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Metaesistenza, metafarina, metalinguaggio

La maggior parte di noi usa le parole come strumenti, non come oggetti di pensiero: non usiamo il metalinguaggio. In questo le parole sono subdole, perché fanno finta di essere strumenti puri, ma invece hanno una direzione loro, conferiscono una direzione ideologica alle cose che noi vogliamo dire, spesso a nostra insaputa. «Non volevo dire quello, sono state le parole a farmelo dire».
Quante volte abbiamo sentito dire, o detto, «crisi esistenziale». La locuzione si riferisce a uno stato d’animo in cui è possibile trovarsi, nel quale ci si focalizza sullo scopo della propria esistenza e si fatica a capire quale possa essere, quindi si fatica a esistere. La metaesistenza mette in crisi l’esistenza.
A prima vista, senza fare una riflessione sul metalinguaggio, siamo portati a credere che «esistenzialismo» vada invece d’accordo con «esistenza».

Crisi esistenziale di un

 

desperate househusband

La differenza tra linguaggio e metalinguaggio si può illustrare facilmente con l’esempio della pasta.
impasto e farina come metalinguaggio
Faccio la pasta. Prendo il tagliere. Ci metto sopra la farina, a fontana. Rompo un uovo all’interno. Comincio a mescolare uovo e farina, che diventa un impasto. L’impasto è umido, tende ad attaccarsi al tagliere. A un certo punto, prendo dell’altra farina [attenzione! sembra un passo scialbo dell’intreccio invece è determinante!] e la spargo sul tagliere perché mi faccia da cuscinetto tra l’impasto e il tagliere, e l’impasto non si appiccichi.

Farina e metafarina (linguaggio e metalinguaggio)

La farina quindi svolge due funzioni: la prima è di ingrediente, la seconda è di metaingrediente (come il metalinguaggio): come ingrediente si mescola all’uovo per formare la pasta; come metaingrediente serve da strato di delimitazione della pasta, ma non si mangia: alla fine, la farina che ho usato sul tagliere per non far appiccicare l’impasto si butta via rimuovendola con un coltello.
Così è la parola «esistenziale»: la uso e mi serve a comunicare (linguistica). Poi però prendo altre parole (come la farina sparsa sul tagliere) per riflettere sulla parola «esistenziale». E scopro che l’esistenza è possibile in modo fluido quando non ci rifletto troppo, quando non faccio pensieri esistenziali.

Esistenza o suicidio?

Esistenziale non rimanda alla vita (esistenza), ma alla morte, al tentato suicidio. L’esistenza, per noi che siamo animali metaconsapevoli, consapevoli di essere esistenti, è fluida tanto più in quanto non ci domandiamo perché esistiamo. Se stiamo continuamente cercando di sfamarci, di reperire il cibo necessario a sostentarci, non possiamo avere una crisi esistenziale (benché la nostra esistenza sia in crisi). La crisi esistenziale subentra quando siamo sazi.

Primo Levi ci scrive

Primo Levi scrive, dal campo di annientamento: «poiché siamo tutti, almeno per qualche ora, sazi, […] non sorgono litigi, ci sentiamo buoni, il Kapo non si induce a picchiarci, e siamo capaci di pensare alle nostre madri e alle nostre mogli, il che di solito non accade». «Per qualche ora, possiamo essere infelici alla maniera degli uomini liberi».
La crisi esistenziale (essere infelici alla maniera degli uomini liberi) subentra quando cessa la fame. La metaesistenza subentra quando l’esistenza è garantita. La metafarina subentra quando l’impasto è formato. Prima, c’è soltanto della farina indifferenziata che non ha ancora preso coscienza

Se non a scuola, quando? Tutta la vita

La retorica è una cosa brutta. Come lo è l’aggettivo «scolastico», inteso non come «della scuola», ma come «noioso, doveroso, controvoglia, nozionistico». Più un valore è importante, più abbiamo a cuore che non sia trattato in modo né scolastico né retorico. Dato che Primo Levi ci sta a cuore, detestiamo che venga volgarizzato da false citazioni scolastiche e retoriche che ricordano i bigliettini dei Baci Perugina, come questa: «L’@locaust@ è una pagina del libr@ dell’umanità da cui n@n d@vrem@ mai togliere il segnalibr@ della memòria» [l’ho deturpata per non aggiungere danno al danno], di cui si trovano ben 14.500 occorrenze: niente male, per essere inventata.

Sull’uso oltraggioso della parola ∅locaust∅ ho già scritto un articolo che si trova qui.

Cercherò di concentrarmi su alcuni punti dell’opera di Primo Levi che non sono particolarmente noti.

Primo Levi è un grande narratore e poeta, a prescindere dalla Shoah. Benché, con estrema modestia, Levi affermi di essere diventato scrittore grazie all’esperienza di Auschwitz, si fatica a credergli, perché il pungolo dell’esperienza stravolgente del Lager può averlo aiutato a generare Se questo è un uomoLa treguaI sommersi e i salvati, ma di certo non capolavori come Il sistema periodicoLa chiave a stella e molto altro. Anche le sue poesie sono strazianti, coinvolgenti e significative. Questa è intitolata «Buna» [le maiuscole e la punteggiatura sono dell’Autore):

 

Buna

Piedi piagati e terra maledetta,

Lunga la schiera nei grigi mattini. continua a leggere l’articolo 

Primo Levi