of the TLT message as a whole. This can be achieved by substituting dominant SLT elements with TLT elements of a similar value (i.e. corresponding in function, and not necessarily in form and/or content) for the target receiver. Should the potential of the intended function of the whole message remain the same or rather similar, such a translation as a whole was considered to be an adequate translation. In other words, this meant that the semantic invariant core (Popovič 1975: 79n) of the original, now representing the intertextual invariant, was to a degree transferred through the functional substitution of the linguistic material on the textual level under specific socio-cultural conditions, while the remaining part of the translation’s semantics28  represented the variant conceived of as the result of translation shifts. While Levý (1969/1983: 23) outlined a structural taxonomy positing (a) elements that (should) remain invariable and (b) elements that are variable, i. e. substituted with TL equivalents, Popovič (1975) seeks an analytical-descriptive tool in Miko’s stylistic taxonomy in combination with shifts.

 

Linguistics and Poetics (1960), dove presenta brevemente le sei funzioni comunicative collegate al modello della comunicazione. L’opera di ampia circolazione di Levý La traduzione come processo decisionale (1967) presentato a una conferenza a Mosca nel 1966 e il meno conosciuto Will translation theories be of use to translators? (1965), rappresentano Levý come un autore del principio pragmatico minimax nella traduzione, concettualizzando il processo decisionale della traduzione come gioco: una serie di processi cognitivi interdipendenti sotto obblighi specifici, e istituendo empiricamente le tendenze procedurali sopracitate che successivamente saranno conosciute come gli universali della traduzione.

In effetti, ciò che conta come equivalenza è la riproduzione nella traduzione delle funzioni (comunicativamente rilevanti) degli elementi dominanti del messaggio della cultura emittente (a differenti livelli gerarchici strutturali, ma intesi semanticamente come significati costituiti sia dalla forma che dal contenuto)27 che contribuiscono alla realizzazione della funzione dominante voluta del messaggio della cultura ricevente nell’insieme. Questo può essere ottenuto sostituendo elementi della cultura emittente dominanti con elementi della cultura ricevente di un valore simile (ossia corrispondente nella funzione e non necessariamente nella forma e/o nel contenuto) per il destinatario della cultura ricevente. Se il potenziale della funzione voluta dell’intero messaggio dovesse rimanere uguale o, piuttosto, simile, questo tipo di traduzione come insieme veniva considerata una traduzione adeguata. In altre parole, questo significava che il nucleo invariante semantico (Popovič 1975: 79n) dell’originale, ora rappresentante l’invariante intertestuale, è stato spostato in una certa misura attraverso la sostituzione funzionale del materiale linguistico al livello testuale a specifiche condizioni socio-culturali, mentre la parte rimanente della traduzione semantica28 rappresentava la variante concepita come il risultato di cambiamenti traduttivi. Mentre Levý (1969/1983: 23) delineò una tassonomia strutturale ipotizzando (a) elementi che rimangono (dovrebbero rimanere) invariabili e (b) elementi variabili, ossia sostituiti con equivalenti della cultura ricevente, Popovič cerca uno strumento analitico-descrittivo nella tassonomia stilistica di Miko in combinazione con questi cambiamenti.

 

Consequently, Levý (1963/1983) and Popovič (1975) point out a series of other more or less dominant functions that translations may have and in fact had throughout history in the TLC, unlike the SLT in its culture (see below), including a complete change of the dominant function, and they point out that the position of translation within the receiving culture is different from the position of the original text/message in its culture. What is more, they point out that concepts such as translation and equivalence are socio-historical ones, dependent on world view, ideology and philosophy of a particular culture in a particular period29, which are reflected in a particular translation method and its underlying translation norm (cf. e.g. medieval vs. classicist vs. romanticist translation vs. modernist translation), and also derive from other interdependencies such as TLC aesthetics, literature, function of translation, the translator’s individuality, etc. as well as from heteronomous factors. They also posit the empirically derived fact that competing and different norms may coexist in the same period even for one and the same genre.

Therefore, especially important epistemological, dialectic categories for delimiting the concept and method of translation are those of noetic30 compatibility (Levý 1983), noetic subject/objectivism (Levý 1957/1996) and translativity (Levý 1963, Popovič 1975). They are both descriptive and explanatory categories whose introduction is intended to eliminate the static metaphors of faithful and free translation (i.e. a translation reading/not reading like an/the original, foreignizing or domesticating translation etc.), bringing in dynamic social and phenomenological, essentially anti-essentialistic aspects, while at the same time not conceding the validity of the extreme end of subject/individualism and extreme epistemological relativism.

Noetic compatibility brings in the distinction between illusionist31 and anti-illusionist translation/method/translator as two extreme poles on a scale; readers of illusionist translations, relying on an ‘agreement’ that the translation has preserved the SLT qualities and perceiving no traces of the mediator, believe they are reading e.g. Madame Bovary.

Di conseguenza Levý (1963/1983) e Popovič (1975) mostrano una serie di altre funzioni più o meno dominanti che la traduzione può avere e che in effetti ha avuto da sempre nella storia della cultura ricevente, diversamente dalla cultura emittente (vedi di seguito), tra cui un cambiamento completo della funzione dominante, e mostrano che la posizione della traduzione all’interno della cultura ricevente è diversa dalla posizione del testo/messaggio originale nella sua cultura. Per di più mostrano che concetti come traduzione ed equivalenza sono concetti socio-storici, che dipendono dalla visione del mondo, dall’ideologia e dalla filosofia di una particolare cultura in un particolare periodo,29 che vengono riflessi in un particolare metodo traduttivo e le sue norme di traduzione implicite (ad esempio traduzione medievale versus classicista versus romantica versus modernista) e inoltre derivano da altre interdipendenze quali l’estetica della cultura ricevente, la letteratura, la funzione della traduzione, l’individualità del traduttore ecc. così come da fattori eteronomi. Inoltre postulano il fatto derivato empiricamente che norme differenti e non compatibili possono coesistere nello stesso periodo anche per lo stesso genere testuale.

Perciò categorie epistemologiche e dialettiche particolarmente importanti per delimitare il concetto e il metodo traduttivo sono quelle della compatibilità noetica30 (Levý 1983) del soggettivismo/oggettivismo noetico (Levý 1957/1996) e della traduzionalità (Levý 1963, Popovič 1975). Sono categorie sia descrittive che esplicative la cui introduzione serve a eliminare le metafore statiche della traduzione fedele e libera (ossia una traduzione che sembra/non sembra un/l’originale, una traduzione addomesticante o estraniante ecc.), introducendo aspetti dinamici sociali e fenomenologici, essenzialmente anti-essenzialistici mentre allo stesso tempo non viene concessa la validità dell’estrema fine del soggettivismo/individualismo e l’estremo relativismo epistemologico.

La compatibilità noetica porta alla distinzione tra traduzione/metodo/traduttore illusionista31 e anti-illusionista come i due poli estremi su una scala; i lettori delle traduzioni illusioniste, facendo affidamento su un “accordo” secondo cui la traduzione ha preservato le qualità della cultura emittente e non percependo tracce del mediatore, credono di leggere per esempio Madame Bovary.
 Should the translator step out from behind the scene by an unintended stumble, by exoticization, notes etc., recognized by the receiver, the illusion is dispelled. This category, linking the translator with the receiver, co-relates with the remaining two categories.

Noetic subjectivism as an ideological basis makes cultures concentrate on the ‘self’, and their translations, paradoxically, tend to retain the SLT specific and individual, alien, features (producing the traditionally termed ‘faithful’ translation), while under ideological objectivism translations tend to generalize or suppress such foreign features, highlighting those shared by the two or more cultures, or even substituting foreign elements for domestic ones (‘free’ translation). Concrete positions on the general subject-objectivism scale historically depend on translation functions related to specific TLC needs, as Levý (1957, 1996: 235) observed in the development of Czech translation methods between the Middle Ages and the 1930s, concluding that in Czech culture translation played a more significant role in the development of domestic literature than in Western cultures, and, in addition, functioned as a tool in the struggle for national survival. It goes without saying that both functions and needs are epistemologically bound up with human activity, which is the conditio sine qua non.

The translativity scale as a dynamic socio-semiotic category was introduced by Levý and developed by Popovič. Translativity, linking the SLT author and the TLT receiver, represents the salience of translation with foreign (alien) elements in form and/or content as perceived by the receiver. This is very important for at least four reasons: first the salience depends directly not on the translator’s method but on the distance between the SLT author (deriving from the temporal and spatial distance between cultures and languages as projected in the artefact32) and the receiver’s experience, i.e. the latter’s experiential complex. Because repeatability or repeated exposition arouse expectations, non-markedness and assimilation at the receiver’s end, it is a fairly dynamic and inter/subjective category related to the receiver’s

 

Se il traduttore dovesse uscire da dietro le quinte con un errore involontario, con un esotismo, con una nota ecc. facendosi riconoscere dal ricevente, l’illusione verrebbe dissipata. Questa categoria, che collega il traduttore con il ricevente, è in correlazione con le due categorie rimanenti.

Il soggettivismo noetico in quanto base ideologica fa concentrare le culture sul ”sé” e le loro traduzioni, paradossalmente tendono a conservare le caratteristiche estranee, specifiche e individuali della cultura emittente (producendo la traduzione tradizionalmente chiamata “fedele”) mentre con l’oggettivismo ideologico, le traduzioni tendono a generalizzare o soffocare questo tipo di caratteristiche estranee evidenziando quelle condivise da una o più culture, o addirittura sostituendo elementi estranei con elementi appartenenti alla propria cultura (traduzione “libera”). La posizione concreta riguardo alla scala generale del soggettivismo-oggettivismo dipende storicamente dalle funzioni traduttive correlate a specifici bisogni della cultura ricevente, come ha osservato Levý (1957-1996: 235) nello sviluppo dei metodi traduttivi cechi tra il medioevo e gli anni Trenta, giungendo alla conclusione che nella cultura ceca la traduzione ha un ruolo più significativo nello sviluppo della letteratura nazionale rispetto alle culture occidentali e inoltre è servito come strumento nella lotta per la sopravvivenza nazionale. Non serve neanche dire che sia le funzioni che i bisogni sono epistemologicamente legati all’attività umana, che è la conditio sine qua non.

La scala di traduzionalità come categoria dinamica socio-semiotica è stata introdotta da Levý e sviluppata da Popovič. La traduzionalità, collegando l’autore della cultura emittente e il destinatario della cultura ricevente, rappresenta la prominenza della traduzione con elementi stranieri (estranei) nella forma e/o contenuto percepita dal ricevente. Questo è molto importante per almeno quattro ragioni: primo la prominenza non deriva direttamente dal metodo del traduttore, ma dalla distanza tra l’autore della cultura emittente  (derivante da una distanza temporale e spaziale tra le culture e le lingue proiettate nell’artefatto32) e l’esperienza del ricevente, ossia il complesso esperienziale di quest’ultimo. Dato che la ripetibilità o l’esposizione ripetuta suscitano aspettative, la non marcatezza e l’assimilazione dalla parte del ricevente,

 

experiential complex, explaining why for some receivers in the same receiving culture and even at the same time, the perceived salience of the foreign may be different.

Second, it explains the process of appropriation as well as the dynamics of anti/illusionism in terms of their relation to the intended group of individuals as intended readers of the translation. Third, the receiving culture (as a collective entity or some part of it) may ascribe different values to translativity: + (positive), 0 (irrelevant) or – (negative), due to the general position on the subject-objectivism scale, its relationship to the SLC, etc. If the value is positive, translativity33 tends to be more salient (i.e. the method of exoticizing or creolizing translation is prominent) and original works may tend to be presented as translations (i.e. pseudotranslations). If the value is negative, translations tend to look like and be presented as non-translations (i.e. the overall method ranges from neutralizing to naturalizing). Fourth, in relation to the subject/objective category it explains that some foreign elements in translation may go unnoticed and get lost because the reader will not recognize them, as e.g. some foreign metres in poetry or allusions, etc. However, the reader may become sensitized to some qualities after repeated exposure to them. Last but not least the salience with alien elements may (temporarily) enhance entropy of the message with its consequences for efficiency34. This brings us further to the translator’s strategies.

Levý (1965) assumes that real translation is based on the intuitive minimax strategy, linked with the nature of human behaviour and the translator’s memory retrieval, rather than on the strategy of producing an ideal or optimal translation. The translator’s ‘pivot’ is the potential receiver through which the message and its functions can be realized. Therefore during the translation process, understood as the generation of a new, SLT derived, message carried by a new textual structure executed in different language material, the translator takes such decisions in the selection

 

è una categoria piuttosto dinamica e inter/soggettiva collegata al complesso esperienziale del ricevente, il che spiega perché per alcuni riceventi  nella stessa cultura ricevente e persino nello stesso periodo di tempo, la prominenza percepita dell’elemento estraneo può essere diversa.

Secondo, spiega il processo di appropriazione così come le dinamiche dell’anti/illusionismo per quanto riguarda la loro relazione con il gruppo designato di individui intesi come lettori della traduzione. Terzo, la cultura ricevente (come entità collettiva o alcune parti di essa) può attribuire valori diversi alla traduzionalità: + (positivo), O (irrilevante), o – (negativo), a causa della posizione generale sulla scala del soggettivismo/oggettivismo, la sua relazione con la cultura emittente ecc. Se il valore è positivo, la traduzionalità33 tende ad essere più prominente (ossia il metodo di traduzione esotizzante o creolizzante è prominente) e le opere originali tendono ad essere presentate come traduzioni (ossia pseudo-traduzioni). Se il valore è negativo, le traduzioni tendono ad sembrare e ad essere presentate come non-traduzioni (cioè il metodo globale spazia dalla neutralizzazione alla naturalizzazione). Quarto, in relazione alla categoria soggettiva/oggettiva spiega che alcuni elementi estranei nella traduzione possono passare inosservati e andare persi perché il lettore non li riconosce, come per esempio alcuni metri sconosciuti nella poesia o alcune allusioni ecc. Tuttavia il lettore può sensibilizzarsi ad alcune qualità con un’esposizione ripetuta. Ultimo ma non meno importante, la prominenza con elementi estranei può (temporaneamente) accrescere l’entropia del messaggio con le sue conseguenze sull’efficienza.34 Questo ci porta ancora alle strategie del traduttore.

Levý (1965) ritiene che la traduzione reale sia basata sulla strategia minimax intuitiva, collegata con la natura del comportamento umano e al reperimento di ricordi nella memoria del traduttore, piuttosto che su una strategia di produzione di una traduzione ideale o ottimale. Il “perno” del traduttore è il ricevente potenziale attraverso il quale possono essere realizzati il messaggio e le sue funzioni. Perciò durante il processo traduttivo, inteso come la generazione di un nuovo messaggio, derivato dalla cultura emittente, che portato da una nuova struttura testuale eseguita in diversi materiali di linguaggio, il traduttore prende alcune decisioni nella selezione

process as account for the estimated potential reaction of the receivers in their historical context so that to grant functionality in terms of the receivers’ values (cf. Levý’s generative model in this volume).

Popovič (1975) takes a step in another direction in his sociology of translation (a subcategory of praxeology) by postulating a typology of translations35 that deviate from the theoretical, processual and resulting ideal due to various contextual reasons. For Levý and Popovič this is the pragmatic and axiological dimension of their socio-semiotic communication model.

The receiver is an entity uniting the social (or collective) and the individual, and it is precisely the social aspect of cognition that constitutes the common ground in communication based on intersubjectively shared cultural codes, experience and hence derived expectations. Codes are generated by and constituted via previous social practices as models based on norms; while serving as models for behaviour they undergo changes during the process of human activity due to intended and/or unintended agency. For Mukařovský and Levý, the literary code, interpreted in semiotic terms as literary language, was most susceptible to change since, in general terms, a work of art with socially attributed artistic value involves the innovation of the current code (i.e. a specific structural model for a specific sub/genre) in parole, which in turn is the result of individual, socialized and creative agency. One of several problems in translation that are solved by translators may therefore be a situation where SLT structure is derived from a code already obsolete in TLC while at the same time the translation’s dominant function is intended to remain aesthetic, that is to have the potential of producing some aesthetic effect. And, vice versa, the SLT’s code may be well ahead of that of TLC (Levý 1998: 111). A parallel problem, among others, is e.g. the transfer of individual style based on innovation, i.e. its differentiating value against the background of the domestic code.

 

del processo che rappresentino la reazione potenziale stimata dei riceventi nel loro contesto sociale così che sia garantita la funzionalità per quanto riguarda i valori dei riceventi (vedi il modello generativo di Levý in questo volume).

Popovič (1975) si sposta in un’altra direzione con la sua sociologia della traduzione (una subcategoria della prasseologia) postulando una tipologia di traduzione35 che devia dall’ideale teorico, processuale e risultante a causa di varie ragioni contestuali. Per Levý e Popovič questa è la dimensione pragmatica e assiologica per il loro modello di comunicazione socio-semiotica.

Il ricevente è un’entità che riunisce il sociale (o collettivo) e l’individuale, ed è precisamente l’aspetto sociale della cognizione che costituisce il terreno comune nella comunicazione basato su codici culturali intersoggettivamente condivisi, esperienze e da qui le aspettative che ne derivano. I codici sono generati e costituiti attraverso precedenti pratiche sociali come modelli basati sulle norme; mentre servono da modelli per il comportamento, subiscono dei cambiamenti durante il processo dell’attività umana a causa di un’azione intenzionale e/o non intenzionale. Per Mukařovský e Levý il codice letterario interpretato in termini semiotici come linguaggio letterario, era più incline al cambiamento poiché, in termini generali, un opera d’arte con valori artistici attribuiti socialmente implica l’innovazione del codice corrente (ossia uno specifico modello strutturale per un sotto/genere specifico) nel discorso, che a sua volta è il risultato di un’azione individuale, socializzata e creativa. Uno dei tanti problemi traduttivi che sono stati risolti dai traduttori può perciò essere una situazione in cui la struttura del testo emittente è derivata da un codice già obsoleto nella cultura ricevente mentre allo stesso tempo la funzione dominante della traduzione è fatta per rimanere estetica, ossia per avere il potenziale per produrre alcuni effetti estetici. E viceversa il codice del testo emittente può essere più avanzato rispetto a quello della cultura ricevente (Levý 1998: 111). Un problema parallelo, tra gli altri è per esempio il trasferimento dello stile individuale basato sull’innovazione, ossia il suo valore differenziante sullo sfondo di un codice nazionale.

 

This is the point to introduce Levý’s concept of norm in translation. In general Levý (1963 and 1971: 103n) conceives norms as a historical category, as hierarchically structured systems that consist of instructions for selection from the paradigm of alternatives during the decision process, i.e. of requirements or rules, proposing to call them normemes as elements of norms, be it language or content. These elements are either accepted, or refused, or they may not be present in the current norm36: it is the constellation of these normemes that constitutes a partial norm; partial norms, in turn, may combine into higher-order norms. Levý’s (1971: 105) conception is exemplified by aesthetic norms of Classicism and Romanticism, as well as by the development of aesthetic norms in translation and in theatre from the Middle Ages to the end of the 19th century (cf. Levý’s article in this volume). It is the historically and socially constituted norms, past and contemporary, that run behind translation methods, hand in hand with translations’ prospective functions, most prominently related to the past and contemporary domestic literary norms; in turn, literary norms relate to the higher-order aesthetic norm. Human collective or individual agency comes in as a factor aiming at the prospective function in terms of a receiver’s value/s, and on the other hand, depending on the author’s or translator’s abilities, poetics, motives, values and positions that are subject to change during their lifespan37. As in the case of some other Czech structuralist concepts, the familiar category of centre vs its periphery is also applied to norms. On the basis of his empirical data Levý assumes that valid translation norms do not change through their simple negation but rather through their relaxation (cf. Levý in this volume). And again, it is of course agents’ activities and their products through which changes in norms are effected, while at the same time modifying the agents, i.e. both producers and consumers. Thanks to the hierarchical, open-systems theory, norm development in general, making allowance for the efficacy of heteronomous factors and structural elements, is not relegated to immanentism.

 

Questo è il momento di introdurre il concetto di  Levý di «norma» nella traduzione. In generale Levý (1963 e 1971: 103n) concepisce le norme come categoria storica, un sistema strutturato gerarchicamente che consiste nell’istruzione per la selezione dal paradigma delle alternative durante il processo decisionale, ossia dei requisiti o delle regole che egli propone di chiamare normemi in quanto elementi di norme, che siano esse lingua o contenuto. Questi elementi sono o accettati o rifiutati, o possono non essere presenti nelle norme attuali36: è la gamma di questi normemi che costituisce una norma parziale; le norme parziali a loro volta possono unirsi formando norme di ordine superiore.  La concezione di Levý (1971: 105) è esemplificata dalle norme estetiche del classicismo e del romanticismo, così come dallo sviluppo delle norme estetiche nella traduzione e nel teatro dal medioevo alla fine dell’Ottocento (vedi l’articolo di Levý in questo volume). Sono le norme, passate e contemporanee, costituite storicamente e socialmente che inseguono i metodi traduttivi, mano nella mano con le potenziali funzioni della traduzione, collegate in modo molto prominente alle norme testuali nazionali passate e presenti; a loro volta le norme letterarie sono in collegamento con norme estetiche di ordine più elevato. L’azione collettiva o individuale umana interviene come fattore che mira alla funzione potenziale per quanto riguarda i/il valore/i del ricevente e dall’altro lato dipende dall’abilità, dalla poetica, dai motivi, dai valori e dalle posizioni dell’autore o traduttore, che sono soggette a cambiamento durante il corso della loro vita37. Come nel caso di alcuni altri concetti strutturalisti cechi, anche la categoria familiare del centro versus  periferia viene applicata alle norme. Sulla base dei suoi dati empirici, Levý suppone che norme traduttive valide non cambiano attraverso la loro semplice negazione ma piuttosto attraverso il loro rilassamento (vedi Levý in questo volume). E ancora, i cambiamenti delle norme vengono certamente determinati attraverso le attività degli agenti e i loro prodotti, e allo stesso tempo vengono modificati gli agenti, cioè sia i produttori che i consumatori. Grazie alla teoria gerarchica dei sistemi aperti, lo sviluppo delle norme in generale, tenendo conto dell’efficacia dei fattori eteronomi e degli elementi strutturali, non è relegato all’immanentismo.

 

Levý’s dual norm in translation is in itself deliberately normative in that it postulates an ideal and at the same time a historically-bound illusionist type of literary translation.

The aim of the ideal translator’s activity is to render or convey the original work of art, that is to reproduce it as a work of art through one’s own creative activity (Levý 1998: 84) for the ideal reader. Levý is here concerned with the articulation of norms – a tool that might be used in contemporary Czech translation criticism for establishing translation value, derived from the relationship between a translation and pertinent TLC artistic norm/s. Thus the translation process involves two norms: the reproduction norm (requirement of fidelity, likeness; semantic or noetic value) and the artistic norm (requirement of elegance; aesthetic value). In both cases the translator faces the problem of conflicting SLT and TLT norms, in combination with the author’s individual style. “Beauty and fidelity are often counterposed, as if they were mutually exclusive. They may be mutually exclusive only when beauty is understood as prettiness, and truthfulness as literalness.” (Levý 1998: 93; transl. Z.J.). This is how the original object is reproduced, re-created and modified in the process.

For Levý, the resulting translation is a hybrid entity (the content derives from SLC, the language belongs to TLC), where its quality is directly proportional to the translators’ in/ability to resolve or reconcile the above contradictions by consistently applying a certain pre/conception of the translation (if there is one), that is an overall, uniform approach to the particular SLT during the translation process, which is closely related to the translation norm, the translator’s ideology or policy, and the resultant translation method; these in turn relate to the prospective function/s of translation stemming from cultural needs at a particular time, aiming at the receiver’s reception.

However, this straightforward relationship fits precisely the category of an ideal ‘classical, normative translation’, that is a model translation that would be appropriate

 

La duplice norma della traduzione di Levý è deliberatamente normativa in quanto postula un tipo illusionistico di traduzione artistica che è allo stesso tempo ideale e storico. L’obiettivo dell’attività del traduttore ideale è quello di esprimere o trasmettere l’opera d’arte originale, ossia riprodurla come opera d’arte attraverso la propria attività creativa (Levý 1998: 84) per il lettore ideale. Qui Levý si è occupato dell’articolazione delle norme, uno strumento che potrebbe essere usato nella critica della traduzione ceca contemporanea per stabilire il valore della traduzione, derivato dalla relazione tra una traduzione e la/e norma/e artistiche pertinenti della cultura ricevente. In questo modo il processo traduttivo coinvolge due norme: la norma di riproduzione (requisito di fedeltà, somiglianza; valore semantico o noetico) e la norma artistica (requisito di eleganza; valore estetico). In entrambi i casi il traduttore affronta i problemi conflittuali tra le norme della cultura emittente e quelle della cultura ricevente, in combinazione con lo stile individuale dell’autore. “La bellezza e la fedeltà sono spesso contrapposte, come se una escludesse l’altra. Potrebbero essere reciprocamente esclusive solo se la bellezza fosse intesa come eleganza, e la  veridicità come letteralità” (Levý 1998: 93). In questo modo l’oggetto originale viene riprodotto, ricreato e modificato nel processo.

Per Levý la traduzione che ne risulta è un’entità ibrida (il contenuto appartiene alla cultura emittente mentre la lingua alla cultura ricevente), in cui le sue qualità sono direttamente proporzionali all’abilità/incapacità del traduttore di risolvere o conciliare le contraddizioni precedentemente espresse tramite l’applicazione di una certa pre/concezione della traduzione (se ve n’è una) che è un approccio complessivo e uniforme al particolare testo d’origine durante il processo traduttivo, che è strettamente collegato alla norma traduttiva, all’ideologia o alla politica del traduttore e al metodo traduttivo che ne risulta; queste a loro volta si collegano alla/e futura/e funzione/i traduttiva/e derivanti dalle necessità culturali in un particolare periodo di tempo e che puntano alla ricezione.

Tuttavia, questa relazione diretta si adatta precisamente alla categoria di una “traduzione classica e normativa” ideale, ossia il modello traduttivo che sarebbe

in code and interpretation for a particular period and culture (Levý 1998: 102-104). Although Levý derived the dual norm from the modern Czech translation method and although he and Popovič (1975) see the past and present reality of translations as an array of standard-tosubstandard translations, with standard or normal translations reciprocating more or less the period normative ideal, the category of dual norm in literary translation can serve as an analytical tool because it relates to both the intended functions of translation from the prospective aspect and the transferred message from the retrospective one. This is because translation involves languages, discourses (their interrelated form and content endowed with aesthetic function) and their resulting values, pertaining to people (Levý 1963: 24). It is also for this reason that in 1967 Levý (1983: 31) qualifies contemporary linguistic theories of translation as reductive, i.e. reducing the issue of translation to the contact of two languages, or text types in general at best, while ignoring the translator’s participant role in the translation process and in the resulting structure of the translated work of art, i.e. in the two fundamental aspects38 of (literary) translation theory.

The question remains whether the dual norm can be conceptualized on a general level. Probably yes, because reproduction is bound to the historically conceptualized translation while the translation’s aesthetics at the receiving end is relevant for the translation to be perceived and regarded as a literary text in its TLC; but these relationships are not so straightforward.

There were numerous functions translation was intended to perform or performed through history. Deriving two of them from the concept of the dual norm, Levý, besides the aesthetic function pertaining to literary translation, points out the representation of the SLT enhanced by a noetic added value – that is information about the SLT and its culture.

 

appropriato nel codice e nell’interpretazione di un particolare periodo e cultura (Levý 1998: 102-104). Sebbene Levý faccia derivare la duplice norma dal metodo moderno di traduzione ceca e sebbene lui e Popovič (1975) vedano la realtà passata e presente della traduzione come un assortimento di traduzioni che vanno dallo standard al substandard, in cui le traduzioni standard o normali ricambiano più o meno il periodo normativo ideale, la categoria della duplice norma nella traduzione artistica può servire da strumento analitico perché si riferisce sia alle funzioni traduttive intese dal punto di vista potenziale sia al messaggio trasferito dal punto di vista retrospettivo. Questo è perché la traduzione coinvolge lingue, discorsi (la loro forma interrelata e il loro contenuto dotato di funzioni estetiche) e i valori che ne risultano che si riferiscono alle persone (Levý 1963: 24). E’ anche per questa ragione che nel 1967 Levý (1983: 31) definisce riduttive le teorie traduttive della linguistica contemporanea, ossia riducono la questione della traduzione al contatto tra due lingue, o nel migliore dei casi a tipi due di testo in generale, ignorando il ruolo della partecipazione del traduttore all’interno del processo traduttivo e nella struttura dell’opera d’arte tradotta che ne risulta,  ossia nei due aspetti fondamentali38 della teoria della traduzione (artistica).

Resta il problema se la duplice norma può essere concettualizzata ad un livello generale. Probabilmente si, perché la riproduzione è legata alla traduzione concettualizzata storicamente mentre l’estetica della traduzione dal punto di vista della ricezione per la traduzione è importante essere percepita e considerata un testo letterario nella cultura ricevente; ma queste relazioni non sono dirette.

Nel corso della storia sono state numerose funzioni che la traduzione avrebbe dovuto eseguire o ha eseguito. Derivando due di queste funzioni dal concetto della duplice norma,  Levý, oltre alla funzione estetica di pertinenza della traduzione artistica, mette in evidenza la rappresentazione della cultura emittente incrementata dal valore noetico aggiunto – ossia le informazioni sul testo d’origine e la sua cultura.

 

Exoticizing translation (Popovič’s concept), conveying the local colour, may, under certain conditions, transform such information into a semiotic aesthetic value of translativity, but its salience in translation is not only norm dependent, as it also depends on the expected readers’ knowledge, their familiarity with the foreign culture and its artistic genres, i.e. on readers’ (literary) education and taste. Informative translation may also be perceived as a text with dominating aesthetic function thanks to the emotional component in an ideological translation conforming to the receiver’s ideology, social values and desires (Levý 1996: 50). This category of prototypical functions is normally called communicative function/s in functionalist theories. Levý and Popovič call it imminent communicative function/s or value/s to distinguish it from the following developmental ones, isolated from empirical research.

The second category of functions relates to the interaction between the domestic genresystem and the translated genre-system. Translated literature (or a part of it, even an individual author or a particular translation) in a particular period, may or may not un/intentionally influence the domestic system in either positive or negative ways; the effect may be temporary or lasting.

The third category of functions consists in the exchange of cultural assets in a wider sense: translation exerts a genre-differentiating function for domestic literature, and a unifying function in world literature.

Informative function usually increases with the growing distance of the two cultures in contact through translation, but again this is a category dependent on the reader’s presuppositions on the one hand, and on the other – whether the situation should or should not require the translator to un/intentionally contribute to the convergence or divergence of the two cultures in contact – which represents the fourth category of functions39.

Such a range of hierarchical functions had no counterpart in western conceptualizations of translation in Levý’s time.

 

Le traduzioni esotizzanti (il concetto di Popovič) comunicando il colorito locale, possono, stando a certe condizioni, trasformare tali informazioni nel valore estetico semiotico della traduzionalità, ma la prominenza nella traduzione non dipende soltanto dalle norme, in quanto dipende anche dalla conoscenza dei presunti lettori, la loro familiarità con la cultura straniera e i suoi generi artistici, ossia dall’istruzione (artistica) e dal gusto dei lettori. La traduzione informativa può anche essere percepita come un testo con una funzione estetica dominante grazie  alla componente emotiva di una traduzione ideologica che si conforma  all’ideologia, ai valori sociali e ai desideri del ricevente (Levý1996: 50). Questa categoria di funzioni prototipiche viene normalmente chiamata funzione/i comunicativa nelle teorie funzionaliste. Levý e Popovič la chiamano funzione/i o valore/i comunicativa imminente per distinguerla dalla successiva funzione evolutiva, isolata dalle ricerche empiriche.

La seconda categoria di funzioni si collega all’interazione tra il sistema di generi nazionali e il sistema di generi tradotti. La letteratura tradotta (o una parte di essa, persino un autore individuale o una particolare traduzione) in un particolare periodo può intenzionalmente o non influenzare il sistema nazionale sia in modi positivi che negativi; l’effetto può essere temporaneo o duraturo.

La terza categoria di funzioni consiste nello scambio di beni culturali in senso più ampio: la traduzione svolge una funzione di differenziazione dei generi per la letteratura nazionale e una funzione unificante per la letteratura mondiale.

La funzione informativa solitamente cresce con l’aumento della distanza delle due culture in contatto tramite la traduzione, ma di nuovo questa è una categoria dipendente dalle presupposizioni del lettore da un lato e dall’altro dal fatto – se la situazione dovesse o non dovesse richiedere al traduttore di contribuire intenzionalmente o non alla convergenza o alla divergenza delle due culture in contatto – che rappresenta la quarta categoria di funzioni.39

Una tale gamma di funzioni gerarchiche non ha avuto una controparte nelle concettualizzazioni della traduzione occidentale al tempo di Levý.

While the communicative function was incorporated in Nida, Catford, the Skopos and text-type theory suggested by Reiss and Vermeer, Newmark or by Hatim and Mason, cultural functions of translation were gradually discovered in the late 60s – early 70s by the Polysystem School40, and during the 70s – 80s by the Manipulation School. The fourth category of functions – that of the dynamics of cultures-in-contact, had to wait for its discovery until the post-modern 90s, reviving the old Romantic dichotomy of the self and the other41, however in rather a static way, and combined with ideologism, of quite a radical kind, at times.

 

THE THEORETICAL MODEL

The scheme of the procedural model, derived from the communication chain as an act of secondary communication, looks quite simple, containing a handful of basic categories. Although originally presented only for literary translation and having undergone some modifications, here it is presented in a generalized form:

Primary Communication                                    Secondary Communication (TLC)                                                    

                                                                             Tradition ( Social past)

Author – Text – Receiver1

                                                                    Rec.2/Translator – Translation – Receiver3

 

                                                                                                         Contemporary World

                                                                                                             ( Social reality)

                                                                                                                 Receiver4

Fig. 5. The communication scheme


Mentre la funzione comunicativa è stata accolta in Nida, in Catford, nella Skoposteoria e nella teoria dei tipi  testuali postulate da Reiss e Vermeer, Newmark o da Hatim e Mason, le funzioni culturali della traduzione sono state gradualmente scoperte nei tardi anni Sessanta e nei primi anni Settanta dalla scuola polisistemica40 e durante gli anni Settanta-Ottanta dalla Scuola della manipolazione. La quarta categoria di funzioni – quella delle dinamiche delle culture in contatto, ha dovuto attendere gli anni Novanta post-moderni per essere scoperta, rispolverando la vecchia dicotomia romantica del “proprio” e del “l’altrui”,41 tuttavia in un modo piuttosto statico e combinata con l’ideologismo, a volte di tipo fortemente radicale.

