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Estonia, un paese giovane e gargliardo [2005]

peeter a tartu durante conferenzaEstonia, un paese giovane e gagliardo
RICERCA ÜBER ALLES
A volte la stabilità (sociale, politica, economica…) è nemica dell’innovazione e della voglia di crescere. Invece la giovane età, un senso dell’identità nazionale a lungo represso e finalmente liberabile e liberato, possono dare luogo alla sensazione che tutto sia possibile non solo nel futuro, ma nel futuro immediato.
Dopo la breve parentesi d’indipendenza nazionale (1920-1940), l’Estonia ha conosciuto di nuovo la libertà nel 1991, quindici anni fa. E nel 2004 già entrava nell’Unione europea. In questi pochi anni, grazie al forte entusiasmo, alle ingenti risorse destinate alla ricerca e alle doti dei suoi abitanti, l’Estonia si è inserita a pieno titolo tra i paesi più avanzati del mondo.
Un po’ è favorita dalla posizione geografica. Nonostante la maggior parte degli europei occidentali si ostini a confonderla con la confinante Lettonia (toponimo italiano, ma in tutto il resto del mondo si chiama Latvija) e con la Lituania (Lietuvos), l’Estonia è l’unica a confinare con la capitale mondiale del cellulare: Helsinki dista un’ora e mezzo di traghetto veloce e tre ore con quello normale, mentre Pietroburgo è raggiungibile via treno (la tratta è del 1870) in poco tempo. E se nei weekend i finlandesi vengono a Tallinn per godere dei prezzi bassi di alcol, parrucchiere e manicure, succede anche che i docenti estoni vadano in Finlandia a lavorare qualche semestre per riuscire a mettere via il denaro necessario per l’acquisto di un appartamento. La Finlandia dichiara di essere «A land of semiotics», ma riesce a esserlo anche grazie al sostanzioso apporto dei colleghi al di là del golfo.
La caratteristica più eclatante dell’Estonia è la presenza di due città complementari: Tartu e Tallinn. La prima, a metà strada tra il lago Vorts e il lago Peipus, nel centro-sud-est del paese, è sede della più antica università dell’Europa nordorientale (1632), che oltre alla veneranda età vanta la cattedra di semiotica più famosa del mondo, fondata durante l’occupazione sovietica da Jurij Lotman. La vita di Tartu essenzialmente ruota intorno all’università, la città è circondata da boschi e distese pianeggianti (la cima più notevole dell’intero paese è alta 317 metri), e già a pochi metri dal centro, incamminandosi a piedi, si possono incontrare sconfinate distese di verde.
Tallinn invece è la capitale turistica sul mar Baltico, è sede del governo e del parlamento, e ha un centro storico molto pittoresco che normalmente è pressoché l’unica area visitata dai turisti occidentali. Pungolata da senso d’inferiorità per la presenza della prestigiosa università a Tartu, negli ultimissimi mesi ha radunato tutte le istituzioni di formazione superiore sparse per farsi riconoscere ateneo, e già molti studenti occidentali vi fioccano tramite scambi Erasmus attratti dall’esotismo e dalla calorosa e informale accoglienza dei docenti locali.
Ülar Ploom, capo del Dipartimento di lingue romanze e traduttore di Umberto Eco, proiettando gli standard italiani ce lo si potrebbe immaginare come un rampante poco avvicinabile che si lascia dare del tu soltanto dai pari grado: invece è un quarantenne molto simpatico e gioviale privo della pompa e della formalità nostrana. E Peeter Torop, nonostante occupi a Tartu la poltrona che fu di Lotman, è un simpatico cinquantenne che nella cucina di casa sua s’intrattiene amichevolmente tanto coi colleghi provenienti dall’estero quanto coi dottorandi e con gli amici.
Le due capitali, che insieme mettono insieme un terzo del milione e mezzo di abitanti dell’intero paese, comunicano soltanto tramite un nastro d’asfalto fangoso largo non più di otto metri, e un collegamento di autobus ogni mezz’ora che impiegano a percorrere il tragitto più del volo Milano-Tallinn. Sembra quasi che nessuna delle due città voglia fare il primo passo per creare una ferrovia, o un’autostrada o qualche altro collegamento più saldo, ognuna orgogliosa del proprio splendido isolamento.
Ma l’isolamento è un fatto puramente di superficie. Se è vero che un estone sopra i settant’anni considera la propria dimora adatta a viverci soltanto se dal giardino non è possibile scorgere nemmeno in lontananza nessun’altra abitazione, è anche vero che l’Estonia è la patria di Skype, il software che sta rivoluzionando la comunicazione globale. Benché il capitale della società che commercializza il prodotto che serve a telefonare gratis tramite internet sia soprattutto svedese e danese, e il capitale al sicuro a Lussemburgo, quattro ingegneri software che l’hanno compilato sono gli estoni Ahti Heinla, Priit Kasesalu, Jaan Tallin e Toivo Annus. E, grazie alla potenza di internet, questo fatto sta a catena facendo accendere i riflettori sulla più settentrionale delle repubbliche baltiche, tanto che il New York Times di recente le ha dedicato un intero articolo.
Spesso stentiamo ancora a riconoscere l’Estonia in mezzo alle varie repubbliche che sono appena entrate o stanno per entrare nell’Unione europea. Ma se continueremo a investire così poco in ricerca, nel giro di pochi anni la situazione si invertirà, e la fuga di cervelli prenderà la direzione di questo paese, dove l’università è al servizio della ricerca e non degli scatti di carriera di questo o quel baronetto dimezzato.

BRUNO OSIMO

Nella foto: Peeter Torop a un convegno sulla traduzione

Maika Balestra, Peirce, Text and Sign: Problemi di traducibilità

Peirce, Text and Sign: saggio di traduzione

Problemi di traducibilità

Maika Balestra

Scuole Civiche di Milano
Fondazione di partecipazione
Dipartimento di Lingue
Scuola Superiore per Mediatori Linguistici
Via Alex Visconti, 18 20151 MILANO

Relatore Prof. Bruno Osimo

Diploma in Scienze della Mediazione Linguistica
autunno 2005

English Abstract

This thesis provides an analysis of a passage from the book “On Translating Signs, Exploring Text and Semio-translation”, written by the Dutch semiotic translation-theoretician Dinda L. Gorlée. As the author explains in the preface, her book is a collection of essays dealing with text and translation. Two sections of the book have been translated. They are “Peirce, Text and Sign” and “Text and Semiosis”. The decision to write a thesis containing a translation analysis stems from the candidate’s love for translation and her desire to continue studying it. In order to analyse the source text properly, the thesis is divided into three chapters. The first one is structured as an essay and has an introductory function: it provides a general description of the book and its contents, as well as some brief information about the author. The chapter also includes two paragraphs illustrating the key ideas of American Pragmatism and the main stages of the life of Charles S. Peirce. In the second chapter the analysis first examines the style used in the source text. Particular attention has been paid to lexicon, register and syntax. A theoretical analysis of the source text as regards its translatability follows. It studies the function of the text, the target reader, the translation strategy and translation loss. A similar analysis has been carried out for the target text. At the end of the chapter some examples show the difficulties of the translation process. The last chapter contains the Italian version of the source text.

Deutsches Abstract

Ziel dieser Arbeit ist es, einen Teil des Buches „On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation“ hinsichtlich seiner Übersetzbarkeit zu analysieren. Das Buch wurde 2004 von der niederländischen Übersetzungswissenschaftlerin und der Semiotikforscherin Dinda L. Gorlée geschrieben. Wie die Autorin selbst im Vorwort zu ihrem Buch erklärt, handelt es sich um eine Sammlung von Aufsätzen mit dem Ziel, die Begriffe „Text“ und „Übersetzung“ zu erforschen. In der vorliegenden Arbeit wurden zwei Abschnitte des Buches übersetzt, die die Titel „Peirce, Text and Sign“ und „Text and Semiosis“ tragen. Die Entscheidung, eine Übersetzungsarbeit zu schreiben, hat die Kandidatin wegen ihrer Liebe für diese Disziplin und ihres Wunsches getroffen, ihre Ausbildung im Bereich der Übersetzung fortzusetzen. Zum Zwecke einer möglichst genauen Analyse des Quellentextes wurde diese Arbeit in drei Kapitel gegliedert. Das erste hat einen Essay ähnlichen Charakter und eine einleitende Funktion: es beschreibt den Inhalt des Buches im Allgemeinen und gibt einige kurze Auskünfte über die Autorin. Dieses Kapitel enthält ebenfalls zwei Abschnitte, die jeweils dem Amerikanischen Pragmatismus und den wichtigsten Etappen des Lebens von Charles S.Peirce gewidmet sind. Im zweiten Kapitel findet sich zuerst eine Textanalyse, die sich hauptsächlich mit dem Stil der Autorin befasst. Berücksichtigt werden Wortschatz, sprachliche Ebene und Syntax. Dann folgt die Übersetzungsanalyse des Quellentextes. Im Mittelpunkt stehen dabei die Funktion des Textes, der Zielleser, die Übersetzungsstrategie und die übersetzungsrelevantesten Unterschiede und Ähnlichkeiten zwischen den beiden Texten. Am Ende dieses Kapitels werden an Hand einiger Beispiele die Schwierigkeiten des Übersetzungsprozesses deutlich gemacht. Das dritte Kapitel enthält schliesslich die italienische Übersetzung des Quellentextes.

Abstract in italiano

L’obiettivo di questa tesi è analizzare un passo del libro «On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation», scritto dalla ricercatrice olandese di semiotica e traduzione Dinda L. Gorlée. Come l’autrice stessa spiega nella prefazione, il suo volume è una raccolta di saggi volti ad indagare i concetti di «testo» e di «traduzione». La tesi include la versione italiana di due paragrafi dell’opera, intitolati «Peirce, Text and Sign» e «Text and Semiosis». La decisione di scrivere una tesi contenente un’analisi traduttologica deriva dalla passione della candidata per la traduzione, nonché dal desiderio di approfondire le sue conoscenze in questo ambito. Al fine di analizzare al meglio il prototesto, la tesi è strutturata in tre capitoli. Il primo, di carattere perlopiù compilativo, ha una funzione introduttiva: fornisce una descrizione generale del prototesto e dei suoi contenuti, nonché qualche breve informazione sull’autrice. A chiusura di capitolo due paragrafi illustrano i concetti chiave del Pragmatismo americano e le tappe salienti della vita di Charles S. Peirce. Nel secondo capitolo l’analisi si focalizza inizialmente sullo stile del prototesto: particolare attenzione viene prestata al lessico, al registro e alla sintassi. Segue un’analisi teorica del prototesto dal punto di vista della sua traducibilità. Sono stati presi in esame la dominante e il lettore modello del prototesto per poter elaborare una strategia traduttiva finalizzata ad una gestione ottimale del residuo comunicativo. Un’analisi simile è stata approntata, parallelamente, anche sul metatesto. Il capitolo si chiude con degli esempi, al fine di mostrare le difficoltà incontrate nel processo di traduzione. Queste derivano quasi sempre dalla specificità settoriale del prototesto. Il terzo e ultimo capitolo presenta la mia traduzione dell’originale.

Sommario

I On Translating Signs, Exploring Text and Semio-Translation 7
1.1 Introduzione 8
1.2 L’autrice 9
1.3 Daphnis 9
1.4 I contenuti 10
1.5 La cultura del prototesto 10
1.5.1 Il pragmatismo americano 11
1.5.2 Il pragmatismo metodologico di Peirce 12
1.5.2.1 Il metodo della ragione 12
1.5.2.2 La semiotica 13
1.5.3 Charles Sanders Peirce 16

II Analisi Traduttologica 18
2.1 Lo stile del prototesto 19
2.1.1 Il lessico 19
2.1.2 Il registro 21
2.1.3 Sintassi 22
2.1.4 Esempio pratico 22
2.2 Le marche del prototesto 24
2.3 La dominante del prototesto 24
2.4 La dominante del metatesto 25
2.5 Il lettore modello dell’autrice 25
2.6 Il lettore modello del metatesto 27
2.7 La strategia traduttiva 27
2.8 Il residuo comunicativo 29
2.9 Difficoltà della traduzione 33
2.9.1 Esempi di frasi difficili da capire 33

III Traduzione 35

Riferimenti bibliografici 62

I

On Translating Signs
Exploring Text and Semio-Translation
Dinda L. Gorlée

Caratteri generali

Questo primo capitolo, di carattere introduttivo, vuole fornire una descrizione generale di On Translating Signs, Exploring Text and Semio-translation ed è perciò quasi interamente dedicato all’opera e alla sua autrice, Dinda L. Gorlée.
Ho ritenuto opportuno, al paragrafo 1.5, spendere qualche parola sul pragmatismo americano e sul suo fondatore, Charles Sanders Peirce. Infatti, se è vero che il prototesto non è specifico di nessun ambito culturale dal punto di vista spaziotemporale, geografico, la sua produzione è tuttavia legata in modo inscindibile ed inequivocabile alla ricerca nel campo della semiotica e della traduzione (capitolo II). Data la mole consistente di citazioni tratte dalle opere di Peirce, mi sembra che il suo pensiero possa rientrare fra le componenti culturali che caratterizzano il prototesto.

1.1 Introduzione

Il testo che ho tradotto è tratto dal libro On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation scritto da Dinda L. Gorlée, ricercatrice olandese di semiotica e traduzione. Come lei stessa spiega nella prefazione, il libro è suddiviso in tre capitoli: il primo, dal titolo Text and Interdisciplinary Texture, è un capitolo introduttivo sul testo; il secondo, Semiotranslation and Abductive Translation, affronta il tema della traduzione; infine il terzo capitolo, Trial and (T)error: Peirce’s Fallibilism and Semiotranslation si focalizza sia sul testo che sulla traduzione.
Le pagine da me tradotte sono tratte dal capitolo Text and Interdisciplinary Texture, e precisamente corrispondono alle pagine 58-67, ovvero ai paragrafi Peirce, Text and Sign e Text and Semiosis. Ho inoltre tradotto il relativo apparato metatestuale che si trova alle pagine 85-87.

1.2 L’autrice

Dinda L. Gorlée è a capo di un ufficio di traduzione giuridica multilingue all’Aja. Collabora inoltre con l’università norvegese di Bergen agli Archivi Wittgenstein e con quella di Helsinki presso il dipartimento di ricerche traduttologiche. A lei va il merito di aver rinsaldato i rapporti fra la scienza della traduzione e la semiotica, con un particolare interesse per il pensiero di Peirce.
Lei stessa è ricercatrice di semiotica in relazione alla scienza della traduzione, alla traduzione vocale, alla semiotica testuale e alla traduzione giuridica.
Fra le sue pubblicazioni più famose vi è il saggio Semiotics and the Problem of Translation: With Special Reference to the Semiotics of Charles S. Peirce, del 1994. Attualmente l’autrice sta lavorando ad un nuovo volume dal titolo Song and Significance: Interlingual and Intersemiotic Vocal Translation.

1.3 Daphnis

On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation è pubblicato dall’editore olandese Rodopi come supplemento alla rivista Daphnis.
Tale rivista fu fondata nel 1970 da una cerchia internazionale di letterati come «rivista di letteratura medioevale tedesca» e fu pubblicata per la prima volta nel 1972 a Berlino. Nel 1976 la casa editrice fu spostata ad Amsterdam e da allora la rivista viene pubblicata nella capitale olandese. Daphnis è stata concepita come un organo di ricerca per la letteratura tedesca e per quella neolatina dalla fine del XIV fino a metà del XVIII secolo. Si occupa inoltre, a livello comparativo, dei rapporti fra la letteratura medievale tedesca e le letterature europee dello stesso periodo.
Con la rivista Daphnis vengono pubblicati saggi inediti nelle categorie «trattati», «miscellanea», «scoperte minori», «progetti di lavoro», «ricerche» e «bibliografie». Ampio spazio viene dedicato inoltre alla teologia, alla filosofia, alla storia e all’arte figurativa. Nel 1981 è stata introdotta una nuova rubrica intitolata «Discussione scientifica», dedicata in buona misura al linguaggio scientifico specialistico. Ogni annata di Daphnis comprende quattro numeri per un totale di circa 200 pagine.

1.4 I contenuti

Come già suggerisce il titolo, Peirce, Text and Sign, questo paragrafo illustra, attraverso numerose citazioni dalle opere di Peirce, il significato che le parole «testo» e «segno» rivestivano per questo filosofo e scienziato americano e il modo in cui soleva servirsene. Vengono passati in rassegna i concetti di «simbolo», «discorso», «proposizione», «argomento» per approdare infine ad una spiegazione della teoria generale dei segni di Peirce.
Il secondo paragrafo, Text and Semiosis, si focalizza invece su un particolare tipo di segni, quelli di Terzità, che Peirce chiamava simboli, e sulla relazione tripartita che si instaura fra segno-oggetto-interpretante, soprannominata da Peirce «semiosi». Vengono poi illustrate le caratteristiche della semiosi testuale peirceiana in contrapposizione alle altre semiotiche testuali, in particolare alle teorie testuali di Saussure. Infine l’autrice fa alcune considerazioni su concetti quali «segno-pensiero», «quasi-segno», «quasi-mente», «segno-testo».

1.5 La cultura del prototesto

Come già accennato in apertura, il testo della Gorlée è ricchissimo di rimandi intertestuali, in particolar modo di citazioni tratte dalle opere di Peirce. Ed è proprio attorno alle teorie di questo filosofo e scienziato americano che ruotano molte delle considerazioni dell’autrice. Proprio per questo credo che il pensiero di Peirce – ed il contesto culturale in cui, anche se solo in parte, si sviluppò – siano delle componenti culturali importanti del prototesto.
Questo paragrafo intende prendere in esame la personalità poliedrica di Peirce ed i caratteri distintivi del pragmatismo americano, al fine di indagare fino a che punto le teorie peirceiane ed il pragmatismo influenzino la cultura del prototesto.
1.5.1 Il pragmatismo americano

Il pragmatismo americano è il contributo più innovativo degli Stati Uniti d’America alla filosofia occidentale. Esso nacque e si sviluppò nel clima di diffuso interesse per la filosofia e di riconoscimento della sua funzione vitale che caratterizzò la società americana alla fine del XIX secolo.
La parola «pragmatismo» deriva dal greco pragma (azione, atto). Lo storico greco Polibio (I sec. a.C.) soleva definire i suoi scritti «pragmatici», intendendo con questo termine che erano concepiti per essere istruttivi ed utili ai suoi lettori. Charles Sanders Peirce, fondatore del pragmatismo – e probabilmente il primo a servirsi del termine per designare una specifica dottrina filosofica –, più che la parola greca aveva in mente quella tedesca usata da Kant: pragmatisch si riferisce al pensiero sperimentale, empirico e finalizzato basato sull’esperienza e ad essa attinente. In semiotica la branca che studia il rapporto fra i segni e coloro che se ne servono è detta pragmatica (per distinguerla dalla semantica e dalla sintassi).
Il pragmatismo mise in luce un’impostazione che era stata presente fin dall’inizio nella filosofia americana. Si tratta della tendenza a considerare come fondamentale, per la scelta e l’adozione di una dottrina filosofica, non già la sua astratta e teoretica “verità”, ma la sua pratica utilità, la capacità di una dottrina di fungere da guida della condotta pratica dell’uomo nei confronti delle cose, degli altri uomini e di Dio.
La caratteristica fondamentale del pragmatismo è il suo orientamento verso il futuro anziché verso il passato o il presente. Uno dei suoi principi cardine è la strumentalità del conoscere: per i pragmatici la conoscenza è uno strumento che permette all’uomo di controllare e prevedere le azioni future.
Il pragmatismo americano si concretizzò in due correnti fondamentali: il pragmatismo metodologico e quello metafisico. Pur muovendo dal comune presupposto della strumentalità del conoscere, queste due impostazioni differiscono nel modo di concepire il legame conoscenza – azione. Il pragmatismo metodologico – cui aderirono, fra gli altri, Peirce e Dewey – si presenta come una teoria del significato, ovvero come una dottrina della portata pragmatica delle proposizioni e delle credenze. Il pragmatismo metafisico – James fu uno degli esponenti di spicco – si pose invece come una teoria generale della verità e della realtà, secondo cui la verità di un’idea risiede nella sua presunta utilità personale o sociale, ovvero nella sua capacità di esercitare un’azione benefica sulla vita dell’uomo.
Per evitare che il suo pragmatismo metodologico venisse confuso con quello metafisico di James, Peirce preferì parlare di pragmaticismo, Dewey invece di strumentalismo.

1.5.2 Il pragmatismo metodologico di Peirce

1.5.2.1 Il metodo della ragione

La filosofia pragmatica di Peirce è parte di una teoria più generale dei segni e del pensiero. Il pensiero, o «indagine», scaturisce dal dubbio, ovvero da uno stato in cui le azioni abituali sono bloccate o confuse. Dal dubbio risultano l’irritazione organica e l’indecisione. La risoluzione e una condotta libera sono, d’altro canto, prodotti della credenza, che è una forma di stabilità e soddisfazione. Secondo Peirce la sola funzione del pensiero è quella di produrre credenze e ogni credenza è una regola d’azione; sicché lo scopo finale del pensiero è l’esercizio della volizione e la produzione di abitudini d’azione. Pensare, ovvero uscire lottando dallo stato di irritazione connaturato al dubbio, vuole dire creare credenze (stati mentali di calma e sicurezza). Una credenza è vera nel momento in cui sussista conformità tra effetti attesi dalla credenza ed effetti realizzati; è falsa nel momento in cui non sussista tale conformità. Nel momento in cui sia vera, la credenza è norma d’azione utile; nel momento in cui non lo sia, è una norma d’azione non utile ad incidere sulla condotta umana. Peirce ammetteva però che vi sono vari metodi per stabilire una credenza e ognuno ha qualche vantaggio. C’è il metodo della tenacia di chi si rifiuta di discutere le proprie credenze e può condurre al successo la persona ostinata; il metodo dell’autorità che, vietando le opinioni difformi, può condurre all’accordo; il metodo metafisico che si appella alla ragione e produce costruzioni e sistemi ideali, che però sono incontrollabili. Questi metodi hanno in comune il tratto di escludere la possibilità dell’errore: ognuno di essi si ritiene infallibile. C’è solo il metodo scientifico, secondo Peirce, che rinuncia all’infallibilità. E questo è il solo metodo che la scienza e la filosofia devono seguire, professando apertamente ciò che egli chiama il fallibilismo della ragione. Il pragmatismo, come lo intende Peirce, non è nient’altro che l’applicazione di quest’ultimo metodo ai problemi filosofici.
Il metodo scientifico consiste fondamentalmente nel tentativo costante di collocare i giudizi percettivi che ci vengono imposti dall’esperienza in un modello esplicativo composto da tre tipi di ragionamento: l’«abduzione», che tiene conto di una costante nota e della constatazione di un fenomeno nuovo e da questi inferisce una congettura; la «deduzione», che muove da una regola e da un caso specifico per dedurre un risultato; e infine l’«induzione», che muove da un caso specifico e da un risultato per indurre delle ipotesi.
Nel suo sforzo – prolungatosi per anni – di collocare la sua analisi del dubbio e dell’indagine all’interno di una teoria segnica più completa e globale, in cui la comunicazione, il pensiero, la conoscenza e l’intelligenza potessero essere pienamente compresi, Peirce approdò a dei risultati originali. Uno di questi è la semiotica contemporanea.

1.5.2.2 La semiotica

Oggi Peirce è ricordato soprattutto per aver posto le basi della semiotica contemporanea, la disciplina che si occupa dei segni in quanto questi vengono interpretati ed utilizzati. Punto di partenza è la considerazione che non c’è pensiero senza segno, che ogni pensiero è in realtà un segno che rimanda a un pensiero successivo che a sua volta è un segno e così via. Ciò significa che l’universo intero non è un insieme definito e definitivo di cose poi riprodotte con i segni, ma un insieme di segni collegati fra loro in cui non c’è mai un punto di partenza primo e assoluto. Il nostro contatto con la realtà non è mai diretto, ma sempre mediato dal segno: è una continua interpretazione, ovvero una semiosi illimitata.
Il segno viene definito da Peirce come «qualcosa che sta secondo qualcuno per qualcosa sotto qualche aspetto o in qualche capacità» (CP: 2.228, c.1897). Dunque il pragmatismo di Peirce è inteso a tradurre certi tipi di segni in segni più chiari, al fine di superare la confusione linguistica o concettuale. Formulare un interpretante significa determinare gli “effetti” o le conseguenze che i segni o le idee in questione possono produrre.
Primariamente il pragmatismo di Peirce è una teoria del significato emersa dalle sue riflessioni personali sul suo lavoro scientifico, in cui lo sperimentalista comprende una proposizione in questo modo: se l’esperienza prescritta si realizza, questa è verificata. Questo metodo può essere usato in due modi: innanzitutto serve a mostrare che, quando le controversie non hanno risoluzione, ciò è dovuto agli abusi che facciamo della lingua e a sottili confusioni concettuali. Questioni come, ad esempio, se il mondo fisico sia un’illusione, se l’uomo sia ingannato dai propri sensi, o se le sue azioni siano predestinate non sono problemi reali. In secondo luogo può essere utilizzato come delucidazione. Dire, ad esempio, che l’oggetto O è duro significa che, se si prova a scalfirlo, O non verrà intaccato dalla maggior parte delle sostanze.
Similmente, nella sua teoria della verità, Peirce afferma che la verità è l’insieme delle attività di verifica della comunità scientifica, mentre la realtà è l’accordo della comunità sulla verità. Di conseguenza, non solo il pensiero è finalizzato, ma il significato ha in sé un riferimento al futuro.
Peirce si dimostra fiducioso del cammino trionfale della scienza verso la verità, senza tuttavia trascurare – come osservato – l’idea di fallibilità della conoscenza scientifica.
Per evitare che le sue teorie venissero confuse con le altre dottrine pragmatiche Peirce ribattezzò il suo modo di vedere con il nome di pragmaticismo.

I tre tipi di ragionamento secondo Peirce: nel passaggio dalla deduzione all’abduzione, attraverso l’induzione, si ha una diminuzione progressiva del grado di certezza del ragionamento ed un aumento della componente creativa.

