Category Archives: scienza della traduzione

Eureka! L’abduzione come intuizione traduttiva Dinda L. GORLÉE, On Translating Signs Exploring Text and Semio-Translation

Eureka! L’abduzione come intuizione traduttiva

Dinda L. GORLÉE, On Translating Signs Exploring Text and Semio-Translation

 

 

 

 

ILARIA BINDA

 

 

Scuole Civiche di Milano

Fondazione di partecipazione

Dipartimento Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

Via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

 

 

Relatore Prof. Bruno OSIMO

 

 

 

 

Diploma in Scienze della Mediazione Linguistica

Autunno 2005

© Editions Rodopi, Amsterdam – New York, NY 2004

 

© Ilaria Binda per l’edizione italiana 2005

 

 

 

ABSTRACT IN ITALIANO

 

Il testo oggetto di traduzione è tratto dal saggio On Translating Signs – Exploring Text and Semio-Translation di Dinda L. Gorlée. Il brano affronta il tema dell’abduzione, un concetto fondamentale inventato da C. S. Peirce nel 1866. Con ciò Peirce ha ampliato la dicotomia tradizionale (deduzione e induzione) in una tricotomia nella quale l’abduzione gioca un ruolo preliminare ed importante. La traduzione del testo in esame può apparire complicata a causa della sua settorialità. Per questo motivo, è necessario che il traduttore conosca la traduzione esatta di espressioni inglesi quali «thought-signs», «text-signs» e così via. Il testo contiene inoltre un neologismo, coniato dall’autrice stessa: «semiotranslation». Per la traduzione di parole o espressioni di questo tipo sono stati consultati i testi paralleli. Per sviluppare una strategia traduttiva il più possibile appropriata, si sono presi in considerazione i seguenti elementi: il lettore modello e la dominante sia del prototesto che del metatesto. Il lettore modello potrebbe essere un esperto del settore, un ricercatore o uno studente avanzato. Deve possedere non solo conoscenze teoriche pregresse sull’argomento ma  anche conoscenze multidisciplinari, dato che il testo è ricco di rimandi ad altre discipline (ad es. la psicologia) e altri autori (Toury, Eco, ecc.). Prototesto e metatesto hanno una funzione informativa. La dominante è il contenuto semantico puro; quindi lo stile dell’autrice è stato parzialmente sacrificato per trasmettere in modo chiaro il significato del testo. L’ultima parte dell’analisi traduttologica è dedicata al residuo traduttivo e alla gestione di tale residuo. Il prototesto contiene parole e/o espressioni di difficile traducibilità: in questi casi, si sono predisposte delle note allo scopo di spiegare le singole  scelte traduttive.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ENGLISH ABSTRACT

 

The text translated in the present work is taken from the essay On Translating Signs – Exploring Text and Semio-Translation by Dinda L. Gorlée. The passage deals with abduction, an important Peircean concept which Peirce devised in 1866. He expanded the traditional dichotomy (deduction and induction) to a trichotomy where abduction plays a preliminary but vital role. The translation of a text such as this poses problems of sectoriality. For this reason the translator must know the exact translation of English expressions such as  “thought-signs”, “text-signs” and so on. The text also contains a neologism which was created by the author: “semiotranslation”. As far as the translation of such words or expressions is concerned, equivalent texts have been consulted. In order to formulate the most appropriate translation strategy, the following elements have been taken into consideration: the kind of reader the text is addressed to and the dominant both in the source and in the target text. The passage is addressed to an expert on the subject, a researcher or an advanced student. He/She must have previous theoretical knowledge of the subject and multidisciplinary knowledge, too, as the text is full of references to other subjects (e.g. psychology) and authors (e.g. Toury, Eco, etc.). Source and target texts have the same informative function. The dominant of the present translation is the pure semantic content, therefore the author’s style of writing has been partly sacrificed in order to convey the meaning as clear as possible. The last part of the present translation analysis is dedicated to translation loss and its management. In the source text there are words or expressions with no Italian equivalents: in these cases, notes have been included in the target text in order to explain translation choices.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEUTSCHES ABSTRACT

 

Der in dieser Diplomarbeit übersetzte Text entstammt dem von Dinda L. Gorlée verfassten Aufsatz On Translating Signs – Exploring Text and Semio-Translation. Der Text befasst sich mit der Abduktion, einem sehr wichtigen Begriff, der im Jahr 1866 von Charles S. Peirce eingeführt wurde. Damit dehnte Peirce die traditionelle Dichotomie (Deduktion und Induktion) auf eine Trichotomie aus, in der die Abduktion eine wichtige Präliminarrolle spielt. Die Übersetzung des vorliegenden Originaltextes könnte kompliziert erscheinen, weil er branchenspezifischen Charakter besitzt. Aus diesem Grunde war es notwendig, dass der Übersetzer die präzise Übersetzung englischer Ausdrücke, wie z.B. „thought-signs“, „text-signs“ u.s.w. kannte. Außerdem enthielt der Originaltext einen von der Autorin selbst geprägten Neologismus: „semiotranslation“. Zur Übersetzung solcher Wörter und Ausdrücke wurden Paralleltexte herangezogen. Um die richtige Übersetzungsstrategie zu erarbeiten, wurden  folgende Elemente berücksichtigt: der Idealleser und die Dominante sowohl des Originaltextes als  auch des übersetzten Textes. Der Idealleser könnte ein Experte, ein Froscher oder ein fortgeschrittener Student sein. Er muss jedoch nicht nur theoretische Vorkenntnisse zum Thema haben, sondern über ein multidisziplinäres Wissen verfügen, weil der Text reich an Hinweisen auf andere Fachgebiete (wie z.B. Psychologie) und Autoren (wie z.B. Toury, Eco, u.s.w.) ist. Beide Texte – der englische wie der italienische – haben eine informative Funktion. Die Dominante ist somit der Bedeutungsinhalt. Aus diesem Grunde wurde der Stil der Autorin teilweise geopfert, um die inhaltliche Bedeutung des Textes klar und deutlich in die Ankunftssprache zu übertragen. Der letzte Teil dieser Übersetzungsanalyse ist den Übersetzungsverlusten und dem Umgang damit vorbehalten. Im Originaltext gab es Wörter und Ausdrücke, für die es keine italienische Übersetzung gab. In diesem Fall wurden erklärende Fußnoten eingefügt.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SOMMARIO

 

1. Prefazione 2

1.1. L’autrice 2

1.2. Vita e opere di C. S. Peirce 2

1.3. Analisi traduttologica 4

1.3.1 Prototesto: problemi di traducibilità a priori 4

1.3.2 Lettore modello 7

1.3.3 Dominante 7

1.3.4 Strategia traduttiva 8

1.3.5 Residuo traduttivo 10

1.3.6 Gestione del residuo traduttivo 15

2. Traduzione 17

Bibliography 41

Riferimenti bibliografici 44

Bibliografia 45

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ai miei genitori e

a mia sorella


 

PREFAZIONE

 

1. L’autrice

 

La porzione di testo che ho deciso di tradurre è tratta dal saggio On Translating Signs, Exploring Text and Semio-Translation di Dinda L. Gorlée.

L’autrice del testo considerato è una studiosa austriaca attualmente sullo scenario della traduttologia, specificatamente per quanto concerne l’analisi del pensiero di Peirce. Ha infatti dedicato molte ricerche alle applicazioni possibili di tale pensiero alla traduttologia e ha analizzato la traduzione (traducibilità) dal punto di vista della semiotica di Peirce.

 

2. Vita e opere di C. S. Peirce

 

Charles Sanders Peirce (1839 Cambridge [MA] – 1914 Milford [PE]), filosofo statunitense e fondatore della moderna semiotica, è considerato il primo teorizzatore del pragmatismo. I suoi scritti coprono un arco di tempo di circa mezzo secolo e per la maggior parte sono articoli e recensioni. Gli argomenti trattati da Peirce spaziano dalla matematica all’economia, dalla filosofia della scienza alla logica, dalla psicologia all’antropologia, dalla storia della scienza alla semiotica. E’ naturale che lo sviluppo del pensiero peirceano abbia avuto come controparte una mole impressionante di scritti, in parte pubblicati sotto forma di articoli in riviste scientifiche, ma per la maggioranza rimasti inediti sino alla metà del XX secolo. Tuttavia, ancora oggi gran parte degli scritti rimane inedita e le edizioni esistenti sono, come detto, perlopiù postume, due fattori che ostacolano in parte la diffusione del suo pensiero.

La prima formulazione delle tesi fondamentali del suo sistema appare in due articoli del 1877-78 sulla rivista Popular Science Monthly (The Fixation of Belief e How to Make our Ideas Clear), dove il motivo conduttore è la ricerca del «senso» delle nostre idee che va visto nell’esperienza (abbandonando quindi ogni conoscenza di tipo aprioristico o metafisico): ma questo non nel senso dell’empirismo tradizionale. Il concetto dell’esperienza infatti implica un carattere di apertura al futuro, e non una semplice rielaborazione e riorganizzazione di dati. Il suo valore – e quindi il valore di ogni indagine razionale – è nello stabilire una credenza intorno al suo oggetto; credenza sempre fallibile e che perciò necessita sempre di ulteriori ricerche e analisi; il procedimento razionale è di conseguenza un processo di autocorrezione e di autointegrazione. Ma, esattamente, che cos’è questa «credenza» intorno a un oggetto? È – dice Peirce – l’insieme degli effetti che essa può avere sull’azione del soggetto che l’ha formulata e che la possiede; il valore e il significato di un’idea stanno nel suo effetto per l’azione, sicché ne risulta un criterio pragmatistico del senso e del significato delle idee e delle cose. A prima vista può sembrare che questo criterio introduca una riduzione della verità alla credenza, e quindi un relativismo conoscitivo; ma la vera portata delle tesi di Peirce si comprende se si osserva come, al contrario, il criterio di verità e la metodologia di ricerca da lui stabilita si rivelino estremamente fecondi in quanto ammettono – contro ogni necessitarismo e ogni apriorismo – una giusta dimensione probabilistica del procedimento scientifico e una conseguente più vasta apertura di orizzonti. Infatti le preoccupazioni fondamentali e costanti del pensiero di Peirce, e particolarmente nella sua fase più matura, sono sempre quelle concernenti il senso e il significato; sicché egli, più tardi, di fronte alle diverse forme – abbastanza lontane dal nucleo centrale del suo pensiero -, che il pragmatismo veniva assumendo con James e con Schiller, preferì mutare il nome della sua filosofia, definendola pragmaticismo, e volle mantenere strettamente unite azione e conoscenza, proprio perché il senso e il significato di una teoria consistente nel complesso delle credenze e degli interessi non si riducesse pura molla per l’azione ma costituisse con essa un tutto unico.

Nonostante non abbia mai affrontato direttamente il tema della traduzione interlinguistica, Peirce ha fornito un contributo fondamentale alla scienza della traduzione. Lo studioso ha utilizzato spesso la parola «traduzione» per riferirsi a quel processo tramite il quale è possibile ricavare significato da un segno. Secondo Peirce, «un segno, o representamen, è qualcosa che sta per qualcosa per qualche aspetto o capacità» e che «si rivolge a qualcuno, ossia crea nella mente di quella persona un segno equivalente, o forse un segno più sviluppato» (CP 2, 228). In altre parole, esiste una triade segno-oggetto-interpretante, dove per «interpretante» si intende quell’immagine mentale che un segno produce in noi. Qualunque processo di significazione, o semiosi, ha questi tre vertici: segno, oggetto, interpretante.

Un altro caposaldo della logica peirceana è il principio del ragionamento chiamato «abduzione» ed è proprio su questo concetto che si basa il testo che ho deciso di tradurre. Fino a Peirce, i tipi di ragionamento logico presi in considerazione erano due, ossia la deduzione e l’induzione. Il ragionamento deduttivo è il sillogismo caratterizzato dal minor tasso di creatività e dal maggior tasso di sicurezza delle conclusioni (a patto che siano vere le affermazioni contenute nelle premesse), mentre il ragionamento induttivo è caratterizzato da un maggior tasso di creatività e da un minor tasso di sicurezza delle affermazioni (anche a patto che siano vere le affermazioni contenute nelle premesse). La logica che secondo Peirce occorre attivare nel momento in cui si tratta di ricavare significato da un testo è l’abduzione. Anziché partire da un caso per enunciare una regola (induzione), o partire da una regola per enunciare un risultato (deduzione), si risale, per inferenza, da un risultato a un caso, a un antecedente. L’abduzione è il ragionamento meno sicuro e più creativo.

Tra le opere più importanti di Peirce ricordiamo: Chance, Love and Logic (1923, postumo), Principles of Philosophy, Elements of Logic, The Simplest Mathematics, Pragmatism and Pragmaticism, Scientific Mathematica, stampate postume tra il 1931 e il 1935.

 

3. Analisi traduttologica

 

3.1 Prototesto: problemi di traducibilità a priori

 

Da un’analisi del prototesto, si può affermare che, in generale, i problemi di traducibilità sono perlopiù legati alla culturospecificità del testo. Data la settorialità del prototesto in questione, è necessario che colui che si accosti alla traduzione possieda non solo competenze linguistiche e traduttologiche avanzate, ma che conosca in maniera abbastanza approfondita le teorie che stanno alla base dell’intenzione comunicativa dell’autrice e quindi il settore di appartenenza del prototesto. Sono molteplici, infatti, i rimandi al pensiero peirceano così come i riferimenti ad altri autori che hanno fornito un importante contributo alle teorie esposte. Gli autori e le opere citate spesso sono appartenenti a paesi e culture diverse da quella di Gorlée. Basti pensare alle citazioni da Toury, Tursman, Koller, etc. I rimandi intertestuali e intratestuali contribuiscono perciò a rendere più complesso il testo.

E’ ovvio dunque che bisogna prestare particolare attenzione alla traduzione di termini specifici quali «source text» e «target text» oppure «target language», «target culture», «target-code». Se in altri ambiti il termine «target» può essere mantenuto nella lingua originale, qui è necessario trovare il traducente esatto, in quanto si tratta di tradurre concetti condivisi dalla comunità di esperti del settore. Quando il prototesto è particolarmente settoriale, è necessario che il traduttore sappia che determinati concetti, espressi in modo diverso da come è consuetudinario fare, possono determinare un effetto di straniamento nel lettore del metatesto. Per ovviare a questo problema, si devono consultare i cosiddetti «testi paralleli», ossia testi del settore scritti originariamente nella lingua e nella cultura ricevente. In questo modo il traduttore verrà a conoscenza, ad esempio, della traduzione più appropriata delle locuzioni inglesi «source text» e «target text» ed eviterà pertanto di usare parole terminologicamente imprecise.

Anche espressioni quali «thought-signs», «text-sign», «image-ideas» o «word-images» possono creare problemi di traducibilità se non si conoscono i corrispettivi nella lingua ricevente. Ancora una volta, i testi paralleli rappresentano una risorsa preziosa per giungere agli esatti traducenti italiani.

Inoltre, mi sembra importante sottolineare che nel prototesto ricorre più volte la parola «semiotranslation», termine coniato dalla stessa autrice e introdotto poi nel gergo scientifico. E’ necessario che il traduttore compi delle ricerche appropriate riguardo alle opere e al pensiero di Gorlée per conoscere il giusto traducente di tale neologismo. Nel secondo capitolo di On Translating Signs, Exploring Text and Semio-Translation, è l’autrice stessa che definisce «semiotranslation» come «un processo unidirezionale, orientato al futuro, cumulativo ed irreversibile, una rete crescente che non deve essere dipinta come un’unica linea proveniente da un prototesto indirizzata verso un metatesto designato. Dobbiamo invece considerare tutte quelle linee traduttive che si irradiano in tutte le direzioni, da uno stato iniziale a stati finali di valore variabile. La “semiotranslation” avanza, in e per circostanze diverse, verso una maggiore razionalità, complessità, coerenza, chiarezza e determinatezza, armonizzando progressivamente le traduzioni caotiche, disorganizzate e problematiche (gli elementi e/o gli aspetti delle traduzioni) e neutralizzando quelle dubbiose, depistanti e false.»

Nel paragrafo del prototesto dedicato all’eureka, Gorlée fa riferimento, mediante l’utilizzo dell’avverbio «playfully», all’idea della traduzione come gioco. La comprensione del vero significato dell’avverbio può creare problemi di traducibilità se non si conosce la teoria che vi sta alla base. E’ necessario innanzitutto premettere che in matematica esiste una teoria, detta «teoria dei giochi» che rientra in quella disciplina perché prevede la formalizzazione dei passaggi logici che avvengono durante il gioco. I giochi vengono classificati da un punto di vista logico a seconda che prevedano determinati tipi di informazione (perfetta/imperfetta, completa/incompleta). Fino al 1966 a nessuno era venuto in mente che questo ramo della matematica e della logica potesse avere qualcosa a che vedere con la scienza della traduzione, anche perché tradizionalmente la traduzione, in quanto considerata sottoinsieme della linguistica, era annoverata tra le discipline umanistiche, che spesso tendono ancora oggi a essere divise da quelle cosiddette “scientifiche”. Secondo questa teoria, la traduzione è considerata un insieme di mosse in un gioco, ossia situazioni consecutive che costringono il traduttore a scegliere tra un certo numero, solitamente ben definibile, di alternative. Considerando, per esempio, la scelta del traducente di una singola parola del prototesto, il traduttore presumibilmente passa in rassegna i traducenti possibili prima di decidere quale soluzione adottare. Per questi motivi, dal punto di vista della teoria matematica dei giochi, la traduzione è un gioco a informazione completa: «ogni mossa successiva è influenzata dalla conoscenza delle decisioni precedenti e dalla situazione che ne è derivata». Per fare un esempio pratico – che è lo stesso a cui fa riferimento anche Gorlée nel prototesto – la traduzione somiglia a una partita a scacchi. Nella realtà della traduzione, infatti, il traduttore deve scegliere spesso tra un numero elevato di alternative. Una delle possibilità consisterebbe – almeno in teoria – nel tenere conto di tutte le decisioni derivanti da una certa scelta, e quindi, basandosi sulla poetica del testo da tradurre, cercare di stabilire un ordine gerarchico degli elementi per importanza, ossia una sorta di gerarchia di dominante e sottodominanti.  Ognuna delle scelte e delle decisioni che ne derivano dà luogo a una «partita» diversa, che nel campo traduttivo si chiama «versione». Levý vede il processo traduttivo come il susseguirsi di istruzioni definizionali e istruzioni selettive. L’istruzione definizionale produce un paradigma di scelte possibili, quella selettiva comporta la scelta all’interno del paradigma.[1]

 

3.2 Lettore modello

 

Dall’analisi del prototesto si ricava un’informazione essenziale: il destinatario, il lettore modello del metatesto. L’individuazione del profilo del lettore modello del prototesto è essenziale alla strategia traduttiva.

Il traduttore infatti, nell’elaborare la propria strategia traduttiva, proietta il prototesto su un lettore modello, o meglio sull’idea che il traduttore si fa di quello che potrà essere il lettore tipo del metatesto.

Nel nostro caso, il lettore modello potrebbe essere un tecnico del settore, un ricercatore o uno studente avanzato. La settorialità del prototesto presuppone che il lettore abbia una conoscenza teorica pregressa sull’argomento, ossia sulle teorie peirceane e sulla semiotica in senso lato. Ma non solo. Il testo da tradurre è ricco di rimandi e riferimenti ad altre discipline, tra cui la psicologia, e quindi il lettore deve possedere anche delle conoscenze multidisciplinari che gli permettano una corretta fruizione del testo.

Il lettore modello è una persona colta, in grado di comprendere la sintassi a tratti complessa e il linguaggio utilizzato dall’autrice del prototesto e quindi dal traduttore/autore del metatesto.

La conoscenza del settore in questione porta, da parte del destinatario, a dare per scontati e per impliciti determinati aspetti dell’argomento trattato. Il traduttore deve tener presente che l’efficacia della comunicazione si basa, infatti, su un giusto equilibrio tra comunicazione ridondante e comunicazione incompleta.

 

3.3 Dominante

 

L’individuazione della dominante del prototesto (e quindi anche del metatesto) è un passo fondamentale per pianificare la strategia traduttiva più adatta affinché il messaggio che l’autrice del prototesto vuole trasmettere giunga il più possibile integro al lettore del metatesto.

Il prototesto in questione è tratto da un saggio ed ha pertanto una funzione eminentemente informativa: Gorlée, attraverso quest’opera, intende diffondere un sapere. Mi è sembrato corretto cercare di creare un metatesto in grado di esplicare la medesima funzione.

Per questo motivo, la finalità principale della presente traduzione è quella di rendere in modo chiaro il contenuto, il pensiero e le intuizioni dell’autrice del prototesto. Durante il processo traduttivo ho prestato particolare attenzione a non travisare il significato del testo da tradurre, sia nella sua globalità che nelle singole parti, parafrasando, ove necessario, a scapito dello stile dell’autrice.

Alla luce di quanto affermato finora, si può dire che la dominante della traduzione interlinguistica presa in esame è il contenuto semantico puro, mentre la sottodominante risulta lo stile di Gorlée, che è stato parzialmente sacrificato alla suddetta finalità primaria della traduzione.

Nelle decisioni traduttive, ho scelto di dare priorità alla terminologia che, nel prototesto e quindi anche nel metatesto, risulta estremamente importante per garantire la specificità e l’univocità dell’informazione.

Nel caso in cui il prototesto presenti un livello di specializzazione abbastanza elevato, i termini specifici, generalmente, hanno un solo traducente nelle lingue riceventi; ma, grazie al fenomeno dei prestiti intersettoriali, può accadere che in una certa lingua il termine di un settore sia preso in prestito da un altro. «Insight» è un esempio di termine che è entrato a far parte del vocabolario nel settore della psicologia, ma che può trovare applicazione anche in ambito traduttologico, come dimostra il prototesto in esame.

 

3.4 Strategia traduttiva

 

La strategia traduttiva deve assolutamente tener conto della tipologia testuale a cui appartiene il prototesto (e quindi il metatesto) e del lettore modello che si è scelto. Essa viene inoltre elaborata in funzione della dominante che si è individuata.

Solitamente la strategia traduttiva più utilizzata è quella dell’esplicitazione, molto utile nel caso in cui il traduttore non riesca a trovare un traducente «azzeccato» per una possibile parola oppure nel caso in cui risulti problematica la traduzione di una determinata porzione di testo nella lingua ricevente.

Un esempio di applicazione di tale strategia nel metatesto in esame è la traduzione della seguente parte di prototesto: « […] it focuses on the role of a translator, who is involved in a mental activity closely linked with abduction, in a doing-and-making by more than trial and error.» Qualsiasi traduttore, nel caso specifico, capirebbe perfettamente il senso che le parole del prototesto vogliono trasmettere. Purtroppo però questo non risulterebbe altrettanto chiaro al lettore del metatesto qualora si decidesse di lasciare inalterata in particolare la struttura dell’ultima parte della frase. Allora, ho deciso di esplicitarne il senso parafrasando come segue: « […] si concentra sul ruolo del traduttore che è coinvolto in un’attività mentale strettamente correlata all’abduzione e che procede sia in senso astratto che in senso concreto non solo per prove ed errori.» La strategia esplicativa assolve così l’importante compito che la traduzione deve assolvere, ossia quello di trasmettere in modo chiaro il significato del prototesto.

Un altro esempio di applicazione della strategia dell’esplicitazione è la traduzione della porzione di prototesto qui di seguito riportata: «He considered the belief that knowledge may be private and independent from any previous knowledge as the basis of Cartesianism in all its guises and disguises.» Procedere con una traduzione letterale dell’ultima parte della frase era impensabile; pertanto, anche in questo caso, ho deciso di esplicitarne il significato come segue: «Considerava che la convinzione che la conoscenza possa essere privata e indipendente da qualsiasi conoscenza pregressa fosse la base del cartesianismo in tutte le sue forme esplicite ed implicite.» Ancora una volta, ho deciso di parafrasare al fine di rendere chiaro, al lettore del metatesto, il significato della frase.

In alcuni casi, in fase di traduzione del prototesto ho scelto di conservare nella lingua originale una determinata parola che presentava particolari problemi di traduzione. Un esempio è «at-homeness», termine che è stato trasferito senza alcuna modifica dal prototesto al metatesto. Tra i vari traducenti possibili, vi era il termine «accasamento» derivante da un tentativo di traduzione il più possibile letterale della parola inglese. Tale termine nella lingua ricevente significa però «l’accasare, l’accasarsi», ossia «mettere su casa, sposarsi». Appare ovvio che se avessi optato per una traduzione di questo tipo, avrei commesso un errore di senso. La soluzione migliore che ho scelto di adottare in ultima istanza è stata pertanto quella di conservare il termine inglese, che di certo crea un residuo, ma che indubbiamente rende meglio l’idea che l’autrice intendeva esprimere nel prototesto.

 

3.5 Residuo traduttivo

 

Il processo traduttivo che è stato posto in essere è quello della traduzione verbale interlinguistica. Il prototesto è in un codice naturale, la lingua inglese, e la sua trasformazione in metatesto è di carattere testuale in quanto sia prototesto che metatesto si presentano sottoforma di testi verbali. Il processo traduttivo non può non tener conto del fatto che ogni atto comunicativo comporta un residuo e che tale residuo serve in parte a completare il suddetto processo.

Dopo aver individuato qual è la dominante del metatesto e qual è il lettore modello a cui questo testo si rivolge, ho elaborato e attuato una strategia traduttiva (descritta nel paragrafo precedente) che ha lo scopo di trasformare nuovamente in parole il messaggio contenuto nel prototesto. E’ in questa fase di riverbalizzazione che si crea residuo, ossia quella parte di prototesto che ho deciso di tradurre in modo metatestuale, sottoforma di apparato critico, note, etc.

A questo punto occorre puntualizzare che, in caso di residuo, il traduttore deve predisporre due metatesti: il primo è il testo tradotto, mentre il secondo è l’insieme dei testi di accompagnamento della traduzione vera e propria. Colui che si accosta alla traduzione deve fare il possibile per esprimere nel (secondo) metatesto tutto ciò che non è traducibile in modo diretto nel testo tradotto. Nell’ultima fase del processo traduttivo questi due metatesti si uniscono e il metatesto diventa uno solo, ossia la coesione di entrambi i testi (traduzione adeguata + apparati ed extra testi).

Il presente paragrafo ospita l’analisi di quelle parti del messaggio che non sono state convogliate in modo immediato e ne spiega la ragione. Quello seguente procederà con la descrizione delle soluzioni adottate e delle tecniche utilizzate per la gestione di tale residuo traduttivo.

Qui di seguito è riportato un elenco di esempi di termini ed espressioni che hanno creato residuo:

 

–       il termine «insight», che ricorre più volte all’interno del prototesto, ha creato problemi di traducibilità.

L’«insight» è un concetto di difficile definizione, certamente non nuovo alla psicologia. Deve le sue origini principalmente alle teorie della Gestalt. Secondo gli esponenti di questa corrente l’«insight» si riferisce all’«improvvisa consapevolezza di una nuova soluzione di un nuovo problema» (Darley,1998) e una delle caratteristiche più significative sarebbe rappresentata dalla sua imprevedibilità. Il termine è stato poi ripreso dalla psicologia clinica, per assumere nuove sfaccettature di significato. Un utilizzo molto interessante è quello che ritroviamo all’interno della psicoanalisi dove, avendo comunque mantenuto la sua accezione originaria di «lampo improvviso», di soluzione inaspettata e folgorante, ha assunto una serie di connotazioni di volta in volta vicine alla comprensione emotiva, o alla comprensione intellettiva, contribuendo così alla vaghezza del termine (Sacerdoti, Spacal, 1985).

Nel lessico psichiatrico, l’«insight» definisce il grado di consapevolezza della malattia, anche se non vi è tuttora una completa univocità sulla sua definizione. Storicamente questo termine fa la prima comparsa in ambito psichiatrico nel 1836, nel Lehrbuch der Psichiatrie di Krafft-Ebing, come «einsichtslos» (ossia «privo di comprensione») proprio per indicare la incapacità del paziente di riconoscere la sua condizione delirante. Uno dei primi autori ad andare alla ricerca di una definizione del termine nella psicosi è Aubrey Lewis nel 1934. In un articolo pubblicato sul British Journal of Medical Psychology, Lewis riesce a dare una visione moderna dell’«insight», che definisce come «il corretto atteggiamento nei confronti dei cambiamenti patologici in se stesso e, inoltre, il rendersi conto che la malattia è mentale». Questo concetto può dunque, al di là di una sua univoca definizione, costituire un ponte, un legame tra psicologia e psichiatria.

Il dizionario della lingua italiana indica che «insight» è un termine settoriale, utilizzato in psicologia per definire «la capacità di comprendere i processi mentali propri o di altre persone» oppure «la percezione immediata del significato di un evento o di un’azione».[2] A mio parere, Gorlée, mediante l’utilizzo di questa parola nel prototesto, intende trasmettere un significato che è più vicino a quest’ultima definizione.

D’altro canto, alla luce di quanto affermato finora, sarebbe un errore azzardare una traduzione nella lingua ricevente. Tra i possibili traducenti troviamo, infatti, «comprensione», «intuizione», «percezione»: tutti termini che ridurrebbero di molto (anzi troppo) il campo semantico di «insight».

 

–       «musement» è apparso fin da subito un termine dalla traduzione non certo semplice.

Va innanzitutto puntualizzato che tale sostantivo non trova posto nel dizionario della lingua inglese. Potrebbe derivare dal verbo «to muse» che significa «meditare», «ponderare», «riflettere», ma non c’è nulla che ci fa supporre la veridicità di tale congettura. Appare pertanto essenziale considerare il co-testo nel quale tale termine è inserito, così da comprenderne meglio il significato.

Nel prototesto, alla prima comparsa della parola «musement» fa seguito una definizione molto chiara: «[it] stands for a felicitous concatenation of internal forces, including genetic ones, that affect the inquirer, as well as a favorable coincidence of external factors. None of these cannot be fully controlled or determined by the inquirer’s will: they are partly conscious and partly unconscious.» E ancora, più avanti nel testo, troviamo: «To achieve the hypnotic state of mind in which the unconscious (the imagination, in the etymological sense of the word) is both unblocked and stimulated, what is needed is a temporary suspension of voluntary action and conscious mental activity, and an equally temporary indifference toward logical routines and mental prejudices (which make the inquirer blind to valid, true, and/or relevant elements outside his own presuppositions). Only in this state of lassitude and reverie – Peirce’s musement – can the translator’s skilled mind relax, submit itself unselfishly to the problem, and dissolve his “I” into it.»

Secondo Peirce, la primissima fase del ragionamento abduttivo è una forma di puro gioco che egli stesso definisce «musement». Per comprendere il concetto di «musement», bisogna partire da quello di puro «gioco». Il gioco è «l’esercizio intenso delle proprie facoltà» e il puro gioco non è governato da regole o leggi, «fatta eccezione per la legge della libertà». Nel gioco mentale, lasciamo che la nostra mente giochi liberamente con le idee. Il gioco mentale può assumere, ad esempio, la forma della contemplazione estetica, della costruzione di castelli in aria oppure della considerazione di una qualche meraviglia di uno dei tre universi dell’esperienza, con speculazione riguardo alla causa degli universi e delle loro connessioni. Quando esso prende quest’ultima forma, Peirce lo definisce «musement». Dato che il «musement» è un tipo di gioco che non ha regole, eccetto quella della libertà, non si può prevedere la forma esatta che esso assumerà in ogni circostanza e con ogni persona.

Il pensiero abduttivo e congetturale, all’inizio, è puro gioco, non governato dalla ragione critica. Il pensiero congetturale è connesso a «una certa piacevole occupazione della mente» che Peirce chiama reverie o «musement». L’abduzione è «l’idea di mettere assieme ciò che prima non si era mai immaginato di accostare (un’idea) che fa brillare la nuova suggestione prima della nostra contemplazione.»

 

–       «bias» in inglese può essere sia verbo che sostantivo. Tra i vari significati di «bias» (come nome) forniti dal dizionario, quelli che più si avvicinano all’uso che ne fa Gorlée nel prototesto sono «an inclination of temperament or outlook, especially a personal and sometimes unreasonable judgment» oppure «an instance of such prejudice». E tra i sinonimi troviamo «prejudice» e «predilection».[3] Quindi «bias» significa «pregiudizio», «prevenzione», «preconcetto» oppure «tendenza», «distorsione». Tuttavia non è stato così semplice risalire al corrispondente italiano.

Quando l’autrice nel prototesto parla di «biased translation» specifica fra parentesi che intende «manipolata», ma il termine sta ad indicare qualcosa di più, ossia una specie di traduzione «deformata» e qualora si optasse per l’utilizzo di uno solo dei traducenti sopraccitati in sostituzione dell’inglese «biased», si rischierebbe di ridurre troppo il campo semantico.

 

–       Sempre trattando l’argomento dell’abduzione, Gorlée cita la «mozione ermeneutica» a quattro fasi di Steiner, dove la prima somiglia all’abduzione di Peirce e contempla ciò che egli stesso definisce una «initiative trust». Nel contesto nel quale è inserito, l’aggettivo «initiative» significa sia «initial», ossia «iniziale», sia «initiatory», ossia «iniziatico, relativo all’iniziazione». Purtroppo però nella lingua ricevente non esiste un traducente che voglia dire entrambe le cose e quindi, in fase di traduzione, è necessario compiere una scelta che privilegi l’uno o l’altro significato, a scapito ovviamente di trasmettere la globalità di senso espressa dall’aggettivo inglese.

 

–       «catch-as-catch-can» è uno degli esempi più rappresentativi di residuo traduttivo. Nel prototesto, l’espressione viene usata come aggettivo, ma può anche essere un avverbio.

Tradotto letteralmente, l’aggettivo significa «in any manner possible», «using any available means or method».[4] «Catch-as-catch-can» è «an idiomatic phrase in English describing a situation in which an ad hoc solution must be improvised due to the lack of ideal conditions.»

Il processo traduttivo non è stato semplice. Una traduzione troppo letterale nella lingua ricevente, quale ad esempio «colgo ciò che si può cogliere» non rendeva bene l’idea e neppure mantenere l’espressione inglese nel metatesto, inserendo poi una nota esplicativa, appariva la soluzione migliore soprattutto perché avrebbe provocato un senso di straniamento nell’ipotetico lettore del metatesto.

 

 

 

 

3.6 Gestione del residuo traduttivo

 

Il paragrafo precedente si conclude con un elenco di quei termini ed espressioni che hanno creato residuo. A questo punto, è necessario concentrarsi sul recupero di tale residuo traduttivo, ossia sulla resa metatestuale, che non trova spazio all’interno del testo tradotto, bensì nell’apparato critico paratestuale.

Tali elementi paratestuali possono essere: una nota del traduttore, una postfazione, una cronologia, una didascalia, una bibliografia, un glossario, ecc.

Nel caso della traduzione in esame, avrei potuto predisporre un glossario di quei termini e/o espressioni che creano residuo, con relativa spiegazione. Se avessi optato per questa scelta, avrei dovuto creare delle note a piè di pagina con la funzione di rimando al glossario.

In fase di traduzione, ho deciso invece di creare, dove necessario, delle note del traduttore. Una scelta di questo tipo fa parte della tendenza all’esplicitazione del contenuto del testo tradotto. Le note del traduttore sono sia esplicitanti che compensative perché sono nate sia con lo scopo di esplicitare qualcosa che può essere di difficile comprensione per il lettore del metatesto, sia perché nascono dal bisogno di compensare le deficienze comunicative del testo tradotto.

Nel concreto, ho deciso in alcuni casi di lasciare i termini nella lingua originale per vari motivi: perché la parola è ormai entrata a far parte del dizionario della lingua italiana (es. «insight») oppure perché il termine esprime un concetto ben preciso e perché non esiste un traducente adeguato nella lingua ricevente (es. «musement») o ancora perché l’uso di uno dei possibili traducenti ridurrebbe in modo eccessivo il campo semantico del corrispettivo inglese (es. «bias»).

Come già detto nel paragrafo precedente, anche l’aggettivo «iniziative» ha creato problemi di traducibilità in quanto può voler dire sia «iniziale» che «iniziatico». Alla fine ho optato per il primo traducente, a scapito ovviamente del significato espresso dal secondo. Ho pertanto inserito una nota del traduttore con lo scopo di colmare la lacuna informativa venutasi a creare nel processo di riverbalizzazione.

La traduzione dell’espressione «catch-as-catch-can» è forse l’esempio più caratteristico di residuo nel metatesto in esame. In ultima analisi ho deciso di utilizzare il traducente italiano «approssimativo», che significa «imperfetto, impreciso, generico, poco esauriente»[5]. L’aggettivo italiano “appiattisce” molto la frase e il lettore del metatesto perde tutta l’espressività che trasmette invece l’espressione inglese nel prototesto. Non avendo trovato altra soluzione, nella nota ho riportato e spiegato la frase idiomatica inglese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TRADUZIONE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Abduction: Intuition vs. Instinct

 

Early on, Peirce strongly rejected the notion of intuition in its philosophical meaning of immediate cognition «not determined by a previous cognition of the same subject, and therefore so determined by something out of consciousness» (CP: 5.213 = W 2: 193, 1868). He considered the belief that knowledge may be private and independent from any previous knowledge as the basis of cartesianism in all its guises and disguises[i]. Instead of such epistemological solipsism (which has been espoused by the vast majority of major philosophers since Descartes), Peirce taught that all cognition is in signs, mediated by the inferential process, and hence shared and open to scientific verification. «We have no power of thinking without signs,» he stated (CP: 5.265 = W 2: 213, 1868); and «life is but a series of inferences or a train of though» (CP: 7.583 = W 1: 494, 1868). Inferences, or thought-signs reflect the different ways in which we make sense of phenomena we observe; and any premises may form the conclusion of a previous demonstration. This is reflected in Peirce’s theory of instinct as it develops towards reason, and is embodied in the buildup of his three modes of reasoning.

 

This means that, for Peirce, there is a sharp divide between two terms – intuition and instinct – which otherwise, in a non-technical sense, are used almost interchangeably to designate the quality or ability of direct perception of a truth, fact, and so on, or having quick insight into, or natural talent for something[ii]. Not coincidentally, this capacity, though overshadowed by logical reason, is particularly highlighted in abduction, the pivotal Peircean concept which he «invented» as early as 1866 (W 2: 108, 1867). Peirce thereby expanded the traditional dichotomy (deduction and induction) to a trichotomy in which abduction plays a preliminary but vital part. Abduction seeks to explain satisfactory and make sense of any external fact which is surprising and anomalous to an observer or inquirer, thereby challenging his or her ingenuity. The abductive process consists in the search,

 

 

 

 

framing, choice, and tentative retention of an hypothesis that is strong enough on which to build further argumentation.

 

Within the abduction-induction-deduction trichotomy, the abductive inference has essentially a weak truth value. In and by itself, instinctive reasoning can therefore lay no justifiable claim to absolute certainty, the truth value which we aspire to reach. Abductive conclusions are not based on an identifiable cause or constraint which ensures that the pattern we choose to observe will also occur elsewhere. Abduction is an explanatory method to create a simple and attractive hypothesis which accounts for the external experience under investigation. Though this means that the hypothesis cannot be accepted as providing proof or demonstration until it is tested further, abduction is far more than gratuitous guesswork and mere speculation. The quality of the intuitionistic judgment cannot be guaranteed, yet «it has seldom been necessary to try more than two or three hypothesis made by clear genius before the right one was found» (CP: 7.220, 1901). Abduction is also the creative force that introduces new and original ideas into what would otherwise be a «reasonable» (CP: 5.174, 1903) but utterly rationalistic and, thus, lifeless procedure. Without the ideas generated through abductive inference in a trained mind guided by, as Peirce said, «il lume naturale, which lit the footsteps of Galileo» (CP: 1.630, 1898)[iii], the logical procedures would not only be badly lacking in inventiveness and initiative, and therefore remain incomplete; but more seriously, they would tend to be self-serving, self-actualizing, and, thereby, self-validating, and could go no further.

 

Abduction is concerned with making relevant, clever guesses involving fresh, new connections between question and solution trough a flash of understanding; this crucial experience is the eureka act[iv]. Truly brilliant insights – that is, development leading to scientific progress – are not won by pure deduction: they are reached by metaphor – drawing an analogy from something observed to something unobserved. In Peirce’s words,

 

 

 

to do is «to find out, from the consideration of what we already know, something else we do not know» (CP: 5: 2 = W 3: 244, 1877). Knowledge, therefore, is not some entity existing in the outer world, waiting for an observer or inquirer to discover it and, perhaps, to manipulate it according to his or her wishes and fashions. Rather knowledge is created and/or invented in the inquirer’s inner world in order to account for a particular piece of experience. Such creative ideas are typically won at key moments of abductive insight, requiring a trained mind capable of entering the desired meditative state of mind. This is Peirce’s suggestive notion of «musement» (see further CP: 6.452-6.465, 1908), which stands for a felicitous concatenation of internal forces, including genetic ones, that affect the inquirer, as well as a favourable coincidence of external factors. None of these cannot be fully or determined by the inquirer’s will: they are partly conscious and partly unconscious.

 

Abductive ideation is a special reasoning power which deserves a better fate than to be granted secondary status. Cognitive psychology regards feeling and emotion as secondary to thinking[v]. Abduction may only be a half conscious, and hence a false and undeveloped – in Peirce’s terminology, a degenerate – problem-solving method, the «mystery that overhangs this singular guessing instinct» (CP: 7.46, c.1907). But that certainly does not mean abduction is all instinct and no reason, nor that it is resistant to being successfully applied outside the syllogistic framework of pure logic. Indeed, abductive heuristics is essential to all interpretative acts – that is, acts requiring inspired discovery of all kinds and in all fields of research and inquiry, scientific as well as praxical[vi].

 

The fragmentary but signifying steps of abductive activities, are encountered in the present investigation of interlingual translation. The investigation seeks the possible (yet simple, plausible and fugitive) hypotheses that have the most explanatory power. The abductive approach to translation, at the interface of

 

 

 

 

 

 

nature and culture, shows the shift from (biologically determined) instinct to (culturally determined) method, while at the same time eschewing Peirce’s problematic reliance on a vague and «mystic» instinct and other metaphysical (as opposed to empirical) beliefs.

 

Translation: Justification vs. Discovery

 

That abduction, as the logic of creative or genetic discovery is relevant to translation, has so far been little acknowledged by translators, translation theorists, and translation didacticians. Concerning translation as a process, there are occasional references to non-inductive and non-deductive creativity (Wilss 1988: 111). Perhaps counterintuitively, one finds the notion of explanatory hypothesis, and hence of discovery, in descriptive translation studies concentrating on translation as a product or result of the translation process, and particularly in the thought of Toury.

 

In Descriptive Translation Studies and Beyond (1995), Toury reaffirms his target-oriented paradigm – his emphasis is on the translated text and its constituents – as the primary object of investigation: its form, its usage of the target language, its role and functionality in the target culture, and its genesis. In contradistinction to the translated (source) text, and a fortiori the translation process, which are non-observable entities and need (re)construction before they can be studied, the object at hand is usually not the text-to-be-translated, but rather the translated text (Toury 1995: 36). That the latter is really a translation, is an assumption, the first result of an entire set of intuition-based inquirers yielding explanatory hypotheses which will have to undergo systematic justification if they are to be accepted as valid explanations.

 

For Toury, this means the following: A translation at the outset can only be tentatively marked as such by the investigator, because it might still turn out to be, say, a pseudotranslation (Peirce’s chance) or a biased (i.e., manipulated) translation (mentioned above).

 

 

Peirce’s architectonic argued from chance to law to the tendency to take habits (CP: 6.32, 1891, cf. CP: 1.407-1.409 and W: 6: 207-208, 1887-1888). In this development from irregularity toward regularity, «an element of pure chance survives» (CP: 6.33, 1891) – Firstness, Peirce’s sign meaning puzzle and paradox[vii]. The positioning of the (assumed) translation in the target language and culture is, until further notice, equally an explanatory hypothesis rather than a real fact. Finally, there is the transfer postulate. This postulate assumes that certain similarities and/or relationships exist which justify regarding the (assumed) translation as being translationally derived from another text that pertains to a different culture and is written in the language belonging to that culture. As illustration, we can point to the journeys through different times, places and languages in The Thousand and One Nights, discussed above in the section on «Image, Model, Metaphor.»

 

It should be evident that Toury’s argumentation follows, albeit implicitly (not explicitly), the course of Peirce’s scientific method, while giving what Peirce called abduction the weight it deserves. Those equivalent translated signs (interpretants) that original signs give rise to in the minds or quasi-minds of interpreters[viii] may follow from these primary signs hypothetically (abductively), inductively, or deductively, so that conclusions are those interpretants which are especially singled out from other possible interpretants. This happens theoretically within a process of inquiry that starts out with an abductive hypothesis being «entertained interrogatively» (CP: 6.524, c. 1901) and that proceeds to justify itself inductively before reaching, deductively, the definitive conclusion intended to give truth. Although among induction, deduction and abduction the latter kind of hypothesis is endowed with the lowest coefficient of objective truth, it is the engine of reason, the primus motor toward the deductive conclusion, at which stage all weaknesses and contradictions should have been eliminated from the system. This also holds for pragmatical translation, both as process and as product.

 

 

 

 

The process of translation deals with complex utterances in some language, about which partial, transcoded interpretants are generated on three levels, which are then combined and made to meaningfully interact in a new whole. If one views the interpretants composing the translation as partly grammar-generated solutions, then meaning is the result of an exhaustive search, in which partly new ideas or chance discoveries (in Peirce’s sense) arise. The latter are a plausible, if not perfect, solution to the problems encountered. The abductive solution is found without examining all of a (possibly enormous) mass of relevant information, but instead results from intuitive shortcuts that characterize decision-making. The emergence of such solutions, translational and otherwise, «is never either a quantum leap to a state of affairs totally unrelated to a previous state of affairs or a continuous transition from one state to another. Both factors are always involved in discovery» (Tursman 1987: 22). Although «Peirce gives more weight to continuity than to abruptness» (Tursman 1987: 22), translation should not be equated with rule-bound step-by-step behavior; it is only determined to a point by the linguistic codes of the translated text. What remains is open to free and speculative discovery, guided by unpredictable clues about cultural context.

 

When Toury describes the actual discovery-plus-justification procedure, still with reference to descriptive translation studies, his account sounds genuinely semiotic, yet once again without using overtly semiotic terms in reference to that procedure. In tandem with his schematic representation of discovery procedures and their corresponding counterpart, justification procedures, Toury places emphasis on their non-linear nature:

 

Rather, in every phase, from the very start, explanatory hypotheses will be formulated, which will then reflect backwards and affect subsequent discovery procedures. The normal progression of a study is thus helical, then, rather than linear: there will always remain something to go back to and discover, with the concomitant need for more (or more elaborated) explanations. (Toury 1995: 38)

 

 

This passage is crucial, because it places each new semiosis on a higher meaning, in accordance with Peirce’s view of semiosis as a helical (or pyramidal) motion[ix]. According to this view, semiotranslation begins with an unsystematic search in a certain direction, the unfocused essence of abductive discovery, which is gradually but rhapsodically integrated into the course of action by controlling it – that is, by experimenting with it and rationalizing it. Toury’s account shows that Peirce’s logico-semiotic method is wholly applicable to the identification, description, and analysis of translation as a meaning-generating thought experiment in which an abductively generated hypothesis is tested in various ways.

 

Semiotranslation Revisited

 

Two terms run throughout my notion of semiotranslation. First, we should consider seriously the logical implications of Peirce’s semiosis as a paradigm for (sign) translation, of which interlingual translation is only one ramification. Second, translation in turn exemplifies semiosis, translation being understood here in its manifold varieties, but especially focusing on Jakobson’s language-based distinction, with particular emphasis on interlingual translation. In the sign relation, the sign is wholly determined by the object, while the interpretant (or translation) is determined by the sign only up to a point. The sign’s meaning is thus, on the one hand, bound to remain, at least partly, indeterminate; on the other hand, and thanks to this indeterminacy, the threefold sign-relation becomes a process of inquiry and discovery that focuses on the shifting scope of precisely the «space between» the interpretant (translation) and the object (real state of affairs).

 

Semiotranslation is, as indicated before, a semiotic web that resembles a «growing tree» (MS 283: 98, 1905) that will lead to a «developed tree» in Peirce’s friend, William James’s (1890) Principles of Psychology (1910: 222)[x]. James coined the influential metaphor «stream of consciousness» to refer to the fluid symbols in the unbroken flow of thought (Abrams 1981: 186-187). Beyond known, public syntax and semantics

 

the interpreter reaches out to respond to the verbal suffusion of his or her unknown, inward feelings:

 

It is the overtone, halo, or fringe or the word in an understood sentence. It is never absent; no word in an understood sentence comes to consciousness as a mere noise. We feel its meaning as it passes; and although our object differs from one moment to another as to its verbal kernel or nucleus, yet it is similar throughout the entire segment of the stream. (James 1910: 281)

 

The semiotically «equivalent» ideas arising from the aspiring tree, while rooted in a common trunk, shoot out like new braches and subbranches in different directions. The branches and subbranches progressively harmonize chaotic, unorganised, and problematic interpretations in the original translations, as well as elements and/or aspects of translation and mistranslation. Through steadily integration of new pieces of information about the dynamical object, an interpretive and translational order is created out of chaos. At the same time, the new translations tend to neutralize dubious, misleading, and false ones. The varieties of sign-translations make the real meaning of new branches ever more complete, detailed, and continuous. Yet there will always remain informational lacunae in any translation.

 

«Ah how fleeting, ah, how empty»[xi] aptly characterizes how a translation – that is, the rule of translation between sign and object as it happens to crystallize itself – is never finished and never perfect. A translation is, eventually, a temporary guide pointing towards itself and towards other translations. Abduction is the first phase of the entwined life-forms of translating. It involves, firstly, the rapid glance of the translator’s mind at the text to be translated to sense its possible translatability and untranslatability of that text. A rapid glance means a brief and largely unconscious perception or sensation, without thoughtful observation by the would-be translator. It is fleeting feeling, like a shiver of delight that runs down the spine of the translator, without yet coming to express any further belief or conviction regarding into

 

old (translatable) and new (translated) areas. The old text is scanned with a gaze of discovery, without the riveted attention that would lead to a detailed and fixed certainty of knowing, but only a wondering gaze of curiosity or even surprise. The translator toasts his bittersweet victory (or defeat).

 

The view of the possible translator remains abductive at the primary level. At this stage occurs the vigilance of glimpsing gaps between the panoramic abstraction of general translatability, and a still future possibility of concrete attentive action; and between the knowledge of the translatable text, the knowledge of the translator’s mind, and the knowledge of the future audience – including lack of knowledge regarding untranslatability. Abductive translation is a visual fallacy, misfallacy, and fallacious disorder; it is an error inherent in the human condition[xii].

 

Let us take a practical issue in translation theory for which a solution could be found by placing it into (or better, outside) the framework of Peirce’s abduction. We have argued that the brain perceives by anticipation, that is to say, by sensation before action. It formulates perceptional hypotheses about the degree of (un)translatability. In translation studies the abductive phase (under a non-semiotic name) does not engage issues of translatability, but rather those of readability, and it considers transferability factors of different alphabet-like systems, text systems, writing systems, and the like. Since the translation process is a mental process not open to direct scrutiny (the so-called black box), it might be argued that translation can only be explained by a public action that follows from a secret, abductive motion. This means that, after surviving abduction as translatability, the a priori act filters out of the translation process, as argued in actual translation theory.

 

In translation studies, the translation procedure in itself has been commonly but arguably «hypothesized» as a chronological sequence involving variously three or four stages. The first translatability phase has been assured. In a highly praxis-oriented spirit, Koller distinguishes between three translational phases, consisting of the draft, or «shortlived,» translation; the working,

 

or «middle-lived,» translation; and the print-ready, or «longlived,» translation: «The draft translation may be further developed into a working translation, thereby improving its quality; and the working translation can again become the point of departure for a print-ready translation» (1992: 203; my translation).

 

Koller’s linguistic criteria here are qualitative and correspond to a mounting scale of grammatical, lexical, stylistic, and other factors contributing to «accuracy, correctness, and adequacy» (Koller 1992: 204; my translation). As explained by Koller, the first phase produces a draft translation of limited scope and usage. Its focus on accuracy means that there must be identity in terms of content, but violations against morphological, syntactic, phraseological, lexical, stylistic, etc. rules are still accepted at this stage. In a second-phase translation, accuracy as well as correctness are required; it may contain no grammatical, lexical or stylistic errors. Finally, Koller’s print-ready translation is characterized by the triad of accuracy, correctness, and adequacy. A product of solid research and serious reflection, it aims to satisfy the most rigorous norms and expectations.

 

It must be noted, however, that the progression from, roughly, fidelity to source-fact, agreement with target-code, and finally accordance with text-type between source-text and target-text, sets singularly relative priorities. The three steps advanced by Koller to describe the quality of the translator’s performance can only be defined in relation to one another. External criteria of assessment are absent here. This greatly reduces the usefulness of Koller’s three-step process outside pure translation practice and pedagogy. Yet it is tempting to view Koller’s first product, the rough draft, as a product of abduction, since the rough draft, like abduction, is impromptu in nature, originates in speculation, and has only provisional value.

 

It should also be remembered that in a Peircean paradigm, too, a translation is evaluated in terms of quality. Yet, in contradistinction to Koller’s exclusive focus on translation in terms of its practical usefulness

 

 

as judged by the intended target receiver(s), for Peirce quality meant truth-value in reference to some purpose of beauty (Firstness), usefulness (Secondness) or insight (Thirdness). The strong point of abduction lies, of course, in proposing beauty. Such aesthetic qualities are de-emphasized, if not ignored, by Koller.

 

With some necessary «theoretical speculation,» Toury proposes a four-stage schematic representation of translation:

 

(1) an indispensable decomposition of the initial entity up to a certain, varying level, and assigning its constituents at this level the status of «features»;

(2) a selection of features to be retained, that is, the assignment of relevance to some part of the initial entity’s features, from one point of view or another;

(3) the transfer of the selected, relevant features over (one or more than one) more or less defined semiotic border;

(4) the (re)composition of a resultant entity around the transferred features, while assigning to them the same or another extent of relevancy. (Toury 1986: 1114)

 

In contradistinction to Koller’s practical proposal describing the quality of the end-product, Toury’s program here is highly theoretical and process-oriented. A prerequisite for it is that the text ab quo can be divided into discrete units, some of which may then be considered as relevant «from one point of view or another» (as semiotic signs) and others as irrelevant (as non-signs). Only the former are then transcoded, while the fate of the latter, evidently disposable, units remains rather unclear in Toury’s proposal.

 

Responding to this, it seems to me that no parts of a source text may be concealed by camouflage without some form of erosion taking place, whereby the semiotic substance can only be thinned in the successive semioses it undergoes, instead of becoming progressively richer in content, and growing toward truth, as Peirce would wish. The notion of relevance

 

brandished by Toury is really a dangerous and indiscriminate weapon. It may have an intuitive basis (which makes the operation an abductive one), but it may also have an ideological bias (in which case we are rather facing a deductive procedure). Toury’s scenario here seems more tailored to suit rhetorical needs than to lead to the truth in the way Peirce saw it.

 

In After Babel, Steiner proposes for the translation process a fourfold «hermeneutic motion» (1975: 296), which in his description really consists of three stages and an illusory fourth. In the first stage, which resembles Peirce’s abduction , there is «initiative trust» in the meaningfulness of the «”other” as yet untried, unmapped alterity of statement» in the text-to-be-translated (Steiner 1975: 296). This trust «will ordinarily be instantaneous and unexamined, but it has a complex base» (Steiner 1975: 296). After what looks like a description of Peirce’s Firstness, Steiner proceeds to the second stage of translation, where the initial trust is put to the test of confrontation, and the «manoeuvre of comprehension [becomes] explicitly invasive and exhaustive» (1975: 298). The text is now attacked, as it were, in its «otherness,» in an act of aggression in which we «”break” [its] code … leaving the shell smashed and the vital layers stripped« (Steiner 1975: 298). This is remarkably similar to Peirce’s Secondness. «The third movement», Steiner continues, «is incorporative, in the strong sense of the word … embodiment … [W]e come to incarnate alternative energies and resources of feeling » (1975: 298-299). This last process, of «comprehensive appropriation,» may result in a «complete domestication, an at-homeness» of the translation in its new situation; or the translation may have acquired a «permanent strangeness and marginality» in it (Steiner 1975: 298). The fact that a translation may work either as «sacramental intake» or as its opposite, an «infection» (Steiner 1975: 299), means that it still lacks

 

… its fourth stage, the piston-stroke, as it were, which completes the cycle. The a-prioristic movement of trust puts us off balance. We

 

 

 

 

«lean towards» the confronting text … We encircle and invade cognitively. We come home laden, thus again off-balance, having caused disequilibrium throughout the system by taking away from «the other» and by adding, though possibly with ambiguous consequence, to our own. The system is now off-tilt. The hermeneutic act must compensate. If it is to be authentic, it must mediate into exchange and restored parity. (Steiner 1975: 300)

 

By reaching a new state of synthesis, Steiner’s model has reached an idealized level unattainable in actual real-life translation. Steiner’s step-wise scenario has an important virtue when recontextualized within semiotics: it resembles semiosis and is interestingly reminiscent of Peirce’s succession of three interpretive moments as manifested in the First (immediate/emotional), Second (dynamical/energetic), and Third (final/logical) interpretants – the latter in tern subdivided in a non-ultimate and an ultimate logical interpretant (Short 1986: 115). These perhaps partly overlapping, inferentially reached developmental stages show an increasing degree of «hardness» or solidity of belief, and reflect Peirce’s «three grades of clearness» in the solution of mental problems (CP: 3.456ff., 1897), of which problem-solving in translation is one, equally norm-governed, example. Particularly the «radical generosity» of Steiner’s translator, which «will, ordinarily, be instantaneous and unexamined» but has «a complex base,» sounds remarkably like instinctive reasoning à la Peirce, primarily because it focuses on the role of a translator, who is involved in a mental activity closely linked with abduction, in a doing-and-making by more than trial and error.