 

IL MODELLO TEORICO

Lo  schema del modello procedurale, derivato dalla catena della comunicazione come atto di comunicazione secondario, sembra molto semplice, poiché contiene un gruppetto di categorie di base. Sebbene sia stato originariamente presentato soltanto per la traduzione artistica e abbia subito alcune modifiche, viene presentato qui in una forma generalizzata:

Comunicazione primaria                                    comunicazione secondaria                                                            

                                                                             tradizione (passato sociale)

Autore – Testo – Ricevente1

                                                          Ric.2/Traduttore – Traduzione – Ricevente3

 

                                                                                          Mondo contemporaneo

                                                                                                  (realtà sociale)

                                                                                                      Ricevente4

Fig. 5. Lo schema della comunicazione

Horizontally, translation as process and product is linked with the translator and the receiver as agents and their qualities are projected in it. The vertical vector interconnects all the three horizontal entities with both the past (as surviving in the agents’ awareness) and present world thanks to their socially bound experience and education (transversal lines). Translation itself is bound to the tradition of (a) previous translations – their text structures and methods (i.e. norms) and (b) previous domestic textual production, especially in the same or related genres. Both can be seen as relatively autonomous open structured systems, with positively tested evidence of their mutual interference in terms of temporary or lasting influence or competition. As may become obvious from the scheme, such influences may only be effected through the human agents involved, and naturally also apply to the last entity – the contemporary world or socio-historical context – this is where in synchrony translation processes take place. However, the structuralist interrelatedness of synchrony and diachrony, or the widespread meme in DTS of synchrony in diachrony and vice versa, does not only mean the general assumption that, to put it lightly, any entity is the result of its past dis/continuous evolution influenced by autonomous and heteronomous factors. Historical evidence has it that the translator may, for some reasons, opt for a past translation method or a past domestic textual model rather than work with contemporary ones. Or, by contrast, translators may use a so-far non-existent method or face the task of transferring a text with no prototype in domestic or translated literature, be it literary or non-literary, oral or written. Should their option not match a similar prototype in TLC, thus positioning and accommodating the translation as a model in conformity with the expected receivers’ awareness and experience, the innovatory model is brought in through a stylistic calque.

Through the translator the secondary act is connected with the primary one. Translators are conceptualized as (specific) receivers of the SLT through whose cognition the SLT is transferred.

 

Orizzontalmente, la traduzione come processo e prodotto è collegata con il traduttore e il ricevente come agenti e le loro qualità sono proiettate in esso. Il vettore verticale interconnette tutte e tre le entità orizzontali sia con il mondo passato (in quanto sopravvive nella consapevolezza degli agenti) sia con il mondo presente grazie alla loro formazione ed esperienza socialmente collegate (linee trasversali). La traduzione a sua volta è collegata con la tradizione di (a) traduzioni precedenti – le loro strutture e metodi testuali (le norme) e (b) precedenti produzioni testuali nazionali, specialmente nello stesso genere o in uno correlato. Entrambi possono essere visti come sistemi strutturati autonomi e aperti, con un’evidenza testata in modo certo della loro interferenza reciproca in termini di influenza o competizione temporanea o duratura. Dallo schema risulta ovvio che questo tipo di influenze possono essere causate solo attraverso gli agenti umani coinvolti e naturalmente possono essere applicate all’ultima entità – il mondo contemporaneo e il contesto socio-storico – in cui si verificano i processi traduttivi nella sincronia. Tuttavia, l’interrelazione di sincronia e diacronia, o un meme diffuso nei Descriptive Translation Studies della sincronia nella diacronia e viceversa, non significa solo il generale presupposto secondo il quale, per farla semplice, ogni entità è il risultato di una dis/continua evoluzione passata influenzata da fattori autonomi ed eteronomi. L’evidenza storica sostiene che i traduttori possano, per alcune ragioni, optare per un metodo traduttivo passato o per un modello testuale nazionale passato piuttosto che un opera con metodi contemporanei. O invece i traduttori possono usare un metodo fino ad ora mai esistito o affrontare il compito di rendere un testo senza un prototipo nella letteratura nazionale o tradotta, sia esso letterario o no, orale o scritto. Se le loro scelte non dovessero combaciare con un prototipo simile nella cultura ricevente, conciliando la traduzione come un modello in conformità con la consapevolezza e l’esperienza del presunto ricevente, il modello innovatore verrebbe introdotto attraverso un calco stilistico.

Attraverso il traduttore l’atto secondario è connesso con quello primario. I traduttori sono concettualizzati come riceventi (specifici) del testo d’origine attraverso la cui cognizione viene trasferito il testo d’origine.

During the analytical and execution procedures in the translation process, the translator may take into account identical categories projected in the SLT.

The category of the contemporary world, namely the social one, is interrelated with all categories in the model. The agents are related to it through their experience, the text through contemporary norms and models, with the latter yielded by domestic or translatorial production as well as by receivers’ expectations based on their experience with them. Again, any conformation to or flouting of their expectations has a modifying effect on the receivers. In popular terms, the receivers may be favoured and the reception made the easiest for them, or they may get what they expect (the standard minimax effect), or they may be presented with an unexpectedly difficult reading. If the polar strategies become habitual, expectations are adjusted. The effect of the former is historically evidenced in popular reading for mass education and enlightment; the effect of the latter sensitizes the reader to foreign cultures, their discourses and aesthetics, gradually diminishing the salience of translativity.

From the scheme, it is also evident that a later receiver (Receiver4) perceives the translation against a different background (awareness of tradition, contemporary world). This accounts for the difference of meaning as well as for the aging of translation regarding the norms it was built on. In literary translation this is ascribed to the translators’ assumed tendency to respect the contemporary domestic repertoire and its aesthetic norms, as well as to the unavoidability of their presenting a TLT-bound and narrower interpretation of the SLT meaning. However, originals undergo the process of aging also due to the principle of abduction, although some may have such a potential interpretation range that, apart form their style, the core message ‘survives the ages’, as literary scholars would say;

 

Durante le procedure d’analisi  e d’esecuzione nel processo traduttivo, il traduttore può prendere in considerazione le stesse categorie progettate nel testo d’origine.

La categoria del mondo contemporaneo,  vale a dire quella sociale, è interrelata con tutte le categorie del modello. Gli agenti sono correlati ad essa attraverso la loro esperienza, il testo attraverso le norme e i modelli contemporanee, con quest’ultimi dati da una produzione nazionale o tradotta, così come le aspettative dei riceventi sono basate sulla loro esperienza con essi. Ancora, ogni conformazione o trasgressione delle loro aspettative ha un effetto modificante sui riceventi. In parole povere, i riceventi possono essere avvantaggiati e la ricezione resa più semplice per loro, o possono ottenere quello che si aspettano (un effetto standard minimax) o possono trovarsi di fronte ad una lettura inaspettatamente difficile. Se le strategie estreme diventano abituali, le aspettative vengono adattate. L’effetto della prima ipotesi è storicamente provato dalla lettura popolare per l’istruzione e l’educazione delle masse; l’effetto della seconda ipotesi sensibilizza il lettore nei confronti delle culture dei discorsi e dell’estetica stranieri, facendo diminuire a poco a poco la prominenza della traduzionalità.

È inoltre evidente dallo schema che un ricevente successivo (Ricevente4) percepisce la traduzione con uno sfondo diverso (consapevolezza della tradizione, mondo contemporaneo). Questa giustifica le differenze di significato così come l’invecchiamento della traduzione per quanto riguarda le norme su cui era stata costruita. Nella traduzione artistica questo è attribuito alla tendenza assunta dai traduttori a rispettare il repertorio contemporaneo nazionale e le sue norme estetiche, così come l’inevitabilità di presentare un testo tradotto che sia legato e più vicino all’interpretazione del significato del testo d’origine. Tuttavia, gli originali subiscono un processo di invecchiamento dovuto anche al principio dell’abduzione, nonostante alcuni possano avere una tale gamma di potenziali interpretazioni che, eccezion fatta per il loro stile, fa si che il cuore del messaggio “sopravviva all’età” come direbbe uno

 

such originals may be subjected to intralingual translation42 in terms of style and footnotes or glossaries.

External and internal translation processes are modelled as 2-in-1, but Levý proposed another, cognitive generative model based on this communication model (cf. Levý in this volume). What may not be evident from this account is that the category of the contemporary world, projected through actors’cognition, contains all kinds of social norms and repertories, social structures, institutions and practices, socially constructed values and beliefs, and even socially constructed concepts objectivized in structures and institutions, such as e.g. translation itself.

Nevertheless, Czech and Slovak structuralists kept their modelled autonomous structures and influences of heteronomous elements of other structures apart. To avoid misinterpretation it should be reiterated that such heteronomous influences are a systemic part and parcel of an open systems theory, except that they cannot be represented as conceptualized intra-systemic entities in a general model. This for example relates to such sociological factors as who selects texts for translation, concrete translation conditions, editorial policy and censorship, the translator’s individual dispositions and motives, etc. In other words, the theoretical model as an abstraction cannot reflect all concrete particularities. This is why we need analytical and critical models in combination with a suitable methodology. This strand has been amply demonstrated by research into the history of Czech and Slovak literary translation, though less so in literary translation criticism. But there is an interesting interconnection, relevant for current debates.

 

 

studioso di letteratura; tali originali possono essere soggetti a traduzioni intralinguistiche42 per quanto riguarda lo stile e le note a piè di pagina o i glossari.

I processi esterni ed interni di traduzione sono modellizzati nella forma due in uno, ma Levý ha proposto un altro modello cognitivo e generativo bastato su questo modello comunicativo (vedi Levý in questo volume). Quello che potrebbe risultare non evidente da questa descrizione è che la categoria del mondo contemporaneo, proiettata attraverso la cognizione degli autori, contiene tutti i tipi di norme sociali e i repertori, le strutture sociali, l’istituzione e la pratica, i valori costruiti socialmente e le credenze e persino i concetti costruiti socialmente che sono oggettivati nelle strutture e nelle istituzioni come per esempio la traduzione stessa.

Ciononostante, gli strutturalisti cechi e slovacchi hanno tenuto separate le strutture autonome e le influenze degli elementi eteronomi delle altre strutture modellizzate. Per impedire i malintesi è necessario ribadire che tali influenze eteronome sono parte integrante sistemica di una teoria di sistemi aperti, eccetto per il fatto che non possono essere rappresentate come entità intra-sistemiche concettualizzate in un modello generale. Questo per esempio riguarda fattori sociologici come chi seleziona i testi per le traduzioni, le concrete condizioni di traduzione, la politica editoriale e la censura, le disposizioni e le motivazioni individuali del traduttore, ecc. In altre parole, il modello teorico in quanto astrazione non può riflettere tutte le particolarità concrete. Ecco perché abbiamo bisogno di modelli analitici e critici in combinazione con una metodologia adeguata. Questa tendenza è stata ampiamente dimostrata da studi della storia della traduzione artistica ceca e slovacca, anche se la critica della traduzione artistica la recepisce di meno. Ma c’è un’interessante interconnessione, rilevante per i dibattiti attuali.

 

THE QUEST FOR A THEORY WITH AGENTS

AND IN SERVICE OF PRACTICE

 

The concepts of social and individual agencies in translation notably came in with the latest turn of TS to sociology. The social/collective and the individual as two integral antagonistic components of the dynamics of human entities, their activities and cultural codes have witnessed their comeback in humanities. For example, the recently debated neo-Marxist conceptual framework based on human agency as suggested by Bourdieu and his field model, however relevant it may be found in respect of the free market culture frame and contemporary western philosophy, has the disadvantage that it is neither methodologically nor theoretically worked out on hierarchically lower levels (especially in relation to the internal translation process and the product structure) for the pivotal focus on and analysis of our main object of study, as has been already pointed out elsewhere (e.g. Buzelin 2005, Chesterman 2006).

The currently debated utilitarian aspect of a theory, that is the idea of a theory in service of practice (possibly with research and researchers committed to improving the translator’s status or conditions43) has its precursors in western prescriptive or normative translation theories. They were criticized for well known reasons, especially from the positivistic standpoint. Holmes (1972, in Holmes 1988) saw the solution in the TS applied branch. In the 90s Chesterman (e.g. 1993, 1999) suggested a theory that would be built on the principle of from-is-to-ought to accommodate its axiological dimension. This is basically Levý’s design of his Art of Translation, a design of an original and coherent theory with an extension to the past and in particular to the contemporary ‘ought’.

 

ALLA RICERCA DI UNA TEORIA CON AGENTI

E AL SERVIZIO DELLA PRATICA

 

I concetti di «social agency» e «individual agency» nella traduzione come è noto sono stati introdotti con la svolta sociologica della scienza della traduzione. Il sociale/collettivo e l’individuale sono due componenti antagonisti necessari per le dinamiche delle entità umane, le loro attività e i loro codici culturali hanno testimoniato il loro ritorno tra le scienze umane. Per esempio, la struttura concettuale neo-marxista discussa recentemente, basata sulla agency umana come suggerito da Bourdieu e dal suo modello sul campo, per quanto importante per quanto riguarda la cultura del libero mercato e la filosofia occidentale contemporanea, ha lo svantaggio di non essere elaborato né metodologicamente né teoricamente nei livelli gerarchicamente più bassi (specialmente in relazione al processo traduttivo interno e alla struttura del prodotto) per l’importante punto focale e l’analisi del nostro oggetto di studio principale, come è stato già mostrato in precedenza. (Buzelin 2005, Chesterman 2006).

L’aspetto pratico di una teoria attualmente in discussione, cioè l’idea di una teoria al servizio della pratica (eventualmente con studi e ricercatori impegnati nel miglioramento della posizione e delle condizioni del traduttore43) ha il suo precursore nelle teorie traduttive prescrittive o normative. Sono state criticate per ragioni ben note, specialmente dalla prospettiva dei positivisti. Holmes (1972 in Holmes 1988) vedeva la soluzione nel ramo applicativo della scienza della traduzione. Negli anni Novanta Chesterman (1993, 1999) sosteneva una teoria che fosse costruita sul principio de “from-is-to-ought” per conciliare la dimensione assiologica. Questo è sostanzialmente il progetto di Levý per la sua Arte della traduzione, un progetto di una teoria originale e coerente con un’estensione verso il passato e in particolare al “ought” contemporaneo.

 

For pragmatic reasons in its time, the book was written with a dual purpose (scholarly knowledge and a tool for theoretical reflection of technical problems in literary translation, which might improve the quality of production) and for a dual audience (researchers and literary translators, respectively). However, as a meticulous scholar44 when it comes to theory and methodology, he was quite explicit about the difference between (a) a general theory and special theories built on empirical research, a verifiable theoretical model and hypotheses, (b) descriptive research based on an analytical model and methods and (c) translation criticism based on a critical model and methods (anchored in the concrete socio-cultural, historically established ‘ought’, i.e. translations vs. period conventions and the concept of an optimal, normative translation). This is how Levý’s book, aiming at a wider readership in a particular ideological atmosphere behind the ‘iron curtain’ should be interpreted.

Popovič (1971, 1975), Levý’s follower, designed the theory of translation as built from (a) general theory, (b) special theories (subcategorized into technical, journalistic and literary translation), (c) praxeology and (d) didactics.45 In his opinion, the subdiscipline of praxeology should complement the theoretical model of the translation process as the communicative functioning of translation because ‘real’ translations (i.e. processes and products) deviate from the ideal model due to concrete external social conditions46, hence his typological differentiation of translations. Praxeology, then, would explain the difference between the deductive theoretical model and reality, and come up with respective suggestions to improve translation practice, so that reality would get closer to the normative theoretical ideal, which, in consequence would improve practice with regard to the functioning and value of translation. Popovič’s praxeology, programmatically based on its own interdisciplinary research methodology and conceived as a subdiscipline concerned with translation practice with the aim of improving it through researchers’ proposals, represents almost a prototype ideal of the above mentioned endeavours and concerns in TS today

 

Per ragioni pragmatiche in  quel periodo il libro era stato scritto con un intento doppio (conoscenza erudita e uno strumento per la riflessione teorica su problemi tecnici nella traduzione artistica, il che poteva migliorare la qualità della produzione) e per un doppio pubblico (rispettivamente ricercatori e traduttori letterari). Tuttavia, in quanto studioso meticoloso44 quando si tratta di teoria e metodologia, era molto esplicito riguardo alla differenza tra (a) una teoria generale e teorie speciali costruite su ricerche empiriche, un modello teorico verificabile e ipotesi, (b) ricerca descrittiva basata su un modello d’analisi e metodi e (c)  critica della traduzione basata su un modello critico e metodi (ancorati nel “ought” socio-culturale concreto, stabilito storicamente, ossia la traduzione contro le convenzioni del periodo e il concetto di una traduzione normativa ottimale). Ecco come dovrebbe essere interpretato il libro di Levý, che mira ad un numero di lettori più ampio in una particolare atmosfera ideologica dietro “la cortina di ferro”.

Popovič (1971,1975), seguace di Levý, ha progettato la teoria della traduzione costituita da (a) teoria generale, (b) teorie speciali (sottocategorizzate in traduzione tecnica, traduzione giornalistica e traduzione artistica), (c) prasseologia e (d) didattica.45 Secondo lui, la subdisciplina della prasseologia doveva essere complementare al modello teorico del processo di traduzione come funzionamento comunicativo della traduzione perché la traduzione “reale” (cioè processi e prodotti) devia dal modello ideale a causa delle condizioni sociali concrete esterne46, da qui la sua differenziazione tipologica della traduzione. La prasseologia, allora, spiegherebbe la differenza tra il modello teorico deduttivo e la realtà, e trovare le rispettive proposte per migliorare la pratica della traduzione, così che la realtà si avvicini all’ideale teorico normativo, che, di conseguenza migliorerebbe la pratica con riguardo al funzionamento e al valore della traduzione. La prasseologia di Popovič, basata programmaticamente sulla propria metodologia di ricerca interdisciplinare e concepita come una sottodisciplina riguardante la pratica della traduzione con lo scopo di migliorarla attraverso le proposte dei ricercatori, rappresenta quasi un prototipo ideale degli interessi e degli impegni sopracitati nella scienza della traduzione odierna

 

– that is a theory, research and researchers acting in service of practice in order to help it or improve it.

Praxeology or theory of practice is also the denomination of Bourdieu’s sociology based on human action. Sociology of translation represented one of three branches in Popovič’s praxeology (1975), the other two being editorial practice of translation and methodology of translation criticism. Sociology was to be concerned with e.g. the selection of texts for translation (an ideological, political and economic issue) and the concrete social conditioning of the process and its product, also related to the status of translation practice and its professionalization, etc. Praxeological research has some coverage in both Slovak and Czech TS47, but it has to be carefully differentiated from what is known as the translator’s formulated poetics and other personal accounts which should themselves serve as objects of study.

 

OMNIPRESENT IDEOLOGY

 

For Czech and Slovak social semiotics it is in fact the receiver who determines the social functioning of an artistic work or its translation. Therefore ideology in the text cannot be reduced either to its inherent operativeness (i.e. the pragmatic dimension of ‘sign – user’) or to its thematic elements (‘meaning’) as it can also be carried by formal elements (their selection and syntax – i.e. on the paradigmatic and syntagmatic axes). This is also the case of literalist approaches to translation in earlier historical periods, making one wonder how such translations could have been functional, and yet, in one or more ways, they were .48

 

 

– cioè la teoria, ricerche e ricercatori agiscono al servizio della pratica al fine di aiutarla o migliorarla.

La prasseologia o la teoria della pratica è anche la denominazione della sociologia di Bourdieu basata sulle azioni umane. La sociologia della traduzione rappresentava uno dei tre rami della prasseologia di Popovič (1975), gli altri due erano la pratica editoriale della traduzione e la metodologia della critica traduttiva. La sociologia riguardava anche per esempio la selezione dei testi da tradurre (un problema ideologico, politico ed economico) e il concreto condizionamento sociale del processo e del suo prodotto, correlato anche allo stato della pratica traduttiva e alla sua professionalizzazione ecc. La ricerca prasseologica ha una certa copertura sia nella traduzione slovacca che ceca47, ma deve essere attentamente distinta da ciò che è conosciuto come la poetica formulata del traduttore e dagli altri resoconti personali che dovrebbero loro stessi essere oggetto di studio.

 

IDEOLOGIA ONNIPRESENTE

 

Per la semiotica sociale ceca e slovacca è in effetti il ricevente che determina il funzionamento sociale di un opera artistica o della sua traduzione. Perciò l’ideologia nel testo non può essere ridotta né alla sua operatività intrinseca (ossia la dimensione pragmatica di «segno – utente») né ai suoi elementi tematici («significato») in quanto possono essere portati da elementi formali (la loro selezione e la sintassi – ossia sull’asse pragmatico e sintagmatico). È anche il caso degli approcci letteralisti alla traduzione nei primi periodi storici, facendo sì che uno si chiedesse come tali traduzioni potessero essere funzionali, e tuttavia, in uno o più modi lo erano.48


Cultural ideology is inscribed in the text in its content or form in their interaction with the pragmatic dimension of the author/translator and receiver. The text contains sociosemes, which is a concept introduced in the late 70s (Pospíšil 2005: 207), i.e. elements of meaning (encoded in content or form), signs denoting in the particular sociocultural context and within the particular collective awareness some social meaning of facts experienced in life, including symbols constituted e.g. through encounters with art or with signs established in an artistic tradition. The sociosemes, mostly polyfunctional because they frequently relate to several aspects of world view, be it ethics and morals, politics, nationalism, religion etc., are conceived as dynamic structural units varying with the socio-historical context. This is why, paradoxically, the receiver may identify as sociosemes those sign units that had not been perceived as such by the author.

In respect of translation it is relevant to see what Levý (1971 in this volume) saw as pertinent and derived from Mukařovský, i.e. that the receiver’s reception is a combination of individual idiosyncracies as well as of collective internalized norms and social context – interpretations may result in the shift of the dominant function, in the reshuffling of intended functions carried by the elements in the structure, but also in perceiving as intended certain elements that the author may have never intended to function as such. Pospíšil (2005: 211), referring back to Mukařovský (1943, 1966) explains this intricacy by pointing out that for this structuralism the core theoretical assumption applies that the structure of functions of a work of art corresponds to the structure of needs of the individual or collective perceiver, hence the derived value of the work.

It is the predominant need or the social relevance in a particular society that determines the function and value of the text, and this is also why receivers in their particular culture and time perceive the functions as intentional on the production pole of the horizontal axis. As Mukařovský (1966: 64) points out, intentionality may be

 

L’ideologia culturale è inscritta nel testo nel suo contenuto o forma nella loro interazione con la dimensione pragmatica dell’autore/traduttore e il ricevente. Il testo contiene sociosemi, un concetto introdotto nei tardi anni Settanta (Pospíšil 2005: 207), ossia gli elementi del significato (codificati in contenuto o forma), segni che denotano nel particolare contesto socio-culturale e all’interno di una particolare consapevolezza collettiva alcuni significati sociali di fatti sperimentati nel corso della vita, inclusi i simboli costituiti per esempio attraverso gli incontri con l’arte o con i segni stabiliti in una tradizione artistica. I sociosemi, per la maggior parte polifunzionali poiché si relazionano frequentemente a numerosi aspetti della visione del mondo, che sia etica, morale,  politica, nazionalismo, religione ecc. , sono concepiti come unità dinamiche strutturali che variano con il contesto socio-storico. Ecco perché, paradossalmente, il ricevente può identificare come sociosemi quelle unità di segni che non sono state percepite così dall’autore.

Riguardo alla traduzione è importante vedere cosa Levý (1971 in questo volume) ha ritenuto pertinente e ha tratto da Mukařovský, ossia che la ricezione del ricevente è una combinazione di idiosincrasie individuali così come di norme collettive e contesti sociali interiorizzati – le interpretazioni possono determinare cambiamenti della funzione dominante, il rimescolamento di funzioni volute portate dagli elementi nella struttura, ma anche la percezione di certi elementi come voluti la cui funzione potrebbe non essere mai stata intesa in questo modo dall’autore. Pospíšil (2005: 211) riferendosi a Mukařovský (1943, 1966) spiega questa complessità evidenziando che per questo strutturalismo l’ipotesi teorica centrale richiede che la struttura delle funzioni di un’opera d’arte corrisponda alla struttura delle necessità del percettore individuale o collettivo, da qui i valori che provengono dall’opera.

È il bisogno predominante o la rilevanza sociale in una particolare società che determina la funzione e il valore del testo, e questa è anche la ragione per cui i riceventi nella loro particolare cultura e tempo percepiscono le funzioni come intenzionali nel polo della produzione sull’asse orizzontale. Come sottolinea Mukařovský (1966: 64), l’intenzionalità può essere afferrata solo se la guardiamo dal

grasped only if we look at it from the standpoint of the receiver whose anticipation of the author’s intention makes the receiver seek the semantic integral of the work; this in turn is generally bound to its genre affiliation. In the translation context this complex represents the standpoint of the translator, reader, editor and publisher, critic etc.

Ideological functions of translation are first and foremost laid bare by the very act of its ostension in certain contexts, in other contexts ostension may be concealed, intentions masked, but function/s can only ‘function’ at the receiver’s end, which certainly allows for un/intended manipulation as in any verbal interaction, be it direct or reported speech, be it non/fictional or semifictional discourse imaging worlds between the real and unreal in an artistic or non-artistic way. All such communication is subject to individual and contextual constraints as well as to the category of anti/illusionism. Translation, in addition, is constrained by the original as it is derived from it. This may be the point that makes the difference also, but not only, from the ideological perspective. However, there is no straightforward relationship between what the translator, under constraints, imports from the original and what is actually transferred into the TLC. This is because meanings and shifts in meaning are generated through the interaction of the internal context and the external context – even social meanings carried by signs are only realized through their perception in a concrete society. To make the picture more complicated – this social meaning may be imparted in the signs by the author, or by the translator, or it may be attributed to the signs by the receiver only.

This is nothing new – Mukařovský (1943, 1966: 93-94) points out that whatever the intentions of the author may have been, receivers may perceive them differently, depending on their individual and collective dispositions, which may even reshuffle the intended dominance and subordination of structural units.

 

punto di vista del ricevente la cui anticipazione dell’intenzione dell’autore gli fa ricercare la semantica integrale dell’opera; questo a sua volta è generalmente legato all’affiliazione a un genere testuale. Nel contesto traduttivo questo complesso rappresenta il punto di vista del traduttore, del lettore, dell’editor e dell’editore, del critico ecc.

Le funzioni ideologiche della traduzione sono rivelate prima di tutto dall’atto stesso della sua ostensione in certi contesti, in altri contesti l’ostensione può essere celata, le intenzioni mascherate, ma le funzioni/e può solo “funzionare” dalla parte del ricevente, che certamente tiene conto della manipolazione in/volontaria come in ogni interazione verbale,  sia essa un discorso diretto o riportato, un discorso finzionale/non finzionale o semifinzionale, immaginando mondi tra la realtà e l’irrealtà in un senso artistico o non artistico. Tutte queste comunicazioni sono oggetto delle limitazioni individuali e contestuali così come le categorie dell’illusionismo e dell’antillusionismo. La traduzione, in aggiunta, è limitata dall’originale poiché deriva da esso. Questo potrebbe essere il punto che fa la differenza anche, ma non soltanto, dalla prospettiva ideologica. Tuttavia, non ci sono relazioni dirette tra ciò che il traduttore, costretto, importa dall’originale e ciò che viene realmente trasferito nella cultura ricevente. Questa è anche la ragione per cui vengono generati i significati e i cambiamenti nei significati attraverso l’interazione di contesti interni ed esterni – anche i significati sociali portati dai segni sono realizzati soltanto attraverso la loro percezione in una società concreta. Per rendere il quadro più complicato – questo significato sociale può essere comunicato nei segni dall’autore, o dal traduttore, o può essere attribuito ai segni soltanto dal ricevente.

Questo non è niente di nuovo – Mukařovský (1943, 1966: 93-94), sottolinea che qualunque possano essere state le intenzioni dell’autore, i riceventi possono percepirle diversamente, dipende dalle loro disposizioni individuali e collettive, che possono persino rimescolare la dominanza voluta e subordinare le unità strutturali. Questo è il punto in cui l’intenzione di un autore interagisce con la ricezione, compresa quella del traduttore e conseguentemente quella del ricevente.

This is the point where an author’s intention interacts with reception, including that of the translator and consequently that of the receiver. So intentionality can only be fully understood if we look at it from the point of view of the receiver trying to identify the integral semantic unity of the artistic work against the background of the preconceived authorial intention in the particular genre, as Mukařovský (1943, 1966: 93-94) remarks.

In simple terms, the theoretical assumption, also valid for translation, is that the structure of a message corresponds to the receiver’s (individual or collective) structure of needs, and that this needs-related functioning constitutes its value. This is why a dominant need in a society at a particular time determines the function and value of a text, be it an original or a translation, and this is also why these two features are perceived as intentional. This may explain the ways texts are translated, perceived, and the criteria of their selection, but of course it is not an explanation of the origins of the receiver’s needs, nor of the needs of the receiver’s culture or their dynamism49.

However, this semiotic approach maintains the focus on its object of study – the sign as text and message, while the social context penetrates the sign through the author and receiver, whether we consider formal aspects, the content or the pragmatic aspect, as we hoped to demonstrate. To avoid losing the central object of translation studies, i.e. translation, for the sake of studying its external context, as may be the case when we borrow genuine sociological theories, it might be wiser to develop a sociological dimension in a theory that has such potential.

Limited space does not allow for a more detailed presentation and comparisons, thus potentially inviting some new misunderstandings. However, besides additional unavoidable risks involving her interpretation and some generalizations, it is the author’s hope that an interested reader will get some, albeit necessarily limited, access to a theory so far locked in other, less accessible, languages.

 

Così l’intenzionalità può essere interamente compresa soltanto se noi la guardiamo dal punto di vista del ricevente che prova ad identificare l’unità semantica integrale dell’opera d’arte sullo sfondo dell’intenzione precedentemente concepita dell’autore in un particolare genere testuale, come ribadisce Mukařovský (1943, 1966: 93-94).

In parole povere, l’ipotesi teorica, valida anche per la traduzione, è che la struttura del messaggio corrisponde alla struttura dei bisogni del ricevente (individuale o collettivo), e che questo funzionamento collegato ai bisogni costituisce il suo valore. Ecco perché un bisogno dominante in una società in un determinato momento determina la funzione e il valore di un testo, che sia un originale o una traduzione, e questo è anche il motivo per cui queste due caratteristiche sono percepite come intenzionali. Questo può spiegare i modi in cui i testi vengono tradotti, percepiti e i criteri della loro selezione, ma sicuramente non spiega le origini dei bisogni del ricevente, né i bisogni della cultura del ricevente o il loro dinamismo49.

Tuttavia, questo approccio semiotico mantiene l’attenzione sul suo oggetto di studio – il segno come testo e messaggio, mentre il contesto sociale penetra il segno attraverso l’autore e il ricevente, se consideriamo gli aspetti formali, l’aspetto del contenuto o quello pragmatico, come speravamo di dimostrare. Per evitare di perdere l’oggetto centrale della scienza della traduzione, ossia la traduzione, per studiarne il contesto esterno, come può essere il caso quando prendiamo in prestito teorie sociologiche vere e proprie, potrebbe essere più saggio sviluppare una dimensione sociologica in una teoria che ha tale potenziale.

Lo spazio limitato non permette una presentazione e una comparazione più dettagliate, perciò da adito potenzialmente a nuovi fraintendimenti. Tuttavia, accanto a inevitabili rischi aggiuntivi che coinvolgono la sua interpretazione e alcune generalizzazioni, l’autrice spera che il lettore interessato riuscirà ad avere più accesso, sebbene necessariamente limitato, a una teoria che fino ad ora è stata rinchiusa in altre lingue meno accessibili.

 

NOTES

 

  1. Its precursor was his habilitation thesis Základní otázky teorie prekladu (Fundamental Issues in Translation Theory) dated 1958; In 1958 he also published the textbook Úvod do teorie prekladu (Introduction to the Theory of Translation). The second version of The Art of Translation was completed by Levý in 1967 for the German translation published in 1969 as Die Literarische Übersetzung: Theorie einer Kunstgattung; its Russian translation was published in 1974 as Iskusstvo perevoda. His widely known article Translation as a Decision Process came out in 1967, the year of his premature death when he was only 40. Between the mid 50s and 1967 Levý wrote dozens of other articles and conference papers on translation and literature.
  2.  Volek (2005: 139) notes that the often cited works by Jakobson from the 50s and 60s are no longer representative of Prague structuralism .
  3. Czech structuralism, incl. Levý, distinguished between the artefact (text, sculpture, painting etc.) as a material object on the one hand, and its intersubjective existence as a work of art realized through the reception process, on the other. The artefact and the work of art represented two aspects of a sign.
  4. Doležel (2000b: 165) remarks that Czech structuralism is often criticized for its formalist and immanentist poetics, but perhaps it is more often the case that Prague poetics and aesthetics are simply eradicated from the map of 20th century poetics, i.e. totally ignored in “western” historical accounts and treatments of structuralism. On the other hand, Prague linguistics has been acknowledged as the post-Saussurean stage in the development of European structuralism.