La deduzione (ragionamento analitico)

L’induzione (ragionamento sintetico)

L’abduzione (ragionamento sintetico)

1.5.3 Charles Sanders Peirce

Vero fondatore del pragmatismo fu Charles Sanders Peirce (1839-1914), personalità poliedrica, cultore di logica simbolica nonché geniale divulgatore di teorie scientifiche e padre della semiotica moderna. Di grande rilevanza sono i suoi apporti alla teoria della probabilità, alla logica simbolica, alla filosofia della scienza, alla matematica e alla semiotica, nonché i suoi scritti di astronomia, fisica, e chimica e quelli sul metodo scientifico.
Peirce soleva descriversi come uno sperimentalista e un «logico», termine la cui portata si ampliò notevolmente dai suoi primi scritti, andando ad abbracciare le sue dottrine del pensiero e dell’indagine (paragrafo 1.5.2.1).
Nonostante le proposte di incarichi universitari ricevute, Peirce lavorò soltanto come docente di logica part-time alla Johns Hopkins University fra il 1879 e il 1884; per tre anni fu docente di filosofia della scienza alla Harvard.
Nonostante fosse uno scrittore prolifico, Peirce vide pubblicate soltanto due delle sue opere. Si tratta del saggio Photometric Researches (1878), che gli valse la fama di migliore astrofisico del tempo, e di Studies in Logic (1883), una raccolta di saggi scritti da Peirce e dai suoi studenti alla Johns Hopkins.
Peirce non scrisse libri ma saggi ed articoli – che coprono l’arco di circa mezzo secolo – apparsi su vari periodici americani. Una prima antologia dei suoi scritti apparve, postuma, nel 1923 con il titolo di Chance, Love and Logic. I sei volumi dei Collected Papers of Charles Sanders Peirce furono editi invece negli anni fra il 1931 e il 1935. Molti degli scritti di Peirce sono ancora inediti e le edizioni esistenti perlopiù postume, due fattori che ostacolano in modo non indifferente la diffusione del suo pensiero.
Pur essendo il padre del pragmatismo americano, Peirce non fu filosofo di professione. Il suo principale impiego – dalla laurea in chimica, conseguita alla Harvard nel 1859, fino al suo ritiro a Miltford, in Pennsylvania, nel 1887 – fu presso lo United States Coast and Geodetic Survey, il servizio costiero americano. Dal 1887 fino alla fine dei suoi giorni Peirce visse in condizioni di estrema povertà, di malattia e di isolamento dal mondo accademico. Morì, dimenticato da tutti, nel 1914.
Data la condizione di isolamento in cui Peirce visse, non si può dire che il suo pensiero sia frutto del confronto e dello scambio con gli altri pragmatici. Pertanto la cultura del prototesto, più che del pragmatismo americano, risente del pensiero di Peirce e del suo pragmatismo metodologico.

II

Analisi Traduttologica
La traduzione di un testo come On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation comporta inevitabilmente, data la specificità lessicale che lo contraddistingue, un’analisi approfondita delle componenti lessicali e stilistiche al fine di elaborare un’adeguata strategia traduttiva. Meno rilevanti sono invece le coordinate cronotopiche. D’altra parte, pur non essendo specifico di nessun ambito culturale dal punto di vista spaziotemporale, geografico, il testo è molto calato all’interno della cultura della ricerca nel campo della semiotica e della traduzione. Di conseguenza, come si vedrà in particolare ai paragrafi 2.8 e 2.9, i problemi di traduzione sono quasi tutti legati alla specificità settoriale del testo.

2.1 Lo stile del prototesto

2.1.1 Il lessico

Quello del prototesto è un lessico settoriale tipico della semiotica e della ricerca traduttologica. Il prototesto è infatti ricco di termini tecnici coniati da Peirce quali, ad esempio, «Firstness», «Secondness» e «Thirdness», o anche «Firsts», «Seconds» e «Thirds», o ancora «interpretant», per citare solo quelli più ricorrenti, più altri termini non peirceiani come «word-sign», «text-sign», «quasi-sign» e «signhood».
Accanto a questi compaiono termini tipici del linguaggio filosofico di origine greca e latina come, ad esempio, «essence», che deriva dal latino essentĭa1 (essenza, natura), «phenomenology», dal greco phainomenon, che significa «che appare o che esiste», attraverso il tedesco Phänomenologie, «syllogism», dal greco syllogismos, che significa «inferenza, conclusione, computo, calcolo», attraverso il latino tardo syllŏgismus e il francese antico sillogisme, «triadic» – composto dal sostantivo inglese triad con l’aggiunta del suffisso ic – dal greco trias, triados (tre), attraverso il latino trĭăs, triădis, «arbitrary», dal latino arbĭtrārĭus (arbitrario), «semiotics», dal greco semeiotikos (osservatore di segni), e «quasi», dal latino quăsĭ2 (come se, quasi che).
A questo proposito è interessante l’uso che l’autrice fa di parole romanze – principalmente di derivazione latina e francese – quando avrebbe potuto sceglierne altre, più comuni, di origine germanica. Riporto qui alcuni esempi tratti sia dalle parti di testo scritte dall’autrice che dagli intertesti: «discipline» dal latino discĭplīna (istruzione data ad un discepolo), attraverso il francese antico descepline, «to suffice» dal latino sufficĕre (bastare, essere sufficiente), attraverso il francese antico souffire, «to consist of», dal latino consistĕre (collocarsi, porsi, fermarsi, stare; trattenersi; indugiare; comparire, presentarsi), «to be composed of»,dal latino componĕre, «signify» dal latino significāre (mostrare attraverso segni, significare), attraverso il francese antico signifier, «pertinent» dal latino pertĭnentĕr (in modo adatto), attraverso il francese antico partenant, «edifice» dal latino aedĭfĭcium (edificio), attraverso il francese antico edifice, «error» dal latino errŏr (l’andare errando, errore), attraverso il francese antico errur, «category», dal greco kategorein (accusare, asserire, predicare), attraverso il latino tardo cătēgŏrĭa (accusa; categoria), attraverso il francese medioevale catégorie, «numerous», dal latino nŭmĕrōsus (numeroso) e «consensus», dal latino consensŭs3, attraverso il francese antico consentir.
Premesso che l’equivalenza fra segni di codici naturali non esiste, ecco quali sostantivi di origine germanica l’autrice – e gli autori da lei citati – avrebbero potuto usare in luogo di quelli di derivazione latina e francese visti sopra4:

Vi sono inoltre termini che, pur essendo dei sostantivi di uso comune, assumono nel preciso cotesto e contesto in cui sono inseriti particolari sfumature semantiche che rendono più difficile il processo traduttivo: è il caso di un sostantivo appartenente alla lingua di tutti i giorni come habit, che occorre più di una volta nel prototesto. Questo sostantivo ha come possibili traducenti «abitudine, consuetudine, usanza, vezzo».5 Tuttavia nel prototesto l’unico traducente possibile è «abitudine», dal momento che Peirce si serviva del sostantivo habit come di un termine tecnico, il cui traducente italiano è ormai attestato in modo stabile, e non è perciò più sostituibile con alcun “sinonimo”.
Il lessico del prototesto si compone infine di qualche parola straniera, come la locuzione francese – adattata sintatticamente e grammaticalmente all’inglese – fin-de-siècle, e quelle latine ad hoc e prima facie. Ho mantenuto queste espressioni tali e quali anche nel metatesto, essendo di uso comune in questo e in molti altri ambiti. Nel caso di fin-de-siècle, inoltre, il significato è vincolato all’utilizzo del francese: tradurre «fin-de-siècle scientist» con «scienziato di fine secolo» sarebbe un errore non indifferente, dal momento che si andrebbe a modificare il significato del prototesto: il francese fin-de-siècle significa infatti «relativo alla fine dell’Ottocento o che si ispira alla civiltà artistica e culturale di quel periodo».6 Se in italiano traducessi «di fine secolo» il lettore non capirebbe certamente che si sta parlando della fine dell’Ottocento.

2.1.2 Il registro

Dall’analisi effettuata sul lessico risulta un registro alto, cui contribuiscono anche i numerosi rimandi intertestuali, perlopiù alle opere di Peirce, e soprattutto l’uso frequente di parole di origine latina, greca e francese (paragrafo 2.1.1). L’inglese infatti, nel corso della sua lunga storia, ha “preso in prestito” parole da più di 350 lingue parlate in tutto il mondo, fra cui anche dal latino – in seguito all’arrivo dei Romani sul suolo britannico – e dal francese – successivamente alla conquista normanna (1066). In inglese le parole romanze sono considerate di registro alto, ragione per cui l’autrice se ne serve così frequentemente.
Dato che si tratta di un testo scientifico, scritto da una specialista e rivolto perlopiù ai colleghi, ed eventualmente ai loro studenti come nel mio caso, il registro è quello delle pubblicazioni scientifiche. È caratterizzato da precisione terminologica, scarso carattere connotativo, periodi argomentativi che si succedono senza che l’autrice si rivolga direttamente al suo lettore modello. Generalmente si tratta di periodi lunghi, a volte complessi, che richiedono una grande concentrazione da parte del lettore.
Se si volesse classificare il prototesto a seconda della sua apertura/chiusura mi sembra corretto – alla luce delle considerazioni esposte sopra – parlare testo chiuso, sebbene la contrapposizione aperto/chiuso non sia rigida: nel prototesto si possono infatti individuare – come nella maggior parte dei testi – parti più “chiuse” di altre.

2.1.3 Sintassi

Il prototesto presenta una struttura sintattica mista fra paratassi e ipotassi, sebbene sia possibile affermare che vi è una prevalenza di subordinazione.
Spesso la sintassi delle singole frasi viene resa più complessa dall’inserimento di rimandi intertestuali, tutti comunque esplicitati dai segni diacritici.
Frequenti sono infine gli elenchi, perlopiù nelle citazioni, che contribuiscono ad accelerare un ritmo generalmente assai lento.
Si consideri, ad esempio, il seguente passo del prototesto, tratto dalla nota numero 21:

His long list includes many instances of verbal communication, spoken and/or written:”Then we have mark, note, trait, manifestation, ostent, show, species, appearance, vision, shade, spectre, phase. Then, copy, portraiture, figure, diagram, icon, picture, mimicry, echo. Then, gnomon, clue, trail, vestige, indice, evidence, symptom, trace. Then, muniment, monument, keepsake, memento, souvenir, cue. Then, symbol, term, category, stile, character, emblem, badge. […] “(PW: 194, 1905, citato in Gorlée 2004: 87)

Grazie a questi lunghi elenchi di sostantivi il testo diviene più snello, assumendo al contempo un ritmo più rapido.

2.1.4 Esempio pratico

A completamento di quest’analisi stilistica mi sembra utile porre un’applicazione “concreta” delle considerazioni viste nei paragrafi precedenti, allo scopo di renderle meno astratte e teoriche e un po’ più pratiche.
Si consideri allora il seguente paragrafo, esemplificativo di tutto quanto il prototesto:
With regard to the modern meaning of text, which we take as the object of research in these pages, Peirce, as a sign-theoretician, used terms such as symbol, discourse, proposition, and argument, thereby addressing himself to purpose of Thirdness, involving the logical properties of the text today. Here it must suffice to characterize briefly the several concepts through which Peirce approached the phenomenon of text: A symbol is a sign requiring intelligent interpretation to become meaningful. It is the agreed-on vehicle of thought, and “all thinking is conducted in signs that are mainly of the same structure as words…, or symbols” (CP: 6.338, c. 1909, Peirce’s emphasis). Reasoning – that is, the logical interpretation of signs by signs, wheter spoken, written, or otherwise – always takes a discursive form […]. (Gorlée 2004: 58)

In questo paragrafo emergono con chiarezza tutti gli elementi individuati sopra: registro aulico, rimandi intertestuali all’opera di Peirce, grande precisione terminologica – evidente soprattutto negli elenchi come «symbol, discourse, proposition, and argument» –, carattere denotativo, periodi argomentativi tipici del linguaggio scientifico. La stessa esposizione dei concetti è quella delle dimostrazioni scientifiche: con la locuzione «with regard to» viene introdotto l’argomento di cui si tratta, mentre col successivo «here it must suffice […]» lo si delimita nettamente. Segue poi una definizione, dal sapore un po’ assiomatico, di «simbolo». L’autrice evita ogni riferimento al lettore modello, preferendo mantenersi in una posizione più “elevata”, fatta eccezione per il pronome personale soggetto «we» nella prima riga, che tenderei ad interpretare come la somma dell’autrice e del lettore.

2.2 Le marche del prototesto

Un testo può essere marcato a diversi livelli: lessicale, sintattico, stilistico, di socioletto, di idioletto, di dialetto ecc…
L’unico ambito in cui il prototesto si discosta dallo standard è quello lessicale, per via dell’uso frequente di termini tecnici, tipici della semiotica e della traduzione (paragrafo 2.1.1) e per la prevalenza di un registro alto, al di sopra dello standard (paragrafo 2.1.2).

2.3 La dominante del prototesto

Trattandosi dell’estratto di un libro, la dominante del testo che ho tradotto verrà in parte a coincidere con quella del libro stesso.
A questo proposito è molto interessante il titolo, che mette già spiccatamente in luce non soltanto il prevalere della funzione informativa su quella estetica (peraltro quasi del tutto assente), ma anche quale funzione informativa il libro intende espletare: fornire delle basi teoriche per la traduzione di segni e approfondire i concetti di «testo» e di «semiotraduzione».
Importantissima è inoltre la prefazione, in cui l’autrice afferma di voler presentare una selezione, ordinata cronologicamente, dei saggi da lei scritti negli ultimi 10 anni, aventi per argomento il «testo» e la «traduzione». Questa affermazione è un’ulteriore conferma della dominante già individuata.
A questa dominante principale si affiancano altre due sottodominanti: nella prefazione infatti l’autrice auspica che questo suo libro divenga di stimolo ai futuri semiotici e che possa contribuire allo sviluppo delle ricerche traduttologiche. Inoltre l’opera intende mettere in risalto la complessità della teoria dei segni di Peirce.
Dall’analisi effettuata sul contenuto (paragrafo 1.4) quest’ultima dominante, accanto alla funzione informativa che caratterizza il libro intero, mi sembra quella che più coincide con la dominante del testo qui tradotto.
Per quanto concerne il lettore del prototesto, credo che fra tutte le dominanti individuate rimangano valide anche per lui principalmente quelle che più hanno a che vedere con la funzione informativa dell’opera.
2.4 La dominante del metatesto

Per quanto riguarda la cultura ricevente, ritengo che le dominanti individuate nel prototesto rimangano tali: anche il metatesto infatti è caratterizzato da una spiccata funzione informativa e ruota attorno alla complessità della teoria segnica di Peirce. Nel caso di una traduzione adeguata, le dominanti per il lettore del metatesto coincideranno con quelle del lettore del prototesto.
Del resto un cambiamento di dominante nel passaggio dal prototesto al metatesto sarebbe, in questo caso, difficilmente pensabile, trattandosi di un testo perlopiù chiuso ed informativo, svincolato dalla cultura – intesa in senso geografico e storico – che lo ha prodotto.

2.5 Il lettore modello dell’autrice

Come per la dominante, anche il lettore modello del prototesto viene necessariamente a coincidere con quello dell’intero libro.
Quello di On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation è certamente un lettore “addetto ai lavori”, vale a dire una persona che ha già una certa dimestichezza con gli argomenti trattati ed è in qualche modo interessata ad approfondirli. In concreto potrebbe trattarsi di ricercatori, studiosi e professori nel campo della semiotica e della traduzione.
Tuttavia è ipotizzabile anche un lettore modello più “alle prime armi”. Come l’autrice stessa scrive nella prefazione al libro, questo vuole essere «illuminante e provocante» anche per chi non è proprio un esperto del settore. Sempre nella prefazione, l’autrice descrive in modo inequivocabile il suo lettore modello, che dev’essere «moderno, cosmopolita, internazionalizzato, multilingue e interessato alla tematica filosofica». Di qui dunque l’esigenza dell’autrice, di nazionalità olandese, di scrivere in una lingua straniera, in inglese precisamente. Che la scelta dell’inglese sia dettata principalmente da ragioni legate al lettore modello è evidente. L’inglese infatti è divenuto una lingua franca della comunità scientifica mondiale, che permette di abbracciare un pubblico vastissimo e di raggiungere, a livello spaziale, i quattro angoli del pianeta. Che sia un esperto di semiotica o un principiante, il lettore modello a cui l’autrice si rivolge va oltre le barriere linguistiche e i confini nazionali. Si potrebbe dire che è un lettore non caratterizzato in particolare dalla sua identità nazionale. All’autrice non importa in quale Paese risiedano i suoi lettori (reali) e nemmeno di quale cultura siano portatori. Sono semplicemente degli abitanti di quel villaggio globale che è il mondo.
Come si vedrà al paragrafo 2.9, la scelta dell’autrice del prototesto di scrivere in lingua straniera, ovvero di servirsi di una lingua diversa dalla sua lingua madre, non facilita di certo il compito del traduttore, spesso alle prese con una source language, per così dire, “strana”.

2.6 Il lettore modello del metatesto

Il lettore modello del metatesto sarà, come quello del prototesto, un esperto di semiotica e traduzione, che sceglie di leggere il testo tradotto pur disponendo di tutti gli strumenti necessari per poter leggere l’originale. Credo però che qui venga a mancare la componente del lettore modello principiante ipotizzato dall’autrice. Inoltre, per ovvie ragioni di natura linguistica, il passaggio dal prototesto al metatesto implica un “restringimento” del modello di lettore, che da internazionale diviene quasi esclusivamente italiano.

Internazionale, oltre le barriere linguistiche
e i confini nazionali, esperti e non

italiano, esperto

2.7 La strategia traduttiva

In generale il processo traduttivo non implica soltanto la trasformazione di un prototesto in un metatesto, ma anche e soprattutto il passaggio da una protocultura ad una metacultura, dalla cultura altrui alla propria. Insomma: tradurre non significa soltanto coprire la distanza esistente fra source e target language in termini di differenze sintattiche, grammaticali, stilistiche. Significa molto di più: nel momento in cui ci si accosta alla traduzione entra in gioco una distanza culturale più o meno significativa che dev’essere colmata.
In questo gioco di scambi e di passaggi interculturali il traduttore, con la sua cultura specifica, svolge un ruolo fondamentale: egli veste infatti i panni di mediatore fra la cultura emittente e quella ricevente. Si pone, per così dire, sul “confine” fra le due culture coinvolte ed è lui che decide in che modo coprire tutte le differenze, sia linguistiche che culturali, fra prototesto e metatesto.
Lo scienziato della traduzione Toury ha introdotto un’utile distinzione con i suoi concetti di adeguatezza ed accettabilità (citato in Osimo 2001: 81).
In generale ritengo più proficua, sia dal punto di vista della dialettica della semiosfera che a livello di arricchimento culturale personale del lettore, una traduzione adeguata. Questo tipo di approccio prevede che il prototesto venga conservato come espressione di una cultura diversa. Il metatesto adeguato manterrà perciò molte delle caratteristiche del prototesto e non sarà un testo “facile” da leggere, o “semplificato” dal traduttore. Al contrario il lettore si troverà alle prese con un testo di più difficile comprensione rispetto ad un metatesto accettabile, e perciò dovrà compiere uno sforzo per coprire da solo la distanza cronotopica fra sé e la cultura del prototesto, lasciata quasi del tutto scoperta dal traduttore. Egli infatti sceglierà di conservare i realia, i nomi propri di persona, le strutture sintattiche (per quanto possibile). Inoltre cercherà di rispettare le scelte stilistiche dell’autore, traducendo una struttura marcata con una marcata, una standard con una struttura standard e così via.
L’aspetto positivo di questo tipo di impostazione è che, se da un lato il lettore troverà più difficile orientarsi in un metatesto adeguato, dall’altro i suoi sforzi di comprensione lo porteranno ad arricchire notevolmente le sue conoscenze proprio grazie al confronto con un’altra cultura.
Per quanto riguarda la traduzione del prototesto tratto da On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation una traduzione adeguata mi sembra, oltre che la più indicata, l’unica possibile. Fondamentalmente per due motivi: innanzitutto perché il lettore modello individuato è in grado di colmare, con le sue conoscenze, la distanza che lo separa dal prototesto.
In secondo luogo perché il testo della Gorlée contiene numerosissimi rimandi intertestuali, fra cui molte citazioni tratte dalle opere di Charles S. Peirce. Essendo queste ricche di tecnicismi, sottigliezze e sfumature semantiche, mi sembra corretto tradurle in modo che sia possibile ricondurre ogni singola frase a quella del prototesto.
Nell’elaborazione di una strategia traduttiva adeguata è necessario tenere conto, ovviamente, oltre che della dominante e del lettore modello, anche delle considerazioni sullo stile viste al paragrafo 2.1: del testo originale il metatesto dovrà quindi conservare il lessico settoriale ed il registro alto. Inoltre, dove possibile, dovrà avere una struttura sintattica simile a quella dell’originale.

2.8 Il residuo comunicativo

Parlando del residuo comunicativo nella traduzione di On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation è necessario innanzitutto ritornare alla scelta dell’autrice, dettata da motivi di “vastità di pubblico”, di scrivere in inglese, vale a dire in una lingua diversa dalla sua lingua madre. Infatti, se la scrittura intesa come processo traduttivo porta inevitabilmente con sé un primo residuo, dato da ciò che non si riesce a tradurre in parole dei propri segni psichici, la scelta della Gorlée di scrivere in una lingua straniera amplifica tale residuo: alla parte di informazione mentale andata perduta nel passaggio dal materiale mentale a quello verbale si somma quella che l’autrice non è riuscita ad esprimere in inglese. La grandezza di quest’ultimo residuo è inversamente proporzionale alla conoscenza della lingua inglese dell’autrice: tanto più la sua conoscenza dell’inglese sarà approfondita, tanto più piccolo sarà il residuo dovuto all’uso di una lingua straniera. Viceversa, se la conoscenza dell’inglese dell’autrice sarà scarsa, il residuo sarà più grande.
È evidente che questo tipo di residuo non caratterizza soltanto il prototesto ma si ripercuote inevitabilmente anche sul metatesto.
Un secondo tipo di residuo, piuttosto consistente, è dovuto alla diversa ampiezza dei campi semantici delle parole inglesi e di quelle italiane. Molte volte infatti i sostantivi inglesi coprono, da soli, un campo semantico tanto vasto che in italiano sarebbero necessarie più parole per riuscire a raggiungerne uno altrettanto ampio.
Si consideri, ad esempio, un sostantivo come speech, che ricorre diverse volte nel testo della Gorlée. Ho riportato qui a titolo esemplificativo tre passi tratti dalle pagine 59 e 61.

[…] That these two things should have come to be called by one name, in English, French, and Spanish, a name that in classical Latin means simply, running about, is one of the curious growths of speech. (MS 597:2,c. 1902 citato in Gorlée 2004 : 59)

Propositions refer to a series of possibilities in speech, leading to a certain belief in the hearer. (Gorlée 2004 : 59)

By categorizing signs not by their material aspects but by the different ways in which they may be meaningful, Peirce conceived of many human languages – speech, gestures, music, and others – […] (Gorlée 2004 : 61)
Nel primo caso ho tradotto speech con «lingua», nel secondo con «discorso» e nel terzo con «il parlato».
Il Cambridge Advance Learner’s Dictionary riporta la seguente definizione di speech:

Definition
speech (SAY WORDS)
noun
1 [U] the ability to talk, the activity of talking, or a piece of spoken language
2 [U] the way a person talks
3 [U] the language used when talking
4 [C] a set of words spoken in a play
speech (FORMAL TALK)
noun [C]
a formal talk given usually to a large number of people on a special occasion

Ad ognuna di queste accezioni di speech corrispondono in italiano uno o più traducenti, i cui campi semantici spesso si sovrappongono. Ad esempio in 1 speech potrebbe essere tradotto con «capacità» o «facoltà di parlare», ma anche con «discorso», in 2 con «parlata», «modo di esprimersi», in 3 con «lingua parlata» e in 4 con «monologo», «discorso» oppure, nell’ultimo caso, con «discorso formale».
È evidente che il traduttore si trova a dover scegliere un solo traducente, alterando in questo modo lo spettro semantico del segno che viene presentato al lettore del metatesto. Infatti, traducendo speech con, ad esempio, «discorso» ottengo uno spettro semantico che, pur avendo una parte in comune con quello del prototesto, assume nella cultura ricevente anche altri significati, non sempre contemplati dall’autrice del prototesto. Ad esempio «discorso» ha come accezioni «colloquio», «conversazione» ma anche «linea di condotta», «linea di orientamento».
In seguito alla scelta del traducente, che è un atto interpretativo, lo spazio ermeneutico si restringe bruscamente per poi dare vita ad un nuovo circuito semiotico coincidente soltanto in parte con quello del prototesto.

Lo stesso si potrebbe dire per il sostantivo mark, che occorre nella nota 21 a pagina 87 di On translating Signs Exploring Text and Semio-translation:

His long list includes many instances of verbal communication, spoken and/or written:”Then we have mark, note, trait, […]”(PW : 194, 1905 citato in Gorlée 2004 : 87)

Il Cambridge Advance Learner’s Dictionary riporta la seguente definizione di mark:

Definition
mark (SYMBOL)
noun [C]
1 a symbol which is used for giving information:
e.g. I’ve put a mark on the map where I think we should go for a picnic.
2 a written or printed symbol:
e.g. a question mark

mark (REPRESENTATION)
noun [C]
an action which is understood to represent or show a characteristic of a person or thing or feeling:
e.g. He took off his hat as a mark of respect for her dead husband.

mark (JUDGMENT)
noun [C] MAINLY UK
a judgment, expressed as a number or letter, about the quality of a piece of work done at school, college or university

mark (LEVEL)
noun [S]
the intended or desired level:
e.g. Sales have already passed the million mark.