 

Abduction and Translational Creativity

 

By now it should have become clear that the human translator commonly arrives at the translational answer, choice, and/or decision, however provisional,

 

 

 

 

 

by a much more catch-as-catch-can method than by analysis and transcoding of words, sentences, paragraphs, etc., which is the case in computer translation. Anderson (1987) distinguishes scientific creativity, which Peirce dealt with explicitly, from artistic creativity, which must largely be extrapolated from Peirce’s work. While both hinge on abduction, scientific creativity leads to discovery and builds on analogy, whereas artistic creativity leads to creation and builds on metaphor. Taking as his point of departure Peirce’s division of iconic signs in images, or First Firstness; diagrams, or Second Firstness; and metaphors, or Third Firstness (CP: 2.277, c.1902), Anderson (1987: 68) argues that the goal of scientific discovery is a hypothesis which is analogous (diagrammatical) to the existent world; in contrast, the goal of artistic creativity is the presentation of a new quality of feeling, which is metaphorical in nature.

 

Since a translation, in order to be considered as one, must parallel, both as a whole and in its parts, the qualitative structure of some pre-existent text-sign, it is an index whose iconicity is dominant. Language, together with linguistic codes involved, places both translated and translatable texts under the aegis of symbolicity; that is, involving in turn both iconic and/or indexical elements. In one respect, this univocal likeness makes translation a case of analogous thought, i.e., of scientific discovery. On the other hand, if the translator freely indulges his artistic skills, he is bound to create not an analogy but rather a metaphor, i.e., something new, by building on an equivalent likeness between two things whose qualitative structures are essentially dissimilar but are considered similar for the purpose of the argument. This makes metaphor a symbol in which iconicity plays a dominant role[xiii].

 

The distinction between both modes, which like every concept in Peirce’s thought are not mutually exclusive but must be placed on a continuum, corresponds to what is commonly referred to as literal

 

 

 

 

 

vs. free translation; this distinction is often used with special reference to informative text on the one hand and poetic texts on the other. In a Peircean paradigm, this traditional dichotomy, which is reflected in most text typologies, is replaced by a sliding scale, so that the transition between text types is never sharp, but always fluid[xiv].

 

The initial stages of translator, when a first logical interpretant Iis generated, consist in serendipitous yet serious guesswork by the translator; but also in the course of later semioses, whenever the translator/inquirer seems to have manoeuvred himself into an impasse where new impulses are needed, the abductive fire may be rekindled to help spark hopeful suggestions and thus inform the elaboration, verification, and consolidation of the translation (including falsification and deleting of the translation). Indeed, to Peirce, pragmatism is «the logic of abduction» (CP: 5.195 and following paragraphs, 1903); and in Peirce’s pragmatic parlance, abduction is Peirce’s «rock bottom» of inquiry. Abductive translation takes central stage in the primary, hardening process of soft translation habits.

 

Despite his keen interest in abduction, Peirce, the anti-psychologist logician, never described a logical step-by-step process of how a creative individual generates hypotheses. His logic of discovery focuses chiefly on the methodology of inquiry and problem-solving (Peirce’s methodeutic, also called speculative rhetoric) at the expense of speculative critique and speculative grammar. Peirce’s emphasis on developing «a method of discovering methods» (CP: 2.108, 1902) and its exemplification in his project of the economy of research[xv] implied that the logic of discovery is the abductive process. Peirce had outlined this originary logic, which «addresses itself to the question of how new ideas or hypotheses arise in the mind and of what kinds these may be» (Tursman 1987: 14), as a philosophical pursuit rather than a practical manual, without providing a full account of the question of the eureka act and the quality of the ideas. The conditions and/or the criteria for a successful hypothesis are, as can be expected in a Peircean paradigm, three in number. They are judged in reference to some purpose of beauty, usefulness (experimental testing) and/or insight (explanatory power). The forte of the abductively generated interpretant is, of course, beauty –

in the broad Peircean sense of simplicity, uniqueness, drama, initiative, and other ramifications of Firstness, all of them affectively colored.

 

The Translator’s Eureka Experience

 

What induces the translator to find sudden and successful solutions to the linguistic problems facing him? Once again, the preconditions are three in number. First and foremost, what is needed are genius and study. Great stress must be laid on the primary development of special skills – in this case, the complete mastery of the rules of (at least) two languages and the cultures in which they are embedded, as well as the manifold interfaces between them. This implies that the professional translator must have learned and internalized a vast number of associations and combinations with reference to individual languages (intralingual translation), language pairs (interlingual translation), and the interactions between language and non-verbal sign systems (intersemiotic translation)[xvi].

 

It should be obvious that no one individual, however trained and intelligent, can possess the unlimited resources needed to know fully the range of such processes within all universes of discourse, including the ability to anticipate and plan the future behavior of all possible intersemioses within both the arts and the sciences. Yet, for a complex yet unitary idea to emerge effortlessly, it needs the intuitive power of a disciplined and fertile mind; in fact, any such mind, not a particular mind belonging to a particular individual. Peirce was quite clear on this point[xvii].

 

Unless we are spontaneously at home in these cognitive fields and have acquired experiential expertise in areas in which they may and actually do occur, there is no basis for inspired discovery, only for discovery as a mere accident. Intelligence and professional skills are thus the first requisite for abductive ideation. The second requisite involves the translator’s mood and attitude. To achieve the hypnotic state of mind in which the unconscious (the imagination, in the etymological sense of the word) is both unblocked and stimulated, what is needed is a temporary suspension

of voluntary action and conscious mental activity, and an equally temporary indifference toward logical routines and mental prejudices (which make the inquirer blind to valid, true, and/or relevant elements outside his own presuppositions). Only in this state of lassitude and reverie – Peirce’s musement (CP: 6.452ff., 1908) – can the translator’s skilled mind relax, submit itself unselfishly to the problem (which may be a word, word combination, sentence, paragraph, etc.), and dissolve his “I” into it. He will look at the problem, view it in different lights, and freely explore it all over, that is, he will feel and listen for each meaning of an element of the problem, smell and touch it, as it were, with the tentacles of the mind and the heart. This is the first step in the abductive technique of translation.

 

Next, abduction proceeds to its second stage. With an eye to «hitting on» a solution which fits the textual «image,» the source element and its target version are brought together in the mind to see how they fit. This enables the translator to «make exact experiments upon diagrams, and look out for unintended changes thereby brought about in the relations of different parts of the diagram to one another» (MS 292: 3, c.1906). What is looked for here, playfully and absentmindedly yet «[w]ith your eyes open, awake to what is about or within you» (CP: 6.461, 1908), is a synthesis of different elements, a meaningful solution where a neat combination is made and a new pattern set, like pieces of a jig-saw puzzle[xviii].

 

Now, most translator’s heads are bent over their papers with absorbed attention, or they have their eyes fixed on the screen of their monitor. Yet what they actually see there is a chunk of text which they have already memorized at first glance. Their visual concentration is thus unnecessary, even counterproductive. By concentrating, mentally and physically, on the printed letters on paper or on the screen, they are unable to let their thoughts drift and freely associate or engage in some other «playful» occupation of the mind. Consequently, they literally manipulate scattered fragments, thereby blocking access to the kinds of synthetic solutions which are generated abductively.

 

 

 

Instead of the above procedure, after a quick glance at the piece of text to be translated, translators should be encouraged to lean back their chairs and look at the ceiling, out of a window, or (better still) no particular place at all; they should close their eyes, stare into empty space, and focus their attention «inwards,» oblivious to the world and absorbed into the process of translation. From «out there» the problem space should be moved inside the mind, be perceived by the inner eye, and be manipulated thus: the sequentially-ordered linguistic signs (which the translator is required to transpose into a different linguistic mode or code) must first be transformed into image-ideas, that is, into mental icons conveying all purported information immediately and simultaneously[xix]. Such word-images serve as a visionary, nonverbal interlingua[xx] between the problem as a unitary whole and its abductive solution; and this transitional phase permits the abductor to go beyond the given material signs, to transcend the surface structure of the text-to-be-translated, and not merely to choose from a set of pre-given (dictionary) alternatives[xxi]. Surely, there is an important task here for translation didactics.

 

As the third and last requisite come the external circumstances experienced by the creative individual in search of a eureka. As the moment of translational «truth» approaches, his musings are easily disturbed and frustrated by noise[xxii] of all kinds: not only acoustic noise, but also visual noise, physiological noise, psychological noise, social noise, documentary noise, and so on, all of them random and unwanted. Alas, only idealized situations are noiseless; in real life noise is usually avoidable. It causes a degree of disorder which distracts the translator from his work, which is unconscious and invisible yet intense. And once interfered with, musement can hardly be re-introduced by any specific voluntary action.

 

When the situation seems al last to be ripe for discovery, one chance action, event, or thought suffices to trigger the eureka: the (hopefully) lucky guess emerges suddenly and spontaneously as a flash of brilliance. This is the third and last stage of abduction, itself the primary logic of sign interpretation, and hence also of interlingual translation.

 

 

Here, the gap between the universe of the source text and the evolving universe of the target text is bridged abductively by an explosion of likeness. The translator, thrilled, may react to the ecstatic moment by acting out his exhilaration: he may laugh, jump to his feet, throw his arms into the air, clap his hands, or otherwise break his trance-like spell and express his joy in jerky body movements and/or expansive gestures[xxiii].

 

For the harmonious evolvement of the translation qua sign, the imagic-verbal hypothesis further needs to be further translated into future action. This necessity to go beyond abduction is one implication of the pragmatic maxim[xxiv] about «effects that might conceivably have practical bearings» (CP: 5.402 = W 3: 266, 1878). In our case, the effects of translation must be connected to the «real world,» where they manifest themselves as actions. The meaning-potentiality carried by the source text is actualized and developed through controlled sign-action in the future. Peirce’s empiricism therefore allows for veification. In 1905, Peirce reworded his pragmatic maxim in semiotic language, thus:

 

The entire intellectual purport of any symbol consists in the total of alla general modes of rational conduct which, conditionally upon all the possible different circumstances and desires, would ensue upon the acceptance of the symbol. (CP: 5.438, 1905)

 

Applied to the translation situation, this means that the translation is intended to reproduce and translate itself into forms of rule-creating behavior. This behavior consists in a series of interpretants, each of which is a (still partial) realization of its full meaning. Directed, in a conditional way, toward some future time, and guided by the principle of «fixation of belief,» the translator will eventually achieve its point of fulfilment, at which time all information, explicit and implicit, conveyed by the source text is supposed to have re-materialized in the target text, bringing relaxation to the translator’s task. The ultimate (or, more realistically, still non-ultimate) logical interpretant is produced at the moment suprême when final performance (or delivery) is due, the orgasmic moment

 

 

when all meanings must be realized and all purposes attained. Once all obligations have been satisfied and all tasks performed, the summum bonum of law and generality has been achieved. At the same time, however, through the final «execution» of the translation, which marks both its completion and its death, an Edenic situation is restored: pretranslational, pristine, unburdened, free[xxv] and, if so desired, ready to assume new tasks and assignments.

 

 

Abduzione: intuito versus istinto

 

Quasi da subito, Peirce respinse vigorosamente il concetto di intuizione nel suo significato filosofico di cognizione immediata «non determinata da una cognizione precedente del medesimo oggetto e pertanto determinata da qualcosa al di fuori della coscienza» (CP: 5.213 = W 2: 193, 1868). Considerava che la convinzione che la conoscenza possa essere privata e indipendente da qualsiasi conoscenza pregressa fosse la base del cartesianismo in tutte le sue forme esplicite ed implicite[xxvi]. Al posto di tale solipsismo epistemologico (abbracciato dalla stragrande maggioranza dei principali filosofi a partire da Cartesio), Peirce mostrò che tutta la cognizione sta nei segni, mediati dal processo inferenziale, ed è quindi condivisa e aperta alla verifica scientifica. «Senza i segni non abbiamo la facoltà di pensiero,» affermava (CP: 5.265 = W 2: 213, 1868); e «la vita non è altro che una serie di inferenze, o una sequenza di pensieri» (CP: 7.583 = W 1: 494, 1868). Le inferenze, o pensieri-segni, riflettono i diversi modi in cui noi diamo un senso ai fenomeni che osserviamo; e qualsiasi premessa può rappresentare la conclusione di una precedente dimostrazione. Ciò è riportato nella teoria peirceiana dell’istinto dove questo si sviluppa attraverso la ragione e si manifesta nell’accostamento di tre metodi di ragionamento.

 

Ciò significa che per Peirce esiste una netta differenza fra i due termini – intuito e istinto – che invece, in un’accezione non tecnica, vengono utilizzati quasi intercambiabilmente per designare la qualità o la capacità di percezione diretta di una verità, di un fatto e così via, per avere un insight[6] veloce o un talento naturale per qualcosa[xxvii]. Non a caso questa capacità, sebbene offuscata dalla ragione logica, viene particolarmente accentuata nell’abduzione, il concetto cruciale «inventato» da Peirce già nel 1866 (W 2: 108, 1867). Con ciò Peirce ha ampliato la dicotomia tradizionale (deduzione e induzione) in una tricotomia nella quale l’abduzione gioca un ruolo preliminare e vitale. L’abduzione cerca di spiegare in maniera soddisfacente e di dare un senso a qualsiasi fatto esterno che è sorprendente o anomalo agli occhi di un osservatore o ricercatore, stimolando il suo ingegno. Il processo abduttivo consiste nella ricerca, nell’inquadramento, nella scelta e nel mantenimento in via provvisoria di un’ipotesi che sia sufficientemente solida da costruirci sopra ulteriori argomentazioni.

 

All’interno della tricotomia abduzione-induzione-deduzione, l’inferenza abduttiva ha sostanzialmente un valore di verità debole. Di per sé, il ragionamento istintivo non può quindi portare a una pretesa giustificabile di assoluta certezza, il valore di verità al quale noi aspiriamo. Le conclusioni raggiunte per abduzione non si basano su una causa o una restrizione riconoscibili che assicurino che gli schemi che scegliamo di osservare ricorreranno anche altrove. L’abduzione è un metodo esplorativo atto a creare un’ipotesi semplice e allettante che spieghi l’esperienza esteriore indagata. Sebbene ciò significhi che l’ipotesi non può essere accettata come qualcosa in grado di fornire prova o dimostrazione finché essa non viene ulteriormente verificata, l’abduzione è molto più che una congettura arbitraria e molto più che semplice speculazione. La qualità del giudizio intuizionistico non può essere garantita, tuttavia «raramente è stato necessario provare più di due o tre ipotesi frutto di chiaro genio prima di trovare quella giusta» (CP: 7.220, 1901). L’abduzione è anche la forza creativa che introduce idee nuove e originali in quella che altrimenti sarebbe una procedura «ragionevole» (CP: 5.174, 1903) ma del tutto razionalistica e quindi senza vita. Senza le idee generate per inferenza abduttiva in una mente preparata e guidata da, come diceva Peirce, «il lume naturale[7], che illuminò i passi di Galileo» (CP: 1.630, 1898)[xxviii], le procedure logiche non solo sarebbero fortemente povere di inventiva e iniziativa, e quindi rimarrebbero incomplete; ma, quel che è più grave, avrebbero la tendenza ad essere utili solo a se stesse, ad attualizzarsi in modo autonomo e quindi ad auto-validarsi,  e non riuscirebbero ad andare oltre.

 

L’abduzione consiste nel fare delle congetture pertinenti ed intelligenti che implichino collegamenti freschi e nuovi tra quesito e soluzione attraverso un’illuminazione; questa cruciale esperienza è l’Eureka[xxix]. Insight davvero brillanti – ossia lo sviluppo che porta al progresso scientifico – non si ottengono dalla pura deduzione: si raggiungono con la metafora – tracciando un’analogia da qualcosa che si è osservato a qualcosa di inosservato. Nelle parole di Peirce, fare è «trovare, partendo dalla considerazione di ciò che già conosciamo, qualcos’altro che non conosciamo» (CP: 5:2 = W: 3: 244, 1877). La conoscenza dunque non è un’entità esistente nel mondo esterno che aspetta che un osservatore o ricercatore la scopra e che forse la manipoli secondo i suoi desideri e le sue abitudini. La conoscenza, invece, viene creata e/o inventata nel mondo interiore del ricercatore allo scopo di spiegare una particolare esperienza. Normalmente queste idee creative si hanno in momenti chiave dell’insignt abduttivo e richiedono una mente preparata, capace di entrare nello stato d’animo meditativo richiesto. Questo è il suggestivo concetto peirceiano di «musement»[8] (vedi anche CP: 6.452-6.465, 1908) che sta per una precisa concatenazione di forze interiori, incluse quelle genetiche, che influiscono sul ricercatore, insieme ad una coincidenza favorevole di fattori esterni. Nessuno di questi può essere completamente controllato o determinato dal volere del ricercatore: essi sono in parte consci e in parte inconsci.

 

L’ideazione abduttiva è una speciale facoltà di ragionamento che merita un destino migliore di quello che le garantisce uno status secondario. La psicologia cognitiva considera sensazione ed emozione come secondarie al pensiero[xxx]. L’abduzione può considerarsi solo un metodo semi-conscio e quindi un metodo falso e non sviluppato – nella terminologia peirceiana, corrotto – di risoluzione dei problemi, il «mistero che sovrasta questo singolare istinto per l’intuizione» (CP: 7.46, c.1907). Di certo solo istinto senza ragione non è abduzione, e non lo è neppure ciò che si oppone ad essere impiegato con successo al di fuori della struttura sillogistica della logica pura. Anzi, l’euristica abduttiva è essenziale a tutti gli atti interpretativi – a quegli atti cioè che richiedono una scoperta ispirata di tutti i tipi e in tutti i campi della ricerca e dell’indagine, scientifica così come prussica[xxxi].

 

I passi frammentari ma significativi delle attività abduttive vengono affrontati nella presente indagine sulla traduzione interlinguistica. L’indagine cerca le ipotesi possibili (ma semplici, plausibili ed effimere) che possiedono il maggior potere esplicativo. L’approccio abduttivo alla traduzione, nell’interfaccia di natura e cultura, mostra lo spostamento dall’istinto (determinato biologicamente) al metodo (determinato culturalmente), evitando allo stesso tempo la dipendenza problematica di Peirce da un istinto vago e «mistico» e da altre credenze metafisiche (in contrapposizione a quelle empiriche).

 

Traduzione: giustificazione versus  scoperta

 

Che l’abduzione, in quanto logica della scoperta creativa o genetica, sia rilevante per la traduzione, finora è stato poco riconosciuto da traduttori, teorici e studiosi di didattica della traduzione. Riguardo alla traduzione come processo, ci sono dei riferimenti sporadici alla creatività non induttiva e non deduttiva (Wilss 1988: 111). Forse controintuitivamente, si trova il concetto di ipotesi esplicativa, e quindi di scoperta, negli studi sulla traduzione descrittivi che si concentrano sulla traduzione come prodotto o risultato del processo traduttivo e in maniera particolare nel pensiero di Toury.

 

In Descriptive Translation Studies and Beyond (1995) Toury ribadisce il paradigma orientato al metatesto – l’enfasi da lui posta sul testo tradotto e sulle sue componenti – come oggetto primario d’indagine: la sua forma, l’uso della lingua ricevente, il suo ruolo e la sua funzionalità nella cultura ricevente, e la sua genesi. In contrapposizione al metatesto, e a fortiori al processo traduttivo, che sono entità non osservabili e necessitano di una (ri)costruzione prima di poter essere studiate, l’oggetto vicino solitamente non è il testo-da-tradurre, ma piuttosto il metatesto (Toury 1995: 36). Che quest’ultimo sia realmente una traduzione è una supposizione, il primo risultato di un’intera serie di indagini condotte sulla base dell’intuizione e che hanno come risultato delle ipotesi esplicative che dovranno essere sottoposte a giustificazione sistematica per essere accattate come spiegazioni valide.

 

Per Toury ciò significa quanto segue: all’inizio una traduzione può solo essere classificata in maniera provvisoria come tale dal ricercatore perché potrebbe trasformarsi in una, diciamo, pseudotraduzione (il caso in Peirce) oppure in una (sopraccitata) traduzione biased[9] (ossia manipolata).

L’argomentazione di Peirce procedeva dal caso alla legge alla tendenza a prendere abitudini (CP: 6.32, 1891, cf. CP: 1.407-1.409 e W: 6: 207-208, 1887-1888). In questa evoluzione dall’irregolarità alla regolarità, «sopravvive un elemento di puro caso» (CP: 6.33, 1891) – Firstness, il segno che per Peirce significa enigma e paradosso[xxxii]. Il posizionamento della (presunta) traduzione nella lingua e nella cultura ricevente rappresenta, fino a nuovo avviso, parimenti un’ipotesi esplicativa anziché un fatto reale. Infine c’è il postulato del trasferimento. Questo postulato presuppone l’esistenza di alcune similitudini e/o relazioni che giustifichino, rispetto alla (presunta) traduzione, il fatto di derivare tramite la traduzione, da un altro testo che appartiene a una cultura diversa e che è scritto nella lingua appartenente a tale cultura. A titolo esplicativo, possiamo fare riferimento ai viaggi attraverso il tempo, i luoghi e le lingue in Le mille e una notte, discusse sopra nella sezione su «Immagine, modello, metafora.»

 

Dovrebbe apparire evidente che l’argomentazione di Toury segue, benché implicitamente (non esplicitamente), l’andamento del metodo scientifico di Peirce, dando a ciò che Peirce definì abduzione il peso che si merita. Quei segni equivalenti tradotti (interpretanti) che i segni originali fanno nascere nelle menti o quasi menti degli interpreti[xxxiii], possono derivare da tali segni primari in maniera ipotetica (abduttiva), induttiva, o deduttiva, così che le conclusioni sono costituite da quegli interpretanti che sono stati scelti con cura tra altri possibili interpretanti. Teoreticamente ciò accade all’interno di un processo d’indagine che comincia con un’ipotesi abduttiva «presa in considerazione in maniera provvisoria» (CP: 6.524, c. 1901) e che procede giustificando tale ipotesi in maniera induttiva prima di raggiungere, deduttivamente, la conclusione definitiva intesa a fornire la verità. Benché tra induzione, deduzione e abduzione l’ultimo tipo di ipotesi sia dotato del più basso coefficiente di verità oggettiva, esso rappresenta il motore della ragione, il primus motor verso la conclusione deduttiva, al cui stadio dovrebbero essere state eliminate dal sistema tutte le debolezze e le contraddizioni. Questo vale anche per la traduzione pragmatica, sia come processo che come prodotto.

 

Il processo della traduzione si occupa di espressioni complesse in una certa lingua, sulle quali si generano, sui tre livelli, degli interpretanti parziali e transcodificati, che vengono poi uniti e posti in modo da interagire sensatamente in un nuovo insieme. Se si considerano gli interpretanti che compongono la traduzione come delle soluzioni generate in parte dalla grammatica, allora il significato è il risultato di una ricerca esaustiva, nella quale nascono idee in parte nuove o scoperte casuali (in accezione peirceiana). Le ultime sono una soluzione plausibile, seppur non perfetta, ai problemi affrontati. La soluzione raggiunta per abduzione si trova senza esaminare tutta una quantità (probabilmente enorme) di informazioni pertinenti, ma deriva invece da scorciatoie intuitive che caratterizzano la presa di decisioni. La nascita di soluzioni di questo tipo, traduttivo o altro, «non è mai né un salto quantistico a uno stato di cose del tutto indipendente rispetto ad uno precedente né un passaggio continuo da uno stato ad un altro. Nella scoperta sono sempre implicati entrambi i fattori» (Tursman 1987: 22). Benché «Peirce dia più peso alla continuità che alla repentinità» (Tursman 1987: 22), la traduzione non dovrebbe essere equiparata ad un modo di procedere graduale e soggetto a regole; essa è determinata soltanto fino a un certo punto dai codici linguistici del metatesto. Ciò che rimane è aperto alla scoperta libera e speculativa, guidata da indizi imprevedibili sul contesto culturale.

 

Quando Toury descrive la reale procedura scoperta-più-giustificazione, sempre in riferimento agli studi di traduzione descrittivi, la sua relazione suona come autenticamente semiotica, eppure, ancora una volta, si riferisce a tale procedura, senza ricorrere apertamente all’utilizzo di termini semiotici. Insieme alla rappresentazione schematica delle procedure di scoperta e dell’omologo, le procedure di giustificazione, Toury pone l’accento sulla loro natura non lineare:

 

Anzi, in ogni fase, sin dall’inizio, verranno formulate ipotesi esplicative che si rifletteranno poi all’indietro e influenzeranno le procedure di scoperta successive. La normale progressione di uno studio è quindi elicoidale e non lineare: rimarrà sempre qualcosa a cui tornare indietro da scoprire, con il simultaneo bisogno di ulteriori (o più elaborate) spiegazioni. (Toury 1995: 38)

Questo passo è cruciale perché conferisce ad ogni nuova semiosi un significato superiore conformemente alla concezione peirceiana di semiosi quale movimento elicoidale (o piramidale)[xxxiv]. Secondo tale concezione, la semiotraduzione inizia con una ricerca non sistematica in una certa direzione, l’essenza non focalizzata della scoperta abduttiva, che viene integrata gradualmente ma in maniera discontinua nel corso dell’azione tramite il controllo – ossia attraverso la sperimentazione e la razionalizzazione. La considerazione di Toury mostra che il metodo logico-semiotico di Peirce è completamente applicabile all’identificazione, descrizione e analisi della traduzione quale esperimento di pensiero che genera significato, nel quale un’ipotesi generata per abduzione viene testata in diversi modi.

 

La semiotraduzione rivisitata

 

Sono due i temi che ruotano attorno alla mia idea di semiotraduzione. Primo, dovremmo considerare seriamente le implicazioni logiche della semiosi di Peirce come paradigma per la traduzione (dei segni), della quale la traduzione interlinguistica è solo una ramificazione. Secondo, la traduzione di contro esemplifica la semiosi, traduzione che qui è da intendersi nella sua multiforme diversità, ma che si concentra in maniera particolare sulla distinzione di Jacobson basata sulla lingua, ponendo particolare enfasi sulla traduzione interlinguistica. Nella relazione segnica, il segno è totalmente determinato dall’oggetto, mentre l’interpretante (o la traduzione) è determinato dal segno solo fino a un certo punto. Il significato del segno, perciò, è da un lato destinato a rimanere, almeno in parte, indeterminato; dall’altro, e grazie alla sua indeterminatezza, la triplice relazione tra segni diventa un processo di indagine e scoperta che si concentra precisamente sul campo d’azione variabile dello «spazio tra» l’interpretante (traduzione) e l’oggetto (reale stato delle cose).

 

Come sopraccitato, la semiotraduzione è una rete semiotica che somiglia a un «albero che sta crescendo» (MS 283: 98, 1905) che diventerà un «albero sviluppato» in Principles of Psychology (1910: 222) di William James (1890), amico di Peirce[xxxv]. James ha coniato la famosa metafora dello «stream of consciousness» in riferimento ai simboli variabili del flusso continuo di pensiero (Abrams 1981: 186-187). Oltre alla sintassi e alla semantica pubbliche e conosciute, l’interprete si prodiga per rispondere all’espressione verbale dei suoi sentimenti intimi e sconosciuti:

 

E’ la sfumatura, l’alone, la frangia o la parola in una frase compresa. Non è mai assente; nessuna parola di una frase che si è compresa viene alla mente come un semplice rumore. Noi percepiamo il suo significato non appena passa; e nonostante il nostro oggetto differisca da un momento all’altro per nocciolo o nucleo verbale, è tuttavia simile durante l’intero segmento del flusso. (James 1910: 281)

 

Le idee «equivalenti» da un punto di vista semiotico derivanti dall’aspirante albero, radicato in un normale tronco, vengono fuori come nuovi rami e ramificazioni in diverse direzioni. Rami e ramificazioni armonizzano progressivamente le interpretazioni che nelle traduzioni originarie sono caotiche, disorganizzate, e problematiche, così come gli elementi e/o gli aspetti della traduzione o della traduzione erronea. Attraverso l’integrazione costante di nuove informazioni riguardo all’oggetto dinamico, si crea dal caos un ordine interpretativo e traduttivo. Allo stesso tempo, le nuove traduzioni tendono a neutralizzare quelle dubbiose, depistanti e quelle false. Le varietà di traduzioni segniche rendono sempre più completo, dettagliato e continuo il vero significato dei nuovi rami. Tuttavia,  in ogni traduzione, rimarranno sempre delle lacune informative.

 

«Ah quanto è fugace, ah, quanto è vuota»[xxxvi] caratterizza opportunamente come una traduzione – ossia la regola della traduzione tra segno e oggetto quando capita che essa si cristallizzi – non è mai finita e mai perfetta. Una traduzione, alla fine, è una guida temporanea orientata verso se stessa e verso le altre traduzioni. L’abduzione è la prima fase delle forme di vita intrecciate della traduzione. Implica, per prima cosa, uno sguardo rapido al testo da tradurre da parte della mente del traduttore per coglierne la possibile traducibilità e intraducibilità. Uno sguardo rapido significa una breve e assolutamente inconscia percezione o sensazione, senza alcuna osservazione profonda da parte dell’aspirante traduttore. E’ una sensazione fugace, come un brivido di piacere che corre lungo la spina dorsale del traduttore, senza però riuscire ad esprimere nessuna credenza o convinzione riguardo alle aree vecchie (traducibili) e nuove (tradotte). Il vecchio testo viene scandito con uno sguardo intenso di scoperta, senza focalizzare l’attenzione, che porterebbe a una certezza di sapere dettagliata e stabilita, ma solo con uno sguardo meravigliato di curiosità e persino di sorpresa. Il traduttore brinda alla sua dolceamara vittoria (o sconfitta).

 

La percezione visiva del possibile traduttore rimane abduttiva al livello preliminare. In questa fase si manifesta la cautela nello scorgere i divari tra l’astrazione panoramica della traducibilità generale e una possibilità ancora futura d’azione attenta e concreta; e tra la conoscenza del testo traducibile, la conoscenza della mente del traduttore e la conoscenza del pubblico futuro – inclusa la mancanza di conoscenza riguardo all’intraducibilità. La traduzione abduttiva è un inganno visivo, un disinganno, un disordine fallace; è un errore insito nella condizione umana[xxxvii].

 

Prendiamo un problema pratico della teoria della traduzione per il quale si potrebbe trovare una soluzione ponendolo all’interno (o meglio al di fuori) del modello dell’abduzione di Peirce. Si è affermato che il cervello percepisce per anticipazione, vale a dire, per sensazione prima che per azione. Esso formula delle ipotesi percettive sul grado di (in)traducibilità. Negli studi traduttologici la fase abduttiva (sotto nome non semiotico) non si occupa di questioni di traducibilità, ma piuttosto di quelle di leggibilità, e prende in considerazione i fattori di trasferibilità dei diversi sistemi alfabetici, dei sistemi di testo, di scrittura e simili. Dato che il processo traduttivo è un processo mentale non aperto a verifica diretta (la cosiddetta scatola nera), si potrebbe asserire che la traduzione può essere spiegata solo da un’azione pubblica che deriva da un movimento segreto e abduttivo. Ciò significa che, dopo la sopravvivenza dell’abduzione come traducibilità, l’atto a priori filtra dal processo traduttivo, come sostenuto nella teoria della traduzione.

 

Negli studi sulla traduzione la prassi traduttiva di per sé è stata comunemente ma discutibilmente «ipotizzata» come una sequenza cronologica che implica tre o quattro fasi. Si è garantita la prima fase di traducibilità. Con uno spirito fortemente orientato alla prassi, Koller distingue tre fasi traduttive, che consistono nella prima stesura, o traduzione «con vita breve»; quella di lavoro, o traduzione «con vita media»; e quella pronta per la stampa, o traduzione «con vita lunga». «La prima stesura della traduzione può essere ulteriormente sviluppata in una traduzione di lavoro migliorandone la qualità; e la traduzione di lavoro può diventare a sua volta il punto di partenza per una traduzione pronta per la stampa» (1992: 203; traduzione dell’autrice).

 

I criteri linguistici di Koller qui esposti sono qualitativi e corrispondono ad una scala crescente di fattori grammaticali, lessicali e stilistici e di altri fattori che contribuiscono «all’accuratezza, alla correttezza e all’adeguatezza» (Koller 1992: 204, traduzione dell’autrice). Come spiegato da Koller, la prima fase produce una prima stesura della traduzione a scopo ed uso limitati. L’enfasi da lui posta sull’accuratezza significa che ci deve essere uguaglianza in termini di contenuto, ma in questa fase si accettano ancora violazioni delle regole morfologiche, sintattiche, fraseologiche, lessicali, stilistiche e così via. Nella seconda fase di una traduzione vengono richieste accuratezza e correttezza; essa non deve contenere errori grammaticali, lessicali o stilistici. Infine, la traduzione che per Koller è pronta per la stampa è quella caratterizzata dalla triade di accuratezza, correttezza e adeguatezza. Un prodotto di seria ricerca e riflessione mira a soddisfare le norme e le aspettavate più rigorose.

 

Va comunque puntualizzato che il passaggio da un’approssimativa fedeltà al fatto-fonte, la concordanza con il codice ricevente ed infine la conformità con il tipo di testo tra prototesto e metatesto, pone delle priorità singolarmente relative. I tre passi compiuti da Koller per descrivere la qualità della performance del traduttore possono essere definiti solo uno in relazione all’altro. Qui sono assenti i criteri esterni di valutazione. Ciò riduce notevolmente l’utilità del processo tripartito di Koller al di fuori della pura pratica e pedagogia traduttive. É tuttavia allettante considerare il primo prodotto di Koller, la versione appena abbozzata, come prodotto dell’abduzione dato che tale versione, come l’abduzione, è di natura estemporanea, ha origine nella speculazione e ha solo un valore provvisorio.

 

Bisognerebbe inoltre ricordare che, anche in un paradigma di Peirce, si valuta la traduzione in termini qualitativi. Tuttavia, in contrapposizione all’enfasi esclusiva che Koller pone sulla traduzione in termini della sua utilità pratica come giudicata dal ricevente/i designato/i, per Peirce qualità significava valore di verità in riferimento ad alcuni scopi di bellezza (Firstness), utilità (Secondness) e insight (Thirdness). Il punto forte dell’abduzione sta certamente nel proporre la bellezza. Simili qualità estetiche sono de-enfatizzate, se non ignorate, da Koller.

 

Con la dovuta «speculazione teorica», Toury propone una rappresentazione schematica della traduzione in quattro fasi:

 

(1) una scomposizione indispensabile dell’entità iniziale fino ad un certo livello, mutevole e, a tale livello, assegnazione alle parti costituenti lo status di «caratteristiche»;

(2) una selezione di caratteristiche da conservare, e cioè l’assegnazione, da un punto di vista o un altro, di una pertinenza ad alcune parti delle caratteristiche dell’entità iniziale;

(3) il trasferimento delle caratteristiche selezionate e pertinenti al di là di un (o più di uno) più o meno definito confine semiotico;

(4) la (ri)composizione di un’entità risultante attorno alle caratteristiche trasferite, assegnando loro la stessa o un’altra estensione di pertinenza. (Toury 1986: 1114)

 

In contrapposizione alla proposta pratica di Koller che descrive la qualità del prodotto finito, il programma di Toury qui descritto è altamente teorico e orientato al processo. Un prerequisito è che il testo ab quo possa essere suddiviso in  unità separate, alcune delle quali possono poi essere considerate pertinenti «da un punto di vista o da un altro» (come segni semiotici) e altre nonpertinenti (in quanto non-segni). Soltanto i primi vengono poi transcodificati, mentre il destino delle ultime unità, di cui evidentemente si può fare a meno, rimane piuttosto incomprensibile nella proposta di Toury.

 

In risposta a ciò, mi pare che nessuna parte del prototesto possa essere camuffata senza che si ponga in essere una qualche forma di erosione, mediante la quale la sostanza semiotica può solo assottigliarsi nelle semiosi successive, invece di diventare progressivamente più ricca nel contenuto e crescere verso la verità, come avrebbe voluto Peirce. L’idea di pertinenza espressa da Toury è davvero un’arma pericolosa e indiscriminata. Può avere una base intuitiva (che rende abduttiva l’operazione), ma può anche avere un bias ideologico (nel cui caso ci si trova di fronte piuttosto ad una procedura deduttiva). Lo scenario di Toury sembra costruito più per soddisfare bisogni retorici che per portare alla verità nel modo in cui la concepiva Peirce.

 

In After Babel, Steiner propone per il processo traduttivo una «mozione ermeneutica» (1975: 296) a quattro fasi che in realtà, nella descrizione, consiste in tre fasi e in una quarta illusoria. Nella prima fase, che somiglia all’abduzione di Peirce, vi è una «fiducia iniziale[10]» nella significatività «dell’altro in quanto affermazione alternativa non ancora provata e non ancora mappata» nel testo da tradurre (Steiner 1975: 296). Tale fiducia «sarà di norma istantanea e incontrollata, eppure possiede una base complessa» (Steiner 1975: 296). Dopo quella che sembra una descrizione della Firstness di Peirce, Steiner procede con la seconda fase della traduzione, nella quale la fiducia iniziale è sottoposta a verifica tramite un confronto, e la «manovra di comprensione [diventa] esplicitamente invasiva ed esauriente» (1975: 298). Il testo viene attaccato, per così dire, nella sua «alterità» con un atto di aggressione nel quale «rompiamo il [suo] codice … lasciando il guscio distrutto e gli strati vitali scorticati» (Steiner 1975: 298). Ciò è straordinariamente simile alla Secondness di Peirce. «Il terzo passaggio», continua Steiner, «è incorporativo, nel vero senso della parola … incarnazione … [Noi] incarniamo le energie alternative e le risorse del sentimento» (1975: 298-299). Quest’ultimo processo, di «appropriazione completa», può determinare «un completo addomesticamento, un at-homeness»[11] della traduzione nella sua nuova situazione; oppure la traduzione può aver acquisito in essa «una stranezza e una marginalità permanenti» (Steiner 1975: 298). Il fatto che una traduzione possa funzionare come «assunzione sacramentale» o come il suo opposto, «un’infezione» (Steiner 1975: 299), significa che manca ancora

 

… la quarta fase, il colpo del pistone, per così dire, che completa il ciclo. Il movimento aprioristico della fiducia ci pone in disequilibrio. Noi «propendiamo verso» il testo da affrontare … Lo accerchiamo e lo invadiamo cognitivamente. Torniamo a casa carichi, cioè ancora sbilanciati, avendo causato disequilibrio in tutto il sistema togliendo «dall’altro» e aggiungendo , benché forse con conseguenze ambigue, al nostro. Il sistema adesso è squilibrato. L’atto ermeneutico deve compensare. Se vuole essere autentico, deve mediare ricorrendo allo scambio e al ripristino della parità. (Steiner 1975: 300)

 

Nel giungere ad un nuovo stato di sintesi, il modello di Steiner ha raggiunto un livello idealizzato irraggiungibile nella traduzione della vita reale. Lo scenario graduale di Steiner possiede una virtù importante se ricontestualizzato all’interno della semiotica: somiglia alla semiosi e richiama alla mente in modo interessante la successione peirceiana dei tre momenti interpretativi che si manifestano nell’interpretante Primo (immediato/emotivo), Secondo (dinamico/energetico) e Terzo (finale/logico) – quest’ultimo a sua volta suddiviso in un interpretante non definitivo e in un interpretante logico definitivo (Short 1986: 115). Queste fasi evolutive, forse in parte sovrapposte e raggiunte per inferenza, mostrano un crescente grado di «rigore» o solidità di pensiero e riflettono «i tre gradi di chiarezza» di Peirce nella soluzione dei problemi mentali (CP: 3.456ff., 1897), dei quali la risoluzione dei problemi traduttivi ne rappresenta un esempio parimenti orientato al processo e governato da regole. In particolare la «generosità radicale» del traduttore di Steiner, che «sarà di norma istantanea e incontrollata» ma che tuttavia ha «una base complessa», suona sorprendentemente come un ragionamento istintivo à la Peirce, principalmente perché si concentra sul ruolo del traduttore che è coinvolto in un’attività mentale strettamente correlata all’abduzione e che procede sia in senso astratto che in senso concreto non solo per prove ed errori.

 

Abduzione e creatività traduttiva

 

A questo punto dovrebbe essere chiaro che il traduttore umano di norma giunge alla risposta, alla scelta e/o alla decisione traduttiva, seppur provvisoria, più attraverso un metodo approssimativo[12] che non attraverso l’analisi e la transcodifica(zione) di parole, frasi, paragrafi,ecc., che è il caso invece della traduzione fatta dal computer. Anderson (1987) distingue la creatività scientifica, trattata esplicitamente da Peirce, da quella artistica, che deve essere estrapolata per gran parte dall’opera di Peirce. Se entrambe dipendono dall’abduzione, la creatività scientifica porta alla scoperta e si basa sull’analogia, mentre quella artistica porta alla creazione e si basa sulla metafora. Prendendo come punto di partenza la divisione di Peirce dei segni iconici in immagini, o First Firstness; diagrammi, o Second Firstness; e metafore, o Third Firstness (CP: 2.277, c.1902), Anderson (1987: 68) asserisce che lo scopo della scoperta scientifica è un’ipotesi che è analoga (diagrammatica) al mondo esistente; al contrario, lo scopo della creatività artistica è la presentazione di una nuova qualità del sentimento, di natura metaforica.

 

Dato che una traduzione, per definirsi tale, deve uguagliare, sia nel complesso che nelle singole parti, la struttura qualitativa di un dato testo-segno preesistente, essa rappresenta un indice, la cui iconicità è dominante. La lingua, insieme ai codici linguistici coinvolti, pone il testo tradotto e quello traducibile sotto l’egida della simbolicità; ossia, coinvolge via via sia gli elementi iconici che quelli indicali. Da un lato questa somiglianza univoca fa della traduzione un caso di pensiero analogo, un caso cioè di scoperta scientifica. Dall’altro lato, se il traduttore si abbandona liberamente alle sue abilità artistiche, è destinato a creare non un’analogia, ma piuttosto una metafora, cioè qualcosa di nuovo, costruito su una somiglianza equivalente tra due cose le cui strutture qualitative sono sostanzialmente dissimili, ma considerate simili dal punto di vista di questa argomentazione. Ciò rende la metafora un simbolo nel quale l’iconicità svolge un ruolo dominante[xxxviii].

 

La distinzione tra le due modalità che, come in ogni concetto del pensiero di Peirce, non sono vicendevolmente esclusive ma devono essere poste in un continuum, corrisponde a ciò che comunemente si definisce traduzione letterale versus libera; spesso si utilizza tale distinzione quando ci si riferisce in maniera particolare a testi informativi da un lato e poetici dall’altro. In un paradigma peirceiano tale dicotomia tradizionale, che si riflette in molti tipi di testo, è sostituita da una scala progressiva, così che il passaggio tra i tipi di testo non è mai brusco, ma sempre fluido.[xxxix]

 

Le fasi iniziali della traduzione, quando si crea un primo interpretante logico, consistono in una congettura fortuita ma seria da parte del traduttore; ma, anche nel corso di semiosi successive, ogni volta che il traduttore/ricercatore sembra essersi spinto in un vicolo cieco dove sono necessari nuovi impulsi, il fuoco abduttivo può essere rialimentato al fine di aiutare la scintilla delle proposte promettenti e prende così forma l’elaborazione, la verifica e la consolidazione della traduzione (comprese falsificazioni e cancellature). A dire il vero, per Peirce, il pragmatismo è «la logica dell’abduzione» (CP: 5.195 e paragrafi seguenti, 1903); e nel linguaggio di Peirce, l’abduzione è «il punto più profondo» dell’indagine. La traduzione abduttiva ha il suo fulcro nel processo primario di consolidamento delle abitudini traduttive instabili.

 

Nonostante lo spiccato interesse per l’abduzione, Peirce, logico anti-psicologo, non ha mai descritto un processo logico graduale su come un individuo creativo genera ipotesi. La sua logica della scoperta si concentra principalmente sulla metodologia di indagine e di risoluzione dei problemi (la metodeutica di Peirce, chiamata anche «retorica speculativa») a scapito della critica e della grammatica speculative. L’enfasi che Peirce pone sullo sviluppo di «un metodo di scoperta di metodi» (CP: 2.108, 1902) e la sua esemplificazione nel progetto di economia di ricerca[xl] implicava che la logica della scoperta fosse un processo abduttivo. Peirce aveva delineato tale logica originaria, che «affronta la questione riguardo a come nascono nella mente nuove idee o ipotesi e di quale tipo possono essere» (Tursman 1987: 14), più come una ricerca filosofica piuttosto che un manuale pratico, senza fornire un resoconto completo della questione dell’eureka e della qualità delle idee. Le condizioni e/o i criteri per delle ipotesi di successo, come ci si può facilmente aspettare da un paradigma peirceiano, sono tre. Vengono giudicate in riferimento ad un certo scopo di bellezza, utilità (test sperimentale) e/o insight (potere esplicativo). Il punto cardine di un interpretante creato per abduzione è certamente la bellezza – nell’ampio senso peirceiano di semplicità, unicità, dramma, iniziativa, e altre ramificazioni di Firstness, tutte affettivamente connotate.

 

L’esperienza Eureka del traduttore

 

Cosa induce il traduttore a trovare soluzioni immediate e di successo ai problemi linguistici a cui si trova di fronte? Ancora una volta, i prerequisiti sono tre. Prima di tutto, sono necessari genio e studio. Bisogna dare molta importanza allo sviluppo primario di capacità speciali – in questo caso, la completa padronanza delle regole di (almeno) due lingue e delle culture nelle quali tali lingue sono radicate, così come delle molteplici interfacce tra loro. Ciò implica che il traduttore professionale deve aver imparato ed interiorizzato un ampio numero di associazioni e combinazioni in riferimento alle singole lingue (traduzione intralinguistica), coppie linguistiche (traduzione interlinguistica) e alle interazioni tra la lingua e i sistemi di segni non verbali (traduzione intersemiotica)[xli].

 

Dovrebbe apparire ovvio che nessun individuo, sebbene qualificato ed intelligente, può possedere risorse illimitate necessarie a conoscere completamente la gamma di processi che avvengono in tutti gli universi del discorso, inclusa la capacità di prevedere e pianificare il comportamento futuro di tutte le intersemiosi possibili nelle arti così come nelle scienze. Tuttavia perché un’idea complessa ma unitaria possa emergere senza eccessivi sforzi, è necessario il potere intuitivo di una mente disciplinata e fertile; ossia di una qualsiasi, non di una mente in particolare che appartenga ad un individuo in particolare. Peirce è stato abbastanza chiaro su questo punto[xlii].

 

A meno che non ci sentiamo istintivamente a nostro agio in tali campi cognitivi e abbiamo acquisito competenze esperienziali in aree nelle quali queste possono – e in realtà lo fanno – verificarsi, non esistono basi per la scoperta ispirata, ma solo per la scoperta come semplice caso. Intelligenza e capacità professionali rappresentano perciò il primo requisito per l’ideazione abduttiva. Il secondo coinvolge lo stato d’animo e l’atteggiamento del traduttore. Per giungere allo stato d’animo ipnotico nel quale l’inconscio (nel senso etimologico del termine, l’immaginazione) si sblocca e viene stimolato, è necessaria una sospensione temporanea dell’azione volontaria e dell’attività mentale conscia, e un’indifferenza, parimenti temporanea, nei confronti della routine logica e dei pregiudizi mentali (che, al di fuori delle sue presupposizioni,  rendono cieco il ricercatore di fronte ad elementi validi, veri e/o pertinenti). Solo in questo stato di abbandono e rêverie – il musement di Peirce (CP: 6.452ff., 1908) – la mente esperta del traduttore può rilassarsi, sottoporsi in maniera disinteressata al problema (che può essere una parola, una combinazione di parole, una frase, un paragrafo, ecc.) e ivi dissolvere il suo Io. Egli guarderà al problema, lo vedrà sotto diversa luce e lo esplorerà in ogni sua parte, in altre parole, percepirà e tenderà l’orecchio ad ogni significato di ciascun elemento del problema, ne sentirà l’odore e lo toccherà, per così dire, con i tentacoli della mente e del cuore. Questa è la prima fase della tecnica abduttiva della traduzione.

 

Poi l’abduzione entra nella sua seconda fase. Con un occhio rivolto ad «escogitare» una soluzione che si adatti «all’immagine» testuale, l’elemento del prototesto e la sua versione nel metatesto vengono accostati nella mente del traduttore per vedere se stanno bene insieme. Ciò permette al traduttore di «compiere degli esperimenti esatti sui diagrammi e di prestare attenzione ai cambiamenti involontari determinati nelle relazioni tra le varie parti del diagramma» (MS 292: 3, c.1906). Ciò che si cerca qui, giocosamente e distrattamente ma con «i tuoi occhi aperti, conscio di quello che sta succedendo o che sta avvenendo dentro di te» (CP: 6.461, 1908) è una sintesi di diversi elementi, una soluzione significativa nella quale si costruisce una netta combinazione e si costituisce un nuovo modello, come i pezzi di un puzzle[xliii].

 

Ora, la maggior parte dei traduttori hanno la testa curva sui fogli con attenzione assorta, oppure hanno gli occhi fissi sullo schermo del computer. Eppure ciò che in realtà vedono è un chunk di testo che hanno già memorizzato al primo sguardo. La loro concentrazione visiva non è perciò necessaria ed è anzi controproducente. Concentrandosi, mentalmente e fisicamente, sulla carta o sullo schermo, i traduttori non riescono a lasciar fluttuare i propri pensieri e ad associarli liberamente oppure a dedicarsi ad una qualche altra occupazione «giocosa» della mente. Di conseguenza, manipolano letteralmente dei frammenti sparsi bloccando l’accesso a tipi di soluzioni sintetiche che si vengono a creare tramite il processo abduttivo.

Invece della procedura sopradescritta, dopo un breve sguardo alla parte di testo da tradurre, i traduttori dovrebbero essere incoraggiati ad appoggiarsi allo schienale della sedia e a guardare il soffitto, fuori dalla finestra o (meglio ancora) in nessun posto in particolare; dovrebbero chiudere i loro occhi, fissare uno spazio vuoto e focalizzare l’attenzione «al loro interno», inconsapevoli del mondo e assorti nel processo traduttivo. Dalla «realtà», lo spazio problematico dovrebbe essere trasferito all’interno della mente, essere percepito dall’occhio interno e manipolato: i segni linguistici ordinati in maniera sequenziale (che il traduttore deve trasporre in un diverso modo e codice linguistico) devono essere prima trasformati in idee-immagini, cioè, in icone mentali che forniscono immediatamente e simultaneamente tutte le informazioni necessarie.[xliv] Tali parole-immagini servono come interlingua[xlv] visionaria, non verbale tra il problema considerato come un tutto unitario e la sua soluzione abduttiva; e questa fase transizionale permette all’abduttore di andare oltre i segni materiali dati, per trascendere la struttura di superficie del prototesto, e non semplicemente per scegliere tra una serie di alternative pre-fornite (dizionario)[xlvi]. Senza dubbio si delinea un compito importante per la didattica della traduzione.

 

Quale terzo e ultimo requisito vi sono le circostanze esterne vissute dall’individuo creativo in cerca dell’eureka. Quando si avvicina il momento della «verità» nella traduzione, le meditazioni del traduttore possono essere facilmente disturbate e frustrate da un rumore[xlvii] di qualsiasi tipo: non solo acustico, ma anche visivo, fisiologico, psicologico, sociale, documentario e così via, tutti accidentali e indesiderati. Purtroppo solo nelle situazioni idealizzate non c’è rumore; nella vita reale il rumore solitamente è inevitabile. Esso causa un grado di disordine, inconscio e invisibile ma intenso, che distrae il traduttore dal suo lavoro. E una volta ostacolato, il musement solo di rado può essere nuovamente indotto da una qualsiasi azione volontaria.

 

Quando la situazione sembra finalmente pronta per la scoperta, basta un’azione, un evento o un pensiero fortuito per innescare l’eureka: la congettura fortunata (si spera) emerge improvvisamente e spontaneamente come un’illuminazione. Questa è la terza e ultima fase dell’abduzione, di per sé la logica primaria dell’interpretazione dei segni, e perciò anche della traduzione interlinguistica. Ecco che il divario tra l’universo del prototesto e l’universo che si evolve del metatesto viene superato per abduzione da un’esplosione di somiglianza. Il traduttore, soddisfatto, può reagire al momento di estasi manifestando la sua euforia: può ridere, saltare sui propri piedi, gettare le braccia in aria, battere le mani, o invece rompere l’incantesimo che somiglia a trance ed esprimere la propria gioia con movimenti spasmodici del corpo e/o con ampi gesti[xlviii].

 

Per lo sviluppo armonioso della traduzione qua segno, l’ipotesi immagino-verbale ha bisogno di essere ulteriormente tradotta in azione futura. Tale necessità di andare oltre l’abduzione è un’implicazione della massima pragmatica[xlix] sugli «effetti che potrebbero concepibilmente avere conseguenze pratiche» (CP: 5.402 = W 3: 266, 1878). Nel nostro caso, gli effetti della traduzione devono essere collegati al «mondo reale», dove si manifestano come azioni. Il potenziale di senso di cui è portatore il prototesto viene attualizzato e dispiegato attraverso l’azione segnica controllata nel futuro. L’empirismo di Peirce include perciò la verifica. Nel 1905 Peirce riformulò la sua massima pragmatica in linguaggio semiotico, vale a dire:

 

L’intero significato intellettuale di ciascun simbolo consiste nel totale di tutti i modi generali di condotta razionale che, a seconda di tutte le possibili diverse circostanze e desideri, scaturirebbero dall’accettazione del simbolo. (CP: 5.438, 1905)

 

Applicato alla situazione traduttiva, ciò significa che la traduzione intende riprodurre e tradursi in forme di comportamento normante. Tale comportamento consiste in una serie di interpretanti, ognuno dei quali è una realizzazione (ancora parziale) del suo pieno significato. Indirizzata, in modo condizionato, verso un certo tempo futuro, e guidata dal principio del «fissarsi della credenza», la traduzione infine raggiungerà il suo punto di realizzazione, il momento in cui si suppone che tutte le informazioni, esplicite ed implicite, fornite dal prototesto si siano ri-materializzate nel metatesto concedendo al traduttore un attimo di relax. L’interpretante logico definitivo (o più realisticamente ancora non-definitivo) viene prodotto nel moment suprême quando è in arrivo la performance finale (o resa), il momento orgasmico nel quale tutti i significati devono essere colti e tutti gli obiettivi realizzati. Una volta che tutti gli obblighi vengono adempiuti e tutti i compiti eseguiti, si è raggiunto il summum bonum della legge e della generalità. Allo stesso tempo, comunque, attraverso l’«esecuzione» finale della traduzione, che segna sia il suo completamento che la sua morte, si viene a ristabilire una situazione edenica: pre-traduttiva, intatta, alleggerita, libera[l] e, se lo si desidera, pronta ad assumere nuovi compiti e nuove mansioni.

 

 

 

BIBLIOGRAPHY

 

Abrams, M.H. A Glossary of Literary Terms. 4th ed. New York and Chicago: Holt, Rinehart and Winston.

 

Anderson, Douglas R. 1987. Creativity and the Philosophy of C.S. Peirce (Martinus Nijhoff Philosophy Library 27). Dordrecht, Boston, and Lancaster: Martinus Nijhoff.

 

Ayim, Maryann. 1974. «Retroduction: The rational instinct» in Transactions of the Charles S. Peirce Society 10-1: 34-43.

 

Colapietro, Vincent M. 1985. «Peirce’s attempts to define semiosis» in Deely, John (ed.) Semiotics 1985. Lanham, NY and London: University Press of America. 479-486

 

Eco, Umberto. 1984. Semiotics and the Philosophy of Language. London and Basingstoke:MacMillan.

 

Esposito, Joseph L. 1990. Evolutionary Metaphysics: The Development of Peirce’s Theory of Categories. Athens, OH: Ohio University Press.

 

Gorlée, Dinda L. 1993. «Evolving through time: Peirce’s pragmatic maxims» in Semiosis 71/72-3/4: 3-13.

 

——— 1994. Semiotics and the Problem of Translation: With Special Reference to the Semiotics of Charles S. Peirce (Approaches to Translation Studies 12). Amsterdam and Atlanta, GA: Rodopi.

 

——— 1995. «Contours of a Peircean text semiotics» in Cruzeiro Semiótica. (Special issue: Essays in Honor of Thomas A. Sebeok) 22/26: 119-128.

 

Jakobson, Roman. 1959. «On linguistic aspects of translation» in Brower, Reuben A. (ed.) On Translation (Harvard Studies in Comparative Literature 23). Cambridge, MA: Harvard University Press: 232-239.

 

James, William. 1910. The Principles of Psychology. Vol. I. London: MacMillan and Co., Ltd. and St. Martin’s Street.

Johansen, Jørgen Dines. 1996. «Iconicity in literature» in Semiotica 110-1/2: 37-55.

 

Jones, Royce. 1976. «Is Peirce’s theory of instinct consistently non-Cartesian?» in Transactions of the Charles S. Peirce Society 12-4: 348-366.

 

Koller, Werner. 1992. Einführung in die Übersetzungswissenschaft (Uni-Taschenbücher 819). 4th, fully revised ed. Heidelberg and Wiesbaden: Quelle & Meyer.

 

Nida, Eugene A. 1964. Toward a science of Translating: With Special Reference to Principles and Procedures Involved in Bible Translating. Leiden: Brill.