 

NOTE

 

  1. Il suo precursore è stato la sua tesi di abilitazione Základní otázky teorie překladu (problemi fondamentali della teoria traduttiva) risalente al 1958; nel 1958 ha anche pubblicato un libro di testo Úvod do teorie překladu (introduzione alle teorie della traduzione). La seconda versione di Arte della traduzione è stata completata da Levý nel 1967 per la traduzione tedesca pubblicata nel 1969 con il titolo Die Literarische Übersetzung: Theorie einer Kunstgattung; la sua traduzione russa fu pubblicata nel 1974 col titolo Iskusstvo perevoda. Il suo famoso articolo Translation as a decisional process uscì nel 1967, l’anno della sua morte prematura quando aveva solo Quarant’anni. Tra la metà degli anni Cinquanta e il 1967  Levý scrisse decine di altri articoli e scritti per conferenze sulla traduzione e la letteratura.
  2. VOLEK (2005: 139) fa notare che spesso i lavori citati di Jakobson degli anni Cinquanta e Sessanta non sono più rappresentativi dello strutturalismo praghese.
  3. Lo strutturalismo ceco, incluso Levý, faceva distinzione tra l’artefatto (testo, scultura, dipinto ecc.) come oggetto materiale da un lato e la sua esistenza intersoggettiva come opera d’arte realizzata attraverso il processo di ricezione dall’altro. L’artefatto e l’opera d’arte rappresentavano i due aspetti di un segno.
  4. DOLEŽEL (2000B: 165) ribadisce che lo strutturalismo ceco è spesso criticato per la sua poetica formalista e immanentista, ma forse è più probabile che la poetica praghese e l’estetica siano state semplicemente sradicate dalla mappa della poetica del Novecento, ossia totalmente ignorate nei resoconti storici e nelle trattazioni dello strutturalismo “occidentali”. D’altro canto, la linguistica praghese è stata riconosciuta come fase post-saussureano nello sviluppo dello strutturalismo europeo.
    1. Jakobson was a professor at the university in the town of Brno; Levý worked there from 1964-1967.
    2. In 1936, Jakobson (quoted in Doležel 2000a: 164) said that Prague theory was the result of the symbiosis of Czech and Russian thinking, while at the same time it incorporated experience of West-European and American science. A critical account of the relationships between Russian formalism and Prague theory was published by Mukarovský in his review of the Czech translation of Shklovsky’s Teoriia prozy (Theory of prose) in 1934: among other he pointed out that Prague combined structural autonomy with the aspect of its conditioning sociocultural embeddedness.
    3. E.g. Lubomír Doležel (Canada), Kvetoslav Chvatík (Germany, Switzerland); Ladislav Matejka, Emil Volek and Peter Steiner (USA).
    4.  I.e. both its production and reception. Influenced by Lotman, the Slovaks use the term text for the combination of form and meaning.
    5. i.e. theories based on empirical study. The Czechs and Slovaks used the so called zig-zag method (which can be traced back to W. von Humboldt) – a dialectical interaction between empirical results and formulation/extension of a theory: Because of this principle, Levý and Popovic are considered descriptivists in Translation Studies. However, it is obvious that their descriptivism may not overlap with Toury’s DTS.
    6. Handling structures without people, or, as Bourdieu (1994) would have it – conceptualizing people as mere ‘epiphonemes’ of structures. The reason for this fundamental difference between French and Czech structuralism is that while the former drew more heavily on Saussurean systemic linguistic theory, the latter, i.e. Mukarovský’s functional approach, relied on Husserl’s phenomenology and Durkheim’s sociology.
    7. Jakobson è stato professore all’università della città di Brno; Levý ha lavorato lì dal 1964 al 1967.
    8. Nel 1936 Jakobson (citato in Doležel 2000a: 164) ha affermato che la teoria praghese era il risultato della simbiosi del pensiero ceco e di quello russo, mentre allo stesso tempo incorporava l’esperienza degli studi dell’Europa occidentale e dell’America. Un resoconto critico della relazione tra il formalismo russo e la teoria praghese fu pubblicato da Mukařovský nella sua recensione della traduzione ceca di Teoriia prozy (teoria della prosa) di Shklovskii nel 1934: tra l’altro evidenziò che Praga aveva combinato l’autonomia strutturale con l’aspetto della sua integrazione socio-culturale condizionante.
    9. Per esempio Lubomír Doležel (Canada), Květoslav Chvatík (Germania, Svizzera); Ladislav Matějka, Emil Volek e Peter Steiner (USA).
    10. Ossia sia la sua produzione che la sua ricezione. Influenzati da Lotman, gli slovacchi usano il termine text per la combinazione di forma e significato.
    11. Ossia le teorie basate sugli studi empirici. I cechi e gli slovacchi utilizzavano il metodo chiamato zig-zag (che può essere fatto risalire a W. Von Humboldt) – un’interazione dialettica tra i risultati empirici e la formulazione/estensione di una teoria: dato questo principio, Levý e Popovič sono considerati descrittivisti nella scienza della traduzione, tuttavia, il loro descrittivismo non può ovviamente coincidere con i Descriptive Translation Studies di Toury.
    12.  Occuparsi delle strutture senza le persone, o come sosterrebbe BOURDIEU (1994) – concettualizzare le persone come meri “epifonemi” delle strutture. La ragione di questa differenza fondamentale tra lo strutturalismo francese e ceco è che mentre il primo ricorreva più fortemente alla teoria linguistica sistemica Saussureana, il secondo, ossia l’approccio funzionale di Mukařovský, faceva affidamento sulla fenomenologia di Husserl  e sulla sociologia di Durkheim.
      1. Hence the difference between Popovic’s and Holmes’s TS paradigms: Popovic does not use the concepts of DTS and applied branches, and sees the development of the discipline as a dialectical movement between theory and analytical empiricism, while his praxeology as a pragmatic extension covers Holmes’s applied branch (Jettmarová 2005).
      2. Cf. Levý in this volume. Cf. also recent concerns over Bourdieu’s integration into TS.
      3. The Moscow-Tartu school was established by Lotman, Ivanov and Toporov in 1964.
      4. Especially the Warsaw Circle and E. Balcerzan.
      5. Czech structuralism was called sociosemiotics by Chvatík (1994: 55).
      6. E.g. the widely-known Literary Theory (1983) by Terry Eagleton presents structuralism as a bricolage of hackneyed half-truths and uninformed assumptions which make structuralism look like a list of deadly sins, e.g.linking Czech literary structuralism of the 60s directly and only with Saussure and Russian formalists, at the same time relegating it to the domain of philosophical idealism, and claiming that this structuralism eliminated the human subject and reduced it to the function of a non-personal structure, etc. (Doležel 2005: 123-124)
      7. Taken from B. Malinowski (1953).
      8. Adapted from A. Tarski (1933).
      9. The concept of the dominant was taken over from Russian Formalism (according to Jakobson 1935, published in Eagle 1971 and in Jakobson 1995: 37).

 

 

 

  1. Da qui la differenza tra i paradigmi traduttivi di Popovič e Holmes: Popovič non usa il concetto dei Descriptives Translation Studies e dei rami applicativi, e vede lo sviluppo della disciplina come un movimento dialettico tra la teoria e l’empirismo analitico, mentre la sua prasseologia, in quanto estensione pragmatica copre il ramo applicativo di Holmes (Jettmarová 2005).
  2.  Vedi Levý in questo volume. Vedi anche i recenti interessi a proposito dell’integrazione nella scienza della traduzione di Bourdieu.
  3.  La scuola di Mosca-Tartu fu istituita da Lotman, Ivanov e Toporov nel 1964.
  4.  Specialmente il circolo di Varsavia e E. Balcerzan.
  5.  Lo strutturalismo ceco venne chiamato sociosemiotica da Chvatík (1994: 55)
  6.  Per esempio la famosa Literary Thoery (1983) di Terry Eagleton presenta lo strutturalismo come un bricolage di mezze verità trite e ritrite e presupposti disinformati che fa sembrare lo strutturalismo una lista di peccati mortali, per esempio collegare lo strutturalismo letterario ceco degli anni Sessanta direttamente e solamente con Saussure e i formalisti russi, rilegandolo allo stesso tempo al campo dell’idealismo filosofico e sostenendo che questo strutturalismo abbia eliminato il soggetto umano riducendolo alla funzione di una struttura non-personale ecc. (DOLEŽEL 2005: 123-124).
  7.  Preso da B. MALINOWSKI (1953).
  8.  Adattato da A. TARSKI (1933).
  9. il concetto di «dominante»è stato preso dal formalismo russo (secondo Jakobson 1935, pubblicato su Eagle 1971 e in Jakobson 1995: 37).
    1. Function was understood as the (intended) aim or purpose of communication, which in turn was seen as a teleological activity, i.e. social interaction aimed at some goal. As a relational concept, function depends on the receiver. For Mukarovský (1936: 54), aesthetic value was found to be a process co-determined by both the immanent development of the artistic structure and the changes in the structure of “social cohabitation”.
    2. Cf. ‘text-type’ translation theories (e.g. Skopos, Newmark) that also highlight the main function but lack this dynamism as well as their explicit socio-historical embeddedness.
    3. The reader’s interpretation is alternatively called concretization (a modified concept adapted from Ingarden’s phenomenological theory) to designate the resulting mental image of the work of art, in contrast with proficient interpretations by literary scholars or critics (cf. Levý 1983: 47). Mutatis mutandis for translation.
    4. This model of the reception process anticipated the principles of reception aesthetics (the Konstanz school) as well as any attempts to integrate hermeneutics. Levý (1963 in Levý 1971: 49) is explicit about the hierarchic structure of such perception, adding that at certain point of semantic accumulation of information, a new information increment results in the transformation of a series of semantic units into an instruction of how to understand this semantic series. This is how the structure of an artistic message gradually emerges or comes into being during the process of concretization in dependence on the reader’s idiolect.
    5. La funzione era intesa come lo scopo o il proposito (intenzionale) di comunicazione, che a sua volta era visto come attività teleologica, ossia l’interazione sociale mirata ad alcuni obiettivi. Come concetto relazionale la funzione dipende dal ricevente. Per Mukařovský (1936: 54), il valore estetico è risultato essere un processo co-determinato sia dallo sviluppo immanente della struttura artistica sia dai cambiamenti nella struttura della coabitazione sociale.
    6. Vedi le teorie di traduzione “testo-tipo” (per esempio Skopos, Newmark) che evidenziano anche la funzione principale ma mancano di questo dinamismo così come il loro esplicito coinvolgimento socio-storico.
    7. L’interpretazione del lettore è chiamata in alternativa concretizzazione (un concetto modificato adattato dalla teoria fenomenologica di Ingarden) per indicare l’immagine mentale dell’opera d’arte risultante, in contrasto con le abili interpretazioni degli studiosi o dei critici letterari (Levý 1983: 47). Mutatis mutandis per la traduzione.
    8.  Questo modello del processo ricettivo ha anticipato i principi dell’estetica della ricezione (la scuola di Konstanz) così come ogni tentativo di integrare l’ermeneutica.  Levý (1963 in Levý 1971: 49) è esplicito a proposito della struttura gerarchica di tale percezione, aggiungendo che ad un certo punto di accumulazione semantica dell’informazione, un nuovo incremento informativo determina la trasformazione di una serie di unità semantiche in un’istruzione su come capire queste serie semantiche. È così che le strutture di un messaggio artistico emergono gradualmente o nascono durante il processo di concretizzazione a seconda dell’idioletto del lettore.

 

 

 

  1. A more specific version (Levý 1963b: 25n) of the hypothetical process, proposed as a weakly normative one, breaks down the reading phase into the stages of (a) understanding and (b) interpreting, the latter including the establishment of a pre/conception of the translation by the translator. ‘Re-stylization’ is the execution stage, involving three potential transfer procedures: translation (relevant for the general component), substitution (relevant for the specific component) and transcription (relevant for the unique/individual component).
  2. he referential aspect of a work of art should not be equated with imitation of reality as is common for the reductionist and simplistic concept of mimesis in Western culture today. Literary representation is a more complex issue.
  3. All his subcategories are conceptualized and further classified in taxonomies. Expression is understood as a unit combining linguistic style and content.
  4. The same form or content may have different meaning in the TL/TLT/TLC, thus to achieve the same function the translator should use forms and contents that are potential carriers of that function, which is identified through the translator’s understanding and interpretation of the SLT element’s function on its the structural level and in the SLT as a whole). However, some forms or content in translation may, unlike their SLT counterparts, acquire additional function/s in translation, e.g. adding local or historical colour, and thus become dominant elements. This depends on the prospective function of a translation and the translator’s pre/conception of it.
  5. Una versione più specifica (Levý 1963b: 25n) del processo ipotetico, proposta come versione debolmente normativa, divide la fase della lettura in stadi di (a) comprensione e (b) interpretazione, quest’ultimo include la formazione di una pre/concezione della traduzione da parte del traduttore. La “re-stilizzazione” è uno stadio esecutivo, che coinvolge tre potenziali procedure di trasferimento: traduzione (rilevante per la componente generale), sostituzione (rilevante per la componente specifica) e trascrizione (rilevante per la componente unica/individuale).
  6. L’aspetto referenziale di un’opera d’arte non dovrebbe essere fatto coincidere con l’imitazione della realtà, comune per il concetto reduzionista e semplicista della mimesi nella cultura occidentale odierna. La rappresentazione letteraria è una questione più complessa.
  7.  Tutte le sue sottocategorie sono concettualizzate e ulteriormente classificate in tassonomie. L’espressione è intesa come un’unità che combina lo stile linguistico e il contenuto.
  8. La stessa forma o contenuto può avere un significato differente nella traduzione/testo tradotto/cultura ricevente, perciò per ottenere la stessa funzione il traduttore dovrebbe usare forme e contenuti che sono portatori potenziali di quella funzione, che è identificata attraverso la comprensione e l’interpretazione della funzione degli elementi del testo emittente sul suo livello strutturale e del testo emittente nel suo insieme da parte del traduttore. Tuttavia, alcune forme e contenuti nella traduzione possono, a differenza delle loro controparti nel testo emittente, acquisire funzioni addizionali nella traduzione, per esempio ulteriore colore locale o storico, e perciò diventare elementi dominanti. Questo dipende dalla funzione prospettiva di una traduzione e della pre/concezione che ne ha il traduttore .
    1. i.e. meaning (whether cognitive or emotive) constituted by both form and content. Semiotically (Chvatík 2001: 128), although the meaning of a sign is constituted in the cognition of an individual interpreting the sign, the intersubjective validity of the meaning is constituted by the social structure on whose background it is concretized by the individual.
    2. From this point, current debates on the a/historicity or the westernized concept of translation (e.g. Tymoczko 2006) lose some of their relevance. As Popovic (1983) points out, there is no universal definition of translation because it is a historical relational concept that can either be empirically derived from the structure of translations (as a projected communication in the text), or determined through its position among other texts (especially derived texts, i.e. metatexts). Popovic (1975) opts for the latter option and integrates his metatext theory, positioning translation on the scale between token-token and token-type models. Translations may be used as prototexts with domestic texts derived from them – as is the case of translation’s developmental function.
    3.  i.e. epistemological.
    4. The concept, derived from illusio (ludus), was used in Czech semiotic aesthetics, especially in theatre studies, to denote the tendency to create images in such a way so that they would invoke in the receiver the illusion of their real existence. In other words, to create a model of an existing or non-existing prototype that would be accepted by the receiver as a prototype on the agreed principle of a play, i.e. ‘as if’. Pseudotranslations (i.e. texts only pretending to have been derived from their prototype originals) misuse this principle.

 

 

  1. Ossia il significato (sia esso cognitivo o emotivo) costituito sia dalla forma che dal contenuto. Semioticamente (Chvatík 2001: 128) sebbene il significato di un segno sia costituito nella cognizione di un’interpretazione individuale di un segno, la validità intersoggettiva del significato è costituita dalla struttura sociale sul cui sfondo è concretizzata dall’individuo.
  2. Da questo punto, gli attuali dibattiti sull’a/storicità o il concetto occidentalizzato di traduzione (per esempio Tymoczko 2006) hanno perso un po’ della loro importanza. Come fa notare Popovič (1983), non ci sono definizioni universali di traduzione perché è un concetto relazionale storico che può essere o derivato empiricamente dalle strutture delle traduzioni (come una comunicazione proiettata in un testo) o determinato attraverso la sua posizione tra gli altri testi (specialmente i testi derivati, ossia i metatesti). Popovič (1975) opta per l’ultima opzione e integra la sua teoria del metatesto, collocando la traduzione su una scala tra il modello token-token e quello token-type. Le traduzioni possono essere usate sia come prototesti con i testi nazionali derivati da essi – sia succede nel caso della funzione evolutiva della traduzione.
  3. Ossia epistemologico.
  4.  Il concetto, derivato dall’illusio (ludus), era usato nella semiotica estetica ceca, specialmente negli studi teatrali, per denotare la tendenza a creare immagini in modo tale da evocare nel ricevente l’illusione della loro reale esistenza. In altre parole, per creare un modello di un prototipo esistente o inesistente, che venga accettato dal ricevente come un prototipo sul principio convenuto della commedia, ossia “come se”. La pseudotraduzione (ossia i testi fingono solamente di essere stati derivati dai loro prototipi originali) fa cattivo uso di questo principio.
    1. Hence Popovic’s (1975) translativity dichotomies of here-and-now, here-and-then, there-and-now and there-and-then, defined in terms of the own, the other, the new and the old in their combination.
    2. Cf. Toury’s law of interference.
    3. This phenomenon was also hypothetized by Nida (1964), however without its dynamic dimension.
    4. Real translations and translators may deviate from the theoretical model in a number of aspects and for a variety of reasons. The general communication model cannot account for all concrete nuances and manifestations. Apart from autotranslation, intermediated translation, compiled translation, plagiarized translation, concealed translation, polemic or substandard translation, the translator may not respect, for various reasons, the current translation norm or some communication factors and relations in their proportions dictated by current norms, including the concept of translation and equivalence.
    5. The Czech concept of an open structure allows for non-systemic elements be present in the structure, and viceversa – for originally integrated elements to leave the structure via its periphery.
    6. Cf. e.g. Bourdieu’s habitus and trajectory.
    7. For Czech structuralism, the intended function at the production end and the resulting value at the reception end are inherent in both aspects, therefore translations are seen as hybrids. Value is then related to the translation’s social circulation (i.e. its functioning and positioning);

 

 

 

  1. Da qui le dicotomie della trazionalità di Popovič (1975): qui-e-ora, qui-e-allora, lì-e-ora, lì-e-allora; definite in termini di il proprio, l’altrui, il nuovo e il vecchio nella loro combinazione. Questi possono riflettere nello stile e/o nel contenuto della traduzione. Se le soluzioni del traduttore nel testo mostrano una fluttuazione tra le dicotomie, è segno di una mancanza di metodo e di pre/concezione.
  2. Vedi la legge dell’interferenza di Toury.
  3. Questo fenomeno era stato ipotizzato anche da Nida (1964), tuttavia senza la sua dimensione dinamica.
  4. Le traduzioni reali e i traduttori possono deviare dal modello teorico in numerosi aspetti e per svariate ragioni. Il modello generale di comunicazione non può rendere conto di tutte le sfumature e le manifestazioni concrete. Eccetto per l’autotraduzione, la traduzione intermedia, la traduzione redatta, la traduzione plagiata, la traduzione nascosta, la traduzione polemica o substandard, il traduttore può non rispettare, per molte ragioni, la norma della traduzione attuale o alcuni fattori comunicativi e le relazioni nelle loro proporzioni dettate dalle norme correnti, incluso il concetto di traduzione ed equivalenza.
  5.  Il concetto ceco di struttura aperta non tiene conto degli elementi non-sistemici presenti nella struttura e viceversa – degli elementi originariamente integrati per lasciare la struttura tramite la sua periferia.
  6.  Vedi esempio dell’habitus e della traiettoria di Bourdieu.
  7.  Per lo strutturalismo ceco, la funzione voluta dalla parte della produzione e il valore risultante dalla parte della ricezione sono intrinseci in entrambi gli aspetti, perciò le traduzioni sono considerate ibridi. Il valore è poi correlato alla circolazione sociale della traduzione (ossia al suo funzionamento e alla sua

 

this circulation, in turn, relates with heteronomous factors or structures in the social context.

  1. The period of the 19th century Revival in the Czech culture that had been surviving under the dominating German/Austrian rule is a perfect example of contradictory parallel norms and functions; while translations from German aided the distancing of the two cultures by applying the domesticating method, translations from Slavic languages/cultures sought cultural convergence, supporting the idea of Pan-Slavism.
  2. For intercultural relationships in TS see esp. Lambert in Delabastita et al. (2006: 37-62, 84-85, 111-116).
  3. The dichotomy of foreignization and domestication in translation was introduced by Schleiermacher and recently re-introduced by Venuti. Levý, in the early 1960s, ushered in the umbrella concept of translativity as a scale with the two poles and related it explicitly to the category of the receiver, thus turning it into a dynamic and historical concept with both descriptive and explanatory potential.
  4. Jakobson’s concept (1960) proposed next to his interlingual and intersemiotic translation.
  5. Similar to the ambitions of Bourdieu’s sociology and his researcher.
  6. In the 1960s, Levý established the Group for Exact Methods and Interdisciplinarity in Brno.
  7. For a comparison of Popovic’s and Holmes’s paradigms cf. Jettmarová (2005). In places Popovic subsumes didactics under praxeology.

 

 

 

collocazione); questa circolazione, a sua volta collega i fattori eteronomi o le strutture nel contesto sociale.

  1. Il periodo del Revival dell’Ottocento nella cultura ceca che è sopravvissuto alle regole della dominazione tedesca/austriaca è un perfetto esempio di norme e funzioni parallele contraddittorie; mentre le traduzioni dal tedesco miravano a distanziare le due culture applicando il metodo addomesticante, le traduzioni dalle lingue/culture slave ricercavano una convergenza culturale, supportando l’idea del panslavismo.
  2. Per le relazioni interculturali nella scienza della traduzione vedi  Lamberti in Delabastita et al. (2006: 37-72, 84-85, 111-116)
  3.  la dicotomia di estraniazione e addomesticamento nella traduzione sono state introdotte da Schleiermacher e recentemente re-introdotte da Venuti.  Levý, agli inizi degli anni Sessanta, ha introdotto nel vasto concetto della traduzionalità come una scala con due poli e lo ha collegato esplicitamente alla categoria del ricevente, trasformandolo così in un concetto dinamico e storico con un potenziale sia descrittivo che esplicativo.
  4.  Il concetto di Jakobson (1960) proposto accanto alla sua traduzione interlinguistica e intersemiotica.
  5.  Simile alle ambizioni della sociologia di Bourdieu e al suo ricercatore.
  6.  Negli anni Sessanta,  Levý ha fondato il gruppo per i metodi esatti e l’interdisciplinarità a Brno.
  7. Per un paragone tra i paradigmi di Popovič e Holmes vedi Jettmarová (2005). Popovič classifica a volte la didattica sotto la prasseologia.

 

 

  1. This may cast doubt on the strength of the descriptive and explanatory hypotheses of the communication theory and its model (specifically in Popovic). Modelling is treated e.g. by Levý (1971: 69-70). Normativity as a subdiscipline (deriving the ‘ought’ from general principles) was part of some semiotic theories, occupying a slot between the pure and descriptive semiotics (Osolsobe 2002: 162).
  2.  On the conceptual and theoretical levels elaborated e.g. by Ján Ferencík (1982).
  3. Whether they have or have not been functional can only be discerned from manifested receptions (e.g. reviews, polemics, etc.) and consequent effects, but also from the fact that these complied with the translation norm of the time. Cf. also Jettmarová on advertising (2003, 2004).
  4.  ‘Need’ has become a buzzword in Translation Studies and it can be conceptualized  from different disciplinary angles. For Czech and Slovak structuralism need is a contextually internalized part of the experiential complex in the individual, while culture needs may be said to derive from ideology of the culture-in-time and the status quo of the system in focus. Studies on history of translation and literature are explicit and specific about who or what is behind the constitution of needs. (cf. e.g. Levý 1957 and Vodicka 1969).

 

 

  1.  Questo può gettare dubbi sulla forza delle ipotesi descrittive ed esplicative della teoria comunicativa e del suo modello (specificamente in Popovič). La modellizzazione è trattata per esempio da Levý (1971: 69-70) la normatività come sottodisciplina (derivando il “ought” da principi generali) era una parte delle teorie semiotiche, che occupava un posto tra la semiotica pura e quella descrittiva (Osolsobě 2002: 162).
  2. Su livelli concettuali e teoretici elaborati per esempio da Ján Ferenčík (1982).
  3.  Sia che siano o meno funzionali possono soltanto essere distinti dalle ricezioni manifestate (per esempio la recensione, la polemica ecc.) e dagli effetti che ne derivano, ma anche dal fatto che questi hanno rispettato la norma traduttiva del tempo. Vedi anche Jettmarová sulla pubblicità (2003-2004).
  4.  La parola “bisogno” è diventata di moda nella scienza della traduzione e può essere concettualizzata da diversi angoli disciplinari. Per lo strutturalismo ceco e slovacco il bisogno è una parte interiorizzata contestualmente del complesso esperienziale dell’individuo, mentre si può dire che i bisogni della cultura derivino dall’ideologia della cultura-nel-tempo e dallo status quo del sistema in questione. Gli studi sulla storia della traduzione e della letteratura sono espliciti e specifici a proposito di chi o cosa c’è dietro la costituzione dei bisogni (vedi per esempio Levý 1957 e Vodička 1969).

 

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3. Riferimenti bibliografici della prefazione

 

 

 

 

 

 

 

 

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GREGORY RABASSA: JULIO CORTÁZAR

 GREGORY RABASSA: JULIO CORTÁZAR

ELENA INVERNIZZI

 

 

Scuole Civiche di Milano

Fondazione di partecipazione

Dipartimento Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

 

Relatore: Professor Bruno Osimo

Diploma in Scienze della Mediazione Linguistica

Luglio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© Elena Invernizzi per l’edizione italiana 2011

 

ABSTRACT

Tradurre è un’arte. Secondo Antonio Prete «tradurre ha a che vedere con l’ombra, più che con la trasparenza della luce»: è un’operazione che non ha il compito di ricalcare l’originale, non deve aspirare alla perfezione, ma che si colloca in una zona indefinita al confine fra cultura emittente e ricevente. Non sempre, però, la lingua del testo corrisponde a una lingua effettivamente in uso: un esempio lo si può trovare in Rayuela di Cortázar, che utilizza il glíglico per la comunicazione tra alcuni personaggi. Chi viene messo alla prova in questo processo è il traduttore, che si trova davanti a un implicito compito di creatività, dovendo egli stesso inventare una lingua che sia adeguata.

 

RESUMEN EN ESPAÑOL

Traducir es arte. Según Antonio Prete «traducir tiene que ver con la sombra más que con la transparencia de la luz»: es un proceso que no tiene que calcar el texto original, no tiene que ser perfecto, sino tiene que colocarse en una zona indefinida entre la cultura emisora y la de recepción. A veces el idioma del texto no corresponde a un idioma usado realmente: encontramos un ejemplo en Rayuela de Cortázar, quien utiliza el glíglico para la comunicación entre unos personajes. En este proceso, él quien se enfrenta con el problema es el traductor: él también necesita de creatividad para que pueda inventar un idioma adecuado.

 

ENGLISH ABSTRACT

Translating is art. Antonio Prete writes «translating is more similar to the shadow than to the transparence of light»: it’s a process that doesn’t have to copy the original, doesn’t have to aspire to perfection, but it places itself between the transmitter and the receiver culture. Not always the text language corresponds to a real language: we can find an example of this in Rayuela by Cortázar, that uses gliglish for the communication between some characters. In this process who has to deal with a tough nut to crack is the translator, who has himself to invent a new effective language.

PREFAZIONE

Julio Cortázar è uno scrittore argentino (1914-1984) i cui racconti sono di genere fantastico, misterioso e metafisico. Nato a Bruxell, si dividerà tra Argentina e Parigi.

Il suo capolavoro è Rayuela Il gioco del mondo, iperromanzo[1] in cui l’esperienza parigina e argentina si confrontano e completano a vicenda. Il libro è composto da oltre 300 paragrafi che devono essere letti nell’ordine specificato dall’autore all’inizio del romanzo o in ordine di comparizione.
Questa scelta soggettiva del lettore segna il punto di maggior originalità del romanzo che, al di là di questo aspetto, è caratterizzato da momenti di vita quotidiana intrecciati con un’analisi filosofica della vita.

Gregory Rabassa (9 Marzo 1922) è un celebre traduttore letterario dallo Spagnolo e dal Portoghese verso l’Inglese  che attualmente insegna al Queens College. Nato a New York, ha lavorato durante la Guerra come criptografo per la OSS e si è laureato alla Columbia University, dove ha insegnato per due anni prima di trasferirsi al Queens College.

Ha prodotto versioni in inglese dei lavori dei maggiori romanzieri latino americani come Julio Cortázar, Jorge Amado e Gabriel García Márquez. Su consiglio di Cortázar, Márquez ha aspettato tre anni per entrare negli impegni di Rabassa e fargli tradurre Cent’anni di solitudine. In seguito ha dichiarato che la traduzione di Rabassa era superiore alla sua versione originale spagnola.

In genere, Rabassa traduce senza leggere prima il libro, lavorando seguendo il suo istinto. Aveva un rapporto di lavoro particolarmente intenso e produttivo con Cortázar, con il quale condivideva la passione per il jazz e per i giochi di parole. Come scrive in If This Be Treason: Translation and Its Dyscontents, A Memoir, dove ricostruisce la sua esperienza come traduttore:

“(…) What drew me to the novel and to Julio were the variegated interests he and I had in common: jazz, humor, liberal politics, and inventive art and writing. As I have said, I read the complete novel only as I translated it. This strange and uncommon procedure somehow followed the nature of the book itself and I do not think it hurt the translation in any way. Indeed, it may have insured its success. (…)”

“(…) Ciò che mi ha portato verso il romanzo e verso Julio era la moltitudine di interessi che avevamo in comune: il jazz, ‘umorismo, il progressismo e l’arte e la scrittura inventiva. Come ho già detto, ho letto tutto il romanzo solo mentre lo traducevo. Questa strana e inusuale procedura in qualche modo seguiva la natura del libro stesso e penso non sia stata per niente nociva alla traduzione. Anzi, può averne assicurato il successo. (…)”

Il legame, quindi, tra Rabassa e Cortázar non era solamente a livello  mercenario-artista, si trattava di una sottile connessione tra le menti dello scrittore e del traduttore che ha contribuito all’ottima riuscita del loro lavoro insieme.

Per la sua versione del romanzo di Cortázar Hopscotch, Rabassa ha ricevuto il National Book Award per la Traduzione.

 

Sommario

 

Abstract p. 3

Prefazione p. 4

Traduzione p. 7

Analisi p. 21

Bibliografia p. 26

Ringraziamenti p. 27

If This Be Treason. Translation And Its Dyscontents. A Memoir.

Gregory Rabassa

Julio Cortázar

 

Hopscotch (Rayuela, 1963). New York: Pantheon, 1966.

62: A Model Kit (62: Modelo para armar, 1968). New York: Pantheon, 1972.

A Manual for Manuel (Libro de Manuel, 1973). New York: Pantheon, 1978.

A Change of Light and Other Stories (Octaedro, 1974; Alguien que anda por ahí, 1978). New York: Knopf, 1980.

We Love Glenda So Much and Other Tales (Queremos tanto a Glenda y otros relatos, 1981). New York: Knopf, 1983.

A Certain Lucas (Un tal Lucas, 1979). New York: Knopf, 1984.

 

Rayuela[2] (Il gioco del mondo) è stato il libro che mi ha iniziato alla traduzione, quello che mi ha fatto vincere il National Book Award e che mi ha portato a Cent’anni di solitudine. García Márquez voleva che facessi il suo libro ma in quel momento ero occupato con il ciclo bananero di Miguel Ángel Asturias. Cortázar ha detto a Gabo di aspettare e lui ha aspettato, con evidente soddisfazione di tutte le persone coinvolte. E così Rayuela è stato per me quello che nel cliché idrografico viene definito spartiacque, dato che la mia vita da quel momento in poi ha preso la direzione che da quel momento avrebbe sempre seguito. Non avevo letto il libro ma avevo sfogliato alcune pagine e tradotto due capito per prova, il primo e uno più avanti, non ricordo quale. All’editor Sara Blackburn e a Julio è piaciuta la mia versione e sono partito alla grande.

Ciò che mi ha portato verso il romanzo e verso Julio era la moltitudine di interessi che avevamo in comune: il jazz, ‘umorismo, il progressismo e l’arte e la scrittura inventiva. Come ho già detto, ho letto tutto il romanzo solo mentre lo traducevo. Questa strana e inusuale procedura in qualche modo seguiva la natura del libro stesso e penso non sia stata per niente nociva alla traduzione. Anzi, può averne assicurato il successo. Cortázar aveva diviso il libro in tre parti: “Dall’altra parte”, “Da questa parte” e “Da altre parti”, l’ultima sottotitolata “Capitoli di poco conto”. Cortázar da istruzioni su come leggere il romanzo, spiegando che consiste in molti libri, ma soprattutto due. Possiamo leggerlo tutto d’un fiato ma fermandoci alla fine della

If This Be Treason. Translation And Its Dyscontents. A Memoir.

Gregory Rabassa

Julio Cortázar

 

Hopscotch (Rayuela, 1963). New York: Pantheon, 1966.

62: A Model Kit (62: Modelo para armar, 1968). New York: Pantheon, 1972.

A Manual for Manuel (Libro de Manuel, 1973). New York: Pantheon, 1978.

A Change of Light and Other Stories (Octaedro, 1974; Alguien que anda por ahí, 1978). New York: Knopf, 1980.

We Love Glenda So Much and Other Tales (Queremos tanto a Glenda y otros relatos, 1981). New York: Knopf, 1983.

A Certain Lucas (Un tal Lucas, 1979). New York: Knopf, 1984.

 

Hopscotch was the book that got me started in translation, that won me that National Book Award, and also led me to do One Hundred Years of Solitude. García Márquez wanted me to do his book but at the moment I was tied up with Miguel Ángel Asturia’s “banana trilogy”. Cortázar told Gabo to wait, which he did, to the evident satisfaction of all concerned. So Hopscotch was for me what the hydrographic cliché calls a watershed moment as my life took the direction it was to follow from then on. I hadn’t read the book but I skimmed some pages and did two sample chapters, the first and one farther along. I can’t remember which. Editor Sara Blackburn and Julio both liked my version and I was off and away.

What drew me to the novel and to Julio were the variegated interests he and I had in common: jazz, humor, liberal politics, and inventive art and writing. As I have said, I read the complete novel only as I translated it. This strange and uncommon procedure somehow followed the nature of the book it­self and I do not think it hurt the translation in any way. In­deed, it may have insured its success. Cortázar had divided his book into three sections: “From the Other Side,” “From This Side,” and “From Diverse Sides,” the last subtitled “Expendable Chapters.” He gives instructions on how to read the novel, saying that it consists of many books, but two above all. We can read it straight through, but stopping at the end of the

contro cosa stavo lottando. Infatti, in alcuni casi mi ha dato suggerimenti che solo un traduttore poteva dare. Così, quando sono arrivato alla documentazione che aveva usato per arricchire il romanzo, mi sono ritrovato a fare ciò che lui aveva fatto seconda parte, senza leggere la terza. Poi ci stende una tabella per una seconda lettura dove i capitoli delle tre sezioni sono mischiati in ordine diverso. Alla fine di ogni capitolo è scritto quale capitolo va letto dopo. Comunque, l’ultimo capitolo, il 131, ti dice di andare al 58, che hai appena letto e ti aveva indirizzato al 131, così che con questo schema si crea un effetto di disco rotto, dove la puntina continua a saltare e la canzone non finisce mai. Leggendo in questo modo il romanzo non ha mai fine, mentre leggendolo nel primo modo apparentemente corretto finisce quando dice  “…lascialo andare, paff, fine”, da cui si può dedurre che Oliveira, il protagonista, si è suicidato gettandosi dalla finestra.

Un critico rigido si è indignato perché costretto a leggere due volte il romanzo. Julio mi ha scritto scuotendo figurativamente la testa per il fatto che questo povero scemo non sapeva che si stesse giocando con lui. Continuava dicendo che chiedere alle persone di leggere il suo romanzo una volta era già una cattiveria, figuriamoci due. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Una volta finita la traduzione mi sono tornate in mente le istruzioni iniziali e mi sono reso conto che avevo realizzato una terza lettura del romanzo semplicemente sfogliando dalla prima all’ultima pagina. Ciò che quel critico ottuso non aveva capito era che il gioco del mondo è davvero un gioco, di quelli veri. L’immagine che Julio aveva abbozzato sulla copertina del romanzo era evidentemente come si svolge il gioco in Argentina, partendo da un quadrato chiamato Terra e continuando su altri quadrati numerati fino a quello chiamato Paradiso. Era più che naturale che la sua vivacità intellettuale venisse notata da un suo connazionale, Jorge Luis Borges, il primo a pubblicare il lavoro di Julio. Peccato che il loro povero, tormentato e spesso solenne paese natale non abbia avuto una storia più simile alla loro. Cortázar sosteneva anche che la nostra specie è stata chiamata nel modo sbagliato e che avrebbe dovuto chiamarsi homo ludens (che non ha niente a che vedere con gay tossicchianti).