Alcuni possibili traducenti di mark potrebbero essere «segno», «marchio», «marca», «voto», «valutazione», «livello», «grado».
Fra tutti questi traducenti ho scelto, coerentemente alla strategia traduttiva messa a punto fondata sul concetto di adeguatezza (paragrafo2.7), quello che più richiama il prototesto, ovvero l’italiano «marchio».
Un secondo tipo di residuo è semantico, ovvero riguarda quei vocaboli appartenenti alla cultura del prototesto che non trova un corrispondente adatto nella lingua italiana.
Si consideri, ad esempio, il sostantivo inglese agency, che occorre alla pagina 66 di On translating Signs Exploring Text and Semio-translation:
As all semiotic signs, the text-sign is a living agency actively seeking to realize itself through some interpreting mind rather than passively waiting to be realized by it, as is the case in linguistic semiotics. (Gorlée 2004 : 66)

Trovare una traduzione per il sostantivo «agency» non è stato facile. Infatti, proporre nel metatesto «agenzia» secondo il criterio dell’adeguatezza avrebbe comportato in italiano un residuo traduttivo non indifferente, essendo il primo significato evocato dalla parola «agenzia» quello di «agenzia viaggi». Per meglio comprendere il significato di «agency» nel prototesto sono ricorsa allora all’aiuto dell’autrice stessa, la quale mi ha spiegato che con questo sostantivo intende un’«azione» o un «complesso di atti o azioni». «Agency» deriva infatti dall’inglese actor, inteso non in senso teatrale-cinematografico ma come «colui che produce un effetto» o «agente». Nel metatesto ho perciò tradotto «agency» con «azione».

2.9 Difficoltà della traduzione

Come già accennato al paragrafo 2.5, la scelta dell’autrice di scrivere in inglese, ovvero in una lingua diversa dalla sua lingua madre, influisce sul processo traduttivo, complicandolo. Infatti, oltre ai normali problemi che si incontrano quando si traduce un testo – elaborare una strategia traduttiva adeguata, trovare delle soluzioni alle difficoltà di resa, gestire le parole intraducibili, colmare le differenze, a tutti i livelli, fra source e target language – si evidenzia qui una difficoltà ulteriore: traducendo il testo della Gorlée mi sono infatti trovata di fronte ad un prototesto che, in alcuni punti, è di difficile comprensione. Se questa difficoltà può talvolta essere attribuita alla mia scarsa conoscenza degli argomenti illustrati – che la Gorlée tratta in modo molto approfondito – o all’utilizzo di un registro aulico, o ancora di periodi complessi ed elaborati, altre volte deriva però da un uso molto tecnico delle strutture sintattiche e grammaticali inglesi.
Qui di seguito ho riportato qualche esempio di passi del prototesto la cui comprensione risulta difficoltosa proprio per via di quest’uso tecnico delle strutture linguistiche inglesi.

2.9.1 Esempi di frasi difficili da capire

Peirce referred to the latter’s “Greek text,” saying that “the context of the book calls more emphatically for a charter of very different meaning from that which we read in the present text” and “the meaning that can be attached to the existing text,” written by Aristotle (MS 759: 10-11, c.1906 citato in Gorlée 2004 : 58)

In questo passo la reggenza della seconda parte della citazione non è di così immediata comprensione. L’autrice infatti estrapola per ben due volte le parole di Peirce dal loro contesto e cotesto originali, inserendole in un contesto e cotesto nuovi. Ad una prima lettura si è indotti a credere che la seconda parte della citazione, quella che inizia con «the meaning», sia un elemento a sé stante, e soltanto rileggendo attentamente il passo si scopre che è retta dalla preposizione «from».

In a Peircean semiotics, […] (Gorlée 2004 : 59)

[…], in a Peircean phenomenology, […] (Gorlée 2004 : 61)

In questi due passi l’uso dell’articolo indeterminativo, che ad una prima lettura può apparire un po’ innaturale e forzato, è dovuto ad una questione di enfasi: autori diversi hanno sviluppato le loro semiotiche, muovendo però sempre da un terreno comune: Peirce e la sua semiotica. Perciò, servendosi dell’articolo indeterminativo, l’autrice compie una scelta ben precisa, intesa a sottolineare non soltanto che si sta parlando della semiotica di Peirce, ma anche che questa è una semiotica in particolare fra le tante sviluppatesi successivamente.
In italiano verrebbe spontaneo tradurre quest’articolo indeterminativo con uno determinativo: «nella semiotica di Peirce». Così facendo, però, andrebbe persa l’importante sfumatura voluta dall’autrice e si verrebbe meno al criterio dell’adeguatezza.

III

Traduzione

Peirce, Text and Sign

Peirce, as fin-de-siècle scientist, did occasionally use “text” in a modem sense of the term.17 Nevertheless, in Peirce’s day “text” was commonly used in classical philology, religious studies, and related disciplines, to refer to the words of Greek and Latin authors, and other, preferably “ancient” (CTN: 1: 158, 1892), pieces of writing. These were manuscripts invested with special authority, the Bible especially, and Aristotle’s writings. Peirce referred to the latter’s “Greek text,” saying that “the context of the book calls more emphatically for a chapter of very different meaning from that which we read in the present text” and the “meaning that can be attached to the existing text,” written by Aristotle (MS 759: 10-11, c.1906). This is how Peirce commonly used the term, and likewise this is how his Swiss contemporary, Saussure, spoke of (translated) “written texts” (Saussure [1916] 1959: 1, 7), namely, as objects of commentary and exegesis.
With regard to the modem meaning of text, which we take as the object of research in these pages, Peirce, as a sign-theoretician, used terms such as symbol, discourse, proposition, and argument, thereby addressing himself to purpose of Thirdness, involving the logical properties of the text today. Here it must suffice to characterize briefly the several concepts through which Peirce approached the phenomenon of text: A symbol is a sign requiring intelligent interpretation to become meaningful. It is the agreed-on vehicle of thought, and “all thinking is conducted in signs that are mainly of the same structure as words … , or symbols” (CP: 6.338, c.1909, Peirce’s emphasis). Reasoning – that is, the logical interpretation of signs by signs, whether spoken, written, or otherwise – always takes a discursive form (as opposed to discourse today, as mentioned before). Peirce wrote that

Reasoning by our older authors Shakespeare, Milton, etc. is called “discourse of reasoning”, or “discourse” simply. The expression is not yet obsolete in the dialect of philosophers. But “discourse” also means talk, especially

Peirce, testo e segno

Peirce, come scienziato fin-de-siècle, usò occasionalmente «testo» in un’accezione moderna del termine.17 Eppure al tempo di Peirce «testo» era usato comunemente in filologia classica, negli studi religiosi e nelle discipline ad essi correlate con riferimento alle parole degli autori greci e latini e ad altri scritti, preferibilmente “antichi” (CTN: 1: 158, 1892). Si trattava di manoscritti investiti di un’autorevolezza speciale, soprattutto la Bibbia e gli scritti di Aristotele. A proposito del «testo greco» di quest’ultimo, Peirce diceva che «il contesto del libro richiede in modo evidente un capitolo di significato molto diverso da quello che leggiamo nel testo attuale» e «dal significato attribuibile al testo esistente» scritto da Aristotele (MS 759: 10-11, c.1906). È in questo modo che Peirce soleva usare questo termine, e analogamente il suo contemporaneo svizzero, Saussure, parlava di «testi scritti» (tradotti) (Saussure [1916] 1959: 1, 7), come di oggetti di commentario e di esegesi.
Per quanto riguarda il significato moderno di «testo», che in queste pagine assurgiamo ad oggetto della nostra indagine, Peirce, da teorico del segno, usava termini quali «simbolo», «discorso», «proposizione» e «argomento» riferendosi così allo scopo della Terzità, coinvolgendo le proprietà logiche del testo inteso in senso moderno. Qui è sufficiente caratterizzare brevemente i diversi concetti con cui Peirce si è accostato al fenomeno del «testo»: un simbolo è un segno che necessita di un’interpretazione intelligente per poter assumere significato. E’ il veicolo convenuto del pensiero, e «tutto il pensiero viene condotto in segni che fondamentalmente presentano la stessa struttura delle parole […], o simboli» (CP: 6.338, c.1909, corsivo di Peirce).
Il ragionamento – ovvero l’interpretazione logica dei segni attraverso i segni, siano essi orali, scritti o di altra natura – assume sempre una forma discorsiva (in contrapposizione al discorso oggi, come accennato prima). Peirce scriveva che

Il ragionamento è chiamato, dai nostri autori antichi come Shakespeare, Milton ecc…«discorso di ragionamento» o semplicemente «discorso». Quest’espressione non è ancora caduta in disuso nel dialetto dei filosofi. Ma «discorso» significa anche conversazione, specialmente

talk monopolized. That these two things, reasoning and talk, should have come to be called by one name, in English, French, and Spanish, a name that in classical Latin means simply, running about, is one of the curious growths of speech. (MS 597:2,c. 1902)

However, Peirce hastened to add to this that discourse, or reasoning, is “communication”, and hence not “a sort of talk with oneself … addressed to oneself” (MS 597: 3, c.1902), but a dialogue addressed to some real or fictional receiver or interpreter.
Peirce stated that “discourse consists of arguments, composed of propositions, and they of general terms, relative and non-relative, of singular names, and of something that may be called copulas, of relative pronouns, etc. according to the family of speech that one compares the discourse to …” (MS 939: 27, 1905). Accordingly, a “proposition” is, for Peirce, “any product of language, which has the form that adapts it to instilling belief into the mind of the person addressed, supposing him to have confidence in its utterer” (MS 664: 8, 1910). A proposition “may relate to several such universes” such as “‘No admittance except on business,’ over a door is a general proposition, but it relates to that door” and “if I say ‘Hamlet’s purposes were sometimes undecided,’ I refer to the fictions created by Shakespeare,” whereas “the proposition ‘all men are mortal,’ refers to the actual universe” (MS 789: 7, 3, 5, 6, n.d.). Proposition refers to a series of possibilities in speech, leading to a certain belief in the hearer. In what Peirce called argument, “[c]ertain facts are stated in such a way as to convince a person of the reality of a certain truth, that is, the argumentation is designed to determine in his mind a representation of that truth” (MS 599: 43, c. 1902). Applied to written texts, the concepts of symbol, discourse, proposition, argument, inter alia enable us to deal logically (that is, semiotically) with the text as a device for verbal definition, suggestion, persuasion, instruction, and other forms of communication deviced through words in a particular language which speaker and hearer have in common. Firstly, it is necessary to consider the text as a material object. Construed in Peircean terms, it is a sign and, more specifically, a verbal sign.

conversazione, specialmente conversazione monopolizzata. Che queste due cose, ragionamento e conversazione, siano giunte ad essere chiamate con un solo nome in inglese, in francese, in spagnolo, un nome che in latino classico significa semplicemente «correre qua e là», è uno dei curiosi sviluppi della lingua. (MS 597:2, c. 1902)

Ad ogni modo Peirce si affrettò ad aggiungere che il discorso, o ragionamento, è «comunicazione» e pertanto non «una sorta di conversazione fra sé […] rivolta a sé stessi» (MS 597: 3, c.1902), bensì un dialogo rivolto ad un ricevente o interprete reale o finzionale.
Peirce affermava che «il discorso consiste di argomenti, che si compongono di proposizioni, e queste di termini generali, relativi e non, di nomi singolari e di cose che potrebbero essere chiamate «copule», di pronomi relativi, ecc… a seconda della famiglia linguistica con cui si confronta il discorso […]» (MS 939: 27, 1905). Pertanto per Peirce una «proposizione» è «un qualsiasi prodotto linguistico la cui forma lo renda adatto ad instillare convincimento nella mente della persona cui si rivolge, supponendo che questi si fidi dell’enunciatore» (MS 664: 8, 1910). Una proposizione «può riferirsi a svariati universi come questo» come «”Vietato l’ingresso ai non addetti” su una porta è una proposizione generale, ma si riferisce a quella porta» e «se dico “A volte i propositi di Amleto erano incerti”, mi riferisco ai mondi finzionali immaginati da Shakespeare» mentre «la proposizione “tutti gli uomini sono mortali” si riferisce all’universo reale» (MS 789: 7, 3, 5, 6, n.d.). Una proposizione si riferisce ad una serie di possibilità nel discorso che portano ad un certo grado di convincimento in chi ascolta. In ciò che Peirce chiamava «argomento» «certi fatti sono enunciati in modo tale da convincere una persona della realtà di una certa verità, vale a dire l’argomentazione è studiata per determinare nella sua mente una rappresentazione di quella verità» (MS 599: 43, c.1902).
Applicati ai testi scritti i concetti di «simbolo», «discorso», «proposizione», «argomento» ci permettono, fra l’altro, di trattare il testo in modo logico (cioè semiotico) come uno strumento per la definizione, la suggestione, la persuasione, l’istruzione e per altre forme di comunicazione verbale in una certa lingua che il parlante e l’ascoltatore hanno in comune. Innanzitutto è necessario considerare il testo come un oggetto materiale. Tradotto in termini peirceiani è un segno e, più nello specifico, un segno verbale.

As a sign it must be seen on a par with all other objects which in Peirce’s logic are susceptible of signhood.
In a Peircean semiotics, anything – any feeling, object, event, phenomenon, concept, etc. – can, observed in certain circumstances, become a semiotic sign. A sign signifies, and thus survives, because it has some quality or distinctive property which turn it into a sign to somebody or something. This implies that a sign must be somehow puzzling, interesting, intriguing, or otherwise require someone’s special attention, by suggesting that it means something other than itself, thereby inviting, even requiring some explanation. For me, a semiotic translation-theoretician, this new information is a translation of the primary sign.
Max Fisch underscores that “Peirce’s general theory of signs is so general as to entail that, whatever else anything may be, it is also a sign” (Fisch 1983: 56). According to Peirce, “Signs in general [are] a class which includes pictures, symptoms, words, sentences, books, libraries, signals, orders of command, microscopes, legislative representatives, musical concertos, performances of these…” (MS 634: 18, 1909). In short, “A sign is any sort of thing” (MS 800: 2, [1903?], provided it is an interesting or puzzling “representation” to someone or something, and thus “stands for something to the idea which it produces, or modifies. Or it is a vehicle conveying into the mind something from without” (NEM: 4: 309, 1895), that is to say, something in the world. 18
Peircean scholars have frequently commented on the fact that Peirce’s concept of sign is very broad; at any rate, much broader than and emcompassing all other semioticians’s conceptions of signhood. According to Greenlee, it is “deliberately broad” (1973:24), but not just for the sake of broadness. We must note Peirce’s own affirmation that it “is a very broad conception, but the whole breath of it is pertinent to logic” (NEM: 3: 233, 1909). Indeed, despite Peirce’s numerous definitions and redefinitions of the sign throughout his intellectual career19, he never abandoned the broadness of its scope; nor did he change the essence of the logical properties of the sign as “something, A, which denotes some fact or object, B, to some interpretant thought, C” (CP: 1.346, 1903).

In quanto segno deve essere visto alla pari di tutti gli altri oggetti che nella logica di Peirce sono suscettibili di segnità. In una semiotica di Peirce qualunque cosa – qualsiasi sentimento, oggetto, evento, fenomeno, concetto ecc… – può, osservata in certe circostanze, divenire un segno semiotico. Un segno significa, e quindi sopravvive, perché possiede una qualche qualità o proprietà distintiva che lo trasforma in un segno per qualcuno o qualcosa. Ciò implica che un segno deve in qualche modo disorientare, interessare, intrigare, o deve richiedere l’attenzione speciale di qualcuno in altro modo, suggerendo che significa qualcosa di diverso da sé e in questo modo invitando, richiedendo addirittura una qualche spiegazione. Per me, teorica della semiotica della traduzione, questa nuova informazione è una traduzione del segno primario.
Max Fisch sottolinea che «la teoria generale dei segni di Peirce è tanto generale da implicare che una cosa qualsiasi, qualunque altra cosa possa essere, è anche un segno» (Fisch 1983: 56). Secondo Peirce «I segni in generale [sono] una classe che include figure, sintomi, parole, frasi, libri, biblioteche, segnali, comandi, microscopi, rappresentanti legislativi, concerti musicali, le esecuzioni di questi […]» (MS 634: 18, 1909). In breve, «Un segno è qualsiasi cosa» (MS 800: 2, [1903?], a condizione che sia una «rappresentazione» interessante o disorientante per qualcuno o qualcosa e dunque «che stia per qualcosa all’idea che produce o modifica. Oppure è un veicolo che trasporta nella mente qualcosa dall’esterno» (NEM: 4: 309, 1895), vale a dire è qualcosa nel mondo. 18
Gli studiosi di Peirce spesso hanno osservato che il concetto peirceiano di segno è molto ampio; in ogni caso molto più ampio dei concetti di segnità di tutti gli altri semiotici e comprensivo di tutti questi. Secondo Greenlee è «volutamente ampio» (1973:24), ma non soltanto per amore dell’ampiezza. Dobbiamo sottolineare l’affermazione di Peirce stesso che «è una concezione molto ampia ma il suo respiro è interamente pertinente alla logica» (NEM: 3: 233, 1909). In effetti Peirce, nonostante avesse definito e ridefinito il segno diverse volte nel corso della sua carriera intellettuale19, non abbandonò mai l’ampiezza della sua portata; e nemmeno cambiò l’essenza delle proprietà logiche del segno come «qualcosa, A, che denota un certo fatto o oggetto, B, per un certo pensiero interpretante, C» (CP: 1.346, 1903).

There is substantial evidence from Peirce’s work that he took a keen interest in language and linguistics, in addition to many other fields of research, theoretical and applied. Peirce’s numerous linguistically-oriented essays, the first of which was his 1865 Harvard Lecture I (W: 1: 162ff., 1865), manifest a deeply-felt concern with language as a logical sign system, which for Peirce meant a semiotic sign system. This interest manifests itself most promently in Peirce’s later period (from 1902), when the idea of a phenomenology governed by the three modes of being – Firstness, Secondness, Thirdness – had crystallized deeply in the philosopher’s mind. Unlike phenomenology in the more customary sense, Peirce viewed it as the phenomenological science that studies “the collective total of all that is in any way present to the mind, quite regardless of whether it corresponds to any real thing or not” (CP: 1.284, 1905).
The object of study can thus be, in a Peircean phenomenology, all that can possibly be perceived or thought. Thus we find linguistic phenomena rubbing shoulders with the myriad phenomena of a non-linguistic nature which catch the attention of the seer, listener, reader and interpreter. Peirce’s doctrine of the three categories provides a means of dealing with all such phenomena, without discrimination, though not equally. To place Peirce’s thought under the banner of philosophy of language is, nevertheless, a serious misconstrual of the facts, because it would fail to do justice to the universal scope of Peirce’s logic. This is brought out beautifully by Jakobson, thus:

Peirce’s semiotic edifice encloses the whole multiplicity of significative phenomena, whether a knock at the door, a footprint, a spontaneous cry, a painting or a musical score, a conversation, a silent meditation, a piece of writing, a syllogism, an algebraic equation, a geometric diagram, a weather vane, or a simple bookmark. The comparative study of several sign systems carried out by the researcher revealed the fundamental convergences and divergences which had as yet remained unnoticed. Peirce’s works demonstrate a particular perspicacity when he deals with the categoric nature of language in the phonic, grammatical and lexical aspects of words as well as in their arrangement within clauses, and in the implementation of the clauses with respect to the utterances. At the same time, the author realizes that his research “must extend over the whole of general Semeiotic,” and warns his

Nell’opera di Peirce vi sono prove sostanziali del suo vivo interesse per la lingua e la linguistica, oltre che per molti altri ambiti di ricerca, sia teorici che applicativi. I numerosi saggi di Peirce orientati verso la linguistica, il primo dei quali fu il suo Harvard Lecture I del 1865 (W: 1: 162 sg., 1865), rivelano una profonda preoccupazione per la lingua in quanto sistema segnico logico, che per Peirce voleva dire sistema di segni semiotico. Questo interesse si manifesta massimamente nell’ultimo periodo peirceiano (a partire dal 1902), quando l’idea di una fenomenologia governata dai tre modi di essere – Primità, Secondità, Terzità – si era profondamente cristallizzata nella mente del filosofo. Diversamente dalla fenomenologia in senso più tradizionale, Peirce la vedeva come la scienza fenomenologica che studia «il totale collettivo di tutto ciò che è presente nella mente in qualsiasi modo, senza tener conto del fatto che corrisponda o meno a una cosa reale» (CP: 1.284, 1905).
Pertanto, in una fenomenologia peirceiana, l’oggetto di studio può essere tutto ciò che sia dato di percepire o di pensare. Di conseguenza troviamo fenomeni linguistici che vengono a contatto con la miriade di fenomeni di natura non linguistica che attirano l’attenzione di chi vede, di chi ascolta, di chi legge e di chi interpreta. La dottrina peirceiana delle tre categorie fornisce gli strumenti per trattare tutti i fenomeni di questo tipo senza discriminazione, sebbene non allo stesso modo. Nondimeno collocare il pensiero di Peirce sotto il nome di filosofia del linguaggio è un grave errore di interpretazione dei fatti, poiché si manca di rendere giustizia alla portata universale della logica di Peirce. Ciò viene messo bene in risalto da Jakobson, in questo modo:

L’edificio semiotico di Peirce racchiude l’intera molteplicità dei fenomeni significativi, siano essi una bussata alla porta, un’impronta, un grido spontaneo, un dipinto o uno spartito musicale, una conversazione, una meditazione silenziosa, uno scritto, un sillogismo, un’equazione algebrica, un diagramma geometrico, un segnavento o un semplice segnalibro. Lo studio comparato di diversi sistemi segnici condotto da Peirce ha rivelato le fondamentali convergenze e divergenze che finora erano rimaste inosservate. Le opere di Peirce dimostrano una particolare perspicacia quando l’autore tratta la natura categorica della lingua negli aspetti fonici, grammaticali e lessicali delle parole così come nella loro disposizione all’interno delle proposizioni e nella realizzazione delle proposizioni in relazione agli enunciati. Al contempo Peirce comprende che la sua ricerca «deve estendersi a tutta la Semiotica generale» e mette in guardia la sua

epistolary interlocutor, Lady Welby: “Perhaps you are in danger of falling into some error in consequence of limiting your studies so much to Language.” (Jakobson 1987: 442)

By categorizing signs not by their material aspects but by the different ways in which they may be meaningful, Peirce conceived of many human languages – speech, gestures, music, and others – in which experience may be communicated. Language, consisting of verbal signs is, of course, pivotal among these languages. Peirce said that “By a ‘verbal sign I mean a word, sentence, book, library, literature, language, or anything else composed of words” (MS 318: 239,1907) 20. This list, from Peirce’s later period, is nearly echoic of earlier enumerations, such as “words and phrases, and speeches, and books, and libraries” (MS 404: 5, 1893). As Fisch interprets Peirce,

It goes without saying that words are signs; and it goes almost without saying that phrases, clauses, sentences, speeches, and extended conversations are signs. So are poems, essays, short stories, novels, orations, plays, operas, journal articles, scientific reports, and mathematical demonstrations. So a sign may be a constituent part of a more complex sign, and all the constituent parts of a complex sign are signs. (Fisch 1983:56-57)

Scattered throughout Peirce’s works are numerous references to, and discussions of discourse in the form of written signs of all kinds, from isolated simple word-signs to complex verbal structures. For instance, the words “witch” (MS 634: 7, 1909), “Hi!” (MS 1135: 10, [18951]1896), “runs” (MS 318: 72, 1907), and “whatever” (CP: 8.350, 1908) are for Peirce signs; so is “the word ‘man’ [which] as printed, has three letters; these letters have certain shapes, and are black” (W: 3: 62, 1873; cf. MS 9: 2, 1904). Peirce considered as a semiotic sign “[a]ny ordinary word, as ‘give’, bird’, ‘marriage'” (CP: 2.298, 1893) 21 and combinations of words, such as “all but one”, “twothirds of”, “on the right (or left) of” (CP: 2.289-2.290, c.1893).
In his writings, Peirce further presented and analyzed many sentence-signs, both grammatically complete or elliptic, such as “Napoleon was a liar” (MS 229C: 505, 1905), “King Edward is ill” (MS

interlocutrice epistolare, Lady Welby:«Forse state rischiando di cadere in un qualche errore poiché limitate i vostri studi così tanto alla Lingua» (Jakobson 1987: 442).

Categorizzando i segni non a seconda dei loro aspetti materiali ma secondo i diversi modi in cui possono essere significativi, Peirce concepiva molti linguaggi umani – il parlato, i gesti, la musica e altri – attraverso cui l’esperienza può essere comunicata. La lingua, consistendo di segni verbali, riveste certamente un ruolo cruciale fra questi linguaggi. Peirce diceva che «Per “segno verbale” intendo una parola, un periodo, un libro, una biblioteca, una letteratura, una lingua o qualsiasi altra cosa fatta di parole» (MS 318; 239, 1907) 20. Questa lista, dall’ultimo periodo peirceiano, è quasi un’eco delle enumerazioni precedenti come «parole e frasi, e discorsi, e libri e biblioteche» (MS 404: 5, 1893). Come Fisch interpreta Peirce,

Va da sé che le parole sono segni; e va quasi da sé che le frasi, le proposizioni, i periodi, i discorsi e le conversazioni lunghe sono segni. Lo sono anche le poesie, i saggi, le novelle, i romanzi, le orazioni, le opere teatrali, quelle liriche, gli articoli di giornale, le relazioni scientifiche e le dimostrazioni matematiche. Così un segno può essere una parte costitutiva di un segno più complesso e tutte le parti costitutive di un segno complesso sono segni. (Fisch 1983:56-57)

Nelle opere di Peirce sono disseminati numerosi riferimenti al discorso e discussioni sottoforma di segni scritti di tutti i tipi, da semplici segni-parole isolati a complesse strutture verbali. Ad esempio per Peirce le parole «witch» (MS 634: 7, 1909), «Hi!» (MS 1135: 10, [1895] 1896), «runs» (MS 318: 72, 1907) e «wathever» (CP: 8.350, 1908) sono segni; anche «la parola “man” che, così stampata, si compone di tre lettere, è un segno; queste lettere hanno determinate forme e sono nere» (W: 3: 62, 1873; cf. MS 9: 2, 1904). Peirce considerava segno semiotico «qualsiasi parola comune come “give”, “bird”, “marriage”» (CP: 2.298, 1983) 21 e combinazioni di parole come «all but one», «twothirds of», «on the right (or left) of» (CP: 2.289-2.290, c.1893).
Nei suoi scritti Peirce presentò ed analizzò ulteriormente molti segni-frasi, sia grammaticalmente completi che ellittici, come «Napoleon was a liar» (MS 229C: 505, 1905), «King Edward is ill» (MS

800: 5, [1903?]), “Fine day!” (MS 318: 69, 1907), “Let Kax denote a gas furnace” (CP: 7.50, 1867), “Burnt child shuns fire” (MS 318: 154-155, 1907), and “Any man will die” “(MS 318: 74, 1907). By the same token, Peirce wrote that “If – then –––”, “––– causes ––– “. ” ––– would be –––”, and ” ––– is relative to – for ––– ” are “among linguistic signs” (CP: 8.350, 1908). Peirce’s favorite examples of sentence-signs were perhaps, chronologically, “This stove is black” (e.g., CP: 1.551, 1867), the military command “Ground arms!” (e.g., CP: 5.473, 1907 and MS 318: 37, 175, 214, 244, 1907), and “Cain killed Abel” (e.g., NEM: 3: . 839, 1909 and CP: 2.230, 1910), all of these repeatedly used by Peirce as illustrative logical examples.
Pieces of discursive writing (that is, texts) are signs. Though a sentence may sometimes be a text in itself, texts are more commonly combinations of sentences, complex signs that in turn consist of signs, which again consist of signs. This may be exemplified by the syllogism, understood as a compound sign built up, logically as well as linguistically, of three subsigns, which are in turn divisible, and which lead to a result: “All conquerors are Butchers / Napoleon is a conqueror / [therefore] Napoleon is a butcher” (W: 1: 164, 1865). The theater directory and the weather forecast published in the newspaper are, for Peirce, predictive signs (MS 634: 23, 1909); so are “the books of a bank” (MS 318: 58, 1907) and “an old MS. letter … which gives some details about … the great fire of London” (MS 318: 65, 1907). As a further example of a verbal text-sign mentioned by Peirce we might finally mention “Goethe’s book on the Theory of Colors … made up of letters, words, sentences, paragraphs, etc.” (MS 7: 18, 1904).