 

Rescher, Nicholas. 1978. Peirce’s Philosophy of Science: Critical Studies in His Theory of Induction and Scientific Method. Notre Dame, IN and London: University of Notre Dame Press.

 

Scheffcyzyk, A. 1986. «Noise» in Sebeok, Thomas A. (gen. ed.) Encyclopedic Dictionary of Semiotics (Approaches to Semiotics 73). 3 vols. Berlin: Mouton de Gruyter. 1: 607-609.

 

Short, Thomas L. 1981. «What they said in Amsterdam: Peirce’s semiotic today» in Semiotica 60-1/2: 103-128.

 

Spinks, Jr, C.W. 1991. Semiosis, Marginal Signs and Trickster: A Dagger of the Mind. Houndmills and London: MacMillan.

 

Steiner, George. 1975. After Babel: Aspects of Language and Translation. Oxford and London: Oxford University Press.

 

Toury, Gideon. 1986. «Translation: A cultural-semiotic perspective» in Sebeok, Thomas A. (gen. ed.) Encyclopedic Dictionary of Semiotics (Approaches to Semiotics 73). 3 vols. Berlin: Mouton de Gruyter. 2: 1111-1124.

 

——— 1995. Descriptive Translation Studies and Beyond (Benjamins Translation Library 4). Amsterdam and Philadelphia: John Benjamins.

 

Tursman, Richard. 1987. Peirce’s Theory of Scientific Discovery: A System of Logic Conceived as Semiotic (Peirce Studies 3). Bloomington and Indianapolis, IN: Indiana University Press.

 

Wilss, Wolfram. 1988. Kognition und Übersetzen: Zu Theorie und Praxis der menschlichen und der maschinellen Übersetzung (Konzepte der Sprach- und Literaturwissenschaft 41). Tübingen: Max Niemeyer.

 

Zajong, R.B. 1980. «Feeling and Thinking: Preferences need no inferences» in American Psychologist 35(2): 151-175.

 

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

BARI ALESSANDRO, «Un’interpretazione della psicoanalisi freudiana alla luce della semiotica di C. S. Peirce», capitolo II, Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Filosofia, 2003

http://www.filosofia.unimi.it/peirce/Studi/AltriPensatori/Studi_AltriPensatori_FreudII.htm

 

BRENT JOSEPH, «Pursuing Peirce», s.i.l., dicembre 1997, in Arisbe: the Peirce Gateway, http://www.members.door.net/arisbe/menu/library/aboutcsp/brent/pursuing.htm

 

CORBELLI LAURA, «Un ponte tra consapevolezza e prevenzione. Il ruolo dell’insight nella psicosi», Università degli Studi di Urbino, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Psicologia, Seminario Laureandi, novembre 2000,  http://www.uniurb.it/psicologia/laureandi/Corbelli.htm

 

KESSLER GARY E., «A Neglected Argument», California State University, Bakersfield, febbraio 2000, in The Paideia Project on lineTwentieth World Congress of Philosophy, Boston, Massachusetts USA, 10-15 August 1998 http://www.bu.edu/wcp/Papers/Reli/Relikess.htm

 

MADDALENA G., «Peirce S. Charles, Pragmatismo e oltre. Scritti dal 1907 al 1913.», Bompiani, Milano, 2000, in Swif – Sito Web Italiano per la Filosofia, Recensione di Salvatore Stefanelli, Università degli Studi di Bari, 24 ottobre 2002, http://www.swif.uniba.it/lei/recensioni/crono/2003-04/peirce.htm

 

MERRIAM WEBSTER, Collegiate Dictionary, 11ª ed., Springfield, Massachusetts, 2003, ISBN 0-87779-809-5

 

NARDI IVO, «Charles Sanders Peirce», s.i.l., luglio 2000, in Riflessioni.it, 2000, http://www.riflessioni.it/enciclopedia/peirce

 

OSIMO BRUNO, Corso di traduzione on line, Logos Group, Modena, 1987, http://www.logos.it/pls/dictionary/linguistic_resources.traduzione?lang=it

 

OSIMO BRUNO, Storia della traduzione. Riflessioni sul linguaggio traduttivo dall’antichità ai contemporanei, Milano, Hoepli, 2002

 

OSIMO BRUNO, Propedeutica della traduzione. Corso introduttivo con tavole sinottiche, Milano, Hoepli, 2001

 

PINI STEFANO, BANDETTINI DI POGGIO ADOLFO, «L’insight», capitolo 25, tratto da Repertorio delle scale di valutazione in psichiatria, a cura di Luciano Conti, See Editore, Firenze, agosto 2005, in Psychiatry on line Italia – The Italian on line psychiatric magazine, Genova, 1995-2005,

http://www.pol-it.org/ital/scale/cap25-1.htm

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

The Peirce Edition Project, Indiana University – Purdue University Indianapolis,

2002, http://www.iupui.edu/~peirce/web/index.htm

 

Charles S. Peirce, http://www.peirce.org

 

BURGESS PAUL, «A Critical Comparison of the Semiotics of Religious Experience in the General Theory of Signs of Charles Morris, the Semiotic of Charles Sanders Peirce and the Philosophy of Symbolic Forms of Ernst Cassirer», in Evan’s Experientalism, 1999, http://www.evans-experientalism.freewebspace.com/unspeakable_flux.htm

 

FABBRICHESI LEO ROSSELLA, «L’abduzione come profezia retrospettiva», Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Filosofia, Centro Studi Peirce, 2003, http://www.filosofia.unimi.it/peirce/Studi/Logica/Studi_Logica_Abduzione.htm

 

VIRGILI ADRIANO, «Charles S. Peirce», Il Diogene – Pagine Enciclopediche, in Il Diogene – Il portale dei siti di qualità, http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=Peirce.htm

 

WIRTH UWE, «Abduction, Wit, Stupidity – From Peirce to Freud», Johann Wolfgang Goethe Universität Frankfurt, in Digital Enciclopedia of Charles S. Peirce, http://www.digitalpeirce.fee.unicamp.br/p-witwir.htm

 

 



[1] OSIMO, Bruno. Corso di traduzione [online]. Modena, Italia: Logos, gennaio 2000 [citato novembre 2005]. Quarta parte, Traduzione e teoria dei giochi. Disponibile dal world wide web: <http://www.logos.it/pls/dictionary/linguistic_resources.traduzione?lang=it>

[2] DE MAURO Tullio, Il dizionario della lingua italiana per il terzo millennio, Paravia, Milano, 2000, ISBN – 88-395-5026-7

[3] MERRIAM WEBSTER, Webster’s New Collegiate Dictionary, 11ª ed., Springfield, Massachusetts, 2003, ISBN 0-87779-809-5

[4] AMERICAN HERITAGE DICTIONARIES, The American HeritageâDictionary of the English Language, Fourth Edition, Houghton Mifflin, Boston, 15 gennaio 2000 ISBN 0-395-82517-2

[5] DE MAURO Tullio, Il dizionario della lingua italiana per il terzo millennio, Paravia, Milano, 2000, ISBN – 88-395-5026-7

 

[6] N.d.T. Il termine «insight» viene usato in psicologia per definire «la percezione immediata del significato di un evento o di un’azione».

[7] N.d.T. In italiano nel testo originale

[8] N.d.T. Peirce definisce «musement» la primissima fase del ragionamento abduttivo. Il pensiero abduttivo e congetturale, all’inizio, è puro gioco, non governato dalla ragione critica. Tale pensiero è connesso a «una certa piacevole occupazione della mente» che Peirce chiama reverie o «musement».

[9] N.d.T. Qui per «biased» si intende una specie di traduzione «deformata». «Bias» significa «pregiudizio», «prevenzione», «preconcetto» oppure «tendenza», «distorsione». Si è deciso di lasciare il termine in inglese perché l’utilizzo di uno dei possibili traducenti italiani ridurrebbe troppo il campo semantico.

[10] N.d.T. «iniziale» rappresenta una delle traduzioni possibili dell’aggettivo inglese «iniziative» che significa sia «initial», ossia «iniziale» che «initiatory», cioè «iniziatico», «relativo all’iniziazione».

[11] N.d.T. Il termine deriva da «at-home» che significa «a casa», ma anche «sentirsi a proprio agio».

[12] N.d.T. L’aggettivo «approssimativo» rappresenta uno dei tentativi possibili di traduzione dell’espressione inglese «catch-as-catch-can» che significa «in qualunque modo possibile», «utilizzando qualsiasi mezzo disponibile».



[i] See further Jones (1976).

 

[ii] For more on Peirce’s theory of instinct, in which he distinguished between rational, animal, and vegetable instinctive action, as well as between selfish and social instinct and their relation to abduction, see Ayim (1974).

 

[iii] For more about “il lume naturale”, see Ayim (1974).

 

[iv] Spinks (1991: 114) offers a whole list of related types of «not so neat process[es] of information handling: the hunch, the guess, the intuition, the insight, the eureka, the revelation, the enlightenment, the inspiration, the Voice, the satori, and so on». Spinks calls «Peirce’s demon abduction» crucially a «not-so-neat process of information» or «raw data» (1991: 114), based on experience and not on real intercourse or communication.

 

[v] See, however, Zajonc, 1980, who argues that both are parallel, mutually interactive systems. In this connection, Zajonc fails to mention  Peirce’s abduction but, interestingly, highlights the work of Wilhelm Wundt (1832-1920), the German philosopher and pioneer in the field of experimental psychology of whom Peirce was an admirer. Wundt’s emphasis on dynamic processes, his affirmation that thought is inferential, his ideas on the principle of creative resultants or synthesis (the whole perception is more than the sum of the stimuli), and his theory of «total feeling» (which goes beyond the narrow pleasure and displeasure paradigm) bring him near to Peirce. Throughout Peirce’s work, references are found to his phenomenologist avant la lettre. See particularly Peirce’s review article of Wundt’s Principles of Psychological Psychology (CP: 8.196-8.204 = CTN: 3: 229-233, 1905) and Peirce’s stress on the “practical corollaries” of its main topic: “the bodily substrate of mental life” (CP: 8.204 = CTN: 3: 233, 1905).

 

[vi] Indeed, in his writings Peirce himself showed the relevance and usefulness of  abductive reasoning to several fields and experiences, practical as well as scientific, in which a «mysterious» problem must be solved by man, the investigator. At times, he also discussed abduction, but without calling it by that name, probably not so not to deter his

 

 

(logically untrained) audience. Such is the case in Logic and Spiritualism (CP: 6.557-5.587, c. 1905), for example, the article which Peirce wrote for The Forum and in which he spoke unreservedly of «unconscious or semi-conscious irreflective judgments of mother-wit» (CP: 6.565, c. 1905) and «primitive conception of “force” and “matter”» (CP: 6.573, c. 1905); extremely «delicate in its sensibilities» yet at its best «simply, sleepy»  (CP: 6.569, c. 1905), and in Peirce’s view constituting the fons et origo of all great scientific inventions. He pitted such «conclusion men reach they know not how» (CP: 6.570, c. 1905) by instinct, against the «unscientific logic» (CP: 6.570, c. 1905) conductive to belief in spiritualism, telepathy, clairvoyance, and other related psychic phenomena. In Peirce’s day, these were popular yet controversial pursuit of which he as a scientist, laboratory-man, and Christian was sharply critical (we return to this topic in the next chapter, on religion and fallibilism). Such negative criticism dramatically that, for Peirce, abduction is a form of scientific reasoning, albeit instinctive reasoning.

 

[vii] The belief in motion and change leads to absurdities; for Zeno’s paradoxes, see the next chapter on Peirce’s fallibilism.

 

[viii] For more about mind and quasi-mind, see the following chapter on the subject of fallibilism in translation studies.

 

[ix] For an intensive discussion of the pyramid model of semiosis, see Spinks (1991: passim) In CP: 6.581 ff., c. 1905 Peirce discussed the principles of movement: elliptic, paraboli, and hyperbolic. According to Esposito (1980: 167), elliptic movement is Firstness, «microscopically reversible (directionless) and homogeneous throughout»; parabolic movement is Secondness, «globally reversible (cyclical) and heterogeneous within cycles»; and hyperbolic movement is Thirdness, «irreversible and heterogeneous throughout (developmental).» This corresponds to twice degenerate, once degenerate, and genuine semiosis; about Peirce’s notion of degeneracy, note 5 above and particularly the following chapter on fallibilism. On Peirce’s own account of semiosis as a logically, categorically, and pragmatically ambiguous concept, see Colapietro (1985).

 

[x] James argued in a pragmatic spirit: «The grammatical sentence expresses this. Its “subject” stands for an object of acquaintance which, by the addition of the predicate, is to get something known about it. We may already know a good deal, when we hear the subject named – its name may have rich connotations. But, know we much or little then, we know more still when the sentence is done. We can relapse at will into a mere condition of acquaintance with an object by scattering our attention and staring at it in a vacuous trance-like way. We can ascend to knowledge about it by rallying our wits and proceeding to notice and analyze and think. … But when we know about it, we do

 

 

 

more than merely have it; we seem, as we think over its relations, to subject it to a sort of treatment and to operate upon it with our thought. The words feeling and thought give voices to the antithesis. Through feelings we become acquainted with things, but only by our thoughts do we know about them. Feelings are the germ and starting point of cognition, thoughts the developed tree» (James 1910: 222, James’s emphasis; see Peirce’s review CP: 8.79 written in c. 1891). On translation as «horticultural machinery,» see Gorlée 1991: 192 and references mentioned in note 1.

 

[xi] From an ancient chorale text, and also the title of a clavichord piece by Baroque composer Georg Böhm (1661-1733).

 

[xii] On fallibilism in translation, see the next chapter.

 

[xiii] See further Anderson (1987: 68ff.). Peirce’s logical concept of metaphor is decidedly broader than the figure of thought used in literary language, in which an element «which in standard (“literal”) usage denotes one kind of thing, quality, or action is applied to another, in the form of an identity instead of comparison» (Abrams 1981: 63). Due to its essential two-sidedness (two languages in interaction), interlingual translation is a comparison (simile, in literary parlance) with metaphorical features which not only show the similarities but at the same time, and rather strongly, underscore the differences (even irreconcilable differences) between the languages involved. Thus I essentially agree with Johansen’s conclusion that interlingual translation «wouldn’t count as a metaphorical transformation, although the goal of translation certainly is to find the correspondence or parallel expression in the target language. In this case, however, although the vocabulary, structure, etc. of the two languages are different, they are still two species of natural language» (1996: 41).

 

[xiv] See also, Gorlée (1995) and the references mentioned therein.

 

[xv] See further the chapter on «Peirce and the Economy of Research» in Rescher (1978: 65-91).

 

 

[xvi] This well-known distinction was «invented» by Jakobson (1959). See further the chapter «Translation after Jakobson after Peirce» in Gorlée (1994: 147-168).

 

[xvii] For an account of the far-reaching consequences of this for the rule and status of the translator, see Gorlée (1994: 188-195 and 227).

 

[xviii] For the jig-saw puzzle analogy, see Gorlée (1994: 67-87).

 

[xix] Transfer of the verbal material at the image-level entered the agenda of psychology at an early stage; see Nida (1964: 146-147).

 

 

[xx] The term interlingua is borrowed from computer translation, where it refers to the intermediate phase when the text’s semantic structure is coded in a formalized language

(not bound to any particular natural language) through automatic inferential processes. Here, I use interlingua in an almost opposite sense of vague, tentative visual forms which can only be called linguistic in a metaphorical sense.

 

[xxi] This corresponds to Eco’s thought-provoking distinction between a nonsemiosic, dictionary-like representation of knowledge vs. a semiosic, encyclopedia-like representation of it. For one version of this, see Eco (1984: 46-86).

 

[xxii] On the notion of communicative noise, see further Scheffcyzyk (1986).

 

[xxiii] Without pushing the analogy too far, one might compare this abductive epiphany to a kind of katharsis in the Aristotelian sense. What both experiences have in common is that they are postdramatic  states of mind, in which the emotions are «cleansed,» the tensions relieved, and the energies renewed, making it possible for the mind to embark afresh upon the next discovery procedure.

 

[xxiv] The pragmatic maxim, in its early (1978) formulation, goes as follows: «Consider what effects that might conceivably have practical bearings, we conceive the object of our conception to have. Then, our conception of these effects is the whole of our conception of the subject» (CP: 5.402 = W 3: 266, 1878). For a chronology of the pragmatic maxims, see Gorlée (1993).

 

[xxv] Compare this to: «What the world was to Adam on the day he opened his eyes to it, before he had drawn any distinctions, or had become conscious of his own existence – that is first, present, immediate, fresh, new, initiative, original, spontaneous, free, vivid, conscious, and evanescent» (CP: 1.357, 1890-1891).

[xxvi] Vedi anche Jones (1976).

 

[xxvii] Per approfondimenti sulla teoria peirceiana dell’istinto, nella quale egli distingue tra azione istintiva razionale, animale e vegetale, così come tra istinto sociale ed egoistico e la loro relazione con l’abduzione, vedi Ayim (1974).

 

[xxviii] Per approfondimenti su «il lume naturale», vedi Ayim (1974).

 

[xxix] Spinks (1991: 114) offre una lista completa di tipi connessi di «processi di informazione non così chiari che includono: l’intuito, la congettura, l’intuizione, l’insight, l’eureka, la rivelazione, l’illuminazione, l’ispirazione, la Voce, il satori e così via.» Spinks definisce «la diabolica abduzione di Peirce» fondamentalmente come un «processo informativo non così chiaro» oppure «dati grezzi» (1991: 114), basato sull’esperienza e non su rapporti o comunicazioni reali.

 

[xxx] Vedi, comunque, Zajonc 1980, che asserisce che entrambi sono sistemi paralleli e reciprocamente interattivi. A tale riguardo, Zajonc manca di menzionare l’abduzione di Peirce ma sottolinea, curiosamente, l’opera di Wilhelm Wundt (1832-1920), filosofo tedesco pioniere nel campo della psicologia sperimentale, del quale Peirce era un grande ammiratore. L’enfasi posta da Wundt sui processi dinamici, la sua affermazione che il pensiero è inferenziale, le sue idee sul principio dei risultanti creativi o della sintesi  (l’intera percezione è più della somma degli stimoli) e la sua teoria della «sensazione totale» (che va oltre il paradigma del piacere e dispiacere) lo portano vicino a Peirce. Nell’opera di Peirce si trovano riferimenti al fenomenologo avant la lettre. Vedi in maniera particolare l’articolo di Principles of Physiological Psychology di Wundt (CP: 8.196-8.204 = CTN: 3: 299-233, 1905) e l’enfasi che Peirce pone sui «corollari pratici» del suo argomento principale: «il substrato corporeo della vita mentale» (CP: 8.204 = CTN: 3: 233, 1905).

 

[xxxi] In effetti, nei suoi scritti, Peirce stesso mostrò l’importanza e l’utilità del ragionamento abduttivo nei vari campi e nelle varie esperienze, pratiche così come scientifiche, nelle quali un problema «misterioso» deve essere risolto dall’uomo, il ricercatore. Talvolta discusse anche dell’abduzione, ma senza chiamarla con questo nome, probabilmente per non scoraggiare il suo pubblico (impreparato sul piano logico). Come ad esempio in Logic and Spiritualism (CP: 6.557-5.587, c.1905), l’articolo che Peirce scrisse per The Forum e nel quale parlò senza riserve dei «giudizi non riflessivi inconsci o semi-consci del mother-wit» (CP: 6.569, c.1905), con il quale intendeva il ragionamento istintivo radicato nelle esperienze familiari quotidiane «come l’aria e l’acqua» (CP: 6.565, c.1905) e «le concezioni primitive di “forza” e “materia”» (CP: 6.573, c.1905); estremamente «delicate nelle loro sensibilità», eppure al meglio «semplici, assonnate» (CP: 6.569, c.1905) e secondo l’opinione di Peirce, costituenti il fons et origo di tutte le grandi invenzioni scientifiche. Egli si cimentò in quelle «conclusioni che gli uomini raggiungono senza sapere come» (CP: 6.570, c.1905) per istinto, contro la «logica non scientifica» (CP: 6.570, c.1905) che contribuisce a credere a spiritualismo, telepatia, chiaroveggenza e altri fenomeni psichici connessi. All’epoca di Peirce, queste erano attività diffuse, ma controverse, contro le quali egli, in qualità di scienziato, uomo di laboratorio e cristiano, muoveva un’aspra critica (ritorneremo su questo argomento nel prossimo capitolo dedicato alla religione e al fallibilismo). Tale critica negativa mostra drammaticamente che, per Peirce, l’abduzione è una forma di ragionamento scientifico, quantunque istintivo.

 

[xxxii] La credenza nel movimento e nel cambio porta ad assurdità; per il paradosso di Zenone, vedi il capitolo seguente sul fallibilismo di Peirce.

 

[xxxiii] Per approfondimenti su mente e quasi-mente, vedi il capitolo seguente sul tema del fallibilismo negli studi traduttologici.

 

[xxxiv] Per una discussione dettagliata del modello piramidale di semiosi, vedi Spinks (1991: passim). In CP: 6.581 ff., c. 1905 Peirce discute i tre principi del movimento: ellittico, parabolico e iperbolico. Secondo Esposito (1980: 167), il movimento ellittico è Firstness, «reversibile in piccolissima parte (senza direzione) e omogeneo per tutta la sua durata»; il movimento parabolico è Secondness, «globalmente reversibile (ciclico) e omogeneo all’interno dei cicli»; e quello iperbolico è Thirdness, «irreversibile ed eterogeneo per tutta la sua durata (evolutivo).» Ciò corrisponde rispettivamente alla semiosi due volte degenerata, una volta degenerata e genuina; sulla nozione peirceiana di degenerazione, vedi la nota 5 sopra e in maniera particolare il capitolo seguente sul fallibilismo. Sulla spiegazione propria di Peirce della semiosi come concetto logicamente, categoricamente e pragmaticamente ambiguo, vedi Colapietro (1985).

 

[xxxv] James affermava in senso pragmatico: «la frase grammaticale esprime questo. Il suo “soggetto” sta per un oggetto di conoscenza che, insieme al predicato, fa conoscere qualcosa di esso. Possiamo già conoscerne gran parte quando sentiamo nominare il soggetto – il suo nome può avere ricche connotazioni. Ma, che ne sappiamo molto o poco, poi ne sappiamo di più ancora quando la frase è composta. Possiamo ricadere sempre in una semplice condizione di conoscenza di un oggetto disperdendo la nostra attenzione e fissandolo in un modo vacuo, come di trance. Possiamo raggiungerne la conoscenza mobilitando le nostre facoltà mentali e procedendo con l’osservare, l’analizzare e il pensare. … Ma quando ne sappiamo, noi facciamo più che possederlo semplicemente; dal momento che meditiamo sulle sue relazioni, sembra di sottoporlo a una sorta di trattamento e di operare su di lui con i nostri pensieri.  Le parole «sensazione» e «pensiero» danno voce a tale antitesi. Tramite le sensazioni veniamo a conoscenza delle cose, ma le conosciamo solo tramite il pensiero. Le sensazioni sono i germi e il punto d’inizio della cognizione, i pensieri l’albero sviluppato» (James 1910: 222, l’enfasi di James; vedi la critica di Peirce CP: 8.79 scritta in c. 1891). Sulla traduzione come «meccanismo orticolo», vedi Gorlée 1994: 192 e i riferimenti riportati nella nota 1.

 

[xxxvi] Espressione tratta da un antico testo corale, e anche il titolo di un brano per clavicordo del compositore barocco Georg Böhm (1661-1733).

 

[xxxvii] Sul fallibilismo nella traduzione, vedi il capitolo seguente.

 

[xxxviii] Vedi anche Anderson (1987: 68ff.). Il concetto logico di Peirce è decisamente più ampio rispetto alla figura retorica del pensiero usata nel linguaggio letterario, nella quale un elemento «che nell’uso standard (“letterale”) denota un tipo di cosa, qualità o azione, viene applicato ad un altro in forma di identità anziché paragone» (Abrams 1981: 63). A causa della sua peculiarità fondamentale di avere due facce (due lingue che interagiscono), la traduzione interlinguistica è un paragone (similitudine, nel linguaggio letterario) con caratteristiche metaforiche che non solo mostrano somiglianze ma, allo stesso tempo, e in maniera abbastanza intensa, sottolineano le differenze (anche quelle inconciliabili) tra le lingue coinvolte. Perciò sostanzialmente concordo con la conclusione di Johansen secondo la quale la traduzione interlinguistica «non dovrebbe essere considerata come una trasformazione metaforica, nonostante lo scopo della traduzione sia indubbiamente quello di trovare le espressioni corrispondenti o parallele nella lingua ricevente. In questo caso, comunque, nonostante il vocabolario, la struttura, ecc. delle due lingue siano diversi, sono sempre due specie della lingua naturale» (1996:41).

 

[xxxix] Vedi anche Gorlée (1995) e i riferimenti ivi menzionati.

 

[xl] Vedi anche il capitolo su «Peirce e l’economia di ricerca» in Rescher (1978: 65-91).

 

[xli] Questa nota distinzione è stata «inventata»  da Jakobson (1959). Vedi anche il capitolo «La traduzione dopo Jakobson dopo Peirce» in Gorlée (1994: 147-168).

 

[xlii] Per un resoconto delle conseguenze di ampia portata di questo per il ruolo e lo status del traduttore, vedi Gorlée (1994: 188-195 e 227).

 

[xliii] Per l’analogia con il puzzle, vedi Gorlée (1994: 67-87).

 

[xliv] Il trasferimento di materiale mentale al livello delle immagini è entrato a far parte dell’agenda della psicologia molto presto, vedi  Nida (1964: 146-147).

 

[xlv] Il termine «interlingua» è un prestito dalla traduzione automatica, dove esso si riferisce alla fase intermedia nella quale la struttura semantica del testo viene codificata in un linguaggio formalizzato (non legato a nessuna particolare lingua naturale) attraverso processi inferenziali automatici. Qui uso «interlingua» in un’accezione quasi opposta di forme visive vaghe e sperimentali che possono essere definite linguistiche solo in senso metaforico.

 

[xlvi] Ciò corrisponde alla distinzione che suscita il pensiero di Eco tra una rappresentazione non-semiosica e da dizionario della conoscenza versus una rappresentazione di essa semiosica ed enciclopedica. Per una versione di questo, vedi Eco (1984: 46-86).

 

[xlvii] Sulla nozione di rumore nella comunicazione, vedi anche Scheffcyzyk (1986).

 

[xlviii] Senza spingere troppo lontano l’analogia, si potrebbe paragonare tale epifania abduttiva a un tipo di catarsi in senso aristotelico. Ciò che le due esperienze hanno in comune è che sono stati mentali post-drammatici, nei quali le emozioni sono «purificate», le tensioni «alleviate» e le energie rinnovate, rendendo possibile alla mente di imbarcarsi nuovamente nella procedura di scoperta successiva.

 

[xlix] La massima pragmatica, nella sua prima formulazione (1878), si sviluppa come segue: «Consideriamo quali effetti, che possono concepibilmente avere conseguenze pratiche, noi concepiamo che possa avere l’oggetto della nostra concezione. Allora, la nostra concezione di questi effetti è l’intera nostra concezione dell’oggetto» (CP: 5.402 = W 3:266, 1878). Per una cronologia delle massime pragmatiche, vedi Gorlée (1993).

 

[l] Confrontate questo con: «Com’era il mondo per Adamo il giorno in cui ha aperto i suoi occhi ad esso, prima di aver fatto qualsiasi distinzione o prima di divenire consapevole della sua esistenza – ossia primo, presente, immediato, fresco, nuovo, iniziale, originale, spontaneo, libero, vivido, conscio ed evanescente» (CP: 1.357, 1980-1981).

 

Freud: Die Traumdeutung. I diversi significati di «traduzione»

Freud:

Die Traumdeutung.

I diversi significati di «traduzione»

ELISA VERGURA

Fondazione Milano

Milano Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

Relatore: professor Bruno Osimo

Diploma in Scienze della Mediazione Linguistica

Ottobre 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© Freud, Die Traumdeutung, 1900

 

© Elisa Vergura per l’edizione italiana 2010

 


Abstract in italiano

Nell’opera L’interpretazione dei sogni Freud utilizza spesso il termine «Übersetzung» (traduzione), il verbo «übersetzen» (tradurre) e altre espressioni dal significato simile per denotare i diversi tipi di trasferimento descritti nell’ambito dei processi onirici all’interno della mente così come in merito all’esplicitazione del sogno in parole o alla sua interpretazione. Tali trasferimenti rappresentano diversi tipi di processi traduttivi, motivo per cui «traduzione» assume  varie connotazioni a seconda dei procedimenti di volta in volta presi in considerazione.

 

English abstract

In his work The Interpretation of dreams Freud often makes use of the word «translation», of the verb «translate» and of other expressions conveying a similar meaning to denote the different kinds of transfer described within the dream-processes in our mind, as well as regarding the report of dreams by means of words and their interpretation. Such transfers represent different kinds of translation processes; that’s the reason why «translation» takes on various connotations according to the different procedures considered.

 

Zusammenfassung auf deutsch

In seinem Werk DieTraumdeutung verwendet Freud oft das Wort «Übersetzung», das Verb «übersetzen» und andere Ausdrücke von ähnlichem Sinn, um die verschiedenen Arten von Übertragung zu benennen,die im Bereich der Traumvorgänge in unserem Kopf beschrieben werden, sowie die Verdeutlichung der Träume mit Worten oder ihre Deutung. Solche Übertragungen stellen verschiedene Sorten von Übersetzungsvorgänge dar; deshalb übernimmt «Übersetzung» zahlreiche Konnotationen je nach den verschiedenen Verfahren, die im Betracht gezogen werden.

 


Sommario

>1.1. Introduzione… 5

1.2. Traduzione: dal pensiero onirico al sogno                  e dal sogno al linguaggio verbale… 9

1.3. Traduzione: interpretazione… 30

1.4. Conclusione                                                               … 38

1.5. Riferimenti bibliografici… 38

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



1.1.       Introduzione

Nell’ambito del corso di studi che ho intrapreso, ho avuto costantemente modo di confrontarmi col concetto di «traduzione», confronto che ha dato adito a una riflessione sul significato di tale termine.

Parlando di traduzione, si pensa immediatamente alla riformulazione di un testo in una lingua diversa da quella in cui è stato creato, la cosiddetta «traduzione interlinguistica», fra due lingue diverse. Tale riscrittura implica un lavoro di interpretazione ed elaborazione del contenuto e del significato del prototesto, motivo per cui possiamo affermare che il termine «traduzione» indica non solo il prodotto finale, bensì anche il processo traduttivo mediante il quale si giunge al secondo testo.

Ma ho appreso che il concetto di «testo» non necessariamente esprime un insieme di parole che possiedono una forma grafica, esistono infatti numerosi testi in linguaggi extraverbali come la musica, il cinema, il sogno, i quali possono essere anch’essi sottoposti a una traduzione, in quanto per «traduzione» intendiamo qualsiasi processo che trasformi un prototesto in un metatesto, dove i due testi possono appartenere a qualsiasi linguaggio, anche non verbale.

Si tratterà in questo caso di una traduzione extraverbale, da un testo a un altro tipo di testo, una traduzione tra codici diversi.

In questo caso il trasferimento che avviene è di tipo intersemiotico, tra segni appartenenti a sistemi diversi, un trasferimento nel quale cambia il tipo di codice. Il presupposto di una traduzione extraverbale è che o il metatesto o il prototesto non sia di tipo verbale scritto.

Considerando le definizioni di Jakobson, la traduzione interlinguistica o traduzione vera e propria è un’interpretazione di segni verbali per mezzo di un’altra lingua; mentre la traduzione intersemiotica o trasmutazione è un’interpretazione di segni verbali per mezzo di segni di sistemi segnici non verbali.

Il sogno e le diverse fasi della sua elaborazione  rappresentano un caso particolare di traduzione extraverbale dove avviene un trasferimento di tipo intersemiotico, si consideri il materiale onirico messo in parole per la trascrizione o per riferirlo a qualcuno o la traduzione di un sogno riferito in interpretazione da parte di uno psicoterapeuta, esempi che hanno destato in me particolare interesse, inducendomi a riflettere sulle affinità esistenti tra la traduzione interlinguistica e l’interpretazione di un sogno.

In entrambi i casi si opera una traduzione: nel primo caso un processo di trasferimento di significato da una lingua all’altra, un’interpretazione dei segni verbali di una lingua per mezzo dei segni verbali di un’altra, nel secondo caso un processo di trasformazione dei pensieri onirici nel contenuto dei sogni o di traduzione del sogno nel linguaggio verbale quotidiano.

Il sogno può essere in qualche modo considerato un testo, più precisamente un prototesto: dalla sua interpretazione/traduzione si giunge attraverso diverse fasi di elaborazione alla creazione di un metatesto, e per fare ciò sono necessarie in entrambi i casi elevate competenze linguistiche, bisogna conoscere la lingua del sogno così come del testo, nonché possedere gli strumenti per interpretarlo/tradurlo.

Come abbiamo detto, è particolarmente importante sottolineare che il termine, oltre a indicare il prodotto finale, veicola il processo traduttivo di decifrazione del linguaggio e interpretazione del significato e del contenuto, processo che risulta particolarmente esplicito nell’interpretazione dei sogni e che costituisce il paragone più evidente tra la traduzione interlinguistica e il tipo di traduzione extraverbale che ho voluto analizzare.

 

L’interpretazione di un sogno è il prodotto di diverse fasi, di un insieme di diversi processi traduttivi:

1- elaborazione primaria, processo traduttivo primario

 DA: istanze inconscio A: sogno

 

2-Trascrizione/ relazione del sogno, deformazione inconscia

DA: sogno A: ricordo

 

3-elaborazione secondaria, discorso allo psicoterapeuta

DA: ricordo del sogno A: referto

 

4-processo traduttivo dello psicoterapeuta, abduzione

DA: referto A: interpretazione

 

5- feedback dello psicoterapeuta

DA: interpretazione del sogno A: testo psichico

 

Dal momento che esistono diversi tipi di traduzione, ne consegue che il termine può denotare diversi tipi di trasferimento e quindi essere utilizzato con accezioni diverse. È proprio sulle diverse sfumature di significato convogliate dal concetto di «Übersetzung» che ho voluto concentrarmi.

Dopo un’attenta lettura dell’opera Die Traumdeutung (L’interpretazione dei sogni) di Freud, eseguita dedicando particolare attenzione al termine «Übersetzung» (traduzione) e al diverso significato che esso assume nel corso dell’opera, ho potuto constatare come Freud lo utilizzi non solo nel facilmente intuibile senso letterale di traduzione vera e propria quale processo di trasferimento di significato da una lingua all’altra, bensì conferendogli una connotazione metaforica. Pertanto ho ritenuto opportuno prendere in considerazione anche ulteriori termini che esprimessero un significato simile a “tradurre”.

Illustrerò quali ritengo essere le connotazioni di volta in volta intese,  riportando citazioni tratte dal testo, affiancate da una rudimentale traduzione di servizio allo scopo di rendere comprensibile il significato espresso dalla lingua originale.

Il fine delle mie traduzioni dal tedesco non sarà dunque quello di produrre un testo, nella mia stesura non sarò guidata dalla presunzione di redigere un brano compatto e coeso che voglia in qualche modo sostituirsi o essere paragonabile alla già esistente traduzione ufficiale in italiano.

Le mie traduzioni non avranno la pretesa di essere leggibili o scorrevoli, bensì di fungere da  puri testi di servizio che rendano accessibili al lettore le mie considerazioni poiché, essendo queste ultime eseguite sulla base dell’utilizzo compiuto da Freud nel testo in lingua tedesca dei termini che nella mia versione italiana ho messo in evidenza, le mie traduzioni rappresentano una premessa indispensabile per chi non conoscesse tale lingua.

Ogni considerazione vuole essere la necessaria chiave di accesso ai  collegamenti logici tra una citazione e la seguente.

 

 

 

1.2.       Traduzione: dal pensiero onirico al sogno                 e dal sogno al linguaggio verbale

Nella maggior parte dei casi il concetto di “traduzione” ricorre per indicare la riformulazione dei pensieri onirici in immagini del sogno o del contenuto onirico in parole.

 

Ich habe dabei ins Bewußte übersetzt, was in der Seele des Helden unbewußt bleiben muß;

wenn jemand Hamlet einen Hysteriker nennen will, kann ich es nur als Folgerung aus meiner Deutung anerkennen.(Freud 1900:320)

Ho così tradotto in conscio, ciò che nella mente dell’eroe deve rimanere inconscio;

se qualcuno vuole definire Amleto un isterico, non posso che riconoscere che questa è la conclusione risultante dalla mia interpretazione.

 

Da questa citazione comprendiamo il presupposto freudiano dell’esistenza di una sfera inconscia all’interno di ogni individuo, che utilizza una sorta di “traduzione incomprensibile” per esprimere del materiale mentale rimosso in quanto sfavorevole al funzionamento dell’Io.

 

 

Wenn wir also sagen, ein unbewußter Gedanke strebe nach Überzsetzung ins Vorbewußte, um dann zum Bewußtsein durchzudringen, so meinen wir nicht, daß ein zweiter, an neuer Stelle gelegener Gedanke gebildet werden soll, eine Umschrift gleichsam, neben welcher das Original fortbesteht; und auch vom Durchdringen zum Bewußtsein wollen wir jede Idee einer Ortsveränderung sorgfältig ablösen (623). Se quindi diciamo che un pensiero inconscio aspira a essere tradotto in preconscio, per poi penetrarvi fino a giungere allo stato conscio, non intendiamo che debba essere formato un secondo pensiero collocato in un nuovo luogo, una trascrizione per così dire accanto alla quale continua a sussistere l’originale; così come parlando di «penetrazione nel conscio» vogliamo accuratamente allontanare ogni idea di un cambiamento di luogo.

 

L’inconscio è sede di diverse istanze che vogliono esprimersi, sottrarsi alla censura su di esse esercitata. Vogliono essere tradotte, assumere una nuova forma che permetta loro di esprimersi a livello preconscio.

 

 

Die Erfahrung lehrt uns, daß den Traumgedanken tagsüber diesen Weg, der durchs Vorbewußte zum Bewußtsein führt, durch die Widerstandszensur verlegt ist. In der Nacht schaffen sie sich den Zugang zum Bewusstsein; aber es erhebt sich die Frage, auf welchem Wege und dank welcher Veränderung (547). L’esperienza ci insegna che ai pensieri onirici, di giorno, viene sbarrata dalla censura questa strada che conduce allo stato conscio attraverso il preconscio. Durante la notte riescono ad accedere allo stato conscio; ma si pone la domanda  in che modo e grazie a quale cambiamento.

 

Il cambiamento che i pensieri onirici subiscono di notte è la loro traduzione in sogno. L’impulso che favorisce questo cambiamento è dato dall’energia psichica accumulata durante il giorno attraverso inibizioni e rimozioni. Nel sogno il materiale psichico rimosso viene alla luce, subisce un cambiamento, viene tradotto.

 

 

Die Verschiebung erfolgt in der Regel nach der Richtung, daß ein farbloser und abstrakter Ausdruck des Traumgedankens gegen einen bildlichen und konkreten eingetauscht wird (398). Lo spostamento avviene di regola secondo il principio che un’incolore e astratta espressione del pensiero onirico viene scambiata con una figurata e concreta.

 

I pensieri onirici danno vita al sogno venendo scambiati, tradotti in immagini concrete. Si tratta dell’elaborazione primaria che conduce le istanze dell’inconscio a esprimersi in un sogno. Dal momento che il sogno è un atto di autocomunicazione, abbiamo a che fare con un tipo di traduzione all’interno della mente dell’individuo, è la primissima forma di traduzione che avviene nel mondo interiore, antecedente a quella rivolta all’esterno e quindi più immediata e implicita, dal momento che l’individuo è contemporaneamente emittente e ricevente della comunicazione.

 

 

Bei näherem Zusehen merkt man wohl, daß in der Erscheinungsform des Traumes zwei voneinander fast unabhängige Charaktere ausgeprägt sind. Der eine ist die Darstellung als gegenwärtige Situation mit Weglassung des “vielleicht” ; der andere die Umsetzung des Gedankens in visuelle Bilder und in Rede.

Die Umwandlung, welche die Traumgedanken dadurch erfahren, daß die in ihnen ausgedrückte Erwartung ins Präsens gesetzt wird, scheint vielleicht gerade an diesem Traume nicht sehr auffällig (538).

A una più attenta osservazione, notiamo chiaramente che nella forma manifesta del sogno compaiono due caratteristiche quasi indipendenti l’una dall’altra. Una è la rappresentazione come situazione presente con l’omissione del «forse» ;

l’altra è la trasformazione/traduzione del pensiero in immagini visive e discorso.

La trasformazione che i pensieri onirici in tal modo subiscono, che pone al presente l’aspettativa in essi espressa, non risulta forse molto evidente in questo sogno specifico.

 

Nelle ultime due citazioni Freud utilizza i termini «eintauschen» (scambiare) e «Umwandlung» (trasformazione, conversione) per esprimere quel processo mediante il quale i pensieri onirici vengono metaforicamente tradotti, ossia mutati in immagini caratterizzanti il contenuto dei sogni. Il lavoro psichico funzionale alla formazione dei sogni può essere infatti scomposto in due operazioni: la produzione dei pensieri onirici e la  trasformazione di questi ultimi in contenuto onirico. «Trasformazione» indica il processo di traduzione operato in questa seconda fase.

 

 

Der Traumvorgang schlägt also den Weg der Regression ein, der gerade durch die Eigentümlichkeiten des Schlafzustandes eröffnet ist, und folgt dabei der Anziehung, welche Erinnerungsgruppen auf ihn ausüben, die zum Teil selbst nur als visuelle Besetzungen, nicht als Übersetzung in die Zeichen der späteren Systeme vorhanden sind (580). Il processo onirico segue dunque il percorso della regressione, che viene aperto proprio attraverso le peculiarità del sonno e segue così l’attrazione esercitata su di esso dai gruppi di memoria che sono in parte essi stessi presenti solo come sostituzioni visive, non come traduzione in segni dei sistemi successivi.

 

Uno degli elementi che contribuiscono alla formazione delle immagini del sogno sono i ricordi. Tali ricordi vengono riprodotti nel sogno ricorrendo sotto forma di immagini mentali, alcune rare volte senza subire una particolare trasformazione/traduzione: vengono restituiti con la stessa precisione di cui è capace la nostra memoria allo stato vigile. Il processo di regressione da un complesso atto rappresentativo consiste nell’individuare la materia grezza delle tracce mnestiche su cui esso si basa.


Es liegt mir nun daran zu zeigen, daß die Traumarbeit überhaupt durch das Zusammenwirken der drei erwähnten Momente-und eines vierten noch zu erwähnenden- erschöpft ist, daß sie sonst nichts leistet als eine Übersetzung der Traumgedanken unter Beachtung der vier ihr vorgeschriebenen Bedingungen, und daß die Frage, ob die Seele im Traume mit all ihren geistigen Fähigkeiten arbeitet oder nur mit einem Teile derselben, schief gestellt ist und an den tatsächlichen Verhältnissen abgeleitet (444).
Mi preme dimostrare che il lavoro onirico viene esaurito dalla cooperazione dei tre momenti citati e di un quarto non ancora citato, che non fa altro che compiere una traduzione dei pensieri onirici considerando le quattro condizioni prescritte, e che la domanda, se la mente nel sogno lavori con tutte le sue facoltà intellettuali o solamente con una parte di esse, è posta erroneamente e lontana rispetto all’effettivo stato delle cose.

 

Il termine «traduzione» viene utilizzato come sinonimo di «lavoro onirico» (“Traumarbeit”), ovvero come metafora di quel processo che permette alla mente del sognatore di trasformare  minacciosi e latenti pensieri onirici in contenuto accettabile di un sogno evidente.

Was wir im Wachen dumpf als Gemeingefühl nur seiner Qualität nach wahrnehmen, und wozu nach der Meinung der Ärtze alle Organsysteme ihre Beiträge leisten, das würde nachts, zur kräftigen Einwirkung gelangt und gleichzeitig die gewöhnlichste Quelle für die Erweckung der Traumvorstellungen ergeben. Es erübrigte dann noch die Untersuchung, nach welchen Regeln sich die Organreize in Traumvorstellungen umsetzen (49). Ciò che nella veglia percepiamo confusamente come sensazione generica solo per la sua qualità, e a cui secondo l’opinione dei medici tutti i sistemi di organi forniscono il proprio contributo, eserciterebbe di notte un’azione più intensa e allo stesso tempo risulterebbe la fonte più comune per il risveglio delle rappresentazioni oniriche. Rimarrebbe poi solo da analizzare secondo quali regole gli stimoli organici vengono tradotti in rappresentazioni oniriche.

 

«Umsetzen» ovvero «trasformare» viene utilizzato da Freud come sinonimo di «tradurre».

Traduzione è quindi metafora dell’elaborazione che, attraverso una deformazione simbolica, permette all’inconscio e agli stimoli organici di essere trasformati, tradotti appunto, in rappresentazioni oniriche.

 

Wenn man erwägt, daß von den aufgefundenen Traumgedanken nur die wenigsten durch eines ihrer Vorstellungselemente in Traum vertreten sind, so sollte man schließen, die Verdichtung geschehe auf dem Wege der  Auslassung, indem der Traum nicht eine getreuliche Übersetzung oder eine Projektion Punkt für Punkt der Traumgedanken, sondern eine höchst unvollständige und lückenhafte Wiedergabe derselben sei (335). Se si considera che dei pensieri onirici rintracciati solo una minima parte viene rappresentata in sogno attraverso uno dei suoi elementi concettuali, bisognerebbe allora concludere che la condensazione avviene tramite  omissione, facendo del sogno non una traduzione fedele o una proiezione punto per punto dei pensieri onirici, bensì una riproduzione incompleta e imprecisa degli stessi.

 

Il termine «traduzione» è qui utilizzato come metafora della riproduzione dei pensieri onirici in sogno, che avviene in seguito all’elaborazione e deformazione delle istanze dell’inconscio, in virtù della quale non riproduciamo (traduciamo) nel sogno esattamente tutti gli stimoli presenti nel pensiero, ma ne omettiamo alcuni.

 

 

Von einer anderen Art von Verschiebungen haben wir noch keine Erwähnung getan. Aus den Analysen erfährt man aber, daß eine solche besteht, und daß sie sich in einer Vertauschung des sprachlichen Ausdruckes für den betreffenden Gedanken kund gibt. Es handelt sich beide Male um Verschiebung längs einer Assoziazionskette, aber der gleiche Vorgang findet in  verschiedenen psychischen Spähren statt, und das Ergebnis dieser Verschiebung ist das eine Mal, daß ein Element durch ein anderes substituiert wird, während im anderen Falle ein Element seine Wortfassung gegen eine andere vertauscht (397). Di un altro tipo di spostamento non abbiamo ancora fatto menzione. Ma dalle analisi veniamo a sapere che un tale spostamento avviene, e che esso si manifesta in uno scambio dell’espressione verbale per il pensiero in oggetto. Si tratta in entrambi i casi di uno spostamento lungo una catena di associazioni, ma lo stesso processo avviene in diverse sfere psichiche, e il risultato di questo spostamento è in un caso che un elemento viene sostituito da un altro, mentre nell’altro caso un elemento scambia la sua forma verbale per un’altra.

 

Lo spostamento di cui si parla è una metafora della traduzione dei pensieri onirici astratti in parole, parole appartenenti a un codice naturale che evocano delle figure concrete. Lo spostamento indica la conversione che avviene da testo onirico a lingua verbale, divenendo quindi metafora dello scambio che avviene tra i diversi codici. Freud parla di «Verschiebung» per indicare il passaggio da un’espressione astratta a una concreta. Lo spostamento indica il passaggio da un elemento all’altro della catena associativa. Un elemento viene sostituito perché viene tradotto da un altro. Si tratta di uno spostamento in quanto implica un trasferimento intersemiotico ed è per tale motivo che possiamo affermare che in questo contesto «spostamento» è un sinonimo di «traduzione».

 

 

Aber nicht nur die Darstellbarkeit, auch die Interessen der Verdichtung und der Zensur können bei diesem Tausche gewinnen. Ist erst der abstrakt ausgedrückt unbrauchbare Traumgedanke in eine bildliche Sprache umgeformt, so ergeben sich zwischen diesem neuen Ausdruck und dem übrigen Traummateriale leichter als vorher die Berührungen und Identitäten, welcher die Traumarbeit bedarf, und die sie schafft, wo sie nicht vorhanden sind, denn die konkreten Termini sind in jeder Sprache ihrer Entwicklung zufolge anknüpfungsreicher als die begrifflichen (398). Non solo la possibilità di rappresentazione, ma anche gli interessi della condensazione e della censura possono guadagnare da questo scambio. Una volta che l’inutilizzabile pensiero onirico espresso in astratto viene trasformato in linguaggio figurato, allora le relazioni e le identità tra questa nuove espressione e il rimanente materiale onirico di cui il lavoro onirico necessita e che esso crea laddove non sono presenti, risultano con maggiore facilità rispetto a prima, poiché in ogni lingua  i termini concreti sono, in virtù del loro sviluppo, più ricchi di associazioni dei termini astratti.

Trasformare un pensiero onirico in linguaggio figurato equivale in questo caso a dire “tradurre” i pensieri onirici astratti verbalmente formulati, sostituendoli con espressioni figurate dal carattere plastico e concreto che si prestino a essere convertite in elementi di una scena onirica vera e propria. La rappresentabilità permette una traduzione dai pensieri onirici al contenuto manifesto servendosi del tramite dell’immagine, permette una trasformazione che, impiegando metafore o immagini dà modo di creare una rappresentazione concreta di situazioni o relazioni relativamente astratte.

 

 

In einigen Fällen dient die Ausdrucksvertauschung der Traumverdichtung noch auf kürzerem Wege, indem sie eine Wortfügung finden läßt, welche als zweideutig mehr als einem der Traumgedanken Ausdruck gestattet. Das ganze Gebiet des Wortwitzes wird so der Traumarbeit deinstbar gemacht. Man darf sich über die Rolle, welche dem Worte bei der Traumbildung zufällt, nicht wundern. Das Wort, als der Knotenpunkt mehrfacher Vorstellungen, ist sozusagen eine prädestinierte Vieldeutigkeit, und die Neurosen (Zwangsvorstellungen, Phobien) benützen die Vorteile, die das Wort so zur Verdichtung und Verkleidung bietet, nicht minder ungescheut wie der Traum (399). In alcuni casi lo scambio di espressione è ancora più utile alla condensazione onirica, facendo trovare un costrutto verbale, che essendo ambiguo permette a più di un pensiero onirico di esprimersi. L’intero ambito dei giochi di parole viene messo a servizio del lavoro onirico. Non ci si deve meravigliare del ruolo che spetta alle parole nella formazione dei sogni.

La parola, quale punto di congiunzione di numerosi concetti ha, per così dire, una predestinata ambiguità, e le nevrosi (ossessioni, fobie) utilizzano i vantaggi, che la parola offre per la condensazione e il travestimento, non meno che il sogno.

 

Il pensiero onirico può esprimersi, e dunque essere tradotto, attraverso un linguaggio verbale che, essendo differente dal linguaggio in cui il pensiero è originariamente concepito, favorisce uno scambio di espressione, che non è altro che una forma di traduzione extratestuale. I pensieri e le nevrosi cambiano apparenza,   attraverso un travestimento, cioè una traduzione resa possibile dalle parole. Infatti secondo Freud il contenuto manifesto dei sogni non è nient’altro che la forma elaborata e travestita ˗ sotto effetto della censura ˗ in cui si presentano i desideri latenti.

 

 

Zwei andere Gründe des Vergessens der Träume, die Bonatelli (bei Benini) zu den  Strümpellschen hinzugefügt, sind wohl bereits in diesen enthalten, nämlich:

1) daß die Veränderung des Gemeingefühles zwischen Schlafen und Wachen der wechselseitigen Reproduktion ungüngstig ist, und 2) daß die andere Anordnung des Vorstellungsmateriales im Traume diesen sozusagen unübersetzbar fürs Wachbewußtsein macht (61).

Altri due motivi per la dimenticanza dei sogni, che Bonatelli (citato da Benini) aggiunge a quelli di Strümpell sono qui contenuti, ovvero:

1) che il cambiamento della sensazione generica  [che avviene nel passaggio] tra sonno e veglia è sfavorevole alla riproduzione reciproca;

e 2) che la diversa collocazione del materiale del sogno lo rende per così dire intraducibile per la coscienza vigile.

 

Nella ricostruzione della “traduzione” avvenuta dal sogno al suo ricordo, incontriamo diversi ostacoli dovuti alla velocità e facilità con la quale i sogni si dimenticano. A causa della diversa sistemazione del materiale nel sonno e nella veglia, è necessario, ai fini dell’interpretazione di questo materiale, ricorrere a un cambiamento di codice che permetta il passaggio dal testo multimediale del sogno al linguaggio verbale della veglia. Affermando che il materiale del sogno è dunque per così dire «intraducibile», Freud intende rendere consapevoli della  difficoltà del  riportare lo stesso identico contenuto attraverso un codice diverso in quanto tale cambiamento di codice implica già di per sé la perdita di esattezza nella riproduzione.

A proposito di supposta intraducibilità, la difficoltà a mantenere la stessa intensità di espressione del sogno nel suo racconto può essere paragonabile all’inevitabile processo di perdita (Robert Frost) che comporta una traduzione interlinguistica.

 

 

Eine Überdeutung dieses Traumes: Auf der Treppe spucken, das führte, da «spuken» eine Tätigkeit der Geister ist, bei loser Übersetzung zum «esprit d’escalier» (297). Un’ulteriore interpretazione di questo sogno: sputare [in tedesco «spucken»] sulle scale, dal momento che «infestare»  [in tedesco «spuken»] è un’attività degli spiriti, ha condotto, attraverso una traduzione libera, a «esprit d’escalier»

 

La «traduzione libera» alla quale Freud fa riferimento convoglia in questa citazione il senso della libera associazione che spesso scaturisce da una determinata parola e che induce per esempio ad attribuirle due significati completamente differenti a causa dell’omofonia della parola con un’altra o della sua polisemia.

Trattandosi di associazioni promosse dalla polivalenza delle parole in una determinata lingua, risulta comprensibile come siano possibili solo nella mente di un pensante di tale madrelingua e che,   nel tradurle in una lingua diversa, insorgano numerose difficoltà.

Infatti, così come un testo è strutturato in base alle peculiarità grammaticali, sintattiche, culturali della lingua in cui viene ideato, il sogno è intimamente legato all’espressione verbale, tanto che Ferenczi afferma che ogni lingua ha un proprio linguaggio onirico. Per tale motivo  secondo Freud un sogno è di regola intraducibile in un’altra lingua, in quanto spesso generato da un’associazione fatta a partire da una parola, associazione che a un pensante di lingua diversa non sarebbe mai potuta venire in mente.

 

 

Nun verfahren wir nicht anders, wenn wir nach dem Erwachen den Traum aus der Erinnerung reproduzieren, und ob uns diese Rückübersetzung ganz oder nur teilweise gelingt, der Traum behält seine Rätselhaftigkeit unverringert bei (71).  È proprio quello che facciamo quando dopo il risveglio riproduciamo il sogno dalla memoria,

e  che questa ritraduzione ci riesca del tutto o solo in parte, il sogno mantiene comunque la sua natura enigmatica.

 

Tentando di verbalizzare il sogno dal suo ricordo cerchiamo di dare coerenza e coesione al testo del ricordo per esprimerlo nello stato vigile, nel tentativo di riprodurre il sogno associamo i suoi elementi l’uno con l’altro aggiungendo i collegamenti logici che al sogno mancano. Il prefisso «ri-» aggiunto al termine «traduzione» sta a indicare che si tratta di un processo traduttivo secondario, che avviene in seguito al processo traduttivo avvenuto dal sogno al suo ricordo.

 

 

Traumgedanken und Trauminhalt liegen vor uns wie zwei Darstellungen desselben Inhaltes in zwei verschiedenen Sprachen, oder besser gesagt, der Trauminhalt erscheint uns als eine Übertragung der Traumgedanken in eine andere Ausdrucksweise, deren Zeichen und Fügungsgesetze wir durch die Vergleichung von Original und Übersetzung kennen lernen sollen (330). I pensieri onirici e il contenuto del sogno si presentano come due raffigurazioni dello stesso contenuto in due lingue diverse, o per meglio dire, il contenuto del sogno ci appare come una trasposizione dei pensieri del sogno in un’altra modalità espressiva, i cui segni e le cui regole sintattiche dobbiamo imparare attraverso il confronto dell’originale con la traduzione.

 

Così come nella traduzione interlinguistica avviene un raffronto fra originale e traduzione in base al quale esprimere un giudizio sulla affidabilità della riproduzione, così per «traduzione» si intende in questa citazione il processo di trasferimento da pensieri onirici a contenuto del sogno, da “latente” a “manifesto”  nel corso del quale alcuni dettagli andranno inevitabilmente persi, generando una sorta di “residuo traduttivo”.

 

Die gleiche Würdigung haben wir bei der Traumdeutung jeder Nuance des sprachlichen Ausdruckes geschenkt, in welchem der Traum uns vorlag; ja, wenn uns ein unsinniger oder unzureichender Wortlaut vorgelegt wurde, als ob es der Anstrengung nicht gelungen wäre, den Traum in die richtige Fassung zu übersetzen, haben wir auch diese Mängel des Ausdruckes respektiert.

Kurz, was nach der Meinung der Autoren eine willkürliche, in der Verlegenheit eilig zusammengebraute Improvisation sein soll, das haben wirbehandelt wie einen heiligen Text (517).