Traducendo Rayuela penso di essere stato indirizzato bene dal mio metodo istintivo di lasciarmi guidare dalle parole. Dico questo perché sono riuscito a cogliere il flusso di quello che dicevano i vari e variabili capitoli. Julio abbina sempre i personaggi a dialoghi e monologhi. Era piuttosto consapevole che l stessa persona potesse avere modi diversi di parlare quando si rivolgeva  a qualcuno o a se stesso. Alcune società primitive gestiscono queste discrepanze con desinenze diverse o usando un lessico completamente diverso. Con Cortázar bisogna stare ben attenti a questi piccoli e tortuosi trucchi di espressione che è solito fare. In un capitolo c’è Oliveira, narratore occasionale di Julio e alcuni sostengono suo alter ego, che da un’occhiata al libro che ha preso nella stanza di La Maga. La prima riga è stranamente estranea sia al periodo dell’azione sia allo stile del romanzo che si sta leggendo. Ma la seconda riga dice “e le cose che lei legge, un romanzo sgraziato…” e lì capiamo che Cortázar sta alternando, riga dopo riga, ciò che pensa Oliveira e ciò che sta leggendo nel romanzo di Benito Pérez Galdós. Mi sono dovuto incamminare con molta cautela in questa parte in modo da non lasciare che le parole di Oliveira influenzassero quelle di Galdós o viceversa.

second section without continuing into the third. Then he lays out a table for a second reading in which chapters from all three sections are co-mingled in a different order. Each chapter in this system has the number of the next chapter to be read at its end. The last chapter, however, 131, tells you to go to 58, which you have just read and were told to proceed to 131, so that by this scheme you end up with a broken-record effect, where the needle keeps jumping back and repeating and the song never ends. Read this way the novel never ends, while if read the first and seemingly proper way it does, saying “…let himself go, paff, the end,” implying that Oliveira, the protagonist, has defenestrated himself.

One stiff-necked critic was outraged that he should be called upon to read the novel twice. Julio wrote me and figu­ratively shook his head over the fact that the poor boob did not know that he was being toyed with. He went on to say that it was bad enough to ask people to read his novel once, let alone twice. He would never do such a thing. When I finished the translation I remembered the instructions at the beginning and realized that I had offered a third reading of the novel by simply barging through from the first page to the last. What that obtuse critic had not realized was that hopscotch is a game, something to be played. The version that Julio had sketched out on the cover of the novel was evidently the way the game is played in Argentina, starting on a square called Earth and following the numbers to a square called Heaven. It was only natural that his intellectual friskiness should have been noticed by his countryman, Jorge Luis Borges, who was the first to publish Julio’s work. Would that their poor, trou­bled and so often solemn birthplace had been more like them in its history. Cortázar also maintained that our species was misnamed and should have been called homo ludens (nothing to do with any coughing gays).

In translating Hopscotch I think I was well served by my in­stinctive way of letting the words lead me. I say this because I did manage to get the drift of what the various and varied chapters were saying. Julio always matched his characters with their dialogues and monologues. He was quite keen in his awareness that the same person is apt to have a different style of speaking when talking to someone else than when talking to himself. Some primitive societies manage such discrepancies by a variety of case endings if not completely different lexi­cons. With Cortázar one has to be quickly aware of these twisty little tricks of expression that he’s apt to pull. In one chapter Julio has Oliveira, his sometime narrator and some say his alter ego, glance at a book he has picked up in La Maga’s room. The first line is strangely alien to both the period of the action and the style of the novel we are reading. But the sec­ond line says, “And the things she reads, a clumsy novel . . . ,” and we realize that Cortázar is alternating, line by line, what Oliveira is thinking and what he is reading in her novel by Benito Pérez Galdós. I had to tread very carefully through this part so as not to let Oliveira’s words influence those of Galdós and vice-versa.

 

Questo miscuglio è spesso abbinato all’inclusione di elementi come documenti ufficiali dell’UNESCO, dove Cortázar aveva lavorato come traduttore. Quest’ultimo fatto, invece di farmi tremare dall’insicurezza di essere sotto il controllo di un esperto del campo, mi ha rilassato per la consapevolezza che Julio sapeva dalla sua esperienza per vivere: tradurre fedelmente i documenti e resistere alla tentazione di renderli più adeguati. In un solo caso non c’era bisogno di preoccuparsi. Aveva ideato un haiku composto da nomi di Birmani che doveva aver incontrato in questo documento o in quell’altro.

Dato che la prima parte di Rayuela e alcune parti del “Capitolo di poco conto” si svolgevano a Parigi, alcune parti della narrazione sono in francese. Potevo tradurlo, ma l’ho lasciato com’era. Se Julio avesse voluto che queste parti venissero tradotte in inglese le avrebbe prima tradotte in spagnolo. E non ho trovato nessun motivo per rendere il libro più semplificato per i lettori inglesi, implicitamente insultandoli. Ho anche lasciato nella lingua originale altrimenti si rischiano enormi e a volte esilaranti danni. Mi viene in mente mio padre amante dell’opera che sogghigna davanti all’assurdità della traduzione nell’opera, citando dei versi che aveva sentito in uno spettacolo cantato in inglese invece che in italiano che diceva: «Ecco la donna col latte». L’effetto è quello di cui ho parlato da qualche parte il giorno in cui Mr. Smith ha sostituito Mr. Bean alla Merrill Lynch, che potrebbe essere stata la ragione per cui James Merrill ha abbandonato il business di famiglia.

È già abbastanza difficile capire che fare con lingue che non sono né del’autore né del traduttore, ma cosa si può fare con una inventata? Cortázar ne usa una di questo tipo in Rayuela. E’ un linguaggio d’amore nel senso che descrive le attività amorose. Non c’è davvero bisogno di capire le parole. Il modo in cui si legno ci fa capire quello che sta succedendo. Anche il loro suono è alquanto d’aiuto. È come l’apparente poesia arcana di Góngora. Ho capito che sapere nel dettaglio di cosa parla implica l’esegesi e l morte della sua poesia. Una semplice lettura ad alta voce comunica un’impressione di ciò che sta dicendo, in modo molto simile al significato che estraiamo da un pezzo musicale senza sapere di che note si tratta. Possiamo leggere un poesia di Mallarmé o ascoltare un preludio di Debussy e l’effetto potrebbe essere lo stesso. Questo è come bisogna accostarsi al Glíglico di Julio. Ho dovuto comunque tradurlo, quindi ho usato il Gliglish al posto dell’inglese e penso di aver mantenuto abbastanza la sua sostanza per rendere felice anche Frost, ma il mio compito non era di far piacere a lui, solo ai miei lettori e forse a Joyce.

Sono stato aiutato in questa avventura dall’ascolto di ogni tipo di frase in una lingua chiamata Vermaciano, inventata da mia figlia Clara da piccola per parlare con il suo peluche di Snoopy. Era folle quel tanto che basta per corrispondere alla natura folle della quale lo aveva dotato. Come il Gliglish, ha una base inglese che potrebbe portare qualcuno a definirla dialetto. Snoopy direbbe semplicemente di se stesso che ha uno “speech defeck” (“defetto di pronuncia”), un termine che oggi non è molto accettabile, meglio se lasciato in Vermaciano. Per misteriose ragioni si avvicina allo Slavo nelle sue desinenze, con elementi che sembrano genitivi come Snoopev, Momev, Dadev. Il fenomeno non è stato spiegato da nessuno e ha richiesto la consulenza di uno psicolinguista. Clara aveva conosciuto Julio ed era rimasta impressionata dalla sua          This admixture is matched many times by the inclusion of such things as official documents from unesco, where Cortázar worked as a translator himself. This last fact, instead of making me quiver with insecurity under the scrutiny of a master of the trade, relaxed me instead with the knowledge that Julio knew from experience what I was up against. In­deed, in some cases he would make suggestions that only a translator could make. So when I came to the documentation that he used to spice up the novel I found myself doing what he was doing for a living, faithfully translating the reports and resisting the temptation to make them conform a little. In one case there was no need for concern; he had devised a haiku made up of a list of Burmese names that he must have come across in some report or other.
As the first part of Hopscotch and some of the “Expendable Chapters” take place in Paris, quite a bit of French is woven into the narration. This could have been translated, but I left it as it was. Had Julio wanted these spots in English he would have translated them into Spanish in the first place. I also saw no reason to dumb the book down for readers of English and insult them in that way. I also left the Spanish intact sometimes for other reasons. Like any song, tangos are better left in the original or great and sometimes hilarious damage is done. I remember my opera-loving father’s chuckling over the absurdity of translation in opera as he cited a recitative he had heard in a performance sung in English instead of Italian that went “Here comes the woman with the milk.” The effect is the same as the one I mentioned earlier when Mr. Smith replaced Mr. Bean at Merrill Lynch, which could have been the reason for James Merrill’s abandoning the family trade.
It’s hard enough to figure out what to do with languages other than the author’s or the translator’s, but what does one do with an invented one? Cortázar has one such tongue in Hopscotch. It’s a language of love in that it describes amorous activity. It really isn’t necessary to understand the words. The way they’re strung together tells us what’s going on. Their sound is suggestively helpful too. It is like Góngora’s seemingly arcane poetry. I have found that knowing in detail what he’s on about calls for exegesis and the death of his poetry. A sim­ple reading aloud renders a feeling of what he is saying, much like the meaning we extract from a piece of music without knowing which notes are what. We can read Mallarmé’s poem or listen to Debussy’s prelude and the effect should be the same. This is how we approach Julio’s glíglico. I had to translate it, however, so I put it into Gliglish rather than English and I think I kept enough of its substance to make even Mr. Frost happy, but I wasn’t out to please him, only my readers and per­haps Mr. Joyce.
I was aided in this venture by having listened to all manner of phrases from a language called Vermacian, put together by my daughter Clara at an early age to be spoken to her Snoopy doll. It was just foolish enough to match the foolish nature with which she had endowed him. Like Gliglish, it has an En­glish base, which would lead some to call it a dialect. Snoopy himself would simply say of himself that he had a “speech de­feck,” not such an acceptable term today, better left in Verma­cian. For some mysterious reason it veers toward the Slavic in its endings, with genitive-sounding things like Snoopev, Momev, and Dadev. This has defied explanation on everyone’s part and calls for the expertise of a psycho-linguist. Clara had met Julio and was impressed with his height, comparing him to President Lincoln and calling him “the six-foot-four man.” In his correspondence there would always be a

altezza, paragonandolo al Presidente Lincoln e chiamandolo “l’uomo di un metro e novanta”. Nelle lettere che mi mandava c’era sempre un

disegnino per lei. Come si può notare in alcune delle sue storie, ci sarà sempre una sorta di legame tra Cortázar e i bambini piccoli, un mutuo riconoscimento e una mutua comprensione indescrivibile. Per molti aspetti è stato un grandioso bambino, generoso e puro, e i bambini possono percepire quelli che sono loro pari, anche quando li guardano freddamente come un cane guarda un altro cane.

Come posso vedere da qui, Cortázar ha tessuto un gran parte del suo lavoro come se fosse la trama e l’ordito di una specie di arazzo. Questo pensiero emerge dopo tutto quello che è stato detto e fatto, se mai sia stato fatto. Ho potuto notare ciò nel secondo dei suoi romanzi che ho tradotto, 62: A Model Kit. Il mio titolo è abbastanza vicino al suo, 62: Modelo para armar, un modello che va assemblato. Quest’ultimo è troppo sgraziato e si limita a descrivere ciò che è comunemente chiamato kit di montaggio (ai miei tempi sarebbe stato un Erector Set o un meno realistico Tinker Toy). Il 62 del titolo si riferisce al capitolo 62 di Rayuela dove lo scrittore Morelli, l’alter ego del Pessoa di Julio, spiega come lui scriverebbe un romanzo. Morelli fornisce gli elementi e Cortázar li mette insieme per il suo romanzo. In un  certo senso questo romanzo si può definire una versione onirica di Rayuela, un sogno surrealista forse, ma in fondo tutti i sogni sono surrealisti e quindi fonte di realismo magico. Può essere definita una versione effimera del libro precedente così mi sono trovato a tradurre qualcosa che era già stato tradotto, anche se all’inferno di quelle misteriose dimensioni aggiuntive di cui parlano i fisici. L’eccentricità de Rayuela diventa qui vera e propria stravaganza.

La narrazione inizia in prima persona e poi passa alla terza nominando Juan come protagonista narrante. In altri momenti a questo protagonista/testimone fa riferimento come a mi paredro. Il meglio che sono riuscito  fare per risolvere questo è stato ricorrere al greco paredros, che è evidentemente l’ellenizzazione di qualche Doppelgänger dell’antico Egitto. Dovendo affrontare questo melange interculturale, ho optato per il greco invece di andare alla ricerca del rotolo di Thoth, perché il nome di quella divinità suona vero solo nella bocca di Boris Karloff. Possono sorgere problemi laddove lo spagnolo è accentato sulla seconda sillaba, parédro, mentre in anglo-greco cade sulla prima, páredros. Il lettore inglese, come quello spagnolo, viene spesso lasciato all’oscuro di questo, e ciò è nello spirito della storia.

Cortázar ha inventato due classici personaggi comici, Polanco e Calac, che improvvisano dialoghi in qualche strana lingua inventata da loro che a volte viene condivisa con altri. È molto simile al Gliglish di Rayuela e ho pensato che fosse opportuno  trattarla allo stesso modo, preservando le radici e anglicizzando le desinenze. Per esempio, Calac e Polanco si scambiano insulti di continuo, uno chiama l’altro petiforro e  di rimando viene chiamato cronco. Questi li ho resi con pettifor e cronk e sembrano mantenere il loro tono di denigrazione senza senso secondo lo spirito della prosa inglese. Può non aver senso per i principianti, ma  chi ha lavorato con Cortázar sia in inglese che in spagnolo non avrà grandi problemi a carpire il succo del discorso. E’ proprio in questo senso che cerco di capire la definizione di quelle persone che Julio chiama cronopio. Si può dare un’idea del significato di questa

 

sketch for her. As can be seen from some of his stories, there is some kind of bond between Cortázar and small children, a mutual recogni­tion and understanding that goes beyond notation. In many ways he was a great child, large and pure, and children can sense those who are their peers, even when they look them over coldly as one dog does another.

As I see it from here, Cortázar has threaded a great deal of his work into what could be the woof and warp of a kind of tapestry. This thought emerges after all has been said and done, if ever done it is. I can see this in the second of his novels that I translated, 62: A Model Kit. My title is quite close to his, 62: Modelo para amar, a model to be assembled. This last is much too awkward and all it does is describe what is commonly called a model kit (in my day it would have been an Erector Set or a less realistic Tinker Toy). The 62 in the title refers to Chapter 62 in Hopscotch where Julio’s Pessoa-like near heteronym, the writer Morelli, explains how we would write a novel. Morelli provides the elements and Cortázar fastens them together for his novel. In a certain way this novel could be called a dreams version of Hopscotch, a surrealist dream perhaps, but, then, all dreams are surrealist and hence the source of magic realism. It might be called an ephemeral version of the earlier book so I was faced with translating something that had already been translated, albeit inside one of those mysterious extra dimensions physicists talk about. The oddballs of Hopscotch here become true weirdlings.

The narration starts in the first person and then changes to the third and names the protagonist narrator as Juan. At other times this protagonist/witness is someone referred to as mi paredro. The best I could do in tracking this down was to come up with the Greek paredros, which is evidently the Hellenized version of some sort of ancient Egyptian Doppelgänger. Faced with this cross-cultural mélange, I opted for the Greek instead of searching out the scroll of Thoth because the name of that worthy sounds true only in the mouth of Boris Karloff. There can be a problem in the fact that the Spanish is stressed on the second syllable, paredro, while the Anglo-Greek comes on a paredros. The English reader, like his Spanish counterpart, is most likely left in the dark concerning all this, which is in the spirit of the story.

Cortázar has invented two classically ludicrous characters here, Polanco and Calac, who will burst into dialogue in some strange tongue of their own which at times is shared by others. It is much like the Gliglish of Hopscotch and I saw fit to handle it in the same way, preserving the root and Anglicizing the endings. For example, Calac and Polanco continually swap insults, the one calling the other a petiforro and being called a cronco in return. These I rendered as pettifor  and cronk and they seem to maintain their tone of meaningless denigration in the flow of the English prose. It may be meaningless to the uninitiated, but one who has worked on Cortázar in both English and Spanish will not have much of problem in extracting the juice of their intent.

It is along these lines that I try to feel out the definition of the person Julio calss a cronopio. The meaning of this really untranslatable designation can only be essayed by saying that

definizione davvero intraducibile solo dicendo che si chiamano così quelle persone dotate di quella ugualmente intraducibile qualità brasiliana chiamata jeito. E’ la persona che magari è l’unica in grado di aggiustare un’auto un giorno e dedicarsi al proverbiale sabotaggio il giorno dopo. Ho pensato a Cronos e alla cronologia e al tempo, ma Julio mi ha detto che non c’entravano niente. Ha detto che una persona sa di essere un cronopio semplicemente essendolo, non c’è bisogno di spiegazioni, il jeito o jeitinho è in azione. E’ stato un mio grande onore aver doppiato cronopio per Julio Cortázar e difendo il titolo con l’orgoglio di un cavaliere, compagno d’armi del Knight of the Woeful Countenance. L’idea del cronopio ha molto a che fare con come traduco i lavori di Julio. Ogni tanto penso che mentre facevo le sue cose io stesso ero il suo paredros, facendo quello che aveva fatto lui in tempo e luogo diversi. Mi piace pensare di esserlo ancora.

Ho lavorato su pochi altri libri di Julio, racconti, sketch e un altro romanzo. Quest’ultimo è particolarmente diverso da quelli che abbiamo considerato fin’ora. Cortázar l’ha scritto all’inizio della dittatura militare in Argentina, quando i generali di piombo hanno iniziato la loro guerra patologica contro i giovani e i disperati senza paura di alcuna opposizione dei carri armati o della fanteria specializzata (i Britannici gli insegneranno più avanti cos’è veramente la guerra). Loro guardano a lui come un non argentino come Julio ha guardato i suoi accusatori dalla zucca vuota (nati in Belgio, vissuti a Parigi), si sentiva più argentino di quelli di quel branco e, come Borges imputato di simili accuse, l’ha dimostrato con i suoi scritti. Per presentare un quadro dell’opposizione espatriata, Cortázar ha scritto Libro de Manuel (Manuel’s Book o Book of Manuel). I possibili titoli inglesi ci hanno creato problemi, troppo scialbi o troppo biblici. Ci siamo quindi decisi per un mio esitante suggerimento di usare A manual for Manuel. Mi chiedo ancora se non avessimo potuto fare una scelta migliore, forse in questo caso un titolo un po’ più lontano dall’originale. A Julio, sempre il cronopio, comunque, piaceva molto il gioco di parole, pur potendolo fare anche in spagnolo non l’aveva fatto. Per alcune ragioni collegate forse a tutto questo, Manual non sembra aver suscitato interesse come gli altri romanzi, anche se c’è una scena carina di un pinguino turchese che trotterella per le vie di Parigi diretto in Antartide. Forse perchè non ci sono Calac e Polanco a creare l’atmosfera adatta o forse perchè la dittatura che opprime tutto il libro di Julio non fa parte del suo humor. Nero sì, ma potrebbe non essere adatto a quella cupa realtà argentina così vicina al suo cuore. Garcìa Marquez e Demetrio Aguilera-Malta potrebbero essersi, diciamo, “divertiti” con dittatori brutali, ma Cortazar ha chiaramente un’inclinazione diversa. Forse è il bambino che c’è in lui.

Ho lavorato a un po’ di suoi racconti e ho scoperto che si adattano piuttosto bene all’inglese.  Quel vecchio e tedioso dibattito sul termine “realismo magico” viene ravvivato quando si prendono in considerazione i racconti di Cortázar. In veramente tanti casi avviene un’armoniosa metamorfosi di quello che reputiamo realtà in qualcosa che c’è davvero ma che non dovrebbe esserci secondo le nostre opinioni. A volte un atto o un oggetto inspiegabile è definito con una parola egualmente inspiegabile. Il mistero sta nel fatto che un oggetto può essere inspiegabile eppure esistere davanti ai nostri occhi. Possiamo entrare nel sogno come Suor Juana Inés de la Cruz che ha ricercato nella sua “teoria del tutto” oppure possiamo farlo entrare nella nostra esistenza dandogli un nome, una parola. E’ forse meno reale un oggetto

it stands for a person endowed with that equally untranslatable Brazilian quality called jeito. He is a person who may be the only one who can fix a machine one day and then throw in the proverbial monkey wrench the next. I thought of Cronos and chronology and time, but Julio said it has nothing to do with that. He said that a person knows if he is a cronopio simply by being one, no explanation needed, jeito or jeitinho at work. It is my great honor to have been dubbed cronopio by Julio Cortázar and I bear the title with the pride of a knight, comrade in arms of the Knight of the Woeful Countenance. The idea of the cronopio has much to do with how I translate Julio. I sometimes think that while I was doing his stuff I myself was his paredros, doing what he had done in a different time and place. I like to think that I still am.

I did a few other books by Julio, short stories, sketches, and another novel. This last is rather different from the ones we have been considering. Cortázar wrote it at the start of the military dictatorship in Argentina, as the tin-plate generals went about their pathological war of attrition against the young and the forlorn with no fear of any opposition from tanks or trained infantry (the British would teach them later what war was really like). As un-Argentine as Julio has looked to his shallow-minded accusers (born in Belgium, living in Paris), he felt more Argentine than any of that pack and, like Borges under similar accusation, proved it with his writings. In order to present a picture of the expatriate opposition, Cortázar wrote his Libro de Manuel (Manuel’s book or Book of Manuel). The possible titles in English were troublesome for us, too bland or too biblical. We finally settled on my own hesitant suggestion of A Manual for Manuel. I still wonder if we might not have done better, perhaps in this case a title a little more far-removed from the original. Julio, ever the cronopio, however, was intrigued by the play on words, even though he could have done the same in Spanish but hadn’t. For some reason related to all this perhaps, although there is one fine scene of a turquoise penguin ambling along the streets of Paris on its way back to Antarctica. Maybe it’s because the dictatorship hovering over the book is not a fit matter for Julio’s humor. Black as it can be, it might just not be apt for that grim Argentine reality so close to his heart. García Márquez and Demetrio Aguilera-Malta could have had what we might call “fun” with brutal dictators, but Cortázar is evidently on a different bent; his inner child perhaps.

I did quite a few of Julio’s stories and found that they adapted rather well to English. That weary old debate over the term “magic realism” gets livened up when Cortázar’s stories are considered. In so many cases we have the smooth metamorphosis of what we deem reality into something that’s really there but shouldn’t be according to our lights. Sometimes an inexplicable act or object is defined by an equally inexplicable word. The mystery lies in the fact that an object can be inexplicable and yet exist in front of our eyes. We can go into a dream like Sor Juana Inés de la Cruz as she sought after her own “theory of everything” or we can bring it into our own existence by giving it a name, a word. Is an object described in Gliglish any less real than when described in English or Spanish? In moments like these the translator must delve after the writer’s genius, as Harold Bloom does, and

descritto in gliglish di uno descritto in inglese o spagnolo? In momenti del genere il traduttore deve investigare dietro il genio dello scrittore, come fa Harold Bloom, e cercare di farlo proprio, diventando un vero paredros. Ho notato che mentre avevo dovuto insistere sulle mie facoltà mentali per risolvere questi problemi con Miguel A’ngel Asturias e con altri scrittori, con Julio Cortázar la miscela è stata armoniosa.

L’ultimo libro di Cortázar che ho tradotto è stato Un tal Lucas. Quando ci ripenso c’è un momento triste o forse allietante in cui mi rendo conto che la traduzione è stata pubblicata nel 1984, l’anno in cui Julio è morto. Dev’esserci qualcosa di più profondo e misterioso in tutto ciò perchè sento che di tutti i suoi libri questo è quello che più lo rappresenta. Questo Lucas dev’essere il suo paredros o come lo avrebbe chiamato lui a quel tempo. La teoria del doppio è descritta in uno dei suoi pezzi saggistici inseriti tra due serie di Lucas, nei quali nota che Dr.Jekyll sapeva di Mr. Hyde ma Hyde non sapeva di Jekyll. Per qualche strana ragione questo dovrebbe essere assegnato alla relazione autore-traduttore nell’ordine contrario. L’autore (Jekyll) scrive le sue parole ma in quel momento non sa che il traduttore (Hyde) sta per subentrare e in un certo senso diventare l’autore trasformando il testo. Speriamo che il finale sia più felice di quello dell’eroe di Stevenson e del suo paredros.

Ho già raccontato come ho iniziato il mio lavoro di traduttore professionale con Il gioco del mondo e come ho scoperto che io e Julio avevamo così tante idee in comune. Questo deve aver aiutato la mia traduzione perchè in tutti i suoi lavori a seguire che ho fatto c’era una sorta di flusso di espressione naturale  che trovo solo quando scrivo qualcosa di personale senza nessuna restrizione legata a fattori come obiettivi accademici. Questo flusso sarebbe continuato sia nei giri di frase più normali sia in quelli contorti. Anche mia moglie Clementine si è messa alla prova traducendo Julio. Ha lavorato al suo racconto Summer da A Change of Lighs and Other Stories. Il suo approccio e la sua visione della traduzione sono diversi dai miei, com’è giusto che sia. Non guardiamo mai al lavoro dell’altro come farebbero i critici e invece, spesso, offriamo volontariamente suggerimenti che sono accolti con gioia dato che migliorano il lavoro. Finita questa esperienza Clem ha portato il suo romanzo breve intitolato Summer II, alquanto diverso nell’intento ma con una specie di affinità mistica anche se ovvia nel titolo. Ha anche ammesso che Edith Wharton possa averci messo mano, anche se il racconto è davvero molto Julio.

L’ipotesi che ho avanzato che il traduttore non si deve sacrificare, non deve tradirsi diventando chi sta traducendo non va davvero contro quello che ho scritto qua sopra. Questo mi avvicina all’opinione di Miguel de Unamuno che Don Chisciotte e il suo cavaliere sono sempre stati lì ma che Cervantes ci è semplicemente arrivato per primo. Unanumo non ha mai perdonato il suo omonimo, dicendo che aveva proprio intenzione di scrivere il libro. Possiamo percepirlo nel modo in cui ha scritto il suo romanzo, o nivola come lui lo chiama, Niebla, e può anche spiegare perchè negli anni ci sono state così tante buone traduzioni di Don Chisciotte, ognuna creazione di Cervantes e ognuna creazione personale del traduttore e quindi un buon lavoro, anche quando il montone viene reso come agnello.

Sento che essendo stato Julio Cortázar il primo autore, sono stato messo nel

try to fir it into his own, become true paredros. I found that while I would have to belabor my wits to solve such problems with Miguel Ángel Asturias and other writers, with Julio Cortázar the blend was smooth.

The last book by Cortázar that I translated was A Certain Lucas. As I look back there is a saddening or maybe a gladdening moment when I realize that the translation came out in 1984, the year Julio died. There must be something deeper and more mysterious to all this because I feel that of all his books this is the most Julio one. This Lucas has to be his paredros or whatever he would have called him at the time. The idea of the double is described in one of his essayistic pieces put in between two batches of Lucas, wherein he notes that Dr. Jekyll knew about Mr. Hyde but that Hyde didn’t know about Jekyll. In some odd way this might be applied to the author-translator relationship in reverse order. As the author (Jekyll) writes his words he doesn’t know at the time that the translator (Hyde) is to take over in a sense and become the author as he transforms the text. Let us hope that the outcome, will be happier than it was for Stevenson’s hero and his paredros.

I have explained above how I began my work as a professional translator with Hopscotch and how I found that Julio and I had so many in common. This must have aided my translation because in all the subsequent things of his I did there was a kind of natural flow of expression that I only find when I am writing something personal without any restraints from matters like academic purposes. This flow would continue along through both standard and quirky turns of expression. My wife Clementine also essayed her hand at translating Julio. She did his story “Summer” from A Change of Light and Other Stories. Her approach and her views on translating are different from mine, as they should be. We never go over each other’s work as critics would and instead, more often than not, offer voluntary suggestions that are apt to be joyfull accepted as they improve the work at hand. Out of this experience Clem brought her own novella entitled Summer II, quite different in intent but with some sort of mystic kinship if only obvious in the title. She also allows that Edith Wharton might have had a hand in it, although the story is really very Julio.

The idea I have broached that the translator must not sacrifice himself, must not betray himself by becoming someone else as he translates does not really run counter to what I have been saying above. This brings me to Miguel de Unamuno’s notion that the Quijote and its knight were there all the time but that Cervantes just got it first. Unamuno never forgave his namesake, saying that he had really been meant to write the book. We can sense this in the way he wrote his novel, or nivola as he called it, Niebla (Mist), and it also might explain why there have been ever so many good translations of Don Quixote done over the years, each one Cervantes’s creation and each one also the personal creation of the translator and therefore a fine piece of work, even when mutton is rendered into lamb.

It is my feeling that by having Julio Cortázar as my first author I was put into just

giusto stato d’animo e modalità per tradurre gli altri. Fondendo le mie parole con le sue devo essere caduto nel ruolo del paredros e facevo in inglese quello che lui aveva fatto in spagnolo, completamente incosciente ma in qualche modo istintivamente consapevole. Hyde stava conoscendo Jekyll. Stavano iniziando a somigliarsi ma non avrebbero mai potuto essere la stessa persona dato che lavoravano in dimensioni di linguaggio diverse che possono solo portare riflessioni. Non sono sicuro che avrei potuto scrivere Il gioco del mondo arrivandoci prima, ma l’ho portato a una versione inglese che Julio ha approvato e apprezzato come tanti altri. Mi chiedo ora al mio nono decennio a guardare parole svanire e poi riaccendersi in nuovi significati e sfumature se qualcuno in futuro mi seguirà nella riproduzione di quello che Julio ha scritto. Potrebbe andare avanti ancora e ancora, perchè le traduzioni che hanno la strana virtù progressiva letteraria di non essere mai finite. Avendo letto bene Il gioco del mondo si può notare che anche questo non è mai stato davvero finito, e che Cortàzar ci invita a fare quello che non ha fatto lui. Se andrà così, teniamoci bene a mente Avellaneda, chiunque lui fosse, che ha provato a finire il lavoro di Cervantes ma che ci ha lasciato con un racconto piccolo e divertente che ci conduce verso il nulla. In realtà finisce in un manicomio, un posto dove Don Chisciotte non sarebbe mai andato (e infatti non ci andò). L’integrità di un lavoro è portata a termine meglio nella traduzione, dove il traduttore può lavorare a cose negate all’autore dalla sua linguaggio, allo stesso modo in cui San Gerolamo ha erroneamente capito che Mosè fosse cornuto come Michelangelo ha poi inciso sulla pietra immortale. Per portare ciò a una conlusione adeguatamente inconcludente, suggerisco che nel suo senso o nonsenso, ciascuna traduzione che ho fatto da Il gioco del mondo in poi è stata in un modo o nell’altro la sua continuazione

the proper mood and mode for translating others to come. As I blended my words with his I must have slipped into the role of paredros and was doing in English what he had been doing in Spanish, largely unaware but somehow instinctively knowing. Hyde was getting to know Jekyll. They were beginning to resemble each other but could never become one another as they worked in different dimensions of language that could only produce reflections. I am not sure that I could have written Hopscotch had I got there first, but I did get it into an English version that Julio approved and liked as did some others. I wonder now in my ninth decade as I watch words fade and then glimmer back into new meanings and nuances if someone will be following me at some future time into a reproduction of what Julio wrote. It could go on and on, translations have the strange progressive literary virtue of never being finished. If we have read Hopscotch properly we can see that it, too, was never really finished that Cortázar is inviting us to do what he had not done. If that is to be the case, let us keep Avellaneda, whoever he was, in mind as he tried to finish Cervantes’s work but left us with an amusing little tale that trips along to nowhere. As a matter of fact it ends up in the booby hatch, a place where Don Quixote wouldn’t be caught dead (and wasn’t). The completion of a work is best done in translation, where the translator can work at things denied the author in his own language, even the way Saint Jerome mistakenly implied the cuckoldry of Moses which Michelangelo then wrought in enduring stone. To carry this to a fittingly inconclusive conclusion, I suggest that in the sense or nonsense of it, every translation I have done since Hopscotch has in some way or another been its continuation.

ANALISI

La particolarità del processo di traduzione di Gregory Rabassa è la modalità con cui si approccia al libro. Come scrive in Rayuela:

“Come ho già detto, ho letto tutto il romanzo solo mentre lo traducevo. Questa strana e inusuale procedura in qualche modo seguiva la natura del libro stesso e penso non sia stata per niente nociva alla traduzione. Anzi, può averne assicurato il successo.”

Questo procedimento all’apparenza insolito risulta per Rabassa il modo migliore per comprendere la mente di Cortázar, che compone i suoi libri secondo complicati schemi spesso non approvati dai critici più legati alla tradizione. Cortázar utilizza l’invenzione di nuovi elementi per i suoi romanzi, e quindi questa risulta essere una particolarità costante della sua scrittura che coinvolge indirettamente il traduttore.

A mio parere, l’invenzione è un flusso di pensieri che si concretizza in un nuovo codice. Inventare un nuovo codice (processo talmente elementare che viene spesso compiuto dai bambini con la creazione di alfabeti segreti) consiste nell’associare una serie di nozioni già esistenti in una sequenza completamente diversa. Come Clara, figlia di Rabassa, inventa il Vermaciano seguendo uno schema a metà tra l’inglese e lo slavo:

“Sono stato aiutato in questa avventura dall’ascolto di ogni tipo di frase in una lingua chiamata Vermaciano, inventata da mia figlia Clara da piccola per parlare con il suo peluche di Snoopy. Era folle quel tanto che basta per corrispondere alla natura folle della quale lo aveva dotato. Come il Gliglish, ha una base inglese che potrebbe portare qualcuno a definirla dialetto. Snoopy direbbe semplicemente di se stesso che ha uno “speech defeck” (“defetto di pronuncia”), un termine che oggi non è molto accettabile, meglio se lasciato in Vermaciano. Per misteriose ragioni si avvicina allo Slavo nelle sue desinenze, con elementi che sembrano genitivi come Snoopev, Momev, Dadev. Il fenomeno non è stato spiegato da nessuno e ha richiesto la consulenza di uno psicolinguista.”