Text and Semiosis

All linguistic signs, regardless of size or complexity, are first and foremost signs of Thirdness: Peirce’s symbolic signs (see CP: 5.73, 1903). “All words, sentences, books and other conventional signs are Symbols” (CP: 2.292, c.1902). They stand for the intended object not because they have a qualitative or structural similarity to it, which would make them iconic signs; nor are they physically or causally connected with their object, as is the case of indexical signs. A symbolic sign

800: 5, [1903?], «Fine day!» (MS 318: 69, 1907), «Let Kax denote a gas furnace» (CP: 7.50, 1867), «Burnt child shuns fire» (MS 318: 154-155, 1907) e «Any man will die» (MS 318: 74, 1907). Analogamente Peirce scrisse che «If – then –––», «––– causes –––». «––– would be –––», e «––– is relative to – for –––» sono «fra i segni linguistici» (CP: 8.350, 1908). Gli esempi di segni-frasi preferiti da Peirce erano forse, cronologicamente, «This stove is black» (ad esempio CP: 1.551, 1867), il comando militare «Ground arms!» (ad esempio CP: 5.473, 1907 e MS 318: 37, 175, 214, 244, 1907) e «Cain killed Abel» (ad esempio NEM: 3: 839, 1909 e CP: 2.230, 1910), tutti ripetutamente usati da Peirce come esempi illustrativi logici.
I pezzi di scritto discorsivo (cioè i testi) sono segni. Sebbene a volte un periodo possa essere un testo di per sé, più comunemente i testi sono combinazioni di periodi, segni complessi che a loro volta sono fatti di segni, che ancora si compongono di segni. Lo si potrebbe esemplificare attraverso il sillogismo, inteso come un segno composto costituito, sia a livello logico che linguistico, da tre sottosegni, che a loro volta sono divisibili e che conducono ad un risultato:«All conquerors are butchers / Napoleon is a conqueror / [therefore] Napoleon is a butcher» (W: 1: 164, 1865). Per Peirce la pagina dei teatri e le previsioni del tempo pubblicate sul giornale sono segni predittivi (MS 634: 23, 1909); lo stesso dicasi per « le scritture contabili di una banca» (MS 318: 58, 1907) e per «una vecchia lettera manoscritta […] che fornisce alcuni dettagli sul […] grande incendio di Londra» (MS 318: 65, 1907). Come ulteriore esempio di segno-testo verbale menzionato da Peirce potremmo infine citare il «libro di Goethe sulla teoria dei colori […] fatto di lettere, parole, periodi, paragrafi ecc…» (MS 7: 18, 1904).

Testo e semiosi

Tutti i segni linguistici, indipendentemente dalla loro ampiezza o complessità, sono innanzitutto segni di Terzità: i segni simbolici di Peirce (vedi CP: 5.73, 1903). «Tutte le parole, i periodi, i libri e gli altri segni convenzionali sono Simboli» (CP: 2.292, c.1902). Stanno per l’oggetto inteso non perché vi somiglino qualitativamente o strutturalmente, cosa che li renderebbe segni iconici; e nemmeno perché si ricollegano al loro oggetto fisicamente o causalmente, come nel caso dei segni indicali. Un segno
is a sign “simply because it will be understood to be a sign” (MS 307: 15, 1903) and it “is applicable to whatever may be found to realize the idea connected [with it]” (CP: 2.298, 1893). As Thirds, symbolic signs only function fully in a triadic sign relation that includes the sign itself, the object it stands for, and the sign in which the “first” sign is interpreted, its interpretant:

If this triple relation is not of a degenerate species, the sign is related to its object only in consequence of a mental association, and depends upon habit. Such signs are always abstract and general, because habits are general rules to which the organism has become subjected. They are, for the most part, conventional or arbitrary. They include all general words, the main body of speech, and any mode of conveying a judgment. (CP:3.13, 1867)

“Habit” must here be understood in the Peircean sense: not as something fixed once and for all, but, on the contrary, as a flexible rule of procedure adopted for the practical purpose of successfully interpreting a sign. All signs that not only deal with feeling (Firstness) nor with action (Secondness) but with thought (Thirdness), namely Peirce’s “intellectual concepts” (CP: 5.467, 1907), are in this sense habitual. The understanding and interpretation of linguistic signs is an intellectual, cognitive activity, and linguistic signs are therefore a habit-bound, rule-governed activity22.
Nevertheless, the rule must always be conceived as being ultimately based upon some deliberate resolution adopted by the language users to give certain linguistic signs certain meanings. This in turn implies that language users as a group may also at any point decide to change the rules, and “new” rules may be over-ruled in their turn by any subsequent decision. As repeatedly argued by Thomas Sebeok, change is essential to the verbal sign, including the constant change in all human languages. This is a crucial concept for the development of translation studies. The concept of the linguistic sign as an ad hoc rule of procedure would seemingly make it into an arbitrary entity, one which, paradoxically,

simbolico è un segno «semplicemente perché sarà compreso come tale» (MS 307: 15, 1903) ed «è applicabile a qualsiasi cosa possa comprendere l’idea [ad esso] connessa» (CP: 2.298, 1893). In quanto terzi, i segni simbolici funzionano pienamente soltanto in una relazione segnica triadica che include il segno stesso, l’oggetto che rappresenta e il segno in cui il “primo” segno è interpretato, il suo interpretante:

Se questa relazione tripla non è di specie degenere, il segno è correlato al suo oggetto solo a seguito di un’associazione mentale e dipende dall’abitudine. Tali segni sono sempre astratti e generali, essendo le abitudini regole generali cui l’organismo è divenuto soggetto. Sono, per la maggior parte, convenzionali o arbitrari. Comprendono tutte le parole generali, buona parte del vocabolario comune e tutti i modi di esprimere un giudizio. (CP:3.13, 1867)

«Abitudine» deve essere qui intesa in senso peirceiano: non come qualcosa di stabilito una volta per tutte ma, al contrario, come una flessibile norma procedurale adottata allo scopo pratico di interpretare correttamente un segno. Tutti i segni che non solo hanno a che vedere con il sentire (Primità), e neppure con l’azione (Secondità) bensì con il pensiero (Terzità), ovvero i «concetti intellettuali» di Peirce (CP: 5.467, 1907), sono in questo senso abituali. La comprensione e l’interpretazione dei segni linguistici è un’attività intellettuale, cognitiva e dunque i segni linguistici sono un’attività vincolata dall’abitudine e governata dalla regola22.
Tuttavia la norma dev’essere sempre concepita come fondata, in definitiva, su una qualche decisione deliberatamente presa dai parlanti per conferire a determinati segni determinati significati. Questo a sua volta implica che i parlanti come gruppo possano anche decidere, in qualsiasi momento, di cambiare le regole, e le “nuove” regole possono a loro volta essere invalidate da qualsiasi decisione successiva. Come ripetutamente affermato da Thomas Sebeok, il cambiamento è essenziale al segno verbale, compreso il costante cambiamento in tutte le lingue umane. Questo è un concetto cruciale per lo sviluppo delle ricerche traduttologiche. Il concetto di segno linguistico come norma di procedimento ad hoc sembrerebbe trasformarlo in un’entità arbitraria, un’entità che, paradossalmente,

would be unsuitable for efficient communication. The fact is, however, that the linguistic sign is both habit-bound and at the same time conventional, inasmuch as a word, sentence, or text can only function as a means of communication if the rule or habit is, to some extent, agreed upon by a consensus among the community of language users.
In order to communicate its message the text-sign must function in a tripartite, sign-object-interpretant relation called semiosis. Semiosis as Peirce conceived it, seems to be both the action of the sign itself and the process of interpretation. These are in fact two aspects of the same activity, because a sign is only capable of producing an interpretant in a thinking mind if it is an element of a triadic relation. Only the interpretant constitutes a real thought¬-sign, as opposed to the “quasi-sign” which is governed by “automatic regulation” (CP: 5.473, 1907) between sign and object. In a dyadic sign relation the sign is “physically connected with its object; they make an organic pair, but the interpreting mind has nothing to do with this connection, except remarking it, after it is established” (CP: 2.299, c.1902). In order to be meaningful, a non-triadic sign does not require intelligent interpretation – that is, an interpretation which is at the same time habitual and habit-changing, conventional and creative –, either because the sign immediately exhibits its meaning or because it directly points toward it. That there is no real logical action in the interpretation of a one-place, iconic sign, should be clear; but the two-place, indexical sign equaly disqualifies itself from semiosis, because it signifies its object either by law or by “brute force with no element of inherent reasonableness” (CP: 6.329, c.1909).
Peirce emphasized explicitly that by semiosis he meant “an action, or influence, which is, or involves, a cooperation of three subjects, such as a sign, its object, and its interpretant, this tri-relative influence not being in any way resolvable between pairs” (CP: 5.484, 1907, Peirce’s emphasis). Text semiosis means that it is essential for the text-sign to embody ideas, thoughts, a message, because they are what the text is about: its object, the contents of the text. However, it is not sufficient for a text-sign to have a meaning-content; it must be recognized, identified, and interpreted as such in order to operate as a full-fledged symbolic sign. It may on occasion

sarebbe inadeguata ad una comunicazione efficace. Il fatto è, comunque, che il segno linguistico è sia vincolato dalla convenzione che convenzionale allo stesso tempo, poiché una parola, un periodo o un testo possono funzionare come mezzi di comunicazione soltanto se la regola o abitudine è concordata, in una certa misura, fra la comunità dei parlanti.
Per poter comunicare il suo messaggio il segno-testo deve funzionare in una relazione tripartita segno – oggetto – interpretante chiamata «semiosi». Come la intendeva Peirce la semiosi sembra essere sia l’azione del segno stesso che il processo della sua interpretazione. Questi sono in realtà due aspetti della stessa attività, in quanto un segno può produrre un interpretante in una mente pensante solo se è un elemento di una relazione triadica. Solo l’interpretante costituisce un vero segno-pensiero, in contrapposizione al «quasi-segno», che è governato dalla «regolazione automatica» (CP: 5.473, 1907) fra segno e oggetto. In una relazione segnica diadica il segno è «fisicamente correlato al suo oggetto; costituiscono una coppia organica ma la mente interpretante non ha niente a che fare con questa relazione, a parte commentarla dopo che è stata instaurata» (CP: 2.299, c.1902). Per poter essere significativo, un segno non triadico non richiede un’interpretazione intelligente – vale a dire un’interpretazione che è allo stesso tempo abituale e suscettibile di modificare l’abitudine, convenzionale e creativa –, o perché il segno manifesta immediatamente il suo significato o perché lo indica direttamente. Che non c’è una reale azione logica nell’interpretazione di un segno iconico, primo, dovrebbe essere chiaro; ma similmente il segno indicale, secondo, si esclude dalla semiosi in quanto significa il suo oggetto o attraverso una legge o con «la forza bruta senza nessun elemento di ragionevolezza intrinseca» (CP: 6.329, c.1909).
Peirce sottolineò esplicitamente che per semiosi intendeva «un’azione o influenza che è, o comporta, una collaborazione di tre soggetti, come un segno, il suo oggetto ed il suo interpretante, senza che questa influenza tri-relativa sia in alcun modo risolvibile fra coppie» (CP: 5.484, 1907, corsivo di Peirce). Semiosi testuale significa che per il segno-testo è essenziale incarnare idee, pensieri, un messaggio, perché sono ciò di cui il testo tratta: il suo oggetto, i contenuti del testo. Tuttavia per un segno-testo non è sufficiente avere un contenuto in termini di significato; dev’essere riconosciuto, identificato ed interpretato come tale per poter operare a pieno titolo come un segno simbolico. Di tanto

even be misunderstood or manipulated, because from a strictly Peircean perspective the nature of the interpretation produced is, in the final analysis, as irrelevant as is the person of the individual interpreter. The text-sign itself is endowed with a power which, coming from the object and ultimately referring back to it, must in order to realize its full semiotic effect, appeal forward through it (the sign) to what is potentially an endless series of interpretant signs, each one interpreting the one preceding it. Textual semiosis teaches that the meaning of the text-sign is not necessarily identical with the prima facie object which the text refers to, but rather with the rule or habit (its interpretant) by which one would, under certain conditions, read, understand, and interpret it.
This suggestion for translation studies and its survival can be illustrated by Peirce’s account from the “life” of one text-sign, thus:

Take, for example, that sentence of Patrick Henry which, at the time of our Revolution, was repeated by every man to his neighbor: “Three millions of people, armed in the holy cause of Liberty, and in such a country as we possess, are invincible against any force that the ennemy can bring against us.” Those words represent this cha¬racter of the general law of nature. They might have produced effects indefinitely transcending any that circumstances allowed them to produce. It might, for example, have happened that some American schoolboy, sailing as a passenger in the Pacific Ocean, should have idly written down those words on a slip of paper. The paper might have been tossed overboard and might have been picked up by some Jagala on a beach of the island of Luzon; and if he had them translated to him, they might easily have passed from mouth to mouth there as they did in this country, and with similar effect. (CP: 5.105, 1902)

The history of Henry’s pronouncement is, at least potentially, the life history of all text-signs. Texts need to receive a real or potential interpretation in order to be able to operate as signs in different spatial and/or temporal settings. That is to say, they must be meaningful (signifying) in shifting semiosic relations to the listeners, readers, etc. If a combination of verbal signs does not draw the attention toward itself as a sign and does not manifest itself as mediating between what it can mean and what it is interpreted to mean,

in tanto può addirittura essere frainteso o manipolato, perché da una prospettiva strettamente peirceiana la natura dell’interpretazione prodotta è, in ultima analisi, tanto irrilevante quanto la persona del singolo interprete. Il segno-testo stesso è dotato di un potere che, derivando dall’oggetto e in definitiva riferendovisi nuovamente, deve, per realizzare appieno il suo effetto semiotico, appellarsi attraverso il segno a ciò che potenzialmente è una serie infinita di segni interpretanti, nella quale ciascun segno interpreta quello che lo precede. La semiosi testuale insegna che il significato del segno-testo non è necessariamente identico all’oggetto prima facie a cui il testo si riferisce, bensì alla regola o abitudine (il suo interpretante) attraverso cui, in determinate condizioni, lo si leggerebbe, comprenderebbe ed interpreterebbe.
Questo suggerimento per la traduttologia e la sua sopravvivenza può essere illustrato dalla spiegazione di Peirce tratta dalla “vita” di un segno-testo in questo modo:

Si prenda, ad esempio, quella frase di Patrick Henry che, al tempo della nostra Rivoluzione, fu ripetuta da ogni uomo al proprio vicino:«Tre milioni di uomini, armati nella santa causa della Libertà, e in una terra tale come quella che possediamo, sono invincibili contro qualunque forza il nemico possa opporci». Quelle parole rappresentano questo carattere della legge generale di natura. Possono aver prodotto effetti che trascendono in modo indefinito qualsiasi effetto le circostanze hanno permesso loro di avere.
Ad esempio potrebbe essere accaduto che un qualche scolaro americano, passeggero di una nave sull’Oceano Pacifico, abbia casualmente scritto quelle parole su un foglietto. Il foglietto potrebbe essere stato scagliato in mare ed essere stato raccolto da un qualche Jagala su una spiaggia dell’isola di Luzon; e se gliele avesse tradotte queste parole sarebbero facilmente passate di bocca in bocca, lì come avevano fatto in questo Paese, sortendo un effetto simile. (CP: 5.105, 1902)

La storia dell’affermazione di Henry è, almeno potenzialmente, la storia della vita di tutti i segni-testi. I testi necessitano di ricevere un’interpretazione reale o potenziale per poter operare come segni in diversi ambienti spaziali e/o temporali. In altre parole devono poter essere significativi in relazioni semiotiche variabili per chi ascolta, chi legge, ecc… Se una combinazione di segni verbali non attira l’attenzione su di sé come segno e non si manifesta come mediatrice fra ciò che può significare e ciò che significa dopo essere stata

it remains a non-text. A text which, when transplanted in time and/or place, loses its power to appeal to an interpreting mind, becomes thereby a non-semiosic, dead entity. From the perspective of Peircean semiotics, the text-sign is characterized by endless and unlimited semiosis, by the ongoing process of growth through interpretation. What keeps the text-sign alive is precisely that it elicits an interpretant again and again, and that these interpretants (and the interpretants of the interpretants) are not only rule-governed entities but also, virtually or really, rule-changing and rule-creating new activities.
It is apparent that for Peirce, a written text was a complex verbal sign partaking of the basic properties common to semiotic signhood. Unfortunately, the significance of his theory for a text-semiotics, Peirce’s textology, will require some interpretive extrapolation. We shall soon get to that. But first let us make sure that, from the foregoing arguments, the following is clear: a Peirce-based text-semiotics must be dramatically different from other sign-theoretical text-theories, particularly from those based on Saussure’s text-theories. As opposed to French semiology, with its emphasis on text production, pragmatic semiotics in the Peircean tradition proceeds in the contrary direction-, manifesting itself first and foremost as a theory of sign interpretation. The sign as Peirce conceived it is, in contradistinction to its semiological counterpart, not defined in terms of an utterer and/or interpreter but in terms of its dynamic relations, both conventional and new. Through semiosis, the sign deploys its meaning; its full meaning is thus ideally knowable, if only in some hypothetical future, unreachable today. Sign-action and sign-interpretation are not necessarily determined by a human utterer nor interpreter. Peirce’s semiosis is self-generating triadic action. As all semiotic signs, the text-sign is a living agency actively seeking to realize itself through some interpreting mind rather than passively waiting to be realized by it, as is the case in linguistic semiotics.
One reason why a Peircean concept of text, and hence a Peircean text-semiotics, may at first seem fanciful is that it diminishes the significance of the reader/interpreter. In a semiological text-theory, the reader/interpreter is

interpretata, rimane un non-testo. Un testo che, quando trasposto nel tempo e/o nello spazio, perde il suo potere di attrarre una mente interpretante, diventa così un’entità
non semiotica, morta. Dalla prospettiva della semiotica di Peirce il segno-testo è caratterizzato da semiosi infinita ed illimitata, dal processo in atto di crescita attraverso l’interpretazione. Ciò che mantiene vivo il segno-testo è precisamente il fatto che questi suscita ripetutamente un interpretante, e che questi interpretanti (e gli interpretanti degli interpretanti) non sono soltanto entità governate da regole ma anche, virtualmente o realmente, nuove attività che cambiano e creano le regole.
E’ evidente che per Peirce un testo scritto è un segno verbale complesso che presenta le proprietà basilari comuni della segnità semiotica. Sfortunatamente la portata della sua teoria per la semiotica testuale, la testologia di Peirce, richiederà una qualche estrapolazione interpretativa. Vi arriveremo fra breve. Ma prima dobbiamo assicurarci che dalle argomentazioni appena esposte sia chiaro quanto segue: una semiotica testuale fondata sulle teorie di Peirce deve essere spiccatamente diversa dalle altre teorie testuali basate su teorie segniche, in particolare da quelle fondate sulle teorie testuali di Saussure. In contrapposizione alla semiologia francese, che pone l’enfasi sulla produzione testuale, la semiotica pragmatica nella tradizione peirceiana procede nella direzione opposta, manifestandosi innanzitutto come una teoria dell’interpretazione segnica. Il segno, così come concepito da Peirce, non è, in contrapposizione al suo omologo semiologico, definito in termini di un enunciatore e/o interprete, bensì in termini delle sue relazioni dinamiche, sia convenzionali che nuove. Attraverso la semiosi il segno dispiega il suo significato, che perciò è pienamente conoscibile a livello ideale, se non altro in un qualche ipotetico futuro oggi irraggiungibile. L’azione e l’interpretazione segniche non sono necessariamente determinate da un enunciatore umano né da un interprete. La semiosi di Peirce è azione triadica autogenerantesi. Come tutti i segni semiotici il segno-testo è un’azione vivente che cerca attivamente di realizzarsi attraverso una qualche mente interpretante piuttosto che attendere passivamente di essere realizzato da essa, come nel caso della semiotica linguistica. Una ragione per cui un concetto peirceiano di testo, e dunque una semiotica testuale di Peirce, possono inizialmente sembrare fantasiosi è che sminuiscono l’importanza del lettore/interprete. In una teoria testuale semiologica il lettore/interprete è

customarily looked upon as the sole discourse-producing subject, as the agency that gives the text-sign its meaning by matching signifier with signified. A pragmatic, Peircean paradigm, emcompasses the presence of an interpreter, which is somehow subsumed but at the same time deemphasizes it. Apparently, Peirce did not have in mind one single person or not even one specific mind, but in an abstract way any receptive organism capable of generating textual interpretants. Peirce called this an intelligent “quasi-mind.” As Peirce wrote, semiosis “not only happens in the cortex of the human brain, but must plainly happen in every Quasi-mind in which Signs of all kinds have a vitality of their own” (NEM: 4: 318, c.1906); and a “quasi-¬interpreter” is one example of such a “quasi-mind” (CP: 4.51, 1906)23.
Peirce did therefore not include the interpreter as a fourth component of semiosis, in addition to the interpretant. This is not to say that Peirce did not acknowledge the existence of the interpreter, because he did in fact refer to an interpreter occasionally – e.g., in his often-cited definition of a sign as “something which stands to somebody for something in some respect or capacity. It addresses somebody, that is, creates in the mind of that person an equivalent sign, or perhaps a more developed sign” (CP: 2.228, c. 1897).
On the whole, however, Peirce seems to indicate that the meaning of the text-¬sign must be logically conceived as relatively independent from the reader/interpreter and that it transpires wholly in an endless series of individual semiosic events. As will be argued and documented in the following, this proposition provides a new and fruitful perspective on the phenomenon of text, one which undercuts subjective signification and elevates semiotic textology to the plane of intersubjective and objective inquiry. thereby enhancing, not restraining, its creative component.

tradizionalmente considerato il solo soggetto in grado di produrre il discorso, l’azione che conferisce al segno-testo il suo significato collegando signifiant e signifié. Un paradigma pragmatico peirceiano comprende la presenza di un interprete, che è in qualche modo implicita, ma che al contempo lo ridimensiona. Sembra che Peirce non avesse in mente una singola persona né tantomeno una mente specifica, ma in modo astratto qualunque organismo ricettivo in grado di generare interpretanti testuali. Peirce lo chiamava «quasi-mente». Come Peirce scrisse la semiosi «non solo si verifica nella corteccia cerebrale umana ma deve evidentemente verificarsi in ogni Quasi-mente in cui i Segni di tutti i tipi abbiano una propria vitalità» (NEM: 4: 318, c.1906); e un «quasi-interprete» è un esempio di tale «quasi-mente» (CP: 4.51, 1906)23.
Pertanto Peirce non includeva l’interprete come quarto componente della semiosi in aggiunta all’interpretante. Con ciò non si intende dire che Peirce non riconoscesse l’esistenza dell’interprete, poiché anzi occasionalmente si riferì ad un interprete – ad esempio nella sua definizione spesso citata di segno come «qualcosa che sta secondo qualcuno per qualcosa sotto qualche aspetto o in qualche capacità. Si rivolge a qualcuno, ossia, crea nella mente di quella persona un segno equivalente, o forse un segno più sviluppato» (CP: 2.228, c.1897).
Nel complesso, comunque, Peirce sembra indicare che il significato del segno-testo debba essere logicamente concepito come relativamente indipendente dal lettore/interprete e che si manifesti interamente in una serie infinita di eventi semiotici individuali. Come verrà argomentato e documentato più avanti, questa affermazione fornisce una nuova e feconda prospettiva sul fenomeno del «testo», una prospettiva che insidia la significazione soggettiva ed eleva la testologia semiotica al piano dell’indagine intersoggettiva e oggettiva, dunque valorizzando, e non reprimendo, la sua componente creativa.