Nell’interpretazione dei sogni abbiamo riconosciuto la stessa importanza a ogni sfumatura dell’espressione verbale nella quale il sogno ci era presentato;  e anzi, quando ci è stata sottoposta una formulazione insensata o insufficiente, come se lo sforzo non fosse valso a tradurre il sogno nella versione giusta, abbiamo rispettato anche questi difetti di espressione.

In breve, ciò che secondo gli autori doveva essere un’ arbitraria improvvisazione messa insieme di fretta in un momento di imbarazzo, noi lo abbiamo trattato come un testo sacro.

 

«Tradurre il sogno nella versione giusta» significa operare una ritraduzione il più precisa possibile dal prototesto (la memoria) al metatesto (referto, sogno verbalizzato). Per fare ciò è necessario passare attraverso diverse fasi, tra cui una riorganizzazione del materiale psichico, che a una prima riproduzione verbale può risultare alquanto confusionaria, in quanto lo scopo di questa prima fase di riproduzione è riportare il maggior numero di dettagli possibile prima che questi vengano dimenticati, senza preoccuparsi di dargli una forma ordinata e sensata.

Anche la trascrizione di un sogno necessita di diverse fasi, compresa una prima imprecisa versione così come per la stesura definitiva di una traduzione è necessario rileggere e correggere più volte il testo.


 

1.3.       Traduzione: interpretazione

 

Per interpretare un sogno, così come in una traduzione interlinguistica, è necessario decifrarne e interpretarne il significato, spesso da ricercare tra le righe o oltre la superficie manifesta,  è necessario  svolgere un lavoro di ricerca che permetta di comprendere più a fondo il motivo per cui si è giunti a una determinata manifestazione piuttosto che a un’altra.

In questo capitolo vorrei riportare gli esempi nei quali Freud utilizza il termine «tradurre» col significato di “è da interpretare così”, “il suo significato è”; dove «traduzione» è intesa come processo traduttivo di interpretazione del significato e non come prodotto finale.

 

 

Man könnte sie als die

“Chiffriermethode“ bezeichnen, da sie den Traum wie eine Art von Geheimschrift behandelt, in der jedes Zeichen nach einem feststehenden Schlüssel in ein anderes Zeichen von bekannter Bedeutung übersetzt wird (123).

Lo si potrebbe definire  il

«metodo di decifrazione», poiché esso tratta il sogno come una specie di scrittura segreta, nella quale ogni segno viene tradotto in un altro segno di significato noto secondo una chiave stabilita.

 

Nell’ambito dell’interpretazione dei sogni, ogni segno che compare nei pensieri onirici deve essere tradotto, associato a un significato conosciuto, interpretato. Ecco dunque che il termine «tradurre» viene nuovamente utilizzato da Freud in modo metaforico, questa volta per intendere l’azione dell’interpretare, assegnare un significato.

 

 

Mein Verfahren ist ja nicht so bequem wie das der populären Chiffriermethode, welche den gegebenen Trauminhalt nach einem fixierten Schlüssel übersetzt; ich bin vielmehr gefaßt darauf, daß derselbe Trauminhalt bei verschiedenen Personen und in verschiedenem Zusammenhang auch einen anderen Sinn verbergen mag (129). Il mio procedimento non è così comodo come quello del popolare metodo di decifrazione, il quale traduce il dato contenuto del sogno secondo una chiave fissa; io ritengo invece che lo stesso contenuto onirico possa celare un senso differente a seconda delle persone e delle circostanze.

 

Nel processo traduttivo eseguito dallo psicoterapeuta, si cerca di effettuare il passaggio dal contenuto esplicito ai pensieri onirici, di “tradurre” il contenuto del sogno.

Freud ritiene che la traduzione del contenuto di un sogno consista in un lavoro di interpretazione e contestualizzazione, che la chiave di interpretazione vari a seconda dei casi e non sia codificata, che non sia possibile effettuare una decodificazione universale dei simboli di un sogno, così come nella traduzione interlinguistica è sconsigliabile un uso meccanico dei dizionari, che si limiti alla semplice trasposizione di un termine da una lingua all’altra, proprio in virtù delle svariate possibilità di interpretazione di un termine a seconda del contesto.

«Traduzione» diventa in questa citazione la metafora delle svariate possibilità di interpretazione dei simboli ricorrenti in un sogno.

È nuovamente possibile instaurare un confronto fra la traduzione interlinguistica e l’interpretazione dei sogni: come il traduttore deve essere sensibile alle tradizioni mitologiche, storiche e sociali riflesse nella lingua, lo psicoterapeuta non può applicare il medesimo criterio di interpretazione per tutti i pazienti, bensì analizzare le esperienze di ognuno.

 

 

Aristoteles erklärt, der Traum sei zwar dämonischer Natur, aber nicht göttlicher, was wohl einen tiefen Sinn enthüllt, wenn man davon die richtige Übersetzung trifft (10). Aristotele spiega che il sogno è di natura demoniaca, non divina, cosa che rivela un significato profondo, se ne si coglie la giusta traduzione.

 

Uno dei principali significati che Freud vuole esprimere con «traduzione» è interpretazione di un sogno, come suggerito dal titolo dell’opera. In questa citazione potremmo ad esempio tranquillamente sostituire il termine «traduzione» con «interpretazione». Per capire e tradurre il sogno bisogna coglierne la giusta interpretazione.

 

 

Man meint den Traum lückenlos übersetzen zu können: jetzt wäre es einmal Zeit für etwas Amüsanteres als diese ewigen Krankenpflegen (158). Il sogno può essere senza dubbio tradotto così: adesso sarebbe ora di qualcosa di più divertente di questa eterna assistenza malati.

 

Il verbo «tradurre» ricorre spesso anche in seguito al resoconto di un sogno, in corrispondenza della ricerca del significato da attribuirgli. «Tradurre» diventa sinonimo di «interpretare» nel senso di estrapolare il senso, capire quale sia il messaggio che il sogno vuole comunicare, quali desideri, paure o aspirazioni del sognatore hanno contribuito alla formazione di tale sogno.

 

 

»Das kann ich nicht sehen«, das auch im Traum nicht als eigentliche Rede auftritt, ist ein Gedanke, der sich auf die körperlichen Reize der einladenden Dame bezieht,und zu übersetzen wäre,daß er diese zu schauen nicht begehrt (417). «Non posso vederlo», che anche nel sogno non compare come un vero discorso, è un pensiero che si riferisce all’attrazione fisica della donna che lo invitava, e sarebbe da tradurre che egli non desidera guardarla.

 

In seguito al lavoro di interpretazione il sogno può essere spesso riconosciuto come l’appagamento di un desiderio. Di conseguenza «tradurre» può significare riconoscere quale sia il desiderio che ha favorito la formazione del sogno. Il sogno riproduce spesso il risultato immutato di una riflessione, ma rappresentato in una situazione che possa essere compresa come un’esperienza della veglia. Un pensiero, solitamente un desiderio, nel sogno viene oggettivato. Per questo motivo l’atto del «tradurre» può anche essere compreso come «risalire alla riflessione o al dialogo oggettivati nel sogno». Non tutti i sogni presentano la trasformazione della rappresentazione in immagine sensoriale; vi sono sogni che consistono unicamente in pensieri.

 

Die Aufdringlichkeit, mit welcher dieser Traum seine Absurditäten zur Schau trägt, werden wir nach den letzteren Erörterungen nur als Zeichen einer besonders erbitterten und leidenschaftlichen Polemik in den Traumgedanken übersetzen (432). L’insistenza con la quale questo sogno mette in mostra le sue assurdità, alla luce delle ultime discussioni la possiamo tradurre solo come segno di una polemica particolarmente  inasprita e appassionata nei pensieri onirici.

 

Se il sogno può essere tradotto come il segno di qualcos’altro, può essere interpretato come allusione e rimando a un significato non esplicito. «Tradurre» indica qui l’atto di risalire dal contenuto onirico di un referto manifesto agli originari pensieri onirici latenti.

«Traduzione» è anche quel processo attraverso il quale l’analista trasforma il contenuto manifesto del sogno dal racconto del paziente negli originari pensieri onirici latenti.

 

 

Das absurde des Traumes ist aber nicht mit einem einfachen «Nein» zu übersetzen, sondern soll die Disposition der Traumgedanken wiedergeben, gleichzeitig mit dem Widerspruch zu höhnen oder zu lachen (430). L’assurdo del sogno non va però tradotto con un semplice «No», bensì deve riprodurre la tendenza dei pensieri onirici a ridere o deridere al tempo stesso mediante la contraddizione.

 

Per quanto un sogno possa sembrare strano e assurdo, esso non va  «tradotto» ovvero “interpretato” secondo quella che ci apparirebbe l’interpretazione più immediata e logica, bensì analizzato al di là della facciata, oltre il «semplice no» e in considerazione del fatto che i suoi contenuti contraddittori sono spesso la forma manifesta di un più complesso contenuto latente e che l’assurdità e l’incoerenza dei sogni si spiegano con l’oblio parziale delle nostre conoscenze diurne.

 

 

In solche Lage, Klarheit oder Verworrenheit des Traumes auf Sicherheit oder Zweifel im Traummaterial umdeuten zu können, kommt man aber nach meiner Erfahrung nur in wenigen Fällen (393). Ma nella mia esperienza è solo in pochi casi che ci si trova nella situazione di poter tradurre la chiarezza o la confusione del sogno in  sicurezza o dubbio del materiale del sogno.

 

Per quanto riguarda la chiarezza o la confusione del sogno «umdeuten» sta per «tradurre»: «interpretare la chiarezza o la confusione del sogno come», decifrare in modo chiaro e sicuro quale sia la corretta interpretazione da attribuire al sogno e  definire esattamente quali tendenze abbiano dato luogo alla scena onirica. Ma non si potrà mai affermare con certezza assoluta di essere riusciti in tale operazione, dal momento che la coscienza vigile aggiunge sempre involontariamente degli elementi nel ricordo del sogno: ci si immagina di aver sognato qualcosa, che il sogno effettivo non conteneva.

 

 

Denn im anderen Falle müßte es möglich sein, die Halluzinationen des Traumes in Vorstellungen, die Situationen des Traumes in Gedanken zurückzuverwandeln, und damit die Aufgabe der Traumdeutung zu lösen (71). In quanto altrimenti dovrebbe essere possibile ritrasformare le allucinazioni del sogno in immagini mentali, le situazioni del sogno in pensieri e così facendo raggiungere lo scopo dell’interpretazione dei sogni.

 

L’interpretazione dei sogni consiste nel ripercorrere a ritroso quel processo di traslazione che ha permesso di tradurre il contenuto latente in quello manifesto, al fine di cogliere i messaggi segreti dell’inconscio. Questo processo finale di “ritraduzione” viene espresso in questa citazione attraverso il termine «ritrasformare».

 

1.4.       Conclusione

Dalla mia analisi credo che emerga la seguente conclusione: una rilettura e analisi dell’opera di Freud che presti maggiore attenzione al senso filologico del testo può essere d’aiuto nel tracciare un parallelo tra il concetto di «traduzione» e l’interpretazione dei sogni.

 

 

 

1.5.       Riferimenti bibliografici

 

Abbagnano N. e Fornero G. (2003), Itinerari di filosofia, Paravia Bruno Mondadori

 

Felici P. (2010), Il concetto di regressione, disponibile in internet al sito www.psicologiaitinerante.it, consultato nel settembre 2010.

 

Freud S. (2010), Die Traumdeutung Anaconda, Köln   copia anastatica dell’edizione Die Traumdeutung (1900) Leipzig, Wien Franz Deuticke.

 

Freud S. (1900), The interpretation of dreams, electronic version Translated by A.A.Brill, disponibile in internet al sito www.psychwww.com

 

Freud S. (1973), L’interpretazione dei sogni , Torino: Boringhieri.

 

Giacoma L. e Kolb S. (2001), Dizionario tedesco-italiano, italiano-tedesco Zanichelli Pons/Klett,Bologna.

 

Osimo B. (2002), Storia della traduzione, Milano: Hoepli.

 

Osimo B. (2001), Propedeutica della traduzione: corso introduttivo con tavole sinottiche, Milano: Hoepli.

 

Osimo B. (2008), «Jakobson e la traduzione» tratto da corso di traduzione, disponibile in internet al sito www.logos.it, consultato nel settembre 2010.

 

Piera G. (1980), «L’impiego delle immagine nel sogno», tratto da Le regole dell’immaginazione e le procedure del lavoro onirico,   disponibile in internet al sito www.filosofia.unimi.it

 

Riediger H. Dizionario on-line Term-minator, disponibile in internet all’indirizzo www.term-minator.it, consultato nell’agosto, settembre 2010.

 

Schreier Rupprecht C. (1999), «Dreaming and the impossible Art of translation», Dreaming, Vol.9, No.1, 1999

 

Wahrig-Burfeind R. (2008), Deutsches Wörterbuch Wahrig, (Gütersloh,München), Wissen Media.

L’inserimento dei bambini stranieri come problema di traducibilità culturale: il caso di Y.

L’inserimento dei bambini stranieri come problema di traducibilità culturale:

il caso di Y.

ELISA LAZZARON

 

 

Fondazione Milano

Milano Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

        Relatore: professor Bruno Osimo

Diploma in Mediazione Linguistica

                             Ottobre 2010


 

© Elisa Lazzaron per l’edizione italiana 2010

 

Abstract in italiano

 

Attraverso l’analisi di Agar, lingua e cultura sono un’unica realtà. La cultura emittente comporta numerosi ostacoli alla comprensione in quanto possono emergere elementi apparentemente impossibili da tradurre, i rich point. Il traduttore compie un’opera di mediazione linguistica e culturale per contestualizzare il messaggio e trovare una soluzione, accessibile a una cultura che non gli è propria. Sulla base di un’esperienza di stage come facilitatrice linguistica la candidata ha analizzato come l’inserimento scolastico di un bambino straniero possa risultare un problema di traducibilità culturale e un esempio più che valido di applicazione pratica della teoria di Agar sui rich point e la linguacultura.

 

English abstract

Through Agar’s analysis, the concepts of «language» and «culture» are one. The source culture involves a certain amount of obstacles to comprehension because we can find elements that seem impossible to translate, called «rich point». The translator has to carry out a work of linguistic and cultural mediation to contextualize the message and find a possible solution that is accessible to another culture. On the basis of an experience as « language facilitator» I have analysed how the school integration of a foreign student can turn out to be a problem of cultural translatability and an effective and practical example of Agar’s theory on «rich point» and «languaculture».

 

 

Résumé en français

Selon l’analyse de Agar, langue et culture sont une seule réalité. La culture émettrice peut comporter des nombreaux obstacles à la compréhension dus à la presence d’éléments apparemment impossible à traduire, appelés «rich point». Le traducteur doit donc intervenir en offrant une médiation linguistique et culturelle pour contextualiser le message et proposer une possible solution, accessible à une culture différente. Mettant à profit l’expérience acquise au cours d’un stage de “facilitateur linguistique” on a analysé comment l’intégration des étudiants étrangers peut etre considérée comme un problème de traduisibilité culturelle et un exemple valable de la théorie de Agar sur la «langue-culture» et les «rich point».

 

 

Sommario

 

1. La condizione dei minori stranieri nell’inserimento scolastico  5

1.1. Quadro introduttivo dell’integrazione scolastica  6

1.2. Diverse situazioni sociali e migratorie  9

Il caso di Y. 13

1.3. Aspetti psicologici del minore e possibili soluzioni adottate nel processo di integrazione culturale  15

Il caso di Y. 16

2. L’integrazione come problema di traducibilità culturale  21

2.1 L’interculturalità e il processo traduttivo  22

2.2 I residui comunicativi 23

2.3 Il concetto di «linguacultura»   25

2.4 I I «rich point» e la strategia traduttiva  26

2.5 Il delicato compito del traduttore  28

3. Un nuovo concetto di cultura  30

3.1 Il vecchio concetto di cultura  31

3.2 La cultura è relazionale  32

3.3 La cultura è parziale e plurale  34

4. Il caso di Y. e i rich point  36

4.1 La «cugina-sorella»   38

4.2 La «chiesa»   41

5. La traduzione come mediazione culturale  43

5.1 Il facilitatore linguistico  44

5.2 Il facilitatore linguistico e il mediatore linguistico  47

Riferimenti bibliografici 49

 

 

 

 

 

 

  1. La condizione dei minori stranieri nell’inserimento scolastico


1.1.       Quadro introduttivo dell’integrazione scolastica

L’immigrazione non è un fenomeno nuovo in Italia e negli ultimi trent’anni ha assunto un’importanza rilevante nel nostro paese così come nell’intera Europa. Per questa ragione, non può più essere considerato solo un evento transitorio; si tratta di una realtà che riguarda il nuovo assetto del mondo, un fenomeno destinato a espandersi a causa del divario fra paesi ricchi e paesi poveri e dei molteplici conflitti in atto sui diversi territori.

La presenza costante e sempre più massiccia di immigrati, ha avuto un effetto determinante sulla crescita demografica italiana, nonché il cospicuo aumento dei ricongiungimenti familiari che determinano quello che si può definire un “radicamento” dell’immigrazione. In altre parole, si passa da un’immigrazione a tempo e a scopo determinato (vale a dire per motivi lavorativi), ad un’immigrazione che mira all’”insediamento” in Italia delle famiglie straniere. Questo comporta un considerevole aumento di bambini stranieri nelle scuole italiane e impone al sistema scolastico italiano una maggiore apertura alle esigenze di una scuola sempre più multiculturale e un miglioramento delle strutture e dei percorsi di accoglienza.

È necessaria una distinzione tra i concetti di interculturalità e inserimento, spesso confuse tra loro e considerate solo in presenza di un bambino d’origine minoritaria. L’interculturalità, invece, dovrebbe essere una metodologia trasversale a tutte le discipline e allargata a tutta la scuola, indipendentemente dalla presenza in classe di allievi di cultura straniera. Attuare questo metodo, vorrebbe dire porre le basi per un inserimento e un’integrazione più solida. Conoscere un’altra cultura vuol dire evidenziarne gli aspetti che la rendono «diversa» dalla nostra, significa contemporaneamente capire che la nostra visione di «cultura altra» non sempre coincide con la visione che essa ha di sé, né con le varie rappresentazioni che altre culture si possono costruire. L’intercultura agisce come una sorta di «promemoria», un richiamo ad alcuni valori comuni come il dialogo, l’accettazione, la non-violenza e la pace.

Attualmente, le nostre strutture educative, accolgono circa 574.512 bambini e adolescenti immigrati di prima e seconda generazione e le nazionalità maggiormente coinvolte sono quella albanese, marocchina ed ex jugoslava; in forte aumento risultano anche gli studenti provenienti da Romania ed Ecuador.

Tale presenza, sebbene disomogenea sul territorio nazionale, è rilevabile in ogni realtà scolastica e ha determinato nel corso degli anni differenti modalità di risposta, che si sono concretizzate nella riorganizzazione degli spazi e dei tempi scolastici, nell’impiego di nuove figure professionali (assistenti di lingua e/o facilitatori), nell’adeguamento delle attività didattiche alle nuove caratteristiche della scuola. L’istituzione scolastica ha messo in campo una serie di attività e iniziative tra loro molto diverse, che rientrano inseme nel nuovo concetto di «educazione interculturale».

Purtroppo però non è sempre facile e immediato garantire questi bisogni per carenze di politiche sociali e istituzionali del nostro paese.

La scuola vive nella costante contraddizione di una discrepanza fra direttive e legislazioni e un cronico taglio di fondi, che finisce per compromettere sia sul piano culturale che su quello organizzativo l’applicazione stessa delle indicazioni legislative.

 

 

 

 

 

 

 

 

1.2.       Diverse situazioni sociali e migratorie

Ogni bambino ha un retroterra culturale, una situazione familiare diversa, un percorso migratorio diretto o indiretto, vissuto. Ognuno di loro ha una storia personale, un passato da rispettare e da tenere in considerazione nel corso del suo inserimento scolastico. E, proprio all’avvio del processo di integrazione, è necessario conservare questo bagaglio personale e da queste fondamenta partire per la costruzione di una nuova vita nella cultura ricevente. La possibilità di crescere tra due culture, come avviene per i figli di immigrati, può costituire, se gestita correttamente, un’ottima opportunità: rappresenta la preziosa occasione di impossessarsi di una doppia ricchezza, quella di due mondi che possono arricchirsi a vicenda.

Tuttavia, affinché i bambini possano sfruttare questa duplice ricchezza, è necessario che trovino le condizioni ottimali per superare alcune difficoltà che potrebbero incontrare lungo il loro cammino. Alcuni di questi ostacoli dipendono dalla loro situazione sociale e migratoria, altri sono legati in modo più specifico alla difficoltà stessa di crescere tra due culture.

I bambini stranieri si confrontano con situazioni e realtà assai diverse tra loro e sono queste diversità a determinare la serena crescita psicologica del bambino.

Svariate sono le condizioni di partenza:

  • Bambini nati in Italia da genitori con regolare permesso di soggiorno: questa è senz’altro la condizione più favorevole. I bambini crescono sostanzialmente come i loro coetanei italiani, imparano facilmente la lingua e la loro socializzazione viene agevolata fin dai primi anni di vita. Non conoscono traumi di separazione e di dislocazione nello spazio e le loro eventuali difficoltà sono riconducibili alla gestione delle dinamiche interculturali oppure alla mancata coincidenza tra la cultura emittente e il complesso dei valori, delle opinioni, delle norme, delle regole e degli ideali che caratterizzano la cultura ricevente.
  • Bambini nati all’estero e immigrati con i genitori: si tratta in questo caso di bambini che conoscono il trauma di una separazione dal loro mondo di origine.

Conoscono un “prima” e un “dopo” che devono ricostruire. Lo spostamento in un altro paese avviene durante la fase del loro sviluppo e lo sradicamento dal paese di origine unito all’impatto con la nuova realtà socio – culturale vengono vissuti simultaneamente, con rilevabili conseguenze sulla qualità e la natura dei processi familiari. In questo caso, essi attraversano un trauma doloroso, fatto di separazione da persone care, dal contesto in cui sono cresciuti, per essere “catapultati” in un ambiente nuovo, nei confronti del quale si sentono spesso degli estranei. Inoltre, non sono spinti dalle stesse intense motivazioni che hanno portato i loro genitori a migrare e vivono il viaggio come qualcosa che subiscono passivamente, spesso come una vera e propria violenza.

  • Minori ricongiunti dopo una prolungata separazione dai genitori:  questa modalità di strutturazione familiare è la più diffusa nel nostro paese. In genere questi bambini subiscono un doppio sradicamento, segnato da fratture e cambiamenti improvvisi. Non sono loro a scegliere il primo distacco dai loro genitori e subiscono passivamente anche la scelta di staccarsi nuovamente da quelle persone e da quei luoghi che avevano caratterizzato fino a quel momento tutta la loro vita. Questo duplice trauma si ripercuoterà sul loro inserimento nella cultura ricevente.
  • Figli di genitori non in regola: è questo il caso meno frequente, perché normalmente quando si tratta di bambini, le famiglie sono già ben inserite o in ogni caso c’è stato un discreto radicamento sociale, espresso dall’ottenimento del permesso di soggiorno e da un impiego relativamente stabile. Tuttavia esistono dei minori che vivono nel nostro paese come dei clandestini e questa situazione è spesso legata a realtà di emarginazione socio-economica: si tratta di famiglie molto povere senza un casa né un lavoro. Per il bambino non è una situazione facile e avrà molte difficoltà prima di raggiungere un equilibrio psicologico e integrarsi correttamente.
  • Bambini stranieri adottati: questi bambini sono immediatamente classificati come italiani, o comunque come appartenti alla nazionalità della famiglia che li ha accolti e questo può provocare dei gravi traumi sul piccolo, perché una parte della sua realtà preesistente, quella stessa realtà che li ha condotti alla condizione di adattabilità, non viene tenuta da subito in considerazione, provocando a volte disagi psichici non indifferenti e una conseguente mancanza di identità.
  • Giovani non accompagnati: si tratta di bambini che hanno tentato l’avventura migratoria in modo del tutto autonomo, soli. Sono per lo più legati a organizzazioni criminali o a situazioni a rischio e molto pericolose. Si trovano a dover fronteggiare notevoli complessità di natura giuridica, ma anche psicologica: si sentono adulti, per le oggettive situazioni che affrontano autonomamente, ma vivono in una società che li considera ancora, come in effetti sono, bambini.
  • Figli di genitori separati, che ricongiungono uno dei due genitori nel nuovo paese: questi minori subiscono un duplice trauma, difficilmente quantificabile. Già nel loro paese natale sono “costretti” a vedere i genitori in tempi diversi e il trasferimento in un altro paese da parte di uno dei due genitori implica una separazione molto più dolorosa. Si tratta di un nuovo ricongiungimento con il genitore biologico che però, sul piano affettivo, è considerato un vero e proprio sconosciuto. È una situazione ad altissimo rischio: è come creare artificialmente piccoli orfani, che vengono poi forzatamente adottati.

 

Il caso di Y.

La situazione che ho appena descritto è riconducibile al caso analizzato durante il mio stage in qualità di «facilitatrice linguistica» presso la scuola Paolo Sarpi di Settimo Milanese.

Y. è una bambina di 11 anni, nata nel dipartimento di Arequipa, in Perù, dove vive con suo padre e la «tata», che la cura quando lui non c’è. Il 7 gennaio 2010 è venuta in Italia da sola, per raggiungere sua mamma che già viveva a Milano da 5 anni. Catapultata in un mondo a lei sconosciuto, dopo aver affrontato un viaggio di molte ore verso l’ignoto ha incontrato la sua mamma biologica.

Ormai da anni i suoi genitori sono separati e la bambina è già abituata a vederli “a turno”. Qui in Italia però, la situazione è molto diversa: il papà lo potrà vedere solo a Natale e Pasqua, due festività che Y ricorda con molta nostalgia. Ora per lei ricordare il Perù è motivo di tristezza e sofferenza.

Il caso di Y. non può essere ricondotto semplicemente a un modello o a un tipo di «bambino straniero»: occorre piuttosto ripercorrere il suo viaggio fino all’arrivo in Italia, soffermansosi sul modo in cui la sua «diversità» viene percepita dai suoi compagni di classe, coetanei, e dalle insegnanti e su come queste rappresentazioni influiscano sull’immagine che lei ha di sé e del nuovo contesto in cui è inserita.

 

 

1.3.       Aspetti psicologici del minore e possibili soluzioni adottate nel processo di integrazione culturale

 

L’ipotesi di fondo è che i bambini di cultura straniera siano sottoposti ad un duplice processo di acculturazione e socializzazione che determina una lacerazione dell’Io, diviso tra istanze culturali e affettive in conflitto: quella di cui sono portatori i genitori e quella del paese d’arrivo. Al minore è affidato il compito di mediare tra due mondi lontani, con i rischi connessi.

In questa realtà, il bambino tenta di ricomporre le lacerazioni che si trova a vivere adottando alcune soluzioni provvisorie:

1)  Resistenza culturale: questo termine sottolinea l’atteggiamento assunto dallo straniero nei confronti della cultura ricevente e il suo tentativo di preservare l’identità etnica originaria propostagli dai genitori mantenendo la propria lingua, cucina, abbigliamento e il proprio modo di comportarsi nella cultura ricevente. Conseguenza immediata di questo atteggiamento è una riduzione minimale delle possibili nuove amicizie nei confronti dei coetanei non connazionali, un aumento del distacco del bambino con il resto della comunità scolastica. La resistenza culturale non è altro che un momento di rafforzamento della propria identità etnica, un modo per ritrovare se stessi e le proprie origini anche in un cultura diversa.Il rischio di una chiusura ghettizzante è evidente e se gestito in modo inadeguato finirebbe con il far sentire il minore sempre più “straniero” nella cultura ricevente.

 

Il caso di Y.

Y nei primi giorni di scuola arriva sempre prima dei suoi compagni, siede al primo banco di fianco alla bambina più brava e diligente della classe, una soluzione che agli insegnanti è parsa strategica e che si è rivelata per i primi giorni utile.

Y non parla molto in classe e anche per semplici domande come: « A che pagina siamo?», «Mi presti le forbici?» parla in spagnolo.

Con i professori è molto educata e rispettosa, non risponde mai male a nessun loro rimprovero e si stupisce che i suoi compagni lo facciano così liberamente:

Y: « Ma non vi sgridano in Italia?»;

IO: « Sì, infatti avranno compito di castigo!»

Y.: « Anche in Perù la Diretora è cattiva, batte i bambini. E la mia amica è pobre y non pode fazer nada perché è la Diretora che la fa studiare!».

Y. mi racconta spesso della sua scuola in Perù perchè ricordare la sua terra le fa sentire meno la mancanza.

Y. è molto attenta alle differenze che nota rispetto al suo paese. Mi dice spesso che la sua migliore amica in Perù è molto diversa dai suoi nuovi compagni di classe e che qui a Milano, non riesce a socializzare facilmente.

Un giorno in classe, doveva scrivere una lettera a un amico/a descrivendogli la sua nuova vita a Milano…

Y: «Hola Eliza, espero que estas bien, te mando esta carta para saludarte y darte grazias por ensenarme a hablar italiano. Yo aqui estoy masomenos porque extrano a mi familia, a mis amigos y aca no tengo amigos. No se porque! Y voce? Aqui no tengo una mejor amiga para contarle todos lo que me pasa. Mi clase esta bien mas las demas personas que e conosido e que son buenas son: la Profesora Formaggioni, la Profesora Amadori e la Profesora Eliza…».

Il disagio di Y è immediato e il suo desiderio di trovare delle risposte è chiaro sin da subito. È per questo che ho deciso di rispondere a quella sua prima lettera, instaurando una sorta di corrispondenza segreta. Era un modo per farle ricordare il Perù, per farmi raccontare tutto quello che in classe non potevamo dirci. Per Y era un modo di evadere la realtà di Milano, che la rattristava.

2)   Processo di assimilazione: il bambino straniero in questo caso segue pienamente la proposta identitaria della cultura ricevente e come diretta conseguenza tende a rifiutare o meglio, a rinnegare la propria cultura emittente. Questa complicata situazione può avere numerosi effetti, sia positivi che negativi. Sicuramente la ferma volontà del bambino di appartenere pienamente alla nuova cultura, facilita il suo apprendimento e il suo adattamento nel paese che lo ospita. Tuttavia, vi sono dei rischi da non sottovalutare: questa volontà di rinnegare le sue origini e la sua vita precedente può portare a una graduale perdita di fiducia, a una progressiva svalorizzazione della sua cultura e delle sue tradizioni creando una maggiore conflittualità nei confronti dei suoi legami familiari. Si viene a creare una situazione per molti versi paradossale: da una parte il modello culturale dominante nel paese d’immigrazione è percepito dal bambino come quello vincente, dall’altra sono praticamente svanite o non sono mai state realizzate a pieno le procedure per una vera assimilazione. Ne consegue una netta instabilità tra quello che si aspetta il minore e la disponibilità della cultura ricevente.

 

3)   Marginalità: questa terza soluzione è generalmente considerata la più diffusa. L’identità di questi bambini è confusa; essi vivono ai margini della cultura emittente, che in certi casi ricordano vagamente e che non riconoscono a pieno, e la cultura ricevente che non riescono ancora a identificare come una possibile proposta identitaria alternativa. Questi bambini sono totalmente spaesati, non sentono di appartenere a nessuna delle due culture e si collocano passivamente in entrambe. Spesso questo vivere ai margini determina un maggiore attaccamento ai propri affetti, ai propri ricordi e alle ultime esperienze vissute.

 

Il caso di Y.

Durante i miei incontri con Y. le chiedo spesso di raccontarmi qualcosa di lei e della sua famiglia. Lei sorride, finchè non le chiedo:

«Parli italiano con la mamma, vero? Vive a Milano da molto tempo ormai, ti potrebbe aiutare non credi?»

Inizialmente Y. non risponde ma poi, in tono freddo e distaccato, dice:

«Lei non è italiana, non sa parlare italiano! Deve parlare spagnolo».

La sua risposta mi ha lasciato molto perplessa ma successivamente sono arrivata alla conclusione che la bimba volesse preservare,almeno con la mamma, una parte della sua cultura. In un contesto in cui lei non ha scelto di inserirsi e che è stato la causa del suo primo distacco dalla mamma lei preferisce parlare la sua lingua d’origine forse per mantenere vivo il ricordo del Perù.

4)   Doppia cultura: quest’ultima soluzione è considerata la migliore, poiché permette al bambino un maggiore equilibrio, una maggiore capacità critica e una maggiore sensibilità e obiettività. La doppia cultura non è altro che un lento ma profondo lavoro analitico interiore, in cui l’identità del bambino viene formata basandosi sul continuo confronto tra due mondi, la cultura emittente e la cultura ricevente. Questo confronto non comporta soluzioni definitive e precostituite, bensì un processo di analisi e di selezione. Rispettare e valorizzare le origini e le tradizioni del bambino è il principio cardine di una buona integrazione e di un positivo adeguamento. Il bambino riesce così ad avere un’identità formata dall’armonizzazione e dall’integrazione dei valori appartenenti a entrambe le culture, senza rinnegarne una o idolatrarne un’altra. Si sviluppa così un duplice sentimento di appartenenza del bambino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. L’integrazione come problema di traducibilità culturale


2.1 L’interculturalità e il processo traduttivo

Parlare di inserimento dei bambini stranieri non può prescindere dal parlare di interculturalità, e quindi di una dimensione espressa nei concetti ricorrenti di «accoglienza», «differenza», «apprendimento», «scambio» e «tolleranza».

Tutti questi concetti sono legati al concetto di «traduzione». Normalmente, quando si parla di traduzione si ha in mente una sottospecie molto particolare del processo comunicativo, ossia la riespressione di un testo in una lingua (codice naturale) diversa da quella in cui il testo è stato originariamente concepito e scritto.

In Italia, in riferimento al processo traduttivo, si parlava un tempo di “testo di partenza” e di “testo d’arrivo”, quasi a voler attribuire alla traduzione un percorso unicamente spaziale (Osimo 2002).

La traduzione invece, oltre a possedere una dimensione spaziale, possiede una dimensione culturale e temporale. Non volendo utilizzare questi termini che riconducono ironicamente ad un gara di corsa agonistica, si potrebbe chiamare il primo testo, «originale» e il secondo, il frutto del processo traduttivo «traduzione». Questa parola però ha il difetto di non distinguere il processo dal prodotto: «traduzione» infatti indica anche il processo attraverso il quale si arriva al secondo testo.

Gli esperti preferiscono quindi parlare di «proto testo» (primo testo) e di «metatesto» (testo modificato, testo trasferito, testo successivo…)

2.2 I residui comunicativi

Tradurre è necessario per comunicare, è necessario per avvicinare un concetto a persone provenienti da Paesi diversi e da realtà culturali differenti. Un elemento importante nel processo traduttivo è la presa di coscienza che ogni atto comunicativo comporta un “residuo comunicativo”, un concetto, una parola o anche solo un’espressione davanti alla quale sembra bloccarsi la nostra traduzione, davanti alla quale sembra impossibile tradurre. Questo comporta una particolare attenzione nel vedere quali parti del messaggio hanno elevate probabilità di non essere comprese a pieno e in modo immediato e quali strumenti metatestuali pensare di mettere in azione per la gestione di tale residuo comunicativo. La strategia comunicativa viene così a coincidere in buona parte con la strategia traduttiva.

In particolare quando si parla di bambini stranieri che cercano di integrarsi e inserirsi in un contesto diverso da quello in cui vivevano prima, è importante, anzi necessario, tradurre tenendo conto dei possibili “residui comunicativi”. Qualsiasi enunciazione che facciamo, infatti, scritta o orale, verbale o no, è inserita in un contesto che influenza il senso dell’enunciazione.

Possiamo quindi affermare che la traduzione permette la comunicazione tra culture diverse. Proprio questo importante rapporto di influenza tra autore e ambiente culturale è stato analizzato da diverse prospettive:

– Il semiotico estone Jurij Lotman ha scritto un saggio sull’argomento intitolato La semiosfera (1985). L’universo della cultura è paragonato a un organismo, le cui cellule, rappresentate dalle singole culture, interagiscono, arricchendosi tra loro.

Concetto chiave di questa teoria è quello di «confine» che è permeabile proprio come la membrana di una cellula. Questo confine unisce due diverse culture e nello stesso tempo le divide mostrando le varie diversità. Ed è proprio in questo confine che prende forma la traduzione. È nella semiosfera che due culture interagiscono tra loro. Lotman vede il rapporto tra cultura propria e cultura altrui come una benefica possibilità di arricchimento, di crescita per le due culture che possono così fecondarsi ed evolversi. Questa dinamica proprio/altrui, che è lontana dal creare uniformità e omogeneità, sviluppa le singole culture anche quelle minoritarie, che prendono coscienza della propria differenza e identità nel confronto con l’altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

2.3 Il concetto di «linguacultura»

Possiamo ormai affermare che lingua e cultura sono due realtà imprescindibili l’una per l’altra: non possiamo affermare di conoscere a pieno una lingua se non conosciamo anche la cultura che essa esprime e da cui essa deriva. A sottolineare il forte legame che intercorre tra questi due aspetti di un’unica realtà, Agar ha coniato il termine «linguacultura». Con questo termine, egli intende un linguaggio che comprende non solo elementi quali grammatica e lessico, ma anche conoscenze pregresse, informazioni locali e culturali, abitudini e vari comportamenti. Il concetto di “cultura” e la sua comprensione, implicano il legame tra due “linguaculture” che Agar definisce LC1 (linguacultura emittente) e LC2 (linguacultura ricevente). L’apprendimento della linguacultura ricevente è veicolato da “rich point”: momenti, definiti dall’autore, di incomprensione e di aspettativa mancata. Si tratta di una relazione tra due estremi, nel mezzo dei quali si trova la traduzione. Ed è proprio la quantità di materiale che viene trasmesso da un estremo all’altro, la cultura, a determinare poi la portata della traduzione e stabilire il ruolo maggiore o minore del traduttore che convoglia tutte queste informazioni. Tutto dipende quindi dai confini e dai limiti posti tra la lingua emittente e quella ricevente. Potremmo aggiungere che si tratta di una sorta di residuo comunicativo, un momento della conversazione che viene interrotto da una parola, un’espressione che non è facile comprendere immediatamente e che denota differenze culturali fondamentali tra i due soggetti della comunicazione. Questo è un momento delicato della comunicazione e conseguentemente della traduzione perché necessita di un’analisi approfondita dei confini e dei limiti culturali, geografici e spaziali del soggetto emittente e del soggetto ricevente.

Il traduttore deve quindi essere formato a essere una sorta di mediatore culturale. La parola «mediatore» deriva dal verbo latino medio e ha due significati: da un lato si riferisce all’azione di acquisire (e ottenere) e di trasmettere e prestare (per esempio la conoscenza) e dall’altro riferisce ad un’azione di mediare, di intervenire. Nel mondo in cui viviamo oggi è più che mai necessario parlare di pluralità. Mai parlare di cultura bensì di culture… (da finire, ma ho già letto il testo di Agar)

2.4 I «rich point» e la strategia traduttiva

Il concetto di «cultura» assume un valore sistemico. Ci rendiamo conto della presenza di una cultura diversa dalla nostra solo nel momento in cui ci troviamo di fronte a persone che hanno un comportamento diverso dal nostro e che ai nostri occhi risulta incomprensibile. Possiamo infatti affermare che il concetto di cultura viene alla luce solo quando si notano effettive diversità con una persona estranea con cui entriamo in contatto. Posto questo, non ha alcun senso parlare della cultura X senza considerare da che punto di vista viene osservata. Parlare di cultura e del suo significato richiede una spiegazione che possa rendere il concetto chiaro e visibile a un esterno.

Di qualsiasi differenza o parola incomprensibile si tratti, ci troviamo sempre sul piano culturale. Ed è qui che entra in gioco la traduzione. Solo con la traduzione è possibile dare un senso a queste differenze, ovvero a questi rich point.

Riconoscere una differenza è il primo passo per avviare una traduzione e la conseguente strategia traduttiva. Solitamente i rich point sono strettamente collegati a contesti e significati creati da un determinato «sistema», o anche da un singolo individuo e richiedono quindi la conoscenza non solo degli aspetti semantici, grammaticali e prettamente linguistici, ma anche comportamentali. Il problema della traduzione è così legato alla capacità di comprendere, interpretare e spiegare un linguaggio in cui sono condensate la cultura e la storia di un «sistema» (In semiotica per «sistema» si intende un’entità formata da uno o più individui all’interno della quale si danno per scontate le stesse cose, ossia si ha in comune l’«implicito culturale».

Il traduttore deve concentrarsi su queste differenze per creare un senso che tutti possano comprendere. Nella sua traduzione dovrà tenere conto di vari aspetti, il cui numero è molto variabile e dipende dalla natura del confine tra la cultura emittente e quella ricevente. Più la linguacultura emittente è “diversa” da quella ricevente, più il compito del traduttore è complesso, poiché deve confrontarsi con un numero maggiore di rich point e dare loro un senso anche nella linguacultura ricevente trasmettendo contemporaneamente i rapporti e i modelli comportamentali di un contesto culturale differente.

La traduzione, e di conseguenza la cultura, non è altro che una costruzione artificiale che rende possibile la traduzione, è qualcosa di intersoggettivo, che va poi rielaborato. La traduzione è indispensabile per ogni tentativo di comprensione e di comunicazione, tanto più quando la relazione implica orizzonti di significato, lingue, storia e culture diverse, straniere le une per le altre (Agar 2006).

 

Questa importante premessa ci aiuterà a individuare quali sano alcune caratteristiche della «cultura», intesa nel suo significato più moderno, indispensabili a comprendere perché la cultura è traduzione.

2.5 Il delicato compito del traduttore

In base a quanto appena detto, possiamo affermare che il traduttore si trovi al centro di un vero e proprio processo di mediazione culturale, prima ancora che linguistica e deve necessariamente tener conto delle varie difficoltà interpretative relazionandosi con le varie culture. La mediazione ha dunque tre poli:

– La cultura emittente (quella in cui nasce il «prototesto»);

– La cultura del traduttore (quella di mediazione tra il «proto testo» come testo altrui, la propria cultura e il «metatesto» come cultura altrui nella propria);

– La cultura ricevente (quella in cui nasce il «metatesto») (Osimo 2002).

 

La cultura di un testo può essere scomposta in vari elementi e la distanza culturale tra due testi può essere espressa sotto forma di coordinate (storiche, geografiche, culturali, linguistiche eccetera), che tengono conto della differenza nei due testi: le coordinate cronotopiche. Questo termine si riferisce all’insieme delle coordinate di un testo, necessarie a collocarlo all’interno della cultura in cui nasce (Osimo 2002: 39).

«Cronotopo» letteralmente significa «tempo-spazio» e quindi fermandosi al suo significato etimologico indica le coordinate spazio-temporali. Il concetto con il passare del tempo si è arricchito giungendo a indicare anche le coordinate cronologiche, geografiche, spaziali eccetera (Osimo 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. Un nuovo concetto di cultura


3.1 Il vecchio concetto di cultura

Per anni il concetto di «cultura» è stato all’origine dello storico conflitto tra antropologi e traduttori, oltre che dell’apparente incompatibilità ideologica e pragmatica delle due discipline.In antropologia, il concetto di «cultura» è onnicomprensivo e per questo viene spesso considerato in modo errato. In passato, gli antropologi usavano la parola «cultura» per descrivere, spiegare e generalizzare il comportamento altrui. Alfred Kroeber e Clyde Kluckhohn (1966), la definiva così:

 

La cultura è composta da un insieme, esplicito e implicito, di comportamenti acquisiti e trasmessi da simboli che costituiscono le particolari conquiste ottenute da un gruppo di esseri umani e che comprendono anche la loro personificazione sotto forma di artefatti; il nucleo essenziale della cultura è composto da idee tradizionali e in particolare dai valori ad esso collegati. Da un lato i sistemi culturali possono essere considerati come prodotti di azioni, e dall’altro come elementi condizionanti di ulteriori azioni (Kroeber e Kluckhohn 1952).

 

Dalla definizione sopracitata emerge un’idea di cultura come un sistema chiuso e coerente di significati e azioni, da cui vengono escluse sia la dimensione spaziale sia quella temporale. La cultura assume quindi la forma di un complesso di valori tradizionali tramandato da una generazione all’altra e che proprio come un prezioso documento scritto rimane invariato e non subisce alterazioni.

Il concetto di «cultura» aveva così un significato «autoreferenziale», legato a uno specifico modus operandi, proprio ad una determinata area geografica. Se una persona si comportava in un certo modo, l’antropologo riteneva che quel particolare atteggiamento derivasse dalla sua «cultura» e per il fatto di condividere una specifica identità culturale.

 

«Perché si comportano così?»

«Perché questa è la loro cultura».

«Chi sono?» «Sono tutti membri della stessa cultura».

 

Questa idea è ormai “superata” e non può più funzionare. In questo modo, si negava automaticamente qualsiasi possibile deviazione e cambiamento e si semplificava un concetto che in realtà, come ha sottolineato anche Michael Agar, è molto più complesso e ampio.

3.2 La cultura è relazionale

Il relativismo culturale ha rappresentato sicuramente un’importante scoperta in rapporto agli studi degli antropologi. Il punto centrale di questa teoria è che:

 

non è mai possibile apprendere chiaramente l’immaginazione di un altro popolo o di un altro periodo come fosse la propria (Geertz 1988:57).

 

Agar ha superato questa teoria, sostenendo che la cultura, così come la traduzione è anche relazionale. Risulta così senza senso parlare di cultura X senza affermare la cultura X per Y. Come la traduzione, anche la cultura unisce una linguacultura LC1 con un linguacultura LC2. Ogni volta che sentiamo parlare di cultura dobbiamo tenere in considerazione il confine di chi/per chi.

La cultura necessita di una traduzione quando il confine tra LC1 e LC2 è molto ampio. Possiamo quindi affermare che la cultura è una sorta di costruzione tra LC1 e LC2 e la quantità di materiale che finisce nella cultura, dipenderà dal confine tra le due: maggiore è il confine tra cultura emittente e cultura ricevente, maggiore sarà la quantità di materiale da analizzare.

Premettendo che il concetto di cultura emerge solo nel momento in cui ci percepiamo una differenza tra noi e l’altro, che entra in contatto con noi, il risultato che ne deriva è la presenza di diverse combinazioni LC1/LC2, diversi rich point. Tutto dipende da “cosa porta con sé” la linguacultura 1, può dipendere da chi è la persona che abbiamo davanti, la sua vita passata, il suo lavoro eccetera. Diversi possono essere i confini tra LC1 e LC2 e conseguentemente diversi saranno i rich point. Avranno differenti traduzioni perché avremo sempre differenti culture che entrano in contatto tra loro. Il più grande rich point consiste nella totale incomprensione dovuta a enormi differenze tra LC1 e LC2. Il momento di totale non comprensione è definito come «culture shock» ed è riconducibile a una sensazione di totale incomprensione che genera un profondo disorientamento. Il più piccolo, al contrario, potrebbe esistere probabilmente tra gruppi diversi della stessa società. Questi due casi citati sono l’esempio di due estremi opposti, tutti gli altri esempi che ne potrebbero derivare si collocherebbero nel mezzo. Inoltre non è possibile valutare una cultura in modo assoluto, perché in numero di rich points è una produzione del singolo ed è calcolabile in relazione ai confini esistenti tra la sua cultura e le altre. Pertanto non è possibile considerare il concetto di cultura nel suo concetto tradizionale, e quindi come una proprietà nostra o una proprietà loro. È una costruzione artificiale che rende possibile una traduzione tra loro e noi, tra cultura di partente e cultura ricevente. È intersoggettiva (Agar 2005). Necessita di un’analisi approfondita tanto più è ampio il divario tra LC1 e LC2. Quanto è necessario descrivere dipende da quale X e da quale Y delimitano gli estremi del confine.

Ne consegue che la traduzione che costruiamo altro non è che la cultura che descriviamo; in questo senso possiamo affermare che traduzione e cultura si equivalgono.

3.3 La cultura è parziale e plurale

Oggi più che mai abbiamo a che fare con sistemi aperti e dinamici, che crescono e si evolvono insieme nel loro ambiente, sistemi complessi. Cercare di far funzionare ancora il «vecchio concetto di cultura» come un sistema chiuso e coerente di significati e azioni condivise solo e sempre da alcuni individui non avrebbe più senso. Nessuno oggi vive in un concetto di cultura come quello appena citato. La cultura è parziale e plurale. Non possiamo parlare di cultura del singolo se ci riferiamo a una persona specifica o ad una situazione particolare. Il plurale è più che mai obbligatorio. Un momento particolare, una persona particolare così come un gruppo di persone non è possibile considerarlo una cultura singola. In questi casi si parla sempre di «culture». La domanda che ci sorge spontanea è:

 

«possiamo parlare realmente di cultura italiana?»

«si può davvero parlare di italiano?»

 

Si può solo parlare di «Italia» come di una cultura parziale che può esistere in qualsiasi parte del mondo, ma non avrebbe senso parlare di italiano o di cultura italiana. Ognuno di noi ha un suo essere italiano, un suo “vivere in Italia”. Ognuno di noi non è altro che un mix di “culture” che interagiscono l’una con l’altra internamente ed esternamente con le “culture” altrui. Sono queste le interazioni che ci consentono di avere una visione di noi e dell’altro. Ognuna di queste “culture” rappresenta una parte e non una totalità di ciò che un individuo o un gruppo è. Nessun sistema è identificabile con una cultura soltanto. Si tratta sempre e comunque di «culture» (Agar 2006).

 

  1. Il caso di Y. e i rich point

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quest’anno, dal mese di marzo al mese di giugno, ho lavorato presso la scuola media Paolo Sarpi di Settimo Milanese in qualità di facilitatrice linguistica e mi è stata affidata la bambina Y.

Y. ha 11 anni, è nata nel dipartimento di Arequipa, in Perù. Figlia di genitori separati, vive da sempre con il padre e una “tata”, che le fa da madre. La sua mamma biologica è ormai da 5 anni in Italia, a Milano e lavora come badante per una coppia di anziani.

Y. non voleva venire in Italia, perché nel suo piccolo paesino del Perù stava molto bene, aveva la sua scuola, aveva le sue amiche e una casa stupenda con un cavallo tutto suo.

Un solo grande pensiero non le permetteva di essere completamente felice: sua mamma non era con lei…

Decisa di far vedere alla figlia il suo nuovo mondo, la sua nuova realtà di vita e di lavoro, la mamma di Y. pagherà un biglietto aereo alla bimba e la terrà con sé per un intero anno.

Il 7 gennaio 2010 inizierà per Y. un nuovo cammino, il suo primo giorno di scuola in un ambiente “straniero”, diverso da quello di origine.

Il mio incontro con lei è avvenuto dopo circa due settimane di frequentazione presso la prima media a Settimo Milanese e non è stato facile inizialmente conquistarmi la sua fiducia, perché era molto timida e riservata.

 

4.1 La «cugina-sorella»

Concludendo quanto affermato nei capitoli precedenti in merito alla teoria di Agar sulla linguacultura e sui rich point, desidero citare un paio di esempi per me determinanti l’effettiva comprensione della complessità dell’argomento.

Nel corso del mio stage come facilitatrice linguistica Y. era spesso chiamata a scrivere dei brevi temi scegliendo tra diversi argomenti. Spesso gli argomenti trattati coinvolgevano lei e le emozioni legate alla sua nuova vita a Milano. Il primo scritto era proprio la descrizione di una persona a lei cara e che avrebbe voluto avere con sé.

Fu questa la prima volta in cui Y. mi parlò della sua «prima-hermana» (letteralmente tradotto «cugina-sorella»). È questa la parola utilizzata da Y. per parlare della cugina, nata però dalla relazione tra il fratello di sua mamma e la sorella di suo padre. Per lei questo legame era speciale, così come potrebbe apparire dalla descrizione che ho appena riportato, ma la mia attenzione non vuole concentrarsi sulle varie discendenze parentali nella famiglia di Y., bensì sulla difficoltà che ho riscontrato nella traduzione di questo termine.

Confrontando varie fonti, cartacee e non, e chiedendo ad alcuni amici spagnoli, ho riscontrato che nel contesto, questa parola racchiude un triplice significato: sicuramente contiene l’idea di «prima», che in italiano si traduce con «cugina» e sicuramente questa risulta anche la soluzione più immediata alla difficoltà, magari pensando a una semplice cugina di primo grado. Tuttavia, la presenza della parola «hermana» ci allontana, in italiano, dal singolo concetto di «cugina» e anche da quello di «cugina di primo grado». Di fatto la parola esiste, viene utilizzata nella lingua parlata anche se non compare in nessun dizionario di spagnolo. È un termine che Y. utilizza di frequente perché sostiene che in Perù sia normale, è un termine che tutti utilizzano perché è facile che si compongano famiglie come la sua, è normale che si abbiano figli tra zii di una stessa famiglia.

Il problema è nato dal momento in cui dovevo tradurre la parola in italiano. Non ero in grado di riprodurre lo stesso concetto nella cultura ricevente, in questo caso la mia. Parlare a qualcuno di «cugina-sorella», non significa nulla se non unisco al termine una definizione che ne spieghi il significato che Y. vuole dare alla parola. Per lei non è solo una cugina perché per metà è sua sorella dato che suo padre e il padre di sua cugina sono fratelli e le rispettive madri pure. Il termine utilizzato è ricco di un valore affettivo oltre che di un vero e proprio significato.

 

Consultando vari forum spagnoli e vari estratti di testi in lingua queste erano le ricorrenze che ho trovato:

 

–       Prima hermana = Una hija de algún hermano de tu mamá o tú papá.

–       A veces se especifica “hermana” cuando se quiere dar una idea de cercanía con esa prima. Se pode decir también “prima carnal”.

–       A veces se usa para parentescos más lejanos o incluso para personas sin parentesco conocido, es decir, simples (aunque buenos) amigos.

 

Dalle descrizioni emerge sicuramente il grado di parentela della ragazza in questione anche se il termine «hermana» è propriamente utilizzato per indicare lo stretto legame tra le due ragazze, che si considerano «quasi sorelle». In italiano la traduzione «cugina di primo grado» esiste, anche se viene abbandonato il significato affettivo che la cultura emittente racchiude in sé.

 

L’esempio che ho appena citato ci riconduce all’analisi di Agar secondo cui il concetto stesso di «cultura» è legato al rapporto tra due culture ben precise e dal loro contatto.

Y., parlandomi di questa «prima-hermana», intendeva parlarmi di una persona che per lei era quasi una sorella, più che una cugina e quando ho cercato di chiederle se X. fosse sua cugina di primo grado, lei mi ha risposto più di una volta che non era semplicemente sua cugina bensì erano metà sorelle e metà cugine.

La «cugina-sorella» è un chiaro esempio di come nella traduzione sia necessario tenere in considerazione tutte le sfumature proprie di una cultura che determinano o meno l’esistenza di un traducente dello stesso grado di intensità in un’altra cultura. La teoria di Agar ha rappresentato per me un elemento fondamentale per comprendere come nella traduzione intervengano molteplici fattori e come sia impossibile non tener conto della «cultura emittente» e della «cultura ricevente» per comunicare un messaggio e renderlo fruibile a tutti. La scelta del traduttore di tradurre una parola o un enunciato della cultura emittente deve rispettare tutte le sfumature e le informazioni che quel termine racchiude in sé e che potrebbero modificare il significato della stessa nella cultura ricevente.

4.2 La «chiesa»

Come spesso accade a chi non parla bene una lingua e si trova catapultato in un paese nuovo, spesso la comprensione risulta difficoltosa. Questo concetto vale ancor di più se parliamo di bambini stranieri che ancora non conoscono la loro lingua alla perfezione e che devono rapportarsi alle differenze linguistico-culturali del paese in cui si trovano. Se a paragone ci sono due persone che parlano due lingue differenti e che provengono da mondi differenti la comunicazione non sarà sempre facile e immediata. In questi casi, un fattore da tener sempre a mente è che non esistono definizioni banali o spiegazioni semplici e scontate; ogni frase detta, ogni parola pronunciata per noi ha un valore, ma questo stesso valore e/o grado di immediatezza non è lo stesso per un’altra persona, a maggior ragione se ci troviamo di fronte ad una bambina di 11 anni, non italiana.

Spesso, durante le lezioni curricolari, aiutavo Y. a tradurre termini ed enunciati di cui non comprendeva immediatamente il significato. Una volta in particolare, mi sono resa conto di come per me fosse scontata una risposta e di come invece per Y. la mia domanda non avesse lo stesso significato che io le attribuivo.

Era l’ultimo giorno di scuola, la classe era divisa in due gruppi e i bambini giocavano a farsi tra loro degli indovinelli… Quello che in particolar modo attirò la mia attenzione fu il seguente:

 

«Qual è il luogo per eccellenza dove si prega?»

 

La risposta che tutti diedero fu quella che io stessa avevo immaginato, ossia: «La chiesa».

Tutti risposerò così tranne Y., lei disse «Ovunque – In casa».

Da questa sua risposta iniziai a pensare dentro di me che la domanda dell’indovinello non fosse così scontata e che forse per una persona che proveniva da un altro paese e da un’altra cultura. Per noi componenti di quel gruppo di “ragazzi italiani”, la risposta era banale, tutti noi avevamo pensato che il luogo per eccellenza dove si prega è la chiesa, ma per lei non è stato così.

La risposta di Y. è un chiaro esempio di come la cultura sia plurale e relativa, di come non è possibile parlare di cultura X, se non specifichiamo la cultura X per Y. Parlare di risposta facile e scontata, vuol dire trascurare questo fatto, significa non dare valore al senso che la parola assume per una persona in un contesto specifico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1.  La traduzione come mediazione culturale


5.1 Il facilitatore linguistico

Il compito di facilitatrice consiste essenzialmente nella mediazione culturale tra la cultura emittente e la cultura ricevente.