Questo Vermaciano ha quindi aiutato Rabassa a comprendere la natura del Gliglish, lingua con cui comunicano Calac e Polanco, due personaggi comici inventati da Cortázar. Una volta compresa la natura di questa lingua si è adoperato per ricostruirla sostituendo la cultura emittente con quella ricevente:

“Per esempio, Calac e Polanco si scambiano insulti di continuo, uno chiama l’altro petiforro e  di rimando viene chiamato cronco. Questi li ho resi con pettifor e cronk e sembrano mantenere il loro tono di denigrazione senza senso secondo lo spirito della prosa inglese.”

Il lavoro di Rabassa è dovuto andare più a fondo della semplice traduzione, costringendolo a diventare egli stesso creatore di un nuovo codice.

La creazione di nuovi codici non si limita alla semplice invenzione di nuovi linguaggi, ma si estende a tutto il campo artistico: pittura, scrittura, cinema, etc.

Il 20 febbraio 1909 a Parigi Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) pubblica sul “Figaro” il Manifesto ( “Le Futurisme”) di un nuovo movimento letterario e artistico, il Futurismo, caratterizzato dalla celebrazione della tecnologia moderna.

Marinetti intende dare voce alle frustrazioni di una generazione che si sente imprigionata dal peso delle tradizioni artistiche occidentali.

I futuristi propugnano una nuova estetica e una nuova concezione della vita, fondate sul dinamismo come principio base della moderna civiltà delle macchine. Il Manifesto si articola in 11 provocatori punti.

Per i futuristi quindi, inventare un nuovo tipo di scrittura era un modo per liberarsi dalle limitazioni della società di allora. Allo stesso modo Boccioni (1882 – 1916) e Balla (1871-1958) hanno interpretato questa ribellione con i colori per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. È un atto di ribellione dell’arte contro la tradizione che riprende nozioni già esistenti in una sequenza completamente diversa.

 

Marinetti – Il bombardamento di Adrianopoli (1912-13)

Ogni

5  secondi   cannoni  da    assedio  sventrare

spazio  con  un  accordo  tam-tuuumb

ammutinamento  di   500    echi   per   azzannarlo

sminuzzarlo   sparpagliarlo   all´infinito

nel  centro  di  quei  tam-tuuumb

spiaccicati  (ampiezza  50  chilometri  quadrati)

(…)

 

 

Boccioni – Dinamismo di un giocatore di calcio (1913)

 

 

 

 

 

Balla – La Guerra (1916)

Ma senza andare troppo a fondo negli schemi del futurismo, l’invenzione nella scrittura non riguarda solo ribellioni contro una cultura stagnante. Ne si trova un esempio in Le città invisibili di Calvino:

“Nelle Città invisibili non si trovano città riconoscibili. Sono tutte città inventate, le ho chiamate ognuna con un nome di donna; il libro è fatto di brevi capitoli, ognuno dei quali dovrebbe offrire uno spunto di riflessione che vale per ogni città o per la città in generale. (…) Così mi sono portato dietro questo libro delle città negli ultimi anni, scrivendo saltuariamente, un pezzetto per volta, passando attraverso fasi diverse. Per qualche tempo mi veniva da immaginare solo città tristi e per qualche tempo solo città contente; c’è stato un periodo in cui paragonavo le città al cielo stellato, e in un altro periodo invece mi veniva sempre da parlare della spazzatura che dilaga fuori dalle città ogni giorno. Era diventato un po’ come un diario che seguiva i miei umori e le mie riflessioni; tutto finiva per trasformarsi in immagini di città: i libri che leggevo, le esposizioni d’arte che visitavo, le discussioni con gli amici.”[3]

In questo caso Calvino non sta cercando di andare contro una tradizione ostile, piuttosto cerca di descrivere la realtà che lo circonda. Una realtà che sta andando verso la standarizzazione degli stili di vita e verso la crisi della città urbana. Scrive il suo ultimo poema d’amore alla città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverla come tale. Nei suoi viaggi raccoglie il materiale necessario alla composizione del romanzo (anche se non è un romanzo in senso stretto): raccoglie cartelle per oggetti, animali, persone, mitologia, stagioni, città e paesaggi, reali o immaginari. La sua creatività si focalizza quindi su una domanda principale:

“Che cosa è oggi la città, per noi?”

Raccogliendo informazioni dal mondo, Calvino da vita a una discussione sulla città moderna. Vuole scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere nelle città, ragioni che potranno valere al di là di tutte le crisi. Anche l’invenzione di Calvino scaturisce da un insieme di nozioni già esistenti in una sequenza completamente diversa.

 

In sintesi, l’invenzione sembra essere una via di fuga, un rifugio dove si cerca di comprendere (o combattere) le ragioni di ciò che ci circonda. Per un traduttore, secondo me, ciò che per altri è una via di fuga è la base del processo intuitivo che porta alla comprensione del testo su cui lavorare.

Lingue, città e forme immaginarie contribuiscono alla comprensione dell’ordinario. L’ordinario forma l’essere umano per poter collocarsi all’interno di uno schema sociale, l’immaginazione stimola l’essere umano a evadere da questo schema.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(…) Dr.Jekyll sapeva di Mr. Hyde ma Hyde non sapeva di Jekyll. Per qualche strana ragione questo dovrebbe essere assegnato alla relazione autore-traduttore nell’ordine contrario. L’autore (Jekyll) scrive le sue parole ma in quel momento non sa che il traduttore (Hyde) sta per subentrare e in un certo senso diventare l’autore trasformando il testo.

Riferimenti bibliografici

–                RABASSA GREGORY, 2005 If this be treason. Translation and its dyscontents. A memoir. New York: New Directions

 

–                ITALO CALVINO, 2006 Le città invisibili. Milano: Mondadori

RINGRAZIAMENTI

 

La strada che mi ha portato fin qui è stata tortuosa, fatta di alti e bassi.

 

Innanzitutto ringrazio il Professor Osimo per l’aiuto e il supporto (tecnico e morale) che mi ha dato.

Ringrazio la mia mamma e il mio papà, che sono sempre pazienti con la loro ultima figlia combina guai.

Ringrazio Marzia, Pamela e Arianna, che nonostante la lontananza mi sono state vicine e hanno ascoltato i miei dubbi e le mie ansie.

Ringrazio Alessio per la semplice muta vicinanza che mi fa compagnia nei periodi difficili.

Ringrazio il Professor Ribatti, mio insegnante del liceo, per avermi insegnato l’attenzione a ciò che circonda e a tutte le sue sfaccettature e la passione per la traduzione, partendo dal latino.

E ringrazio tutti coloro che sono stati d’aiuto volontariamente e non con una frase, un’espressione o qualsiasi altro che mi abbia ispirato a voler perseverare in ciò che più sogno per il mio futuro.

 

Vorrei dedicare una parte di questi ringraziamenti a Roberto, spirato quest’autunno. Lui più di altri mi ha comunicato la pacata passione per la letteratura e la traduzione, con lui nel cuore continuerò a leggere e, si spera, a tradurre.



[1]           Iperromanzo: Italo Calvino, inventore della parola, descrive l‘iperromanzo, durante le lezioni che avrebbe dovuto tenere all’università di Harvard (Lezioni Americane), come luogo “d’infiniti universi contemporanei in cui tutte le possibilità vengono realizzate in tutte le combinazioni possibili”; dove può valere “un’idea di tempo puntuale, quasi un assoluto presente soggettivo”; dove le sue parti “sviluppano nei modi più diversi un nucleo comune, e che agiscono su una cornice che li determina e ne è determinata”; che funziona come “macchina per moltiplicare le narrazioni”; “costruito da molte storie che si intersecano”.

[2] Hopscotch, Gregory Rabassa – Il gioco del mondo – Flaviarosa Nicoletti Rossini

 

[3] ITALO CALVINO, 2006 Le città invisibili. Milano: Mondadori.

 

Hermans: produzione e riproduzione della traduzione

Hermans: produzione e riproduzione della traduzione

Valeria Tunesi

 Fondazione Milano

Milano Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

Relatore: professor Bruno OSIMO

Diploma in Mediazione linguistica

Dicembre 2012

© Theo Hermans, «Produzione e riproduzione della traduzione», 2002

© Valeria Tunesi per l’edizione italiana 2012

Hermans: produzione e riproduzione della traduzione

 

 

Abstract italiano:

Qui si analizza l’articolo The production and reproduction of translation di Theo Hermans nella versione italiana. L’autore parte da un problema molto comune quando ci si trova ad affrontare testi tradotti, ovvero come mai ci si sente autorizzati a contestare alcune scelte compiute dal traduttore. Nell’articolo si analizza il problema tramite i concetti di norma e comunicazione per giungere poi alla teoria sistemica di Luhmann e fornire l’adeguata spiegazione teorica a un problema di natura pratica. L’esempio finale mira ad applicare i concetti illustrati da una prospettiva storica.

 

English abstract:

Here I’m going to analyze the Italian version of the article The production and reproduction of translation by Theo Hermans. The author begins with a very common problem regarding translated texts, i. e. why we feel authorized to question some of the choices the translator has made. This article analyzes the problem through the concepts of norm and communication and introduces Luhmann’s system theory, in order to provide and adequate theoretical explanation to a practical problem. The final example aims to apply these concepts from a historical perspective.

 

Samenvatting:

Hier wordt de Italiaanse versie van het artikel The production and reproduction of translation van Theo Hermans geanaliseerd. De auteur gaat uit van een vaak voorkomend probleem bij vertaalde teksten, ofwel hoe komt het dat men zichzelf het recht geeft om bepaalde vertalingskeuzes van de vertaler in twijfel te trekken. In het artikel wordt dit probleem geanaliseerd met behulp van norm- en communicatiebegrippen, om dan verder in te gaan op de systematische theorie van Luhmann en er wordt een theoretische uitleg gegeven voor een praktisch probleem. Tot slot volgt er een voorbeeld dat de betreffende concepten toepast vanuit een historisch perspectief.

 

Sommario:

 

  1. Prefazione
  2. Traduzione

 

1. Prefazione

 

1.1La presente tesi ha come oggetto la traduzione dell’articolo The producion and reproduction of translation (Produzione e riproduzione della traduzione). L’articolo è stato scritto da Theo Hermans nel 2002 per il libro Translations: (Re) shaping of Literature and Culture (curato da Saliha Parker, Bogaziçi University Press, Istanbul, 2002).

 

Theo Hermans è docente di Nederlandese e Letteratura Comparata all’University College of London e nella sua carriera si è occupato più volte dello studio e dell’analisi della traduzione, con numerose pubblicazioni, lezioni e articoli redatti in varie lingue, inglese e nederlandese soprattutto. L’articolo tradotto in questa tesi fa parte di una serie di saggi che vogliono sfidare l’idea delle traduzioni come prodotto derivato di poca importanza letteraria o culturale. Per raggiungere questo scopo, vengono selezionati e presentati una serie di concetti nati dal moderno studio della traduzione e applicati a un contesto storico, per dimostrare la validità di tali idee e la forza delle traduzioni e delle scelte traduttive come un importante mezzo per studiare e comprendere contesti storici e culturali passati.

 

Hermans approccia il problema tramite tre diverse fasi. In primo luogo presenta un problema comune quando si ha a che fare con testi tradotti di qualunque tipo, da romanzi a testi tecnici, ovvero perché ci si sente autorizzati a criticare una scelta traduttiva. L’autore, dunque, si sposta dal piano pratico a quello teorico presentando il concetto di «aspettativa normativa» o «norma», che nel caso della traduzione non è un semplice legame di causa-effetto, bensì l’interazione tra gli individui che devono comunicare tramite la traduzione e, quindi, coordinarsi dal punto di vista del contatto interpersonale, tempo e spazio. Le norme servono a sottolineare che, per ogni situazione, c’è una gamma di opzioni disponibili, dove il traduttore ha cercato e trovato la parola di cui aveva bisogno e alla quale ci si rifà quando si critica questa scelta traduttiva.

 

Prima di approdare alla teoria sistemica di Luhmann, Hermans si sofferma ulteriormente sul significato della traduzione come «comunicazione» e sull’importanza, spesso trascurata, che anche la scelta del testo stesso, quello che poi viene tradotto, è suggerita da una serie di situazioni e decisioni, che si concludono con la scelta di quel determinato testo rispetto ad altri. La traduzione, secondo Hermans, è un sistema composto da comunicazioni e affermazioni riguardo la traduzione: è un sistema che si auto-riproduce all’infinito e non esiste per sé, ma si lega ad altri sistemi e ad altri interessi.

L’esempio storico conclusivo scelto da Hermans è la traduzione dal latino di Consolazione della filosofia di Boezio da parte del prete fiammingo Adrianus de Buck. Il lavoro di de Buck si inserisce in un contesto complesso e allo stesso tempo delicato, che spiega le scelte, talvolta bizzarre, compiute dal prete, che hanno poi influenzato i successivi lavori di traduzione di quell’area culturale.

 

1.2  Di seguito l’analisi dei problemi di traduzione più significativi riscontrati.

 

  • · Various other scholars, mostly in Germany and in the Low Countries, have used Luhmann’s concepts and terminology.

 

In questa frase la difficoltà è dovuta alla traduzione della parola Low Countries, perché indica una realtà storica che attualmente non esiste più. Partiamo dalla definizione:

 

Territorio di estensione variabile, posto nell’Europa nordoccidentale tra le Ardenne e il mare, e che per più di tre secoli coincise con le diciassette province:vi appartennero, per periodi più o meno brevi, anche il Lussemburgo, la Francia settentrionale (Artois, Fiandra, Hainaut) e alcuni territori renani (Colonia) o bassotedeschi (Münster).

(Atlante Enciclopedico Touring, Storia moderna e contemporanea, 1990)

Vediamo quindi che la traduzione letterale, ovvero «Paesi Bassi», non solo è riduttiva, ma anche errata, così come «Paesi Bassi storici» non è di immediata comprensione. «Low Countries» («Lage Landen» in nederlandese) indica un territorio che storicamente corrispondeva agli attuali Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo, più alcune regioni francesi e tedesche. In assenza di un termine che definisca questa unità territoriale in modo immediato e senza utilizzare descrizioni eccessive, ho scelto di tradurre «Low Countries» con «Benelux».

Nonostante il contesto storico tra le due entità sia ben diverso, la delimitazione geografica di «Benelux» è quella che più si avvicina al concetto di «Low Countries». Questo concetto, inoltre, viene presentato nell’introduzione dell’articolo, al di fuori dell’esempio storico conclusivo: la mancanza di una precisa indicazione temporale e la complessità della definizione di «Low Countries» rende piuttosto difficile la comprensione. L’autore ha probabilmente voluto introdurre presto questo concetto per poi rifarsi all’esempio storico successivo, ambientato proprio nel Seicento, quando i «Low Countries» erano una realtà.

 

La frase in italiano risulterà:

  • · Numerosi altri studiosi, la maggior parte in Germania e Benelux, hanno utilizzato i concetti e la terminologia di Luhmann.

 

 

  • · De Buck’s translation appeared in Bruges, i.e., in the Southern Netherlands then still under Catholic Spanish rule. The mainly Protestant (more particular, Calvinist) Northern Netherlands had, after a prolonged war with Spain, become an independent and astonishingly prosperous republic. Spain formally recognized the Dutch Republic as an independent state in 1648.

 

Di nuovo ci vengono introdotte entità territoriali storiche non più esistenti. La differenza dal passaggio precedente è che, però, qui l’autore sta illustrando l’esempio storico a cui aveva accennato in precedenza e fornisce numerosi riferimenti temporali (poco prima ha infatti citato l’anno preciso della pubblicazione del lavoro di De Buck, il 1653). Ci troviamo, quindi, davanti a un contesto in cui i riferimenti storici sono ben chiariti oltre a parlare di entità più note dei precedenti «Low Countries».

 

Ho scelto quindi di mantenere le traduzioni letterali per «Southern Netherlands» (Paesi Bassi meridionali) e «Northern Netherlands» (Paesi Bassi settentrionali): i primi corrispondono a gran parte del Belgio moderno e al Lussemburgo, mentre gli altri corrispondono agli attuali Paesi Bassi. «Northern Netherlands» in questo contesto storico corrisponde inoltre a«Dutch Republic», «Province Unite»: ho però deciso di mantenere Paesi Bassi settentrionali in tutto il testo del testo per rispecchiare la voluta contraddizione tra Nord e Sud che l’autore sottolinea in tutto l’esempio.

La frase in italiano risulterà:

 

  • La traduzione di de Buck venne pubblicata a Brugge, ovvero nei Paesi Bassi meridionali quando ancora erano dominati dagli spagnoli, cattolici. I Paesi Bassi settentrionali, per lo più protestanti (calvinisti, per essere precisi) erano diventati una ricca repubblica indipendente, dopo una lunga guerra contro la Spagna, che riconobbe l’indipendenza della Repubblica delle Sette Province Unite nel 1648.

 

 

ñ . Its only durability and stability, as a concept and a practice, comes from its constant autopoiesis as a system.

 

Così come all’inizio del paragrafo avevamo incontrato l’aggettivo «autopoietic», qui ci viene riproposto in forma sostantivata, «autopoiesis». La parola, che in italiano è resa semplicemente con «autopoiesi», si è rivelata particolarmente difficile da contestualizzare, poiché definizioni di questo concetto si trovano in numerose discipline.

Consultando numerosi dizionari monolingua di italiano, le uniche informazioni che ho ottenuto sono state l’origine della parola e una definizione scarna:

 

Autopoiesi

n.f. invar. capacità di un sistema di autoriprodursi, conservando invariate le sue caratteristiche 
Comp. di αὐτo- (auto-) e ποίησις (poiesis, produzione).

(Treccani, dizionario della lingua italiana, 2010)

 

Questa definizione non è però sufficiente per capire come mai Luhmann stesso aveva fatto uso di questo termine nella sua teoria sistemica. È stata utile invece la consultazione di un dizionario tecnico:

 

Autopoièsi [Comp. di auto- e poiesi] La capacità di riprodurre sé stessi che caratterizza i sistemi viventi in quanto dotati di un particolare tipo di organizzazione, i cui elementi sono collegati tra loro mediante una rete di processi di produzione, atta a ricostruire gli elementi stessi e, soprattutto, a conservare invariata l’organizzazione del sistema (spec. di fronte a mutamenti che possono intervenire nello spazio fisico in cui esso opera). ◆ Più in generale, il termine è riferito a ogni sistema la cui organizzazione si riproduce in forma invariata e in modo essenzialmente indipendente dalle modificazioni dello spazio fisico in cui esso opera.

(Treccani, dizionario tecnico, 2012)

Inoltre:

Autopoiesi è un termine coniato intorno al 1972 dai biologi cileni Humberto Maturana e Francisco Varela, unendo le parole greche auto- (se stesso) e poiesis (creazione, produzione).Un sistema autopoietico è un sistema che ridefinisce continuamente sé stesso ed al proprio interno si sostiene e si riproduce. Maturana e Varela sono i primi a riconoscere l’autorganizzazione quale discriminante tra vivente e non vivente.

(Louis W. Sander, Pensare differentemente. Per una concettualizzazione dei processi di base dei sistemi viventi. La specificità del riconoscimento, 2005)

Hermans vuole sottolineare che la scelta di Luhmann del termine «autopoiesi» non è solo dettata dalla volontà di indicare la traduzione come un sistema che contiene in sé gli elementi necessari per la sua auto-riproduzione, ma che la traduzione è un sistema vivente, in continuo movimento, e non qualcosa di immobile, passivo.

 

2. Traduzione

Production and reproduction of translation

Introduction

 

Imagine that we are happily reading a translation, let’s say a translated novel, and suddenly we stumble upon a real howler, a glaring anomaly, something irreconcilable with our idea – our expectation – of what a translated text should be, of what constitutes a ‘proper translation’? What do we do?

The least likely response is one of relaxed acceptance, of the kind ‘Oh well, this must be another way of doing it, one I had never considered as coming within the purview of translation, but there you are.’ No, the common response is that, having looked twice to make sure we are not dealing with a printing error, we grow indignant. We say: ‘Wrong!’, ‘Incompetent!’, ‘Unacceptable!’. We say: ‘Do they call this translation?’ – meaning: I don’t, therefore it isn’t, and everyone who knows anything about translation is bound to agree with me – which makes it very hard for any self-respecting witness to disagree. And if the fancy takes us we set to work on the text with a red pencil, or write to the publisher, or phone the translation agency. In doing so we are emphatically upholding and reaffirming our idea of ‘translation’, what it is, and what in our view it evidently is not. At the same time we appeal

to a publicly recognized and acknowledged category, both a concept and a practice, to which, in our view, this translation must be made to correspond if it is to be accepted as a valid translation.

Consider our starting point again. How to respond when our expectations are disappointed by a flagrant transgression?

 

 

Produzione e riproduzione della traduzione

Introduzione

Immaginiamo di essere felicemente intenti a leggere una traduzione, un romanzo tradotto per esempio, e di inciampare all’improvviso in un vero strafalcione, una lampante e inaccettabile anomalia, qualcosa di completamente inconciliabile con la nostra idea, con la nostra aspettativa, di ciò che dovrebbe essere un testo tradotto o di ciò che costituisce una «traduzione vera e propria». Cosa facciamo?
Potemmo essere tranquilli a riguardo e dire «Oh bé, dev’essere un altro modo di tradurlo, un modo che non avevo mai pensato fosse accettabile in una traduzione, ma eccolo qui». Come tutti noi sappiamo, una risposta del genere è improbabile. Al contrario, la reazione comune è, dopo aver letto due volte per accertarsi di non aver a che fare con un errore di stampa, uno scoppio di indignazione e condanna. Diciamo «Che errore!», «Inaccettabile!», «Stupido!». Diciamo: «E la chiamano traduzione, questa?» intendendo: io no, perciò non lo è, e chiunque sappia qualcosa di traduzione sarà d’accordo con me (il che tronca sul nascere le obiezioni di un qualsiasi testimone con un minimo di amor proprio). E se ci gira ci mettiamo a lavorare sul testo con una penna rossa, o scriviamo all’editore, o chiamiamo l’agenzia di traduzione. E così facendo stiamo sostenendo e riaffermando in modo energico la nostra idea di «traduzione», cos’è, cosa dal nostro punto di vista chiaramente non è e, nel contempo, ci appelliamo a una categoria pubblicamente riconosciuta, in teoria che una pratica, a cui questa traduzione in particolare deve adeguarsi perché essa sia accettata come valida.

Riprendiamo in considerazione il nostro punto di partenza. La domanda era: come si affronta un’anomalia lampante?

Broadly speaking we have a choice between two alternatives: we can be flexible, and adjust our mental picture of the world to the empirical reality we observe; or we can keep our world view intact by dismissing the anomaly or by correcting it (that is, undoing it) in one way or another.

In the first case we may be said to adopt a learning attitude. This means it is we who change, in that we seek to incorporate the new experience into our world picture by adjusting the picture so as to accommodate the new reality. In this case we adjust our expectations

about the world and the range of likely occurrences in it to the possibility of another occurrence like the apparently anomalous one we just observed. In our example this would mean accepting the apparent breach as a possible alternative way of translating.  By adjusting our expectation we build in the possibility that we may encounter similar cases in the future.

In the second case we refuse to let our experience affect our idea of the nature of things. Having censured the anomalous fact, we either erase it or force it back into line with our mental picture. At best we let it pass, this once, and hope it will not happen again. This

allows us to stick to our existing beliefs and to carry on as we were, despite the occurrence of an incongruous fact, which, we decide, should not have happened in the first place.

The first attitude, the adaptive, learning one, is a matter of having cognitive expectations. This is an attitude which will try to build and amend and forever rebuild hypotheses about the world. If our mental scheme of things falls out with the world, we adjust the scheme. This mode of  expectation tends towards the world of science. Science seeks to understand the world as it is, and remains prepared to redesign its models of the world. The other attitude, which is unwilling to learn, corresponds to a normative expectation. It provides more peace of mind to the individual because it is more stable. It is ‘counterfactually stable’ in that disappointments, anomalous occurrences, even flagrant breaches do not really upset it. It carries on regardless.

 

In linea di massima, possiamo affermare che la scelta ricade tra due alternative: essere flessibili e adattare la nostra immagine mentale del mondo alla realtà empirica che osserviamo, oppure mantenere intatta la nostra concezione del mondo, accantonando l’anomalia o correggendola, per esempio annullandola in un modo o nell’altro.
Nel primo caso assumiamo un atteggiamento teso all’apprendimento. Cerchiamo di incorporare la nuova esperienza nella nostra immagine del mondo modificandola così che si adatti alla nuova realtà. Così facendo, cambiamo noi, adattiamo le nostre aspettative sul mondo e la gamma di possibili occorrenze all’eventualità dell’insorgere di un’occorrenza simile a quella appena osservata. Nel nostro esempio significherebbe accettare l’ovvia anomalia come un modo radicalmente diverso di tradurre. Per quel che riguarda le reazioni alle traduzioni, questo comportamento può essere assunto in alcuni casi, forse nella traduzione di poesie, ma è raro.
Nel secondo caso, non permettiamo che la nostra esperienza influisca sulla nostra idea di «natura delle cose». Dopo aver condannato il fatto anomalo, la nostra linea d’azione si sposterà sul cancellarlo o rimetterlo forzatamente in linea con la nostra immagine mentale. Nella migliore delle ipotesi lasciamo correre e speriamo non si ripresenti più. Questo ci permette di attenerci alle nostre attuali opinioni e andare avanti a essere quelli che siamo, malgrado il fatto incongruente che, decidiamo, in primo luogo non si sarebbe dovuto verificare.

Il primo atteggiamento, quello adattivo, di apprendimento, è questione di avere aspettative cognitive. Questo tipo di comportamento proverà a costruire e rivedere e ricostruire in continuazione ipotesi sul mondo. Adattiamo il nostro schema mentale delle cose, se questo si scontra con il mondo. Questa modalità di aspettativa propende verso il mondo della scienza. L’altro atteggiamento, quello non intenzionato ad apprendere, corrisponde a un’aspettativa normativa. In realtà da più serenità perché è più stabile. È controfattualmente stabile (termine di Luhmann) per il motivo che delusioni, occorrenze anomale, violazioni evidenti non la sconvolgono davvero. Va avanti malgrado tutto.

 

More than that: following disappointment it may emphatically and publicly reaffirm the validity of its model of the world. This mode of expectation leans towards the law, which, as we know, remains intact despite frequent crimes being committed.

In the case of our renegade translation, we condemned the transgression, invoked the law and reached for the rule-book – which we reckoned the translator also knew or should have known, as everyone else connected with the profession does or should do. In

essence, most translation criticism and reviewing, and a good deal of translation teaching, is of this nature, and is necessarily so: in weighing and evaluating, it apportions blame or praise against the background of a shared, known category.

It is in this sense, it seems to me, that we can speak of a social entity called ‘translation’ and a form of behaviour called ‘translating’ with which, give or take a few nuances, we assume we are all familiar with in our own language and culture. This is what allows us, for example, to expect of translators that, as they go about their task, they select certain appropriate options from among an available array of permissible options. The set of permissible options constitutes ‘translation’. The meaning of the term ‘translation’ – or of that term or cluster of terms in another language which, rightly or wrongly, we translate as ‘translation’ – is codified in both monolingual and multilingual dictionaries. There are professional activities called translation, we have organisations representing professional and other kinds of translators, institutes for translator training, and so on. In other words: in our own respective cultures at the present moment, in other contemporary cultures, and in past cultures, we encounter terms which, rightly or wrongly, we interpret as denoting that concept and that activity that we recognize for ourselves as constituting ‘translation’. There is an extraordinary complication built into this idea to which I will return, but let us ignore it for the moment and retain that – again, rightly or wrongly – we assume that, when we use the term ‘translation’ or its counterpart in another language, it indicates a socially recognizable and recognized category, both a known concept and a socially acknowledged practice. The category called ‘translation’, that is, of the production of utterances recognized as communcation of a certain kind (the practice), and of statements about translation (the concept, insofar as it is explicitated).

È più di tutto questo, come ha mostrato il nostro esempio: in seguito alla delusione può riaffermare la sua validità categoricamente e pubblicamente. Questo tipo di modalità di aspettativa propende verso la legge, che, come sappiamo, rimane integra nonostante crimini vengano commessi quotidianamente.

Nel caso della nostra traduzione ribelle, abbiamo condannato la trasgressione, ci siamo appellati alla legge e preso il “libro delle regole” – che pensavamo conoscesse o avrebbe dovuto conoscere anche il traduttore, come chiunque collegato alla professione fa o dovrebbe fare. In sostanza, tutta la critica e la revisione, e l’insegnamento, della traduzione è di questa natura e lo è per forza: soppesando e valutando traduzioni individuali, critici e insegnanti distribuiscono colpe o elogi sullo sfondo della categoria condivisa e riconosciuta.

È in questo senso, quindi, che possiamo parlare di un’entità sociale chiamata «traduzione» e di una forma comportamentale chiamata «tradurre» che noi tutti crediamo di conoscere nella nostra lingua e cultura. E’ per questo che ci aspettiamo dai traduttori, per esempio, quando si mettono al lavoro  che scelgano determinate opzioni appropriate da una gamma di opzioni accettabili. L’insieme di opzioni accettabili costituisce la «traduzione». Il significato del termine «traduzione», o di quel termine o insieme di termini in un’altra lingua che, correttamente o erroneamente, pensiamo traduca «traduzione» è codificato nei dizionari, ci sono attività professionali chiamate traduzione, abbiamo organizzazioni che rappresentano traduttori, istituti per la formazione di traduttori, ecc. In altre parole: attualmente nelle nostre rispettive culture, così come in altre culture contemporanee e passate, ci imbattiamo in termini che -di nuovo: correttamente o erroneamente- interpretiamo come indicatori del concetto e dell’attività che riconosciamo come parti costitutive della «traduzione». C’è un’allarmante complicazione incorporata in quest’idea di «tradurre la traduzione», sia interlinguistica che intralinguistica, ma lasciamola da parte, ci ritornerò solo alla fine dell’articolo. Per il momento mi basta tenere fermo un punto, che quando usiamo il termine «traduzione» o la sua traducente in un’altra lingua ci appelliamo a una categoria socialmente «riconoscibile» e «riconosciuta», sia un concetto che una pratica socialmente noti. La categoria «traduzione», in altre parole, consiste nella produzione di enunciati riconosciuti come comunicazioni di un certo tipo (la pratica) e di affermazioni a proposito della traduzione (il concetto, per quanto è reso esplicito).

The two, production and discourse about it, practice and concept, are held together by the fact that whenever we come across an instance of ‘translation’ (a translated text, an occurrence of the term ‘translation’, a statement about it), we activate a certain disposition, a set of expectations, which we assume others will share. Our expectations may be fulfilled or disappointed on some occasions, and in the latter case we tend – we don’t have to, and we don’t always, but we tend – to respond by branding the offending occurrence as a transgression, thus outlawing it and reaffirming the boundaries of the existing concept and the permissible practices and statements within its sphere.

There is nothing very new in this. However, approaching the matter in this way allows me to stress, firstly, that translation, as a social category, is circumscribed by expectations, which are partly cognitive but also, and even primarily, normative in nature;secondly, that, if we regard translation as consisting not only of the production and circulation of translated texts but also of the exchange of communications about translation, then there is nothing to stop us from speaking of translation in terms of a ‘social system’ – more about this below; thirdly, that our expectations about translation also structure the ‘domain’, the ‘field’, indeed the ‘system’ of translation, in a sense I will also try to explain; and fourthly, that with key operational terms like ‘communication’, ‘system’, ‘expectations’ and a few more that I shall introduce below, we can begin to develop a conceptual and methodological  framework for considering translation as a social and historical phenomenon, a framework which I think is more promising than most existing approaches.

Before I go on, let me make it clear that when I speak of translation as constituting a social system, I have in mind the concept of ‘system’ as it is used by the German sociologist Niklas Luhmann. Luhmann himself applied systems theory to every subject under the sun, including education, religion, politics, law and justice, love, ecological discourse, contemporary art and art history, science, everything except translation. Other researchers, in Germany and in the Low Countries, have used Luhmann’s concepts and terminology as tools to approach literature and various other fields (see, for instance, De Berg 1995 for a general account and a bibliography).

I due, concetto e pratica, sono legati tra di loro dal fatto che ogni volta che ci imbattiamo in un esempio di «traduzione» (un testo tradotto, un’occorrenza del termine «traduzione», un’affermazione in proposito), attiviamo una certa disposizione, certe aspettative, che supponiamo gli altri condividano. Queste aspettative possono, poi, essere soddisfatte o deluse e in quest’ultimo caso tendiamo (non dobbiamo, e non sempre, ma tendiamo) a reagire bollando l’occorrenza colpevole come trasgressione e, così facendo, riaffermiamo i confini del concetto pre-esistente di traduzione e le pratiche e le affermazioni ammesse nel suo ambito.

Non c’è niente di nuovo in questo. Quello che voglio sottolineare, comunque, è, in primo luogo, che la traduzione, come categoria sociale, è limitata dalle aspettative di tipo cognitivo, ma anche, addirittura in modo prevalente, da quelle di tipo normativo. In secondo luogo che, se consideriamo la traduzione  non solo come produzione e circolazione di testi tradotti ma anche scambio di comunicazioni riguardo la traduzione stessa, allora niente ci impedisce di parlare della traduzione in termini di un “sistema” (approfondirò questo tema più avanti). In terzo luogo che le nostre aspettative a proposito della traduzione compongono la struttura del «dominio», del «campo», del «sistema» della traduzione, in un modo che cercherò di spiegare anch’esso più avanti. E infine che, con termini chiave come «comunicazione», «sistemi», «aspettative» e un paio di altri che devo ancora introdurre, possiamo iniziare a sviluppare una cornice metodologica per lo studio della traduzione in quanto fenomeno sociale e storico, una cornice che credo sia più promettente della gran parte degli approcci esistenti.

Prima di andare avanti, permettetemi di fare ora una precisazione per puntualizzare che quando parlo di traduzione in quanto parte integrante di un sistema, un sistema sociale, mi riferisco  al concetto di sistema così come viene usato da Niklas Luhmann, sociologo tedesco contemporaneo. Lo stesso Luhmann ha applicato la teoria moderna dei sistemi a qualsiasi argomento esistente, inclusi istruzione, religione, politica, legge, amore, dissertazioni sull’ecologia, arte contemporanea e storia dell’arte, scienza, tutto tranne la traduzione. Diversi altri studiosi, la maggior parte in Germania e nel Benelux, hanno utilizzato i concetti e la terminologia di Luhmann come strumenti per affrontare letteratura, storia dell’arte e altri campi ( per un resoconto generale e un indice bibliografico, De Berg 1995).

To my knowledge, Andreas Poltermann is the only translation scholar to have applied Luhmann’s ideas to issues of translation (Poltermann 1992). It seems to me that, if we want to understand translation in its social and historical context, we could do worse than to explore the ideas of someone like Luhmann. Moreover, an approach along these lines is, I think, perfectly compatible with existing empirical and historicizing approaches such as polysystem theory and the work of  Pierre Bourdieu, and it has some additional features to recommend it.

 

Norms

 

In what follows I should like to do three things. First, I want to return to the issue of normative expectations, since they are important for the social and historical functioning of translation and its relative stability over time. Then I need to explain briefly some aspects of Luhmann’s concept of social systems and indicate its relevance for the study of translation. Finally I will take up a single example, in an attempt to demonstrate the usefulness and productivity of this approach.