Notes

17 Some random examples from Peirce: “We shall undoubtedly naturally conclude that the publication of Andronicus would be of Opera Inedita, including all works of which a decidedly new recension was found; but naturally of Aristotle’s polished and finished productions no such text would be found” (CP: 7.235), where text refers to Aristotle’s classical writings. But we find text used in a different, modernized sense in a letter to his friend William James, where Peirce wrote “I refer to you particularly to p. 301 et seq. I will quote a few phrases, though of course it is the continuous text that talks,” with text signifying a scholarly paper that Peirce had written earlier. See, particularly, text in Peirce’s review-articles for The Nation, where he referred, for example, to “the illustrations, which are wood-cuts in the text” (CTN: 2: 62, 1894); “there was a date, 10 Nov. 1619, in the text, and 11 Nov. 1620, in the margin” (CTN: 2: 93, 1889); “its pages were filled with solid text” (CTN: 2: 197, 1899); “The text occupies less than six hundred pages” (CTN: 2: 265, 1900); “a text of half a million words” (CTN: 3: 34, 1901); “the Appendix to the book … fills more than half again as many pages as the body of the text” (CTN: 3: 62, 1890); “Heiberg prints for the first time the Greek text of Anatolius on the first ten numbers” (CTN: 3: 87, 1902). Some examples from Peirce’s other works: “End of footnote” is immediately followed by “Text resumed” (MS 646: 8, 1910); and apropos of an opera Peirce remarked: “The business of the composer was to invent ‘beautiful melodies.’ The text that was written below it was a secondary affair. Music and words were yuxtaposed, as it were” (MS 1517: 31, 1896). The latter quote is from Peirce’s translation of William Hirsch’s Genius and Degeneration, and Peirce’s use of the word text here is evidently a transposition of the original German Text; on Peirce as translator, see Gorlée (1996). Consider also the following passage: “I hold that it is necessary to make an emendation to the text of the 25th chapter of the Second Prior Analytics …” (MS 318: 187, 1907), where Peirce also used text in the sense of “words.” In this connection it is interesting to note the following quote: “… if we take a piece of blank paper, and form the resolve to write upon it some part of what we think about some real or imaginary condition of things, then, that resolve being made and the whole sheet (called the […] ) having been devoted to that purpose exclusively, …” (MS 678: 42, 1910; blank space and emphasis in Peirce’s handwritten original). To fill the blank space in the parentheses, Peirce could perhaps have been looking for the word “text”, or an equivalent.

18 Pharies notes that “Peirce’s definition of the term as anything capable of standing for something else is so broad that it includes many things that would not normally qualify for the term in everyday English (tokens, marks, badges, signals, ciphers

Note

17 Alcuni esempi a caso tratti da Peirce:«Senza dubbio dovremmo naturalmente concludere che la pubblicazione di Andronico sarebbe un’Opera Inedita che comprende tutte le opere delle quali è stata rinvenuta una recensione decisamente nuova; ma naturalmente delle produzioni perfette e complete di Aristotele un testo tale non è stato trovato» (CP: 7.235), dove «testo» si riferisce agli scritti aristotelici classici. Ma troviamo «testo» usato in un’accezione diversa, moderna in una lettera all’amico William James, in cui Peirce scrisse:«Mi riferisco a te in particolar modo a p. 301 e seguenti. Citerò alcune frasi, anche se certamente è il testo continuo che parla», dove «testo» indica un saggio dotto scritto in precedenza da Peirce . Si veda, in particolare, «testo» nelle recensioni di Peirce per The Nation, in cui egli fa riferimento, ad esempio, alle «illustrazioni, che sono delle xilografie nel testo» (CTN: 2: 62, 1894); «c’era una data, il 10 novembre 1619, nel testo, ma 11 novembre 1620 a margine» (CTN 2: 93, 1889); «le sue pagine erano piene di testo continuo» (CTN : 2: 197, 1899); «Il testo occupa meno di 600 pagine» (CTN: 2: 265, 1900); «un testo di mezzo milione di parole» (CTN: 3: 34, 1901); «l’Appendice al libro […] occupa ben più della metà delle pagine del corpo del testo» (CTN: 3: 62, 1890); «Heiberg stampa per la prima volta il testo greco di Anatolio sui primi dieci numeri» (CTN: 3: 87, 1902). Alcuni esempi tratti da altre opere di Peirce:«Fine della nota a piè di pagina» è immediatamente seguito da «riprende il Testo» (MS 646: 8, 1910); e a proposito di un’opera lirica Peirce fece notare:«Il compito del compositore era di inventare delle “belle melodie”. Il testo scritto sotto era una questione secondaria. Musica e parole erano, per così dire, giustapposte» (MS 1517: 31, 1896). L’ultima citazione è tratta dalla traduzione peirceiana di Genius und Degeneration di William Hirsch e l’uso che Peirce fa della parola «testo» è qui evidentemente una trasposizione dell’originale tedesco Text; su Peirce traduttore si veda Gorlée (1996). Si consideri anche il seguente passo:«Ritengo necessaria una revisione del testo del venticinquesimo capitolo di Second Prior Analytics […]» (MS 318: 187, 1907), in cui Peirce usò «testo» anche in senso di «parole». A questo proposito è interessante notare la seguente citazione:«[…] se prendiamo un pezzo di carta bianca, e decidiamo di scrivere su di essa qualche parte di ciò che pensiamo su un qualche stato delle cose reale o immaginario, allora, essendo stata presa questa decisione ed avendo destinato l’intero foglio (chiamato […]) esclusivamente a quello scopo, […]» (MS 678: 42, 1910; spazio bianco e corsivo come da manoscritto originale di Peirce). Per riempire lo spazio bianco nella parentesi, Peirce potrebbe aver cercato la parola «testo» o un suo equivalente.

18 Pharies nota che «la definizione peirceiana del termine come qualsiasi cosa capace di stare per qualcos’altro è così ampia da includere molte cose che normalmente non avrebbero a che vedere con questo termine nell’inglese di tutti i giorni (contrassegno, contromarche, distintivi, segnali, cifre,

symbols; objects, animals, persons; propositions, arguments, sentences, paragraphs, books; mountains, seas, planets, stars, galaxies, universes), although it would be possible to say, for example, that a robin on the lawn is a sign of approaching spring, that a book is a sign of the author’s labors, or that a galaxy is a sign that the laws of physics continue to operate” (Pharies 1985:14).

20 In his monograph on Charles S Peirce and the Linguistic Sign, Pharies takes the linguistic sign only in the narrowest sense: “Peirce would use it to refer to any linguistic representation, including words, sentences, conversations, even whole books. I am employing it in the sense that has become traditional in linguistic literature, namely, that is ‘word'” (Pharies 1985: 9, n.7).

21 In July of 1905, Peirce wrote the following to Lady Welby, in a draft of a letter which was never sent to his correspondent: “The dictionary is rich in words waiting to receive technical definitions as varieties of signs” (PW: 194, 1905). His long list includes many instances of verbal communication, spoken and/or written: “Then we have mark, note, trait, manifestation, ostent, show, species, appearance, vision, shade, spectre, phase. Then, copy, portraiture, figure, diagram, icon, picture, mimicry, echo. Then, gnomon, clue, trail, vestige, indice, evidence, symptom, trace. Then, muniment, monument, keepsake, memento, souvenir, cue. Then, symbol, term, category, stile, character, emblem, badge. Then, record, datum, voucher, warrant diagnostic. Then, key, hint, omen, oracle, prognostic. Then, decree, command order, law. Then, oath, vow, promise, contract, deed. Then, theme, thesis, proposition, premiss, postulate, prophecy Then, prayer, bidding, collect, homily, litany, sermon. Then, revelation, disclosure, narration, relation. Then, testimony, witnessing, attestation, avouching, martyrdom. Then, talk palaver, jargon, chat, parley, colloquy, tittle-tattle, etc.” (PW: 194, 1905). Regrettably, the rest of this text, which possibly contained Peirce’s comments on the catalogue, did not survive.

22 Habit (and following items discussed here) will be further developed in the last chapter on fallibilism.

23 Quasi-mind and its associates are developed in the last chapter on fallibilism.

simboli; oggetti, animali, individui; proposizioni, argomenti, frasi, paragrafi, libri; montagne, mari, pianeti, stelle, galassie, universi), sebbene sia possibile dire, ad esempio, che un pettirosso sul prato è segno che la primavera si avvicina, che un libro è segno delle fatiche di un autore, o che una galassia è segno che le leggi della fisica continuano ad operare» (Pharies 1985:14).

20 Nella sua monografia Charles S. Peirce and the Linguistic Sign Pharies prende il segno linguistico solo in senso stretto:«Peirce lo userebbe per riferirsi a qualsiasi rappresentazione linguistica, incluse le parole, i periodi, le conversazioni e persino interi libri. Io lo utilizzo nel senso divenuto tradizionale nelle pubblicazioni linguistiche, ovvero nel senso di “parola”»(Pharies 1985: 9, n.7).

21 Nel luglio 1905 Peirce scrisse quanto segue a Lady Welby, in una bozza di una lettera mai inviata alla sua corrispondente:«Il dizionario è ricco di parole che attendono di ricevere definizioni tecniche come varietà di segni» (PW: 194, 1905). La sua lunga lista include molti esempi di comunicazione verbale, parlata e/o scritta:«Poi abbiamo marchio, nota, tratto, manifestazione, espressione, spettacolo, specie, apparenza, visione, ombra, spettro, fase. Poi copia, il ritrarre, figura, diagramma, icona, immagine, mimica, eco. Poi gnomone, indizio, vestigio, indice, evidenza, sintomo, traccia. Poi prova, monumento, ricordo, memento, souvenir, indizio. Poi simbolo, termine, categoria, stile, carattere, emblema, distintivo. Poi registrazione, data, voucher, mandato, sintomo. Poi chiave, allusione, presagio, oracolo, previsione. Poi decreto, comando, ordine, legge. Poi giuramento, voto, promessa, contratto, atto. Poi tema, tesi, proposizione, premessa, postulato, profezia. Poi preghiera, raccoglimento, omelia, litania, sermone. Poi rivelazione, divulgazione, narrazione, relazione. Poi deposizione, testimonianza, attestazione, garanzia, martirio. Poi conversazione, discussione, gergo, chiacchierata, negoziato, colloquio, pettegolezzo, ecc…» (PW; 194, 1905). Sfortunatamente il resto del testo, che probabilmente conteneva i commenti di Peirce su quest’elenco, non è sopravvissuto.

22 L’abitudine (e i punti discussi qui) verranno approfonditi nell’ultimo capitolo sul fallibilismo.

23 La Quasi-mente e i temi ad essa associati verranno sviluppati nell’ultimo capitolo sul fallibilismo.

Riferimenti bibliografici

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KEMERLING G. A dictionary of Philosophical Terms and Names, 1197-2002. Disponibile dal world wide web:

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OSIMO B. Propedeutica della traduzione. Corso introduttivo con tavole sinottiche, Milano, Hoepli, 2001.

OSIMO B. Storia della traduzione. Riflessioni sul linguaggio traduttivo dall’antichità ai contemporanei, Milano, Hoepli, 2002

THAYER H.S. Pragmatism. Disponibile dal world wide web:

Codice verbale e codice visivo: problemi di traducibilità del medium fumetto.

Codice verbale e codice visivo:
problemi di traducibilità del medium fumetto.
VALERIA SANNA
Scuole Civiche di Milano
Fondazione di partecipazione
Dipartimento di Lingue
Scuola Superiore per Mediatori Linguistici
via Alex Visconti, 18 20151 MILANO
Relatore: prof. Bruno OSIMO
Diploma in Scienze della Mediazione Linguistica
inverno 2005© Valeria Sanna ABSTRACT IN ITALIANO
I fumetti rientrano nei testi multimediali, essendo costituiti da due diversi tipi di
codice: verbale e visivo. La stretta interrelazione tra i due codici comporta non
poche difficoltà traduttive. Questa tesi illustra gli elementi costituitivi del medium
fumetto e i relativi problemi di traducibilità. Particolare attenzione viene posta al
codice visivo: se da un lato l’immagine è utile al traduttore nella comprensione
del testo, dall’altro costituisce un vincolo molto forte. Il traduttore ha scarsa
possibilità di intervento sugli elementi grafici, deve attenervisi per quanto riguarda
lo spazio a disposizione e la traduzione dei ”pun visivi”: giochi di parole legati
all’immagine. Oltre ai problemi derivanti dalla presenza dell’immagine, vi sono
quelli legati alla cultura emittente, come i giochi di parole e le onomatopee,
l’ironia e i rimandi intertestuali all’attualità. Dopo aver esaminato i vari problemi di
traducibilità del medium fumetto, vengono presentate per ciascuno soluzioni
adottate da traduttori, spesso influenzate dal lettore modello.
ENGLISH ABSTRACT
Comics fall into the category of multimedial texts since they are made up of two
different kinds of code: the verbal code and the visual code. The close
interrelation between the two codes implies many translatability problems. This
dissertation illustrates the components of the comics medium and the
corresponding translation problems. Emphasis is placed on the visual code: on
the one hand the picture helps the translator to understand the text, but on the
other hand it represents a strong constraint. The translator has got limited
possibility to alter the graphic elements; he or she has to stick to them as far as
the available space and the translation of visual puns are concerned. In addition
to the problems related to the picture, there are problems related to the source
culture, such as puns, onomatopoeia, humour and intertextual references to
current issues. After a discussion of the translatability problems of the comics
medium, the solutions adopted by translators are presented, which are often
conditioned by the model reader.
DEUTSCHER ABZUG
Comics gehören zu den multimedialen Texten, weil sie aus zwei verschiedenen
Codes bestehen: dem verbalen Code und dem visuellen Code. Die enge
Wechselbeziehung zwischen den Codes verursacht zahlreiche
Übersetzungsschwierigkeiten. Diese Diplomarbeit illustriert die Bestandteile des
Mediums Comics und die damit verbundenen Probleme der Übersetzbarkeit.
Besonderes Augenmerk wird dabei auf den visuellen Code gerichtet: einerseits
kann das Bild nützlich für den Übersetzer sein, da es ihm beim Verständnis des
Textes helfen kann, andererseits stellt es eine strenge Einschränkung dar. Der
Übersetzer hat eine begrenzte Anzahl an Möglichkeiten, die visuellen Elemente
zu verändern. Er muss sich sowohl bei der Übersetzung visueller Wortspiele als
auch im Rahmen des verfügbaren Platzes an diese Elemente halten. Zusätzlich
zu den vom Bildelement verursachten Problemen gibt es auch Probleme, die mit
der Ausgangskultur verbunden sind, wie zum Beispiel Wortspiele und
Onomatopöie, Humor und intertextuelle Bezüge zu aktuellen Themen. Nach einer
Betrachtung der verschiedenen Probleme der Übersetzbarkeit werden die oft
vom Modell-Leser beeinflussten Übersetzungslösungen vorgestellt. A mia nonna Anna,
che purtroppo non può essere presente.
Ai miei nonni Franca e Guido,
che fortunatamente sono ancora al mio
fianco. Sommario
Introduzione
1. Il fumetto……………………………………………………………………………………… . 1
1.1 Fumetti e traduzione…………………………………………………………………. . 1
1.2 Traduzione e residuo………………………………………………………………… . 4
1.3 Traduzione e segni…………………………………………………………………… . 6
1.4 Fumetto e multimedialità……………………………………………………………. . 9
1.4.1 L’immagine………………………………………………………………………… 9
1.4.2 Il balloon………………………………………………………………………….. 10
1.4.3 Le didascalie……………………………………………………………………. 12
1.4.4 Onomatopee e suoni inarticolati………………………………………….. 13
1.4.5 Metafore visualizzate e simboli grafici………………………………….. 15
1.4.6 Il testo……………………………………………………………………………… 16
2. La traducibilità…………………………………………………………………………….. 18
2.1 L’immagine……………………………………………………………………………… 18
2.1.1 I balloon…………………………………………………………………………… 18
2.1.2 Il testo……………………………………………………………………………… 19
2.1.3 Le onomatopee………………………………………………………………… 21
2.1.4 Il titolo……………………………………………………………………………… 23
2.1.5 I «Pun»……………………………………………………………………………. 23
2.2 I problemi linguistici…………………………………………………………………. 26
2.2.1 La lingua dei fumetti………………………………………………………….. 26
2.2.2 Le onomatopee………………………………………………………………… 27
2.2.3 I pun e l’ironia…………………………………………………………………… 28
2.3 I problemi culturali……………………………………………………………………. 30
2.3.1 Humor e ironia………………………………………………………………….. 30
2.3.2 L’attualità…………………………………………………………………………. 33
2.3.3 Le metafore visualizzate……………………………………………………. 34
2.3.4 I rimandi intertestuali…………………………………………………………. 35
2.3.5 Il lettore modello……………………………………………………………….. 36
3. Soluzioni pratiche………….. ………… ………………………………………………. 38
3.1 L’immagine…………………………………………………………………………….. 38
3.1.1 I balloon………………………………………………………………………….. 38
3.1.2 Il testo…………………………………………………………………………….. 41
3.1.3 Le onomatopee………………………………………………………………… 43
3.1.4 Il titolo…………………………………………………………………………….. 45
3.1.5 I «Pun»…………………………………………………………………………… 47 3.2 I problemi linguistici…………………………………………………………………. 50
3.2.1 La lingua dei fumetti………………………………………………………….. 50
3.2.2 Le onomatopee………………………………………………………………… 50
3.2.3 I pun e l’ironia………………………………………………………………….. 51
3.3 I problemi culturali…………………………………………………………………… 55
3.3.1 Humor e ironia…………………………………………………………………. 55
3.3.2 L’attualità………………………………………………………………………… 57
3.3.3 Le metafore visualizzate……………………………………………………. 58
3.3.4 I rimandi intertestuali…………………………………………………………. 58
3.3.5 Il lettore modello……………………………………………………………….. 60
Conclusione…………………………………………………………………………………… 62
Ringraziamenti……………………………………………………………………………….. 63
Elenco delle illustrazioni…………………………………………………………………. 64
Riferimenti bibliografici…………………………………………………………………… 66Introduzione
I fumetti sono particolari tipi di testo costituiti da immagini e parole, due
diversi tipi di codice; per questa loro caratteristica possono essere considerati
testi multimediali.
Lo stretto legame tra i due tipi di codice comporta non poche difficoltà in
ambito traduttivo, ed è proprio per questo motivo che ho deciso di
approfondire questo argomento: quando si ha il compito di tradurre un
fumetto occorre avere un particolare approccio al testo. Tradurre fumetti è
un’operazione che ben si differenzia dalla traduzione di altre opere di
narrativa all’interno delle quali, qualora presenti, le immagini non hanno
funzione narrativa ma illustrativa. Quando si traducono fumetti, invece, il
traduttore deve tenere anche conto dell’espressività del codice visivo, alla
quale molto spesso è strettamente legato il codice verbale.
Questa tesi vuole analizzare il medium fumetto descrivendone gli elementi
costitutivi, ed esporre i problemi di traducibilità ad essi legati, problemi ai quali
si cercherà di illustrare le soluzioni adottate da traduttori di fumetti.
Nel primo capitolo, Il fumetto, dopo aver introdotto il discorso della traduzione,
soffermandomi sul concetto di residuo traduttivo, descriverò tutti gli elementi
caratteristici dei fumetti, quali immagini, balloon, didascalie, onomatopee,
metafore visualizzate e testo: elementi che fanno di un fumetto un testo
multimediale.
Il secondo capitolo, Traducibilità, è dedicato ai problemi di traducibilità che si
possono incontrare nel lavoro di traduzione di un fumetto. I principali problemi
sono causati dallo stretto legame tra testo e immagine: gli elementi grafici non
pongono soltanto un limite di tipo spaziale, comportano spesso anche
problemi nella traduzione di giochi di parole. I giochi di parole sono spesso
strettamente dipendenti dall’immagine e, in molti casi, è particolarmente
difficile trovare un’espressione nella lingua ricevente che mantenga lo stesso
riferimento all’immagine. Gli elementi grafici non sono gli unici elementi a
costituire un problema per il traduttore di fumetti; sono altrettanto frequenti,
infatti, ostacoli di tipo linguistico e culturale. Il terzo capitolo, Soluzioni pratiche, si sviluppa in maniera simmetrica al
secondo. In questo ultimo capitolo fornirò alcune soluzioni che si possono
adottare quando si incontrano i problemi esaminati nel capitolo precedente. A
sostegno delle soluzioni presentate riporterò degli esempi grafici tratti da
fumetti differenti tra cui Calvin & Hobbes, Il Corvo, e L’uomo Ragno. 1. Il fumetto
1.1 Fumetti e traduzione
I fumetti stanno ottenendo sempre più riconoscimenti da parte della nostra
società e conquistando il gusto del pubblico, ritagliandosi un proprio spazio
all’interno del mercato editoriale; nonostante questo, ben poche persone
riescono a dare una definizione soddisfacente alla parola «fumetto».
Aprendo un vocabolario enciclopedico della lingua italiana, alla voce
«fumetto» si può leggere:
Termine (equivalente all’inglese balloon) con cui
si designa la nuvoletta, dai contorni generalmente
frastagliati o arrotondati, contenente frasi o
battute di dialogo attribuite (per lo più facendole
uscire come fumo dalla loro bocca) a ciascuno dei
personaggi raffigurati in disegni singoli o in
sequenze di disegni. Il termine è anche stato
usato, soprattutto al plur., per indicare i disegni
stessi e le loro sequenze, cui sono dedicate
spesso intere pubblicazioni periodiche […]
1
.
Oggetto di questo documento è analizzare il processo di traduzione di un
fumetto, mettendo in evidenza i problemi che si possono riscontrare. Per aver
chiaro ciò di cui sto parlando, è bene precisare cosa si intende per
«traduzione» e, nel nostro caso, cosa si intende anche per «traduzione
interlinguistica», «traduzione intersemiotica» e «traduzione multimediale».
Nello stesso vocabolario, alla voce «traduzione» troviamo la seguente
definizione:

1
Vocabolario della lingua italiana, 1987. 2
L’azione, l’operazione e l’attività di tradurre da
una lingua in un’altra un testo scritto o anche
orale. […] La tecnica di tradurre, il modo in cui un
testo è tradotto […]
2
.
Nel caso particolare dei fumetti il processo di traduzione può essere ancora
più complicato, data la multimedialità che li caratterizza; i fumetti, infatti,
«sfruttano due sistemi di comunicazione assolutamente fondamentali, le
parole e le immagini»
3
.
Come spiega Gianni Brunoro nel suo Comicslexicon, «nei fumetti l’azione
viene raccontata tramite immagini e testi che si integrano reciprocamente e
costituenti singole unità, dette vignette, a loro volta disposte in sequenza»
4
.
Questa interdipendenza tra parole ed immagini può rappresentare un grosso
ostacolo in fase di traduzione, come vedremo più avanti.
Il traduttore che si cimenta nella traduzione di fumetti prima di tutto deve aver
ben chiaro che potrà imbattersi in diverse tipologie di traduzione. Jakobson,
nel suo saggio On Linguistic Aspects of Translation, definisce tre forme di
traduzione: «traduzione intralinguistica» o «riformulazione», «traduzione
interlinguistica» o «traduzione propriamente detta», e «traduzione
intersemiotica» o «trasmutazione»
5
.
La «traduzione intralinguistica», conosciuta meglio con il nome di «parafrasi»,
consiste, secondo l’autore, nella «interpretazione di segni verbali per mezzo
di altri segni della stessa lingua»
6
.
Per «traduzione interlinguistica» invece si intende la traduzione più comune,
quella che rappresenta il passaggio da una lingua ad una differente; è quella
che Jakobson definisce «l’interpretazione dei segni linguistici per mezzo di
qualsiasi altra lingua»
7
. Secondo lui questa traduzione è una forma di

2
Vocabolario della lingua italiana, 1987.
3
Eisner 2005:15.
4
Brunoro 1994.
5
«Intralingual translation or rewording», «interlingual translation or translation proper»,
«intersemiotic translation or transmutation» Jakobson 1996:429.
6
«Intralingual translation or rewording is an interpretation of verbal signs by means of other
signs of the same language». Jakobson 1996:429.
7
«Interlingual translation or translation proper is an interpretation of verbal signs by means of
some other language». Jakobson 1996:429. 3
discorso indiretto: il traduttore ricodifica e ritrasmette un messaggio ricevuto
da un’altra fonte; così la traduzione implica due messaggi equivalenti in due
codici diversi.
Infine, per «traduzione intersemiotica» o «trasmutazione», si intende
«l’interpretazione di segni linguistici per mezzo di segni di un sistema segnico
non verbale»
8
. In questo caso avviene un passaggio da un tipo di codice ad
un altro: il tipo di codice del prototesto è differente da quello del metatesto: ne
sono un esempio le “traduzioni” filmiche di un romanzo o la rappresentazione
visiva (ad esempio tramite un dipinto) di una poesia.

8
«Intersemiotic translation or transmutation is an interpretation of verbal signs by means of
signs of nonverbal sign systems». Jakobson 1996:429. 4
1.2 Traduzione e residuo
In qualsiasi forma di comunicazione si verifica una perdita, a maggior ragione
nel caso di una traduzione interlinguistica dove è impossibile riportare
interamente il messaggio originale nel metatesto.
È impossibile capire tutto ciò che un autore vuole
trasmettere con il suo testo, ed è impossibile
trasporre tutto ciò che si è capito in altra lingua,
lasciando al lettore le stesse possibilità di
comprensione/incomprensione e interpretazione
presenti nell’originale. Si ha comunque un
residuo. L’importante è tenerne conto. (Osimo
2005:40)
Il traduttore deve individuare la dominante nel testo che deve tradurre (a
seconda del lettore modello che si è prefissato) e cercare di recuperare le
porzioni non tradotte (ovvero le sottodominanti) e le porzioni di testo
intraducibili, appoggiandosi ad un apparato metatestuale (note a piè di
pagina, introduzioni, prefazioni, postfazioni, glossari…).
In traduzione il «residuo» è determinato da un inevitabile cambiamento di
contesto. Il traduttologo slovacco Anton Popovič individua i due principali
fattori che portano alla creazione di un residuo traduttivo: fattore temporale e
fattore culturale
9
.
Il fattore temporale riguarda i traduttori che non traducono opere
contemporanee: in ambito di traduzione, devono effettuare una scelta
riguardante il tipo di orientamento che intendono seguire: conservativo e
storicizzante, o modernizzante.
Nel primo caso occorre inserire tutte le informazioni indispensabili alla
comprensione dell’opera in un metatesto in cui vengono spiegati i termini

9
Osimo 2000-2004 parte 4, capitolo 7. 5
ormai caduti in disuso e relativi al periodo storico in questione, in modo da
coprire la distanza cronotopica. Nel secondo caso, invece, «i riferimenti
cronologici al periodo del prototesto vengono modificati e adattati al periodo
del metatesto, per renderli omologabili al presente del lettore»
10
Il fattore culturale si presenta inoltre ogni qualvolta si traduca un’opera da una
lingua in un’altra. Effettuando una traduzione interlinguistica, infatti, non
bisogna soltanto trasporre un messaggio da una lingua A ad una lingua B, ma
va assunto il ruolo di “mediatori culturali”, in modo che il lettore del metatesto
arricchisca il suo bagaglio culturale venendo a conoscenza di informazioni
sulla cultura di appartenenza del prototesto. Quindi, anche in questo caso si
presenta la necessità di ricorrere ad un metatesto (inteso come paratesto) per
coprire la distanza culturale.
Vedremo in seguito come ci si può comportare se si ha un residuo mentre si
traduce un’opera a fumetti.