In questo caso specifico tra Y. e la classe di cui fa parte.

Il facilitatore linguistico è un professionista esperto nella didattica dell’italiano come lingua seconda tanto che, se fosse ufficialmente prevista questa funzione nella scuola, potrebbe essere definito «insegnante di italiano L2» (Favaro 2002: 63).

 

I facilitatori linguistici sono quindi insegnanti ed educatori, di madrelingua italiana, con una adeguata formazione didattica, glottodidattica e pedagogico-interculturale, che collaborano, autonomamente o come membri di associazioni e cooperative che operano nel territorio, con gli enti locali (specialmente i Comuni) nei progetti di facilitazione linguistica, promossi e finanziati dalla scuola o dagli stessi enti locali. Questo personale esperto lavora con gli studenti stranieri gestendo e conducendo i laboratori di italiano L2 nelle scuole sia in orario scolastico che extrascolastico (per esempio attività di doposcuola finalizzate allo svolgimento dei compiti, al rafforzamento linguistico e allo studio disciplinare). Sono quindi persone che svolgono delicati compiti didattici ed educativi che richiedono preparazione e specifiche competenze sia nell’ambito dell’insegnamento della seconda lingua, una disciplina che adotta specifiche metodologie e strategie che devono essere conosciute e padroneggiate da coloro che ricoprono questo incarico, sia nel campo dell’educazione interculturale per promuovere e facilitare l’incontro, la conoscenza e lo scambio reciproco fra le persone portatrici di culture diverse presenti nelle scuole.

Nella scuola, i compiti di un facilitatore linguistico possono essere molteplici:

 

–       collaborare nella definizione di pratiche condivise all’interno della scuola in tema di accoglienza degli alunni stranieri;

–       sostenere e guidare gli alunni neo-arrivati nella loro fase di adattamento, diventando un punto di riferimento per richieste di informazioni e di aiuto;

–       facilitare l’apprendimento della lingua all’interno di laboratori di italiano L2;

–       ricostruire il profilo linguistico, cognitivo e culturale di ogni allievo straniero neo-arrivato nella scuola partecipando con gli insegnanti, i mediatori culturali ed altre figure preposte (ad esempio psicopedagogisti, membri della Commissione Intercultura) alla documentazione e valutazione iniziale delle sue competenze ed abilità e alla rilevazione dei suoi bisogni linguistici e comunicativi iniziali;

–       programmare un percorso didattico coerente e specifico in base alle competenze e i bisogni rilevati dell’alunno ma rispettando gli obiettivi comuni di apprendimento linguistico e disciplinare;

–       relazionarsi e collaborare con gli insegnanti in modo tale da un pieno inserimento dell’allievo straniero e garantire un livello sufficiente di apprendimento della lingua per comunicare e per studiare le diverse discipline scolastiche;

–       essere di supporto didattico agli insegnanti fornendo materiali e strumenti utili e suggerendo metodologie per l’insegnamento dell’italiano L2 e la gestione della classe plurilingue;

–       valutare e documentare i risultati ottenuti e gli obiettivi raggiunti dagli allievi stranieri al termine del periodo di facilitazione linguistica;

–       promuovere e facilitare il dialogo interculturale fra tutte le persone che vivono la scuola e in particolare favorire un dialogo costruttivo tra il bambino straniero e la classe (Itals 2010).

 

Come si può notare, il facilitatore linguistico è chiamato a facilitare l’inserimento dell’allievo straniero nella nuova scuola e nella nuova classe fornendogli gli strumenti linguistici necessari e, allo stesso tempo, fungendo da punto di riferimento per quanto riguarda la comunicazione tra lui e gli altri, coetanei e adulti, che operano nella scuola, diventando cosi una vera e propria figura ponte tra l’alunno straniero e la nuova classe in cui è inserito, gli insegnanti e la scuola.

5.2 Il facilitatore linguistico e il mediatore linguistico

Facendo questa esperienza lavorativa, mi sono resa conto delle grandi affinità di principio tra il ruolo di mediatrice linguistica (la qualifica che sto conseguendo con il mio corso di laurea triennale) e quello di facilitatrice linguistica.

Lo stesso mediatore linguistico opera nelle scuole o in altri ambiti formativi, educativi e sociali e gioca un ruolo indispensabile in materia di mediazione fra persone con radici, esperienze e valori culturali diversi ma che condividono gli stessi luoghi di vita o di lavoro. Dal punto di vista della normativa, le leggi sull’immigrazione (Legge n. 40 del 6 marzo 1998 e n. 189 del 30 luglio 2002) fanno esplicitamente riferimento a questa figura professionale: «lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni nell’ambito delle proprie competenze favoriscono la realizzazione di convenzioni con associazioni per l’impiego, all’interno delle proprie strutture, di stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a due anni, in qualità di mediatori interculturali, al fine di agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e gli stranieri appartenenti ai diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi».Il mediatore linguistico e culturale, quando sia necessario distinguerlo dal facilitatore linguistico, può essere un madrelingua straniero già inserito in Italia o un italiano con una adeguata conoscenza di una delle lingue e culture di “migrazione” e che non necessariamente dispone di una formazione glottodidattica e pedagogica.

 

Il mediatore può collaborare e fungere così da supporto al ruolo educativo della scuola.

In particolare può svolgere compiti:

–        di accoglienza, tutoraggio e facilitazione nei confronti degli allievi neoarrivati e delle loro famiglie;

–       di mediazione nei confronti degli insegnanti fornendo loro informazioni sulla scuola nei paesi di origine, sulle competenze e sulla storia personale del singolo alunno;

–       di interpretariato e traduzione (avvisi, messaggi, documenti orali e scritti) nei confronti delle famiglie;

–       di assistenza e mediazione negli incontri dei docenti con i genitori, soprattutto nei casi di particolare problematicità;

–       proporre percorsi didattici di educazione interculturale, che prevedono momenti di conoscenza e valorizzazione dei paesi e delle lingue d’origine (Itals 2010).

 

 

Riferimenti bibliografici

 

Agar M. 2006 «Culture: can you take it everywhere?» International Journal Of Qualitative Methods 5 (2) June disponibile in internet all’indirizzo www.ualberta.ca/, consultato nell’ottobre 2010.

Agar, M. 1995 Language shock: Understanding the culture of conversation. New York: William Morrow.

Agar, M. 1996 The professional stranger: An informal introduction to ethnography. New York: Academic Press.

Dictionary.com 2006-2010 disponibile in internet al sito www.dictionary.com, consultato nell’ottobre 2010.

Favaro G. 2003 in «La difficoltà del crescere: minori stranieri e tutela», Atti del corso, Provincia di Milano -Settore alle politiche sociali. 2003

Forum wordreference in spagnolo e inglese, disponibile sul sito www.wordreference.com

Garzanti 2009, Dizionario di italiano Garzanti, disponibile in internet all’indirizzo www.garzantilinguistica.it, consultato nell’ottobre 2010.

Il dizionario della lingua italiana, 2000 Firenze: Le Monnier.

Istituto psicoanalitico per le ricerche sociali 2000, Integrazione ed identità dei minori immigrati.

Kroeber A.L. & Kluckhohn C. 1966 Culture: A critical review of concepts and definitions. New York: Random House.

Laboratorio Itals 2010, Italiano come lingua straniera.

Merriam-Webster 2000 Merriam Webster’s online dictionary, Springfield (MA): Merriam-Webster. disponibile in internet all’indirizzo www.merriam-webster.com, consultato nell’ottobre 2010.

Osimo, B. 2004 Manuale del traduttore: guida pratica con glossario, Milano: Hoepli.

Osimo, B. 2010 Propedeutica della traduzione: corso introduttivo con tabelvole sinottiche, Milano: Hoepli.

The American Heritage 2000 The American Heritage Dictionary of the English Language, Boston: Houghton Mifflin, disponibile in internet all’indirizzo www.education.yahoo.com/reference/dictionary/., consultato nell’ottobre 2010.

The free dictionary 2009 The free dictionary, disponibile in internet all’indirizzo www.thefreedictionary.com, consultato nell’ottobre 2010.

Torop P. 2010 La traduzione totale. Tipi di processo traduttivo nella cultura, Milano: Hoepli.

Savory: Translator’s humour Dal testo al humour e dal humour al testo

Savory: Translator’s humour

Dal testo al humour e dal humour al testo

CRISTINA SALA

 

 

Fondazione Milano

Milano Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

 

 

 

 

 

 

 

 

Relatore: professor Bruno Osimo

Diploma in Mediazione Linguistica

Ottobre 2010


 

© Theodore Horace Savory, London, 1957

© Cristina Sala per l’edizione italiana 2010

 

Understanding humour especially its social and psychological functions, its value as an indicator of both cultural and personal identity requires this sense of its radical subjectivity, a sense easily confirmed in the experience of telling a joke to an unamused audience. This extent to which we can share humour is based on a common world view and one way of distinguishing individuals is by nothing when they are amused and with whom. A sense of the cultural relativity of a given group’s sense of the normal and the deviant, the real and unreal, underpins both the anthropology and the sociology of humour. A sense of variations of these notions between individuals in the same cultural and social group underpins the psychology of humour.

Paul Lewis

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa tesi è dedicata a tutti coloro che credono che il humour, la comicità e i fumetti siano cose da bambini.

 

 

 

 

 

 


Savory: Translator’s humour

Dal testo al humour e dal humour al testo

 

Abstract in italiano

 

Il traduttore interlinguistico ricopre anche il ruolo di mediatore culturale: in fase traduttiva deve sopperire ai residui comunicativi tramite il proprio sapere. Il residuo traduttivo, che è sempre presente, è maggiore quanto più un prototesto è radicato nella cultura emittente: in presenza di battute, allusioni a personaggi famosi propri di quel paese specifico, modi di dire, proverbi, humour e ironia il traduttore ha a disposizione svariati strumenti per cercare di trovare una compensazione. Per quanto riguarda l’aspetto umoristico di un testo a fumetti, il traduttore dovrà intraprendere sforzi aggiuntivi poiché la traduzione del humour implica necessariamente conoscenze culturali e linguistiche specifiche. Il lavoro di traduzione si complica ulteriormente e necessita di ricerche, analisi, confronti e studi per essere svolto dignitosamente. Talvolta, però, un traduttore particolarmente distratto e frettoloso può creare lui stesso delle nuove occasioni di humour, magari da un testo che con il humour non aveva proprio niente a che fare, producendo risultati che meritano di essere ricordati per la loro originalità.

 

English abstract

 

Interlinguistic translators also play the role of cultural mediators: during the translation phase they must make up for communication losses through their own knowledge. The communication loss, which is a constant, is larger the more a text is deep-rooted in the issuing culture: in the presence of jokes, allusions to famous people of that particular country, sayings, proverbs, humour and irony the translator has many tools to compensate for the communication losses. With regard to the humorous character of a comic book, the translator should undertake further efforts since the translation of humour necessarily requires specific cultural and linguistic knowledge. The translator’s job gets tougher and needs to be integrated with research, analysis, comparisons and studies in order to be properly carried out. Sometimes a particularly inattentive and perfunctory translator can inadvertently create new instances of humour, possibly from a text which in fact had no humorous intentions, producing results which deserve to be remembered for their originality.

 

Deutsche Fassung

 

Der interlinguale Übersetzer spielt auch die Rolle des kulturellen Vermittlers: während der Übersetzungsphase muss er sein Wissen einsetzen, um die Kommunikationsverluste auszugleichen. Der Übersetzungsverlust, der immer vorhanden ist, ist umso größer, je mehr ein Prototext in seiner Kultur eingewurzelt ist: wenn Witze, Andeutungen auf prominente Persönlichkeiten des spezifischen Landes oder Kulturraumes, Redensarten, Sprichwörter, Humor und Ironie vorhanden sind, verfügt der Übersetzer über zahlreiche Mittel, um einen Ausgleich zu finden. Was den humoristischen Aspekt eines Comictextes betrifft, muss der Übersetzer zusätzliche Anstrengungen unternehmen, weil die Übersetzung von Humor notwendigerweise spezifische kulturelle und linguistische Kenntnisse impliziert. Die Übersetzungsphase kompliziert sich weiter und verlangt Recherchen, Analysen, Vergleiche und Studien, um angemessen erledigt zu werden. Es kann aber auch vorkommen, dass ein unaufmerksamer und hastiger Übersetzer unbeabsichtigt selbst neue humoristische Aspekte schafft, auch in einem Text, der mit Humor eigentlich nichts zu tun hat, und somit ein originelles Ergebnis erzielt.

 

 

 

 

 

 

 


Sommario

1.            Prefazione  5

2.            Humour e psicologia  11

3.            Prefazione alla traduzione  17

4.   Traduzione con testo a fronte- il humor inconscio  20

5.   Prefazione dell’analisi traduttiva  48

5.1. I PROBLEMI GRAFICI 49

5.2. I PROBLEMI LINGUISTICI 50

5.3. I PROBLEMI CULTURALI 51

6.   Analisi linguistica e culturale delle vignette di Schulz e  proposte di traduzione- il humour conscio  52

7.   Conclusioni 73

8.   Riferimenti bibliografici 76


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. Prefazione

 

La traduzione in cui si verifica il passaggio da una lingua a un’altra viene chiamata «traduzione interlinguistica» ed è quella che Jakobson definisce «interpretazione dei segni linguistici per mezzo di qualsiasi altra lingua»: in sostanza il traduttore ricodifica e ritrasmette un messaggio ricevuto da un’altra fonte.

Una qualsiasi traduzione interlinguistica (che implica il passaggio da una cultura ad un’altra) comporta non pochi ostacoli sotto molti aspetti: quello linguistico, culturale, eccetera.

Come in ogni forma comunicativa, anche in questo caso si verificano delle perdite poiché è impossibile trasmettere perfettamente e interamente il messaggio del prototesto all’interno del metatesto.

Tali perdite sono chiamate in ambito traduttivo «residui» e sono rappresentate da porzioni di testo non tradotte e porzioni di testo che sono, invece, intraducibili. Per sopperire a tali mancanze il traduttore che, innanzitutto, deve esserne consapevole, può ricorrere a un apparato metatestuale, ossia a prefazioni, postfazioni, note a piè di pagina, eccetera.

All’interno degli ostacoli culturali è frequente trovarsi di fronte a problemi riguardanti il humour e la comicità, in particolare per un traduttore che si occupi di argomenti umoristici e satirici e abbia a che fare con prototesti basati su questa matrice come, ad esempio, i fumetti.

Ovviamente, più che in altri testi, nei fumetti si verificheranno svariate perdite comunicative, che rappresentano, appunto, parti di testo intraducibili.

Quando un traduttore incontra riferimenti ironici a elementi propri della cultura emittente molto noti e conosciuti (come personaggi dello spettacolo) in ambito fumettistico è preferibile evitare di inserire note a piè di pagina, principalmente per una ragione culturale.

La sostituzione dell’elemento originale con un riferimento a un elemento della cultura ricevente può essere probabilmente la soluzione ottimale a questo tipo di ostacolo traduttivo.

Effettuando una traduzione interlinguistica non si deve soltanto trasferire un messaggio da una lingua all’altra ma il traduttore deve rivestire il ruolo di mediatore culturale così che il lettore del metatesto possa arricchire il suo bagaglio di cultura attingendo a informazioni proprie sulla cultura di appartenenza del prototesto.

 

Nell’ultima sezione della tesi ho voluto dimostrare, attraverso la presentazione di alcune strisce dei Peanuts in lingua originale, quanto sia tangibile e reale ciò che ho detto sinora, immedesimandomi in un traduttore di fumetti e cercando di risolvere, attingendo al mio bagaglio culturale e prendendo come riferimento un lettore modello della mia madrelingua, tutti gli ostacoli che si presentavano in alcune vignette scelte per la loro particolare difficoltà traduttiva.

Ho deciso di intitolare quest’ultima parte del mio lavoro «humour conscio» poiché si tratta di scelte umoristiche non casuali, ma dettate dall’intento dell’autore delle vignette di fare ridere o perlomeno sorridere i lettori delle sue strisce.

 

Procedendo a ritroso, nella seconda parte, ho lavorato su una traduzione “Translator’s humour”, una dissertazione di matrice umoristica che tratta degli strafalcioni linguistici commessi a più riprese da vari traduttori interlinguistici che hanno prodotto (forse inconsciamente) piccoli capolavori del humour traduttivo alquanto divertenti e che ho voluto analizzare sul piano linguistico e culturale per capire quali bizzarri ragionamenti stavano alla base dei loro prodotti. Ed è proprio per questo motivo che ho intitolato questa sezione «humour inconscio».

Ciò che è emerso è che, per la maggior parte delle volte, gli strafalcioni compiuti sono la conseguenza diretta di traduzioni superficiale e sbrigative, di disattenzione e di assonanze devianti tra due lingue che appartengono allo stesso ceppo linguistico.

 

La prima parte tratta più in via generale il humour, cosa sia in realtà e come viene definito dai principali pensatori e filosofi della storia, per dare un’infarinatura iniziale di ciò che seguirà e per far capire al lettore della mia tesi l’argomento di base su cui ho voluto concentrarmi, un argomento spesso criticato e spesso messo da parte perché considerato quasi “immorale” o addirittura “infantile” ma che vale la pena trattare e analizzare soprattutto sul piano culturale e traduttivo, poiché ricco di sfumature interessanti.

 

Con questa tesi vorrei dimostrare quanto il lavoro del traduttore sia minuzioso e quanto necessiti di attenzione e concentrazione. Il traduttore è implicitamente anche un mediatore culturale, il suo compito consiste nel far comunicare quanto più possibile due culture lontane.

Una parola mal interpretata, letta frettolosamente, omessa o minimizzata può dare origine a una serie di incomprensioni che, a loro volta, possono generare errori clamorosi i quali, a seconda del punto di vista, possono risultare o divertenti o ridicoli e possono modificare radicalmente la fisionomia del prototesto.

Viceversa, anche lo studio e la traduzione di testi umoristici presenta ostacoli non irrilevanti. I fumetti che sono erroneamente indicati sotto la voce «lettura per bambini», per la loro apparente facilità di lettura, sono veri e propri repertori di informazioni, nozioni, modi di dire ed espressioni della cultura del paese in cui vengono scritti. Per questo, svariate volte, succede che anche un adulto che si cimenti nella lettura di un fumetto non capisca alcune parti di testo poiché non è a conoscenza di alcuni dettagli, di alcune espressioni o, ancor più sovente, di alcune allusioni culturali.

Considerando i fumetti a carattere umoristico (come i Peanuts) è bene ricordare che questi sono ancor più ermetici e traboccanti di informazioni sui modi, usi e costumi di quella cultura di provenienza, perciò il lavoro del traduttore prenderà una piega ancor più complessa e interessante.

Infine, il mio scopo è quello di fare in modo che il lettore di questa tesi arrivi fino in fondo all’ultima pagina e capisca che quello che sembra un po’ puerile e banale, poi in fondo tanto banale non è.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2.  Humour e psicologia

 

 

 

It’s only a joke” we often say, but humour is complex, a matter of texts and contexts. As texts, formal jokes and spontaneous witticism follow grammatical rules, exploit semantic associations, convey affect, thought and disposition in context-that is, as a shared experience.

Paul Lewis

 

 

Molti filosofi, scrittori, linguisti del passato, come Platone, Aristotele, Bergson e Freud hanno cercato di dare una definizione di umorismo, suggerendo una serie di teorie. Sul piano lessicale si può affermare che il campo semantico relativo all’umorismo è di notevoli dimensioni, oltre che complesso da limitare. «Comico, satira, ironia, sarcasmo» sono tutti termini contestualmente associabili al humour in sé, tuttavia assai differenti sul piano del significato.

Svariati studiosi sostengono l’impossibilità di una suddivisione teorica tra vari sottocampi quali, per citarne qualcuno, la psicologia e la letteratura.

Secondo Umberto Eco «the category of comic does not seem to have a possibility of theoretical differentiation from that of humour». Un’ altra studiosa della stessa opinione è Olbrechts-Tyteca (1977) la quale non contempla alcuna differenziazione tra humorous e ridiculous.

Salvatore Attardo afferma che «se si ignora la suddivisione interna del humour e si accetta un’ampia lettura del concetto, ne consegue che il humour (o il comico) è qualsiasi cosa che un gruppo sociale definisca come tale».

Secondo la corrente di ricerca anglo-americana il termine «humour» viene inteso “as the umbrella-term for all phenomena of this field. Thus, humour replaced the comic and is treated as a neutral term; i.e., not restricted to positive occasion for laughter” (Ruch, 1996).

Se è vero, come affermano molte teorie, che una risata o un approccio sorridente alla vita sono la manifestazione dell’avvertimento dei contrasti della realtà, è innegabile che questi contrasti si differenziano da cultura a cultura. L’umorismo si fonda, dunque, su una prospettiva chiaramente storica, come afferma anche Delia Chiaro: «il concetto di ciò che le persone trovano divertente sembra essere limitato da confini linguistici, geografici, diacronici, socioculturali e personali» (1998:15).

Il humour è circoscritto entro precisi limiti spazio-temporali ed è intimamente connesso alle strutture pragmatiche, socioculturali e linguistiche della comunità di cui è espressione ed entro cui si realizza.

Queste caratteristiche proprie del genere comico sono ben presenti ai traduttori che hanno a che fare con testi in cui è importante mantenere l’effetto comico della cultura emittente nella cultura ricevente. Questo compito diventa particolarmente arduo quando si tratta di trasporre i giochi di parole. Nelle parole si racchiudono, infatti, universi culturali difficilmente traducibili e, anche in presenza di un’ottima traduzione dal punto di vista linguistico, l’effetto comico può essere annullato, senza che il traduttore possa intervenire, poiché la cultura ricevente potrebbe mancare di riferimenti necessari a capire una particolare battuta o semplicemente potrebbe prediligere altri stimoli umoristici.

Ecco che, allora, ciò che fa ridere a Londra non farà ridere a Washington (pur avendo, dal punto di vista linguistico, un ostacolo in meno); ciò che fa ridere a Milano non farà probabilmente ridere a Parigi (pur non essendo due città molto distanti sia geograficamente che culturalmente): le coordinate socio-culturali entro cui si realizza il humour, prima ancora della sua concreta realizzazione linguistica, ne segnano la tendenziale peculiarità «localistica» e «temporale».

 

Un approccio linguistico al humour teorizza che ogni parlante abbia una «competence» umoristica per giudicare un testo comico. Per «competence» si intende implicitamente ciò che noi chiamiamo «sense of humour», intorno cui si sviluppano due teorie, la «semantic script theory of humour» e la «general theory of verbal humour» che analizzano il fenomeno comico dal punto di vista linguistico.

Il «sense of humour» inteso come caratteristica variabile della personalità di ciascuno è preso in esame da tre teorie che lo studiano sul piano psico-sociologico: «There are many explanations of laughter and humour, that John Monrreal does well to distill into three theories: the superiority theory, the relief theory and the incongruity theory» (Critchley 2002:2).

L’oggetto dello studio è quindi ciò che differenzia i due diversi approcci: quello linguistico e quello psico-sociologico, ossia, il primo mira a studiare l’effetto comico creato attraverso il testo, il secondo analizza la ricezione e la produzione dell’effetto comico su soggetti diversi.

 

 

La teoria della superiorità di Platone e Aristotele, Quintiliano e Hobbes: secondo questa teoria «we laugh from feelings of superiority over other people, from ‘suddaine Glory arising from suddaine conception of some Eminency in our selves, by Comparison of the Infirmityes of others or with our owne formerly’» (Critchley 2002:2,3).

È questo dunque un approccio che si concentra sul contenuto dell’umorismo, piuttosto che sulla sua struttura, e sulle differenze a livello d’apprezzamento tra gruppi diversi.

 

Secondo la teoria psicoanalitica di Freud «l’energia che è rilasciata e liberata nel riso dà piacere perché, stando a quanto si dice, ciò risparmia energia che generalmente si utilizzerebbe per contenere o reprimere l’attività psichica».

Si evince che l’umorismo è un meccanismo di difesa per affrontare particolari contesti e circostanze complessi.

 

Infine, l’ultima teoria, quella dell’incongruità ipotizzata da Kant e Schopenhauer afferma che:

«Es muß in allem, was ein lebhaftes, erschütterndes Lachen erregen soll, etwas Widersinniges sein […]. Das Lachen ist ein Affekt aus der plötzlichen Verwandlung einer gespannten Erwartung in nichts[1]» (Kant 1799:225).

 

«Meiner […] Erklärung zufolge ist der Ursprung des Lächerlichen allemal die paradoxe und daher unerwartete Subsumtion eines Gegenstandes unter einem ihm übrigens heterogenen Begriff, und bezeichnet demgemäß das Phänomen des Lachens allemal als die plötzliche Wahrnehmung einer Inkongruenz zwischen einem solchen Begriff und dem durch denselben gedachten realen Gegenstand, also zwischen dem Abstrakten und dem Anschaulichen[2]» (Schopenhauer 1858:122).

 

 

«Humour is produced by the experience of a felt incongruity between what we know or expect to be the case and what actually takes place in the joke, gag, jest or blague» (Critchley 2002: 3).

 

 

 

  1. Prefazione alla traduzione

 

Quando una battuta non viene compresa è compito difficile spiegarla a parole, come molti sapranno: bisogna ricorrere ai mezzi che conosciamo per cercare di rendere il senso di quella battuta incompresa, ossia con l’ausilio di parafrasi, di riformulazioni. Queste strategie, tuttavia, privano la battuta originaria della sua immediatezza e del suo essere battuta. Non è detto, peraltro, che tramite questi espedienti per cercare di garantirne la comprensione- anche se tardiva- della frase, il senso comico venga trasmesso.

Questo problema si presenta di frequente nella propria madrelingua, per cui è facile immaginare quanto spesso accada in fase di traduzione da una lingua all’altra, ossia in presenza di testi interlinguistici. Per questo motivo, spesso non è sufficiente cimentarsi per ricercare significati di parole, di espressioni idiomatiche o, addirittura, di giochi di parole; tuttavia è necessario operare una riformulazione della frase accompagnata da un adattamento linguistico del testo.

La complessità linguistica dell’umorismo si presenta come un ostacolo non di facile superamento in fase di traduzione della comicità, condito da una serie di innumerevoli sfumature tipiche della cultura.

Come si chiede anche Delia Chiaro è «se,e fino a che punto, il discorso umoristico, che è naturalmente limitato da barriere linguistiche e sociali, riesca ad attraversare le frontiere geografiche, visto che la traduzione dell’umorismo espresso verbalmente riguarda un tipo di linguaggio tra i più complessi da tradurre, basato su termini e principi di teoria di traduzione, quali l’equivalenza e l’ (in)traducibilità».

 

Problemi di traduzione del humour riguardano anche la sottotitolazione dell’umorismo che, come afferma Rachele Antonini, «deve seguire nella parte più tecnica e pratica le norme formali e linguistico- testuali d’impostazione dei formati e di posizionamento dei sottotitoli della proiezione cinematografica dei film e delle trasmissioni televisive».

E prosegue:

«La cosiddetta spontaneità del parlato reale ha una precisa spiegazione nell’assenza di progettazione del testo, la quale generalmente dà luogo a un uso ristretto del codice (scomparsa del predicato, enunciati incompiuti, riduzione dei tempi e dei modi, rapporti di coordinazione preferiti a quelli di subordinazione fra le frasi, riduzione e ripetizione lessicale) e a un frequente ricorso al contesto situazionale, gesti per indicare oggetti e/o sensi. In questo caso il lavoro dell’operatore è quello di integrare (completare) nella dimensione scritta ciò che nel parlato risulta equivoco, incompleto, improprio, demandato al non-verbale (intonazione, espressione, gestualità, contesto) o del tutto mancante. Nel dialogo il fraintendimento del tono genera incomprensione, l’incomprensione comicità».

 

Ed è proprio da quest’ultimo punto riguardante l’incomprensione che vorrei introdurre il capitolo Translator’s humour estratto dal libro “The art of translation” di Theodore Savory.

In questo caso, però, a differenza di quanto detto sinora, il humour prodotto non è, per così dire, voluto, ma nasce da sé, o meglio, nasce da meccanismi di traduzione fuorvianti che hanno come unica, imbarazzante conseguenza quella di produrre strafalcioni veri e propri, senza attinenza con i contesti considerati, frutto della negligenza di traduttori poco accorti.

Nella maggior parte dei casi si tratta di traduzioni che, dal punto di vista della parola, assomigliano all’originale, ma il cui significato è assolutamente differente e incoerente con quanto scritto.

Dopo aver tradotto il testo ho analizzato più accuratamente gli esempi di strafalcioni commessi da una  lingua all’altra (dal latino all’inglese, dal francese all’inglese, dall’inglese al francese) cercando di dare una spiegazione della scelta compiuta, tramite scomposizioni morfologiche di alcune parole e interpretazioni plausibili.

 

 

 

 

4. Traduzione con testo a fronte- il humour inconscio

 

TRANSLATOR’S HUMOUR

 

 

I don’t know how, cheerfulness was always breaking in.

MR EDWARDS to DR JOHNSON

 

There is no aspect of man’s activity in which there can be found no place for humour, no cause for laughter: if it were not so, life would be uninspiring in youth and intolerable in old age. And if any sober-minded kill-joy would voice the contrary opinion let him be reminded that of a truly solemn occasion we read: “Συ εί είπέτρος,καί ἐπί ταυτύη τῇ πετρα οἰκοδομήσω μου τὴν εκκλησίαν”. “Thou art Peter, and upon this rock I will build my church.” (Matt. XVI, 18.) Unhappily, the pun on which the Christian Church was founded is lost in translation into English, though it survives in Latin.

Humour, therefore, must be expected to enter into translation, and in fact it makes its appearance very early in the student’s experience, or perhaps more accurately in his inexperience, when his attempts to translate produce surprising or ludicrous results.

Howlers, as they are traditionally termed, are common enough in the lives of all teachers; they have several times been collected and published, and sometimes criticized as spurious inventions because they have seemed too good to be true. Writing as one who has collected scientific howlers for over forty years, I can

 

IL HUMOUR DEI TRADUTTORI

 

 

Non so come, l’allegria irrompeva sempre.

al DR JOHNSON da MR EDWARDS

 

 

Non esiste alcun aspetto dell’attività dell’uomo in cui non possa essere trovato spazio per il humour, né motivo per ridere: se così non fosse la vita sarebbe noiosa in gioventù e poco stimolante in vecchiaia. E se qualche guastafeste assennato si pronunciasse contrario ricordategli che di un’occasione profondamente solenne leggiamo così: “Συ εί είπέτρος,καί ἐπί ταυτύη τῇ πετρα οἰκοδομήσω μου τὴν εκκλησίαν”. “Tu sei Pietro e sopra questa pietra fonderò la mia Chiesa” (Mt 16, 18). Sfortunatamente il gioco di parole sul quale fu fondata la Chiesa Cristiana va perso nella traduzione verso l’inglese, sopravvivendo tuttavia in latino.

Perciò, è probabile che il humour entri nella traduzione e, anzi, fa la sua comparsa molto presto nell’esperienza dello studente o forse, più propriamente nella sua inesperienza, quando i suoi tentativi di traduzione producono risultati sorprendenti o assurdi.

Gli strafalcioni, così come vengono tradizionalmente chiamati, sono abbastanza comuni nella vita di tutti gli insegnanti; sono stati frequentemente raccolti e pubblicati e a volte criticati come invenzioni spurie poiché sono sembrati troppo buoni per essere veri. Dato che raccolgo strafalcioni scientifici da oltre quarant’anni posso

assure the sceptics that the rate of supply is sufficient to make forgery unnecessary.

There are, however, degrees of absurdity among howlers of all kinds. A mere mistake does not make the grade; the essence of a howler is that the clue to the misapprehension should be reasonably obvious, that is to say the translation offered must be a translation of other words which resemble or suggest the words that are actually printed. Because l’habile ouvrier looks to the unobservant like l’habit ouvert it becomes a howler, when, instead of “the clever workman” it is translated as “with his coat unbuttoned”.

Any jest, however, loses all its appeal when it is analysed in this way.

The number of first-class linguistic howlers is so great that some self-discipline must be imposed in quoting samples. Since the two most important languages in schools are Latin and French, ten specimens are divided between them:

 

rassicurare gli scettici che ve ne sono più che a sufficienza da rendere superflue le invenzioni.

Tuttavia ci sono gradi di assurdità tra i vari tipi di strafalcioni.

Un errore semplice non basta a qualificarsi come strafalcione; l’essenza di uno strafalcione è che l’indizio dell’errore di comprensione dovrebbe essere piuttosto evidente, ossia la traduzione proposta deve essere una traduzione di altre parole che assomigliano alle parole effettivamente stampate o le suggeriscano. Dato che l’habile ouvrier sembra all’osservatore disattento l’habit ouvert diventa uno strafalcione quando, al posto de ”il bravo lavoratore” viene tradotto con “con il vestito sbottonato”. Tuttavia qualsiasi scherzo, quando viene analizzato in questo modo, perde tutto il suo fascino. Il numero di strafalcioni linguistici di prima classe è così elevato che bisogna imporsi un po’ di autodisciplina nel citarne gli esempi.

Siccome le due lingue più importanti nelle scuole sono il latino e il francese, ho fatto cinque esempi per ognuna:

 

 

From Latin:

  1.                                     i.               Caerulae puppes: Skye terriers.
  2.                                    ii.               Cave canem: beware! I may sing.
  3.                                   iii.               Cornigeri boves: corned beef.
  4.                                  iv.               Pax in bello: freedom from indigestion.
  5.                                   v.               De mortius nil nisi bonum: in the dead there is nothing but bones.

 

 

Dal latino:

  1.          Caerulae puppes: Skye terriers[3].
  2.          Cave canem: beware! I may sing[4]

iii. Cornigeri boves: corned beef[5]

  1. Pax in bello: freedom from indigestion[6]
  2. v.           De mortius nil nisi bonum: in the dead there is nothing but bones[7]

From French:

  1.                                  vi.               Un Espagnol de forte taille: a spaniel with forty nails
  2.                                 vii.               Je frappe : le sentinel ouvre: I knock the sentinel over.
  3.                                viii.               La belle dame sans merci: the girl friend who did not say « Thank you ».

 

 

Dal francese:

  1. Un Espagnol de forte taille: a spaniel with forty nails.[8]
  2. Je frappe : le sentinel ouvre : I knock the sentinel over.[9]
  3. La belle dame sans merci : the girlfriend who did not say «Thank you».[10]
  4.                                  ix.               Il jeta un coup d’oeil à l’avis: he threw a cup of oil at the bird.

 

  1. Il jeta un coup d’oeil à l’avis: he threw a cup of oil at the bird.[11]
  2. x.         Le peuple ému repondit: the purple emu laid another egg.[12]


Rather more rarely are howlers perpetrated in the opposite direction, but the following seem worthy of survival:

 

Band of Hope: Orchestre d’Espoir.

I do not know whether….: Je ne sais pas mouton..

Match-makers: fabricants d’allumettes.

Stick no bills: ne collez pas de becs.

 

Gli strafalcioni commessi nella direzione opposta sono piuttosto rari da trovare, ma i seguenti sembrano meritare la sopravvivenza:

 

Band of Hope: Orchestre d’Espoir.[13]

I do not know whether: … Je ne sais pas mouton…[14]

Match-makers : fabricants d’allumettes.[15]

Stick no bills : ne collez pas de becs.[16]

 

A relation or an extension of this group may sometimes be heard from the lips of a light-hearted linguist who intentionally maltreats his language. Mr F.E. Bailey recently recorded his use of the expression ausgebraunt for “browned off”, and was politely asked to improve it to abgebraunt; while E. Williams in The Wooden Horse has given us blond genug for “fair enough”. Fit to be mentioned in such company is Verkehrsmarmelade for “traffic jam”.

From these spontaneous ejaculations, which certainly lighten much ordinary conversation, a short step takes us to the transfusion of the humour of an original into an equivalent translation; but there are not many writers who can be funny in a language other than their own and instances are rarer. The greater, then, is the merit of Professor C.H. Carruthers, who put Alice in Wonderland into Latin, so that in Alicia in Terra Mirabili we may read, for “Will  you walk a little faster?” said a whiting to a snail, the characteristically terse “Paulo citius incede” sic alburnus cochleae.

 

Ogni tanto un’espressione simile a quelle elencate può uscire dalla bocca di un linguista scherzoso che maltratta intenzionalmente la sua lingua. F. E. Bailey ha recentemente riferito di aver utilizzato l’espressione ausgebraunt per browned off[17] e gli è stato gentilmente chiesto di migliorarlo con abgebraunt; mentre E. Williams in “Il cavallo di legno” ci ha proposto blond genug per fair enough[18]. Adatto per essere menzionato in questa categoria è Verkehrsmarmelade per traffic jam[19].

Da queste sparate spontanee, che certamente ravvivano molte conversazioni quotidiane, un piccolo passo in avanti ci conduce al trasferimento del humour di un originale in una traduzione equivalente. Ma non ci sono molti scrittori che sanno essere divertenti in una lingua che non è la loro e gli esempi sono più rari. Il più eclatante, allora, è merito del professor C.H. Carruthers che ha tradotto Alice in Wonderland in latino, così che in “Alicia in Terra Mirabili” possiamo leggere per “Will you walk a little faster? said a whiting to a snail” il caratteristico conciso “Paulo citius incede” sic alburnus cochleae[20].

 

 

Our debt to the Professor was increased when he followed In Terra Mirabili with Per Speculum.

This is particularly treasurable because philologists have so often seized upon the first stanza of “Jabberwocky” and have used it to expound their ideas of the relationship between words and their meanings, so that the serious and the absurd, the scholarly and the inane, are mixed together in a refreshing pot-pourri.

 

 

 

“Twas brilling, and the slithy toves

Did gyre and gimble in the wabe,

All mismy were the borrogroves

And the mome raths outgrabe.”

 

Il nostro debito nei confronti del professore è cresciuto quando ha continuato “Terra Mirabili” con “Per Speculum[21].

Questo è particolarmente interessante perché i filologi hanno così spesso approfittato della prima strofa del “Jabberwocky[22] e l’hanno utilizzata per esporre le proprie idee in merito alla relazione tra le parole e il loro significato, così che il serio e l’assurdo, l’erudito e l’inane vengono mischiati in uno scoppiettante pot-pourri.

 

 

 

Twas brilling, and the slithy toves

 Did gyre and gamble in the wabe,

 All mismy were the borrogroves

 And the mome raths outgrabe.”[23]

 

 

This becomes:

 

Est brilgum: tovi slimici

In vabo tererotitant;

Brogovi sunt macresculi,

Momi rasti strugitant

 

The world of the mind is made richer by those who can contribute such imponderabilia.

As appears in Chapter XV, the translation of technical words and phrases has serious difficulties of its own, but when attempts are made to offload the burden to electronic computers a new opportunity for witticism is created. One fears that the reported efforts of the machine are more likely to be fictitious than ever to have been seen on the output tape, but some of them are in themselves good enough to be preserved, while they serve to keep us in touch with the world of commerce.

 

Diventa:

 

Est brilgum: tovi slimici

In vabo tererotitant;

Brogovi sunt macresculi,

momi rasti strugitant.[24]

 

Il mondo della mente viene reso più ricco da coloro che possono mettere a disposizione tali imponderabilia[25].

Come appare nel capitolo XV, la traduzione di termini e frasi tecniche è già difficoltosa di per sé, ma quando si cerca di scaricarne il fardello sui computer, ecco una nuova occasione di humour.

È più probabile, si teme, che i tentativi del computer siano fittizi e non reali, ma alcuni sono di per sé abbastanza buoni da essere conservati e nel contempo servono per mantenerci in contatto con il mondo del commercio.

 

 

 

The following are among the efforts that have been in circulation:

 

  1.                                     i.               For “The spirit is willing but the flesh is weak” one read “ The whisky is agreeable but the meat had gone bad”.
  2.                                    ii.               For “hydraulic ram” we had “aquatic male sheep”.
  3.                                   iii.               For “Out of sight, out of mind” the transcript was “Invisible, imbecile”.

 

These things are futilities, and to redeem the character of this chapter two first-rate examples may be given.

 

 

 

I seguenti sono alcuni dei tentativi in circolazione:

 

  1. Per “ The spirit is willing but the flesh is weak” si legge “ The whisky is agreeable but the meat had gone bad”.[26]
  2. Per “ Hydraulic ram” abbiamo “ aquatic male sheep”.[27]
  3. Per “Out of sight, out of mind” la traduzione é “ invisible, imbecile”.[28]

 

Queste sono cosucce e per risollevare il carattere di questi capitoli posso fornire due esempi di primaria qualità.

 

 

 

The first belongs to the genus of abgebraunt, and is told of Professor Richard Porson, one of the greatest classical scholars of all time. Returning to his rooms late one night, he found neither whisky nor candle in readiness, and carefully making his way across the floor he murmured, “Οὐδέ τῶδε, οὐδε τἄλλα” (Oude tode, oude talla), the Greek phrase for “Neither the one nor the other”.

Finally, there has never been a finer explanation of a foreign language than Mr George Walker’s account of an unsuccessful appearance on the cricket field. So many of us have recognized the saddening fact that an invitation from one’s son’s Headmaster to play in the annual Father’s Match foreshadows the end of one’s efforts at the wicket, that its very title evokes nostalgia that adds to its value.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il primo appartiene al genere di abgebraunt ed è stato detto dal professor Richard Porson, uno dei letterati classici più eminenti di tutti i tempi. «Una sera tardi, rientrando nella sua stanza, non trovò né whisky né una candela a portata di mano e, facendosi attentamente strada lungo la camera mormorò “Οὐδέ τῶδε, οὐδε τἄλλα”» (Oude tode, oude talla), la frase greca per «Né l’uno né l’altro».

 

Infine, non vi è mai stato utilizzo migliore di una lingua straniera di quello che troviamo nel resoconto di George Walker di una partita fallimentare di cricket.

Molti di noi sanno che il triste fatto di ricevere un invito da parte del preside della scuola del figlio alla partita annuale dei papà adombra la fine dei propri tentativi di gioco (wicket[29]), il cui titolo stesso evoca una certa nostalgia che va ad aggiungersi al suo valore.

 

 

 

 

 

 

 

 

PAPA JOUE AU CRICKET

 

Papa joue au Cricket.

C’est une grande allumette- une deux- jour allumette.

Papa est dans le pré tout le premier jour.

Il laisse tomber deux attrapes,

et manque trois balles dans le profond, qui vont à la borne  pour quatre. Beurre- doigts !

Son capitaine le met sur à bouler. Il boule deux larges, et trois pas-balles. Il est frappé pour six. Il boule des plein-jets et des long-sauts et des demi-volées. Il est ôté. Il a l’analyse : -Pardessus, 3; Pucelles, 0; Courses, 38; Guichets, 0.

L’autre côté accourt une vingtaine de haute taille. Papa s’assied dans le pavillon.

Il est dernier homme dedans.

Il regarde son capitaine, qui fait un siècle.

Après un premier-guichet debout, les guichets tombent. Le filateur en prend quatre : un attrapé à court troisième homme, un dans le ravin, un autre à niais moyen-dessus er le dernier vaincu par un qui va avec le bras.

Le marchand de vitesse fait le truc de chapeau parmi les lapins : un joliment pris à jambe-carrée, un dans les glissades, er l’autre battu er boulé tout au-dessus de la boutique.

Les joueurs courent. Le guichet-teneur casse le guichet.

Celui qui court n’est pas dans son pli. Il est couru dehors.

 

PAPÀ GIOCA A CRICKET

 

Papa joue au Cricket.

C’est une grande allumette- une deux- jour allumette.

Papa est dans le pré tout le premier jour.

Il laisse tomber deux attrapes,

Et manque trois balles dans le profond, qui vont à la borne pour quatre. Beurre- doigts !

Son capitaine le met sur à bouler. Il boule deux larges, et trois pas-balles. Il est frappé pour six. Il boule des plein-jets et des long-sauts et des demi-volées. Il est ôté. Il a l’analyse : -Pardessus, 3 ; Pucelles, 0; Courses, 38; Guichets, 0.

L’autre côté accourt une vingtaine de haute taille. Papa s’assied dans le pavillon.

Il est dernier homme dedans.

Il regarde son capitaine, qui fait un siècle.

Après un premier-guichet debout, les guichets tombent. Le filateur en prend quatre : un attrapé à court troisième homme, un dans le ravin, un autre à niais moyen-dessus er le dernier vaincu par un qui va avec le bras.

Le marchand de vitesse fait le truc de chapeau parmi les lapins : un joliment pris à jambe-carrée, un dans les glissades, er l’autre battu er boulé tout au-dessus de la boutique.

Les joueurs courent. Le guichet-teneur casse le guichet.

Celui qui court n’est pas dans son pli. Il est couru dehors.

Papa est dedans.

Il saisit sa chauve-souris.

Il marche à la poix.

Il prend milieu-et-jambe.

Papa ferme ses yeux. Il coupe en retard. Il manque.

On boule. C’est Chinois.

Papa ferme ses yeux. Il accroche. C’est un coup de vache.

La balle lui frappe le genou. Le pré hurle, «Comment ça?» L’arbitre lève son doigt.

Cloches d’enfer!

Papa est dehors, jambe- devant-guichet.

Il n’a pas cassé son canard.

Hélas!

 

 

This is a brilliant, unsurpassed and unsurpassable: to continue this chapter beyond it would be to introduce an inevitable anticlimax which it were prudent to avoid.

Papa est dedans.

Il saisit sa chauve-souris.

Il marche à la poix.

Il prend milieu-et-jambe.

Papa ferme ses yeux. Il coupe en retard. Il manque.

On boule. C’est Chinois.

Papa ferme ses yeux. Il accroche. C’est un coup de vache.

La balle lui frappe le genou. Le pré hurle, « Comment ça ? »    L’arbitre lève son doigt.

Cloches d’enfer !

Papa est dehors, jambe- devant-guichet.

Il n’a pas cassé son canard.

Hélas ![30]

 

Questo è un esempio brillante, insuperato e insuperabile: per andare oltre questo capitolo rimarrebbe da introdurre un anticlimax che per prudenza abbiamo evitato.

 

 

5. Prefazione dell’analisi traduttiva

 

I fumetti sono testi multimediali che inglobano due codici espressivi diversi, le parole e le immagini, ossia informazioni verbali e non verbali che interagiscono tra loro per formare un testo unico e coerente: le parole che compongono il testo scritto cercano di simulare la lingua parlata, riproducendone caratteristiche peculiari come esitazioni, interruzioni ed espressioni colloquiali idiomatiche.

In fase traduttiva il traduttore ha il permesso di operare solo sul codice verbale, adeguando le strategie traduttive adottate ai vincoli posti dal codice visivo.

I problemi riguardanti la traduzione del fumetto sono molto simili a quelli della trasposizione del testo cinematografico: infatti in entrambi i casi la comunicazione verbale è, per la maggior parte delle volte, affidata ai dialoghi.

I fumetti umoristici (come quelli presi in considerazione in questa sede) e satirici sono spesso profondamente radicati nell’uso linguistico e nell’attualità culturale del paese di provenienza: questo fatto rende problematica la loro traduzione del contesto della cultura ricevente.

Dal punto di vista pratico, infatti, gli ostacoli riscontrabili sul piano traduttivo riguardano principalmente la traducibilità grafica, gli aspetti linguistici e gli aspetti culturali.

5.1. I problemi grafici

Questi problemi sono chiamati grafici poiché riguardano gli elementi tipici dell’immagine: i balloon, il testo, il titolo, le onomatopee.

Il traduttore non ha possibilità di intervento sull’immagine, ossia non può adattarla a suo piacimento e secondo le sue esigenze.

Ad esempio, per quanto riguarda i balloon, ossia le nuvolette entro le quali sono contenuti i dialoghi, hanno dimensione fissa cioè non possono essere ingranditi né rimpiccioliti. Il metatesto, perciò, deve essere della stessa lunghezza del prototesto o di lunghezza inferiore, ma mai superiore, altrimenti il rischio è che non ci stia nello spazio a disposizione.

Il testo, dal canto suo, deve mantenere lo stesso font, ossia lo stesso carattere e la stessa grandezza. Questo vale non solo per i dialoghi contenuti nei balloon, ma anche per il titolo, per le didascalie, ecc…

Il titolo è, forse, la questione grafica più delicata. Infatti esso ha una funzione commerciale, oltre che di introduzione alla storia. È il titolo che attira il pubblico e lo induce a comprare il fumetto. Il compito del traduttore è quindi anche quello di renderlo più allettante possibile.

Infine, anche le onomatopee rappresentano un ostacolo per il traduttore perché, per il 99% delle volte sono immagini e quindi, per loro natura, immodificabili. Tuttavia le onomatopee sono l’eccezione che conferma la regola. Il traduttore può modificare il testo delle onomatopee, anche se ciò comporta un rischio non trascurabile, oltre che un costo per la casa editrice, soprattutto se l’onomatopea da modificare è a colori.

5.2. I problemi linguistici

Dal punto di vista linguistico, molti fumetti riproducono la lingua parlata della cultura emittente, a volte anche con espressioni gergali e dialettali, ossia informali, che comprendono espressioni idiomatiche e di uso comune. Così, la traduzione degli stessi implica una difficoltà ulteriore. Anche la lingua è in continua evoluzione, per cui espressioni gergali ed idiomatiche di un tempo possono già essere “fuori uso” ed essere sostituite da altre di nuova generazione.

Ad esempio, nel caso dello slang, compito del traduttore è quello di:

  • Riconoscere il tipo di slang
  • Riconoscere il destinatario dello slang
  • Utilizzare uno slang della sua lingua che si avvicini all’originale.

 

Le onomatopee, oltre a rappresentare un ostacolo prettamente grafico, possono inoltre rappresentare un ostacolo linguistico. Come tradurre, ad esempio, quei verbi fonosimbolici propri della lingua inglese (come crash, snap, splash….)? Ormai queste onomatopee sono state assimilate nelle varie culture riceventi, così che ad ogni onomatopea è associato un rumore particolare all’interno di uno specifico contesto riconosciuto dal lettore. Ecco perché molte di esse non vengono più tradotte.

5.3. I problemi culturali

Questo genere di problema è forse il più arduo da affrontare e superare.

Il traduttore ha il compito di riportare nella cultura ricevente il messaggio originale, in modo da limitare i possibili residui traduttivi e appianare le differenze culturali, anche se ciò non è sempre possibile, come si dimostrerà in fase analitica.

In primis, il humour e l’ironia sono due aspetti basilari dei fumetti e non è sempre facile riuscire a trasporli efficacemente nella cultura ricevente. Ad esempio, un motivo è che non tutte le lingue hanno la stessa possibilità di creare giochi di parole o di fare battute simmetricamente ad altre lingue. Oppure non è detto che, sempre sul piano del humour, una battuta divertente in una determinata lingua sia divertente anche in  altre lingue, poiché anche queste sono legate al fattore culturale.

Oltretutto ogni paese ha un proprio senso dell’ umorismo, scherza su alcuni argomenti, mentre su altri rimane indifferente. Per tutti questi motivi, il traduttore per adempiere al suo compito, deve possedere un’ampia conoscenza del panorama culturale dell’autore che sta traducendo, anche perché nel testo si possono trovare riferimenti a personaggi, oggetti o elementi propri della cultura emittente sconosciuti alla cultura ricevente.

Oltre a conoscere aspetti propriamente culturali, riguardanti la lingua, i modi di dire, le espressioni idiomatiche ecc…, il traduttore deve avere conoscenze anche riguardo a eventi attuali, come fatti di cronaca e politica (se traduce un fumetto creato in uno spazio temporale a lui contemporaneo) o del passato (se si sta occupando di fumetti appartenenti agli anni 50-60), per facilitare il lavoro di ricerca e analisi al fine di produrre una buona traduzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6. Analisi linguistica e culturale delle   vignette di Schulz e proposte di traduzione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per 60 anni i Peanuts hanno raccontato storie di vita quotidiana degli U.S.A. e nel fare ciò hanno trasmesso la cultura della società di questo paese. In questo capitolo si analizzeranno alcune strisce particolarmente interessanti culturalmente e linguisticamente, prodotte dal padre di Snoopy, di Charlie Brown e di tutti i loro amici: Charles Monroe Schulz. Verranno inoltre avanzate proposte traduttive.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In questo caso ci troviamo di fronte a un due problemi di traducibilità, posti da ragioni essenzialmente culturali e, più precisamente, parlando di politica.

Dal punto di vista contestuale questa vignetta è legata ad altre vignette precedenti, per cui parte del humour dipende proprio dall’aver già letto le vignette collegate. Tuttavia il humour della singola vignetta può anche funzionare da solo, anche se la sua intensità viene affievolita.

Linus sta “parlando” con Snoopy probabilmente in un parco (come ci suggerisce l’ambientazione, seppur stilizzata).

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella vignetta precedente (quella sopra riportata) Linus propone a Snoopy di entrare nella Corte Suprema americana, in quanto procuratore generale di fama mondiale. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un problema di traducibilità poiché in inglese “attorney” non significa propriamente «procuratore generale», per le differenti mansioni svolte dall’uno e dall’altro. Tuttavia, in italiano potrebbe tranquillamente funzionare come traducente, perché nella vignetta non vengono approfonditi i compiti dell’attorney. Anche nella vignetta immediatamente successiva Linus afferma che in tal caso Snoopy avrebbe dovuto trasferirsi a Washington (che come tutti gli inglesi sanno, è la sede della Corte Suprema americana). Ora, in fase di traduzione bisogna prendere in considerazione il fatto che:

 

  1. In inglese la vignetta è umoristica
  2. Anche in italiano la vignetta è umoristica, il humour principale risiede infatti nella battuta finale di Snoopy che si domanda: “E dov’è?”.
  3. Il lettore medio dei Peanuts in Italia dovrebbe essere a conoscenza del fatto che la Corte Suprema americana ha la sua sede a Washington e quindi non si dovrebbe chiedere “perché proprio Washington e non un’altra città?”.

 

In questo caso si hanno due possibilità:

–             decidere di mantenere Washington in fase di traduzione, con il rischio che qualcuno si domandi perché. In questo caso si deve lasciare la dicitura «Corte Suprema»[31] senza sostituirla con il corrispondente italiano «Corte di Cassazione» (che svolge più o meno lo stesse funzioni).

–             Decidere di sostituire Washington con il traducente italiano. In questo caso, però, dobbiamo necessariamente scegliere di inserire Corte di Cassazione e non Corte suprema.

 

Lo stesso percorso cognitivo è applicabile alla vignetta di cui si parlava precedentemente. In base alle scelte traduttive operate nelle prime vignette il traduttore deve continuare sulla stessa linea.

Qui i problemi rappresentati sono costituiti dalla parola bench. Si potrebbe in effetti tradurre con seggio o scranno, ma forse in questo caso sarebbe più appropriato tradurre con magistratura, perchè è di questo che si tratta. Scranno potrebbe risultare di difficile comprensione, seggio non è del tutto preciso. Quindi, in fase traduttiva, sceglierei di utilizzare il termine magistratura, anche se ciò comporterebbe una lieve modifica del testo.

Nello stesso balloon di Linus approdiamo al secondo ostacolo traduttivo, di origine culturale. Si fa infatti riferimento a Sandra Day O’ Connor che, secondo l’enciclopedia Wikipedia, è una giurista americana nonché prima donna membro della Corte suprema degli Stati Uniti d’America.[32]

Ovviamente, il personaggio in questione è parte integrante della cultura americana degli anni 80-90 e pertanto conosciuta. In Italia, sempre tenendo presente il lettore medio dei Peanuts, il nome di questa giurista è sconosciuto a molti, pertanto bisognerà scartare immediatamente la possibilità di mantenerlo in fase traduttiva. Questa scelta non è fondamentale ai fini del humour perché, anche in questo caso, la battuta finale è riservata a Snoopy che, come in precedenza, con l’ingenuità e l’ignoranza canina che gli appartengono, chiede: “È carina?” lasciando comunque intendere che si tratti di un personaggio famoso di cui Snoopy ignori totalmente l’esistenza.

Quindi, anche qui, il lettore italiano pur capendo la battuta rimarrà perplesso dal nome cui si fa riferimento in quanto non appartenente alla sua cultura.

 

Si tratta quindi:

  1. di trovare un personaggio italiano il più possibile associabile a Sandra Day O’Connor. È necessario che:

–             sia un giurista

–             sia conosciuto

–             sia ancora in vita

–             sia un donna

  1. mantenere Sandra Day O’ Connor, con la consapevolezza che il lettore medio italiano dei Peanuts con grande probabilità non sarà a conoscenza del personaggio. Tuttavia ai fini del humour non si presentano particolari problemi, poiché questo è concentrato nella battuta di Snoopy, battuta assolutamente “neutra”, ossia priva di riferimenti socio-culturali, e quindi alla portata di tutti.

Quest’ultima caratteristica è strettamente correlata alla battuta finale di Snoopy, che chiede se la giurista in questione è carina.

Tuttavia non è necessario che faccia parte della Corte di Cassazione, né che abbia particolari qualità riconosciute a Sandra Day O’Connor.

Ricercando in internet e sui libri si può apprendere che non vi sono particolari personaggi di spicco facenti parte della magistratura e tuttora ancora importanti. Certo, vi sono numerose personalità della cerchia giurista che hanno avuto i loro riconoscimenti e sono stati determinanti sotto certi aspetti ma, evidentemente, non hanno la stessa valenza della Day O’Connor.

O, se ce l’hanno, probabilmente solo in quel particolare ambito, ossia conosciuti solo a chi è effettivamente esperto nel campo del diritto e della giurisprudenza.