Let me begin by returning to normative expectations, or norms for short. Please bear in mind that, when I speak of a ‘norm’, I do not mean some abstract, static, formal or mechanical rule which relates to the practice of translation as cause to effect, of the type: if this is the feature displayed in a text under study, then that must have been the norm that triggered it. By a ‘norm’  I mean, rather, a particular kind of expectation. The term implies, in the case of translation, structured interaction between individuals, as clients, patrons, producers, consumers, teachers or critics of translation.

A quanto ne so , Adreas Poltermann è l’unico studioso di traduzione ad aver applicato le idee di Luhmann a problemi traduttivi (Poltermann 1992). Mi sembra che, se vogliamo capire la traduzione come fenomeno sociale e storico, dovremmo fare peggio ancora che indagare le idee di qualcuno come Luhmann. Inoltre, un approccio che segue queste direttive, è, penso, perfettamente compatibile con gli approcci empirici, sociologici e storicizzanti  (teoria del polisistema; Bordieu), e ci sono altre caratteristiche a sostegno di questo approccio aggiuntivo per suggerirlo.

 

Norme

 

Nel paragrafo che segue vorrei fare tre cose: prima di tutto, voglio ritornare al problema delle aspettative normative, poiché sono importanti per il funzionamento sociale e storica della traduzione. Poi sarà necessario che spieghi brevemente il concetto Luhmaniano di sistemi sociali  e indichi la sua pertinenza con i nostri scopi. Infine sceglierò un esempio nel tentativo di consigliare l’utilità e la produttività di questo approccio.

Per prima cosa, quindi, torniamo al concetto di aspettative normative, o “norme”, per abbreviare. Tenete a mente, comunque, che quando parlo di “norma” non intendo una regola astratta, statica, formale o meccanica collegata alla pratica della traduzione come la causa all’effetto, del tipo: se questa è la caratteristica che si manifesta nel nostro testo, allora quella dev’essere la norma che l’ha innescata. Piuttosto, quello che intendo con “norma” non è nient’altro che un tipo particolare di aspettativa. Il termine implica, nel caso della traduzione, un’interazione strutturata tra individui, come per esempio clienti, committenti, produttori, consumatori, insegnanti, critici o studenti della traduzione.

My basic assumption in all this is that translation, like other types of language use, is a matter of communication, that is, a form of social behaviour which requires a degree of cooperation among those involved. For communication to take place, the participants need to coordinate their actions to a certain extent. This can be done on the level of immediate interpersonal contact in face-to-face interaction, but it also applies across time and space. Norms, like conventions, arise as answers to interpersonal coordination problems of this kind.

The classic definition of convention (by David Lewis, 1969) hinges on exactly this point. Conventions, as Lewis defines them, imply the expectation, shared by all, that in a given situation one member of the group is likely to do one thing rather than another. The convention thus has a regulatory function. It restricts the number of practically available options in recurrent situations of a given type by offering a particular option as the one known to be preferred by everyone involved.

The main difference between a norm and a convention lies in the modality of the expectation. A convention is a purely probabilistic expectation. Norms tell individual members of a community not just how everyone else reckons they are probably going to behave in a given situation, but how they ought to behave. e. Norms imply that there is, among the range of possible options that present themselves, a particular course of action which isgenerally accepted as ‘proper’, or ‘correct’, or ‘appropriate’. That course of action, it is

agreed, should therefore be adopted by all who find themselves in that type of situation. And each time a norm is observed, its validity is confirmed and reinforced.

It will be obvious that norms can and will be broken. Which norms are observed or boken by whom, where and when, will depend on such things as the nature and the strength of the norm, the kind of sanction that might apply, the individual’s status in a given community and other such factors.

Il mio presupposto di base in tutto questo è che la traduzione, come qualsiasi altro uso della lingua, è una questione di comunicazione, ovvero una forma di comportamento sociale che richiede un livello di interazione, di collaborazione, tra chi viene coinvolto. Perché abbia luogo la comunicazione, i partecipanti devono coordinare le loro azioni, non solo a livello di contatto interpersonale immediato, ma anche attraverso tempo e spazio, se la situazione lo richiede. Le norme, come le convenzioni, nascono come risposte a problemi di coordinazione come questo.

La definizione classica di convenzione (Lewis 1969) si basa esattamente su questo punto: le convenzioni, come definite da Lewis, implicano l’aspettativa, condivisa da tutti, che in una data situazione un membro del gruppo sia più propenso a compiere un’azione rispetto a un’altra. Le convenzioni hanno funzione regolatrice, restringono il numero delle opzioni disponibili nella pratica in situazioni ricorrenti di un certo tipo, offrendo una particolare opzione che viene riconosciuta come la privilegiata da tutti gli interessati.

La differenza principale tra una norma e una convenzione sta nella modalità dell’aspettativa. Le norme indicano all’interno di una comunità come il singolo dovrebbe comportarsi, non solo come chiunque altro pensa si comporterebbe in una data situazione. Le norme implicano che, nella gamma di opzioni che si presentano, c’è una particolare linea di azione, generalmente considerata come «giusta», o «corretta» o «appropriata». Questa linea di azione, su cui ci si trova d’accordo, dovrebbe perciò essere scelta da chiunque si trovi in quel tipo di situazione. E ogni volta che la norma viene osservata, la sua validità viene confermata e rafforzata.

È ovvio che le norme possono essere infrante e qualcuno lo farà di sicuro. Quali vengono osservate o infrante da chi, dove e quando dipenderà da fattori come la natura e la forza della norma, il tipo di sanzione che può essere applicato, lo status dell’individuo in una data comunità e altri motivi del genere.

When, in the 1960s, Louis and Celia Zukofsky rendered Latin poetry into English mimicking the sound of the words and playing down everything else including the meaning of the Latin words, it is relevant to know that this was done in a literary context, that even in that domain it was generally interpreted as a provocative and norm-breaking gesture, and that already at this time Louis Zukofsky was widely recognized as a prominent poet in his own right The newly graduated translator who has just been given a job in the United Nations headquarters in New York and wants to make a career there would be ill-advised to follow the Zukovskys’example.

Norms can be strong or weak, limited or extensive in scope, more or less enduring over time. They take the form of obligations or prohibitions, and exert different kinds of pressure on the choices which individuals make. At the same time, because in an irreversible

temporal sequence no two situations are exactly the same, every instance of compliance ornon-compliance with a norm changes the norm, however slightly. Whether the expectation is fulfilled or disappointed in a given instance, it incorporates that experience and becomes

stronger or weaker. Norms therefore change continually.

Norms are not innate. They are inculcated as part of the process of socialization. Just as learning to speak is learning to speak ‘properly’, in accordance with the linguistic norms of the relevant community (the family, the circle of friends, the school, the workplace), so learning to translate means learning to operate the norms of translation, to operate, that is, with them and within them, anticipating, accommodating, calculating, negotiating the expectations of others concerning the social institution called translation. In the same way readers, too, learn what they can and cannot expect when they pick up a book labelled ‘translation’. On both sides of the equation, in fact on all sides since the production and consumption of translation involves more than two parties, certain expectations are activated, certain bonds and contracts entered into. They may be clearly stated and understood by all concerned, or remain vague and unspoken. The question of who controls whom in this respect depends on power and position. In other words, norms are not independent of local conditions and of the social relations within communities, whether these relations are material (economic, legal, financial) or what Pierre Bourdieu calls ‘symbolic’ and bear on status and legitimacy.

Negli anni Sessanta, Louis e Celia Zukofsky tradussero poesie latine in inglese imitando solo il suono delle parole ed escludendo tutto il resto, compreso il significato delle parole latine: è importante sapere che ciò è stato fatto in un contesto letterario, che è stato generalmente interpretato, persino in quell’ambito, come un gesto provocatorio, per infrangere le norme, che già allora Louis Zukofsky era conosciuto come poeta ecc. Se al traduttore neolaureato, appena assunto alla sede delle Nazioni Unite a New York, venisse suggerito di seguire l’esempio degli Zukofsky per fare carriera, sarebbe un pessimo consiglio.

Le norme possono essere forti o deboli, dalla portata limitata o estesa, più o meno durature nel tempo. Prendono la forma di obblighi o divieti ed esercitano diversi tipi di influenze sulle scelte compiute dagli individui. Allo stesso tempo, poiché in una sequenza temporale irreversibile nessuna situazione è esattamente uguale a un’altra, ogni caso di rispetto o non rispetto di una norma cambia la norma stessa, seppur lievemente. Che l’aspettativa sia confermata o delusa in un dato caso, incorpora quell’esperienza e che la rafforza o la indebolisce. Di conseguenza le norme cambiano continuamente.

Le norme non sono innate, ma insegnate nel processo di socializzazione. Proprio come imparare a parlare è imparare a parlare «correttamente», in conformità con le norme linguistiche di una certa comunità  (la famiglia, il gruppo di amici, la scuola, l’ambiente di lavoro), imparare a tradurre significa dunque imparare ad agire con e all’interno delle norme di traduzione, anticipando, adattando, calcolando, negoziando le aspettative degli altri nei confronti della categoria sociale – l’istituzione- chiamata traduzione. Allo stesso modo i lettori sono sanno cosa possono e non possono aspettarsi quando prendono un libro classificato come «traduzione». A entrambi i lati dell’equazione, in realtà a tutti i lati dato che la produzione e il consumo della traduzione coinvolge più di due parti, certe aspettative vengono attivate, e si entra nel merito di certi vincoli e contratti. Possono essere dichiarati apertamente e compresi da tutti gli interessati, o rimanere vaghi e inespressi. La questione di chi controlli chi dipende dal potere e dalla posizione. Le norme non sono indipendenti dalle condizioni locali, e dalle relazioni sociali tra comunità, siano queste relazioni materiali (economiche, legali, finanziarie) o quelle che Pierre Bourdieu chiama z«simboliche», ovvero relazioni che hanno a che fare con lo status e la legittimità, e con chi conferisce questa legittimità.

Large, complex and differentiated societies accommodate a multiplicity of different, overlapping and often conflicting norms. The translator’s work is inevitably entangled in several of these networks at once, if only because the product of the translator’s labour is never a ‘translation per se’ but a specific kind of translated text, say a translated computer manual, a translated novel or a translated medical record. In each case the translator enters an existing network of discourses and social relations. The translational discourse comes to occupy a place in this network. It is part of the ambivalence of translated texts that they are expected to comply with both the translational and the textual norms regarded as pertinent by a given community in a given domain. If translations manage to do this, as a consequence of the translator having made the requisite choices, they will be deemed‘legitimate’ translations.

Learning to translate correctly, then, means precisely the acquisition of this competence, which consists of the skills required to select and apply the norms that will help to produce legitimate translations, that is, translations socially recognized as legitimate within a certain community and its concept of translation. Furthermore, just as one of the main functions of the educational system is that of transmitting the requisite social skills, expectations and ‘dispositions’ (in Bourdieu’s sense), continually reproducing and reaffirming the community’s dominant values and models in the process, so, in the field of translation, one of the roles of the translator training institute consists in transmitting the skills and dispositions that we associate with professional translating. To do this, the traininginstitute reproduces within itself the social institution called translation, which in turn contributes to the very process of the institutionalization of translation. Let me add immediately that other discourses about translation, including so-called descriptive and historicizing discourses, do very much the same thing, if perhaps more covertly. They all contribute to the ongoing self-reproduction of translation, and to its self-description.

Ovviamente in società grandi, complesse e diversificate coesiste un’ampia varietà di norme differenti, sovrapposte e spesso in conflitto tra loro. È inevitabile che il lavoro del traduttore sia intrecciato in molte di queste reti nello stesso momento, perché il prodotto della sua fatica non è mai una «traduzione per sé», ma la traduzione di un manuale per un computer, di un romanzo, di una cartella clinica ecc. In ogni caso il traduttore entra in una rete di discorsi e relazioni sociali esistenti, il suo discorso traduttivo si pone all’interno o almeno in rapporto a quella rete. Fa parte dell’ambivalenza del testo tradotto che ci si aspetta si attenga sia alle norme traduttive, sia a quelle testuali considerate importanti da una determinata comunità in un determinato campo. Se la traduzione riesce a rispettare questo criterio, perché il traduttore ha compiuto le scelte necessarie, sarà considerata una traduzione «valida».

Imparare a tradurre correttamente, quindi, significa proprio acquisire quella competenza, ovvero le abilità necessarie per scegliere e applicare quelle norme che contribuiscono a produrre traduzioni valide, cioè traduzioni socialmente riconosciute come valide all’interno di una certa comunità e del relativo concetto di traduzione. Inoltre, proprio come una delle funzioni primarie del sistema educativo nel complesso è trasmettere abilità sociali necessarie, aspettative e «disposizioni» (nel senso inteso da Bourdieu), mentre si riproducono e si riaffermano in continuazione valori e modelli dominanti della comunità, nel campo della traduzione uno dei compiti di un istituto per la formazione di traduttori è proprio riprodurre al suo interno la categoria sociale, il sistema sociale chiamato traduzione. Permettetemi subito di aggiungere che altri discorsi riguardo la traduzione, inclusi quelli cosiddetti descrittivi e storicizzanti fanno esattamente lo stesso, forse meno apertamente. Contribuiscono tutti alla continua auto-riproduzione della traduzione e, peraltro, alla sua auto-descrizione.

Communication

 

Terms like ‘self-reproduction’ and ‘self-description’ bring us close to the vocabulary of modern systems theory. In what follows I would like to sketch an approach to translation based on Niklas Luhmann’s theorizing about social systems. It will be a very rough sketch, but I hope to be able to suggest that the approach has research potential.

Systems, in this context, are conceived as composite, adaptive, self-reproducing wholes that have differentiated themselves from what lies outside them, from their environment. Social systems are self-reproducing systems in that they continually produce and reproduce the elements of which they consist. These elements – and this is crucial – are communications, communicative acts. In other words, social systems consist, not of individuals or of groups of people, but of communications, and of specific types of communication. These communications have not only to be produced and processed by means of signs, they also have to be linked and connected in a temporal sequence for the system to continue to exist. There are no social systems without communication, but at the same time communications are momentary, fleeting phenomena, here one moment and gone the next. This explains the need for connectivity, for structures that can endure over time.

Another important point is that Luhmann does not conceive of communication in terms of the transmission of a pre-given message. Rather, meaning is construed by the recipient as a result of recognizing selectivity. What is offered acquires meaning against the background of the possibilities that were available in principle but have been excluded. The element of selection concerns both the utterance, the intentional act of producing a communication, and the information, the referential level of what the communication is about.

Comunicazione

 

Parole come «auto-riproduzione» e «auto-descrizione» ci avvicinano al vocabolario di cui abbiamo bisogno se vogliamo parlare della traduzione in termini di teoria sistemica moderna. Per illustrare questo approccio, devo dare qualche informazione sulla teoria di Luhmann riguardo ai sistemi sociali.

In questa teoria i sistemi sono pensati come un insieme composto, adattivo, che si auto-riproduce: è quello che si trova al di fuori che li rende diversi, il loro ambiente. I sistemi sociali sono sistemi auto-riproduttivi in quanto producono e riproducono continuamente gli elementi di cui sono composti. Questi elementi – ed ecco il punto cruciale – sono comunicazioni, ovvero atti comunicativi. In altre parole, i sistemi sociali non sono composti né da individui, né da gruppi di persone, ma da comunicazioni e da tipi specifici di comunicazioni. Queste non devono solo essere prodotte e trasformate tramite segni (o da quello che il destinatario interpreta come segno), devono anche essere collegate e connesse in sequenza temporale perché il sistema continui ad esistere. Non esistono sistemi sociali senza comunicazione, ma allo stesso tempo le comunicazioni sono fenomeni temporanei, sfuggenti, un attimo sono qui, l’attimo dopo sono scomparse. Questa caratteristica spiega il bisogno di connettività, di strutture che resistano allo scorrere del tempo. Approfondirò questo aspetto più avanti.

Un’altra questione importante è che Luhmann non concepisce la comunicazione in termini di trasmissione di un messaggio dato a priori. Piuttosto, il significato è costruito dal destinatario ed è il risultato di una selezione di ciò che viene riconosciuto: ciò che viene offerto acquisisce significato sullo sfondo delle possibilità disponibili inizialmente, che sono però state poi escluse. La selezione riguarda sia l’affermazione, ovvero l’atto intenzionale (i significati attribuiti, il momento scelto) sia l’informazione, ovvero il livello referenziale (i «temi» e i «dati» evidenziati, cioè quelli selezionati in modo diverso).

Because communication takes place in a certain context and at a certain moment in time, understanding a communication means being alive not only to the difference between utterance and information, but also to the communication’s selective aspects, its negative foil, the difference between what has been included (that is, selected) and what has been excluded (left aside, negated). One Luhmann commentator speaks of the “temporalization of semantics” (De Berg 1993: 50), a useful phrase, especially when we want to engage in historical study.

It follows from this that texts have no fixed meaning in themselves. They are invested with meaning as communications in a selective, differential context. When we look at texts (or other communications) in this way, through their ‘temporalized semantics’, we may be able to glimpse the speaker’s agenda. How likely was this communication in these particular circumstances? Why were this theme, and this mode of transmission, selected at this moment, against which set of potential alternatives? What issue or problem has it chosen to address, and what other issues are being obscured as a result? How did this particular communication  ‘connect’ and how does it, in turn, contribute to the establishment of a new context, a new range of possibilities?

If this is true of texts, it is true also of translations. Their ‘meaning’, their ‘sense’, their ‘point’ as communications does not reside in ‘the words on the page’, decipherable by means of linguistic and other codes in a social or historical vacuum. Nor can it be reduced to some semantic or other relation with a source text. Such reductions ignore the selectivity of communication. It is part of the meaning of a translated text as communication that this and no other foreign-language text was selected from among a range of potential candidates, that it was selected for translation and not for some alternative form of transmission or importation, and that a particular ‘translational mode’ was selected, one particular style of representing the original against the possibility of other available and permissible styles.

Poiché la comunicazione avviene in un certo momento nella sequenza temporale, in un dato contesto, «comprendere» o «dare un senso» allo scambio comunicativo significa non solo essere consapevoli dei suoi «temi» o del suo «modo di espressione», ma anche del suo aspetto selettivo, del suo negativo, della differenza tra ciò che è stato incluso, cioè selezionato, e ciò che è stato escluso, cioè negato. Inoltre, dipende dalla comprensione della differenza tra l’espressione e l’informazione. Uno dei critici di Luhmann (De Berg, 1993:50) parla della «temporalizzazione della semantica», una locuzione utile, specialmente quando vogliamo pensare a uno studio con prospettiva storica.

Ne consegue che le comunicazioni, e quindi testi, non hanno un significato fisso in sé, ma ne assumono uno quando si trasformano in comunicazioni inserite in un contesto selettivo e differenziale. Quando guardiamo dei testi (o altre comunicazioni) in questo modo, attraverso la loro «temporalizzazione semantica», potremmo essere in grado di sbirciare nell’agenda del parlante: quanto era probabile questo scambio in quelle circostanze particolari, perché quel tema, quel modo di trasmissione, scelto in quel momento, preferito a quale gamma di potenziali alternative. A quale problema si rivolge – in modo mirato? E come, a sua volta, questa particolare comunicazione si «connette», ovvero come contribuisce alla creazione di un nuovo contesto, di una nuova gamma di possibilità?

Se tutto ciò vale per i testi, vale anche per le traduzioni. Il loro «significato», «senso» e «scopo» in quanto comunicazioni non risiede nelle «parole scritte sulla pagina», decifrabili tramite strumenti linguistici e altri codici, in un ambito sociale e storico. E la traduzione stessa non può neppure ridotta a un rapporto semantico di altro tipo con un originale. In entrambi i casi, quello che viene trascurato è proprio l’aspetto della selettività, della differenza selettiva. È parte del «significato» del testo tradotto in quanto comunicazione che questo testo in una lingua straniera è stato selezionato da una gamma di potenziali candidati, che era stato scelto per la traduzione e non per altre forme di trasmissione, importazione o riciclaggio e che la è stata scelta la «modalità traduttiva» , una modalità particolare per rappresentare l’originale rispetto ad altre possibili, cioè rispetto alle alternative scartate dalla gamma di candidati più o meno probabili e modalità più o meno permissibili.

Invoking the array of available and permissible styles take us straight back to the cognitive and normative expectations governing translation, and hence to translation as institution. It is  clear that we are talking about expectations within a limited range of options. The domain of translation, of that which is termed ‘translation’, has its limits, a socially acknowledged boundary differentiating it, sometimes sharply, sometimes only diffusely, from other modes of representing anterior discourses such as paraphrase, adaptation, plagiarism, summary, quotation, imitation, and so on. The expectations which police the boundaries of translation as institution are usually referred to as the ‘constitutive norms’ of translation. If you breach them you are perceived as doing something which will no longer be called ‘translation’, at least not by the group that sees itself as being addressed and as having a legitimate claim to the definition of ‘translation’. In that sense we can speak of these expectations as circumscribing the domain of translation. Within the perimeter of the constitutive norms it is customary to speak of ‘regulatory norms’. The term refers to expectations concerning what is appropriate in certain cases, regarding certain types or areas of discourse. These expectations constitute the structure of the translation system, in a sense compatible with Luhmann’s terminology. Luhmann holds that whereas social systems consist of communications in that communications are the elements the system is made of, expectations about communications build the structure of a social system. Social structures are structures of expectation (Luhmann 1984:139, 377ff.). Structure here means precisely that some occurrences and some combinations are more likely than others. If all occurrences and all combinations were all equally likely, this would produce entropy in the system.

Frasi come «la gamma di candidati più o meno probabili e modalità più o meno permissibili» meritano di essere sottolineate, ci riportano direttamente indietro alle aspettative («più o meno probabili») e alle aspettative normative («più o meno permissibili»). Perché è chiaro che stiamo parlando di aspettative contenute in una gamma di opzioni limitata. L’ambito della traduzione, ovvero quello che il termine «traduzione» copre, ha dei limiti, un confine socialmente riconosciuto che lo differenzia, talvolta in modo netto, talvolta diffusivo, da altre modalità di rappresentazione di discorsi precedenti – modalità come parafrasi, adattamento, plagio, riassunto, citazione, traslitterazione e via dicendo. Le aspettative, che sorvegliano i confini della traduzione, vengono di solito riconosciute come «norme costitutive» della traduzione. Se le infrangi, il tuo lavoro non verrà percepito come un qualcosa che si può definire «traduzione», almeno dal gruppo a cui è indirizzato e che ha una rivendicazione legittima su questa definizione. In questo senso possiamo dire che le aspettative delimitano il campo della traduzione. All’interno di questo ambito si parla di solito di «norme regolatrici» intendendo aspettative normative riguardo a ciò che è appropriato in alcuni casi, circa determinati tipi o aree di discorso. Queste aspettative formano la struttura del sistema traduttivo, inteso compatibilmente con la terminologia di Luhmann. Luhmann sostiene che, siccome i sistemi sociali sono composti da comunicazioni, nel senso che nelle comunicazioni ci sono gli elementi di cui è fatto il sistema, le aspettative riguardo alle comunicazioni costituiscono la struttura dei sistemi sociali. Le strutture sociali sono strutture di aspettativa (Luhman 1984). Struttura qui significa precisamente che alcune occorrenze e alcune combinazioni ritornano più facilmente di altre.

System

 

Both constitutive and regulatory expectations and their respective normative loads are continually negotiated and confirmed by practising translators and by all who are recognized as having a legitimate claim to discourse about translation. In that sense we can speak of translation as a social system, that is, a self-regulating, self-reflexive and selfreproducing (or ‘autopoietic’) system. The elements of the translation system are translations and discourses about translation. The system’s temporal dimension lies in the fact that communication generates communication. We can translate because there are translations and because, when we translate or speak about translation, we routinely take account of the conditioning factors which govern the concepts and practices we call ‘translation’ in our respective cultures. This creates the necessary connectivity and a sufficient ‘horizon of expectations’ to produce further translations and statements about translation. These expectations constitute the structure of the translation system. The system’s function consists in supplying representations of existing communications across semiotic boundaries. Its identity as a differentiated functional system, its ‘guiding difference’ (Luhmann speaks of a ‘code’), is based on this specific role. In the course of history the terms of this basic code can be, and have been, fleshed out in very different ways, in the form of ‘programmes’, the various poetics of translation, in the way specific legal traditions, for example, can be understood as ‘programmes’ of the legal system.

Now, translation does not operate in and for itself. It caters for other interests, other systems. The normal mode of existence of a translation, as we saw, is not as a translation per se but as a translated legal document, a translated philosophical treatise, and so on.

Sistema

 

Entrambi gli insiemi di aspettative, e i rispettivi carichi normativi, vengono continuamente messi in discussione, confermati, sistemati e modificati da traduttori di professione e da tutti coloro che partecipano alla discussione riguardo la traduzione. In questo senso – e qui è dove voglio arrivare – possiamo parlare di traduzione come sistema, un sistema che si auto-regola, risponde automaticamente e si auto-riproduce o («autopoietico»). Gli elementi del sistema traduttivo sono traduzioni, in quanto comunicazioni, e affermazioni riguardo la traduzione. La dimensione temporale del sistema, ovvero la dimensione storica, risiede nel fatto che la comunicazione genera comunicazione, in determinate condizioni. Possiamo tradurre perché ci sono traduzioni e perché, quando traduciamo o parliamo della traduzione, teniamo sempre in considerazione i fattori in grado di condizionarla, che governano i concetti e le pratiche chiamate «traduzione» nella nostra cultura. Tutto ciò crea la connettività necessaria e un «orizzonte d’attesa» sufficiente a produrre altre traduzioni e affermazioni riguardo la traduzione. Queste aspettative formano quello che Luhmann chiama la «struttura» del sistema.

La funzione del sistema consiste nel produrre rappresentazioni di comunicazioni esistenti tra sistemi semiotici diversi. La sua identità di sistema funzionale differenziato, la sua «differenza fondamentale» è basata su questo specifico ruolo rappresentativo e le sue conseguenze – per esempio, il fatto che il traduttore, nel rendere un’altra espressione, non parla a suo nome e questo porta la traduzione ad avere un soggetto discorsivo ibrido. Il primo mezzo di differenziazione e auto-organizzazione del sistema è un «codice» binario, una distinzione operativa tra «adeguato» e «non adeguato» in termini di rappresentazione. Ovviamente, nel corso dei secoli i termini di questo «codice» di base possono essere – e sono stati – arricchiti in molti modi, sotto forma di «programmi», poetiche della traduzione, nello stesso modo in cui, per esempio, diversi gruppi di leggi concrete possono essere concepite in quanto «programmi» del sistema legale.

Ora, come sappiamo, la traduzione non opera in sé e per sé, ma tiene conto di altri interessi, altri sistemi. In condizioni normali la traduzione non è un «testo tradotto» in sé, ma un testo legale tradotto, un trattato di filosofia tradotto, un romanzo tradotto.

Translations integrate into existing discursive forms and text types. In this sense translation can be said to be overdetermined: they normally defer, and are expected to defer, to the prevailing discourse of the client system. A systems-theoretical account of this form of entanglement or complicity can be found in the notions of ‘structural coupling’ and ‘interpenetration.’ The terms mean that the system may adjust it structures to the demands of another system, and even, in the stronger case of interpenetration, that the norms, criteria and resources of one system are largely internalized by another system. Since translation is on the whole much less clearly differentiated and hence much less autonomous than, say, modern art or religion, it is particularly prone to this kind of internal modification.

To the extent however that the translation system has its own momentum, it identity and relative stability as a system, it continually reproduces itself. This means that whatever its entanglement in other systems, it interprets its environment in terms of its own interests and priorities. In doing so, it reflects and builds on its own experience and maintains its own distinctive difference. Without such an independent and self-reflexive momentum it would not be a system. Nevertheless it is important to realize that in this perspective the term ‘translation’ has no fixed, inherent or immanent meaning. Rather, the category ‘translation’, including what I called its representational function, is constantly being reproduced by means of communication. Its semantics changes in the process of reproduction, just as historically its basic code is occupied by a succession of different terms, oppositions and values, that is, by different programmes. Its only durability and stability, as a concept and a practice, comes from its constant autopoiesis as a system.

Le traduzioni sono inserite in pratiche e forme discorsive già esistenti. In questo senso si può dire che la traduzione è sopradeterminata: le traduzioni si attengono al discorso prevalente del sistema cliente e ci si aspetta che lo facciano. Una spiegazione teorica-sistemica di questo tipo di legame o complicità può essere rintracciata nei concetti di «interpenetrazione» o «associazione strutturale» tra sistemi, per cui le norme, i criteri e le risorse di un sistema sono messe a disposizione o imposte a un altro sistema. Poiché la traduzione è, nel suo insieme,  molto meno differenziata, ovvero molto meno «autonoma» di, per esempio, l’arte moderna o la religione, è piuttosto portata a questo tipo di interferenza.

Nella misura in cui, comunque, il sistema traduttivo ha il suo momento, la sua identità e la relativa stabilità in quanto sistema, si auto-riproduce di continuo. Il modo in cui la traduzione si conserva e cambia in continuazione in quanto sistema sociale, quindi un sistema comunicativo governato da un particolare insieme di aspettative, determina il modo in cui produciamo, riceviamo le traduzioni e ne parliamo. È pero importante capire che in questa prospettiva il termine «traduzione» non ha un significato stabile, insito e immanente. Piuttosto la categoria «traduzione», inclusa quella che definisco la sua funzione rappresentativa, viene costantemente riprodotta attraverso/mediante la comunicazione. La sua semantica cambia nel processo di riproduzione, proprio come il suo codice di base storico («adeguato/non adeguato come rappresentazione») è occupato da termini, opposizioni e valori differenti, ovvero da «diversi programmi». La sua durevolezza o stabilità, come concetto e pratica, viene dalla sua autopoiesi in quanto sistema, ovvero da operazioni ricorsive di auto-riproduzione e auto-riflessione. Al giorno d’oggi, le nostre discussioni, tra cui anche quelle in Scienza della Traduzione e questo mio articolo, sono parte di questo processo.

Illustration

 

Let me try to illustrate some of these points with a brief historical example. It concerns a seventeenth-century Flemish Catholic priest, one Adrianus de Buck, a now totally forgotten figure who lived in the town of Veurne (Furnes), close to the French border. We know of only two publications by him: a book of prayers, and his translation, in 1653, of Boethius’ Consolation of Philosophy, from Latin into Dutch (De Buck 1653; Hermans 1996). Just two copies of De Buck’s Boethius have dome down to us. The book was printed and published in Bruges, in what was known at the time as the Southern Netherlands, a region then still under Catholic Spanish rule. The mainly Protestant – more particularly, Calvinist – Northern Netherlands had, after a prolonged war with Spain, become an independent and extremely prosperous republic. Spain formally recognized the Dutch Republic as an independent state in 1648.

De Buck dedicated his translation to a number of local dignitaries. The dedication leaves the reader in no doubt that the translator is green with envy at the miracle of Dutch culture in the Northern Netherlands, not least because, as he observes, they have appropriated the learning of every other language in the world, including Hebrew, Turkish and Arabic. Clearly, De Buck was acutely aware of living in what, by comparison with the Northern republic, was rapidly becoming a cultural backwater. Not only that, the Southern Netherlands were also a vulnerable region that had already felt the effects of the expansionism of its powerful neighbour, France.

And so he translates Boethius. As is well known, Boethius (lived 480-526) wrote his Consolation of Philosophy when he was in prison, awaiting his execution.

Illustrazione

 

Fatemi spiegare alcuni di questi punti con un solo, breve esempio storico: riguarda un prete cattolico di origine fiamminga vissuto nel diciassettesimo secolo, Adrianus de Buck, una figura storica oggi totalmente dimenticata. Ci sono arrivate solo due pubblicazioni sue: un libro di preghiere e la traduzione dal latino all’olandese, risalente al 1653, di Consolazione della filosofia, scritto da Boezio (De Buck 1653; Hermans 1996). La traduzione di de Buck venne pubblicata a Brugge, ovvero nei Paesi Bassi meridionali quando ancora erano dominati dagli spagnoli, cattolici. I Paesi Bassi settentrionali, per lo più protestanti (calvinisti, per essere precisi) erano diventati una ricca repubblica indipendente, dopo una lunga guerra contro la Spagna, che riconobbe la Repubblica delle Sette Province Unite come stato indipendente nel 1648.

Esistono solo due copie della traduzione di De Buck, che dedicò il suo lavoro a dei dignitari locali: leggendo la dedica, il lettore non ha dubbi sul fatto che il traduttore stava morendo d’invidia per il miracolo culturale dei Paesi Bassi settentrionali, non ultimo perché, come sottolinea, hanno fatto in modo di avere a disposizione strumenti per imparare tutte le altre lingue del mondo, tra cui l’ebraico, il turco e l’arabo. È chiaro che De Buck fosse estremamente conscio di vivere in uno stato in cui, confrontato con la repubblica settentrionale, la cultura stava sempre più stagnando. E non solo, i Paesi Bassi meridionali erano anche una regione vulnerabile, che già aveva risentito degli effetti dell’espansionismo del suo potente vicino, la Francia. La città natale di De Buck, Vernue, era stata invasa dalle truppe di Luigi XIV pochi anni prima.

E allora ha deciso di tradurre Boezio. Come tutti sanno, Boezio (vissuto tra il 480 e il 560) scrisse la sua Consolazione della filosofia in prigione, in attesa della sua esecuzione.

The book consists of both verse and prose. De Buck has translated it, he tells us in his dedication, partly to offer consolation to his compatriots who have suffered at the hands of the French, partly because he reckons that the Protestant heretics in the North have left Boethius untranslated on account of the references to free will and purgatory in the Consolation (both concepts are unacceptable to Calvinist theology), and partly because he wants to prove that, as he puts it, “the sun also shines on our Flemish land and there is fire in our souls too.” This last point may well be the reason why in his translation De Buck renders every one of the poems in

Boethius not once, but twice, in two different metres.

Through his decision to translate, through his selection of a particular text to translate, through opting for a particular mode of translating, and through his reflection on his own work and motivation, De Buck offers us a cultural self-description, a selfpositioning which is religious and political as well a cultural and, more narrowly, literary. An interpretation – or, if you like, a translation – of De Buck’s Boethius in systems terms cannot alter the material facts. It can, however, put things in a new light, which, I hope, will prove

illuminating. What such a reading might draw attention to are aspects like the following.

(1) In De Buck’s choice of a particular source text for translation, various systemic relations come together. They are all part of the translation’s “temporalized semantics.”  In this sense we can view the choice in relation to the function of the translation, as De Buck explains it in his dedication. He wants to render a service to the community as a whole, that is, to his compatriots as citizens. Just as Boethius drew comfortfrom philosophical speculation at a time when he was facing imminent death, so the hardpressed citizens of Flanders will find consolation by reading Boethius in their hour of need. That is what makes Boethius an apt choice for De Buck, in preference to an unspecified number of alternative texts he could have translated instead. In providing comfort and a morale-booster, the translation constitutes an answer to a problem, or at least to a perceived problem.

