Becoming a translator Opera recensita: Douglas Robinson. Becoming a Translator. London, Routledge, 1998, p. 330. Diario del 29 settembre 1998

Douglas Robinson. Becoming a Translator. London, Routledge, 1998, p. 330.

 

Un aspetto che colpisce subito leggendo questo manuale dello statunitense Robinson è il suo approccio pragmatico. La traduzione viene vista inanzitutto in un’ottica sistemica, con un capitolo dedicato al punto di vista dell’utente e uno dedicato al punto di vista del traduttore, per inquadrare l’attività nella concreta realtà sociale.

In seguito viene affrontato il profilo attitudinale del traduttore. Si chiarisce che la cosiddetta intelligenza linguistica non è che una delle tante richieste al trasportatore di parole: sono fondamentali l’intelligenza emotiva, quella spaziale, musicale, spaziale, personale, nonché l’apertura, la ricettività, il desiderio di imparare. Capovolgendo la visione classica, di impostazione linguistica, anche nelle sue varianti semiotica e narratologica, viene messo in rilievo che è più importante la concezione del mondo che non i sistemi di segni o i registri.

Questa necessità di apertura e ricettività viene formulata così: il traduttore deve essere un bravo attore, non solo, ma deve essere anche un poeta e un romanziere. E con questo vengono ridimensionate in modo drastico e definitivo le aspettative nel campo della “traduzione automatica”.

Uno degli elementi più trascurati della didattica in generale è quello del divertimento: l’apprendimento è più o meno fruttuoso a seconda del contesto in cui avviene. Se imparando si riesce anche in qualche misura a divertirsi, si impara meglio e più a lungo. Poiché la traduzione viene vista, non a torto, come un processo di apprendimento continuo, è allora importante che il traduttore operi in modo da avere una certa quota di divertimento, altrimenti il processo subliminale di traduzione prende il sopravvento su quello analitico, con risultati disastrosi per il prodotto finale.

La triade peirciana induzione-deduzione-abduzione viene applicata al processo traduttivo: innanzitutto il traduttore opera un salto abduttivo dall’espressione “intraducibile”a un primo traducente, per poi verificare l’ipotesi induttivamente. La deduzione entra in gioco nella formazione di modelli cognitivi che permettono la cosiddetta traduzione subliminale, quella che consente al traduttore di avere un livello minimo di produttività.

Infine, negli ultimi capitoli, la triade induzione-deduzione-abduzione viene applicata al rapporto tra traduzione e conoscenza psicologica, terminologia, lingue, reti sociali, culture.

Quello di Robinson è un contributo prezioso per la pratica quotidiana della traduzione e della didattica della traduzione, e fecondo per il dibattito traduttologico.

Bruno Osimo

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