Ovviamente le personalità maschili sono da scartare a priori, altrimenti il humour espresso nella battuta finale di Snoopy non passerebbe nella traduzione italiana. Quindi Giancarlo Caselli, giurista che ha ricoperto varie cariche quali procuratore della Repubblica a Palermo, direttore generale del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria procuratore capo della Repubblica  di Torino e quindi personalità di un certo peso e sicuramente nota a una vasta fascia di pubblico, non può essere preso in considerazione. Stesso ragionamento va fatto con l’attuale Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale fa parte anch’egli del Consiglio superiore della magistratura ma, purtroppo, non rispondente ai criteri di selezione. Oltretutto, la scelta non combacerebbe neanche perfettamente con i campi richiesti.

Infatti Giorgio Napolitano non è conosciuto come magistrato, ma come Presidente della Repubblica, quindi potrebbe portare il lettore a chiedersi come mai la scelta sia ricaduta su di lui.

In questo caso la scelta dipende da cosa il traduttore trovi più adatto al contesto e al particolare tipo di situazione.

Dunque, la sfida sta nel trovare un personaggio femminile che abbia tutte le caratteristiche sopracitate, cosa non facile dato che in Italia sono ben poche le giuriste di fama nazionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In questa striscia ci troviamo di fronte a un altro problema culturale simile a quello precedente. Questa volta, però, il contesto considerato è quello sportivo.

Come sappiamo, i Peanuts sono dei grandi sportivi, infatti durante il loro tempo libero giocano spesso a baseball. Utilizzano anche un linguaggio tecnico credendo di essere veri professionisti e sognano grandi personaggi del baseball statunitense, tant’è che sembrano essere veri giocatori ma, sul campo da gioco, smentiscono la loro presunta bravura.

In questo caso il baseball, però, viene “sostituito” dal tennis, che, dal punto di vista della cultura americana, è considerato uno degli sport più amati e seguiti negli States.

A Snoopy è affidata l’ultima battuta: “I’ve always wanted to call Billie Jean King!”. Come tutti gli statunitensi sanno, Billie Jean King è un’ ex tennista di grande fama che, durante la sua carriera, ha vinto 12 titoli singolari, 16 titoli di doppio e 11 titoli di doppio misto del Grande Slam. È generalmente considerata una delle più grandi giocatrici di tennis e atlete della storia. La King è stata inoltre una delle più grandi sostenitrici della lotta contro il sessismo nello sport e nella società. La partita di tennis per la quale il pubblico la ricorda di più è la Battaglia dei Sessi del 1973, nella quale sconfisse Bobby Riggs, vincitore del singolare a Wimbledon, che è stato il numero 1 al mondo negli anni 1941, 1946 e 1947.

Charles Schulz fu uno dei suoi più grandi ammiratori e amici, tant’è che la nominò diverse volte nelle sue strisce. In una strip, Peppermint Patty dice a Marcie: “Nessuno ti ha mai detto che quando ti arrabbi sembri proprio Billie Jean King?”.

Dal punto di vista della traducibilità anche qui si pone lo stesso problema affrontato sopra anche se, probabilmente, la scelta del traduttore sarà più semplice. Infatti, molto più che della politica, la gente se ne intende di sport così che sarà molto più probabile che i lettori italiani conoscano il personaggio di Billie Jean King, piuttosto che la giurista O’Connor. Oltretutto la tennista, secondo la biografia offerta da Wikipedia, ha conosciuto i suoi “anni d’oro” negli anni 70-80, ritirandosi definitivamente dalla scena negli anni 90. Quindi possiamo supporre che una fetta di pubblico piuttosto vasta possa conoscere questa star, appurato che una cospicua parte dei lettori dei Peanuts non siano più adolescenti.

Tuttavia, il rischio che non tutti sappiano chi è il personaggio in questione (i lettori giovani, in particolare) è comunque alto. In questo caso il traduttore dovrebbe operare come già indicato, ossia trovare nel panorama italiano un tennista ugualmente famoso come lo è la King negli Usa e per cui la battuta finale di Snoopy possa funzionare. C’è da fare un’altra considerazione: molti tennisti e tenniste di fama mondiale sono soprattutto stranieri e quindi si potrebbe attingere anche a panorami stranieri e, a questo proposito, citare personaggi come Maria Sharapova o Serena Williams. O ancora lo svizzero Roger Federer o lo spagnolo Rafael Nadal che sono conosciutissimi a livello mondiale.

Come anche nella striscia analizzata precedentemente, si deve inoltre considerare il “tempo della traduzione”. Infatti, Schulz nella stesura dei Peanuts ha attinto al panorama culturale del suo tempo che va dagli anni 60, fino alla fine degli anni 90, data che coincide con la sua morte. Dunque personaggi famosi, riferimenti storici e culturali sono da ricercare in quel preciso lasso temporale. Per un traduttore che lavori su fumetti da poco pubblicati non sussistono grossi problemi, poiché rientra nello stesso arco temporale. Ma un traduttore che, a distanza di anni, se non di decenni, si trova a tradurre vignette lontane da lui sia sul piano spaziale che temporale allora le cose si complicano. Scegliere personaggi del proprio tempo? O andare a ritroso nel tempo e ripescare fatti\ eventi e personalità degli anni che furono?

Sorge a questo punto un altro problema, legato in questo preciso caso alla vignetta in questione ma valido universalmente: è necessario fare una scelta basandoci su quella già compiuta precedentemente dal traduttore della striscia in cui Patty nomina lo stesso personaggio o possiamo staccarci da questa traduzione e compiere una scelta nostra?

Probabilmente nessun lettore italiano avrà il testo inglese a fronte, per cui nessuno andrà ad analizzare l’originale e a fare un confronto con la traduzione italiana. Se le strisce sono contenute nella stessa raccolta o sono addirittura legate tra loro da un continuum di poche pagine, sarebbe opportuno mantenere la stessa scelta traduttiva; altrimenti, se quel preciso traduttore non è a conoscenza del fatto che esista una striscia in cui venga nominato lo stesso personaggio o quella particolare striscia non si trova all’interno della stessa raccolta, la scelta del “secondo” traduttore è assolutamente libera e autonoma.

 

 

 

 

 

 

 

 

In questa striscia ci imbattiamo in un altro tipo di problema cui il traduttore deve far fronte.

La scena è chiaramente ambientata in classe, anche se non ci sono molti elementi grafici che lo facciano supporre. Il fatto che Piperita Patty si trovi seduta davanti a Marcie e le mostri un foglio ci toglie ogni dubbio.

Le battute che si scambiano le due ragazzine sono chiarissime in inglese. Inizialmente Piperita mostra il proprio pagellino a Marcie dicendole: “E questo, Marcie? Sembra che la maestra mi abbia dato una A in ogni materia. Nella seconda vignetta non sono presenti dialoghi, ma sono particolarmente evocativi i volti delle bambine: quello di Piperita Patty soddisfatto e sorridente e quello di Marcie contemplativo e assorto. La battuta finale, in cui è contenuto tutto il humour della striscia è affidata a Marcie che inizialmente sembra dar ragione a Piperita dicendo: “Hai ragione….e poi aggiungendo: “le sue D meno assomigliano a delle A”, smontando in questo modo le aspettative di Piperita e facendo sorridere il lettore.

Effettivamente, se ci fossimo trovati a tradurre questa striscia 50 anni fa probabilmente non ci saremmo posti il problema di mantenere quell’A invariata.

Tuttavia, l’ordinamento scolastico italiano è cambiato nel tempo e sono state apportate modifiche in vari campi, tra cui anche quello del sistema delle votazioni. Fino a una ventina di anni fa il sistema scolastico primario di secondo grado prevedeva ancora l’assegnazione dei voti dalla A alla D (considerate sufficienti) la E e la F, insufficienze.

I due sistemi, americano e italiano, coincidevano alla perfezione.

Oggigiorno, però, nelle scuole elementari italiane il sistema dei voti prevede l’assegnazione di cinque votazioni: OTTIMO, DISTINTO, BUONO, SUFFICIENTE, NON SUFFICIENTE.

Cosicché, in fase traduttiva, non potremmo usufruire della votazione letterale poiché questa, anche se potrebbe essere capita da un ragazzo sulla ventina o, ancor più probabilmente, da un adulto, un bambino che frequenti le scuole primarie di secondo grado o le scuole secondarie di primo grado non sarebbe in grado di capirla. Salvo casi eccezionali, ovviamente.

Pertanto dovremmo trovare una soluzione accettabile.

La battuta originale si basa su una deformazione della D- (votazione del sistema americano) che assomiglia ad una A, così che Piperita è convinta di avere tutte A in pagella.

Una buona traduzione tiene conto di questo aspetto, ossia riuscire a trovare un traducente italiano considerando ciò che è stato detto sopra.

Siccome un OTTIMO non può diventare un SUFFICIENTE né tantomeno un NON SUFFICIENTE, nemmeno storpiando al massimo la parola, l’unica soluzione è quella di adottare il sistema numerico di valutazione, ossia dall’1 al 10. Questo sistema di voti è in vigore in tutte le scuole secondarie di primo e secondo grado e in alcune scuole elementari.

Il campo considerato quindi si allarga, cosicché un numero maggiore di lettori potrà comprendere la battuta.

Infatti se, ad esempio, optiamo per soluzione il numero 7 (come votazione positiva in sostituzione alla A) e il numero 1 (come votazione negativa in sostituzione alla D-), pur non corrispondendo in qualità possono essere confusi se scritti male e di fretta (un 1 scritto male può, con un po’ di fantasia, assomigliare a un 7).

Come possiamo notare dobbiamo, anche in questo caso, fare una scelta che comporterà necessariamente delle rinunce e non corrisponderà mai al 100% al prototesto.

Il traduttore deve compiere uno sforzo ulteriore per riuscire a mantenere il humour della battuta (cosa piuttosto facile per questa striscia), e contemporaneamente adattare quest’ultima alla cultura ricevente.

Una scelta più azzardata, contemplata tra le varie possibilità di un traduttore, è quella di lasciare la votazione letterale (A,B,C..). Il lettore dovrà compiere uno sforzo in più per capire la battuta (soprattutto se non sa l’inglese) e, considerando ciò che è stato detto sopra, un bambino probabilmente non riuscirà a capirla da solo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Parallelamente all’esempio precedente è stato ritenuto opportuno analizzare anche questa vignetta .

Anche qui il primo problema è rappresentato dalle lettere dell’alfabeto che negli Stati Uniti rappresentano il sistema delle votazioni e che quindi dovremmo sostituire con numeri o una votazione dall’ottimo al non sufficiente. Tuttavia, in una più accurata analisi, scopriremo che l’ostacolo maggiore lo troviamo nella fase di traduzione del humour. Infatti se in fase traduttiva scegliessimo di sostituire le lettere della votazione americana con le nostre votazioni (ottimo, distinto, eccetera.) la vignetta non solo perderebbe il humour, ma anche il senso. Se osserviamo la prima didascalia in cui Piperita Patty cita quattro lettere, a primo acchito queste sembrerebbero i voti che Piperita ha ottenuto sul pagellino. Tuttavia, le votazioni a cui si riferisce Piperita non sono altro che le lettere che compongono la parola CARD, che, affiancata alla parola REPORT, in inglese significa pagella scolastica. Infatti, come poi affermerà Piperita con un poco di amarezza nell’ultima vignetta, la R non è contemplata tra le votazioni americane, per cui era altamente improbabile che quelle quattro lettere corrispondessero alle votazioni.

Trovandoci di fronte a questo tipo di ostacolo traduttivo come possiamo procedere?

La scelta di mantenere le lettere potrebbe rivelarsi rischiosa non solo dal punto di vista culturale (pochi conoscono le lettere dell’alfabeto come metodo di valutazione) ma soprattutto dal punto di vista della comprensione stessa. Dovremmo infatti mantenere inalterata la parola CARD, ma poi la battuta non funzionerebbe e, anzi, avremmo una striscia “a metà”.

Tornando alle considerazioni precedenti, se pensiamo al sistema di votazioni italiano questo, come già detto, prevede il sistema numerico e quello delle votazioni dall’ottimo all’insufficiente. Scartando la seconda opzione ci rimane il sistema numerico. A questo punto la scelta è ancora una volta duplice:

  1. cambiare completamente il contenuto dei balloon, pur mantenendo lo stesso tipo di humour della  striscia considerata.
  2. lasciare invariate le lettere e le parole tra le virgolette.

 

Il humour di questa vignetta consiste nel confondere le lettere della parola CARD con dei voti ottenuti in pagella per poi rendersene conto solo alla fine; possiamo chiamarlo “il humour della R”. Immaginiamo di intraprendere ancora una volta la strada più difficile: quella di stravolgere il contenuto dei ballon, per offrire un “servizio” al lettore.

Con i numeri possiamo inventare una situazione molto simile. Ad esempio, se Piperita dicesse: “Ho preso un 8, un 6 uno 0 e un 7, non male, eh, Marcie?” e Marcie “Quella è 8-6-07, cioè la data” “Mi chiedevo come avessi potuto prendere uno 0”.

In questo caso la battuta funzionerebbe e non ci sarebbero nonsense. Oltretutto si usa anche un sistema di votazioni conosciuto da tutti in Italia, per cui anche dal punto di vista culturale la traduzione potrebbe essere ottimale. Tuttavia, se si opta per questa soluzione, bisogna tenere in conto che questo significherebbe cambiare quasi completamente il prototesto e non sempre è possibile farlo.

Anche qui, è il sistema numerico a “salvarci” in fase traduttiva.

 

 

 

 

 

 

Le scelte del traduttore invece si complicano nel momento in cui ha a che fare con la vignetta sopra riportata.

A differenza di tutte le altre vignette sopra analizzate, questo è un classico esempio di vignetta “intraducibile”. Se osserviamo il dialogo tra Sally e Charlie, capiamo immediatamente che si tratta di un ostacolo legato a un gioco di parole basato sul termine inglese brown. Schulz fa uso di questa parola per rendere umoristica la vignetta. Brown, come tutti sanno (o perlomeno i lettori di Peanuts), è il cognome della famiglia di Charlie e Sally.

Ma non solo: è anche il colore marrone. Ed è proprio su questa ambivalenza che si fonda il humour della vignetta.

Il traduttore sarà molto combattuto trovandosi di fronte a un problema simile. Come tradurre infatti la terza immagine in cui Sally trova sulla Bibbia brown pensando si riferisca al suo cognome e senza minimamente considerare la parola a cui è realmente legata, ossia cattle?

Quello che fa sorridere di questa vignetta non è l’ambivalenza in sé della parola, piuttosto l’ingenuità infantile di Sally che, nel finale, esplode con uno “UAU!”.

  1. Il traduttore non può operare drasticamente ricorrendo a un cambiamento del cognome della famiglia Brown, perché tutti i lettori medi dei Peanuts (ma anche chiunque conosca un minimo i Peanuts) sanno che Charlie Brown È Charlie Brown.
  2. Il traduttore non può tradurre parola per parola perché non solo si perderebbe il humour (il male minore), ma la vignetta non avrebbe nemmeno molto senso. Infatti traducendo brown cattle con «mucche», oppure con «bestiame» il traduttore riuscirebbe a sopperire al problema presentato dalla terza immagine, ma non quello della prima. Infatti non avrebbe senso la domanda di Sally al fratello: “Se il nostro nome è nella rubrica telefonica, perché non si trova anche nel Vecchio Testamento?”.
  3. Il traduttore avrebbe come unica scelta quella di non tradurre il balloon della terza immagine, di lasciarlo cioè in inglese. La posta in gioco è piuttosto alta perché, ovviamente, un lettore italiano si aspetta che il traduttore offra un servizio a 360°. Tra l’altro, il prototesto non è nemmeno così semplice per un lettore che abbia conoscenze di base della lingua inglese. Parole come cattle, among e sheep possono anche non essere contemplate nel panorama linguistico del lettore. Ma, ai fini della comprensione della vignetta, è un rischio che, secondo il mio punto di vista, vale la pena correre. Infatti, anche se il lettore non capirà interamente il testo in lingua inglese, il suo occhio si soffermerà inevitabilmente su quel brown, che la sua mente aveva già individuato e riconosciuto come cognome della famiglia di Charlie e Sally, nel momento in cui legge il balloon della prima immagine.

Tra l’altro, un’ulteriore giustificazione che si può additare al traduttore che scegliesse di mantenere la frase in inglese, è quella di aver riportato un passo biblico in lingua inglese proprio com’era nel prototesto. In questo caso si dimostra che ogni soluzione può essere accettabile, anche quella di mantenere i termini in inglese. Questa scelta non deve essere condannata dal lettore, poiché non vi sono molte altre possibilità per far passare il messaggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In fase analitica abbiamo notato come i problemi di traducibilità possano essere classificati in vari categorie: problemi culturali, linguistici ecc…. Questo ultimo esempio, classificabile nella categoria  dei PROBLEMI LINGUISTICI, è strettamente legato a un gioco di parole e, più precisamente, a un’assonanza della parola rain con la parola pain.

È importante sottolineare il fatto che, dal punto di vista contestuale, questa vignetta deve inevitabilmente comparire insieme a quella precedente, a cui è imprescindibilmente legata. Infatti per il lettore è di primaria importanza focalizzare la situazione spaziotemporale per meglio comprendere anche il humour delle vignette stesse.

Dal punto di vista del modus operandi in fase di traduzione, in questa particolare situazione la scelta inevitabile del traduttore è quella di procedere con una traduzione “parola per parola”, con la consapevolezza di dover rinunciare a qualcosa: siamo in presenza di un evidente residuo traduttivo. Infatti, davanti alla scelta di mantenere il humour a discapito del gioco di assonanza tra le parole rain e pain, (rispettivamente «pioggia» e «dolore\ male») che comunque in italiano sarebbe difficile mantenere, o viceversa, è chiaro che la scelta ricade sulla prima possibilità.

L’assonanza non è assolutamente necessaria perché la battuta passi, ma serve a rinforzare il humour stesso. Infatti, se traducessimo l’intervento finale di Charlie Brown con “Ha detto pioggia o male?” la battuta farebbe comunque sorridere.

Se il traduttore volesse proprio mantenere sia humour che assonanza linguistica tra due parole, in italiano si potrebbe optare per una soluzione del genere: “Ha detto acquazzONE o scivolONE?”.

Certo, prendendo in considerazione questa possibilità, si deve riconoscere che la traduzione comunque non sarebbe perfetta, tuttavia si avvicinerebbe di più all’originale.

Da scartare, però, sarebbe l’opzione di mantenere rain e pain nel metatesto, con il rischio che:

–             il lettore non capisca il significato di entrambi i termini.

–             Il humour non venga trasmesso.

–             Il lettore non faccia caso alla particolarità dell’assonanza tra i termini, concentrato a capire il significato del balloon di Charlie Brown.

 

Per tutti questi motivi questa possibilità non può essere presa in considerazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

7. Conclusioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Durante l’analisi delle vignette sopra riportate ho potuto constatare che:

  • non è detto che le vignette apparentemente semplici e lineari non possano, invece, celare seri problemi di traducibilità: si possono infatti trovare molti “scogli” da superare ed esse possono rivelarsi cariche di informazioni proprie della cultura emittente che, talvolta, possono essere trasposte nel metatesto, altre volte ciò non è possibile. Compito del traduttore è, attraverso opportune valutazioni e particolari ricerche, approdare non alla scelta “giusta”, ma alla scelta “migliore” per lui, che possa soddisfare le esigenze del potenziale lettore di fumetti.
  • Non è sempre possibile adattare interamente la traduzione alla cultura ricevente. È bene anche mantenere aspetti culturali originali senza intervenire troppo sul metatesto. Oltretutto è giusto che il lettore impari anche a conoscere culture diverse e contesti dissimili ai suoi, come già affermato nella sezione introduttiva di questo capitolo. Uno dei segreti dei fumetti è questo: unire “l’utile al dilettevole”, ossia imparare e istruirsi in merito ad aspetti culturali non propri e assimilarli, magari confrontandoli con la propria cultura, senza togliere il piacere e il gusto di leggere un fumetto.
  • Non tutte le vignette sono traducibili e il traduttore non può “fare miracoli”. Particolari vignette sono così intrise della cultura emittente che tradurle significherebbe privarle della loro unicità e spogliarle della loro bellezza. Ecco perché alcune vignette sono, per così dire, intoccabili. Questo non è, come potrebbe sembrare, un ostacolo per il lettore, ma una nuova opportunità di toccare con mano la cultura originaria e apprendere nuove informazioni e nuovi aspetti prima sconosciuti.
  • I traduttori cercano sempre di risolvere le differenze culturali in modi diversi ma sempre orientati a suscitare un effetto equivalente sul lettore. L’umorismo non è sempre facile da tradurre poiché, spesso, è basato su giochi di parole, difficili (se non impossibili) da tradurre in una lingua e cultura differenti. Per quanto il traduttore possa trovare soluzioni brillanti ed efficaci e soprattutto vicine all’originale, perdite di significato sono comunque inevitabili. Per tutti questi motivi il traduttore ha il compito di intervenire sul piano linguistico, senza però cambiare il senso complessivo della storia, secondo il principio dell’equivalent effect di Nida.
  • Il fumetto è parte integrante del patrimonio culturale di un paese, poiché ne riflette usi, costumi e tradizioni. Perciò la traduzione del fumetto non consiste in una mera traduzione “parola per parola” del contenuto dei balloon: una buona traduzione deve tenere conto della cultura ricevente e rendere la cultura della cultura emittente comprensibile ai lettori della cultura ricevente. Per questo motivo il traduttore svolge anche il ruolo di mediatore culturale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

8. Riferimenti bibliografici

 

Lewis, P. (1989). Comic effects- Interdisciplinary approaches to Humor in Literature, New York:  State University of New York Press, disponibile in internet al sito: http://books.google.it/books?id=POeFvj76N80C&printsec=frontcover&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false, consultato nel mese di Settembre 2010.

 

Osimo, B. (2001). Propedeutica della traduzione: corso introduttivo con tavole sinottiche, Milano: Hoepli.

 

Jakobsòn, R. (1987). On linguistic Aspects of Translation, in Language in Literature, a.c. di Krystyna Pomorska e Stephen Rudy, Cambridge (Massachussetts): Harvard University Press, disponibile in                 internet al sito:

http://courses.logos.it/pls/dictionary/linguistic_resources.cap_1_13?lang=it, consultato nel mese di Settembre 2010.

 

Ruch, W. (1998). Tools used for diagnosing humor states and traits. In: W. Ruch (Ed.), The sense of humor: Explorations of a personality characteristic,  Berlin: Mouton de Gruyter, disponibile in internet al sito:

http://books.google.it/books?hl=it&lr=&id=v7e68zFtmRsC&oi=fnd&pg=PR7&dq=sense+of+humor:+Explorations+of+a+personality+characteristic,++Berlin:+Mouton+de+Gruyter&ots consultato nel mese di Settembre 2010.

Attardo, S. (1994). Linguistic theories of humor- Humor research, Berlin, Mouton de Gruyter, disponibile in internet al sito:

http://books.google.it/books?hl=it&lr=&id=FEWC4_3MrO0C&oi=fnd&pg=PR17&ots=MIAm-e0PGM&sig=mduahgdjydldH9nXy5dj2j0VQks#v=onepage&q&f , consultato nel mese di Settembre 2010.

Eco, U. (1964). Apocalittici e integrati, Milano: Bompiani.

Kant, I. (2006). Kritik der Urteilskraft, Beilage: erste Einleitung in die «Kritik der Urteilskraft» Hamburg: Felix Meiner Verlag, disponibile in internet al sito:

http://books.google.it/books?id=a921jIE0fW4C&printsec=frontcover&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false consultato nel mese di Settembre 2010.

Schopenhauer, A. (2009). Die Welt als Wille und Vorstellung, Band 1- zweitens Buch, Norderstedt: GRIN Verlag, disponibile in internet al sito:

http://books.google.it/books?id=cHc3J3nAzb4C&printsec=frontcover&dq=die+welt+als+wille+und+Vorstellung&hl=it&ei=v-2gTJ6TC5W44Aar1ZSEDQ&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=2&ved=0CC0Q6AEwAQ#v=onepage&q&f=false  consultato nel mese di Settembre 2010.

Chiaro, D. (2005). Verbally expressed humour and translation: An overview of a neglected field. Special issue Humour and Translation, in «Humour, International Journal of Humour Research»  Berlin: De Gruyter, disponibile in internet al sito:

http://www.reference-global.com/toc/humr/18/2  consultato nel mese di Settembre 2010.

Antonini, R. (2005). Formal and linguistic- textual norms in subtitling in «Humour, International Journal of Humour Research» Berlin: De Gruyter, disponibile in internet al sito:

http://www.reference-global.com/toc/humr/18/2  consultato nel mese di Settembre 2010.

Critchley, S. (2002). On humour, Thinking in action. London: Routledge disponibile su internet al sito:

http://books.google.it/books?hl=it&lr=&id=9GNXp45DnGUC&oi=fnd&pg=PT13&dq=on+humour+critchley&ots=wvwqdtXq5d&sig=2Fize-OYLf7DbBoivhgsNE_KLps#v=onepage&q&f  consultato nel mese di Settembre 2010.

Savory, T. (1957) The art of translation. London: Cape

Zanichelli/Klett (2002) Il dizionario di TEDESCO a cura di Luisa Giacoma e Susanne Kolb.

Agnes, Guralnik (2008) Webster’s New World College Dictionary Fourth Edition.

Gabrielli, A. (2008) Grande dizionario Hoepli ITALIANO, Hoepli, disponibile in internet al sito: http://dizionari.hoepli.it/Dizionario_Italiano.aspx?idD=1 consultato nel mese di Settembre 2010.

Schulz, C.M. (1999) Dogs are worth it, HarperResource.

Schulz, C.M. (1999) Now, that’s profound Charlie Brown, HarperResource.



[1] «In tutto ciò che una risata fragorosa e sconvolgente deve suscitare deve esserci qualcosa di insensato. La risata è un’emozione che nasce da una trasformazione improvvisa di una forte aspettativa in niente»

[2] «Secondo la mia spiegazione, la fonte del comico è senz’altro la sottoclassificazione paradossale e quindi inaspettata di un oggetto nei confronti di concetto peraltro a lui diverso e indica in tal senso il fenomeno della risata senza dubbio come la percezione improvvisa di un’incongruenza tra un simil concetto e l’oggetto reale a cui si riferisce, ossia tra “l’astratto” e “il concreto”».

[3] La traduzione di caerulae puppes è «costellazione celeste». In questo caso si tratta di una traduzione superficiale da parte del traduttore inglese che ha combinato i termini operando un’associazione erronea del significato degli stessi. Il risultato è Skye terriers, che in inglese indica una razza canina. Caerulae («celeste») ha fatto pensare al cielo (sky) e puppes a «cuccioli, animali» (puppies).

[4] In questo caso il traduttore inglese ha prodotto una traduzione giusta per metà, ottenendo un risultato piuttosto buffo: la traduzione di cave canem è: «attento al cane!». Possiamo notare che l’ostacolo di questa traduzione rappresenta quello di ricercare la desinenza della parola latina per un risultato corretto. La desinenza em è stata completamente ignorata, staccandola dalla radice della parola can. Can, in inglese, significa «potere» mentre em non ha alcun significato. Oltre alla licenza di poter dividere la radice latina dalla sua desinenza (can-em), il traduttore ha confuso can («cane» in latino), radice della parola canem («al cane») con cano («canoro, cantare»)  traducendolo con sing («cantare»)  producendo in questo modo un risultato lontano dal vero significato, anche se divertente.

[5] Probabilmente in questo caso il traduttore non avrà ricercato il significato di Cornigeri boves, andando per assonanza dei termini. È vero che Cornigeri rappresenta un aggettivo di boves («buoi»), la cui traduzione inglese non è corned («inscatolato»), ma «con le corna». La giusta traduzione sarebbe «buoi con le corna», in inglese corned beef significa, invece, «carne in scatola».

[6] La traduzione di pax in bello è «pace in guerra». Freedom from indigestion (la cui traduzione è: «libertà dall’indigestione») fonde in sé due errori: il primo è freedom (che non è il traducente per pax, «pace»); il motivo di questa scelta non si spiega. Indigestion, invece deriva dall’assonanza dei termini bello e belly, che in inglese significa «pancia, addome». Rielaborando fantasiosamente i due termini il traduttore è approdato a una traduzione il cui campo semantico non ha niente a che vedere con quello del prototesto.

[7] Come negli esempi precedenti anche in questo caso il risultato è ben lontano dalla realtà. La soluzione piuttosto grottesca proposta si avvicina al campo semantico della frase latina, ma si distacca nel significato. Anche qui si può notare l’assonanza tra le parole bonum («buono- bene») e bones («ossa»). Probabilmente è questo che ha portato a una traduzione errata.  Nil nis («non si può dire niente se non» ) è stato tradotto con there is nothing but, eludendo il verbo «dire». La traduzione latina sarebbe: «Dei morti non si può dire niente se non bene». In inglese la frase è stata tradotta così: «del morto non rimane niente se non le ossa».

[8] In questo caso, si tratta di una traduzione tipicamente grossolana, evidentemente prodotta senza l’uso del vocabolario, come si può notare anche nel punto 3 degli esempi dalla lingua latina verso quella inglese. L’assonanza delle parole come Espagnol- spaniel, forte- forty, taille- tails, ha prodotto come risultato una traduzione “ricalcata”. Così che, invece di tradurre: «uno spagnolo con taglia grande» eccetera., l’autore ha ottenuto un risultato piuttosto bizzarro e inverosimile: «un cane (spaniel è una razza canina) con quaranta code».

[9] In francese il verbo frapper, come verbo intransitivo, ha svariati significati: «colpire, battere, bussare, picchiare». La difficoltà che il traduttore avrebbe potuto incontrare in fase di traduzione sarebbe stata quella di scegliere il traducente migliore per frapper. Ma il traduttore, in questo caso, si è anche preso la licenza di eliminare la punteggiatura (i due punti) ed unire due frasi in un’unica: I knock the sentinel over. L’errore è dato anche dall’assonanza deviante ouvre-over. Over, come preposizione, è stata unita al verbo knock («abbattere») dando così origine a un nuovo verbo di tipo frasale e fancendo diventare il soggetto del secondo periodo il complemento oggetto della frase tradotta. La traduzione corretta sarebbe stata: «Busso: la sentinella apre». Mentre quella simpatica è: «Stendo\ atterro la sentinella».

[10] In questo esempio la disattenzione del traduttore è evidente nell’ultima parola tradotta: merci. Come primo significato il vocabolario online francese porta «grazie». Successivamente vengono indicati gli altri significati del termine che sono stati evidentemente ignorati dal traduttore. Questi sono: «mercé, misericordia, pietà». Uno di questi sarebbe bastato a far acquisire senso alla frase. In inglese abbiamo: «la ragazza (anche qui possiamo notare un’ imprecisione poiché in francese la belle dame significa «la bella signora», mentre in inglese è stato tradotto con «ragazza, fidanzata») che non dice grazie». Il sans è stato interpretato dall’autore come un «che non dice mai».

[11] La prima parte della traduzione risulta corretta: Il jeta= he threw, ossia «gettò, diede». La seconda ed ultima parte risulta erronea a causa di una mal interpretazione delle parole, che in francese e in inglese presentano assonanze, ma il cui significato è esattamente l’opposto. L’ultimo termine, poi, è stato tradotto dal latino. Avis infatti significa « uccello». Essendo il francese una lingua di provenienza neolatina ed essendo quindi molte parole (come anche in italiano) simili al latino, il traduttore ha prodotto una mescolanza atipica tra due lingue diverse. Il risultato prodotto è il seguente: «gettò una tazza (cup, in questo caso confusa con coup) di olio (oil, confuso con oeil) all’uccello (avis, dal latino)». La giusta traduzione sarebbe, invece: «diede un’occhiata all’avviso».

[12] Come abbiamo notato a più riprese, molto spesso gli strafalcioni in inglese vengono inseriti all’interno di una sfera animale. Anche in quest’ultimo caso la traduzione cita un animale, cioè un’emu. L’emu è, secondo l’enciclopedia, il più grande uccello nativo in Australia e appartiene alla famiglia dei ratiti e non ha nulla a che vedere con il significato del periodo francese: le peuple ému répondit, la cui traduzione corretta sarebbe: «il popolo commosso risponde». In inglese, la corbelleria prodotta è così tradotta in italiano: «la emu (ému-emu) viola (purple-peuple) depose un altro uovo». É interessante notare la scelta del traduttore nella traduzione di répondit: è stato reso con another (come se fosse una ripetizione) mentre pondit, che in francese non significa nulla, è stato tradotto con «depose» (anche la scelta del tempo verbale è sbagliata). In sé la frase non è un nonsense, perché effettivamente la emu, appartenente alla stessa famiglia degli struzzi, può deporre uova, ma il metatesto non ha nulla a che vedere col prototesto.

[13] Band of Hope è il nome di un’organizzazione per bambini di estrazione sociale povera (operaia) fondata nel 1847 a Leeds in cui i membri si impegnavano ad astenersi dall’alcool, partecipavano ad attività organizzate e seguivano corsi di musica, la quale svolgeva un ruolo primario nell’organizzazione (cori). Quindi, in questo caso, essendo il nome proprio di un’organizzazione Band of Hope non va tradotto (la lettera maiuscola di Hope fornisce questo accorgimento). La traduzione francese è una traduzione prettamente letterale: «Orchestra della Speranza».

[14] L’unico errore della frase, che però fa cambiare completamente significato rendendola un nonsense, è quel mouton, che in francese significa pecora, montone. Whether è stato evidentemente storpiato, senza però capire da dove.

[15] In questo caso le parole non hanno subìto modifiche e non sono state neppure “ricalcate”. L’autore dello strafalcione ha semplicemente mal interpretato, probabilmente senza soffermarsi sui possibili altri traducenti di match-makers. Infatti la traduzione corretta sarebbe stata «organizzatore d’incontri» e non «costruttore di fiammiferi» (fabricant d’allumettes). Maker vuol dire effettivamente costruttore e match vuol dire effettivamente fiammifero. L’associazione di questi due termini, comunque scorretta anche dal punto di vista grammaticale, non era quella intesa in inglese.

[16] Effettivamente to stick significa « incollare, appendere, far aderire». Infatti la traduzione della prima parte di quest’ultimo esempio di questa serie è corretta. Il nonsense che ci fa sorridere è rappresentato da quel bec, traduzione per bill. Quest’ultima parola ha come primi traducenti: «fattura, conto, manifesto, progetto di legge». Come seconda traduzione il dizionario inserisce «becco». Ed è proprio qui che ha origine lo strafalcione del traduttore. Potendo scegliere tra opzioni come «manifesto, cartelloni, eccetera» l’autore si è concentrato sul secondo significato di bill, facendo perdere il senso della frase.

[17] Ausgebraunt non ha significato in tedesco, abgebraunt, invece, significa «perdere il colore marrone» ed è l’espressione equivalente del verbo inglese to brown off. Spesso, in tedesco, sono proprio quelle  particelle divisibili dei verbi, apparentemente insignificanti, a determinare il significato del verbo stesso a cui sono legate o, addirittura, a modificarlo radicalmente.

[18] Fair enough in inglese significa «giusto abbastanza»; tuttavia fair, come secondo significante, può voler dire anche «biondo». Infatti E. Williams lo ha tradotto erroneamente in tedesco con blond genug che significa appunto «abbastanza biondo».

[19] Traffic jam è un’espressione inglese che significa «ingorgo stradale». L’errore sta nell’aver tradotto letteralmente traffic con Verkehr («traffico») e jam con Marmelade («marmellata»), ottenendo un risultato piuttosto ridicolo.

[20] “Cammineresti un po’ più velocemente?” disse il merlano alla lumaca.

[21] “Attraverso lo specchio”

[22] Il Jabberwocky è il titolo di un poemetto nonsense scritto da Lewis Carroll e pubblicato nel 1871 in “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò”. È considerato il più celebre nonsense in lingua inglese. La traduzione italiana per Jabberwocky è  «Ciciarampa».

[23] La traduzione di Milli Graffi recita:

“Era cerfuoso e i viviscidi tuoppi

ghiarivan foracchiando nel pedano:

stavan tutti mifri i vilosnuoppi

mentre squoltian i momi radi invano”.

[24] versione latina corretta di Augustus A. Vansittart:

Coesper erat: tunc lubriciles ultravia circum
Urgebant gyros gimbiculosque tophi;
Moestenui visae borogovides ire meatu;
Et profugi gemitus exgrabuere rathae.

[25] Definizione inglese di imponderabilia: “…a series of phenomena of great importance which cannot possibly be recorded by questioning or computing documents, but have to be observed in their full actuality….such things as the routine of a man’s working day, the details of his care of the body, of the manner of taking food and preparing it...”

 

[26] «Lo spirito è forte ma la carne è debole» viene tradotto con «il whiskey è buono ma la carne è andata a male». Spirit («spirito, anima») è confuso con «spirito» inteso come whisky e flesh («carne, desideri umani») confuso con meat («carne come alimento»)

[27] Per hydraulic ram si intende una «pompa d’acqua circolare». Per ram si intende anche «montone». Con molta fantasia il traduttore ha inventato un nuovo tipo di montone, quello acquatico.

[28] Se in fase traduttiva verso l’italiano volessimo utilizzare un’espressione di uso comune per out of sight out of mind potremmo optare per «lontano dagli occhi, lontano dal cuore» (riuscendo, così, a mantenere la ripetizione di «lontano da» presente nella forma inglese (out of). In questo senso, però, avrebbe una connotazione chiaramente affettiva. Se volessimo scegliere qualcosa di “neutro” potremmo tradurre con «non vedere è non pensare» o qualcosa di simile.

La traduzione parola per parola di questa espressione inglese che allontana dal senso della frase stessa è: «fuori dalla vista, fuori di testa». Sempre con una buona dose di fantasia il traduttore è approdato a questa traduzione: «invisibile, imbecille».

[29]In ambito sportivo wicket si riferisce alla «porta». Il significato più generale è «sportello, cancelletto».

[30] Il testo è permeato da termini che indicano le azioni della partita i quali, tradotti in italiano, non avrebbero alcun senso con il contesto considerato e risulterebbero chiaramente inopportuni. Del resto tutto il testo tradotto in italiano presenta ben poche frasi sensate, sia perché alcuni termini non hanno traduzione in italiano (in quanto specifici dello sport e quindi propri francesi) o, se ce l’hanno, stridono con il contesto sportivo di cui si parla. Altre frasi non hanno senso nemmeno in francese. Il risultato è una traduzione assolutamente ridicola, che alterna frasi sensate con nonsense veri e propri.

[31]The Supreme Court of the United States is the highest judicial body in the United States, and leads the federal judiciary. It consists of the Chief Justice of the United States and eight Associate Justices, who are nominated by the President and confirmed with the “advice and consent” (majority vote) of the Senate. Once appointed, Justices effectively have life tenure, serving “during good Behaviour”,[1] which terminates only upon death, resignation, retirement, or conviction on impeachment.[2] The Court meets in Washington, D.C. in the United States Supreme Court Building. The Supreme Court is primarily an appellate court,  but it has original jurisdiction over a small range of cases.[3]

[32] She served as an Associate Justice from 1981 until her retirement from the Court in 2006. O’Connor was appointed by President Ronald Reagan in 1981.[2] During her tenure, she was regarded as the Court’s leading centrist, and was the swing vote in many cases; this made her the most powerful justice for many years.

Dinda Gorlée, Peirce, Text and Sign: saggio di traduzione

Peirce, Text and Sign: saggio di traduzione

 

 

 

Problemi di traducibilità

 

 

 

 

 

 

Maika Balestra

 

 

 

 

Scuole Civiche di Milano

Fondazione di partecipazione

Dipartimento di Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

Via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

 

 

 

Relatore Prof. Bruno Osimo

 

 

 

 

Diploma in Scienze della Mediazione Linguistica

autunno 2005


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© Editions Rodopi, Amsterdam – New York, NY, 2004

© Maika Balestra per l’edizione italiana 2004


English Abstract

 


This thesis provides an analysis of a passage from the book “On Translating Signs, Exploring Text and Semio-translation”, written by the Dutch semiotic translation-theoretician Dinda L. Gorlée. As the author explains in the preface, her book is a collection of essays dealing with text and translation. Two sections of the book have been translated. They are “Peirce, Text and Sign” and “Text and Semiosis”. The decision to write a thesis containing a translation analysis stems from the candidate’s love for translation and her desire to continue studying it. In order to analyse the source text properly, the thesis is divided into three chapters. The first one is structured as an essay and has an introductory function: it provides a general description of the book and its contents, as well as some brief information about the author. The chapter also includes two paragraphs illustrating the key ideas of American Pragmatism and the main stages of the life of Charles S. Peirce. In the second chapter the analysis first examines the style used in the source text. Particular attention has been paid to lexicon, register and syntax. A theoretical analysis of the source text as regards its translatability follows. It studies the function of the text, the target reader, the translation strategy and translation loss. A similar analysis has been carried out for the target text. At the end of the chapter some examples show the difficulties of the translation process. The last chapter contains the Italian version of the source text.

 

 

 


Deutsches Abstract

 

Ziel dieser Arbeit ist es, einen Teil des Buches „On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation“ hinsichtlich seiner Übersetzbarkeit zu analysieren. Das Buch wurde 2004 von der niederländischen Übersetzungswissenschaftlerin und der Semiotikforscherin Dinda L. Gorlée geschrieben. Wie die Autorin selbst im Vorwort zu ihrem Buch erklärt, handelt es sich um eine Sammlung von Aufsätzen mit dem Ziel, die Begriffe „Text“ und „Übersetzung“ zu erforschen. In der vorliegenden Arbeit wurden zwei Abschnitte des Buches übersetzt, die die Titel „Peirce, Text and Sign“ und „Text and Semiosis“ tragen. Die Entscheidung, eine Übersetzungsarbeit zu schreiben, hat die Kandidatin wegen ihrer Liebe für diese Disziplin und ihres Wunsches getroffen, ihre Ausbildung im Bereich der Übersetzung fortzusetzen. Zum Zwecke einer möglichst genauen Analyse des  Quellentextes wurde diese Arbeit in drei Kapitel gegliedert. Das erste hat einen Essay ähnlichen Charakter und eine einleitende Funktion: es beschreibt den Inhalt des Buches im Allgemeinen und gibt einige kurze Auskünfte über die Autorin. Dieses Kapitel enthält ebenfalls zwei Abschnitte, die jeweils dem Amerikanischen Pragmatismus und den wichtigsten Etappen des Lebens von Charles S.Peirce gewidmet sind. Im zweiten Kapitel findet sich zuerst eine Textanalyse, die sich hauptsächlich mit dem Stil der Autorin befasst. Berücksichtigt werden Wortschatz, sprachliche Ebene und Syntax. Dann folgt die Übersetzungsanalyse des Quellentextes. Im Mittelpunkt stehen dabei die Funktion des Textes, der Zielleser, die Übersetzungsstrategie und die übersetzungsrelevantesten Unterschiede und Ähnlichkeiten zwischen den beiden Texten. Am Ende dieses Kapitels werden an Hand einiger Beispiele die Schwierigkeiten des Übersetzungsprozesses deutlich gemacht. Das dritte Kapitel enthält schliesslich die italienische Übersetzung des Quellentextes.

 

 

 


Abstract in italiano

 

L’obiettivo di questa tesi è analizzare un passo del libro «On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation», scritto dalla ricercatrice olandese di semiotica e traduzione Dinda L. Gorlée. Come l’autrice stessa spiega nella prefazione, il suo volume è una raccolta di saggi volti ad indagare i concetti di «testo» e di «traduzione». La tesi include la versione italiana di due paragrafi dell’opera, intitolati «Peirce, Text and Sign» e «Text and Semiosis». La decisione di scrivere una tesi contenente un’analisi traduttologica deriva dalla passione della candidata per la traduzione, nonché dal desiderio di approfondire le sue conoscenze in questo ambito. Al fine di analizzare al meglio il prototesto, la tesi è strutturata in tre capitoli. Il primo, di carattere perlopiù compilativo, ha una funzione introduttiva: fornisce una descrizione generale del prototesto e dei suoi contenuti, nonché qualche breve informazione sull’autrice. A chiusura di capitolo due paragrafi illustrano i concetti chiave del Pragmatismo americano e le tappe salienti della vita di Charles S. Peirce. Nel secondo capitolo l’analisi si focalizza inizialmente sullo stile del prototesto: particolare attenzione viene prestata al lessico, al registro e alla sintassi. Segue un’analisi teorica del prototesto dal punto di vista della sua traducibilità. Sono stati presi in esame la dominante e il lettore modello del prototesto per poter elaborare una strategia traduttiva finalizzata ad una gestione ottimale del residuo comunicativo. Un’analisi simile è stata approntata, parallelamente, anche sul metatesto. Il capitolo si chiude con degli esempi, al fine di mostrare le difficoltà incontrate nel processo di traduzione. Queste derivano quasi sempre dalla specificità settoriale del prototesto. Il terzo e ultimo capitolo presenta la mia traduzione dell’originale.

 

 

Sommario

 

I On Translating Signs, Exploring Text and Semio-Translation. 7

1.1 Introduzione  8

1.2 L’autrice. 9

1.3 Daphnis. 9

1.4 I contenuti 10

1.5 La cultura del prototesto. 10

1.5.1 Il pragmatismo americano. 11

1.5.2 Il pragmatismo metodologico di Peirce. 12

1.5.2.1 Il metodo della ragione. 12

1.5.2.2 La semiotica. 13

1.5.3 Charles Sanders Peirce. 16

 

II Analisi Traduttologica. 18

2.1 Lo stile del prototesto. 19

2.1.1 Il lessico. 19

2.1.2 Il registro. 21

2.1.3 Sintassi 22

2.1.4 Esempio pratico. 22

2.2 Le marche del prototesto. 24

2.3 La dominante del prototesto. 24

2.4 La dominante del metatesto. 25

2.5 Il lettore modello dell’autrice. 25

2.6 Il lettore modello del metatesto. 27

2.7 La strategia traduttiva. 27

2.8 Il residuo comunicativo. 29

2.9 Difficoltà della traduzione. 33

2.9.1 Esempi di frasi difficili da capire. 33

 

III Traduzione. 35

 

Riferimenti bibliografici 62

 

 

 

 

I

On Translating Signs

Exploring Text and Semio-Translation

Dinda L. Gorlée

Caratteri generali

 

Questo primo capitolo, di carattere introduttivo, vuole fornire una descrizione generale di On Translating Signs, Exploring Text and Semio-translation ed è perciò quasi interamente dedicato all’opera e alla sua autrice, Dinda L. Gorlée.

Ho ritenuto opportuno, al paragrafo 1.5, spendere qualche parola sul pragmatismo americano e sul suo fondatore, Charles Sanders Peirce. Infatti, se è vero che il prototesto non è specifico di nessun ambito culturale dal punto di vista spaziotemporale, geografico, la sua produzione è tuttavia legata in modo inscindibile ed inequivocabile alla ricerca nel campo della semiotica e della traduzione (capitolo II). Data la mole consistente di citazioni tratte dalle opere di Peirce, mi sembra che il suo pensiero possa rientrare fra le componenti culturali che caratterizzano il prototesto.

 

 

1.1  Introduzione

 

Il testo che ho tradotto è tratto dal libro On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation scritto da Dinda L. Gorlée, ricercatrice olandese di semiotica e traduzione. Come lei stessa spiega nella prefazione, il libro è suddiviso in tre capitoli: il primo, dal titolo Text and Interdisciplinary Texture, è un capitolo introduttivo sul testo; il secondo, Semiotranslation and Abductive Translation, affronta il tema della traduzione; infine il terzo capitolo, Trial and (T)error: Peirce’s Fallibilism and Semiotranslation si focalizza sia sul testo che sulla traduzione.

Le pagine da me tradotte sono tratte dal capitolo Text and Interdisciplinary Texture, e precisamente corrispondono alle pagine 58-67, ovvero ai paragrafi Peirce, Text and Sign e Text and Semiosis. Ho inoltre tradotto il relativo apparato metatestuale che si trova alle pagine 85-87.


1.2 L’autrice

 

Dinda L. Gorlée è a capo di un ufficio di traduzione giuridica multilingue all’Aja. Collabora inoltre con l’università norvegese di Bergen agli Archivi Wittgenstein e con quella di Helsinki presso il dipartimento di ricerche traduttologiche. A lei va il merito di aver rinsaldato i rapporti fra la scienza della traduzione e la semiotica, con un particolare interesse per il pensiero di Peirce.

Lei stessa è ricercatrice di semiotica in relazione alla scienza della traduzione, alla traduzione vocale, alla semiotica testuale e alla traduzione giuridica.

Fra le sue pubblicazioni più famose vi è il saggio Semiotics and the Problem of Translation: With Special Reference to the Semiotics of Charles S. Peirce, del 1994. Attualmente l’autrice sta lavorando ad un nuovo volume dal titolo Song and Significance: Interlingual and Intersemiotic Vocal Translation.

 

 

1.3 Daphnis

 

On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation è pubblicato dall’editore olandese Rodopi come supplemento alla rivista Daphnis.

Tale rivista fu fondata nel 1970 da una cerchia internazionale di letterati come «rivista di letteratura medioevale tedesca» e fu pubblicata per la prima volta nel 1972 a Berlino. Nel 1976 la casa editrice fu spostata ad Amsterdam e da allora la rivista viene pubblicata nella capitale olandese. Daphnis è stata concepita come un organo di ricerca per la letteratura tedesca e per quella neolatina dalla fine del XIV fino a metà del XVIII secolo. Si occupa inoltre, a livello comparativo, dei rapporti fra la letteratura medievale tedesca e le letterature europee dello stesso periodo.

Con la rivista Daphnis vengono pubblicati saggi inediti nelle categorie «trattati», «miscellanea», «scoperte minori», «progetti di lavoro», «ricerche» e «bibliografie». Ampio spazio viene dedicato inoltre alla teologia, alla filosofia, alla storia e all’arte figurativa. Nel 1981 è stata introdotta una nuova rubrica intitolata «Discussione scientifica», dedicata in buona misura al linguaggio scientifico specialistico. Ogni annata di Daphnis comprende quattro numeri per un totale di circa 200 pagine.

 

 

1.4 I contenuti

 

Come già suggerisce il titolo, Peirce, Text and Sign, questo paragrafo illustra, attraverso numerose citazioni dalle opere di Peirce, il significato che le parole «testo» e «segno» rivestivano per questo filosofo e scienziato americano e il modo in cui soleva servirsene. Vengono passati in rassegna i concetti di «simbolo», «discorso», «proposizione», «argomento» per approdare infine ad una spiegazione della teoria generale dei segni di Peirce.

Il secondo paragrafo, Text and Semiosis, si focalizza invece su un particolare tipo di segni, quelli di Terzità, che Peirce chiamava simboli, e sulla relazione tripartita che si instaura fra segno-oggetto-interpretante, soprannominata da Peirce «semiosi». Vengono poi illustrate le caratteristiche della semiosi testuale peirceiana in contrapposizione alle altre semiotiche testuali, in particolare alle teorie testuali di Saussure. Infine l’autrice fa alcune considerazioni su concetti quali «segno-pensiero», «quasi-segno», «quasi-mente», «segno-testo».

 

 

1.5 La cultura del prototesto

 

Come già accennato in apertura, il testo della Gorlée è ricchissimo di rimandi intertestuali, in particolar modo di citazioni tratte dalle opere di Peirce. Ed è proprio attorno alle teorie di questo filosofo e scienziato americano che ruotano molte delle considerazioni dell’autrice. Proprio per questo credo che il pensiero di Peirce – ed il contesto culturale in cui, anche se solo in parte, si sviluppò – siano delle componenti culturali importanti del prototesto.

Questo paragrafo intende prendere in esame la personalità poliedrica di Peirce ed i caratteri distintivi del pragmatismo americano, al fine di indagare fino a che punto le teorie peirceiane ed il pragmatismo influenzino la cultura del prototesto.

1.5.1 Il pragmatismo americano

 

Il pragmatismo americano è il contributo più innovativo degli Stati Uniti d’America alla filosofia occidentale. Esso nacque e si sviluppò nel clima di diffuso interesse per la filosofia e di riconoscimento della sua funzione vitale che caratterizzò la società americana alla fine del XIX secolo.

La parola «pragmatismo» deriva dal greco pragma (azione, atto). Lo storico greco Polibio (I sec. a.C.) soleva definire i suoi scritti «pragmatici», intendendo con questo termine che erano concepiti per essere istruttivi ed utili ai suoi lettori. Charles Sanders Peirce, fondatore del pragmatismo – e probabilmente il primo a servirsi del termine per designare una specifica dottrina filosofica –, più che la parola greca aveva in mente quella tedesca usata da Kant: pragmatisch si riferisce al pensiero sperimentale, empirico e finalizzato basato sull’esperienza e ad essa attinente. In semiotica la branca che studia il rapporto fra i segni e coloro che se ne servono è detta pragmatica (per distinguerla dalla semantica e dalla sintassi).

Il pragmatismo mise in luce un’impostazione che era stata presente fin dall’inizio nella filosofia americana. Si tratta della tendenza a considerare come fondamentale, per la scelta e l’adozione di una dottrina filosofica, non già la sua astratta e teoretica “verità”, ma la sua pratica utilità, la capacità di una dottrina di fungere da guida della condotta pratica dell’uomo nei confronti delle cose, degli altri uomini e di Dio.

La caratteristica fondamentale del pragmatismo è il suo orientamento verso il futuro anziché verso il passato o il presente. Uno dei suoi principi cardine è la strumentalità del conoscere: per i pragmatici la conoscenza è uno strumento che permette all’uomo di controllare e prevedere le azioni future.

Il pragmatismo americano si concretizzò in due correnti fondamentali: il pragmatismo metodologico e quello metafisico. Pur muovendo dal comune presupposto della strumentalità del conoscere, queste due impostazioni differiscono nel modo di concepire il legame conoscenza – azione. Il pragmatismo metodologico – cui aderirono, fra gli altri, Peirce e Dewey – si presenta come una teoria del significato, ovvero come una dottrina della portata pragmatica delle proposizioni e delle credenze. Il pragmatismo metafisico – James fu uno degli esponenti di spicco – si pose invece come una teoria generale della verità e della realtà, secondo cui la verità di un’idea risiede nella sua presunta utilità personale o sociale, ovvero nella sua capacità di esercitare un’azione benefica sulla vita dell’uomo.

Per evitare che il suo pragmatismo metodologico venisse confuso con quello metafisico di James, Peirce preferì parlare di pragmaticismo, Dewey invece di strumentalismo.

 

 

1.5.2 Il pragmatismo metodologico di Peirce

 

1.5.2.1 Il metodo della ragione

 

La filosofia pragmatica di Peirce è parte di una teoria più generale dei segni e del pensiero. Il pensiero, o «indagine», scaturisce dal dubbio, ovvero da uno stato in cui le azioni abituali sono bloccate o confuse. Dal dubbio risultano l’irritazione organica e l’indecisione. La risoluzione e una condotta libera sono, d’altro canto, prodotti della credenza, che è una forma di stabilità e soddisfazione. Secondo Peirce la sola funzione del pensiero è quella di produrre credenze e ogni credenza è una regola d’azione; sicché lo scopo finale del pensiero è l’esercizio della volizione e la produzione di abitudini d’azione. Pensare, ovvero uscire lottando dallo stato di irritazione connaturato al dubbio, vuole dire creare credenze (stati mentali di calma e sicurezza). Una credenza è vera nel momento in cui sussista conformità tra effetti attesi dalla credenza ed effetti realizzati; è falsa nel momento in cui non sussista tale conformità. Nel momento in cui sia vera, la credenza è norma d’azione utile; nel momento in cui non lo sia, è una norma d’azione non utile ad incidere sulla condotta umana. Peirce ammetteva però che vi sono vari metodi per stabilire una credenza e ognuno ha qualche vantaggio. C’è il metodo della tenacia di chi si rifiuta di discutere le proprie credenze e può condurre al successo la persona ostinata; il metodo dell’autorità che, vietando le opinioni difformi, può condurre all’accordo; il metodo metafisico che si appella alla ragione e produce costruzioni e sistemi ideali, che però sono incontrollabili. Questi metodi hanno in comune il tratto di escludere la possibilità dell’errore: ognuno di essi si ritiene infallibile. C’è solo il metodo scientifico, secondo Peirce, che rinuncia all’infallibilità. E questo è il solo metodo che la scienza e la filosofia devono seguire, professando apertamente ciò che egli chiama il fallibilismo della ragione. Il pragmatismo, come lo intende Peirce, non è nient’altro che l’applicazione di quest’ultimo metodo ai problemi filosofici.

Il metodo scientifico consiste fondamentalmente nel tentativo costante di collocare i giudizi percettivi che ci vengono imposti dall’esperienza in un modello esplicativo composto da tre tipi di ragionamento: l’«abduzione», che tiene conto di una costante nota e della constatazione di un fenomeno nuovo e da questi inferisce una congettura; la «deduzione», che muove da una regola e da un caso specifico per dedurre un risultato; e infine l’«induzione», che muove da un caso specifico e da un risultato per indurre delle ipotesi.

Nel suo sforzo – prolungatosi per anni – di collocare la sua analisi del dubbio e dell’indagine all’interno di una teoria segnica più completa e globale, in cui la comunicazione, il pensiero, la conoscenza e l’intelligenza potessero essere pienamente compresi, Peirce approdò a dei risultati originali. Uno di questi è la semiotica contemporanea.

 

 

1.5.2.2 La semiotica

 

Oggi Peirce è ricordato soprattutto per aver posto le basi della semiotica contemporanea, la disciplina che si occupa dei segni in quanto questi vengono interpretati ed utilizzati. Punto di partenza è la considerazione che non c’è pensiero senza segno, che ogni pensiero è in realtà un segno che rimanda a un pensiero successivo che a sua volta è un segno e così via. Ciò significa che l’universo intero non è un insieme definito e definitivo di cose poi riprodotte con i segni, ma un insieme di segni collegati fra loro in cui non c’è mai un punto di partenza primo e assoluto. Il nostro contatto con la realtà non è mai diretto, ma sempre mediato dal segno: è una continua interpretazione, ovvero una semiosi illimitata.