10
Osimo 2000-2004 parte 2, capitolo 30. 6
1.3 Traduzione e segni
Charles Sanders Peirce, fondatore della moderna semiotica, utilizza il termine
«traduzione» con un’accezione molto più ampia. Non si riferisce né alla
traduzione intralinguistica né a quella interlinguistica, e neppure a quella
intersemiotica, bensì all’«estrapolazione del significato dalle cose»
11
.
Secondo Peirce il processo di significazione è di per sé un atto di traduzione,
per lui il significato è quindi una «traduzione di un segno in un altro sistema di
segni»
12
. Per lo studioso, il segno (o representamen) è qualcosa che sta per
qualcosa d’altro per qualcuno, o, per essere più chiari, «un segno (per
esempio una parola) non rimanda direttamente all’oggetto che vuole
significare: tale riferimento è mediato dalla mente della persona che sta
codificando il segno stesso attraverso un interpretante (o segno mentale del
riferimento)»
13
.
Il significato di un segno viene quindi tradotto mediante un interpretante.
L’interpretante è un segno mentale che funge da mediazione tra «segno» e
«oggetto», e perciò può essere anche definito «traducente»; senza
interpretante non ci sarebbe alcun segno.
Figura 1.1: la triade principale di Peirce
Peirce individua inoltre tre tipi di segni: le icone, gli indici e i simboli.

11
Osimo 2000-2004 parte 2, capitolo 18.
12
Eco 2004:227.
13
Osimo 2005:12. 7
ICONA
Dal greco eikon «riproduzione», l’icona è un segno che somiglia all’oggetto
che intende rappresentare; esiste una somiglianza tra segno e oggetto
basata su una riproduzione visiva, uditiva o altrimenti percettiva. Un segno
iconico è quindi in qualche modo simile alla cosa che rappresenta.
L’icona è allora un segno non convenzionale e si basa su un rapporto di
somiglianza che deve essere stabilito dall’osservatore.
Sono esempi di «icona» i ritratti, i quadri, ma anche le onomatopee (segni
iconici del linguaggio: simulano i loro referenti in modo acustico).
Le icone si possono dividere inoltre in tre sottoclassi (immagini, diagrammi,
metafore) a seconda del rapporto iconico che esiste tra interpretato e
interpretante. Nelle immagini si ha una somiglianza complessiva e diretta; nei
diagrammi la somiglianza riguarda la relazione tra le parti interessate; nelle
metafore, infine, viene rappresentato un parallelismo.
INDICE
Dal latino index («dito che indica»), l’indice si riferisce a qualcosa che si trova
nelle immediate vicinanze. Un segno indessicale permette di inferire l’oggetto
che rappresenta, a differenza dell’icona non somiglia al suo referente, “indica”
invece dove è: il legame con l’oggetto si fonda su una prossimità spaziale e/o
temporale, e la relazione tra segno e oggetto è basata sulla contiguità e/o
sulla casualità.
Sono esempi di «indice» un cartello stradale rivolto in direzione della città più
vicina, il dito puntato, o anche il fumo che rimanda alla presenza di fuoco.
SIMBOLO
Dal greco symbolon («segno di riconoscimento»), i segni simbolici sono segni
convenzionali e arbitrari stabiliti per semplificare la comunicazione. Non c’è in
questo caso un legame naturale tra forma del segno e significato, il legame è
invece di tipo convenzionale: il segno si riferisce al suo oggetto solo per
convenzione. 8
Un esempio di «simbolo» è rappresentato dal cartello stradale “dare la
precedenza”: la forma del cartello (un triangolo “rovesciato”) non ha nessun
collegamento con quello che vuole significare: l’associazione è stata creata
allo scopo di comunicare pensieri astratti.
Il «simbolo» peirciano si avvicina perciò molto al concetto di «segno»
saussuriano. Secondo Saussure il segno è costituito da un «significante»
(una cosa fisica: suoni, lettere, gesti…) e da un «significato» (il concetto o
l’immagine a cui il significante fa riferimento); il semiologo definisce la
relazione tra i due termini «significazione»: una relazione arbitraria stabilita
dagli esseri umani al fine di comunicare
14
.
Figura 1.2: il rapporto tra forma e significato nei tre tipi di segno peirciano
Secondo quanto ho affermato, i libri e, a maggior ragione, i fumetti possono
essere considerati dei “sistemi multimediali”, in quanto contengono simboli e
icone: i termini linguistici sono accompagnati da immagini, ovvero elementi
iconografici.

14
Sebeok 2003:53. 9
1.4 Fumetto e multimedialità
Utilizzare l’esempio dei fumetti in un testo che parla di traduzione costituisce
una scelta ottimale, poiché offrono numerosi spunti di riflessione per
un’analisi delle difficoltà traduttologiche. I fumetti rientrano in quella categoria
di testi che dal punto di vista semiotico possono essere considerati
«multimediali», dal momento che, oltre che dalla lingua parlata, sono costituiti
da diversi «media», come le immagini e i simboli grafici
15
.
Immagine e testo sono elementi che appartengono a due codici differenti:
verbale e visivo. Questi codici sono spesso strettamente interdipendenti e si
completano e determinano reciprocamente; come vedremo più avanti, in fase
di traduzione questo forte legame tra i due codici può offrire un supporto al
traduttore, ma anche un vincolo problematico: a questo proposito Federico
Zanettin parla di “medium-constrained translation”
16
.
1.4.1 L’immagine
Quando si sfoglia un albo a fumetti, la prima cosa che balza all’occhio è, in
genere, l’immagine.
L’immagine di un fumetto, ovvero una vignetta separata dal contesto e dal
balloon, si distingue da un’illustrazione per una funzione differente: la prima
ha una funzione narrativa e non può essere eliminata in quanto parte
integrante della storia che si sta leggendo; la seconda arricchisce il testo
narrativo, lo decora, ma non racconta nulla, bensì commenta.
La diversa funzione attribuita a questi due tipi di codici visivi si ripercuote sulla
loro estetica: l’immagine di un fumetto è generalmente essenziale, dal

13
«[…]auch in schriftlicher Kommunikation gibt es eine Reihe von Text-sorten, die –
semiotisch gesehen – als multimedial zu bezeichnen sind, da an ihrer Konstitution mehrere
Medien beteiligt sind, außer dem Medium Schriftsprache z.B. Bilder oder graphische Symbole.
In diesel Bereich gehören die „Comic strips”, deren Übersetzung im folgenden
schwerpunktmäßig untersucht werden soll. Ihre Auswahl unter traslatorischem Aspekt liegt
insofern nahe, als überaus zahlreich vorgenommene Übersetzugen in eine ganze Reihe von
Sprachen eine gute empirische Grundlage für eine Analyse von Übersetzungsschwierigkeiten
bieten». Spillner 1980:73-74.
16
Zanettin 1998:1. 10
momento che la vignetta tende ad essere di lettura veloce, mentre
l’illustrazione può essere dettagliata minuziosamente, per valorizzare
maggiormente il testo cui si affianca
17
.
Figura 1.3: un esempio di narrazione visiva tratto da Calvin & Hobbes
Come si può vedere dall’esempio riportato qui sopra, i fumetti possono
narrare anche senza utilizzare un codice verbale e basandosi solamente su
quello visivo.
1.4.2 Il balloon
Il secondo elemento che inevitabilmente viene notato in un fumetto, ovvero la
peculiarità di questo mezzo di comunicazione, è la presenza di “nuvolette di
dialogo”, o secondo la terminologia appropriata, i balloon.
Definito da Umberto Eco nel suo libro Apocalittici e integrati come elemento
fondamentale della semantica del fumetto (2003:146), il «balloon» o
«nuvoletta» è una sorta di “nuvola” proveniente dal personaggio che in un
preciso momento comunica qualcosa a qualcuno.
La forma di questa “nuvola” può cambiare a seconda del tipo di messaggio
che contiene; si parla infatti di «morfologia del balloon»: il contorno (o
«contenente») può assumere le forme più bizzarre per accentuare il
significato dei segni che ospita («contenuto»)
18
.

17
Barbieri 2002:13-14.
18
Gubern 1975:121. 11
Quando presenta, ad esempio, contorni delineati e termina in una sorta di
“lama” rivolta verso il parlante, sta ad indicare un “discorso espresso” (Eco
2003:146); quando i contorni sono tratteggiati si vuol far intendere che
l’enunciato non è pronunciato ad alta voce bensì bisbigliato o sussurrato;
ancora, quando presenta un contorno sinuoso e delle “bollicine” che
provengono dalla testa di un personaggio, indica che quanto noi leggiamo è
ciò che questi sta pensando, ovvero un dialogo tra sé e sé.
Figura 1.4: alcuni esempi di balloon tratti da Topolino

Come ho già accennato nel paragrafo precedente, è bene ricordare che non
tutti i fumetti utilizzano un linguaggio verbale scritto. La definizione data da
Scott McCloud nel suo Capire il fumetto – L’arte invisibile non accenna infatti
alla presenza delle parole
19
.
Dal punto di vista semiotico ha più importanza la provenienza delle
espressioni di quanto non lo sia lo stesso balloon: il testo può anche non
essere inserito in un balloon, invece ciò che è essenziale è identificare
l’emittente fonetico
20
.

19
«Fumétto s.m. 1. Immagini e altre figure giustapposte in una deliberata sequenza, con lo
scopo di comunicare informazioni e/o produrre una reazione estetica nel lettore». McCloud
1996:17.
20
Gubern 1975:123. 12
Figura 1.5: due esempi di narrazione senza balloon tratti da Calvin & Hobbes

1.4.3 Le didascalie
Le didascalie offrono un supporto narrativo al codice visivo; facendo un
paragone con il cinema, possono essere accostate alla classica voce fuori
campo. Generalmente sono inscritte in riquadri
21
posti all’interno o all’esterno
della vignetta e contengono commenti, spiegazioni su stati d’animo o di
situazioni che è difficile comprendere direttamente dall’immagine, oppure
segnalano cambi di scena spazio-temporali
22
.
Attualmente non si fa più largo uso di questo strumento di narrazione: gli
autori prediligono i balloon perché permettono una comunicazione più
immediata.

21
da qui in avanti farò riferimento a questi come “riquadri narrativi”.
22
Kaindl 1999:273. 13
Figura 1.6: due esempi di didascalie tratti da Corto Maltese
Come vedremo in seguito,in fase di traduzione di un fumetto i problemi legati
a didascalie e balloon sono molto affini.
1.4.4 Onomatopee e suoni inarticolati
Le onomatopee sono considerate come parte integrante del codice visivo e
sono dotate di una forza comunicativa non irrilevante. Gianni Brunoro in
Comicslexicon alla voce «onomatopea» riporta la seguente definizione:
Vocabolo che imita un suono. Nei fumetti, mezzo
tipicamente “muto”, le onomatopee sono uno
degli elementi espressivi caratterizzanti e in
qualche misura indispensabili. In genere, sono
scritte in grossi caratteri dentro la vignetta,
concorrendo in maniera non trascurabile a
costituirne l’aspetto estetico. Le onomatopee,
nate e usate nella lingua inglese, corrispondono
spesso a vocaboli effettivi […]
23
.

23
Brunoro, 1994. 14
Originarie della lingua inglese, le onomatopee nei fumetti sono ormai
diventate comprensibili a livello quasi universale, grazie alla circolazione in
genere dei fumetti e, nel caso specifico della lingua italiana, grazie alle
numerose traduzioni di fumetti statunitensi. Lo stretto legame tra parola e
significato è andato svanendo nel trasferimento dell’onomatopea nella lingua
della cultura di arrivo ma, nonostante ciò, resta una forte carica evocativa che
rimanda a un’azione o a un rumore. Le onomatopee «conferiscono una “terza
dimensione” al fumetto, quella del suono»
24
.
Roman Gubern nel suo Il linguaggio dei comics definisce le onomatopee
come «fenomeni con valore grafico che suggeriscono acusticamente ad un
lettore il rumore di un’azione o di un animale»
25
. L’autore distingue inoltre le
onomatopee dai «suoni inarticolati», sostenendo che:
La differenza fra «onomatopea» e «suoni
inarticolati» dipende dalla fonte da cui proviene il
suono, che per i secondi è sempre la bocca. Così,
ad esempio il «muà!» di un bacio deve essere
considerato «suono inarticolato» e non
onomatopea (1975:125)
Figura 1.7: un esempio di suoni inarticolati tratto da Calvin & Hobbes

24
«They lend a third dimension to comics, namely the dimension of sound» Schnetzer
2003:14. 15
Figura 1.8: alcuni esempi di onomatopee tratti da Calvin & Hobbes
Questi due elementi hanno quindi un valore fonetico oltre che grafico;
vedremo più avanti come conviene affrontarli in fase di traduzione.
1.4.5 Metafore visualizzate e simboli grafici
Spesso ad accompagnare testo o immagine intervengono altri elementi
iconici di carattere metaforico che hanno lo scopo di esprimere lo stato
psichico dei personaggi: delle vere e proprie «metafore visualizzate»
26
.
Espressioni figurate come metafore, similitudini e metonimie vengono
rappresentate graficamente all’interno delle vignette per creare un effetto
ironico sul lettore: ne sono esempi il tronco e la sega per indicare qualcuno
che dorme e che “russa come una segheria”, il cuore che indica
innamoramento, la lampadina accesa che indica una “brillante idea”
27
.
Nell’ambito dei fumetti capita sovente di incontrare altri tipi di segni che
rimandano ad uno stato d’animo del personaggio ma che non raffigurano
graficamente ciò che vogliono rappresentare: non sono «segni iconici di
carattere metaforico»
28
bensì simboli.

25
Gubern 1975:130.
26
Gubern 1975:125.
27
Eco 2003:145.
28
Oscar Masotta in Gubern 1975:127. 16
Punti esclamativi, punti interrogativi, note musicali rientrano quindi a far parte
della categoria dei «simboli grafici»
29
, che – appunto, in quanto simboli –
rimandano ad un oggetto senza però raffigurarlo. Una qualsiasi persona
alfabetizzata che leggendo un fumetto incontra all’interno di una vignetta un
punto interrogativo, intuisce che il personaggio è perplesso a causa di
qualcosa o, in caso di punto esclamativo, che è stupito di qualcosa.
Figura 1.9: alcuni esempi di metafore visualizzate e simboli grafici, tratti da
Calvin & Hobbes
1.4.6 Il testo
All’interno di un fumetto si possono distinguere diversi tipi di testo verbale: i
titoli, i testi di dialogo, le didascalie, le scritte (su oggetti all’interno
dell’immagine, come cartelli o etichette), e le onomatopee
30
.

29
«graphische Symbole» Spillner 1980:73.
30
Kaindl 1999:273-274. 17
Figura 1.10: alcuni esempi di testo verbale tratti da B.C.

Il testo è l’unico elemento all’interno di un fumetto sul quale il traduttore può
intervenire, e vedremo nel prossimo capitolo in che modo e con quali
limitazioni. 2. La traducibilità
In questo capitolo vengono illustrati alcuni problemi di traducibilità a cui nel
prossimo capitolo si cerca di offrire delle possibili soluzioni.
2.1 L’immagine
L’immagine, che di per sé costituisce spesso un aiuto rilevante per il
traduttore poiché facilita la comprensione del testo verbale, in determinati casi
può rappresentare invece un ostacolo non indifferente: il traduttore non ha
infatti la possibilità di intervenire sull’immagine ed adattarla a seconda delle
sue esigenze.
Andiamo ora ad esaminare, caso per caso, i momenti in cui il traduttore può
trovarsi in difficoltà nel suo lavoro a causa dell’immagine.
2.1.1 I balloon
I balloon, come anche i riquadri narrativi, delimitano uno spazio all’interno del
quale è inserito un dialogo o, nel caso delle didascalie, la descrizione di una
scena; questo spazio è immodificabile, il metatesto deve quindi essere della
stessa lunghezza del prototesto, o comunque non superiore, in modo da
essere contenibile allo stesso modo all’interno dell’area delimitata. Il
traduttore deve prestare particolare attenzione nella traduzione di opere a
fumetti dall’inglese all’italiano, perché il testo in questo caso tende a dilatarsi
molto
31
.

31
Rota 2004:25. 19
Figura 2.1: un esempio di balloon come ostacolo alla traduzione tratto da
Calvin & Hobbes
Prendiamo in considerazione la vignetta riportata qui sopra: la frase inglese
risulta molto più breve della sua traduzione italiana «temo di aver usato una
crema abbronzante con fattore di protezione troppo alto»
32
. Vedremo nel
prossimo capitolo come il traduttore, o in questo caso specifico, la traduttrice,
ha deciso di intervenire per superare l’ostacolo in questione.
2.1.2 Il testo
Come evidenziato nel capitolo precedente, il testo è l’unico elemento su cui il
traduttore ha possibilità di intervento. Questo lavoro presenta degli ostacoli,
come quello appena citato dell’inserimento del testo in uno spazio delimitato.
Esistono tuttavia altri aspetti da tenere in considerazione.
Il testo di un fumetto sottolinea emozioni, marca l’intonazione, o enfatizza il
messaggio che vuole comunicare attraverso il tipo di carattere; il font è quindi
spesso al servizio della storia: è un’estensione dell’immagine
33
. Per non
perdere questo tipo di metacomunicazione bisogna rispettare grandezza e
tipologia del carattere e riportarlo nel metatesto immodificato, o il più possibile
simile all’originale.

32
Watterson 2004:9. 20
Figura 2.2: due esempi di metacomunicazione tratti da Strangers in Paradise
Il testo verbale, come sottolineato da Klaus Kaindl, ha la caratteristica di
evidenziare visivamente alcuni aspetti della situazione comunicativa, come
l’intensità di rumori o le emozioni. Inoltre, il font può essere usato ad esempio
per indicare la nazionalità dei personaggi: è il caso di Astérix, dove caratteri
gotici vengono utilizzati per caratterizzare i Goti, i geroglifici per gli Egiziani, e
così via
34
.

33
Eisner 2005:12.
34
«Typography as the technique of shaping characters is the interface between language and
pictures. Typography in the widest sense also includes graphemes (e.g. pictograms, which are
often found in comics), whose function is to give visual representation to a numer of aspects of
the comunicative situation. This means that the font can, for instance, be used to indicate
nationality. This is the case in Astérix, where old Germanic fonts are used to symbolize the
goths, stlized) hieroglyphics are used for the Egyptians, and so on. Proportion, size and extent
can indicate the intensity of an emotion or a noise. Finally, the directionality of the letters and 21
Figura 2.3: alcuni esempi di font metacomunicativo tratti da Astérix
La necessità di mantenere il più possibile inalterato il tipo di carattere di un
testo e le sue dimensioni non vale soltanto per il testo scritto all’interno dei
fumetti, ma anche per didascalie, scritte, onomatopee e titoli.
2.1.3 Le onomatopee
Un particolare tipo di testo all’interno dei fumetti è costituito dalle
onomatopee: Michaela Schnetzer in Problems in the translation of comics
and cartoons sottolinea che «le onomatopee sono solitamente scritte a grandi

the rhythm of the lettering and the spacing between the letters can be used to indicate
movement, direction, speed.» Kaindl 1999:274. 22
lettere colorate, spesso irregolari» e che «sono inserite nelle vignette in modo
molto netto occupando spesso molto spazio»
35
.
Il problema creato dalle onomatopee in fase di traduzione non è tanto
costituito dal fatto che occupano spesso molto spazio all’interno della
vignette, ma dal loro essere ben integrate con l’immagine stessa: qualora si
volesse tradurre l’onomatopea, occorrerà modificare l’immagine
36
.
Onomatopee e balloon sono accomunabili in questo senso dallo stesso
vincolo: quello dell’immagine, su cui il traduttore ha scarsa possibilità di
intervento. Intervenire sull’immagine, oltre ad avere come conseguenza
evidente l’alteramento del prototesto (perlomeno per quanto riguarda il codice
visivo), costituisce un problema tecnico non irrilevante: un costo per la casa
editrice, ancora più oneroso se l’onomatopea è a colori.
Figura 2.4: alcuni esempi di onomatopee integrate con l’immagine tratti da Strangers in
Paradise

35
«Onomatopoeic words are normally written in large, colourful, frequently uneven letters, and
they are arranged in the panels in a very distinct way […] and quite often they take up a
significant amount of space» Schnetzer 2003:14.
36
«Onomatopoeias are usually integrated into the drawings, so that if they are translated into a
different language, the drawings – and not just the text in the speech balloons and narrative
boxes – have to be modified» Schnetzer 2003:14-15. 23
Gli esempi qui riportati mostrano come le onomatopee siano spesso
altamente integrate con l’immagine.
Il problema della traduzione delle onomatopee si pone principalmente quando
si ha a che fare con opere a fumetti provenienti da paesi che utilizzano un
altro sistema alfabetico; vedremo nel prossimo capitolo le soluzioni trovate
dai traduttori che si occupano di queste lingue per superare questo ostacolo.
2.1.4 Il titolo
L’ostacolo causato dalla stretta unione di testo e immagine non si ha solo nel
caso delle onomatopee, ma è molto frequente anche nella traduzione dei
titoli: infatti, i titoli degli albi sono spesso scritti a caratteri grandi e diventano
parte integrante della tavola.
Quella della traduzione dei titoli è una questione delicata: i titoli hanno lo
scopo di introdurre la storia, di attirare il lettore e spingerlo ad acquistare
l’albo
37
. Il traduttore deve decidere quale soluzione adottare considerando
anche il fatto che un titolo in lingua originale che appare sulla versione
tradotta del fumetto non ha lo stesso impatto sul pubblico.
2.1.5 I «Pun»
Per «pun» si intende «l’uso spesso umoristico di una parola in modo da
suggerire due o più significati di questa o il significato di un’altra parola ad
essa simile per suono»
38
.
I giochi di parole sono talvolta inseriti nel fumetto senza aver nulla a che fare
con la scena che si sta svolgendo nella vignetta o nell’intera sequenza; in
questo fortunato caso il traduttore è libero di riempire il balloon con un gioco
di parole altrettanto efficace nella metalingua, senza perdere l’ironia che si
voleva trasmettere, perdendo tuttavia il gioco di parole originario.

37
Rota 2001:49.
38
«the usually humorous use of a word in such a way as to suggest two or more of its
meanings or the meaning of another word similar in sound» Merriam-Webster’s Collegiate
Dictionary, la traduzione è mia. 24
Nel caso specifico dei fumetti, però, sovente codice verbale e codice visivo
concorrono a creare dei giochi di parole, dei “pun visivi” basati sulla possibilità
di una doppia interpretazione: una legata all’immagine e l’altra al testo scritto;
questo accade principalmente nei fumetti di genere comico che sfruttano la
polisemia per produrre effetti umoristici
39
.
Qui di seguito sono riportati due esempi imperniati sull’uso dello stesso modo
di dire inglese “the early bird gets the worm”, equivalente dei nostri “il mattino
ha l’oro in bocca” o “chi dorme non piglia pesci”.
Figura 2.5: un esempio di pun visivo tratto da Calvin & Hobbes
Figura 2.6: un esempio di pun visivo tratto da B.C.
Il secondo esempio riportato risulta avere un grado di traducibilità inferiore
rispetto al primo, in quanto la commistione di codice visivo e codice verbale è
maggiore.
Nel caso di pun visivi, il traduttore dovrà cercare una soluzione per
conservare la coerenza tra il testo scritto e l’immagine, e, se possibile, evitare
di creare un effetto di straniamento nel lettore.

39
Zanettin 1998:6. 25
Prendiamo in considerazione un esempio basato su un altro modo di dire e di
nuovo strettamente legato all’immagine.
Figura 2.7: un esempio di pun visivo tratto da Calvin & Hobbes
In inglese l’espressione «to jump out of one’s skin» significa «prendersi un
colpo, spaventarsi a morte»
40
; in italiano il gioco di parole basato
sull’immagine quindi non funziona: anche se potrebbe esserci un
collegamento con la parola «salto», non abbiamo nessuna espressione che
significa «spaventarsi» che faccia riferimento alla propria pelle o, per essere
più precisi, al “saltare fuori dalla propria pelle”. Anche in questo caso occorre
cercare di mantenere l’ironia e il rapporto con l’immagine: vedremo nel
prossimo capitolo come ha deciso di comportarsi la traduttrice per questa
particolare striscia.
Come si può facilmente intuire, quando si ha a che fare con la traduzione di
fumetti, e soprattutto con fumetti umoristici, i pun visivi costituiscono la parte
più interessante e stimolante del lavoro, e, nel caso di trovate brillanti, può
dare maggiori soddisfazioni.