Il libro comprende sia prosa che poesia. De Buck l’ha tradotto, ci dice nella sua dedica, in parte per consolare i suoi compatrioti che hanno sofferto sotto il dominio francese, in parte perché pensa che gli eretici protestanti del nord non abbiano tradotto Boezio per i riferimenti al libero arbitrio e al purgatorio contenuti nella Consolazione (entrambi i concetti sono inaccettabili nella teologia calvinista). E un po’ anche perché voleva dimostrare che, come scrive lui stesso: «Il sole splende anche sulle nostre Fiandre e c’è del fuoco anche nella nostra anima». Quest’ultimo punto potrebbe essere la ragione per cui, nella sua traduzione, De Buck traduce ogni poesia di Boezio non una volta, ma due, in due metri differenti.

Tramite la sua decisione di tradurre, la scelta di un testo in particolare, la scelta di una traduzione seguendo una modalità traduttiva ben precisa e la sua riflessione sul lavoro svolto e la motivazione, De Buck ci offre un’auto-descrizione culturale, un’auto-definizione e posizionamento che è sia religioso che politico, così come culturale e, più prettamente, letterario. Un’interpretazione – o, se preferite, una traduzione – del Boezio di De Buck in termini di sistema non può alterare i fatti materiali: può, comunque, dare una nuova prospettiva che, spero, si dimostrerà illuminante. Una lettura del genere può attirare l’attenzione su alcuni aspetti come i seguenti.

(1) Nella scelta di De Buck di un particolare prototesto su cui concentrarsi rientrano numerose relazioni sistemiche, tutte facenti parti della «temporalizzazione semantica». In questo senso possiamo vedere la scelta in relazione alla funzione della traduzione, come De Buck spiega nella sua dedica: vuole rendere un servizio alla comunità nella sua interezza, ovvero ai suoi compatrioti in quanto cittadini. Come Boezio trovò conforto dalle speculazioni filosofiche quando si trovò ad attendere la sua morte, così i fiamminghi oppressi dagli stranieri troveranno consolazione dalla lettura di Boezio nel momento del bisogno. Questo fa di Boezio la scelta adatta per De Buck rispetto a un indefinito numero di testi alternativi che avrebbe potuto tradurre al suo posto. Nel fornire conforto e richiamo morale, la traduzione è una risposta a un problema o, perlomeno, a quello che viene percepito come tale.

But we can also consider De Buck’s choice of Boethius in relation to the cultural system in the Northern Netherlands. De Buck notes that Boethius is not selected fortranslation there, for religious reasons. In this respect his own choice becomes both oppositional and differential. It challenges the North politically and ideologically, and it contributes to the differentiation of the Southern cultural system vis-à-vis that of the North. More particularly, De Buck’s choice of Boethius feeds into the ongoing redefinition and repositioning of Southern culture in the broader context of the deployment of translation – as of other cultural resources – in support of the Catholic Counter-Reformation.

The alignment and subordination of culture to religion, politics and ideology can readily be described in terms of structural coupling. In this case it means that, in De Buck’s Southern Netherlands, the criteria for source text selection prevalent in one system are imposed on another system. In addition, it is clear that De Buck’s selection of a particular source text is governed by normative constraints which are more like those of Catholic Spain than those of the more tolerant Northern Netherlands. De Buck’s compliance with the Catholic norm will in turn influence the issue of source text selection for subsequent translators. In other words, in pinpointing religion as a significant point of difference between North and South, and in placing translation, as a cultural activity, under the aegis of the Counter-Reformation, De Buck’s choice signals the emergence of translation in the Spanish Netherlands as a system separate from the Northern Netherlands and emphatically allied with Catholic Europe.

(2) If translation is viewed as representation, as the production of a text that resembles a source text in such a way that it can act as its representative, it can be understood as also observing its source text. The translation points to its original, brings the original into view and thus observes this original. It also makes a statement about it. In claiming to represent Boethius’ Latin text, De Buck’s translation presents us with a communication

about it, and puts it in a certain light. As representation, moreover, it offers a selection of a particular mode of representation from among a range of available, permissible modes. This selection determines the translation’s specific modulation, what we may call its style.

Ma possiamo considerare la scelta di De Buck in relazione al sistema culturale e traduttivo dei Paesi Bassi settentrionali: De Buck osserva che Boezio non rientra tra gli autori tradotti delle Provincie Unite per motivi religiosi. Rispetto a questo punto di vista, la sua traduzione diventa un modo di opporsi e di differenziarsi: sfida politicamente e ideologicamente il Nord e contribuisce alla differenziazione del sistema traduttivo del Sud rispetto a quello del Nord. Ancora più nel dettaglio, la scelta di Boezio alimenta la ridefinizione e riposizionamento in corso della cultura meridionale nel contesto più ampio della diffusione della traduzione – così come di altre risorse culturali – a supporto della Controriforma.

L’allineamento e la subordinazione della cultura alla religione, politica e ideologia, può essere prontamente descritto in termini di accoppiamento strutturale. In questo caso vuol dire che nei Paesi Bassi meridionali di De Buck i criteri per la selezione del prototesto prevalgono in un sistema e sono imposti in un altro. Inoltre, è chiaro che la selezione di De Buck per un particolare testo è dominata da costrizioni normative più simili a quelle della Spagna cattolica che dei più tolleranti Paesi Bassi settentrionali. La conformità di De Buck alla norma cattolica influenzerà, a sua volta, il problema della scelta del prototesto per traduttori successivi. In altre parole, indicando con precisione la religione come punto di differenza significativo tra Nord e Sud e la traduzione, come attività culturale, sotto l’egida della Controriforma, la scelta di De Buck segnala la progressiva affermazione della traduzione nei Paesi Bassi spagnoli come un sistema separato dalle Province Unite e empaticamente alleato con l’Europa cattolica.

(2) Se la traduzione è vista come rappresentazione, in quanto testo che offre un riflesso completo di un prototesto, può essere concepita come parte integrante di un tipo di osservazione sul prototesto. La traduzione punta a un originale, rende visibile il testo originale e, quindi, osserva il testo originale. Fa anche una dichiarazione a riguardo: nel dire di rappresentare il testo latino di Boezio, la traduzione di De Buck si presenta con una comunicazione sul testo. Come rappresentazione, però, offre una scelta di un particolare modalità da una gamma di modalità disponibili e permissibili. Questa selezione determina l’orchestrazione traduttiva specifica rispetto alla loro funzione, che possiamo chiamare il suo «stile».

Style, understood here as the orchestration of a translation in respect of its intended function, allows us to see two things at once: firstly, how a translation relates to a certain tradition, to prevailing expectations regarding the ‘adequacy’ of the representation, and, secondly, what it contributes to the subsequent strengthening or modification of these expectations. In this way style organizes the contribution that an individual text makes to the self-reproduction or autopoiesis of the system (Luhmann 1986; 1990).

The choice of a particular style amounts to a self-reflexive statement about stylistic choice. Assuming that more than one mode of representation is available, the selection of one mode rather than another highlights the exclusions. Selecting a particular mode thus points in two directions are once. It highlights both the existence of alternative possibilities, of paths not chosen, and the stylistic allegiances that align this translation with similar choices made by previous translators. In De Buck’s Boethius this is made explicit. It is thematized in the translator’s unusual decision to render the Latin poems not once, as we might expect, but twice, in two different forms. The ‘double’ translation does not really serve the translation’s function as representation at all. Translation normally makes do with just one target text to representing the source.

In one way, the double rendering dramatizes the fact that there are alternative possibilities, and in that sense it provides an emphatic comment on permissible modes of translating, and therefore on the very structure of the translation system itself. In addition, it underlines the fact that the system’s basic function, that of supplying representations of existing texts, can be fulfilled in more ways than one, in accordance with different programmes or poetics, and that the two different ways which the translator is illustrating here are both valid – and there is no suggestion that they exhaust the range of valid modes.  In that sense De Buck’s dramatization, or thematization, of modes of translating shows him observing his ownpractice as a translator, his own mode of treating the original together with potential other modes. Through his double translation he presents an observation on the ways in which translations observe originals and their own relations to them. It is a supremely self-reflexive moment.

Stile, inteso qui come l’orchestrazione di traduzioni rispetto alla loro funzione, ci permette di vedere due cose nello stesso momento: prima di tutto come una traduzione si lega a una certa tradizione, a aspettative prevalenti riguardo l’«adeguatezza» della rappresentazione e, in secondo luogo, come contribuisce al conseguente rafforzamento o modifica di queste aspettative. In questo modo lo stile organizza il contributo che il singolo testo da all’auto-riproduzione o autopoiesi del sistema (cf. Luhmann 1986;1990).

Eppure, la scelta di uno stile particolare è allo stesso tempo un’affermazione auto-riflessiva riguardo la scelta stilistica. Partendo dal presupposto che esiste più di una modalità di rappresentazione disponibile, la scelta di un determinato tipo sottolinea nello stesso momento l’esclusione di altri e quindi indica altre possibilità, o percorsi non scelti, così come fedeltà stilistiche, scelte simili fatte da traduttori precedenti. Nel Boezio di De Buck ciò è reso più esplicito. È tematizzato nella curiosa scelta dell’autore di tradurre le poesie latine due volte, in due forme diverse. La «doppia» traduzione in realtà non è funzionale alla traduzione come rappresentazione, dato che alla traduzione basta di solito una versione per rappresentare il protesto. Piuttosto, la «doppia» traduzione esagera il fatto che esistono alternative possibili e in quel senso rappresenta un commento empatico sui modi di traduzione possibili, ovvero sulla struttura vera e propria del sistema. Sottolinea, inoltre, che il codice di base del sistema, quella «rappresentazione adeguata versus rappresentazione non adeguata» può in pratica essere completata in più di un modo, rispetto diversi programmi o poetiche, e che i due diversi modi che qui De Buck presenta sono entrambi validi – e non è scritto da nessuna parte che siano i due soli modi esistenti. In questo senso la drammatizzazione, o tematizzazione, di De Buck dei modi traduttivi mostra lui stesso che osserva il suo lavoro come traduttore, come guarda all’originale e insieme a altri modi possibili.

At the same time, on a different level, the ‘double’ translation supports a conspicuous claim to legitimacy by a Southern translator vis-à-vis what he evidently perceives as the stronger system in the North. The South may be a backwater, he appears tobe saying, but it is not devoid of talent. By demonstrating competence and even virtuosity, he claims professional equality as a practitioner, but he still distances himself ideologically from the North. The ideological distance is highlighted at the level of the mode of translation by De Buck’s emphatically Catholic rendering of the passages on divine providence and free will. In these passages his vocabulary borrows directly from the terminological and discursive resources of the Catholic Church. But it is worth noting that what is alignment in one direction – the Catholic Church –  is polemic in another – the Protestant North.

(3) If De Buck’s self-reflexive comment on his own mode or style of translation, in which the system can be said to observe itself from within, is called secondorder observation (the observation of observation,Luhmann 1990), then ‘third-order’ observation would be a matter of observing second-order observation, that is, the observation of self-reflexive behaviour. This is what happens when we comment on De Buck as I have been doing. Here we can raise issues like the relative strength of the normative and other expectations that structure a system and the place De Buck seems to accord himself in this network, the way its organizing codes are fleshed out by particular programmes, the manner in which the system marks its boundaries and the relations it entertains with other systems. To do this properly we would need to put De Buck’s theory and practice of translation in a broader historical context. The endeavour would have to include other translations and prevailing ideas about translation, other modes of writing and of representation by means of writing, and a fuller picture of the temporal sequence of which De Buck’s work forms part, showing how his work connects with earlier translations and with discourses about translation, and how it affects the spectrum of connectivity for subsequent translations. Needless to say, this line of inquiry would lead us further afield than I can take it here.

Attraverso la sua traduzione doppia presenta un’osservazione sui modi di osservazione, ovvero una meta-osservazione.

Nello stesso momento, e su un livello diverso, la «doppia» traduzione sostiene una richiesta di legittimazione non indifferente di un traduttore meridionale rispetto a ciò che a quanto pare percepisce come il sistema più forte nel Nord. Dimostrando questa competenza, anche in modo virtuoso, rivendica uguaglianza «traduttiva» e professionale come professionista, mentre si distanzia dal punto di vista ideologico. Questa distanza ideologica è enfatizzata a livello di modalità traduttive nella resa cattolica dei passaggi riguardo la divina provvidenza e il libero arbitrio dove, in un caso ovvio di «accoppiamento strutturale», il vocabolario di De Buck pesca direttamente dalle risorse terminologiche e discorsiali della Chiesa cattolica. Ma vale la pena sottolineare che quello che è sostegno da un lato (la Chiesa cattolica) è polemica dall’altro (il Nord protestante).

(3) Se il commento auto-riflessivo di De Buck sulla sua modalità o stile di traduzione, nel quale il sistema si guarda al suo interno, è chiamato meta-osservazione o osservazione di secondo grado (un osservatore che osserva il suo comportamento, cf. Luhman 1990), un’osservazione «terzo grado»  quindi riguarda l’osservare il secondo livello di osservazione, ovvero si tratta di un’osservazione   auto-riflessiva. È quello che noi facciamo commentando il lavoro di De Buck come sto facendo io ora. Possiamo scovare problemi come la forza relativa o aspettative normative e di altro tipo che formano il sistema e il posto che De Buck si assegna in questo sistema, il modo in cui i suoi codici di organizzazione contengono programmi particolari, la demarcazione dei confini del sistema e i collegamenti con altri sistemi. Per fare un bel lavoro dovremmo inquadrare la teoria e il lavoro di De Buck in un contesto storico più ampio, che includa altre traduzioni e idee prevalenti riguardo la traduzione, altri modi di scrittura e rappresentazione tramite mezzi di scrittura e un quadro più completo del contesto temporale di cui il lavoro di De Buck è un tassello, mostrando come la sua comunicazione traduttiva si leghi alle comunicazioni precedenti (traduzioni e discorsi sulla traduzione) e l’effetto che ha sullo spettro della connettività delle successive comunicazioni. Questa indagine ci porterebbe però al di là di quello che voglio analizzare qui.

Let me end on an altogether different note, by drawing attention to a particularly unsettling actor which affects – perhaps I should say: which infects, or afflicts – all our attempts to speak about translation. I remarked in passing, above, that we could interpret, “or translate,” De Buck’s Boethius in system-theoretical terms. The description of the case itself constitutes a representation of it across semiotic boundaries. The transposition of this description into a different conceptual scheme amounts to another translation, at least if we accept Roman Jakobson’s view that translation comprises not only interlingual but also intralingual and intersemiotic representations (Jakobson 1959). In speaking about De Buck’s Boethius I am also translating that translation. Communication about translation means translating translation: the discourse about translation translates the practice of translation. But this entails that we translate according to our contemporary, culture-bound concept of translation, and into this concept of translation. Once we realize this, the neat distinction between objectlevel and meta-level which descriptive studies have cherished, collapses, and we are reminded of the uncomfortable fact that the study of translation  is likely to rebound on our own categories and assumptions, our own disciplinary modes of translating translation. There is no escape form this dilemma. But by conceptualizing it in terms of the selfreproducing and self-reflexive operations of a system, we can at least become aware of it – as we must, since it is a fundamental problem that affects, infects and afflicts all our work.

Permettetemi di concludere con un tipo di riflessione del tutto diversa, attirando l’attenzione su un fattore preoccupante che riguarda – forse dovrei dire: che infetta o affligge – tutti i nostri tentativi di parlare di traduzione. Quando qui sopra ho casualmente notato che possiamo interpretare «o tradurre» il Boezio di De Buck in termini di teoria del sistema, ero serio riguardo questo utilizzo di «tradurre». La descrizione del caso stesso costituisce una rappresentazione di ciò attraverso i confini semiotici. La trasposizione di questa descrizione in uno schema concettuale diverso è un’ulteriore traduzione, non contestata, in una disciplina che ha abbracciato la visione di Jakobson che la traduzione comprende rappresentazioni non solo interlinguistiche, ma anche intralinguistiche e intersemiotiche. Quindi, parlando del Boezio di De Buck sto traducendo quella traduzione. La comunicazione riguardo alla traduzione è a sua volta la traduzione di una traduzione: i discorsi sulla traduzione traducono la pratica della traduzione. Ma ciò significa, inevitabilmente, che traduciamo secondo il nostro concetto di traduzione che si lega alla nostra cultura e all’interno del nostro concetto di traduzione. Una volta che ci accorgiamo di ciò, la distinzione netta tra tra livello-oggettivo e meta-livello, così caro agli studi descrittivi, scompare e ci viene ricordato del fatto poco piacevole che lo studio della traduzione si ripercuote sulle nostre categorie e affermazioni, sulle nostre modalità disciplinari di tradurre la traduzione.

Non c’è scampo da questo dilemma, ma contestualizzandolo in termini di operazioni auto-riproduttive e auto-riflessive di un sistema possiamo almeno rendercene conto – come dobbiamo, in quanto è un problema fondamentale che infligge e affligge tutto il nostro lavoro.

 

Note bibliografiche

Berg, Henk de. 1993. Die Ereignishaftigkeit des Textes. Kommunikation und Differenz, ed. Henk de Berg and Matthias Prangel.

Berg, Henk de.  1995.  A Systems-theoretical Perspective on Communication. Poetics Today 16, 4: 709-41.

Buck, Adrianus de. 1653. Troost-Medecijne-wynckel der zedighe wysheyt, Voormaels in den kercker beschreven in’t latijne … Door Severinus Manlius Torquatus Boetius … Nu vertaelt tot yghelijcks Troost ende Leeringhe door F.D. Adrianus de Buck Canonick

Norbertijn der vermaerde Abdye van Sint’ Niclays binnen Veurne…. Bruges: Lucas vanden Kerchove.

Hermans, Theo, ed. 1996a. Door eenen engen hals. Nederlandse beschouwingen over vertalen 1550-1670. The Hague: Stichting Bibliographia Neerlandica.

Hermans, Theo. 1996b. Norms and the Determination of Translation: A Theoretical Framework. Translation, Power, Subversion, ed. Román Álvarez and Carmen-África Vidal, Clevedon: Multilingual Matters. 25-51.

Hermans, Theo. 1997, Translation as Institution. Translation as Intercultural Communication, ed. Mary Snell-Hornby, Zuzanne Jettmarová and Klaus Kaindl, Amsterdam and Philadelphia: John Benjamins. 3-20.

Jakobson, Roman. 1959. On Linguistic Aspects of Translation. On Translation, ed. Reuben Brower, Cambridge (Mass.): Harvard University Press. 232-9.

Lewis, David, 1969. Convention. A Philosophical Study. Cambridge (Mass.): Harvard University Press.

Luhmann, Niklas. 1984. Soziale Systeme. Grundriß einer allgemeinen Theorie. Frankfurt: Suhrkamp. (English: Social Systems, transl. John Bednarz Jr. Stanford: Stanford University Press, 1995).

Luhmann, Niklas.  1986. Das Kunstwerk und die Selbstreproduktion der Kunst. Stil. Geschichte und Funktionen eines kulturwissenschaftlichen Diskurselements, ed. H.U. Gumpert  and K.L. Pfeiffer, Frankfurt: Suhrkamp. 620-72.

Luhmann, Niklas. 1990. Weltkunst. Unbeobachtbare Welt. Über Kunst und Architektur, ed.  Niklas Luhmann, F.D. Bunsen and Dirk Baecker, Bielefeld: Cordula Haux. 7-45.

Poltermann, Andreas. 1992. ‘Normen des literarischen Übersetzens im System der Literatur.’ Geschichte, System, Literarische Übersetzung / Histories, Systems, Literary Translations, ed. Harald Kittel, Berlin: 5-31.

Toury, Gideon. 1995. Descriptive Translation Studies and Beyond. Amsterdam and Philadelphia: John Benjamins.

Henrik Gottlieb: Subtitles and International Anglification

Henrik Gottlieb: Subtitles and International Anglification

 

ALESSANDRA MERISIO

 

 

 

Fondazione Milano

Milano Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

 

 

Relatore: professor Bruno Osimo

Diploma in Scienze della Mediazione Linguistica

Luglio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© Henrik Gottlieb 2004

© Alessandra Merisio per l’edizione italiana 2011

 

 

 


ABSTRACT

Questa tesi consiste nella traduzione in italiano dell’articolo «Subtitles and International Anglification» dello studioso e  sottotitolatore danese Henrik Gottlieb, pubblicato nel 2004 sull’accademico Nordic Journal of English Studies. Gli argomenti e le tesi avanzati dall’autore sono commentati e approfonditi nella prefazione: il sottotitolaggio come forma di traduzione intersemiotica diagonale, l’evolversi e il ruolo della figura del traduttore audiovisivo in seguito all’introduzione di corsi universitari specializzati, la trasformazione diamesica, gli anglicismi e la funzione istruttiva dei sottotitoli.

ENGLISH ABSTRACT

This thesis consists of the translation into Italian of the article «Subtitles and International Anglification», published in 2004 in the academic Nordic Journal of English Studies by the Danish scholar and subtitler Henrik Gottlieb. A comment and in-depth study on the topics and his thesis are present in the preface: subtitling as a diagonal intersemiotic translation form, the development and role of the screen translator after the introduction of specialised university courses, the diamesic process, anglicisms and the instructive function of subtitling.

 

DEUTSCHE ZUSAMMENFASSUNG

Diese Diplomarbeit besteht aus der italienischen  Übersetzung des Artikels «Subtitles and International Anglification», der im akademischen Nordic Journal of English Studies vom dänischen Akademiker und Untertitel-Übersetzer Henrik Gottlieb im Jahr 2004 veröffentlicht wurde. Die Themen und Thesen des Autors werden im Vorwort kommentiert und vertieft: die Untertitelung als diagonale intersemiotische Übersetzung, die Entwicklung und Rolle des audiovisuellen Übersetzers nach der Einführung spezieller Studiengänge, der diamesische Verlauf, die Anglizismen und die belehrende Funktion der Untertitel.

 

 

 

 

 

 

 

Sommario

 

1. Prefazione……….. 4

2. Riferimenti bibliografici……….. 14

3. Traduzione con testo a fronte……….. 16

Subtitles and International Anglification……….. 17

I sottotitoli e l’anglicizzazione internazionale……….. 18

4. References……….. 42

 

 

 

 

 

 


1. Prefazione


L’articolo «Subtitles and International Anglification» è stato pubblicato nel 2004 sulla rivista accademica Nordic Journal of English Studies, Vol 3, N° 1 dallo studioso e sottotitolatore danese Henrik Gottlieb, esponente di spicco nonché pioniere del settore della traduzione audiovisiva.

La traduzione audiovisiva ha iniziato ad affermarsi come vera e propria disciplina universitaria a cavallo tra gli anni ottanta e novanta con l’attivazione di corsi pre e postuniversitari (Gottlieb, 1992). Dal 1991 il Centre for Translation Studies and Lexicography dell’università di Copenhagen, di cui Gottlieb è direttore, è stato tra i primi in Europa ad offrire un corso post-laurea di traduzione audiovisiva con un modulo specifico dedicato alla sottotitolazione. La nascita di questi corsi universitari testimonia la necessità di riconoscere la scientificità e la ricchezza teorica della traduzione audiovisiva come campo di ricerca e al contempo di formare delle figure professionali che svolgano il compito di sottotitolatori in modo brillante e funzionale e non più arbitrario (Perego 2005).

La domanda che pone Gottlieb nella prima parte dell’articolo è se il sottotitolaggio possa essere considerato vera e propria traduzione. Per rispondere a questa domanda è necessario chiarire il significato dei termini «traduzione» e «testo». Secondo la concezione di traduzione totale di Torop, con il termine «traduzione» si intende «qualsiasi processo che trasformi un prototesto (primo testo) in un metatesto (testo modificato)» (Osimo 2001), mentre un «testo» può essere costituito non solo da parole, ma anche dai linguaggi extraverbali. Grazie al modello della traduzione totale è quindi possibile descrivere qualsiasi tipo di attività traduttiva (Torop 2010). Partendo dal presupposto che un testo non è fatto di sole parole, in un articolo del 2005 lo stesso Gottlieb ha dato una sua definizione del termine traduzione:

any process, or product hereof, in which a combination of sensory signs carrying communicative intention is replaced by another combination reflecting, or inspired by, the original entity[1].

Considerando questi presupposti, la risposta alla domanda non può che essere positiva. Il sottotitolaggio è una forma di traduzione intersemiotica, poiché utilizza diversi canali semiotici, spaziando dall’oralità del discorso del prototesto (il prodotto audiovisivo) allo scritto del metatesto, i sottotitoli. Nel caso di sottotitolazione interlinguistica, il sottotitolaggio diventa un processo diagonale, perché oltre alla trasmissione del messaggio da un testo orale a un testo scritto, avviene anche il passaggio dalla cultura emittente alla cultura ricevente. In particolare, il sottotitolaggio è una forma traduttiva specifica che si distingue da altri tipi di traduzione per i parametri individuati da Gottlieb.  Il sottotitolaggio è:

prepared communication using written language acting as an additive and synchronous semiotic channel, as part of a transient and polysemiotic text[2].

Si tratta di comunicazione: scritta (written), perché delle parole vengono riportate sullo schermo; aggiuntiva (additive), poiché i sottotitoli convivono con il testo originale formato da battute, immagini e suoni che non possono essere modificati; immediata (immediate) e sincronica (synchronous), poiché i sottotitoli appaiono sullo schermo di pari passo al dialogo originale; multimediale (polymedial), perché costituisce uno dei tanti canali di trasmissione del messaggio; e transitoria (transient), perché di passaggio sullo schermo (Perego 2005:47).

Personalmente ho sempre considerato il sottotitolaggio una vera forma di traduzione, ancora prima di iniziare questo percorso universitario e quindi di venire a conoscenza delle nozioni basilari della scienza della traduzione. Ma solo negli ultimi mesi ho iniziato a considerare il sottotitolaggio in modo più critico. Io stessa posso notare la differenza di qualità tra i sottotitoli di film in DVD e dei filmati in televisione rispetto ai sottotitoli di materiale audiovisivo reperibile in siti di streaming in internet. Infatti, mentre i primi sono  preparati da professionisti, i secondi possono essere preparati da qualsiasi utente che dimostri di avere un po’ di competenza linguistica, ma che non è necessariamente un traduttore. Nonostante ciò, come avviene in tutti i campi della traduzione, non basta sapere una lingua straniera per improvvisarsi sottotitolatori: è necessario aver conseguito la specializzazione adeguata. Il ruolo del traduttore audiovisivo, che in questo caso chiameremo sottotitolatore, è infatti fondamentale al fine di trasmettere in modo corretto tutte le informazioni del testo originale mantenendo il dovuto dinamismo comunicativo (Perego 2005). Oggi sembra scontato che un sottotitolatore debba essere in primo luogo un traduttore, ma non è sempre stato così: la figura del sottotitolatore si è infatti evoluta notevolmente. L’esigenza di formare del personale specializzato è nata negli anni novanta:

The 1990s have witnessed the emergence of a well-defined job profile for the subtitler. This has lead to the development in recent times of special training courses for this profession. Broadcasting stations and subtitling companies are recruiting language graduates and training them in-house; universities and specialised translation schools are setting up subtitling classes as part of their media translation courses. The media industry has realised that trained professionals are needed for the job[3].

Se in passato era frequente che i sottotitoli fossero preparati da personale inesperto, oggi è più raro che questo avvenga. L’evoluzione della figura del sottotitolatore è a mio parere una grande conquista nel campo della traduzione.

Come già accennato, il sottotitolaggio comporta una trasformazione diamesica, cioè un cambiamento di codice. Il dialogo della lingua parlata, apparentemente priva di regole, come la definisce Gottlieb, deve essere “trasformato” in un altro codice, quello della lingua scritta, più rigida. Nonostante questo, ossia che avvenga un passaggio da un sottocodice all’altro, io credo che il sottotitolatore debba conferire ai sottotitoli la naturalezza del dialogo parlato, rispettando sì le regole della lingua scritta (punteggiatura, ortografia, sintassi e grammatica), ma al tempo stesso cercando di evitare  l’utilizzo di forme e strutture rigide, più tipiche della lingua scritta che renderebbero i sottotitoli del tutto non naturali e “forzati”. A tal proposito in un articolo in Internet sul sottotitolaggio, anche Osimo ritiene che negare la realtà del parlato nei romanzi o nei film sottotitolati, renda gli stessi ridicoli e lontani dalla realtà. Prendiamo il seguente esempio: se in una scena di un film in cui due amiche vogliono bere un caffè insieme, una dicesse all’altra: «Propongo di bere un caffè insieme» la battuta sarebbe sì corretta da un punto di vista ortografico e grammaticale, ma suonerebbe troppo “finta” e poco naturale. Sarebbe molto più opportuno sostituirla con la seguente battuta: «Ti va un caffè?», molto più naturale e spontanea.

Il sottotitolaggio è definito da Gottlieb un lavoro che richiede talenti diversi:

apart from being an excellent translator of foreign-language lines, a good subtitler needs the musical ears of an interpreter, the no-nonsense judgement of a news editor, and a designer’s sense of esthetics. In addition, as most subtitlers do the electronic time-cueing themselves, the subtitler must also have the steady hand of a surgeon and the timing of a percussionist[4].

Oltre a un diploma in traduzione audiovisiva, per essere un bravo sottotitolatore è necessario possedere e affinare questi talenti. Uno degli aspetti più importanti del lavoro del sottotitolatore è il montaggio dei sottotitoli chiamato «timing». Esso consiste nel definire i tempi di «entrata» e «uscita» di ciascun sottotitolo e nel trovare il miglior equilibrio tra il ritmo del film, il ritmo di parlata dei personaggi o del narratore e il ritmo di lettura dello spettatore. Vanno inoltre considerati i tagli e i collegamenti sonori tra due scene, al fine di raggiungere al tempo stesso il più alto livello di sincronizzazione possibile tra la parola pronunciata e l’effettivo sottotitolo (Ivarsson, Carrol 1998:82). Quando Gottlieb parla di «tempismo di un percussionista», si riferisce molto probabilmente a questo difficile compito.

Un’altra sfida particolarmente ardua che deve affrontare un sottotitolatore è la strategia di condensazione del dialogo (Gottlieb) o di riduzione parziale, secondo Kovačič. La strategia di condensazione ripropone il messaggio in una forma più sintetica, senza comportare la perdita totale di informazioni: cambia solo la forma del messaggio, ma non il suo contenuto. Per attuare questa strategia il sottotitolatore deve dimostrare una grande abilità  di analisi, sintesi e congettura.

Credo quindi che sia importante che un sottotitolatore concili la teoria (il fatto che abbia studiato per diventare sottotitolatore) con la pratica, l’insieme delle abilità e dei talenti. Questo pensiero può essere riassunto nelle parole di  Luyken secondo il quale «il traduttore audiovisivo è una figura professionale determinante che necessita di un’adeguata preparazione per soddisfare le esigenze qualitative richieste. Solide basi teoriche unite ad abilità ed esperienza sul versante pratico sono attributi imprescindibili» (Luyken 1990).

 

Gottlieb ritiene che «finché la gran parte dello scambio internazionale di film e produzioni televisive rimane anglofona, sarà molto probabile che sia il sottotitolaggio che il doppiaggio continueranno a proiettare aspetti tipici della lingua inglese dal dialogo originale al discorso tradotto. Così come stanno le cose, si trova un’alta frequenza di anglicismi in entrambi i tipi di traduzione[…]». Egli definisce quello degli anglicismi un problema da ridurre al minimo e spera che in futuro le importazioni di programmi da paesi anglofoni siano ridotte nel bene della diversità linguistica e culturale. Credo che il termine «problema» utilizzato da Gottlieb sia esagerato, soprattutto se applicato a un paese come l’Italia che ha alle spalle un passato di nazionalismo linguistico, causato dalla chiusura del regime fascista verso le altre lingue e culture. Il 22 ottobre 1930 l’ufficio di revisione fece infatti emettere la seguente disposizione:

il ministero dell’interno ha disposto che da oggi non venga accordato il nullaosta alla rappresentazione di pellicole cinematografiche che contengano del parlato in lingua straniera sia pure in misura minima. Di conseguenza, tutti indistintamente i film sonori, ad approvazione ottenuta, porteranno sul visto la condizione della soppressione di ogni scelta dialogata o comunque parlata in lingua straniera[5].

È da questo momento che in Italia inizia a svilupparsi l’industria del doppiaggio che ha ormai raggiunto un livello di qualità esemplare. È interessante notare come oggi l’Italia sia più positiva e aperta verso gli anglicismi. Se è vero che durante gli anni del regime fascista ci fu una chiusura verso le lingue straniere, è anche vero che con gli sbarchi in Sicilia e ad Anzio delle truppe americane, in molte regioni d’Italia i soldati americani e la lingua inglese divennero molto familiari con una naturale apertura dei più giovani verso questa lingua. Oggi in Italia gli anglicismi sono utilizzati molto spesso nel linguaggio quotidiano, molte volte senza rendersene conto. Si pensi ai lemmi «manager», «smog», «week-end» ormai affermati e presenti sul vocabolario della lingua italiana. Non sono contraria all’utilizzo degli anglicismi, purché moderato e a patto che si sia consapevoli di utilizzare un termine preso in prestito da un’altra lingua, nonostante esista la possibilità di dire la stessa cosa in italiano.

L’Italia fa parte dei «dubbing countries», ossia dei paesi che si avvalgono principalmente della tecnica del doppiaggio. Ciò significa che il pubblico italiano è sempre stato abituato a vedere programmi doppiati importati da altri paesi ed è raro che vengano trasmessi in tv programmi o film in lingua straniera sottotitolati. Uno dei modi per accedere a materiale audiovisivo sottotitolato è utilizzare i DVD (Digital Versatile Disk) che possono contenere fino a 32 versioni sottotitolate in lingue diverse (Ivarsson, Carrol 1998). Personalmente ritengo molto utile la visione di film in lingua originale sottotitolati per favorire l’apprendimento di una lingua straniera. Questo metodo dovrebbe essere promosso non solo nelle scuole, ma anche alla televisione al fine di trarne il massimo vantaggio per tutti. La televisione dovrebbe dare al pubblico la possibilità di scegliere tra la versione originale di un film sottotitolata e la versione doppiata, come avviene in molti altri Paesi. Credo che la programmazione di film in lingua inglese sottotitolati andrebbe a vantaggio di molti, soprattutto dei più giovani:

In Europe children start to learn foreign languages, especially English, at a young age. Watching television makes a substancial contribution to their understanding of spoken English and to improving their pronunciation[6].

La funzione istruttiva dei sottotitoli è riconosciuta anche da Gottlieb che però vorrebbe limitare notevolmente le importazioni di materiale anglofono a favore di produzioni locali nell’interesse della diversità linguistica e culturale.