Il segno viene definito da Peirce come «qualcosa che sta secondo qualcuno per qualcosa sotto qualche aspetto o in qualche capacità» (CP: 2.228, c.1897). Dunque il pragmatismo di Peirce è inteso a tradurre certi tipi di segni in segni più chiari, al fine di superare la confusione linguistica o concettuale. Formulare un interpretante significa determinare gli “effetti” o le conseguenze che i segni o le idee in questione possono produrre.

Primariamente il pragmatismo di Peirce è una teoria del significato emersa dalle sue riflessioni personali sul suo lavoro scientifico, in cui lo sperimentalista comprende una proposizione in questo modo: se l’esperienza prescritta si realizza, questa è verificata. Questo metodo può essere usato in due modi: innanzitutto serve a mostrare che, quando le controversie non hanno risoluzione, ciò è dovuto agli abusi che facciamo della lingua e a sottili confusioni concettuali. Questioni come, ad esempio, se il mondo fisico sia un’illusione, se l’uomo sia ingannato dai propri sensi, o se le sue azioni siano predestinate non sono problemi reali. In secondo luogo può essere utilizzato come delucidazione. Dire, ad esempio, che l’oggetto O è duro significa che, se si prova a scalfirlo, O non verrà intaccato dalla maggior parte delle sostanze.

Similmente, nella sua teoria della verità, Peirce afferma che la verità è l’insieme delle attività di verifica della comunità scientifica, mentre la realtà è l’accordo della comunità sulla verità. Di conseguenza, non solo il pensiero è finalizzato, ma il significato ha in sé un riferimento al futuro.

Peirce si dimostra fiducioso del cammino trionfale della scienza verso la verità, senza tuttavia trascurare – come osservato – l’idea di fallibilità della conoscenza scientifica.

Per evitare che le sue teorie venissero confuse con le altre dottrine pragmatiche Peirce ribattezzò il suo modo di vedere con il nome di pragmaticismo.


I tre tipi di ragionamento secondo Peirce: nel passaggio dalla deduzione all’abduzione, attraverso l’induzione, si ha una diminuzione progressiva del grado di certezza del ragionamento ed un aumento della componente creativa.

 

La deduzione (ragionamento analitico)

 

 

 

 

 

 

 


L’induzione (ragionamento sintetico)

 

 

 

 

 

 

 


L’abduzione (ragionamento sintetico)

 

 

 

 


1.5.3 Charles Sanders Peirce

 

Vero fondatore del pragmatismo fu Charles Sanders Peirce (1839-1914), personalità poliedrica, cultore di logica simbolica nonché geniale divulgatore di teorie scientifiche e padre della semiotica moderna. Di grande rilevanza sono i suoi apporti alla teoria della probabilità, alla logica simbolica, alla filosofia della scienza, alla matematica e alla semiotica, nonché i suoi scritti di astronomia, fisica, e chimica e quelli sul metodo scientifico.

Peirce soleva descriversi come uno sperimentalista e un «logico», termine la cui portata si ampliò notevolmente dai suoi primi scritti, andando ad abbracciare le sue dottrine del pensiero e dell’indagine (paragrafo 1.5.2.1).

Nonostante le proposte di incarichi universitari ricevute, Peirce lavorò soltanto come docente di logica part-time alla Johns Hopkins University fra il 1879 e il 1884; per tre anni fu docente di filosofia della scienza alla Harvard.

Nonostante fosse uno scrittore prolifico, Peirce vide pubblicate soltanto due delle sue opere. Si tratta del saggio Photometric Researches (1878), che gli valse la fama di migliore astrofisico del tempo, e di Studies in Logic (1883), una raccolta di saggi scritti da Peirce e dai suoi studenti alla Johns Hopkins.

Peirce non scrisse libri ma saggi ed articoli – che coprono l’arco di circa mezzo secolo – apparsi su vari periodici americani. Una prima antologia dei suoi scritti apparve, postuma, nel 1923 con il titolo di Chance, Love and Logic. I sei volumi dei Collected Papers of Charles Sanders Peirce furono editi invece negli anni fra il 1931 e il 1935. Molti degli scritti di Peirce sono ancora inediti e le edizioni esistenti perlopiù postume, due fattori che ostacolano in modo non indifferente la diffusione del suo pensiero.

Pur essendo il padre del pragmatismo americano, Peirce non fu filosofo di professione. Il suo principale impiego – dalla laurea in chimica, conseguita alla Harvard nel 1859, fino al suo ritiro a Miltford, in Pennsylvania, nel 1887 – fu presso lo United States Coast and Geodetic Survey, il servizio costiero americano. Dal 1887 fino alla fine dei suoi giorni Peirce visse in condizioni di estrema povertà, di malattia e di isolamento dal mondo accademico. Morì, dimenticato da tutti, nel 1914.

Data la condizione di isolamento in cui Peirce visse, non si può dire che il suo pensiero sia frutto del confronto e dello scambio con gli altri pragmatici. Pertanto la cultura del prototesto, più che del pragmatismo americano, risente del pensiero di Peirce e del suo pragmatismo metodologico.

 

 

II

Analisi Traduttologica


La traduzione di un testo come On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation comporta inevitabilmente, data la specificità lessicale che lo contraddistingue, un’analisi approfondita delle componenti lessicali e stilistiche al fine di elaborare un’adeguata strategia traduttiva. Meno rilevanti sono invece le coordinate cronotopiche. D’altra parte, pur non essendo specifico di nessun ambito culturale dal punto di vista spaziotemporale, geografico, il testo è molto calato all’interno della cultura della ricerca nel campo della semiotica e della traduzione. Di conseguenza, come si vedrà in particolare ai paragrafi 2.8 e 2.9, i problemi di traduzione sono quasi tutti legati alla specificità settoriale del testo.

 

 

2.1 Lo stile del prototesto

 

2.1.1 Il lessico

 

Quello del prototesto è un lessico settoriale tipico della semiotica e della ricerca traduttologica. Il prototesto è infatti ricco di termini tecnici coniati da Peirce quali, ad esempio, «Firstness», «Secondness» e «Thirdness», o anche «Firsts», «Seconds» e «Thirds», o ancora «interpretant», per citare solo quelli più ricorrenti, più altri termini non peirceiani come «word-sign», «text-sign», «quasi-sign» e «signhood».

Accanto a questi compaiono termini tipici del linguaggio filosofico di origine greca e latina come, ad esempio, «essence», che deriva dal latino essentĭa1 (essenza, natura), «phenomenology», dal greco phainomenon, che significa «che appare o che esiste», attraverso il tedesco Phänomenologie, «syllogism», dal greco syllogismos, che significa «inferenza, conclusione, computo, calcolo», attraverso il latino tardo syllŏgismus e il francese antico sillogisme, «triadic» – composto dal sostantivo inglese triad con l’aggiunta del suffisso ic – dal greco trias, triados (tre), attraverso il latino trĭăs, triădis, «arbitrary», dal latino arbĭtrārĭus (arbitrario), «semiotics», dal greco semeiotikos (osservatore di segni), e «quasi», dal latino quăsĭ2 (come se, quasi che).

A questo proposito è interessante l’uso che l’autrice fa di parole romanze – principalmente di derivazione latina e francese – quando avrebbe potuto sceglierne altre, più comuni, di origine germanica. Riporto qui alcuni esempi tratti sia dalle parti di testo scritte dall’autrice che dagli intertesti: «discipline» dal latino discĭplīna (istruzione data ad un discepolo), attraverso il francese antico descepline, «to suffice» dal latino sufficĕre (bastare, essere sufficiente), attraverso il francese antico souffire, «to consist of», dal latino consistĕre (collocarsi, porsi, fermarsi, stare; trattenersi; indugiare; comparire, presentarsi), «to be composed of»,dal latino componĕre, «signify» dal latino significāre (mostrare attraverso segni, significare), attraverso il francese antico signifier, «pertinent» dal latino pertĭnentĕr (in modo adatto), attraverso il francese antico partenant, «edifice» dal latino aedĭfĭcium (edificio), attraverso il francese antico edifice, «error» dal latino errŏr (l’andare errando, errore), attraverso il francese antico errur, «category», dal greco kategorein (accusare, asserire, predicare), attraverso il latino tardo cătēgŏrĭa (accusa; categoria), attraverso il francese medioevale catégorie, «numerous», dal latino nŭmĕrōsus (numeroso) e «consensus», dal latino consensŭs3, attraverso il francese antico consentir.

Premesso che l’equivalenza fra segni di codici naturali non esiste, ecco quali sostantivi di origine germanica l’autrice – e gli autori da lei citati – avrebbero potuto usare in luogo di quelli di derivazione latina e francese visti sopra4:

 

Vi sono inoltre termini che, pur essendo dei sostantivi di uso comune, assumono nel preciso cotesto e contesto in cui sono inseriti particolari sfumature semantiche che rendono più difficile il processo traduttivo: è il caso di un sostantivo appartenente alla lingua di tutti i giorni come habit, che occorre più di una volta nel prototesto. Questo sostantivo ha come possibili traducenti «abitudine, consuetudine, usanza, vezzo».5 Tuttavia nel prototesto l’unico traducente possibile è «abitudine», dal momento che Peirce si serviva del sostantivo habit come di un termine tecnico, il cui traducente italiano è ormai attestato in modo stabile, e non è perciò più sostituibile con alcun “sinonimo”.

Il lessico del prototesto si compone infine di qualche parola straniera, come la locuzione francese – adattata sintatticamente e grammaticalmente all’inglese – fin-de-siècle, e quelle latine ad hoc e prima facie. Ho mantenuto queste espressioni tali e quali anche nel metatesto, essendo di uso comune in questo e in molti altri ambiti. Nel caso di fin-de-siècle, inoltre, il significato è vincolato all’utilizzo del francese: tradurre «fin-de-siècle scientist» con «scienziato di fine secolo» sarebbe un errore non indifferente, dal momento che si andrebbe a modificare il significato del prototesto: il francese fin-de-siècle significa infatti «relativo alla fine dell’Ottocento o che si ispira alla civiltà artistica e culturale di quel periodo».6 Se in italiano traducessi «di fine secolo» il lettore non capirebbe certamente che si sta parlando della fine dell’Ottocento.

 

 

2.1.2 Il registro

 

Dall’analisi effettuata sul lessico risulta un registro alto, cui contribuiscono anche i numerosi rimandi intertestuali, perlopiù alle opere di Peirce, e soprattutto l’uso frequente di parole di origine latina, greca e francese (paragrafo 2.1.1). L’inglese infatti, nel corso della sua lunga storia, ha “preso in prestito” parole da più di 350 lingue parlate in tutto il mondo, fra cui anche dal latino – in seguito all’arrivo dei Romani sul suolo britannico – e dal francese – successivamente alla conquista normanna (1066). In inglese le parole romanze sono considerate di registro alto, ragione per cui l’autrice se ne serve così frequentemente.

Dato che si tratta di un testo scientifico, scritto da una specialista e rivolto perlopiù ai colleghi, ed eventualmente ai loro studenti come nel mio caso, il registro è quello delle pubblicazioni scientifiche. È caratterizzato da precisione terminologica, scarso carattere connotativo, periodi argomentativi che si succedono senza che l’autrice si rivolga direttamente al suo lettore modello. Generalmente si tratta di periodi lunghi, a volte complessi, che richiedono una grande concentrazione da parte del lettore.

Se si volesse classificare il prototesto a seconda della sua apertura/chiusura mi sembra corretto – alla luce delle considerazioni esposte sopra – parlare testo chiuso, sebbene la contrapposizione aperto/chiuso non sia rigida: nel prototesto si possono infatti individuare – come nella maggior parte dei testi – parti più “chiuse” di altre.

 

 

2.1.3 Sintassi

 

Il prototesto presenta una struttura sintattica mista fra paratassi e ipotassi, sebbene sia possibile affermare che vi è una prevalenza di subordinazione.

Spesso la sintassi delle singole frasi viene resa più complessa dall’inserimento di rimandi intertestuali, tutti comunque esplicitati dai segni diacritici.

Frequenti sono infine gli elenchi, perlopiù nelle citazioni, che contribuiscono ad accelerare un ritmo generalmente assai lento.

Si consideri, ad esempio, il seguente passo del prototesto, tratto dalla nota numero 21:

 

His long list includes many instances of verbal communication, spoken and/or written:”Then we have mark, note, trait, manifestation, ostent, show, species, appearance, vision, shade, spectre, phase. Then, copy, portraiture, figure, diagram, icon, picture, mimicry, echo. Then, gnomon, clue, trail, vestige, indice, evidence, symptom, trace. Then, muniment, monument, keepsake, memento, souvenir, cue. Then, symbol, term, category, stile, character, emblem, badge. […] “(PW: 194, 1905, citato in Gorlée 2004: 87)

 

Grazie a questi lunghi elenchi di sostantivi il testo diviene più snello, assumendo al contempo un ritmo più rapido.

2.1.4 Esempio pratico

 

A completamento di quest’analisi stilistica mi sembra utile porre un’applicazione “concreta” delle considerazioni viste nei paragrafi precedenti, allo scopo di renderle meno astratte e teoriche e un po’ più pratiche.

Si consideri allora il seguente paragrafo, esemplificativo di tutto quanto il prototesto:

With regard to the modern meaning of text, which we take as the object of research in these pages, Peirce, as a sign-theoretician, used terms such as symbol, discourse, proposition, and argument, thereby addressing himself to purpose of Thirdness, involving the logical properties of the text today. Here it must suffice to characterize briefly the several concepts through which Peirce approached the phenomenon of text: A symbol is a sign requiring intelligent interpretation to become meaningful. It is the agreed-on vehicle of thought, and “all thinking is conducted in signs that are mainly of the same structure as words…, or symbols” (CP: 6.338, c. 1909, Peirce’s emphasis). Reasoning – that is, the logical interpretation of signs by signs, wheter spoken, written, or otherwise – always takes a discursive form […]. (Gorlée 2004: 58)

 

In questo paragrafo emergono con chiarezza tutti gli elementi individuati sopra: registro aulico, rimandi intertestuali all’opera di Peirce, grande precisione terminologica – evidente soprattutto negli elenchi come «symbol, discourse, proposition, and argument» –, carattere denotativo, periodi argomentativi tipici del linguaggio scientifico. La stessa esposizione dei concetti è quella delle dimostrazioni scientifiche: con la locuzione «with regard to» viene introdotto l’argomento di cui si tratta, mentre col successivo «here it must suffice […]» lo si delimita nettamente. Segue poi una definizione, dal sapore un po’ assiomatico, di «simbolo». L’autrice evita ogni riferimento al lettore modello, preferendo mantenersi in una posizione più “elevata”, fatta eccezione per il pronome personale soggetto «we» nella prima riga, che tenderei ad interpretare come la somma dell’autrice e del lettore.


2.2 Le marche del prototesto

 

Un testo può essere marcato a diversi livelli: lessicale, sintattico, stilistico, di socioletto, di idioletto, di dialetto ecc…

L’unico ambito in cui il prototesto si discosta dallo standard è quello lessicale, per via dell’uso frequente di termini tecnici, tipici della semiotica e della traduzione (paragrafo 2.1.1) e per la prevalenza di un registro alto, al di sopra dello standard (paragrafo 2.1.2).

 

 

2.3 La dominante del prototesto

 

Trattandosi dell’estratto di un libro, la dominante del testo che ho tradotto verrà in parte a coincidere con quella del libro stesso.

A questo proposito è molto interessante il titolo, che mette già spiccatamente in luce non soltanto il prevalere della funzione informativa su quella estetica (peraltro quasi del tutto assente), ma anche quale funzione informativa il libro intende espletare: fornire delle basi teoriche per la traduzione di segni e approfondire i concetti di «testo» e di «semiotraduzione».

Importantissima è inoltre la prefazione, in cui l’autrice afferma di voler presentare una selezione, ordinata cronologicamente, dei saggi da lei scritti negli ultimi 10 anni, aventi per argomento il «testo» e la «traduzione». Questa affermazione è un’ulteriore conferma della dominante già individuata.

A questa dominante principale si affiancano altre due sottodominanti: nella prefazione infatti l’autrice auspica che questo suo libro divenga di stimolo ai futuri semiotici e che possa contribuire allo sviluppo delle ricerche traduttologiche. Inoltre l’opera intende mettere in risalto la complessità della teoria dei segni di Peirce.

Dall’analisi effettuata sul contenuto (paragrafo 1.4) quest’ultima dominante, accanto alla funzione informativa che caratterizza il libro intero, mi sembra quella che più coincide con la dominante del testo qui tradotto.

Per quanto concerne il lettore del prototesto, credo che fra tutte le dominanti individuate rimangano valide anche per lui principalmente quelle che più hanno a che vedere con la funzione informativa dell’opera.

2.4 La dominante del metatesto

 

Per quanto riguarda la cultura ricevente, ritengo che le dominanti individuate nel prototesto rimangano tali: anche il metatesto infatti è caratterizzato da una spiccata funzione informativa e ruota attorno alla complessità della teoria segnica di Peirce. Nel caso di una traduzione adeguata, le dominanti per il lettore del metatesto coincideranno con quelle del lettore del prototesto.

Del resto un cambiamento di dominante nel passaggio dal prototesto al metatesto sarebbe, in questo caso, difficilmente pensabile, trattandosi di un testo perlopiù chiuso ed informativo, svincolato dalla cultura – intesa in senso geografico e storico – che lo ha prodotto.

 

 

2.5 Il lettore modello dell’autrice

 

Come per la dominante, anche il lettore modello del prototesto viene necessariamente a coincidere con quello dell’intero libro.

Quello di On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation è certamente un lettore “addetto ai lavori”, vale a dire una persona che ha già una certa dimestichezza con gli argomenti trattati ed è in qualche modo interessata ad approfondirli. In concreto potrebbe trattarsi di ricercatori, studiosi e professori nel campo della semiotica e della traduzione.

Tuttavia è ipotizzabile anche un lettore modello più “alle prime armi”. Come l’autrice stessa scrive nella prefazione al libro, questo vuole essere «illuminante e provocante» anche per chi non è proprio un esperto del settore. Sempre nella prefazione, l’autrice descrive in modo inequivocabile il suo lettore modello, che dev’essere «moderno, cosmopolita, internazionalizzato, multilingue e interessato alla tematica filosofica». Di qui dunque l’esigenza dell’autrice, di nazionalità olandese, di scrivere in una lingua straniera, in inglese precisamente. Che la scelta dell’inglese sia dettata principalmente da ragioni legate al lettore modello è evidente. L’inglese infatti è divenuto una lingua franca della comunità scientifica mondiale, che permette di abbracciare un pubblico vastissimo e di raggiungere, a livello spaziale, i quattro angoli del pianeta. Che sia un esperto di semiotica o un principiante, il lettore modello a cui l’autrice si rivolge va oltre le barriere linguistiche e i confini nazionali. Si potrebbe dire che è un lettore non caratterizzato in particolare dalla sua identità nazionale. All’autrice non importa in quale Paese risiedano i suoi lettori (reali) e nemmeno di quale cultura siano portatori. Sono semplicemente degli abitanti di quel villaggio globale che è il mondo.

Come si vedrà al paragrafo 2.9, la scelta dell’autrice del prototesto di scrivere in lingua straniera, ovvero di servirsi di una lingua diversa dalla sua lingua madre, non facilita di certo il compito del traduttore, spesso alle prese con una source language, per così dire, “strana”.


2.6 Il lettore modello del metatesto

 

Il lettore modello del metatesto sarà, come quello del prototesto, un esperto di semiotica e traduzione, che sceglie di leggere il testo tradotto pur disponendo di tutti gli strumenti necessari per poter leggere l’originale. Credo però che qui venga a mancare la componente del lettore modello principiante ipotizzato dall’autrice. Inoltre, per ovvie ragioni di natura linguistica, il passaggio dal prototesto al metatesto implica un “restringimento” del modello di lettore, che da internazionale diviene quasi esclusivamente italiano.

 

 

Internazionale, oltre le barriere linguistiche

Prototesto

e i confini nazionali, esperti e non

 

 

 

 

 

Metatesto

 


italiano, esperto

2.7 La strategia traduttiva

 

In generale il processo traduttivo non implica soltanto la trasformazione di un prototesto in un metatesto, ma anche e soprattutto il passaggio da una protocultura ad una metacultura, dalla cultura altrui alla propria. Insomma: tradurre non significa soltanto coprire la distanza esistente fra source e target language in termini di differenze sintattiche, grammaticali, stilistiche. Significa molto di più: nel momento in cui ci si accosta alla traduzione entra in gioco una distanza culturale più o meno significativa che dev’essere colmata.

In questo gioco di scambi e di passaggi interculturali il traduttore, con la sua cultura specifica, svolge un ruolo fondamentale: egli veste infatti i panni di mediatore fra la cultura emittente e quella ricevente. Si pone, per così dire, sul “confine” fra le due culture coinvolte ed è lui che decide in che modo coprire tutte le differenze, sia linguistiche che culturali, fra prototesto e metatesto.

Lo scienziato della traduzione Toury ha introdotto un’utile distinzione con i suoi concetti di adeguatezza ed accettabilità (citato in Osimo 2001: 81).

In generale ritengo più proficua, sia dal punto di vista della dialettica della semiosfera che a livello di arricchimento culturale personale del lettore, una traduzione adeguata. Questo tipo di approccio prevede che il prototesto venga conservato come espressione di una cultura diversa. Il metatesto adeguato manterrà perciò molte delle caratteristiche del prototesto e non sarà un testo “facile” da leggere, o “semplificato” dal traduttore. Al contrario il lettore si troverà alle prese con un testo di più difficile comprensione rispetto ad un metatesto accettabile, e perciò dovrà compiere uno sforzo per coprire da solo la distanza cronotopica fra sé e la cultura del prototesto, lasciata quasi del tutto scoperta dal traduttore. Egli infatti sceglierà di conservare i realia, i nomi propri di persona, le strutture sintattiche (per quanto possibile). Inoltre cercherà di rispettare le scelte stilistiche dell’autore, traducendo una struttura marcata con una marcata, una standard con una struttura standard e così via.

L’aspetto positivo di questo tipo di impostazione è che, se da un lato il lettore troverà più difficile orientarsi in un metatesto adeguato, dall’altro i suoi sforzi di comprensione lo porteranno ad arricchire notevolmente le sue conoscenze proprio grazie al confronto con un’altra cultura.

Per quanto riguarda la traduzione del prototesto tratto da On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation una traduzione adeguata mi sembra, oltre che la più indicata, l’unica possibile. Fondamentalmente per due motivi: innanzitutto perché il lettore modello individuato è in grado di colmare, con le sue conoscenze, la distanza che lo separa dal prototesto.

In secondo luogo perché il testo della Gorlée contiene numerosissimi rimandi intertestuali, fra cui molte citazioni tratte dalle opere di Charles S. Peirce. Essendo queste ricche di tecnicismi, sottigliezze e sfumature semantiche, mi sembra corretto tradurle in modo che sia possibile ricondurre ogni singola frase a quella del prototesto.

Nell’elaborazione di una strategia traduttiva adeguata è necessario tenere conto, ovviamente, oltre che della dominante e del lettore modello, anche delle considerazioni sullo stile viste al paragrafo 2.1: del testo originale il metatesto dovrà quindi conservare  il lessico settoriale ed il registro alto. Inoltre, dove possibile, dovrà avere una struttura sintattica simile a quella dell’originale.

2.8 Il residuo comunicativo

 

Parlando del residuo comunicativo nella traduzione di On translating Signs, Exploring Text and Semio-translation è necessario innanzitutto ritornare alla scelta dell’autrice, dettata da motivi di “vastità di pubblico”, di scrivere in inglese, vale a dire in una lingua diversa dalla sua lingua madre. Infatti, se la scrittura intesa come processo traduttivo porta inevitabilmente con sé un primo residuo, dato da ciò che non si riesce a tradurre in parole dei propri segni psichici, la scelta della Gorlée di scrivere in una lingua straniera amplifica tale residuo: alla parte di informazione mentale andata perduta nel passaggio dal materiale mentale a quello verbale si somma quella che l’autrice non è riuscita ad esprimere in inglese. La grandezza di quest’ultimo residuo è inversamente proporzionale alla conoscenza della lingua inglese dell’autrice: tanto più la sua conoscenza dell’inglese sarà approfondita, tanto più piccolo sarà il residuo dovuto all’uso di una lingua straniera. Viceversa, se la conoscenza dell’inglese dell’autrice sarà scarsa, il residuo sarà più grande.

È evidente che questo tipo di residuo non caratterizza soltanto il prototesto ma si ripercuote inevitabilmente anche sul metatesto.

Un secondo tipo di residuo, piuttosto consistente, è dovuto alla diversa ampiezza dei campi semantici delle parole inglesi e di quelle italiane. Molte volte infatti i sostantivi inglesi coprono, da soli, un campo semantico tanto vasto che in italiano sarebbero necessarie più parole per riuscire a raggiungerne uno altrettanto ampio.

Si consideri, ad esempio, un sostantivo come speech, che ricorre diverse volte nel testo della Gorlée. Ho riportato qui a titolo esemplificativo tre passi tratti dalle pagine 59 e 61.

 

[…] That these two things should have come to be called by one name, in English, French, and Spanish, a name that in classical Latin means simply, running about, is one of the curious growths of speech. (MS 597:2,c. 1902 citato in Gorlée 2004 : 59)

 

Propositions refer to a series of possibilities in speech, leading to a certain belief in the hearer. (Gorlée 2004 : 59)

 

By categorizing signs not by their material aspects but by the different ways in which they may be meaningful, Peirce conceived of many human languages – speech, gestures, music, and others – […] (Gorlée 2004 : 61)

Nel primo caso ho tradotto speech con «lingua», nel secondo con «discorso» e nel terzo con «il parlato».

Il Cambridge Advance Learner’s Dictionary riporta la seguente definizione di speech:

Definition

speech (SAY WORDS)
noun
1 [U] the ability to talk, the activity of talking, or a piece of spoken language
2 [U] the way a person talks
3 [U] the language used when talking
4 [C] a set of words spoken in a play

speech (FORMAL TALK)
noun [C]
a formal talk given usually to a large number of people on a special occasion

Ad ognuna di queste accezioni di speech corrispondono in italiano uno o più traducenti, i cui campi semantici spesso si sovrappongono. Ad esempio in 1 speech potrebbe essere tradotto con «capacità» o «facoltà di parlare», ma anche con «discorso», in 2 con «parlata», «modo di esprimersi», in 3 con «lingua parlata» e in 4 con «monologo», «discorso» oppure, nell’ultimo caso, con «discorso formale».

È evidente che il traduttore si trova a dover scegliere un solo traducente, alterando in questo modo lo spettro semantico del segno che viene presentato al lettore del metatesto. Infatti, traducendo speech con, ad esempio, «discorso» ottengo uno spettro semantico che, pur avendo una parte in comune con quello del prototesto, assume nella cultura ricevente anche altri significati, non sempre contemplati dall’autrice del prototesto. Ad esempio «discorso» ha come accezioni «colloquio», «conversazione» ma anche «linea di condotta», «linea di orientamento».

In seguito alla scelta del traducente, che è un atto interpretativo, lo spazio ermeneutico si restringe bruscamente per poi dare vita ad un nuovo circuito semiotico coincidente soltanto in parte con quello del prototesto.

 

 

spettro semantico

del prototesto

scelta di un traducente

(restringimento del campo semantico)

spettro semantico del metatesto

colloquio

 

conversazione

 

linea di condotta

 

 

 

 

 


        

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Lo stesso si potrebbe dire per il sostantivo mark, che occorre nella nota 21 a pagina 87 di On translating Signs Exploring Text and Semio-translation:

 

His long list includes many instances of verbal communication, spoken and/or written:”Then we have mark, note, trait, […]”(PW : 194, 1905 citato in Gorlée 2004 : 87)

 

Il Cambridge Advance Learner’s Dictionary riporta la seguente definizione di mark:

 

Definition

mark (SYMBOL)
noun [C]
1 a symbol which is used for giving information:
e.g. I’ve put a mark on the map where I think we should go for a picnic.

2 a written or printed symbol:
e.g. a question mark

mark (REPRESENTATION)
noun [C]
an action which is understood to represent or show a characteristic of a person or thing or feeling:
e.g. He took off his hat as a mark of respect for her dead husband.

mark (JUDGMENT)
noun [C] MAINLY UK
a judgment, expressed as a number or letter, about the quality of a piece of work done at school, college or university

mark (LEVEL)
noun [S]
the intended or desired level:
e.g. Sales have already passed the million mark.

 

Alcuni possibili traducenti di mark potrebbero essere «segno», «marchio», «marca», «voto», «valutazione», «livello», «grado».

Fra tutti questi traducenti ho scelto, coerentemente alla strategia traduttiva messa a punto fondata sul concetto di adeguatezza (paragrafo2.7), quello che più richiama il prototesto, ovvero l’italiano «marchio».

Un secondo tipo di residuo è semantico, ovvero riguarda quei vocaboli appartenenti alla cultura del prototesto che non trova un corrispondente adatto nella lingua italiana.

Si consideri, ad esempio, il sostantivo inglese agency, che occorre alla pagina 66 di On translating Signs Exploring Text and Semio-translation:

As all semiotic signs, the text-sign is a living agency actively seeking to realize itself through some interpreting mind rather than passively waiting to be realized by it, as is the case in linguistic semiotics. (Gorlée 2004 : 66)

 

Trovare una traduzione per il sostantivo «agency» non è stato facile. Infatti, proporre nel metatesto «agenzia» secondo il criterio dell’adeguatezza avrebbe comportato in italiano un residuo traduttivo non indifferente, essendo il primo significato evocato dalla parola «agenzia» quello di «agenzia viaggi». Per meglio comprendere il significato di «agency» nel prototesto sono ricorsa allora all’aiuto dell’autrice stessa, la quale mi ha spiegato che con questo sostantivo intende un’«azione» o un «complesso di atti o azioni». «Agency» deriva infatti dall’inglese actor, inteso non in senso teatrale-cinematografico ma come «colui che produce un effetto» o «agente». Nel metatesto ho perciò tradotto «agency» con «azione».

 

 

2.9 Difficoltà della traduzione

 

Come già accennato al paragrafo 2.5, la scelta dell’autrice di scrivere in inglese, ovvero in una lingua diversa dalla sua lingua madre, influisce sul processo traduttivo, complicandolo. Infatti, oltre ai normali problemi che si incontrano quando si traduce un testo – elaborare una strategia traduttiva adeguata, trovare delle soluzioni alle difficoltà di resa, gestire le parole intraducibili, colmare le differenze, a tutti i livelli, fra source e target language – si evidenzia qui una difficoltà ulteriore: traducendo il testo della Gorlée mi sono infatti trovata di fronte ad un prototesto che, in alcuni punti, è di difficile comprensione. Se questa difficoltà può talvolta essere attribuita alla mia scarsa conoscenza degli argomenti illustrati – che la Gorlée tratta in modo molto approfondito – o all’utilizzo di un registro aulico, o ancora di periodi complessi ed elaborati, altre volte deriva però da un uso molto tecnico delle strutture sintattiche e grammaticali inglesi.

Qui di seguito ho riportato qualche esempio di passi del prototesto la cui comprensione risulta difficoltosa proprio per via di quest’uso tecnico delle strutture linguistiche inglesi.

 

 

2.9.1 Esempi di frasi difficili da capire

 

Peirce referred to the latter’s “Greek text,” saying that “the context of the book calls more emphatically for a charter of very different meaning from that which we read in the present text” and “the meaning that can be attached to the existing text,” written by Aristotle (MS 759: 10-11, c.1906 citato in Gorlée 2004 : 58)

 

In questo passo la reggenza della seconda parte della citazione non è di così immediata comprensione. L’autrice infatti estrapola per ben due volte le parole di Peirce dal loro contesto e cotesto originali, inserendole in un contesto e cotesto nuovi. Ad una prima lettura si è indotti a credere che la seconda parte della citazione, quella che inizia con «the meaning», sia un elemento a sé stante, e soltanto rileggendo attentamente il passo si scopre che è retta dalla preposizione «from».

 

In a Peircean semiotics, […] (Gorlée 2004 : 59)

 

[…], in a Peircean phenomenology, […] (Gorlée 2004 : 61)

 

In questi due passi l’uso dell’articolo indeterminativo, che ad una prima lettura può apparire un po’ innaturale e forzato, è dovuto ad una questione di enfasi: autori diversi hanno sviluppato le loro semiotiche, muovendo però sempre da un terreno comune: Peirce e la sua semiotica. Perciò, servendosi dell’articolo indeterminativo, l’autrice compie una scelta ben precisa, intesa a sottolineare non soltanto che si sta parlando della semiotica di Peirce, ma anche che questa è una semiotica in particolare fra le tante sviluppatesi successivamente.

In italiano verrebbe spontaneo tradurre quest’articolo indeterminativo con uno determinativo: «nella semiotica di Peirce». Così facendo, però, andrebbe persa l’importante sfumatura voluta dall’autrice e si verrebbe meno al criterio dell’adeguatezza.

 

 

 

III

Traduzione

 

Peirce, Text and Sign

 

Peirce, as fin-de-siècle scientist, did occasionally use “text” in a modem sense of the term.17 Nevertheless, in Peirce’s day “text” was commonly used in classical philology, religious studies, and related disciplines, to refer to the words of Greek and Latin authors, and other, preferably “ancient” (CTN: 1: 158, 1892), pieces of writing. These were manuscripts invested with special authority, the Bible especially, and Aristotle’s writings. Peirce referred to the latter’s “Greek text,” saying that “the context of the book calls more emphatically for a chapter of very different meaning from that which we read in the present text” and the “meaning that can be attached to the existing text,” written by Aristotle (MS 759: 10-11, c.1906). This is how Peirce commonly used the term, and likewise this is how his Swiss contemporary, Saussure, spoke of (translated) “written texts” (Saussure [1916] 1959: 1, 7), namely, as objects of commentary and exegesis.

With regard to the modem meaning of text, which we take as the object of research in these pages, Peirce, as a sign-theoretician, used terms such as symbol, discourse, proposition, and argument, thereby addressing himself to purpose of Thirdness, involving the logical properties of the text today. Here it must suffice to characterize briefly the several concepts through which Peirce approached the phenomenon of text: A symbol is a sign requiring intelligent interpretation to become meaningful. It is the agreed-on vehicle of thought, and “all thinking is conducted in signs that are mainly of the same structure as words … , or symbols” (CP: 6.338, c.1909, Peirce’s emphasis). Reasoning – that is, the logical interpretation of signs by signs, whether spoken, written, or otherwise – always takes a discursive form (as opposed to discourse today, as mentioned before). Peirce wrote that

 

Reasoning by our older authors Shakespeare, Milton, etc. is called “discourse of reasoning”, or “discourse” simply. The expression is not yet obsolete in the dialect of philosophers. But “discourse” also means talk, especially


Peirce, testo e segno

 

Peirce, come scienziato fin-de-siècle, usò occasionalmente «testo» in un’accezione moderna del termine.17 Eppure al tempo di Peirce «testo» era usato comunemente in filologia classica, negli studi religiosi e nelle discipline ad essi correlate con riferimento alle parole degli autori greci e latini e ad altri scritti, preferibilmente “antichi” (CTN: 1: 158, 1892). Si trattava di manoscritti investiti di un’autorevolezza speciale, soprattutto la Bibbia e gli scritti di Aristotele. A proposito del «testo greco» di quest’ultimo, Peirce diceva che «il contesto del libro richiede in modo evidente un capitolo di significato molto diverso da quello che leggiamo nel testo attuale» e «dal significato attribuibile al testo esistente» scritto da Aristotele (MS 759: 10-11, c.1906). È in questo modo che Peirce soleva usare questo termine, e analogamente il suo contemporaneo svizzero, Saussure, parlava di «testi scritti» (tradotti) (Saussure [1916] 1959: 1, 7), come di oggetti di commentario e di esegesi.

Per quanto riguarda il significato moderno di «testo», che in queste pagine assurgiamo ad oggetto della nostra indagine, Peirce, da teorico del segno, usava termini quali «simbolo», «discorso», «proposizione» e «argomento» riferendosi così allo scopo della Terzità, coinvolgendo le proprietà logiche del testo inteso in senso moderno. Qui è sufficiente caratterizzare brevemente i diversi concetti con cui Peirce si è accostato al fenomeno del «testo»: un simbolo è un segno che necessita di un’interpretazione intelligente per poter assumere significato. E’ il veicolo convenuto del pensiero, e «tutto il pensiero viene condotto in segni che fondamentalmente presentano la stessa struttura delle parole […], o simboli» (CP: 6.338, c.1909, corsivo di Peirce).

Il ragionamento – ovvero l’interpretazione logica dei segni attraverso i segni, siano essi orali, scritti o di altra natura – assume sempre una forma discorsiva (in contrapposizione al discorso oggi, come accennato prima). Peirce scriveva che

 

Il ragionamento è chiamato, dai nostri autori antichi come Shakespeare, Milton ecc…«discorso di ragionamento» o semplicemente «discorso». Quest’espressione non è ancora caduta in disuso nel dialetto dei filosofi. Ma «discorso» significa anche conversazione, specialmente


talk monopolized. That these two things, reasoning and talk, should have come to be called by one name, in English, French, and Spanish, a name that in classical Latin means simply, running about, is one of the curious growths of speech. (MS 597:2,c. 1902)

 

However, Peirce hastened to add to this that discourse, or reasoning, is “communication”, and hence not “a sort of talk with oneself … addressed to oneself” (MS 597: 3, c.1902), but a dialogue addressed to some real or fictional receiver or interpreter.

Peirce stated that “discourse consists of arguments, composed of propositions, and they of general terms, relative and non-relative, of singular names, and of something that may be called copulas, of relative pronouns, etc. according to the family of speech that one compares the discourse to …” (MS 939: 27, 1905). Accordingly, a “proposition” is, for Peirce, “any product of language, which has the form that adapts it to instilling belief into the mind of the person addressed, supposing him to have confidence in its utterer” (MS 664: 8, 1910). A proposition “may relate to several such universes” such as “‘No admittance except on business,’ over a door is a general proposition, but it relates to that door” and “if I say ‘Hamlet’s purposes were sometimes undecided,’ I refer to the fictions created by Shakespeare,” whereas “the proposition ‘all men are mortal,’ refers to the actual universe” (MS 789: 7, 3, 5, 6, n.d.). Proposition refers to a series of possibilities in speech, leading to a certain belief in the hearer. In what Peirce called argument, “[c]ertain facts are stated in such a way as to convince a person of the reality of a certain truth, that is, the argumentation is designed to determine in his mind a representation of that truth” (MS 599: 43, c. 1902). Applied to written texts, the concepts of symbol, discourse, proposition, argument, inter alia enable us to deal logically (that is, semiotically) with the text as a device for verbal definition, suggestion, persuasion, instruction, and other forms of communication deviced through words in a particular language which speaker and hearer have in common. Firstly, it is necessary to consider the text as a material object. Construed in Peircean terms, it is a sign and, more specifically, a verbal sign.

 

 

 


conversazione, specialmente conversazione monopolizzata. Che queste due cose, ragionamento e conversazione, siano giunte ad essere chiamate con un solo nome in inglese, in francese, in spagnolo, un nome che in latino classico significa semplicemente «correre qua e là», è uno dei curiosi sviluppi della lingua. (MS 597:2, c. 1902)

 

Ad ogni modo Peirce si affrettò ad aggiungere che il discorso, o ragionamento, è «comunicazione» e pertanto non «una sorta di conversazione fra sé […] rivolta a sé stessi» (MS 597: 3, c.1902), bensì un dialogo rivolto ad un ricevente o interprete reale o finzionale.

Peirce affermava che «il discorso consiste di argomenti, che si compongono di proposizioni, e queste di termini generali, relativi e non, di nomi singolari e di cose che potrebbero essere chiamate «copule», di pronomi relativi, ecc… a seconda della famiglia linguistica con cui si confronta il discorso […]» (MS 939: 27, 1905). Pertanto per Peirce una «proposizione» è «un qualsiasi prodotto linguistico la cui forma lo renda adatto ad instillare convincimento nella mente della persona cui si rivolge, supponendo che questi si fidi dell’enunciatore» (MS 664: 8, 1910). Una proposizione «può riferirsi a svariati universi come questo» come «”Vietato l’ingresso ai non addetti” su una porta è una proposizione generale, ma si riferisce a quella porta» e «se dico “A volte i propositi di Amleto erano incerti”, mi riferisco ai mondi finzionali immaginati da Shakespeare» mentre «la proposizione “tutti gli uomini sono mortali” si riferisce all’universo reale» (MS 789: 7, 3, 5, 6, n.d.). Una proposizione si riferisce ad una serie di possibilità nel discorso che portano ad un certo grado di convincimento in chi ascolta. In ciò che Peirce chiamava «argomento» «certi fatti sono enunciati in modo tale da convincere una persona della realtà di una certa verità, vale a dire l’argomentazione è studiata per determinare nella sua mente una rappresentazione di quella verità» (MS 599: 43, c.1902).

Applicati ai testi scritti i concetti di «simbolo», «discorso», «proposizione», «argomento» ci permettono, fra l’altro, di trattare il testo in modo logico (cioè semiotico) come uno strumento per la definizione, la suggestione, la persuasione, l’istruzione e per altre forme di comunicazione verbale in una certa lingua che il parlante e l’ascoltatore hanno in comune. Innanzitutto è necessario considerare il testo come un oggetto materiale. Tradotto in termini peirceiani è un segno e, più nello specifico, un segno verbale.


As a sign it must be seen on a par with all other objects which in Peirce’s logic are susceptible of signhood.

In a Peircean semiotics, anything – any feeling, object, event, phenomenon, concept, etc. – can, observed in certain circumstances, become a semiotic sign. A sign signifies, and thus survives, because it has some quality or distinctive property which turn it into a sign to somebody or something. This implies that a sign must be somehow puzzling, interesting, intriguing, or otherwise require someone’s special attention, by suggesting that it means something other than itself, thereby inviting, even requiring some explanation. For me, a semiotic translation-theoretician, this new information is a translation of the primary sign.

Max Fisch underscores that “Peirce’s general theory of signs is so general as to entail that, whatever else anything may be, it is also a sign” (Fisch 1983: 56). According to Peirce, “Signs in general [are] a class which includes pictures, symptoms, words, sentences, books, libraries, signals, orders of command, microscopes, legislative representatives, musical concertos, performances of these…” (MS 634: 18, 1909). In short, “A sign is any sort of thing” (MS 800: 2, [1903?], provided it is an interesting or puzzling “representation” to someone or something, and thus “stands for something to the idea which it produces, or modifies. Or it is a vehicle conveying into the mind something from without” (NEM: 4: 309, 1895), that is to say, something in the world. 18

Peircean scholars have frequently commented on the fact that Peirce’s concept of sign is very broad; at any rate, much broader than and emcompassing all other semioticians’s conceptions of signhood. According to Greenlee, it is “deliberately broad” (1973:24), but not just for the sake of broadness. We must note Peirce’s own affirmation that it “is a very broad conception, but the whole breath of it is pertinent to logic” (NEM: 3: 233, 1909). Indeed, despite Peirce’s numerous definitions and redefinitions of the sign throughout his intellectual career19, he never abandoned the broadness of its scope; nor did he change the essence of the logical properties of the sign as “something, A, which denotes some fact or object, B, to some interpretant thought, C” (CP: 1.346, 1903).


In quanto segno deve essere visto alla pari di tutti gli altri oggetti che nella logica di Peirce sono suscettibili di segnità. In una semiotica di Peirce qualunque cosa – qualsiasi sentimento, oggetto, evento, fenomeno, concetto ecc… – può, osservata in certe circostanze, divenire un segno semiotico. Un segno significa, e quindi sopravvive, perché possiede una qualche qualità o proprietà distintiva che lo trasforma in un segno per qualcuno o qualcosa. Ciò implica che un segno deve in qualche modo disorientare, interessare, intrigare, o deve richiedere l’attenzione speciale di qualcuno in altro modo, suggerendo che significa qualcosa di diverso da sé e in questo modo invitando, richiedendo addirittura una qualche spiegazione. Per me, teorica della semiotica della traduzione, questa nuova informazione è una traduzione del segno primario.

Max Fisch sottolinea che «la teoria generale dei segni di Peirce è tanto generale da implicare che una cosa qualsiasi, qualunque altra cosa possa essere, è anche un segno» (Fisch 1983: 56). Secondo Peirce «I segni in generale [sono] una classe che include figure, sintomi, parole, frasi, libri, biblioteche, segnali, comandi, microscopi, rappresentanti legislativi, concerti musicali, le esecuzioni di questi […]» (MS 634: 18, 1909). In breve, «Un segno è qualsiasi cosa» (MS 800: 2, [1903?], a condizione che sia una «rappresentazione» interessante o disorientante per qualcuno o qualcosa e dunque «che stia per qualcosa all’idea che produce o modifica. Oppure è un veicolo che trasporta nella mente qualcosa dall’esterno» (NEM: 4: 309, 1895), vale a dire è qualcosa nel mondo. 18

Gli studiosi di Peirce spesso hanno osservato che il concetto peirceiano di segno è molto ampio; in ogni caso molto più ampio dei concetti di segnità di tutti gli altri semiotici e comprensivo di tutti questi. Secondo Greenlee è «volutamente ampio» (1973:24), ma non soltanto per amore dell’ampiezza. Dobbiamo sottolineare l’affermazione di Peirce stesso che «è una concezione molto ampia ma il suo respiro è interamente pertinente alla logica» (NEM: 3: 233, 1909). In effetti Peirce, nonostante avesse definito e ridefinito il segno diverse volte nel corso della sua carriera intellettuale19, non abbandonò mai l’ampiezza della sua portata; e nemmeno cambiò l’essenza delle proprietà logiche del segno come «qualcosa, A, che denota un certo fatto o oggetto, B, per un certo pensiero interpretante, C» (CP: 1.346, 1903).


There is substantial evidence from Peirce’s work that he took a keen interest in language and linguistics, in addition to many other fields of research, theoretical and applied. Peirce’s numerous linguistically-oriented essays, the first of which was his 1865 Harvard Lecture I (W: 1: 162ff., 1865), manifest a deeply-felt concern with language as a logical sign system, which for Peirce meant a semiotic sign system. This interest manifests itself most promently in Peirce’s later period (from 1902), when the idea of a phenomenology governed by the three modes of being – Firstness, Secondness, Thirdness – had crystallized deeply in the philosopher’s mind. Unlike phenomenology in the more customary sense, Peirce viewed it as the phenomenological science that studies “the collective total of all that is in any way present to the mind, quite regardless of whether it corresponds to any real thing or not” (CP: 1.284, 1905).

The object of study can thus be, in a Peircean phenomenology, all that can possibly be perceived or thought. Thus we find linguistic phenomena rubbing shoulders with the myriad phenomena of a non-linguistic nature which catch the attention of the seer, listener, reader and interpreter. Peirce’s doctrine of the three categories provides a means of dealing with all such phenomena, without discrimination, though not equally. To place Peirce’s thought under the banner of philosophy of language is, nevertheless, a serious misconstrual of the facts, because it would fail to do justice to the universal scope of Peirce’s logic. This is brought out beautifully by Jakobson, thus:

 

Peirce’s semiotic edifice encloses the whole multiplicity of significative phenomena, whether a knock at the door, a footprint, a spontaneous cry, a painting or a musical score, a conversation, a silent meditation, a piece of writing, a syllogism, an algebraic equation, a geometric diagram, a weather vane, or a simple bookmark. The comparative study of several sign systems carried out by the researcher revealed the fundamental convergences and divergences which had as yet remained unnoticed. Peirce’s works demonstrate a particular perspicacity when he deals with the categoric nature of language in the phonic, grammatical and lexical aspects of words as well as in their arrangement within clauses, and in the implementation of the clauses with respect to the utterances. At the same time, the author realizes that his research “must extend over the whole of general Semeiotic,” and warns his


Nell’opera di Peirce vi sono prove sostanziali del suo vivo interesse per la lingua e la linguistica, oltre che per molti altri ambiti di ricerca, sia teorici che applicativi. I numerosi saggi di Peirce orientati verso la linguistica, il primo dei quali fu il suo Harvard Lecture I del 1865 (W: 1: 162 sg., 1865), rivelano una profonda preoccupazione per la lingua in quanto sistema segnico logico, che per Peirce voleva dire sistema di segni semiotico. Questo interesse si manifesta massimamente nell’ultimo periodo peirceiano (a partire dal 1902), quando l’idea di una fenomenologia governata dai tre modi di essere – Primità, Secondità, Terzità – si era profondamente cristallizzata nella mente del filosofo. Diversamente dalla fenomenologia in senso più tradizionale, Peirce la vedeva come la scienza fenomenologica che studia «il totale collettivo di tutto ciò che è presente nella mente in qualsiasi modo, senza tener conto del fatto che corrisponda o meno a una cosa reale» (CP: 1.284, 1905).

Pertanto, in una fenomenologia peirceiana, l’oggetto di studio può essere tutto ciò che sia dato di percepire o di pensare. Di conseguenza troviamo fenomeni linguistici che vengono a contatto con la miriade di fenomeni di natura non linguistica che attirano l’attenzione di chi vede, di chi ascolta, di chi legge e di chi interpreta. La dottrina peirceiana delle tre categorie fornisce gli strumenti per trattare tutti i fenomeni di questo tipo senza discriminazione, sebbene non allo stesso modo. Nondimeno collocare il pensiero di Peirce sotto il nome di filosofia del linguaggio è un grave errore di interpretazione dei fatti, poiché si manca di rendere giustizia alla portata universale della logica di Peirce. Ciò viene messo bene in risalto da Jakobson, in questo modo:

 

L’edificio semiotico di Peirce racchiude l’intera molteplicità dei fenomeni significativi, siano essi una bussata alla porta, un’impronta, un grido spontaneo, un dipinto o uno spartito musicale, una conversazione, una meditazione silenziosa, uno scritto, un sillogismo, un’equazione algebrica, un diagramma geometrico, un segnavento o un semplice segnalibro. Lo studio comparato di diversi sistemi segnici condotto da Peirce ha rivelato le fondamentali convergenze e divergenze che finora erano rimaste inosservate. Le opere di Peirce dimostrano una particolare perspicacia quando l’autore tratta la natura categorica della lingua negli aspetti fonici, grammaticali e lessicali delle parole così come nella loro disposizione all’interno delle proposizioni e nella realizzazione delle proposizioni in relazione agli enunciati. Al contempo Peirce comprende che la sua ricerca «deve estendersi a tutta la Semiotica generale» e mette in guardia la sua


epistolary interlocutor, Lady Welby: “Perhaps you are in danger of falling into some error in consequence of limiting your studies so much to Language.” (Jakobson 1987: 442)

 

By categorizing signs not by their material aspects but by the different ways in which they may be meaningful, Peirce conceived of many human languages – speech, gestures, music, and others – in which experience may be communicated. Language, consisting of verbal signs is, of course, pivotal among these languages. Peirce said that “By a ‘verbal sign I mean a word, sentence, book, library, literature, language, or anything else composed of words” (MS 318: 239,1907) 20. This list, from Peirce’s later period, is nearly echoic of earlier enumerations, such as “words and phrases, and speeches, and books, and libraries” (MS 404: 5, 1893). As Fisch interprets Peirce,

 

It goes without saying that words are signs; and it goes almost without saying that phrases, clauses, sentences, speeches, and extended conversations are signs. So are poems, essays, short stories, novels, orations, plays, operas, journal articles, scientific reports, and mathematical demonstrations. So a sign may be a constituent part of a more complex sign, and all the constituent parts of a complex sign are signs. (Fisch 1983:56-57)

 

Scattered throughout Peirce’s works are numerous references to, and discussions of discourse in the form of written signs of all kinds, from isolated simple word-signs to complex verbal structures. For instance, the words “witch” (MS 634: 7, 1909), “Hi!” (MS 1135: 10, [18951]1896), “runs” (MS 318: 72, 1907), and “whatever” (CP: 8.350, 1908) are for Peirce signs; so is “the word ‘man’ [which] as printed, has three letters; these letters have certain shapes, and are black” (W: 3: 62, 1873; cf. MS 9: 2, 1904). Peirce considered as a semiotic sign “[a]ny ordinary word, as ‘give’, bird’, ‘marriage'” (CP: 2.298, 1893) 21 and combinations of words, such as “all but one”, “twothirds of”, “on the right (or left) of” (CP: 2.289-2.290, c.1893).

In his writings, Peirce further presented and analyzed many sentence-signs, both grammatically complete or elliptic, such as “Napoleon was a liar” (MS 229C: 505, 1905), “King Edward is ill” (MS


interlocutrice epistolare, Lady Welby:«Forse state rischiando di cadere in un qualche errore poiché limitate i vostri studi così tanto alla Lingua» (Jakobson 1987: 442).

 

Categorizzando i segni non a seconda dei loro aspetti materiali ma secondo i diversi modi in cui possono essere significativi, Peirce concepiva molti linguaggi umani – il parlato, i gesti, la musica e altri – attraverso cui l’esperienza può essere comunicata. La lingua, consistendo di segni verbali, riveste certamente un ruolo cruciale fra questi linguaggi. Peirce diceva che «Per “segno verbale” intendo una parola, un periodo, un libro, una biblioteca, una letteratura, una lingua o qualsiasi altra cosa fatta di parole» (MS 318; 239, 1907) 20. Questa lista, dall’ultimo periodo peirceiano, è quasi un’eco delle enumerazioni precedenti come «parole e frasi, e discorsi, e libri e biblioteche» (MS 404: 5, 1893). Come Fisch interpreta Peirce,

 

Va da sé che le parole sono segni; e va quasi da sé che le frasi, le proposizioni, i periodi, i discorsi e le conversazioni lunghe sono segni. Lo sono anche le poesie, i saggi, le novelle, i romanzi, le orazioni, le opere teatrali, quelle liriche, gli articoli di giornale, le relazioni scientifiche e le dimostrazioni matematiche. Così un segno può essere una parte costitutiva di un segno più complesso e tutte le parti costitutive di un segno complesso sono segni. (Fisch 1983:56-57)

 

Nelle opere di Peirce sono disseminati numerosi riferimenti al discorso e discussioni sottoforma di segni scritti di tutti i tipi, da semplici segni-parole isolati a complesse strutture verbali. Ad esempio per Peirce le parole «witch» (MS 634: 7, 1909), «Hi!» (MS 1135: 10, [1895] 1896), «runs» (MS 318: 72, 1907) e «wathever» (CP: 8.350, 1908) sono segni; anche «la parola “man” che, così stampata, si compone di tre lettere, è un segno; queste lettere hanno determinate forme e sono nere» (W: 3: 62, 1873; cf. MS 9: 2, 1904). Peirce considerava segno semiotico «qualsiasi parola comune come “give”, “bird”, “marriage”» (CP: 2.298, 1983) 21 e combinazioni di parole come «all but one», «twothirds of», «on the right (or left) of» (CP: 2.289-2.290, c.1893).

Nei suoi scritti Peirce presentò ed analizzò ulteriormente molti segni-frasi, sia grammaticalmente completi che ellittici, come «Napoleon was a liar» (MS 229C: 505, 1905), «King Edward is ill» (MS


800: 5, [1903?]), “Fine day!” (MS 318: 69, 1907), “Let Kax denote a gas furnace” (CP: 7.50, 1867), “Burnt child shuns fire” (MS 318: 154-155, 1907), and “Any man will die” “(MS 318: 74, 1907). By the same token, Peirce wrote that “If – then –––”, “––– causes ––– “. ” ––– would be –––”, and ” ––– is relative to – for ––– ” are “among linguistic signs” (CP: 8.350, 1908). Peirce’s favorite examples of sentence-signs were perhaps, chronologically, “This stove is black” (e.g., CP: 1.551, 1867), the military command “Ground arms!” (e.g., CP: 5.473, 1907 and MS 318: 37, 175, 214, 244, 1907), and “Cain killed Abel” (e.g., NEM: 3: . 839, 1909 and CP: 2.230, 1910), all of these repeatedly used by Peirce as illustrative logical examples.

Pieces of discursive writing (that is, texts) are signs. Though a sentence may sometimes be a text in itself, texts are more commonly combinations of sentences, complex signs that in turn consist of signs, which again consist of signs. This may be exemplified by the syllogism, understood as a compound sign built up, logically as well as linguistically, of three subsigns, which are in turn divisible, and which lead to a result: “All conquerors are Butchers / Napoleon is a conqueror / [therefore] Napoleon is a butcher” (W: 1: 164, 1865). The theater directory and the weather forecast published in the newspaper are, for Peirce, predictive signs (MS 634: 23, 1909); so are “the books of a bank” (MS 318: 58, 1907) and “an old MS. letter … which gives some details about … the great fire of London” (MS 318: 65, 1907). As a further example of a verbal text-sign mentioned by Peirce we might finally mention “Goethe’s book on the Theory of Colors … made up of letters, words, sentences, paragraphs, etc.” (MS 7: 18, 1904).