40
Picchi, 2003. 26
2.2 I problemi linguistici
Una volta analizzati i problemi strettamente legati all’immagine, passiamo a
valutare quelli dati dal linguaggio del fumetto, la lingua del prototesto e quella
del metatesto.
2.2.1 La lingua dei fumetti
Come abbiamo già visto, la lingua nei fumetti può comportare dei problemi
tecnici, specialmente quando si tratta di inserire il testo tradotto all’interno di
balloon o riquadri narrativi; prima di questo passaggio avviene però quello
della traduzione, ovvero, il confronto con il testo scritto. Nel caso specifico
non si tratta di un testo scritto qualsiasi, bensì di una “lingua parlata, scritta”
41
.
Infatti, la lingua dei fumetti presenta spesso un registro informale che include
espressioni idiomatiche e di uso comune. Dal momento che le lingue si
evolvono rapidamente e ovunque compaiono continuamente nuove
espressioni idiomatiche, è impossibile essere sempre informati o avere
dizionari aggiornati in tempo reale. Questo problema si riscontra
principalmente con le vignette che appaiono sui quotidiani: in questo caso il
traduttore può incontrare parole che non gli sono del tutto familiari
42
.
L’ostacolo rappresentato dalla lingua in sé è tuttavia di entità minore rispetto
ad altri che si possono incontrare. Inoltre, è bene sottolineare che se lo stretto
legame tra codice visivo e codice verbale può rappresentare un problema,
tuttavia in caso di indecisione o difficoltà nella traduzione del testo scritto, il
testo visivo può essere di grande aiuto.

41
«Die Sprache der Sprechblasen ist zwar geschriebene Sprache, aber geschriebene
gesprochene Sprache» Spillner 1980:36.
42
«The vocabulary is therefore often very informal and of a low register, and slang terms and
expressions are also frequently used. Because new slang words pop up all the time all over
the world, it is virtually impossible to keep track of all of them and to always keep dictionaries
up-to-date. As a result, translators of comics – in particular of comic strips that appear in 27
Figura 2.8: un esempio di “lingua parlata scritta” tratto da Real Life Adventures
La vignetta riportata è apparsa sul quotidiano on-line The Washington Post, in
una sezione dedicata ai fumetti, dove ogni giorno si possono trovare strisce
nuove. Fumetti di questo genere possono creare molti problemi: infatti, data
la quotidianità della loro pubblicazione, presentano un linguaggio sempre al
passo coi tempi.
Nel caso specifico, la vignetta rappresenta il dialogo tra un ragazzo e suo
padre, che cerca di avvicinarsi a lui usando un linguaggio attuale e in voga tra
i giovani. In questo caso, il traduttore deve riconoscere il tipo di slang, il
gruppo cui fa riferimento e – passaggio più difficile – individuare uno slang
nella metalingua che abbia caratteristiche simili a quello originale.
2.2.2 Le onomatopee
Le onomatopee rappresentano per il traduttore un doppio ostacolo: da un lato
un ostacolo tecnico quando, come ho già illustrato, sono parte integrante
dell’immagine, dall’altro un ostacolo linguistico.
Le onomatopee maggiormente diffuse in ambito fumettistico sono parole
come crash, ring, knock, click, splash; verbi fonosimbolici propri della lingua
inglese che si sono ormai diffusi in tutto il mondo in seguito all’esportazione
dei fumetti
43
. Queste parole hanno in realtà un proprio significato che nei

newspapers on a regular basis and are very current – may encounter words they are
unfamiliar with that they cannot find in any dictionary» Schnetzer 2003:17.
43
Gubern 1975:132. 28
paesi “importatori” viene perduto: diventano infatti delle scritte all’interno delle
vignette che fanno riferimento ad un rumore ma non rimandano ad un verbo
della propria lingua ed i lettori ne intuiscono il significato dal contesto in cui
sono inserite.
Il problema delle onomatopee si può aggirare facilmente se ci si occupa di
traduzioni dall’inglese verso una qualsiasi lingua dell’Europa occidentale. La
questione si complica però nel caso di particolari coppie di lingue. Tradurre
un fumetto dal giapponese significa avere a che fare con una gamma molto
più vasta di onomatopee, e in tal caso il problema è dato dal fatto che nella
metalingua (consideriamo ad esempio l’italiano) non abbiamo altrettante
espressioni per tradurle
44
.
2.2.3 I pun e l’ironia
Abbiamo già parlato di pun evidenziando come richiedano uno sforzo
notevole al traduttore quando sono strettamente collegati all’immagine nella
vignetta. Tuttavia, anche nel caso di giochi di parole a sé stanti e
considerando quindi solo l’aspetto linguistico, i traduttori possono trovarsi in
difficoltà: difficoltà in tal caso non strettamente legata al genere “fumetto”, ma
che può presentarsi traducendo qualsiasi testo che contenga espressioni
umoristiche.
Figura 2.9: due esempi di pun tratti da Calvin & Hobbes

44
Schnetzer 2003:23. 29
Nel primo esempio riportato qui sopra il gioco di parole non è dipendente
dall’immagine: l’ironia è data dal fatto che in inglese «chickenpox» significa
«varicella»
45
mentre Calvin al sentire la parola «chicken», ovvero «pollo»,
pensa di trovarsi nello studio di un veterinario. Questo gioco di parole non
funziona per la lingua italiana, in cui non esistono nomi di malattie che
includono il nome di un animale.
Il secondo esempio riportato si basa invece sulla sonorità delle parole: il
termine statunitense «lam» («fuga, latitanza») viene pronunciato esattamente
come la parola «lamb» («agnello»)
46
in quanto la «b» finale è muta. Anche
questo gioco di parole può funzionare solamente in inglese.
Per entrambi i casi vedremo nel prossimo capitolo quali scelte ha effettuato la
traduttrice per cercare di mantenere l’ironia della vignetta.
Da un punto di vista prettamente linguistico, abbiamo potuto constatare
come uno dei problemi principali sia dato dalla presenza di battute e humor:
questo non riguarda ovviamente solo i traduttori di fumetti, ma forse li
riguarda più da vicino. Infatti, il termine «comics» deriva dal fatto che i fumetti
siano nati come forma espressiva umoristica e tali sono rimasti per alcuni
decenni; il termine definisce ora l’intera categoria, indipendentemente dal
genere di appartenenza
47
.
Vedremo ora come l’ironia faccia parte, oltre che dei problemi linguistici, dei
problemi culturali.

45
Nella traduzione italiana «morbillo».
46
Picchi, 2003.
47
Brunoro, 1994. 30
2.3 I problemi culturali
Oltre ad essere un mediatore linguistico, il traduttore ricopre senza ombra di
dubbio anche il ruolo del mediatore culturale. «Cultura» e «traduzione» sono
due concetti strettamente collegati tra loro, in quanto ogni traduzione
arricchisce la cultura ricevente con informazioni sulla cultura emittente,
purché il traduttore non assuma, in fase di traduzione, un atteggiamento
etnocentrico, che tende ad appianare le differenze culturali valorizzando
unicamente la cultura ricevente.
Jurij Lotman è lo studioso che ha definito la cultura della traduzione «cultura
del confine»
48
, pur non pensando al caso specifico della traduzione
interlinguistica. Secondo Lotman, il «confine» è un «meccanismo bilingue,
che traduce le comunicazioni esterne nel linguaggio interno della semiosfera,
e viceversa. Solo col suo aiuto la semiosfera può realizzare contatti con lo
spazio extrasistemico o non semiotico»
49
. Il «confine» è quindi il punto di
contatto tra un sistema ed un altro e la figura del traduttore vi si avvicina
molto: il traduttore è colui che ha il compito di trasportare un messaggio da un
sistema ad un altro, da una cultura ad un’altra.
Il traduttore deve cercare di riportare nella cultura ricevente il messaggio
originale in modo da limitare la creazione di un «residuo traduttivo» causato
dalla differenza tra le culture. In ogni caso, il residuo traduttivo è un elemento
di cui il traduttore può farsi carico nel metatesto.
Vediamo ora quali sono i principali elementi strettamente legati alla cultura
emittente che possono ostacolare la traduzione di fumetti.
2.3.1 Humor e ironia
Lo humor costituisce un aspetto importante dei fumetti, e cercare di tradurlo
con efficacia è spesso considerato impresa ardua: non solo è impossibile che
tutte le lingue diano la possibilità di “fare battute” dello stesso tipo (abbiamo
visto, ad esempio, come il gioco di parole tra «lam» e «lamb» possa

48
Osimo 2005:XII.
49
Lotman 1985:60. 31
funzionare solamente in inglese), ma è anche impossibile che abbiano la
stessa concezione di humor.
Così come un film dell’orrore proveniente da una determinata cultura può non
produrre lo stesso effetto sulla cultura ricevente, così anche la barzelletta
raccontata da una persona appartenente ad una cultura potrebbe lasciare
indifferente una persona di un’altra.
Ogni cultura ha il proprio modo di scherzare e sovente ciò che fa ridere una
cultura difficilmente avrà lo stesso effetto divertente, o addirittura sarà
comprensibile, per un ascoltatore o lettore di un’altra.
Ogni cultura ha il proprio senso dell’umorismo, scherza su alcuni argomenti e
ne evita altri: negli Stati Uniti, ad esempio, è illegale fare battute riguardanti
l’uccisione del Presidente
50
.
A questo proposito, consideriamo una barzelletta americana citata da Debra
S. Raphaelson West in On the feasibility and strategies of translating humour:
There were paratroopers showing the Californian
round their native city of New York. They decided
that he could best see it and avoid traffic by
jumping out of a plane, so they took him up and
all prepared to parachute. They told the
Californian, “After you jump, count to ten and then
pull the cord”. Well, he jumped but fell to the
ground before pulling the cord. When the
paratroopers landed, they heard, emitting from
beneath a haystack, “six… seven… eight… “.
(1989:132)
Un lettore che non conosce le differenze linguistiche esistenti tra i vari Stati
degli USA non riuscirà a cogliere l’ironia della barzelletta e, anche se potrà
trovare divertente l’immagine finale del paracadutista che continua a contare
una volta caduto a terra, avrà la sensazione di non aver pienamente
compreso la barzelletta. Al contrario, un americano troverà la battuta

50
Raphaelson-West 1989:129. 32
divertente, perché vi riconoscerà lo stereotipo del newyorchese che parla
velocemente e quello del californiano che, invece, parla lentamente.
Di frequente, nei fumetti umoristici capita di incontrare riferimenti ironici ad
argomenti tipici della cultura emittente: compito del traduttore è coglierli e
renderli al meglio nella versione tradotta. È bene che il traduttore possieda
un’ampia conoscenza dell’universo culturale dell’autore della storia, poiché
spesso all’interno del testo si possono trovare riferimenti a scrittori,
personaggi famosi, film o serie televisive sconosciute alla cultura ricevente
51
.
Figura 2.10: un esempio di humor basato su un fattore appartenente alla cultura
emittente, tratto da Pearls before Swine
La difficoltà di tradurre questa striscia non sta solo nello sgrammaticato modo
di parlare del coccodrillo, ma anche nella battuta conclusiva «Somewhere
Martha Stewaht cry» che si collega alla corona di fiori («wreath»). Martha
Stewart è un personaggio molto noto negli Stati Uniti, conosciuta per i suoi
progetti riguardanti l’arredamento della casa, la cucina, il giardinaggio e
oggetti di decorazione fatti a mano: negli anni ’90 ha pubblicato una propria
rivista e ha condotto un programma televisivo dal nome Martha Stewart
Living.
Un lettore italiano probabilmente non riuscirà a cogliere l’ironia della striscia,
dato che in Italia Martha Stewart è completamente estranea alla nostra
cultura. Anche in questo caso, ritengo che la dominante da privilegiare in fase
di traduzione sia cercare di mantenere l’ironia della striscia e l’immediatezza
della battuta, e se possibile il riferimento alla cultura emittente. 33
2.3.2 L’attualità
Oltre a riferimenti a personaggi famosi e stereotipi propri della cultura
emittente, si possono riscontrare problemi durante la traduzione di un
particolare tipo di fumetti, ovvero le vignette che appaiono su quotidiani
cartacei e on-line, in cui il problema è dato dal forte riferimento a notizie di
cronaca e politica.
In tal caso il traduttore deve mostrare, oltre alla padronanza della lingua,
anche quella della cultura emittente e, in generale, una buona conoscenza di
fatti di cronaca e politica estera.
In questo periodo, in particolare, sono molto frequenti vignette satiriche e
umoristiche che riguardano la guerra in Iraq e le decisioni prese dalla Casa
Bianca: d’altra parte, data la continua presenza di informazioni in proposito su
quotidiani e in televisione, non vi sono grandi problemi di comprensione.
Figura 2.11: una vignetta di Signe Wilkinson riguardante l’attualità
Prendiamo ad esempio la vignetta riportata qui sopra, apparsa il 16 dicembre
2005 sul sito internet del quotidiano The Washington Post. La vignetta fa
riferimento ad un fatto di cronaca di cui si è molto discusso: l’esecuzione di
Stanley “Tookie” Williams avvenuta il 13 dicembre 2005 a San Quintino, in
California. Nella stessa vignetta sono presenti più riferimenti intertestuali:
l’unica persona che avrebbe potuto concedere la grazia a Tookie è il
governatore della California, Arnold Schwarzenegger, l’attore che recitò la

51
Scatasta 2002:103. 34
parte di Terminator nella famosa trilogia. Il lettore e il traduttore dovranno
cogliere tutti questi riferimenti per poter cogliere pienamente il significato della
vignetta.
2.3.3 Le metafore visualizzate
Le metafore visualizzate possono essere un ostacolo per il traduttore
nonostante la forte diffusione di fumetti, grazie alla quale alcune
rappresentazioni grafiche di metafore sono ormai entrate a far parte del
bagaglio culturale comune
52
: Ad Oslo come a Cagliari un lettore che vede un
personaggio a terra con delle stelle messe in cerchio sopra il capo capisce
che questi ha ricevuto un forte colpo in testa e “vede le stelle”.
Vi sono però casi in cui la metafora rappresentata graficamente non viene
recepita dalla cultura ricevente, dal momento che gli elementi figurativi fanno
riferimento ad espressioni metaforiche tipiche della cultura emittente: di
conseguenza il lettore del fumetto tradotto si troverà spaesato e avvertirà la
mancanza di qualcosa.
Figura 2.12: un esempio di metafora visualizzata tratto da Topolino

52
Eco 2003:145. 35
2.3.4 I rimandi intertestuali
Non basta che il traduttore di fumetti abbia una vasta conoscenza della
cultura emittente e di quella ricevente per riportare al meglio il messaggio;
deve conoscere molto bene l’universo relativo all’oggetto del suo lavoro, il
sistema all’interno del quale sta operando.
Ogni autore è inconsciamente influenzato da testi passati, siano essi esterni o
interni alla propria cultura di appartenenza. Il concetto di «intertestualità» può
essere spiegato bene grazie al concetto di «semiosfera» introdotto da
Lotman.
La «semiosfera» è considerata come «l’universo della significazione»,
costituito da un’infinità di sistemi più o meno grandi in continua interazione tra
loro. Ogni testo porta perciò in sé le tracce della memoria culturale collettiva,
oltre a quelle dell’autore (anch’egli parte della semiosfera in quanto
individuo)
53
.
Secondo quanto teorizzato da Lotman, è impossibile pensare di creare un
testo del tutto originale e privo di riferimenti ad altri testi; ogni testo è da
considerarsi un intertesto e al suo interno presenterà rimandi intertestuali ad
altre opere, anche se involontari.
Anche i fumetti sono ricchi di rimandi intertestuali, essendo un particolare tipo
di testo. Al loro interno si possono trovare riferimenti intertestuali di ogni
genere, compresi quelli ad altri fumetti. Il traduttore deve avere una cultura
generale per cogliere qualsiasi tipo di citazione, e deve quindi conoscere
bene anche l’universo dei fumetti, specie quelli più affini per genere, ed avere
una certa passione per l’oggetto del suo lavoro, in modo da crearsi un
bagaglio culturale che può essergli di aiuto mentre traduce
54
.
Vi sono due concetti fondamentali in ambito fumettistico: quello di
«continuity», ovvero «una continuità narrativa di tipo televisivo che lega tra
loro tutti gli episodi di una stessa serie»
55
, e quello di «crossover», una

53
Osimo 2005:42.
54
Scatasta 2002:103.
55
Brancato 1994:101-102. 36
continuità narrativa che «lega una singola serie a tutte le altre dello stesso
universo supereroi»
56
(molto utilizzato dalla casa editrice Marvel).
Nel caso di una serie a fumetti come quella de L’uomo ragno, che vanta un
numero sterminato di albi, è bene conoscere tutto quanto è accaduto negli
episodi precedenti: informazioni indispensabili che permettono di rispettare la
«continuità» della serie, dal momento che possono presentarsi riferimenti a
fatti accaduti molti numeri prima.
Il traduttore deve però prestare attenzione anche ai fenomeni di «crossover»,
in presenza dei quali si possono avere dei riferimenti a quanto è avvenuto al
personaggio di una serie che ha fatto comparsa all’interno di un’altra.
Il traduttore di fumetti deve inoltre «conoscere a fondo la serie che si appresta
a tradurre e lo spirito che la anima»
57
, padroneggiare lo scenario all’interno
del quale si svolgono i fatti, rispettare la personalità dei personaggi e le loro
caratteristiche, in modo da riprodurne in modo coerente il linguaggio. È bene
anche tenere presente le traduzioni passate della stessa serie a fumetti, così
da non alterare frasi e modi di dire ormai “storici” e avere un riscontro
negativo dai lettori, fondamentalmente tradizionalisti
58
.
2.3.5 Il lettore modello
Strategia traduttiva e grado di difficoltà dipendono dal tipo di fumetto e di
pubblico a cui il fumetto è destinato: due elementi strettamente collegati.
Nel panorama editoriale si possono distinguere vari tipi di fumetti; la
distinzione principale che si può fare è tra fumetti di «immediata fruizione» dai
toni spesso umoristici e destinati ad un pubblico in cerca di svago, e fumetti
«più complessi» destinati a lettori dai gusti più sofisticati (adult comics)
59
.
Il traduttore deve tenere conto del pubblico al quale il fumetto su cui sta
lavorando è destinato, non tanto per individuarne le aspettative, quanto per
adattarsi alle esigenze di mercato.

56
Brancato 194:102.
57
Rota 2001:49.
58
Scatasta 2002:103.
59
Scatasta 2002:102 37
Una casa editrice che pubblica un fumetto destinato ad un pubblico molto
ampio che ne fa uso per puro intrattenimento non richiede una traduzione
filologica, bensì una traduzione accettabile, che privilegi la cultura ricevente e
tenda a semplificare il testo originale. Vi sono ad esempio edizioni italiane di
fumetti americani che parlano di lire e non di dollari o personaggi di manga
(fumetti giapponesi) dal nome italianizzato.
La stessa cosa non avviene per i prodotti di nicchia destinati ad pubblico
adulto e più esigente, che pretende di leggere una traduzione il più possibile
simile al testo originale
60
.
Fattore non ininfluente sulle scelte traduttive è costituito dalla lunghezza di un
fumetto: a seconda che si tratti di strisce o di graphic novel si incontreranno
problemi diversi.
Nella striscia in cui tutto si risolve in poche vignette, spesso con una battuta
finale, il traduttore deve optare per una scelta ironica che sia allo stesso
livello dell’originale e mantenere inoltre la scorrevolezza richiesta dal tipo di
testo.
In un graphic novel, o in una storia più breve come quelle pubblicate da case
editrici quali Marvel e DC Comics, la trama è più diluita e al traduttore spetta il
compito di mantenere la continuità della serie e i riferimenti agli episodi
precedenti.

60
Scatasta 2002:102 3. Soluzioni pratiche
Nel capitolo precedente sono stati illustrati alcuni problemi di traducibilità dei
fumetti: in questo capitolo si cerca di offrire qualche soluzione possibile.
3.1 L’immagine
3.1.1 I balloon
Il problema principale legato all’elemento del balloon riguarda lo spazio. La
nuvoletta costituisce una sorta di gabbia all’interno della quale non è sempre
possibile inserire tutto il testo, soprattutto nel caso di traduzioni dall’inglese
all’italiano.
In situazioni del genere è possibile aggirare il problema in diversi modi.
Grazie all’introduzione del computer nel campo dei fumetti si può risolvere il
problema di spazio riducendo il carattere del testo: accorgimento che però
può andare a scapito della leggibilità.
Un altro intervento reso possibile grazie alle nuove tecnologie consiste nel
modificare l’immagine della vignetta aumentando le dimensioni del balloon. È
questa la soluzione adottata dalla casa editrice Comix per quanto riguarda la
vignetta presa ad esempio nel capitolo 2 in cui Hobbes affermava «I think i’m
using too strong a sun screen.», cosa resa fattibile anche dal fatto che il
balloon non copriva l’immagine all’interno della vignetta.39
Figura 3.1: un esempio di modifica del balloon tratto da Calvin & Hobbes
Per ovviare alla mancanza di spazio, si può considerare la possibilità di
eliminare una parte di testo che contiene informazioni non fondamentali alla
comprensione della vignetta, pur mantenendo il messaggio di base. Questo
tipo di intervento viene definito «deletio»
61
: rispetta le esigenze di leggibilità
veloce del tipo di testo in oggetto e non altera il messaggio originale. È la
scelta adottata per i due esempi riportati di seguito.
Figura 3.2: due esempi di deletio tratti da Calvin & Hobbes

61
Delabastita in Kaindl 1999:277. 40
Nel primo esempio non è stata tradotta la frase «your time’s up.»,
informazione in parte già inclusa nella vignetta col testo italiano «su’ [sic.]
Calvin! Consegna.».
Nel secondo invece il taglio viene effettuato nell’ultima vignetta: la frase «by
going down the gully and into the stream, yes.» è stata resa con «sì, finendo
nel burrone.»; traduzione molto diversa dal prototesto ma che risulta ottima
perché consente una lettura veloce.
A volte succede anche che l’originale venga sostituito con un testo del tutto
diverso nella versione italiana, perché più adatto al ritmo della striscia.
Un problema strettamente collegato all’inscrizione del testo tradotto nei
rispettivi balloon è quello della divisione del testo. Il testo è infatti parte
integrante dell’immagine e, in quanto tale, deve adagiarvisi e fondersi con
essa: va suddiviso non in modo brusco, bensì in modo armonioso perché la
lettura della sequenza sia agevolata e non ostacolata, evitando di creare
quindi un’interruzione al ritmo di lettura e di lasciare un senso di
incompletezza.
Per quanto riguarda la gabbia costituita dai riquadri narrativi, è interessante
prendere in considerazione la coppia giapponese-italiano. Il giapponese è 41
una lingua che si sviluppa verticalmente, le didascalie sono quindi inserite in
riquadri stretti e lunghi; in molti casi il testo italiano presenta brusche
interruzioni e continui “a capo” o suddivisioni in sillabe, in modo da rientrare
nello spazio delimitato.
Figura 3.3: un esempio di testo adattato allo spazio tratto da Ai tempi di Bocchan.
L’inserimento del testo tradotto all’interno dei balloon è spesso compito del
letterista; non è però escluso che il traduttore possa ricoprire anche questo
ruolo.
3.1.2 Il testo
L’aspetto del testo del fumetto tradotto deve essere il più vicino possibile a
quello del fumetto originale: abbiamo già visto nel capitolo precedente come
anche il font svolga una funzione comunicativa.
Grazie all’uso del computer è possibile utilizzare nella versione tradotta un
font identico, o quasi, a quello del testo originale. 42
Figura 3.4: un esempio di riproduzione del font tratto da Strangers in Paradise
Per quanto riguarda gli altri tipi di testo scritto che compaiono all’interno dei
fumetti, come scritte su pareti e cartelli, è uso comune lasciarli inalterati in
quanto considerati elementi grafici. Questa scelta è indotta anche da una
motivazione economica: intervenire sull’immagine, oltre a rappresentare un
problema tecnico e richiedere tempo, comporta inevitabilmente dei costi
aggiuntivi per le case editrici
62
.
Figura 3.5: un esempio di scritte non tradotte tratto da Il Corvo

62
Zanettin 1998:8. 43
Nel caso di scritte più elaborate, la comprensione delle quali può rivelarsi
interessante per il lettore o essere utile alla comprensione della trama, il
traduttore può decidere se sia il caso di effettuare una traduzione: questa può
essere inserita nell’immagine – operazione che fa parte del processo di
«adattamento» – oppure inserita come nota a piè di pagina o in fondo al
volume – scelta che risulta essere la migliore quando, in caso di intervento
sull’immagine, si va ad alterare la parte artistica del disegno.
La scelta di utilizzare note a piè di pagina varia però dalle case editrici ed a
seconda del tipo di fumetto pubblicato: la possibilità di inserire una nota del
traduttore ad una striscia a fumetti viene spesso scartata, in quanto
rallenterebbe la lettura.
Figura 3.6: un esempio di nota del traduttore tratto da Strangers in Paradise
3.1.3 Le onomatopee
Anche nel caso delle onomatopee, il problema tecnico deriva dalla necessità
di trovare un carattere simile e occupare lo stesso spazio, o meglio
«ingombro», dell’onomatopea originale; operazione che richiede un intervento
sull’immagine. Le decisioni in merito a questo problema vengono prese in
genere dall’editor e dal letterista.
Data l’onerosità dell’intervento e grazie alla diffusione globale dei fumetti, si è
ormai soliti mantenere le onomatopee in lingua originale, soprattutto quelle
inglesi, a cui i lettori di ogni Paese sono ormai abituati. Riportare nel 44
metatesto un elemento grafico o tipografico così come appare nel prototesto
63
è un’operazione viene definita «repetitio»
64
.
Le onomatopee diventano elementi problematici quando si effettuano
traduzioni da lingue completamente estranee alla cultura ricevente.
Prendiamo ad esempio la coppia di lingue giapponese-italiano: in questo
caso occorre intervenire sull’immagine per rimuovere l’onomatopea originale
e sostituirla con una comprensibile per i lettori italiani, stando però attenti ad
occupare la stessa porzione di spazio.
Figura 3.7: un esempio di onomatopee tradotte tratto da Bastard!!