 

Al termine della mia analisi ritengo doveroso rivolgere una critica circa lo stile e la struttura dell’articolo. Infatti, Il Nordic Journal of English Studies, nel quale è pubblicato l’articolo in questione, è una rivista accademica, ossia un «periodico a revisione paritaria  in cui vengono pubblicati contributi di scienziati ed esperti di una disciplina accademica» (Wikipedia 2011). Le riviste accademiche fungono da forum per l’introduzione e la presentazione di nuova ricerca e per la critica di ricerca esistente. In quanto tale, Subtitles and International Anglification dovrebbe rispondere a determinati criteri di stesura di un articolo accademico. Nella comunità scientifica internazionale un articolo deve essere organizzato nell’ordine suggerito dall’acronimo IMRAD: Introduction, Methods, Results and Discussion[7]. Tuttavia, Gottlieb non rispetta appieno questi criteri. Più che presentare nuovi dati di ricerca, egli fa trasparire più volte la sua opinione personale: limitare le importazioni anglofone e favorire le produzioni locali e importazioni da paesi non anglofoni per promuovere la diversità culturale. Le considerazioni personali abbassano il livello di scientificità di un articolo, soprattutto se non supportate da dati. La scarsa scientificità dell’articolo in questione è a mio parere evidente nella conclusione, dove Gottlieb espone per l’ennesima volta il suo desiderio sopra citato. Oltre a essere una ripetizione, che è sempre bene evitare in un articolo scientifico, lo stile in cui Gottlieb si esprime non è del tutto scientifico. Si veda per esempio l’esclamazione «ahimè» e la conclusione «questo circolo, vizioso o no, deve essere interrotto, almeno nell’interesse della diversità linguistica e culturale».


2. Riferimenti bibliografici

De Linde Zoè 1999. The Semiotics of Subtitling. Manchester: St.Jerome.

De Mauro Tullio 2008. «Gli anglicismi? No problem, my dear», disponibile in internet all’indirizzo http://www.treccani.it/site/lingua_linguaggi/archivio_speciale/demauro, consultato nel giugno 2011.

Gottlieb Henrik 1992. Subtitling – A  New University Discipline, «Teaching Translation and Interpreting», Dollerup, Cay e Anne Loddegaard.

Gottlieb Henrik 2004. «Subtitles and International Anglification». Nordic Journal of English Studies, Vol III-1: 219-230,  disponibile in internet all’indirizzo http://ojs.ub.gu.se/ojs/index.php/njes/issue/view/11, consultato nel marzo 2011.

Gottlieb Henrik 2005. «Multidimensional Translation: Semantics turned Semiotics». Proceeding of the Marie Curie Euroconferences MuTra Challenges of Multidimensional Translation, disponibile in internet all’indirizzo http://www.euroconferences.info/proceedings/2005_Proceedings/2005_proceedings.html, consultato nel maggio 2011.

Ivarsson Jan e Carrol Mary 1998. Subtitling. Simrishamn: TransEdit HB.

Kotzé Theuns 2007. «Guidelines on Writing a First Quantitative Academic Article», disponibile in internet all’indirizzo web.up.ac.za/sitefiles/file/40/753/writing_an_academic_journal_article.pdf, consultato nel giugno 2011.

Luyken Georg-Michael 1990. Language Conversion in Audiovisual Media, «Proceeding of a conference» P. Mayorcas, Londra: Aslib.

Osimo Bruno 2001. Propedeutica della traduzione. Milano: Hoepli.

Osimo Bruno 2000-2004. «Sottotitolaggio», disponibile in internet all’indirizzo http://courses.logos.it/pls/dictionary/linguistic_resources.cap_4_19?lang=it, consultato nel giugno 2011.

Perego Elisa 2005. La traduzione audiovisiva. Roma: Carocci.

Torop Peeter 2010. La traduzione totale, a cura di Bruno Osimo. Milano: Hoepli.

Wikipedia 2011. «Academic Journal» in Wikipedia, disponibile in internet all’indirizzo http://en.wikipedia.org/wiki/Academic_journal, consultato nel giugno 2011.

 

 

3. Traduzione con testo a fronte


Subtitles and International Anglification

Is subtitling translation?

Language professionals tend to disagree as to whether subtitling is indeed translation, and even the subtitling industry is often reluctant to grant this type of language transfer the status of ‘real’ translation. This is mainly due to two things:

1) The famous and infamous time-and-space constraints of subtitling, which mean that no more than some 70 (alphanumeric) characters can be fitted into one subtitle, and that – in order to give viewers enough reading time – subtitles should be exposed at a pace not exceeding 12 characters per second. This normally implies some measure of condensation of the original dialogue, something that is often not expected in translated texts.

2) The fact that to most people the term ‘translation’ – or the equivalents ‘traduction’, ‘Übersetzung’, ‘oversættelse’, etc. – means ‘the transfer of written text in one language into written text in another’.

I will suggest labeling all types of interlingual transfer ‘translation’, as they all share one basic quality: verbal messages are recreated in another language. However, a watershed runs between what I will call isosemiotic translation on the one hand, and diasemiotic translation on the other. Isosemiotic translation uses the same semiotic channel – i.e. channel of expression – as the original, and thus renders speech as speech and writing as writing. This means that processes as diverse as conference interpreting, post-synchronization (= dubbing), technical translation and literary translation are all examples of isosemiotic translation.

 

 

 

I sottotitoli e l’anglicizzazione internazionale

Il sottotitolaggio è traduzione?

I professionisti della lingua tendono a dissentire sulla questione se il sottotitolaggio si possa considerare proprio traduzione e spesso anche l’industria del sottotitolaggio è riluttante a conferire a questo tipo di trasferimento linguistico lo status di “vera” traduzione. Ciò è dovuto principalmente a due fattori:

1) I tristemente famosi limiti spazio-temporali dei sottotitoli, che implicano che non possono essere inseriti in un sottotitolo più di circa settanta caratteri (alfanumerici)  e che, per dare agli spettatori il tempo di lettura sufficiente, i sottotitoli dovrebbero essere esposti a una velocità non superiore ai 12 caratteri al secondo. Questo in genere implica delle misure di condensazione del dialogo originale, espediente che non è previsto spesso nei testi tradotti.

2) Il fatto che per la maggior parte delle persone il termine “traduzione”, o gli equivalenti «traduction», «Übersetzung», «oversættelse», ecc, significa «il trasferimento di un testo scritto in una lingua in un testo scritto in un’altra».

Propongo di classificare tutti i tipi di trasferimento interlinguistico con il termine «traduzione», poiché essi condividono tutti una qualità essenziale: i messaggi verbali sono ricreati in un’altra lingua. Tuttavia, esiste uno spartiacque tra ciò che chiamerò «traduzione isosemiotica» da una parte e «traduzione diasemiotica» dall’altra. La traduzione isosemiotica utilizza lo stesso canale semiotico (il canale di espressione) dell’originale e quindi rende il discorso orale con un discorso orale e il testo scritto con un testo scritto. Ciò significa che processi così diversi come l’interpretariato di conferenza, la post-sincronizzazione (doppiaggio), la traduzione tecnica e la traduzione letteraria sono tutti esempi di traduzione isosemiotica.

 

In contrast, diasemiotic translation crosses over from writing to speech, or – as in the case of subtitling – from speech to writing.

As is seen below, the process of diasemiotic translation is diagonal. Thus, subtitling – the only type of diasemiotic translation found in the mass media – ‘jaywalks’ from source-language speech to target-language writing:

 

 

 

 

The realm of subtitling

 

Subtitling can be defined as “diasemiotic translation in polysemiotic media (including films, TV, video and DVD), in the form of one or more lines of written text presented on the screen in sync with the original dialogue[8]“.

Per contro, la traduzione diasemiotica spazia dallo scritto al discorso, oppure, come nel caso del sottotitolaggio, dal discorso al testo scritto.

Come si vede sotto, il processo di traduzione diasemiotica è diagonale. Quindi il sottotitolaggio, l’unico tipo di traduzione diasemiotica dei mass media, si avventura dal discorso della cultura emittente al testo scritto della cultura ricevente:

 

 

 

Il campo del sottotitolaggio

 

Il sottotitolaggio può essere definito come «traduzione diasemiotica nei media polisemiotici (inclusi film, tv, video e DVD), sotto forma di una o più righe di testo scritto, presentato sullo schermo contemporanemente al dialogo originale». [9]

In most European speech communities with less than 25 million speakers, subtitling – costing only a fraction of lip-sync dubbing – has been the preferred type of screen translation ever since the introduction of sound film in the late 1920s[10].Internationally, at least six different patterns of subtitling are found, with most subtitling countries adhering to only one of them:

1) Subtitling from a foreign language into the domestic majority language: Denmark, Sweden, Norway, Iceland, the Faroe Islands, the Netherlands, Portugal, Estonia, Slovenia, Croatia, Romania, Greece, Cyprus, Argentina, Brazil, etc.

2) Bilingual subtitling (in cinemas) from a foreign language into two domestic languages: Finland (Finnish and Swedish), Belgium (Flemish and French), Israel (Hebrew and Arabic).

3) Subtitling from national minority languages into the majority language: Ireland, Wales (English).

4) Subtitling from the majority language into an immigrant language: Israel (Russian).

5) Subtitling from non-favored languages to the favored language: South Africa and India (English).

6) Revoicing foreign-language dialogue in the favored language, with subtitles in a non-favored domestic language: Latvia (voice-over in Latvian, subtitles in Russian).

 

Nella maggior parte delle comunità discorsuali europee con meno di venticinque milioni di parlanti, il sottotitolaggio, essendo molto più economico del doppiaggio con sincronizzazione labiale, è il tipo di traduzione audiovisiva preferito fin dall’introduzione del film sonoro alla fine degli anni ’20[11].

A livello internazionale si identificano almeno sei diversi modelli di sottotitolaggio. La maggior parte dei paesi che si avvalgono del sottotitolaggio  adottano soltanto uno di essi:

1) Sottotitolaggio da una lingua straniera alla lingua nazionale maggioritaria:

Danimarca, Svezia, Norvegia, Islanda, Isole Faroe, Paesi Bassi, Portogallo, Estonia, Slovenia, Croazia, Romania, Grecia, Cipro, Argentina, Brasile ecc.

2) Sottotitolaggio bilingue (al cinema) da una lingua straniera alle due lingue nazionali: Finlandia, (finlandese e svedese), Belgio (fiammingo e francese), Israele (ebraico e arabo).

3) Sottotitolaggio dalle lingue nazionali minoritarie alla lingua maggioritaria: Irlanda, Galles (inglese).

4) Sottotitolaggio dalla lingua principale in una lingua di immigrazione: Israele (russo).

5) Sottotitolaggio da lingue non preferite alla lingua preferita: Sud Africa e India (inglese).

6) Risonorizzazione del dialogo in una lingua straniera nella lingua preferita, con sottotitoli in una lingua nazionale non preferita: Lettonia (voice-over in lettone, sottotitoli in russo).

 

Dubbing vs. subtitling

 

Dubbing, the traditional rival of subtitling, long ago established itself as the dominant type of screen translation in all non-Anglophone major speech communities in Western Europe, i.e. Spain, Germany, Italy and France. Without entering the never-ending ‘dubbing vs. subtitling’ discussion[12],two central – and slightly paradoxical – facts need mentioning here:

a) Subtitling, often considered the more authentic of the two methods, constitutes a fundamental break with the semiotic structure of sound film by re-introducing the translation mode of the silent movies, i.e. written signs.

b) Dubbing, a “natural”, isosemiotic type of translation, generates a conglomerate expression in which the voices heard, severed as they are from the faces and gestures seen on screen, will never create a fully natural impression. Only total remakes will be able to supplant the original film.

 

All in all, the two methods of screen translation differ in the following respects:

1. In semiotic terms, i.e. with regard to

(a) written vs. spoken language mode, and

(b) supplementary mode (subtitling) vs. substitutional mode (dubbing).

 

 

 

 

 

Doppiaggio versus sottotitolaggio

 

Il doppiaggio, rivale tradizionale del sottotitolaggio, si affermò tempo fa come tipo dominante di traduzione audiovisiva in tutte le grandi comunità discorsuali non anglofone dell’Europa occidentale ossia Spagna, Germania, Italia e Francia. Senza addentrarci nell’infinita discussione «doppiaggio versus sottotitolaggio»[13], è necessario menzionare due fatti fondamentali, leggermente paradossali:

a)             Il sottotitolaggio, spesso considerato il più autentico dei due metodi, crea una rottura fondamentale con la struttura semiotica del film sonoro, reintroducendo la modalità traduttiva dei film muti, cioè i segni scritti.

b)             Il doppiaggio, un tipo di traduzione isosemiotica “naturale” crea un’espressione conglomerata nella quale le voci sentite, talmente separate dai volti e dai gesti visti sullo schermo, non potranno mai creare un effetto totalmente naturale. Soltanto girando di nuovo l’intero film si potrà soppiantare l’originario.

Complessivamente, i due metodi di traduzione audiovisiva si distinguono per i seguenti aspetti:

  1. in termini semiotici, in particolare considerando

a) la modalità scritta versus la modalità parlata e

b) la modalità integrativa (sottotitolaggio) versus la modalità sostitutiva (doppiaggio).

 

2. In wording, where

(c) to a great extent, subtitling is governed by the norms of the written language[14],and

(d) unlike dubbing, subtitling tends to condense the original dialogue by roughly one third[15],partly as a result of point 2c above, partly to provide enough reading time for the audience (cf. the constraints mentioned in the introduction).

 

Subtitling, a multi-talent task

 

Apart from being an excellent translator of foreign-language lines, a good subtitler needs the musical ears of an interpreter, the no-nonsense judgment of a news editor, and a designer’s sense of esthetics. In addition, as most subtitlers do the electronic time-cueing themselves, the subtitler must also have the steady hand of a surgeon and the timing of a percussionist.

Furthermore, due to the diasemiotic nature of subtitling, the subtitler must, on top of translating spoken utterances from one language to another, transfer the dialogue from one sub-code (the seemingly unruly spoken language) to another (the more rigid written language). If this shift of sub-code were not performed as a fundamental part of the subtitling process, the audience would be taken aback by reading the oddities of spoken discourse.

 

2.   nella formulazione verbale, dove

c) il sottotitolaggio è governato in gran misura dalle regole della lingua scritta[16] e

d) diversamente dal doppiaggio, il sottotitolaggio tende a ridurre il dialogo originale di circa un terzo[17], in parte come risultato del punto 2c sopra, in parte per dare al pubblico tempo di lettura sufficiente (si vedano i limiti menzionati nell’introduzione).

 

Il sottotitolaggio, compito che richiede talenti diversi.

 

Oltre a essere un traduttore eccellente di dialoghi, un buon sottotitolatore necessita dell’orecchio musicale di un interprete, del giudizio pratico di un redattore giornalistico e del senso estetico di un designer. Per di più, dato che molti sottotitolatori svolgono loro stessi il montaggio delle battute, il sottotitolatore deve anche avere la mano ferma di un chirurgo e il tempismo di un percussionista.

Inoltre, a causa della natura diasemiotica del sottotitolaggio, il sottotitolatore, oltre a tradurre il discorso da una lingua a un’altra, deve trasferire il dialogo da un sottocodice (la lingua parlata apparentemente priva di regole) a un altro (la lingua scritta, più rigida).

Se questo mutamento di sottocodice non avvenisse come parte fondamentale del processo di sottotitolaggio, il pubblico sarebbe sorpreso nel leggere le stranezze del discorso parlato.

 

But as the dialogue is always re-coded en route to the bottom of the screen, viewers only react if the other dimension of diagonal subtitling – the translation proper – seems imperfect.

 

But this happens often enough; double-guessing subtitlers is almost a national sport in semi-bilingual subtitling countries, and several websites are now dedicated to onscreen translation bloopers (see for instance the Danish “Bøfsiden” and “Avigsidan” from Sweden).

 

Naturally, many of the errors reported are inexcusably stupid – albeit very amusing. But at a more sophisticated level, the complex and polysemiotic nature of filmic media renders a simple textual comparison between subtitles and original dialogue insufficient for making quality judgments.

 

Instead, the synthesis of the four parallel semiotic channels – image, (non-verbal) sound, dialogue and subtitles – should be compared with the original three-channel discourse. Only then will it be possible to determine to which extent the subtitled version as a whole manages to convey the semantic gestalt of the original.

 

 

 

 

 

 

 

Ma dato che il dialogo è sempre simultaneamente ricodificato nella parte bassa dello schermo, il pubblico reagisce soltanto se sembra imperfetta l’altra dimensione del sottotitolaggio diagonale, la vera e propria traduzione.

 

Ma questo capita abbastanza spesso; in molti paesi semi bilingue che si avvalgono dei sottotitoli, essere sottotitolatori sospettosi è quasi uno sport nazionale e molti siti internet sono ormai dedicati alle “perle” della traduzione audiovisiva (si vedano per esempio il sito danese  «Bøfsiden» (titlevision 2008-2011) e lo svedese «Avigsidan» (avigsidan)).

 

Naturalmente molti degli errori riportati sono imperdonabilmente stupidi, benché molto divertenti. Ma a un livello più sofisticato, la natura complessa e polisemiotica dei media filmici rende un semplice paragone testuale tra i sottotitoli e il dialogo originale insufficiente per giudicarne la qualità.

 

Al contrario, la sintesi dei quattro canali semiotici paralleli – immagine, suono (non verbale), dialogo e sottotitoli – dovrebbe essere paragonata al discorso originale nei tre canali. Solo così sarà possibile determinare in che misura la versione sottotitolata riesce a trasferire nell’insieme la struttura semantica complessiva dell’originale.

 

Anglophone programing, anglified subtitles?

 

Film, TV and video are presently being digitized, leading to formats much better suited for special translation needs than the traditional one-translation-per-film entity. Already today, films on DVD are marketed in multi-language versions, with (in theory) up to 8 dubbed and 32 subtitled versions on one disc – although on most DVDs far less than half of these options are offered[18].

With Digital Video Broadcasting (DVB), new standards for TV translation may (still) be expected (Karamitroglou 1999), making ‘personal subtitling’ – i.e. remote control selection of the preferred language version – a matter of course to most audiences worldwide.

However, as long as the bulk of the international exchange of films and TV productions remains anglophone, both subtitling and dubbing will very likely keep projecting English language features from the original dialogue to the translated discourse[19].As things are, high frequencies of Anglicisms are found in both types of translation, as shown in recent German and Danish studies (Herbst 1994 & 1995, Gottlieb 1999 & 2001).

 

Programmi anglofoni, sottotitoli anglicizzati?

 

I film, la tv e i video sono attualmente in fase di digitalizzazione, introducendo dei formati molto più appropriati per delle esigenze particolari di traduzione rispetto al tipo “una traduzione a film”. Già oggi i film sui DVD sono distribuiti in versioni multilingui con (in teoria) fino a otto versioni doppiate e trentadue sottotitolate su un unico disco, anche se nella maggior parte dei DVD sono disponibili molto meno della metà di queste opzioni.[20]

Con il Digital Video Broadcasting si attendono (ancora) dei nuovi criteri per la traduzione televisiva (Karamitroglou 1999), che rendano «i sottotitoli personalizzati», per esempio la selezione col telecomando della versione nella lingua preferita, una procedura normale per la maggior parte del pubblico in tutto il mondo.

Tuttavia, finché la gran parte dello scambio internazionale di film e produzioni televisive rimane anglofona, sarà molto probabile che sia il sottotitolaggio che il doppiaggio continueranno a proiettare aspetti tipici della lingua inglese dal dialogo originale al discorso tradotto[21]. Così come stanno le cose, si trova un’alta frequenza di anglicismi in entrambi i tipi di traduzione, come mostrato in recenti studi tedeschi e danesi (Herbst 1994 & 1995, Gottlieb 1999 & 2001).

 

And indeed, with the largely unchallenged power of Hollywood, although many subtitlers and language authorities may be critical to linguistic echoes of English in translated media, film companies, broadcasters and audiences worldwide tend to be more positive in this respect – one example being the increasing number of American film titles remaining untranslated in non-anglophone countries.

Interestingly, even when Anglicisms are concerned, subtitling differs from dubbing – in terms of which grammatical level is mainly affected. Dubbing tends to introduce syntactic ‘Trojan horses’ in target languages, primarily because the actors’ lip movements force dubbing translators to copy English speech patterns. Subtitling, on the other hand, typically promotes lexical innovation, i.e. loanwords, a more transparent Anglicism category. This is partly because viewers expect terminological similarity between what they hear and what they read on the screen (Gottlieb 2001).

For those concerned by these facts, there is little consolation in the alternatives:

a) Voice-over, where the original soundtrack is overlayed with impassion-ate, sometimes English-flavored narration in the target language (Griga-raviciúté & Gottlieb 1999), with no way of checking the translation against the original,

b) No translation, where the domestic language is not ‘contaminated’, but the audience is forced to make the best of their knowledge of English – a sink-or-swim strategy used in, for instance, several countries in Southern Africa (Kruger & Kruger 2001) – and, finally

 

E infatti, con il potere ampiamente incontestato di Hollywood, sebbene molti sottotitolatori e autorità della lingua potrebbero criticare le eco linguistiche dell’inglese nei media tradotti, le società di produzione, le emittenti e il pubblico in tutto il mondo tendono a essere più positivi su questo aspetto – un esempio è il crescente numero di titoli di film americani che non vengono tradotti nei paesi non anglofoni.

Anche quando si tratta di anglicismi, è interessante notare come il sottotitolaggio si distingua dal doppiaggio, in termini di quale livello grammaticale è principalmente implicato.

Il doppiaggio tende a introdurre dei «cavalli di troia» sintattici nelle lingue riceventi, principalmente perché i movimenti labiali degli attori obbligano gli adattatori a fare dei calchi sul discorso inglese. Dall’altra parte il sottotitolaggio promuove tipicamente l’innovazione lessicale,  ossia i prestiti dalla lingua, una categoria più trasparente di anglicismi. Ciò avviene anche perché il pubblico si aspetta una somiglianza terminologica tra quello che sente e quello che legge sullo schermo (Gottlieb 2001).

Gli interessati traggono gran poca consolazione dalle alternative:

a)             Voice-over, dove la colonna sonora originale è coperta da una piatta narrazione nella lingua ricevente, a volte anglicizzata (Grigraviciute & Gottlieb 1999), senza possibilità di confrontare la traduzione con l’originale,

b)             Nessuna traduzione, dove la lingua interna non è “contaminata”, ma il pubblico è obbligato a sfruttare al massimo la propria conoscenza dell’inglese – una strategia di sopravvivenza utilizzata per esempio in molti paesi dell’Africa meridionale (Kruger & Kruger 2001) – e infine,

 

c) English intralingual subtitles, a method which may help viewers make sense of the spoken English lines, but still offers no interlingual aid.

 

At the end of the day, boosting domestic productions is the only way to ‘minimize the Anglicism problem’ – and produce dialogue with only those Anglicisms that are already firmly established[22].Avoiding all imports is as unrealistic as it is undesirable. Instead, more imports from non-anglophone speech communities would be beneficial to all parties involved.

 

Language politics and choice of screen translation method

 

Regarding program exchange and translation choices on television, six scenarios can be outlined, four of which exist today[23].The two supplementary ones, ‘Utopia’ and ‘Dystopia’, should be seen as opposite extremes establishing the cline on which all present and future realities are bound to be found:

 

 

 

 

 

c)              Sottotitoli inglesi intralinguistici, metodo che può aiutare il pubblico a seguire le battute di inglese parlato, ma che però non dà aiuto interlinguistico.

 

In fin dei conti, promuovere la produzione interna è l’unico modo di “ridurre al minimo il problema degli anglicismi” e di produrre dialoghi con solo quegli anglicismi che si sono già saldamente affermati[24]. Evitare qualsiasi importazione è tanto irrealistico quanto non auspicabile. Più importazioni da comunità discorsuali non anglofone andrebbero invece a favore di tutte le parti in causa.

 

Politica linguistica e scelta di metodo di traduzione audiovisiva

 

Per quanto riguarda lo scambio di programmi e le scelte di traduzione in televisione, possono essere individuati sei scenari, quattro dei quali esistenti[25]. Gli altri due scenari, «utopia» e «distopia» dovrebbero essere considerati due estremi opposti che fissano una scala di gradazione in cui tutte le realtà presenti e future sono destinate a trovarsi:

 

Scenario 1: Utopia

The cosmopolitan situation:

Flourishing international program exchange,

less than 50% English programing,

less than 50% national programing,

a wide range of non-English imports,

standard imports subtitled in all domestic languages,

children’s imports dubbed or voiced-over.

 

Scenario 2: Scandinavia

The monolingual anglophile situation:

Substantial program imports,

around 50% English programing,

almost 50% national programing,

very few non-English imports,

standard imports subtitled in the dominant domestic language,

children’s imports subtitled, dubbed or voiced-over.

 

Scenario 3: South Africa

The multilingual anglophile situation:

Massive program imports,

more than 50% English programing,

less than 50% national programing,

very few non-English imports,

standard imports not translated,

children’s imports either not translated or dubbed / voiced-over,

indigenous programs subtitled in English.


Scenario 1: Utopia

La situazione cosmopolita:

fiorente scambio di programmi internazionali;

meno del 50% di programmazione inglese;

meno del 50% di programmazione nazionale;

un’ampia gamma di importazioni non-anglofone;

importazioni standard sottotitolate in tutte le lingue interne;

importazioni per bambini doppiate o con voice-over.

 

Scenario 2: Scandinavia

La situazione monolingue anglofila:

notevoli importazioni di progammi;

circa il 50% della programmazione inglese;

quasi il 50% della programmazione nazionale;

pochissime importazioni non-anglofone;

importazioni standard sottotitolate nella lingua interna principale;

importazioni per bambini sottotitolate, doppiate o con voice-over.

 

Scenario 3: Sud Africa

La situazione multilingue anglofila:

massicce importazioni di programmi;

più del 50% di programmi inglesi;

meno del 50% di programmi nazionali;

pochissime importazioni non-anglofone;

importazioni standard non tradotte;

importazioni per bambini sia non tradotte che doppiate/con voice-over;

programmi indigeni sottotitolati in inglese.

 

Scenario 4: France

The monolingual nationalist situation:

Limited program imports,

less than 50% English programing,

more than 50% national programing,

very few non-English imports,

niche imports subtitled,

all other imports dubbed or voiced-over.

 

Scenario 5: ‘Anglostan’ (the native English-speaking countries)

The anglophone situation:

Very few non-English imports,

almost 100% English programing,

niche imports subtitled,

all other imports dubbed or voiced-over.

 

Scenario 6: Dystopia

The anglified situation:

Very few non-English imports,

domestic and regional production mainly in English,

standard imports not translated,

programs for the elderly subtitled or dubbed.

 

Scenario 4: Francia

La situazione monolingue nazionalista:

limitate importazioni di programmi;

meno del 50% di programmi inglesi;

più del 50% di programmi nazionali;

pochissime importazioni non-anglofone;

importazioni di nicchia sottotitolate,

tutte le altre importazioni doppiate o con voice-over.

 

Scenario 5: “Anglostan” (i paesi anglofoni nativi)

La situazione anglofona:

pochissime importazioni non anglofone;

quasi il 100% di programmi inglesi;

importazioni di nicchia sottotitolate,

tutte le altre importazioni doppiate o con voice-over.

 

Scenario 6: Distopia

La situazione anglicizzata:

pochissime importazioni non anglofone;

produzione domestica e regionale principalmente in inglese;

importazioni standard non tradotte;

programmi per anziani sottotitolati o doppiati.

 

Judged from a global perspective, the only sustainable scenario seems to be the Utopian one, in which neither national nor anglophone productions dominate, and where different segments among viewers may select different language versions of imported programs.

If we want to, we have an all-win situation on our hands:

a) Subtitling anglophone imports enhances the learning of English, still unchallenged as a global lingua franca[26].

b) Importing more programs from non-anglophone countries will raise viewers’ linguistic and cultural awareness and help keep the dominance of English in check.

c) Offering subtitles in all major indigenous languages will improve the status of so-called lesser-used languages and make program production in these languages viable.

Alas, as with so many other choices in life, consensus is easier reached than action, especially when money is concerned. Today, American, British and Australian imports are so much more affordable to TV stations worldwide than domestic productions – as long as these remain difficult to export because neighboring countries keep filling their shelves with anglophone imports.

Vicious or not, this circle needs to be broken, at least for the sake of linguistic and cultural diversity.

 

Considerato da un punto di vista globale, l’unico scenario sostenibile sembra essere l’utopico, in cui non domina né la produzione nazionale né quella anglofona e dove diverse porzioni di pubblico potrebbero selezionare versioni di lingue diverse di programmi importati.

Volendo, si ha a disposizione una situazione win-win:

a)             sottotitolare le importazioni anglofone promuove l’apprendimento dell’inglese, la lingua franca globale[27] tuttoggi indiscussa.

b)             Importare più programmi dai paesi non anglofoni aumenterà la consapevolezza linguistica e culturale del pubblico e contribuirà a limitare la prevalenza dell’inglese.

c)              Proporre sottotitoli in tutte le lingue indigene principali migliorerà lo status delle cosiddette lingue meno usate e renderà possibile la produzione di programmi in queste lingue.

Ahimè, come succede con molte altre scelte nella vita, è più facile ottenere il consenso che l’azione, specialmente quando si tratta di soldi. Oggi le importazioni americane, britanniche e australiane sono molto più accessibili economicamente per le emittenti televisive in tutto il modo che le produzioni interne; finché queste rimangono difficili da esportare perché i paesi vicini continuano a riempirsi gli scaffali di importazioni anglofone.

Questo circolo, vizioso o no, deve essere interrotto, almeno nell’interesse della diversità linguistica e culturale.



4. References

 

References

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[1] Qualsiasi processo, o prodotto di questo, nel quale una combinazione di segni sensoriali con un’intenzione comunicativa è sostituita da un’altra combinazione che riflette o è ispirata all’entità originaria (Gottlieb 2005).

[2] Comunicazione preparata che utilizza un linguaggio scritto che funge da canale semiotico aggiuntivo e sincronico nell’ambito di un testo transitorio e polisemiotico (Gottlieb 2005).

[3] Gli anni novanta hanno visto la nascita di un profilo professionale ben definito per il sottotitolatore. Ciò ha recentemente portato allo sviluppo di speciali corsi di formazione per questa professione.  Le emittenti televisive e le agenzie di sottotitolazione stanno assumendo laureati in lingue e li stanno formando al loro interno; le università e le scuole di traduzione specializzate stanno organizzando lezioni di sottotitolaggio nell’ambito dei loro corsi di traduzione per i media. L’industria dei media ha capito che per  questo lavoro sono necessari dei professionisti formati (Ivarsson, Carrol 1998).

[4] Oltre a essere un traduttore eccellente di dialoghi, un buon sottotitolatore necessita dell’orecchio musicale di un interprete, del giudizio pratico di un redattore giornalistico e del senso estetico di un designer. Per di più, dato che molti sottotitolatori svolgono loro stessi il montaggio delle battute, il sottotitolatore deve anche avere la mano ferma di un chirurgo e il tempismo di un percussionista (Gottlieb 2004).

[5] Perego 2005.

 

[6] In Europa i bambini iniziano a studiare presto le lingue straniere, soprattutto l’inglese. Guardare la televisione contribuisce notevolmente alla loro comprensione dell’inglese parlato e al miglioramento della pronuncia (Ivarsson, Carrol 1998).

[7] Introduzione, metodi, risultati e discussione.

[8] The term ‘polysemiotic’ refers to the presence of two or more parallel channels of discourse constituting the text in question. In a film, up to four semiotic channels are in operation simultaneously: non-verbal picture, written pictorial elements, dialogue, and music & effects.

[9] Il temine «polisemiotico» si riferisce alla presenza di due o più canali paralleli del discorso che costituiscono il testo in questione. In un film funzionano contemporaneamente fino a quattro canali semiotici: l’immagine non verbale, gli elementi pittorici scritti, il dialogo, la musica e gli effetti sonori.

[10] On the history of subtitling, see Ivarsson & Carroll (1998: 9-32) and Gottlieb (2003, 25-34).

[11] Sulla storia del sottotitolaggio consultare Ivarsson & Carrol (1998:9-32) e Gottlieb (2003: 25-34).

 

[12] This issue is thoroughly dealt with in Koolstra et al. (2002). For a state-of-the-art survey of screen translation, see Diaz Cintas (2003).

[13] Questo argomento è approfondito in Koolstra et al. (2002).  Per una panoramica sul grado di avanzamento della traduzione audiovisiva consultare Diaz Cintas (2003).

[14] The problems of rendering ‘meaningful’ deviations from standard speech in subtitling are discussed in Assis Rosa (2001).

[15] Several European studies, most of them unpublished, point to a typical (quantitative) condensation rate of between 20 and 40 per cent, see for instance Lomheim (1999).

[16] I problemi di rendere “sensate” le deviazioni dal discorso standard nel sottotitolaggio sono affrontati in Assis Rosa (2001).

[17] Molti studi europei, la maggior parte dei quali non pubblicati, indicano una riduzione (quantitativa) tipica del 20-40%, si veda per esempio Lomheim (1999).

[18] In Denmark, anglophone DVD productions with subtitles commissioned in the USA – although offering a wider variety of language versions – generally display a poorer subtitling quality than those commissioned in Denmark (with subtitles in the Nordic languages only), both in terms of idiomaticy, translational equivalence, reading times, and technical perfection (Witting Estrup 2002).

[19] One of the earliest scholarly discussions of this problem referred to Finnish TV (Sa-javaara 1991), thus demonstrating that the influence of English via screen translation is by no means limited to Indo-European languages.

[20] In Danimarca le produzioni anglofone di DVD con sottotitoli commissionate negli Stati Uniti, nonostante offrano una più ampia scelta di versioni in lingua, rivelano normalmente una qualità di sottotitolaggio inferiore rispetto a quelle commissionate in Danimarca (con sottotitoli solo nelle lingue nordiche), sia per quanto riguarda le espressioni idiomatiche, che per l’equivalenza traduttiva, i tempi di lettura e la perfezione tecnica (Witting Estrup 2002).

[21] Una delle prime discussioni accademiche di questo problema riguardava la tv finlandese (Sajavaara 1991), che dimostrava che l’influenza dell’inglese attraverso la traduzione audiovisiva non è affatto limitata alle lingue indoeuropee.

[22] Impressive documentation of the present European situation regarding English linguistic influence is found in Görlach (ed.) 2001, 2002a and 2002b.

[23] Scenarios 2-5 are based on, among other sources, Danan (1995), Gottlieb (1996), and Kruger & Kruger (2001).

[24] Una notevole documentazione dell’attuale situazione europea riguardo all’influenza linguistica inglese si trova in Görlach 2001, 2002a e 2002b.

[25] Gli scenari dal due al cinque sono basati, tra le altre fonti, su Danan (1995), Gottlieb (1996) e Kruger & Kruger (2001).

[26]  Even scholars adamantly against the international dominance of English recognize the need for improved English skills the world over (Phillipson 2003).

[27] Persino gli studiosi inflessibilmente contrari alla prevalenza internazionale dell’inglese riconoscono la necessità di migliorare le competenze relative alla lingua inglese in tutto il mondo (Phillipson 2003).