63
«source language, typography or picture elements are taken over in their identical form»
Kaindl 1999:275. 45
3.1.4 Il titolo
Il titolo è quel testo scritto in genere caratterizzato da un certo ingombro (cioè
lo spazio che occupa fisicamente nella pagina) e spesso altamente integrato
con l’immagine: in sede di traduzione è necessario tenerne conto.
I problemi di traducibilità sono gli stessi che si hanno nel caso di onomatopee
e inscrizioni di vario tipo, con in più il problema di individuare una titolazione
efficace in italiano, che introduca la storia al lettore e che rispecchi
ragionevolmente il titolo originale.
In genere, la scelta finale in merito spetta all’editor, a cui il traduttore avrà
eventualmente suggerito una o più possibilità. Ma non necessariamente: per
motivi di promozione (schede per la distribuzione, eccetera) i titoli di storie o
interi albi devono essere decisi anche uno o due mesi prima che il traduttore
metta effettivamente mano al testo: in questo caso, di regola è l’editor
(curatore di collana) che decide i titoli.
In sede di adattamento della pagina, una soluzione comune in passato e
ancora molto diffusa (per esempio nel caso di manga), è quella di mantenere
la titolazione originale e di aggiungere il titolo italiano in nota o a margine, in
corpo molto più piccolo. O, alternativamente, in nota in fondo al volume o con
un ulteriore riferimento negli spazi redazionali dell’albo.
I motivi di questa scelta possono essere economici (l’adattamento dei titoli e
delle testate ha un costo) o artistici: il titolo è talmente integrato nella
composizione della pagina da diventarne un elemento costitutivo, che non
può essere modificato senza ridisegnare l’intera pagina.
Si prenda in considerazione l’esempio seguente.

64
Delabastita in Kaindl 1999:275. 46
Figura 3.8: un esempio di titolo integrato con l’immagine tratto da Elfquest.
In questo caso è evidente che sarebbe stato impossibile qualsiasi intervento
di modifica al titolo, dato che la scritta è parte integrante del disegno. La
traduzione italiana del titolo («La foresta proibita») è però inserita nel dialogo.
Nell’esempio che segue, invece, è stato mantenuto il titolo originale perché
integrato con l’immagine e la sua traduzione italiana è stata inserita in uno
spazio vuoto al di sotto della tavola, rispettando lo stile grafico del testo
originale. 47
Figura 3.9: un esempio di titolo tradotto tratto da Il Corvo
3.1.5 I «Pun»
L’elemento visivo rappresenta un ostacolo per il traduttore quando è
strettamente legato al testo scritto: è questo il caso dei pun visivi. 48
Spesso risulta difficile per il traduttore ricreare l’effetto umoristico della
vignetta perché nella cultura ricevente l’adeguata traduzione del gioco di
parole originale non ha nulla a che fare con l’immagine. Il pun visivo può
essere rispettato soltanto effettuando una traduzione letterale, che però non
ha quasi mai senso per la cultura ricevente.
Il traduttore può tuttavia decidere di mantenere il significato originale del testo
e accettare la perdita del riferimento all’immagine senza però intaccare, nelle
soluzioni migliori, la scorrevolezza e la comprensione del testo. Nel peggiore
dei casi il lettore si troverà spaesato e avvertirà la mancanza di qualcosa
65
.
Prendiamo ad esempio la soluzione adottata da Nicoletta Pardi per tradurre la
battuta «Now let’s see if mom jumps out of her skin!», strettamente legata
all’immagine.
Figura 3.10: un esempio di pun visivo tradotto tratto da Calvin & Hobbes.
In questo caso la traduttrice ha effettuato un’ottima scelta: pur non
riproducendo il significato delle singole parole, la traduzione italiana ha senso
e mantiene il riferimento all’immagine.
Prendiamo in considerazione un altro pun visivo.

65
«It is self-evident that, when such idioms are used in comics texts and supported by visual
elements, the humorous effect cannot always be recreated in the translation; very frequently, it
is only possible to translate the meaning of the text without making a reference to the image.
Whenever this happens, at best, the result is a translation that is missing the pun but that
makes sense otherwise. At worst, it is a translation that confuses the reader because there is
a discrepancy between the words and the images.»
Schnetzer 2003:21. 49
Figura 3.11: un esempio di pun visivo intraducibile tratto da Calvin & Hobbes.
In questo caso la traduttrice ha dovuto arrendersi all’impossibilità di trovare
una soluzione che potesse avere un collegamento con l’immagine e ha
compensato questa perdita in una nota a piè di pagina. Come già illustrato in
precedenza, questa soluzione non è sempre vista di buon occhio dagli editor,
soprattutto quando si tratta di strisce a fumetti, dato che la nota rallenta la
lettura e la striscia perde la sua caratteristica principale: quella
dell’immediatezza.
Anche nell’esempio riportato di seguito è stata adottata la soluzione della nota
a piè di pagina per spiegare il gioco di parole legato all’immagine.
Figura 3.12: pun visivo intraducibile tratto da una striscia di Terry Moore 50
3.2 I problemi linguistici
3.2.1 La lingua dei fumetti
Lo stretto legame tra parole e immagini può essere di grande aiuto alla
comprensione del testo. Quando tuttavia, nonostante la presenza del codice
visivo, non si riesce a cogliere il senso del testo scritto, si può ricorrere a
diversi mezzi.
Strumenti indispensabili per un traduttore sono i dizionari, monolingui o
bilingui. Nel caso però di strisce o di vignette che compaiono su quotidiani o
siti internet questi strumenti classici possono non essere sufficienti: una
lingua è in continua evoluzione e cambiamento e i dizionari non sono
aggiornati “in tempo reale”; occorre quindi ricorrere ad altre fonti.
Lo strumento più innovativo e fondamentale è Internet: Internet consente al
traduttore di stare al passo con l’evoluzione della lingua e permette una
rapida interazione con altre persone con cui consultarsi e risolvere molti
dubbi. Esistono infatti numerosi forum di discussione, e se ne possono
trovare anche di specifici che trattano l’argomento della traduzione, come ad
esempio www.translatorscafe.com e www.proz.com/forum.
3.2.2 Le onomatopee
Dal punto di vista linguistico le onomatopee non costituiscono più un grande
problema, dal momento che sono ormai universalmente comprensibili, grazie
anche al supporto visivo fornito dall’immagine; in fase di traduzione si tende
perciò a lasciarle inalterate. Questo vale soprattutto per le onomatopee di
origine inglese, un po’ meno forse per quelle provenienti da altri Paesi. 51
Figura 3.13: un esempio di onomatopea come residuo traduttivo, tratto da Calvin &
Hobbes
In questo caso sono state mantenute le onomatopee anche se rimandano ad
un significato preciso. Pur non sapendo che il verbo «to snag» significa
«ostacolare, intralciare» e anche «smagliare, lacerare» e che «to rip»
significa «lacerare, strappare», il lettore italiano non si troverà spaesato di
fronte a questa vignetta, ma ne coglierà il significato grazie al supporto fornito
dall’immagine
66
.
Nel caso di lingue che utilizzano un sistema alfabetico completamente
estraneo alla cultura ricevente, la traduzione delle onomatopee è necessaria
ma spesso problematica. Nei fumetti in giapponese vi sono delle onomatopee
impossibili da tradurre, ad esempio, in italiano, proprio perché non esiste
un’espressione corrispondente: in un manga potremmo infatti trovare delle
onomatopee che stanno ad indicare il silenzio
67
.
3.2.3 I pun e l’ironia
I giochi di parole non costituiscono un problema solo quando sono legati
all’immagine: molto spesso si basano su un doppio significato di una parola
nella protolingua che nella metalingua non esiste.

66
Picchi, 2003.
67
Scatasta 2002:106. 52
Nel caso dell’esempio presentato nel capitolo precedente riguardo al termine
«chicken pox», la traduttrice ha dovuto ricorrere ad una nota per spiegare la
vignetta.
Figura 3.14: un esempio di pun con nota esplicativa del traduttore, tratto da Calvin &
Hobbes
Se la nota a piè di pagina non fosse stata inserita il lettore avrebbe letto
soltanto «Morbillo?! Mamma. Chi è questo? Un veterinario?!» e avrebbe
avvertito la mancanza di qualcosa, non trovando alcun collegamento tra le
parole «morbillo» e «veterinario». («Chicken pox» è in realtà la varicella).
Nel caso di un gioco di parole che può essere realizzato solamente nella
protolingua, il traduttore di fumetti può anche scegliere di non tradurlo affatto
e di non inserire alcuna nota a piè di pagina; è questo il caso degli esempi
riportati qui di seguito. 53
Figura 3.15: due esempi di pun non tradotti tratti da Calvin & Hobbes
Nel primo esempio il gioco di parole è dato dalla pronuncia della lettera «y»
(‘wī) che viene pronunciata come la parola «why», che significa «perché».
Non essendo un elemento fondamentale per la comprensione della vignetta,
la traduttrice ha aggirato l’ostacolo optando per la rimozione del gioco di
parole originale. 54
La stessa soluzione è stata adottata nel secondo esempio, in cui abbiamo un
altro gioco di parole basato sulla pronuncia: in italiano non sarebbe stato
possibile collegare il concetto di fuga o latitanza ad un alimento. In entrambi i
casi si può parlare di «deletio»
68
.

68
Delabastita in Kaindl 1999:277. 55
3.3 I problemi culturali
3.3.1 Humor e ironia
Quando, traducendo fumetti, si incontrano riferimenti ironici a elementi propri
della cultura emittente molto noti e conosciuti, come ad esempio personaggi
dello spettacolo, nel caso delle strisce si preferisce evitare di inserire note a
piè di pagina. La soluzione adottata più di frequente è la sostituzione
all’elemento originale con un riferimento ad un elemento della cultura
ricevente altrettanto noto.
Figura 3.16: un esempio di traduzione in cui lo humor è la dominante tratto da Calvin &
Hobbes
Nell’esempio riportato qui sopra la battuta finale del prototesto si basa sul
paragone tra Calvin ed Astroboy. La traduttrice ha pensato che in italiano
questo paragone non avrebbe avuto lo stesso effetto di immediata ilarità e ha
pensato di sostituirlo con un personaggio dalle caratteristiche simili per
quanto riguarda l’immagine, ma forse più noto al lettore italiano: Batman. La 56
battuta finale funziona quindi anche in italiano grazie ad un intervento di
«substitutio»
69
.
I riferimenti culturali possono rappresentare un ostacolo alla comprensione
del testo anche quando non sono strettamente connessi allo humor.
Maggiore è la distanza cronotopica tra cultura emittente e cultura ricevente,
maggiore difficoltà avrà il lettore a comprendere la storia: un fumetto
statunitense risulta molto più comprensibile per un lettore italiano di un
fumetto giapponese.
Il traduttore si assume il compito di coprire questa distanza e di integrare il
residuo che si verrebbe a creare, tramite un apparato metatestuale.
Figura 3.17: un esempio di note esplicative del traduttore come aiuto per la
comprensione del contesto culturale, tratto da Ai tempi di Bocchan.
Spesso è il curatore di collana, a fornire tutte le informazioni necessarie al
lettore per capire e gustare al meglio la storia che si appresta a leggere,
attraverso gli apposti spazi redazionali.

69
Delabastita in Kaindl 1999:283. Si noti che «Non ne posso più» traduce «I can’t wait» (non 57
3.3.2 L’attualità
Nel caso di vignette su quotidiani cartacei ed on-line che trattano argomenti di
attualità, il traduttore viene avvantaggiato dal supporto visivo fornito
dall’immagine per quanto riguarda sia la comprensione della vignetta, sia il
suo lavoro. Queste vignette sono infatti quasi sempre accompagnate da
articoli che ne sviluppano il tema centrale; il traduttore può quindi effettuare
una traduzione puramente linguistica del testo originale che il lettore potrà
comprendere pienamente grazie alla lettura dell’articolo correlato.
L’attualità è comunque un elemento che si può incontrare anche in strisce o
albi a fumetti. La casa editrice Marvel, ad esempio, ha pubblicato un’intera
storia incentrata su un argomento di grande attualità: il numero 36 della serie
Ultimate Spider-Man è infatti intitolato 11 settembre 2001.
In altri casi i riferimenti all’attualità sono di minore entità e vengono segnalati
in apposite note quando si ritiene possano essere utili al lettore per la
comprensione della storia, o comunque interessanti; è questo il caso
dell’esempio che segue.
Figura 3.18: un esempio di riferimento all’attualità tratto da Ultimate Spider-Man
In questo caso non è stata inserita una nota a piè di pagina: il supervisore
Cristiano Grassi ha inserito la seguente nota in un editoriale in terza di
copertina per fornire una spiegazione di questo oggetto: «Dicesi “TiVo” un […]

vedo l’ora)..58
apparecchio tecnologico che fa le veci di un registratore digitale per i
programmi televisivi con molte altre funzioni […] In Italia, un apparecchio
analogo a TiVo […] può essere l’ultimo decoder di Sky […]»
70
.
3.3.3 Le metafore visualizzate
Di fronte a metafore visualizzate, tanto maggiore è la distanza cronotopica tra
cultura emittente e cultura ricevente, tanto più il lettore incontrerà un ostacolo
alla comprensione del fumetto. Anche in questo caso il compito del traduttore
è fornire al lettore tutte le informazioni necessarie per comprendere al meglio
ciò che avviene nella vignetta. La spiegazione della metafora visualizzata può
essere fornita attraverso una nota a piè di pagina, dal momento che viene
escluso a priori un intervento di modifica all’immagine.
È bene precisare che le metafore visualizzate sono comprensibili alla maggior
parte dei lettori di fumetti: solo chi non è abituato a decodificare fumetti può
trovarsi in difficoltà di fronte a questo elemento. Prendiamo ad esempio la
metafora visualizzata della lampadina che sta ad indicare un’idea: al vedere
l’immagine di una lampadina accesa sopra la testa del personaggio è facile,
per un abituale lettore di fumetti, ricondurla ai concetti di «insight»
(«intuizione»), «bright idea» («idea brillante»), o «flash of inspiration»
(«illuminazione»)
71
.
3.3.4 I rimandi intertestuali
Il traduttore di determinate serie a fumetti, come ad esempio le collane Marvel
dedicate ai supereroi, deve avere un’ampia conoscenza di quanto accade
nelle altre serie, in modo da cogliere eventuali riferimenti a fatti avvenuti al
loro interno e, in caso fossero considerati di utilità al lettore, riportarli come
metatesto; note di continuity e crossover ricorrono molto spesso negli albi
tradotti.

70
Grassi in Bendis, Bagley 2006.
71
Picchi, 2003. 59
Figura 3.19: un esempio di continuity tratto da L’Uomo Ragno
In questa vignetta Peter Parker fa riferimento ad alcuni fatti avvenuti nei
numeri precedenti della stessa serie; il lettore che avesse acquistato solo
l’albo in cui appare questa immagine avvertirebbe la mancanza di qualcosa. Il
traduttore ha deciso di intervenire con una nota a piè di pagina per spiegare
al lettore a cosa si sta riferendo il protagonista, mentre un editoriale in terza di
copertina fornisce tutte le eventuali informazioni utili.
Esistono anche casi di continuity “allargata”, riferimenti a fatti avvenuti
all’interno di altre serie a fumetti.
60
Figura 3.20: un esempio di continuity “allargata” tratto da L’Uomo Ragno
In questa vignetta si parla del ritrovamento di un androide collegato ad alcuni
numeri precedenti di un’altra serie: Thor.
3.3.5 Il lettore modello
L’approccio alla traduzione e le scelte in merito alle possibilità di intervento
sul testo originale sono determinate anche dal tipo di pubblico al quale il
fumetto è destinato.
In un albo a fumetti destinato ai bambini è difficile incontrare, ad esempio,
delle note a piè di pagina; è invece frequente trovare traduzioni orientate
verso la cultura ricevente e che semplificano il testo. In questi casi troveremo
personaggi che parlano di lire (o di euro) e non di dollari, di lingua italiana
piuttosto che inglese, e di chiamate al 113 anziché al 911.
Per quanto riguarda invece gli adult comics, come ho già affermato in
precedenza, il traduttore tende a cercare di rispettare il più possibile il testo
originale. In questi casi è quindi più frequente l’uso di note a piè di pagina o di
editoriali che forniscono tutte le informazioni utili alla comprensione della
storia pubblicata.
Anche le scelte editoriali si basano sul tipo di pubblico al quale è destinata la
serie a fumetti. Per venire incontro al lettore della cultura ricevente, la casa 61
editrice che pubblica la serie tradotta può decidere di modificare il formato
dell’albo, il tipo di carta, il numero di pagine, ma anche il verso di lettura,
come nel caso di molti fumetti giapponesi pubblicati in Italia: questo ultimo
intervento viene definito «transmutatio»
72
.
Casi eclatanti di adattamenti volti ad attirare il pubblico della cultura ricevente
si sono avuti negli Stati Uniti, dove intere opere a fumetti, originariamente
pubblicate in bianco e nero, sono state colorate.

72
Kaindl 1999:281. Conclusione
Scopo di questo documento è stato quello di illustrare i differenti elementi
costitutivi dei fumetti, e i problemi di traducibilità a essi legati. Codice visivo e
codice verbale rendono i fumetti un testo multimediale, caratteristica che
rappresenta un forte ostacolo in fase di traduzione. I problemi di traducibilità
sono principalmente legati al codice visivo, elemento sul quale il traduttore
non ha possibilità di intervento, ma anche lingua e cultura comportano
problemi in fase di traduzione. In questa tesi ho cercato di fornire una
panoramica del medium fumetto e dei problemi di traducibilità, sottolineando
la stretta interrelazione tra codice visivo e codice verbale.
Desidero precisare che la tesi, essendo stata scritta in Italia, prende come
esempio fumetti pubblicati e tradotti in italiano. Di fronte a problemi di
traducibilità simili, le soluzioni adottate dai traduttori italiani possono essere
differenti da quelle adottate da traduttori di altri paesi: ogni cultura ha il
proprio modo di intendere il fumetto e i propri gusti in merito, la strategia
traduttiva – e le scelte editoriali – dipende dal lettore modello, lettore che a
seconda della cultura di appartenenza ha esigenze differenti. Ringraziamenti
Desidero ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutata nella stesura di
questa tesi, in particolare: Andrea Plazzi, per la gentilezza, la disponibilità e la
pazienza nel rispondere alle mie continue domande; Andrea Materia,
Francesco Spreafico, e Gino Scatasta, per avermi chiarito, con gentilezza,
molti dubbi; il professor Bernd Spillner (Universität Duisburg-Essen) e il
professor Klaus Kaindl (Universität Wien) per avermi inviato del materiale
interessante e prezioso per realizzare questo lavoro; Michaela Schnetzer, per
essersi offerta di revisionare le mie traduzioni; Flavio, per il tempo passato
con me a sfogliare decine di fumetti e per il supporto in ogni momento;
Virginia, per avermi aiutata ad impaginare e per essere stata la prima a
leggere tutto questo, per la sua preziosa opinione e i consigli su ogni minimo
dettaglio; Claudio, Diego, Miriam, e tutti gli amici, per avermi sopportata e
supportata.
Desidero infine ringraziare il mio relatore, il professor Bruno Osimo, per
avermi seguita nella realizzazione di questa tesi con costanza ed interesse
nel corso degli ultimi mesi.
Un particolare grazie va ai miei genitori, Donatella e Lorenzo, e a mia sorella
Viviana, che hanno dovuto subire un’invasione di fumetti e il mio umore
altalenante. Elenco delle illustrazioni
Figura 1.1: la triade principale di Peirce………………………………………………… 6
Figura 1.2: il rapporto tra forma e significato nei tre tipi di segno peirciano.. . 8
Figura 1.3: un esempio di narrazione visiva tratto da Calvin & Hobbes……. 10
Figura 1.4: alcuni esempi di balloon tratti da Topolino…………………………… 11
Figura 1.5: due esempi di narrazione senza balloon
tratti da Calvin & Hobbes…………………………………………………. 12
Figura 1.6: due esempi di didascalie tratti da Corto Maltese………………….. 13
Figura 1.7: un esempio di suoni inarticolati tratto da Calvin & Hobbes……. 14
Figura 1.8: alcuni esempi di onomatopee tratti da Calvin & Hobbes.……… 15
Figura 1.9: alcuni esempi di metafore visualizzate e simboli grafici,
tratti da Calvin & Hobbes…………………………………………………. 16
Figura 1.10: alcuni esempi di testo verbale tratti da B.C.….………………….. 17
Figura 2.1: un esempio di balloon come ostacolo alla traduzione
tratto da Calvin & Hobbes………………………………………………… 19
Figura 2.2: due esempi di metacomunicazione tratti da
Strangers in Paradise……………………………………………………… 20
Figura 2.3: alcuni esempi di font metacomunicativo tratti da Astérix……….. 21
Figura 2.4: alcuni esempi di onomatopee integrate con l’immagine
tratti da Strangers in Paradise………………………………………….. 22
Figura 2.5: un esempio di pun visivo tratto da Calvin & Hobbes…………….. 24
Figura 2.6: un esempio di pun visivo tratto da B.C. ……………………………… 24
Figura 2.7: un esempio di pun visivo tratto da Calvin & Hobbes…………….. 25
Figura 2.8: un esempio di “lingua parlata scritta”
tratto da Real Life Adventures………………………………………….. 27
Figura 2.9: due esempi di pun tratti da Calvin & Hobbes………………………. 28
Figura 2.10: un esempio di humor basato su un fattore appartenente
alla cultura emittente, tratto da Pearls before Swine……………. 32
Figura 2.11: una vignetta di Signe Wilkinson riguardante l’attualità………… 33
Figura 2.12: un esempio di metafora visualizzata tratto da Topolino………. 34
Figura 3.1: un esempio di modifica del balloon tratto da Calvin & Hobbes. 39
Figura 3.2: due esempi di deletio tratti da Calvin & Hobbes…………………… 3965
Figura 3.3: un esempio di testo adattato allo spazio
tratto da Ai tempi di Bocchan……………………………………………. 41
Figura 3.4: un esempio di riproduzione del font
tratto da Strangers in Paradise…………………………………………. 42
Figura 3.5: un esempio di scritte non tradotte tratto da Il Corvo……………… 42
Figura 3.6: un esempio di nota del traduttore
tratto da Strangers in Paradise…………………………………………. 43
Figura 3.7: un esempio di onomatopee tradotte tratto da Bastard!! ……….. 44
Figura 3.8: un esempio di titolo integrato con l’immagine
tratto da Elfquest…………………………………………………………….. 46
Figura 3.9: un esempio di titolo tradotto tratto da Il Corvo……………………… 47
Figura 3.10: un esempio di pun visivo tradotto tratto da Calvin & Hobbes.. 48
Figura 3.11: un esempio di pun visivo intraducibile
tratto da Calvin & Hobbes………………………………………………… 49
Figura 3.12: pun visivo intraducibile tratto da una striscia di Terry Moore.. 49
Figura 3.13: un esempio di onomatopea come residuo traduttivo,
tratto da Calvin & Hobbes………………………………………………… 51
Figura 3.14: un esempio di pun con nota esplicativa del traduttore,
tratto da Calvin & Hobbes………………………………………………… 52
Figura 3.15: due esempi di pun non tradotti tratti da Calvin & Hobbes……. 53
Figura 3.16: un esempio di traduzione in cui lo humor è la dominante
tratto da Calvin & Hobbes………………………………………………… 55
Figura 3.17: un esempio di note esplicative del traduttore
come aiuto per la comprensione del contesto culturale,
tratto da Ai tempi di Bocchan……………………………………………. 56
Figura 3.18: un esempio di riferimento all’attualità
tratto da Ultimate Spider-Man…………………………………………… 57
Figura 3.19: un esempio di continuity tratto da L’Uomo Ragno………………. 59
Figura 3.20: un esempio di continuity “allargata” tratto da L’Uomo Ragno.. 60Riferimenti bibliografici
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la voce “Piscina” del mio “Dizionario affettivo della lingua ebraica” tradotta in nederlandese

 ZWEMBAD       [1]בריכה

traduzione di Angela Federica Ruspini sotto la supervisione della professoressa Magda Talamini della Fondazione Milano

In Marathon Man rent Dustin Hoffmann rond het Reservoir, in Central Park hard, omdat hij in een arme wijk niet ver daarvandaan woont en moet trainen. Hij is klein, een jongen van bescheiden afmetingen en de buren houden hem voor de gek. Als hij van zijn trainingen terugkomt, schreeuwen ze dingen naar hem in het Spaans, en hij antwoordt niet, hij buigt zijn hoofd en gaat weer naar huis, omdat zij een bende zijn en hij alleen is. Maar wat schreeuwen ze hem toe? In de ondertitels verschijnen hun woorden niet, er staat alleen mutter in Spanish. (Ja, want de Amerikanen die naar de film zonder ondertitels kijken, kennen of het Spaans of horen een mutter in Spanish, net als ik. Het is het principe van functionele vertaling dat stelt dat als ik het niet begrijp, pech gehad.) Misschien schreeuwen ze kneus naar hem.

Babe, wat de bijnaam van het personage Thomas Levy is, moet trainen. Omdat hij een hardloper is, en aan een wedstrijd moet deelnemen. Maar is hij geen promovendus in hedendaagse geschiedenis? Ja, en zijn vader die, vervolgd door de aanhangers van het Mccarthyisme, zelfmoord had gepleegd was een bekend historicus. Hij weet niet dat hij in zijn wedstrijd alleen tegen alle nazi’s is, waaronder een Amerikaan met uitstekende jukbeenderen, die, als hij naar Parijs gaat, zich opdrukt door zijn voeten op de rand van het bed te steunen om nog meer moeite te doen, en hij weet niet dat dit man een vriend van zijn broer is, of tenminste dit is wat we denken, maar dan blijkt dat hij door dokter Christian Szell ingehuurd is.

Ook ik ren ‘s morgens rond mijn Reservoir, het Procida zwembad. Ik heb geen stopwatch, toch ontmoet ook ik soms iemand die mij pest omdat hij sneller rent dan ik. Ik ben niet eens in Central Park, maar in Parco Sempione in Milaan, maar uiteindelijk doe je wat je kunt. Ook ik moet voor de Wedstrijd trainen.

Ik moet altijd voorbereid zijn op elke mogelijke omstandigheid, op elke eventualiteit. Terwijl ik leef, denk ik altijd aan de bijzondere uitkomsten van de dingen die ik aan het doen ben. Als ik de straat oversteek, denk ik aan wat er kan gebeuren als ik struikel en val en aangereden word door een auto die geen tijd heeft om te remmen. En daarna denk ik aan wat de mensen zouden denken die mij of mijn stoffelijk overschot hulp bieden. Ik kan niet leven zonder voortdurend te denken aan alles wat er zou kunnen gebeuren als wat gebeurt niet zou gebeuren.



[1] Breikhàh [noot van de vertaler]