 

Text and Semiosis

 

All linguistic signs, regardless of size or complexity, are first and foremost signs of Thirdness: Peirce’s symbolic signs (see CP: 5.73, 1903). “All words, sentences, books and other conventional signs are Symbols” (CP: 2.292, c.1902). They stand for the intended object not because they have a qualitative or structural similarity to it, which would make them iconic signs; nor are they physically or causally connected with their object, as is the case of indexical signs. A symbolic sign


800: 5, [1903?], «Fine day!» (MS 318: 69, 1907), «Let Kax denote a gas furnace» (CP: 7.50, 1867), «Burnt child shuns fire» (MS 318: 154-155, 1907) e «Any man will die» (MS 318: 74, 1907). Analogamente Peirce scrisse che «If – then –––», «––– causes –––». «––– would be –––», e «––– is relative to – for –––» sono «fra i segni linguistici» (CP: 8.350, 1908). Gli esempi di segni-frasi preferiti da Peirce erano forse, cronologicamente, «This stove is black» (ad esempio CP: 1.551, 1867), il comando militare «Ground arms!» (ad esempio CP: 5.473, 1907 e MS 318: 37, 175, 214, 244, 1907) e «Cain killed Abel» (ad esempio NEM: 3: 839, 1909 e CP: 2.230, 1910), tutti ripetutamente usati da Peirce come esempi illustrativi logici.

I pezzi di scritto discorsivo (cioè i testi) sono segni. Sebbene a volte un periodo possa essere un testo di per sé, più comunemente i testi sono combinazioni di periodi, segni complessi che a loro volta sono fatti di segni, che ancora si compongono di segni. Lo si potrebbe esemplificare attraverso il sillogismo, inteso come un segno composto costituito, sia a livello logico che linguistico, da tre sottosegni, che a loro volta sono divisibili e che conducono ad un risultato:«All conquerors are butchers / Napoleon is a conqueror / [therefore] Napoleon is a butcher» (W: 1: 164, 1865). Per Peirce la pagina dei teatri e le previsioni del tempo pubblicate sul giornale sono segni predittivi (MS 634: 23, 1909); lo stesso dicasi per « le scritture contabili di una banca» (MS 318: 58, 1907) e per «una vecchia lettera manoscritta […] che fornisce alcuni dettagli sul […] grande incendio di Londra» (MS 318: 65, 1907). Come ulteriore esempio di segno-testo verbale menzionato da Peirce potremmo infine citare il «libro di Goethe sulla teoria dei colori […] fatto di lettere, parole, periodi, paragrafi ecc…» (MS 7: 18, 1904).

 

Testo e semiosi

 

Tutti i segni linguistici, indipendentemente dalla loro ampiezza o complessità, sono innanzitutto segni di Terzità: i segni simbolici di Peirce (vedi CP: 5.73, 1903). «Tutte le parole, i periodi, i libri e gli altri segni convenzionali sono Simboli» (CP: 2.292, c.1902). Stanno per l’oggetto inteso non perché vi somiglino qualitativamente o strutturalmente, cosa che li renderebbe segni iconici; e nemmeno perché si ricollegano al loro oggetto fisicamente o causalmente, come nel caso dei segni indicali. Un segno

is a sign “simply because it will be understood to be a sign” (MS 307: 15, 1903) and it “is applicable to whatever may be found to realize the idea connected [with it]” (CP: 2.298, 1893). As Thirds, symbolic signs only function fully in a triadic sign relation that includes the sign itself, the object it stands for, and the sign in which the “first” sign is interpreted, its interpretant:

 

If this triple relation is not of a degenerate species, the sign is related to its object only in consequence of a mental association, and depends upon habit. Such signs are always abstract and general, because habits are general rules to which the organism has become subjected. They are, for the most part, conventional or arbitrary. They include all general words, the main body of speech, and any mode of conveying a judgment. (CP:3.13, 1867)

 

“Habit” must here be understood in the Peircean sense: not as something fixed once and for all, but, on the contrary, as a flexible rule of procedure adopted for the practical purpose of successfully interpreting a sign. All signs that not only deal with feeling (Firstness) nor with action (Secondness) but with thought (Thirdness), namely Peirce’s “intellectual concepts” (CP: 5.467, 1907), are in this sense habitual. The understanding and interpretation of linguistic signs is an intellectual, cognitive activity, and linguistic signs are therefore a habit-bound, rule-governed activity22.

Nevertheless, the rule must always be conceived as being ultimately based upon some deliberate resolution adopted by the language users to give certain linguistic signs certain meanings. This in turn implies that language users as a group may also at any point decide to change the rules, and “new” rules may be over-ruled in their turn by any subsequent decision. As repeatedly argued by Thomas Sebeok, change is essential to the verbal sign, including the constant change in all human languages. This is a crucial concept for the development of translation studies. The concept of the linguistic sign as an ad hoc rule of procedure would seemingly make it into an arbitrary entity, one which, paradoxically,


simbolico è un segno «semplicemente perché sarà compreso come tale» (MS 307: 15, 1903) ed «è applicabile a qualsiasi cosa possa comprendere l’idea [ad esso] connessa» (CP: 2.298, 1893). In quanto terzi, i segni simbolici funzionano pienamente soltanto in una relazione segnica triadica che include il segno stesso, l’oggetto che rappresenta e il segno in cui il “primo” segno è interpretato, il suo interpretante:

 

Se questa relazione tripla non è di specie degenere, il segno è correlato al suo oggetto solo a seguito di un’associazione mentale e dipende dall’abitudine. Tali segni sono sempre astratti e generali, essendo le abitudini regole generali cui l’organismo è divenuto soggetto. Sono, per la maggior parte, convenzionali o arbitrari. Comprendono tutte le parole generali, buona parte del vocabolario comune e tutti i modi di esprimere un giudizio. (CP:3.13, 1867)

 

«Abitudine» deve essere qui intesa in senso peirceiano: non come qualcosa di stabilito una volta per tutte ma, al contrario, come una flessibile norma procedurale adottata allo scopo pratico di interpretare correttamente un segno. Tutti i segni che non solo hanno a che vedere con il sentire (Primità), e neppure con l’azione (Secondità) bensì con il pensiero (Terzità), ovvero i «concetti intellettuali» di Peirce (CP: 5.467, 1907), sono in questo senso abituali. La comprensione e l’interpretazione dei segni linguistici è un’attività intellettuale, cognitiva e dunque i segni linguistici sono un’attività vincolata dall’abitudine e governata dalla regola22.

Tuttavia la norma dev’essere sempre concepita come fondata, in definitiva, su una qualche decisione deliberatamente presa dai parlanti per conferire a determinati segni determinati significati. Questo a sua volta implica che i parlanti come gruppo possano anche decidere, in qualsiasi momento, di cambiare le regole, e le “nuove” regole possono a loro volta essere invalidate da qualsiasi decisione successiva. Come ripetutamente affermato da Thomas Sebeok, il cambiamento è essenziale al segno verbale, compreso il costante cambiamento in tutte le lingue umane. Questo è un concetto cruciale per lo sviluppo delle ricerche traduttologiche. Il concetto di segno linguistico come norma di procedimento ad hoc sembrerebbe trasformarlo in un’entità arbitraria, un’entità che, paradossalmente,


would be unsuitable for efficient communication. The fact is, however, that the linguistic sign is both habit-bound and at the same time conventional, inasmuch as a word, sentence, or text can only function as a means of communication if the rule or habit is, to some extent, agreed upon by a consensus among the community of language users.

In order to communicate its message the text-sign must function in a tripartite, sign-object-interpretant relation called semiosis. Semiosis as Peirce conceived it, seems to be both the action of the sign itself and the process of interpretation. These are in fact two aspects of the same activity, because a sign is only capable of producing an interpretant in a thinking mind if it is an element of a triadic relation. Only the interpretant constitutes a real thought­-sign, as opposed to the “quasi-sign” which is governed by “automatic regulation” (CP: 5.473, 1907) between sign and object. In a dyadic sign relation the sign is “physically connected with its object; they make an organic pair, but the interpreting mind has nothing to do with this connection, except remarking it, after it is established” (CP: 2.299, c.1902). In order to be meaningful, a non-triadic sign does not require intelligent interpretation – that is, an interpretation which is at the same time habitual and habit-changing, conventional and creative –, either because the sign immediately exhibits its meaning or because it directly points toward it. That there is no real logical action in the interpretation of a one-place, iconic sign, should be clear; but the two-place, indexical sign equaly disqualifies itself from semiosis, because it signifies its object either by law or by “brute force with no element of inherent reasonableness” (CP: 6.329, c.1909).

Peirce emphasized explicitly that by semiosis he meant “an action, or influence, which is, or involves, a cooperation of three subjects, such as a sign, its object, and its interpretant, this tri-relative influence not being in any way resolvable between pairs” (CP: 5.484, 1907, Peirce’s emphasis). Text semiosis means that it is essential for the text-sign to embody ideas, thoughts, a message, because they are what the text is about: its object, the contents of the text. However, it is not sufficient for a text-sign to have a meaning-content; it must be recognized, identified, and interpreted as such in order to operate as a full-fledged symbolic sign. It may on occasion


sarebbe inadeguata ad una comunicazione efficace. Il fatto è, comunque, che il segno linguistico è sia vincolato dalla convenzione che convenzionale allo stesso tempo, poiché una parola, un periodo o un testo possono funzionare come mezzi di comunicazione soltanto se la regola o abitudine è concordata, in una certa misura, fra la comunità dei parlanti.

Per poter comunicare il suo messaggio il segno-testo deve funzionare in una relazione tripartita segno – oggetto – interpretante chiamata «semiosi». Come la intendeva Peirce la semiosi sembra essere sia l’azione del segno stesso che il processo della sua interpretazione. Questi sono in realtà due aspetti della stessa attività, in quanto un segno può produrre un interpretante in una mente pensante solo se è un elemento di una relazione triadica. Solo l’interpretante costituisce un vero segno-pensiero, in contrapposizione al «quasi-segno», che è governato dalla «regolazione automatica» (CP: 5.473, 1907) fra segno e oggetto. In una relazione segnica diadica il segno è «fisicamente correlato al suo oggetto; costituiscono una coppia organica ma la mente interpretante non ha niente a che fare con questa relazione, a parte commentarla dopo che è stata instaurata» (CP: 2.299, c.1902). Per poter essere significativo, un segno non triadico non richiede un’interpretazione intelligente – vale a dire un’interpretazione che è allo stesso tempo abituale e suscettibile di modificare l’abitudine, convenzionale e creativa –, o perché il segno manifesta immediatamente il suo significato o perché lo indica direttamente. Che non c’è una reale azione logica nell’interpretazione di un segno iconico, primo, dovrebbe essere chiaro; ma similmente il segno indicale, secondo, si esclude dalla semiosi in quanto significa il suo oggetto o attraverso una legge o con «la forza bruta senza nessun elemento di ragionevolezza intrinseca» (CP: 6.329, c.1909).

Peirce sottolineò esplicitamente che per semiosi intendeva «un’azione o influenza che è, o comporta, una collaborazione di tre soggetti, come un segno, il suo oggetto ed il suo interpretante, senza che questa influenza tri-relativa sia in alcun modo risolvibile fra coppie» (CP: 5.484, 1907, corsivo di Peirce). Semiosi testuale significa che per il segno-testo è essenziale incarnare idee, pensieri, un messaggio, perché sono ciò di cui il testo tratta: il suo oggetto, i contenuti del testo. Tuttavia per un segno-testo non è sufficiente avere un contenuto in termini di significato; dev’essere riconosciuto, identificato ed interpretato come tale per poter operare a pieno titolo come un segno simbolico. Di tanto


even be misunderstood or manipulated, because from a strictly Peircean perspective the nature of the interpretation produced is, in the final analysis, as irrelevant as is the person of the individual interpreter. The text-sign itself is endowed with a power which, coming from the object and ultimately referring back to it, must in order to realize its full semiotic effect, appeal forward through it (the sign) to what is potentially an endless series of interpretant signs, each one interpreting the one preceding it. Textual semiosis teaches that the meaning of the text-sign is not necessarily identical with the prima facie object which the text refers to, but rather with the rule or habit (its interpretant) by which one would, under certain conditions, read, understand, and interpret it.

This suggestion for translation studies and its survival can be illustrated by Peirce’s account from the “life” of one text-sign, thus:

 

Take, for example, that sentence of Patrick Henry which, at the time of our Revolution, was repeated by every man to his neighbor: “Three millions of people, armed in the holy cause of Liberty, and in such a country as we possess, are invincible against any force that the ennemy can bring against us.” Those words represent this cha­racter of the general law of nature. They might have produced effects indefinitely transcending any that circumstances allowed them to produce. It might, for example, have happened that some American schoolboy, sailing as a passenger in the Pacific Ocean, should have idly written down those words on a slip of paper. The paper might have been tossed overboard and might have been picked up by some Jagala on a beach of the island of Luzon; and if he had them translated to him, they might easily have passed from mouth to mouth there as they did in this country, and with similar effect. (CP: 5.105, 1902)

 

The history of Henry’s pronouncement is, at least potentially, the life history of all text-signs. Texts need to receive a real or potential interpretation in order to be able to operate as signs in different spatial and/or temporal settings. That is to say, they must be meaningful (signifying) in shifting semiosic relations to the listeners, readers, etc. If a combination of verbal signs does not draw the attention toward itself as a sign and does not manifest itself as mediating between what it can mean and what it is interpreted to mean,


in tanto può addirittura essere frainteso o manipolato, perché da una prospettiva strettamente peirceiana la natura dell’interpretazione prodotta è, in ultima analisi, tanto irrilevante quanto la persona del singolo interprete. Il segno-testo stesso è dotato di un potere che, derivando dall’oggetto e in definitiva riferendovisi nuovamente, deve, per realizzare appieno il suo effetto semiotico, appellarsi attraverso il segno a ciò che potenzialmente è una serie infinita di segni interpretanti, nella quale ciascun segno interpreta quello che lo precede. La semiosi testuale insegna che il significato del segno-testo non è necessariamente identico all’oggetto prima facie a cui il testo si riferisce, bensì alla regola o abitudine (il suo interpretante) attraverso cui, in determinate condizioni, lo si leggerebbe, comprenderebbe ed interpreterebbe.

Questo suggerimento per la traduttologia e la sua sopravvivenza può essere illustrato dalla spiegazione di Peirce tratta dalla “vita” di un segno-testo in questo modo:

 

Si prenda, ad esempio, quella frase di Patrick Henry che, al tempo della nostra Rivoluzione, fu ripetuta da ogni uomo al proprio vicino:«Tre milioni di uomini, armati nella santa causa della Libertà, e in una terra tale come quella che possediamo, sono invincibili contro qualunque forza il nemico possa opporci». Quelle parole rappresentano questo carattere della legge generale di natura. Possono aver prodotto effetti che trascendono in modo indefinito qualsiasi effetto le circostanze hanno permesso loro di avere.

Ad esempio potrebbe essere accaduto che un qualche scolaro americano, passeggero di una nave sull’Oceano Pacifico, abbia casualmente scritto quelle parole su un foglietto. Il foglietto potrebbe essere stato scagliato in mare ed essere stato raccolto da un qualche Jagala su una spiaggia dell’isola di Luzon; e se gliele avesse tradotte queste parole sarebbero facilmente passate di bocca in bocca, lì come avevano fatto in questo Paese, sortendo un effetto simile. (CP: 5.105, 1902)

 

La storia dell’affermazione di Henry è, almeno potenzialmente, la storia della vita di tutti i segni-testi. I testi necessitano di ricevere un’interpretazione reale o potenziale per poter operare come segni in diversi ambienti spaziali e/o temporali. In altre parole devono poter essere significativi in relazioni semiotiche variabili per chi ascolta, chi legge, ecc… Se una combinazione di segni verbali non attira l’attenzione su di sé come segno e non si manifesta come mediatrice fra ciò che può significare e ciò che significa dopo essere stata


it remains a non-text. A text which, when transplanted in time and/or place, loses its power to appeal to an interpreting mind, becomes thereby a non-semiosic, dead entity. From the perspective of Peircean semiotics, the text-sign is characterized by endless and unlimited semiosis, by the ongoing process of growth through interpretation. What keeps the text-sign alive is precisely that it elicits an interpretant again and again, and that these interpretants (and the interpretants of the interpretants) are not only rule-governed entities but also, virtually or really, rule-changing and rule-creating new activities.

It is apparent that for Peirce, a written text was a complex verbal sign partaking of the basic properties common to semiotic signhood. Unfortunately, the significance of his theory for a text-semiotics, Peirce’s textology, will require some interpretive extrapolation. We shall soon get to that. But first let us make sure that, from the foregoing arguments, the following is clear: a Peirce-based text-semiotics must be dramatically different from other sign-theoretical text-theories, particularly from those based on Saussure’s text-theories. As opposed to French semiology, with its emphasis on text production, pragmatic semiotics in the Peircean tradition proceeds in the contrary direction-, manifesting itself first and foremost as a theory of sign interpretation. The sign as Peirce conceived it is, in contradistinction to its semiological counterpart, not defined in terms of an utterer and/or interpreter but in terms of its dynamic relations, both conventional and new. Through semiosis, the sign deploys its meaning; its full meaning is thus ideally knowable, if only in some hypothetical future, unreachable today. Sign-action and sign-interpretation are not necessarily determined by a human utterer nor interpreter. Peirce’s semiosis is self-generating triadic action. As all semiotic signs, the text-sign is a living agency actively seeking to realize itself through some interpreting mind rather than passively waiting to be realized by it, as is the case in linguistic semiotics.

One reason why a Peircean concept of text, and hence a Peircean text-semiotics, may at first seem fanciful is that it diminishes the significance of the reader/interpreter. In a semiological text-theory, the reader/interpreter is


interpretata, rimane un non-testo. Un testo che, quando trasposto nel tempo e/o nello spazio, perde il suo potere di attrarre una mente interpretante, diventa così un’entità

non semiotica, morta. Dalla prospettiva della semiotica di Peirce il segno-testo è caratterizzato da semiosi infinita ed illimitata, dal processo in atto di crescita attraverso l’interpretazione. Ciò che mantiene vivo il segno-testo è precisamente il fatto che questi suscita ripetutamente un interpretante, e che questi interpretanti (e gli interpretanti degli interpretanti) non sono soltanto entità governate da regole ma anche, virtualmente o realmente, nuove attività che cambiano e creano le regole.

E’ evidente che per Peirce un testo scritto è un segno verbale complesso che presenta le proprietà basilari comuni della segnità semiotica. Sfortunatamente la portata della sua teoria per la semiotica testuale, la testologia di Peirce, richiederà una qualche estrapolazione interpretativa. Vi arriveremo fra breve. Ma prima dobbiamo assicurarci che dalle argomentazioni appena esposte sia chiaro quanto segue: una semiotica testuale fondata sulle teorie di Peirce deve essere spiccatamente diversa dalle altre teorie testuali basate su teorie segniche, in particolare da quelle fondate sulle teorie testuali di Saussure. In contrapposizione alla semiologia francese, che pone l’enfasi sulla produzione testuale, la semiotica pragmatica nella tradizione peirceiana procede nella direzione opposta, manifestandosi innanzitutto come una teoria dell’interpretazione segnica. Il segno, così come concepito da Peirce, non è, in contrapposizione al suo omologo semiologico, definito in termini di un enunciatore e/o interprete, bensì in termini delle sue relazioni dinamiche, sia convenzionali che nuove. Attraverso la semiosi il segno dispiega il suo significato, che perciò è pienamente conoscibile a livello ideale, se non altro in un qualche ipotetico futuro oggi irraggiungibile. L’azione e l’interpretazione segniche non sono necessariamente determinate da un enunciatore umano né da un interprete. La semiosi di Peirce è azione triadica autogenerantesi. Come tutti i segni semiotici il segno-testo è un’azione vivente che cerca attivamente di realizzarsi attraverso una qualche mente interpretante piuttosto che attendere passivamente di essere realizzato da essa, come nel caso della semiotica linguistica. Una ragione per cui un concetto peirceiano di testo, e dunque una semiotica testuale di Peirce, possono inizialmente sembrare fantasiosi è che sminuiscono l’importanza del lettore/interprete. In una teoria testuale semiologica il lettore/interprete è


customarily looked upon as the sole discourse-producing subject, as the agency that gives the text-sign its meaning by matching signifier with signified. A pragmatic, Peircean paradigm, emcompasses the presence of an interpreter, which is somehow subsumed but at the same time deemphasizes it. Apparently, Peirce did not have in mind one single person or not even one specific mind, but in an abstract way any receptive organism capable of generating textual interpretants. Peirce called this an intelligent “quasi-mind.” As Peirce wrote, semiosis “not only happens in the cortex of the human brain, but must plainly happen in every Quasi-mind in which Signs of all kinds have a vitality of their own” (NEM: 4: 318, c.1906); and a “quasi-­interpreter” is one example of such a “quasi-mind” (CP: 4.51, 1906)23.

Peirce did therefore not include the interpreter as a fourth component of semiosis, in addition to the interpretant. This is not to say that Peirce did not acknowledge the existence of the interpreter, because he did in fact refer to an interpreter occasionally – e.g., in his often-cited definition of a sign as “something which stands to somebody for something in some respect or capacity. It addresses somebody, that is, creates in the mind of that person an equivalent sign, or perhaps a more developed sign” (CP: 2.228, c. 1897).

On the whole, however, Peirce seems to indicate that the meaning of the text-­sign must be logically conceived as relatively independent from the reader/interpreter and that it transpires wholly in an endless series of individual semiosic events. As will be argued and documented in the following, this proposition provides a new and fruitful perspective on the phenomenon of text, one which undercuts subjective signification and elevates semiotic textology to the plane of intersubjective and objective inquiry. thereby enhancing, not restraining, its creative component.


tradizionalmente considerato il solo soggetto in grado di produrre il discorso, l’azione che conferisce al segno-testo il suo significato collegando signifiant e signifié. Un paradigma pragmatico peirceiano comprende la presenza di un interprete, che è in qualche modo implicita, ma che al contempo lo ridimensiona. Sembra che Peirce non avesse in mente una singola persona né tantomeno una mente specifica, ma in modo astratto qualunque organismo ricettivo in grado di generare interpretanti testuali. Peirce lo chiamava «quasi-mente». Come Peirce scrisse la semiosi «non solo si verifica nella corteccia cerebrale umana ma deve evidentemente verificarsi in ogni Quasi-mente in cui i Segni di tutti i tipi abbiano una propria vitalità» (NEM: 4: 318, c.1906); e un «quasi-interprete» è un esempio di tale «quasi-mente» (CP: 4.51, 1906)23.

Pertanto Peirce non includeva l’interprete come quarto componente della semiosi in aggiunta all’interpretante. Con ciò non si intende dire che Peirce non riconoscesse l’esistenza dell’interprete, poiché anzi occasionalmente si riferì ad un interprete – ad esempio nella sua definizione spesso citata di segno come «qualcosa che sta secondo qualcuno per qualcosa sotto qualche aspetto o in qualche capacità. Si rivolge a qualcuno, ossia, crea nella mente di quella persona un segno equivalente, o forse un segno più sviluppato» (CP: 2.228, c.1897).

Nel complesso, comunque, Peirce sembra indicare che il significato del segno-testo debba essere logicamente concepito come relativamente indipendente dal lettore/interprete e che si manifesti interamente in una serie infinita di eventi semiotici individuali. Come verrà argomentato e documentato più avanti, questa affermazione fornisce una nuova e feconda prospettiva sul fenomeno del «testo», una prospettiva che insidia la significazione soggettiva ed eleva la testologia semiotica al piano dell’indagine intersoggettiva e oggettiva, dunque valorizzando, e non reprimendo, la sua componente creativa.


Notes

 


17 Some random examples from Peirce: “We shall undoubtedly naturally conclude that the publication of Andronicus would be of Opera Inedita, including all works of which a decidedly new recension was found; but naturally of Aristotle’s polished and finished productions no such text would be found” (CP: 7.235), where text refers to Aristotle’s classical writings. But we find text used in a different, modernized sense in a letter to his friend William James, where Peirce wrote “I refer to you particularly to p. 301 et seq. I will quote a few phrases, though of course it is the continuous text that talks,” with text signifying a scholarly paper that Peirce had written earlier. See, particularly, text in Peirce’s review-articles for The Nation, where he referred, for example, to “the illustrations, which are wood-cuts in the text” (CTN: 2: 62, 1894); “there was a date, 10 Nov. 1619, in the text, and 11 Nov. 1620, in the margin” (CTN: 2: 93, 1889); “its pages were filled with solid text” (CTN: 2: 197, 1899); “The text occupies less than six hundred pages” (CTN: 2: 265, 1900); “a text of half a million words” (CTN: 3: 34, 1901); “the Appendix to the book … fills more than half again as many pages as the body of the text” (CTN: 3: 62, 1890); “Heiberg prints for the first time the Greek text of Anatolius on the first ten numbers” (CTN: 3: 87, 1902). Some examples from Peirce’s other works: “End of footnote” is immediately followed by “Text resumed” (MS 646: 8, 1910); and apropos of an opera Peirce remarked: “The business of the composer was to invent ‘beautiful melodies.’ The text that was written below it was a secondary affair. Music and words were yuxtaposed, as it were” (MS 1517: 31, 1896). The latter quote is from Peirce’s translation of William Hirsch’s Genius and Degeneration, and Peirce’s use of the word text here is evidently a transposition of the original German Text; on Peirce as translator, see Gorlée (1996). Consider also the following passage: “I hold that it is necessary to make an emendation to the text of the 25th chapter of the Second Prior Analytics …” (MS 318: 187, 1907), where Peirce also used text in the sense of “words.” In this connection it is interesting to note the following quote: “… if we take a piece of blank paper, and form the resolve to write upon it some part of what we think about some real or imaginary condition of things, then, that resolve being made and the whole sheet (called the […] ) having been devoted to that purpose exclusively, …” (MS 678: 42, 1910; blank space and emphasis in Peirce’s handwritten original). To fill the blank space in the parentheses, Peirce could perhaps have been looking for the word “text”, or an equivalent.

 

18 Pharies notes that “Peirce’s definition of the term as anything capable of standing for something else is so broad that it includes many things that would not normally qualify for the term in everyday English (tokens, marks, badges, signals, ciphers


Note

 

17 Alcuni esempi a caso tratti da Peirce:«Senza dubbio dovremmo naturalmente concludere che la pubblicazione di Andronico sarebbe un’Opera Inedita che comprende tutte le opere delle quali è stata rinvenuta una recensione decisamente nuova; ma naturalmente delle produzioni perfette e complete di Aristotele un testo tale non è stato trovato» (CP: 7.235), dove «testo» si riferisce agli scritti aristotelici classici. Ma troviamo «testo» usato in un’accezione diversa, moderna in una lettera all’amico William James, in cui Peirce scrisse:«Mi riferisco a te in particolar modo a p. 301 e seguenti. Citerò alcune frasi, anche se certamente è il testo continuo che parla», dove «testo» indica un saggio dotto scritto in precedenza da Peirce . Si veda, in particolare, «testo» nelle recensioni di Peirce per The Nation, in cui egli fa riferimento, ad esempio, alle «illustrazioni, che sono delle xilografie nel testo» (CTN: 2: 62, 1894); «c’era una data, il 10 novembre 1619, nel testo, ma 11 novembre 1620 a margine» (CTN 2: 93, 1889); «le sue pagine erano piene di testo continuo» (CTN : 2: 197, 1899); «Il testo occupa meno di 600 pagine» (CTN: 2: 265, 1900); «un testo di mezzo milione di parole» (CTN: 3: 34, 1901); «l’Appendice al libro […] occupa ben più della metà delle pagine del corpo del testo» (CTN: 3: 62, 1890); «Heiberg stampa per la prima volta il testo greco di Anatolio sui primi dieci numeri» (CTN: 3: 87, 1902). Alcuni esempi tratti da altre opere di Peirce:«Fine della nota a piè di pagina» è immediatamente seguito da «riprende il Testo» (MS 646: 8, 1910); e a proposito di un’opera lirica Peirce fece notare:«Il compito del compositore era di inventare delle “belle melodie”. Il testo scritto sotto era una questione secondaria. Musica e parole erano, per così dire, giustapposte» (MS 1517: 31, 1896). L’ultima citazione è tratta dalla traduzione peirceiana di Genius und Degeneration di William Hirsch e l’uso che Peirce fa della parola «testo» è qui evidentemente una trasposizione dell’originale tedesco Text; su Peirce traduttore si veda Gorlée (1996). Si consideri anche il seguente passo:«Ritengo necessaria una revisione del testo del venticinquesimo capitolo di Second Prior Analytics []» (MS 318: 187, 1907), in cui Peirce usò «testo» anche in senso di «parole». A questo proposito è interessante notare la seguente citazione:«[…] se prendiamo un pezzo di carta bianca, e decidiamo di scrivere su di essa qualche parte di ciò che pensiamo su un qualche stato delle cose reale o immaginario, allora, essendo stata presa questa decisione ed avendo destinato l’intero foglio (chiamato […]) esclusivamente a quello scopo, […]» (MS 678: 42, 1910; spazio bianco e corsivo come da manoscritto originale di Peirce). Per riempire lo spazio bianco nella parentesi, Peirce potrebbe aver cercato la parola «testo» o un suo equivalente.

 

18 Pharies nota che «la definizione peirceiana del termine come qualsiasi cosa capace di stare per qualcos’altro è così ampia da includere molte cose che normalmente non avrebbero a che vedere con questo termine nell’inglese di tutti i giorni (contrassegno, contromarche, distintivi, segnali, cifre,


 

 

 


symbols; objects, animals, persons; propositions, arguments, sentences, paragraphs, books; mountains, seas, planets, stars, galaxies, universes), although it would be possible to say, for example, that a robin on the lawn is a sign of approaching spring, that a book is a sign of the author’s labors, or that a galaxy is a sign that the laws of physics continue to operate” (Pharies 1985:14).

 

20 In his monograph on Charles S Peirce and the Linguistic Sign, Pharies takes the linguistic sign only in the narrowest sense: “Peirce would use it to refer to any linguistic representation, including words, sentences, conversations, even whole books. I am employing it in the sense that has become traditional in linguistic literature, namely, that is ‘word'” (Pharies 1985: 9, n.7).

 

21 In July of 1905, Peirce wrote the following to Lady Welby, in a draft of a letter which was never sent to his correspondent: “The dictionary is rich in words waiting to receive technical definitions as varieties of signs” (PW: 194, 1905). His long list includes many instances of verbal communication, spoken and/or written: “Then we have mark, note, trait, manifestation, ostent, show, species, appearance, vision, shade, spectre, phase. Then, copy, portraiture, figure, diagram, icon, picture, mimicry, echo. Then, gnomon, clue, trail, vestige, indice, evidence, symptom, trace. Then, muniment, monument, keepsake, memento, souvenir, cue. Then, symbol, term, category, stile, character, emblem, badge. Then, record, datum, voucher, warrant diagnostic. Then, key, hint, omen, oracle, prognostic. Then, decree, command order, law. Then, oath, vow, promise, contract, deed. Then, theme, thesis, proposition, premiss, postulate, prophecy Then, prayer, bidding, collect, homily, litany, sermon. Then, revelation, disclosure, narration, relation. Then, testimony, witnessing, attestation, avouching, martyrdom. Then, talk palaver, jargon, chat, parley, colloquy, tittle-tattle, etc.” (PW: 194, 1905). Regrettably, the rest of this text, which possibly contained Peirce’s comments on the catalogue, did not survive.

 

22 Habit (and following items discussed here) will be further developed in the last chapter on fallibilism.

 

23 Quasi-mind and its associates are developed in the last chapter on fallibilism.


 

 


simboli; oggetti, animali, individui; proposizioni, argomenti, frasi, paragrafi, libri; montagne, mari, pianeti, stelle, galassie, universi), sebbene sia possibile dire, ad esempio, che un pettirosso sul prato è segno che la primavera si avvicina, che un libro è segno delle fatiche di un autore, o che una galassia è segno che le leggi della fisica continuano ad operare» (Pharies 1985:14).

 

20 Nella sua monografia Charles S. Peirce and the Linguistic Sign Pharies prende il segno linguistico solo in senso stretto:«Peirce lo userebbe per riferirsi a qualsiasi rappresentazione linguistica, incluse le parole, i periodi, le conversazioni e persino interi libri. Io lo utilizzo nel senso divenuto tradizionale nelle pubblicazioni linguistiche, ovvero nel senso di “parola”»(Pharies 1985: 9, n.7).

 

21 Nel luglio 1905 Peirce scrisse quanto segue a Lady Welby, in una bozza di una lettera mai inviata alla sua corrispondente:«Il dizionario è ricco di parole che attendono di ricevere definizioni tecniche come varietà di segni» (PW: 194, 1905). La sua lunga lista include molti esempi di comunicazione verbale, parlata e/o scritta:«Poi abbiamo marchio, nota, tratto, manifestazione, espressione, spettacolo, specie, apparenza, visione, ombra, spettro, fase. Poi copia, il ritrarre, figura, diagramma, icona, immagine, mimica, eco. Poi gnomone, indizio, vestigio, indice, evidenza, sintomo, traccia. Poi prova, monumento, ricordo, memento, souvenir, indizio. Poi simbolo, termine, categoria, stile, carattere, emblema, distintivo. Poi registrazione, data, voucher, mandato, sintomo. Poi chiave, allusione, presagio, oracolo, previsione. Poi decreto, comando, ordine, legge. Poi giuramento, voto, promessa, contratto, atto. Poi tema, tesi, proposizione, premessa, postulato, profezia. Poi preghiera, raccoglimento, omelia, litania, sermone. Poi rivelazione, divulgazione, narrazione, relazione. Poi deposizione, testimonianza, attestazione, garanzia, martirio. Poi conversazione, discussione, gergo, chiacchierata, negoziato, colloquio, pettegolezzo, ecc…» (PW; 194, 1905). Sfortunatamente il resto del testo, che probabilmente conteneva i commenti di Peirce su quest’elenco, non è sopravvissuto.

 

22 L’abitudine (e i punti discussi qui) verranno approfonditi nell’ultimo capitolo sul fallibilismo.

 

23 La Quasi-mente e i temi ad essa associati verranno sviluppati nell’ultimo capitolo sul fallibilismo.

 

Riferimenti bibliografici

 

 

ABBAGNANO N., FORNERO G. Protagonisti e Testi della Filosofia, Volume D Tomo 1, Torino, Paravia, 1999

 

FUSARO D. Il pragmatismo americano, 2002. Disponibile dal world wide web:

<www.filosofico.net/pragmatismamericano.htm>

 

GORLÉE D L. On translating Signs Exploring Text and Semio-translation,

Amsterdam – New York, Rodopi, 2004.

 

HARPER D. Online Etimology dictionary, 2001. Disponibile dal world wide web:

<http://www.etymonline.com>

 

KEMERLING G. A dictionary of Philosophical Terms and Names, 1197-2002. Disponibile dal world wide web: <http://www.philosophypages.com>

 

O’CONNOR J.J., ROBERTSON E.F. Charles Sanders Peirce, 2005. Disponibile nel world wide web:

<http://www-groups.dcs.st-and.ac.uk/~history/Mathematicians/Peirce_Charles.html>

 

OSIMO B. Propedeutica della traduzione. Corso introduttivo con tavole sinottiche, Milano, Hoepli, 2001.

 

OSIMO B. Storia della traduzione. Riflessioni sul linguaggio traduttivo dall’antichità ai contemporanei, Milano, Hoepli, 2002

 

THAYER H.S. Pragmatism. Disponibile dal world wide web:

<http://www.pragmatism.org/companion/pragmatism_thayer.htm>



1 Kemerling 1997-2002.

2 «phenomenology», «syllogism», «triadic», «arbitrary», «semiotics», «quasi»: Harper 2001

3 Trascrizione delle parole latine da IL, Vocabolario della lingua latina Castiglioni, Mariotti, Torino, Loescher, 1997

4 Questa sostituzione è pensata per il particolare cotesto e contesto in cui queste parole sono inserite

5 Grande dizionario di inglese Picchi, Milano, Hoepli, 2003, p.496

6 De Mauro, T., Dizionario della lingua italiana, Torino, Paravia, 2000, p. 935

Revzin, Rozencvejg, Analisi e sintesi in traduzione

Analisi e sintesi

DANIA DALMONTE

Fondazione Milano Milano Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici via Alex Visconti, 18 20151 MILANO

Relatore: professor Bruno Osimo Diploma in Mediazione Linguistica Ottobre 2011

2

© I. I. Revzin, V. J. Rozencvejg: «Osnovy obŝego i mašinnogo perevoda» 1964 © Dania Dalmonte per l’edizione italiana 2011

Analisi e sintesi

Abstract in italiano

Con l’evoluzione del pensiero sovietico e l’analisi di concetti come «traducibilità» e «traduzione adeguata», lo studio della traduzione inizia ad assumere un carattere sempre più scientifico. È in questo periodo che si sviluppa l’opera di Rezvin e Rozencvejg, ancora attuale per i temi trattati. Il processo traduttivo che si articola in una fase di analisi e in una fase di sintesi, il linguaggio d’intermediazione, il senso come invariante della traduzione e il confronto tra differenti modelli di genesi del testo sono alcuni dei concetti su cui gli autori si concentrano, attraverso una teorizzazione che non sempre ha trovato consensi in occidente. Allo stesso modo sono analizzati i problemi che emergono attraverso la traduzione automatica, oggetto di particolare interesse negli anni Sessanta.

English abstract

As the Soviet thought evolved and the analysis of ideas as «translatability» and «adequate translation» were approached, translation studies started to have a more scientific nature. It’s in this period that we can set the work of Revzin and Rozencvejg, whose themes are still relevant today. The translation process, where we can highlight a phase of analysis and a phase of synthesis, the intermediate language, the sense as invariant information in the translation process and the comparison among different models of text genesis are just some of the ideas the authors focus on, through a theorization which didn’t always find consensus in Western Europe. In the same time also questions regarding machine translation, object of particular interest in the Sixties, are deeply analysed.

Абстракт на русском языке

Советское мышление эволюционировало, понятия как например переводимость или адекватный перевод были анализированы и исследования перевода началы иметь научный характер. В этот период мы можем ставить работу Ревзина и Розенцвейга, темы которых ещё очень актуальные. Процесс перевода, в котором являются два основных момента, анализ и синтез, язык‐посредник, смысл как инварянтная информация в переводе и сравнение между моделами порождения текста ‐ это некоторые темы рассматривающиеся авторами, через теоризацию, которую не всегда нашла согласия в Западном Европе. Кроме того, рассматриваются проблематики связанные с машинном переводом, предмет особого интереса в 60‐их годах.

1

Sommario

1. Prefazione…………………………………………………………………………………….3 2. Analisi dei contenuti………………………………………………………………………6 3. Traduzione………………………………………………………………………………….14

2

1. Prefazione

3

La traduzione ha scopi diversi rispetto all’interpretariato.
La traduzione comprende l’interpretazione del significato di un prototesto di partenza e la successiva produzione di un nuovo testo, equivalente a quello di origine, in un’altra lingua (si parlerà in questo caso di metatesto di arrivo). La traduzione è quindi la trasposizione scritta di concetti da una lingua ad un’altra e si differenzia dall’interpretazione, dove il messaggio è veicolato oralmente.
Il traduttore mira a portare il testo dalla lingua di origine alla lingua di destinazione in maniera tale da mantenere il più possibile inalterato il significato e lo stile del testo. A causa delle differenze tra le lingue, spesso è difficile conservare tanto il senso esatto quanto lo stile della scrittura. Il traduttore si trova costretto a operare scelte che cambiano in funzione della natura del testo stesso e degli scopi che la traduzione si prefigge.
La traduzione automatica, in particolare, è un’area della scienza della traduzione e della linguistica computazionale, che si occupano rispettivamente dello studio del processo traduttivo e dell’analisi del funzionamento del linguaggio naturale. L’obiettivo è quello di trovare una mediazione tra il linguaggio umano, in continua evoluzione, e le capacità di comprensione della macchina.
La traduzione automatica studia la traduzione di testi da un linguaggio naturale a un altro tramite programmi informatici.
È proprio della traduzione meccanica e della traduzione in generale che si occupa l’opera Oсновы общего и машинного перевода (Fondamenti di traduzione generale e automatica), pubblicato nel 1964 da Isaak Iosifovič Revzin e Viktor Jul’evič Rozencvejg. L’oggetto della presente tesi sarà proprio la traduzione e l’analisi dei paragrafi 17, 18, 19, 20 e 21 del capitolo 3 dell’opera citata.
Entrambi gli autori, Revzin e Rozencvejg, sono riconducibili alla scuola di Tartu‐Mosca, di particolare interesse nell’ambito della semiotica e i cui principali esponenti sono Lotman, Uspenskij e Ivanov, per citarne alcuni; la scuola è caratterizzata da un interesse verso la semiotica della cultura e da

4

un approccio scientifico alla traduzione, che ha però trovato non poche opposizioni, soprattutto quando si parla di traduzione artistica.
L’idea della traduzione automatica può essere fatta risalire già al diciassettesimo secolo, quando Cartesio aveva proposto un linguaggio universale, all’interno del quale idee equivalenti in lingue diverse corrisponderebbero a uno stesso simbolo.

Nel 1954 aveva invece avuto luogo il Georgetown experiment, che riguardava la traduzione automatica di oltre 60 frasi dal russo al tedesco; l’esperimento si era concluso con successo, garantendo finanziamenti fondamentali per la ricerca.

Il processo fu tuttavia molto più lento e deludente rispetto alle aspettative che si erano create: i finanziamenti si ridussero fortemente in seguito al rapporto ALPAC e fu chiaro che lo studio della traduzione automatica doveva essere elaborato diversamente.

L’interesse per la traduzione automatica è stato comunque particolarmente vivo soprattutto intorno agli anni 60, quando si predilige un approccio più scientifico alla traduzione, rispetto a quello precedente di stampo prettamente linguistico, la sostituzione di un testo in una lingua di partenza con un testo nella lingua di arrivo.

5

2. Analisi dei contenuti

6

Nel 1964 Jurij Lotman fonda a Tartu la scuola di semiotica di Tartu‐Mosca; tra gli esponenti di questa scuola possiamo citare ad esempio Boris Uspenskij, Vjačeslav Vsevolodovič Ivanov, Vladimir Toporov, Mikhail Gasparov, Alexander Piatigorsky, Isaak I. Revzin, Lesskis, Igor Grigorievitch Savostin e altri ancora. Sarà poi Torop a subentrare alla guida della scuola dopo la morte di Lotman. La scuola è conosciuta in particolare per aver stabilito un quadro teorico attorno alla semiotica della cultura, ma anche per la sua rivista Sign Systems Studies (in russo Труды по знаковым системам), pubblicata dalla Tartu University Press e la più antica rivista di semiotica del mondo (è stata fondata nel 1964).

Lotman, con gli altri esponenti della scuola di Tartu, intende inaugurare uno studio semiotico della cultura: l’obiettivo è quello di analizzare i fenomeni culturali attraverso il metodo semiotico. Da questo punto di vista è fondamentale il contributo dei formalisti russi, scuola di critica letteraria sviluppatasi tra il 1914 e 1915 a Mosca e San Pietroburgo, che aveva spostato l’attenzione sui meccanismi interni dei testi letterari: i formalisti rifiutavano metodi psicologici, sociologici o filosofici e non si soffermavano sui dati biografici dello scrittore, né sul contesto sociale dell’opera, ma tentavano di spiegare in termini tecnici i congegni testuali. I semiotici della cultura riprendono quindi il metodo con il quale i formalisti russi intendevano legare la ricerca ai dati testuali e decidono di studiare i meccanismi strutturali che caratterizzano i fenomeni culturali. Parlano della semiotica della cultura come di una “scienza della correlazione funzionale dei differenti sistemi segnici.”

Mentre in un primo periodo, negli anni ’60 e ’70, la scuola è quindi influenzata dal formalismo russo, dagli anni ‘80 invece il suo approccio può essere considerato sistemico, in relazione all’introduzione del concetto di semiosfera di Lotman.

7

“Ad avere un ruolo primario non sarà allora questo o quel mattone, ma il ‘grande sistema’ chiamato semiosfera. La semiosfera è quello spazio semiotico al di fuori del quale non è possibile l’esistenza della semiosi”. (Lotman Ju. M., Uspenskij B. A., “Sul meccanismo semiotico della cultura”, 1970)

In particolare intorno agli anni ’60, anni di svolta per la traduzione, si sviluppa un approccio più scientifico alla traduzione, come anche un particolare interesse per la traduzione automatica; la traduzione non viene più affrontata da un punto di vista semplicemente linguistico, sollevando fin da un primo momento diverse critiche da parte degli occidentali, soprattutto per quanto riguarda i testi letterari, ed è probabilmente proprio per questo motivo che l’opera in questione non è ancora stata tradotta e pubblicata in occidente.

È in questo contesto che si sviluppa il lavoro degli studiosi Isaak Iosifovič Revzin e Viktor Jul’evič Rozencvejg, autori dell’opera da me analizzata, Oсновы общего и машинного перевода (Fondamenti di traduzione generale e automatica), pubblicata nel 1964; il libro si presenta come un manuale accademico diretto agli studenti dell’Università e raccoglie le nozioni di traduzione discusse dagli autori durante un ciclo di lezioni tenuto negli anni 1959‐61 e per molti aspetti innovative.

L’elemento da cui partire, secondo gli autori, è il linguaggio d’intermediazione, lingua “ponte” che permette di creare una rete di corrispondenze tra unità di senso elementari tra la cultura emittente e quella cultura ricevente. Per comprendere al meglio questo concetto può essere utile la nozione di “invariante”, elaborata da Revzin e Rozencvejg, analizzando ciò che hanno in comune i diversi tipi di traduzione, e poi ripresa anche dal bulgaro Ljudskanov.

“Questo elemento comune ricorre nel caso di trasformazioni di segni di un messaggio nella lingua emittente in segni di un altro codice, conservando un’informazione invariante. Considerando che tutte queste trasformazioni hanno come oggetto dei segni, le definiremo allora con il termine trasformazioni semiotiche”. (Ljudskanov, 1969, traduzione mia)

8

Considerando la traduzione trasformazione di un messaggio, l’invariante si delinea come “ciò che resta immutato nel processo traduttivo”, e può essere fatta intuitivamente corrispondere al “senso”, che tuttavia non ha una corrispondenza unisemica con il frammento di realtà (referente) significato dal messaggio ed è quindi un elemento di difficile definizione. Di conseguenza è necessario distinguere messaggio, referente del messaggio e senso del messaggio. (Revzin I. I., Rozencvejg V. Ju. “Oсновы общего и машинного перевода”, 1964)

Qui, rispetto alla teoria tradizionale, l’invarianza di senso non è trattata come categoria assoluta, ma come invarianza in relazione al linguaggio di intermediazione creato e scelta in base alla funzione comunicativa del testo. Il linguaggio di intermediazione, che la traduzione automatica ha dimostrato essere qualcosa di più di un semplice concetto astratto, può essere considerato un esempio di linguaggio artificiale; la stessa traduzione automatica suggerisce l’esistenza di un linguaggio astratto, un linguaggio di intermediazione che può essere costruito come sistema univoco di significati astratti fissati univocamente o di significati puri, grammaticali o lessicali. Questo andrebbe a confermare l’ipotesi degli autori sull’esistenza del significato anche al di fuori di una lingua concreta.

“L’identificazione del significato degli elementi linguistici presuppone un sistema di riferimento comune. Questo sistema di riferimento, che può essere un linguaggio artificiale o naturale o verbale che rispecchia l’esperienza comune della realtà, verrà convenzionalmente chiamato «linguaggio d’intermediazione»” (Lûdskanov, 2008).

Partendo dal concetto di “linguaggio di intermediazione”, Revzin e Rozencvejg si concentrano sull’analisi del processo traduttivo, caratterizzato da una fase di analisi e da una fase di sintesi. Secondo lo stesso Torop, tra i più autorevoli semiotici, all’interno del processo traduttivo si distinguono le fasi di analisi e sintesi: la prima intesa come rivolta al prototesto, la seconda al lettore. Compito del traduttore è quindi quello di spostarsi dal sistema della lingua emittente al sistema della lingua ricevente; deve essenzialmente individuare elementi del discorso nella

9

lingua emittente e collocarli in corrispondenza delle categorie del sistema della stessa lingua emittente e quindi alle categorie del linguaggio di intermediazione e deve in seguito passare da una serie di categorie del linguaggio di intermediazione alla lingua ricevente, costruendo un discorso. Il suo primo compito è la comprensione del testo, quindi la creazione di una corrispondenza tra il testo e la realtà. Obiettivo fondamentale della fase di analisi è individuare le unità della traduzione in cui si scompone l’informazione analizzata. Nel caso della traduzione meccanica l’individuazione delle unità della traduzione corrisponde all’eliminazione di determinate parti del testo dall’informazione registrata nella memoria della macchina. Il linguaggio di intermediazione è quindi una sorta di tappa intermedia nel processo traduttivo, che però si delinea diversamente nel caso delle cosiddette parole‐termine, termini con un significato tecnico determinato dal contesto: in questo caso la traduzione non si effettua attraverso il comune linguaggio di intermediazione, ma attraverso un particolare linguaggio di intermediazione che è il linguaggio di un dato settore della scienza. (Revzin I. I., Rozencvejg V. Ju. “Oсновы общего и машинного перевода”, 1964)

Solo di recente, con Jakobson, è stata evidenziata la distinzione di principio tra analisi (ascolto) e sintesi (enunciazione). Durante questo passaggio è fondamentale che il senso del messaggio resti invariato.
Gli autori ipotizzano l’esistenza di un analogo del linguaggio di intermediazione in qualsiasi traduzione, considerando la traduzione automatica come la modellizzazione di un processo che entra in atto durante l’apprendimento di una lingua reale.

È stata proprio la traduzione automatica a mettere in evidenza la necessità di un più chiaro approccio al problema dell’analisi del testo, attraverso la quale passiamo dalla forma al linguaggio di intermediazione (funzione o puro significato) e al problema della sintesi del testo, attraverso la quale ci spostiamo dal linguaggio di intermediazione alla forma.

Fondamentale per l’esame di analisi e sintesi e quindi per la traduzione è il concetto di “frase sensata”, che secondo la teoria della traduzione è la

10

frase traducibile, e che costituisce anche il concetto di partenza nella costruzione dei modelli di genesi del testo.
Importante in quest’ambito è stato il lavoro di Homskij, che si caratterizza per la ricerca delle strutture innate del linguaggio naturale e per la ricerca di un sistema di regole semplice e in grado di produrre un numero di frasi sensate più elevato possibile.

Il grande obiettivo che Homski si pone è in sostanza quello di costruire una teoria generale della struttura linguistica, concepita come dispositivo o insieme di regole che presiedono alla produzione e ripetizione indefinita di frasi all’interno di una lingua.

Per quanto riguarda il primo modello elaborato da Homsky, egli suppone di avere una struttura meccanica in grado di produrre un numero infinito di stati; in seguito al passaggio da un ipotetico stato Si ad uno Sk viene emessa una parola. Suppone poi che tutte le coppie di stati siano state fissate e che il meccanismo attraversi una serie di stati collegati da S0 a Sn. Definisce qualsiasi concatenazione di parole ottenuta da questa operazione “frase”, e ogni serie di frasi “linguaggio con un numero finito di stati”. Tuttavia da uno stato il meccanismo può in realtà tornare anche allo stato di partenza, producendo una parola, e in questo caso, da una serie finita di stati potremmo generare un numero infinito di frasi. L’ipotesi degli autori è quella che esista un legame preciso tra la struttura statistica e semantico ‐ grammaticale del testo. (Homskij)

Nonostante la semplicità e chiarezza di tale meccanismo, che rappresenta il modello più semplice di grammatica, Homskij ha approfondito il suo studio elaborando un modello di genesi più complesso, utilizzando il metodo dei costituenti immediati (in ogni frase il sintagma verbale e il sintagma nominale). Partendo dal concetto di configurazione di base (lo scheletro della proposizione, soggetto e predicato) e di configurazione secondaria, Homskij costituisce un modello generativo per cui partendo da un simbolo Z0, questo è sostituito da una configurazione di base, come poi tutti gli elementi della proposizione; in un secondo momento sono applicate le regole volte a sostituire i simboli delle classi con le singole

11

parole. La serie ottenuta dalle trasformazioni sopra citate sarà definita “derivazione”, mentre l’insieme delle frasi cosi generate è definito “terminal language”.
“If a string is the last line of a terminated derivation, we say that is a terminal string. […]

A set of strings is called a terminal language if it’s the set of terminal strings for some grammar [Σ, F]. Thus each such grammar defines some terminal language, and each terminal language is produced by some grammar of the form [Σ, F].” (Homskij, Syntactic structures)

Sulla base dei costituenti immediati Homskij ha elaborato una sintesi della teoria della generazione, ipotizzando che oltre al nucleo della lingua, ovvero tutte quelle frasi ottenute dalle configurazioni di base, esistano anche altre frasi ottenute mediante determinate trasformazioni. In questo modo la generazione non sarebbe altro che lo sviluppo della configurazione, la sostituzione di simboli con parole. La trasformazione può essere vista come una traduzionr7e all’interno della lingua stessa, ma

“La differenza tra la trasformazione e la traduzione intralinguistica consiste nel fatto che, al momento della trasformazione, non ci scontriamo con una diversa categorizzazione della realtà.” (1964, traduzione mia)
Tesnière, tra i maggiori linguisti francesi, ha proposto un’interessante classificazione delle trasformazioni, distinguendo essenzialmente trasformazioni di primo livello (trasformazione dell’elemento della proposizione nella parola di un’altra categoria, ad esempio trasformazione dell’aggettivo, dell’avverbio o del verbo in sostantivo) e di secondo livello (trasformazione che coinvolge tutta la proposizione, come la trasformazione della proposizione indipendente in subordinata).

Se due stesse trasformazioni portano a una stessa serie di simboli, questa sarà definita omonimo costruttivo, mentre parleremo di sinonimia grammaticale nel caso in cui due diverse costruzioni grammaticali hanno lo stesso significato.

Tuttavia, tra le frasi del nucleo non è possibile trovare due frasi contenenti sinonimi grammaticali poiché come è già stato spiegato le frasi del nucleo

12

sono generate senza alcuna trasformazione. (Revzin I. I., Rozencvejg V. Ju. “Oсновы общего и машинного перевода”, 1964)
Tuttavia, analizzando le problematiche che emergono dalla traduzione meccanica, gli autori stessi smentiscono la possibilità di un’esauriente, completa ed efficace trasformazione automatica senza il contributo umano, poiché il dizionario non può prevedere la corretta interpretazione della stessa parola in situazioni diverse e descrivono processo traduttivo essenzialmente come un processo di trasformazione semiotica.

13

Riferimenti bibliografici

Homskij N. Синтаксические структуры, Сб. «Новое в лингвистике», 1962 Kovalev V. : Dizionario russo‐italiano italiano‐russo, 2000

Lotman Û. : «Iskusstvoznanie i točnye metody v sovremennyh zarubežnyh issledovaniâh, in Semiotika i iskusstvometriâ» , 1970

Lotman Û. , Uspenskij B. A., “Sul meccanismo semiotico della cultura”, 1972
Lûdskanov A. : Un approccio semiotico alla traduzione. Dalla prospettiva informatica alla scienza

traduttiva, a cura di B. Osimo, 2008
Lûdskanov A. : Traduzione umana e automatica, 1967

Revzin I. I. , V. J. Rozencvejg: «Osnovy obŝego i mašinnogo perevoda» 1964 Svedova O. : Dizionario monolingua di russo, 2009

14

3. Traduzione

15

§ 17 Разложение процесса перевода на два основных этапа

Изложенная в § 13 схема No 4 описывает процесс перевода слишком обще. Поэтому мы воспроизведем ее основную часть здесь еще раз с выделением двух этапов, которые особенно важны для исследования перевода.

Рассмотрим теперь этот процесс с точки зрения переводчика, переходящего от системы ИЯ к системе ПЯ. Его работа распадается на две части: 1) он должен выделить какие‐то элементы сообщения на ИЯ и поставить их в соотвествие с категориями системы ИЯ и далее с категорями языка‐посредника (этот процесс соотвествует пониманию некоторого текста на некотором языке)
2) он должен из заданного набора категорий языка‐посредника перейти к ПЯ и сконструировать на ПЯ некоторое сообщение (этот процесс соотвествует, например, говорению на некотором языке).

17. Scomposizione del processo traduttivo in due fasi principali

Lo schema 4 rappresentato nel paragrafo 13 descrive il processo traduttivo in modo troppo generico. Per questo motivo ne riprodurremo qui le parti principali distinguendo due fasi, particolarmente importanti per l’analisi della traduzione.

Consideriamo ora questo processo dal punto di vista del traduttore, che si sposta dal sistema della lingua emittente al sistema della lingua ricevente. Il suo lavoro si divide in due parti:

1) deve individuare alcuni elementi del discorso nella lingua emittente, associarli alle categorie del sistema della stessa lingua emittente e quindi alle categorie del linguaggio d’intermediazione (questo procedimento corrisponde alla comprensione di un testo in una lingua)
2) deve passare da una serie prestabilita di categorie del linguaggio d’intermediazione alla lingua ricevente e costruire nella lingua ricevente un discorso (questo processo

16

Различение анализа и синтеза имеет большое общелингвистическое значение. Оказывается, что задачи и трудности, возникающие при анализе текста, в корне отличаются от задач синтеза. Обычно языковеды‐теоретики, не расченяя процесс перевода на составные части, проходили мимо этих вопросов. Лишь в последнее время было указано на принципальное различие слушания (анализ) и говорения (синтез) (Jakobson, 1956). Между тем, наш замечательный языковед Л.В.Щерба (ср. § 8), правда, в совершенно другой связи (в связи с методикой преподавания иностранных языков) указывал на принципальное различие в построении грамматики в зависимости от того, направлена ли она на активное овладение языком («синтез» в наших терминах) или на пассивное («анализ»).
Здесь необходимо одно разъяснение. Известно, что термин «фрамматика» употребляется в двух значениях: 1) грамматический строй языка и 2) опиcание грамматического строя языка. Одноко мы не всегда замечаем, что сложившееся словоупотребление ведет к абсолютизаций понятия , «грамматика». Отсюда один шаг к широко распространенному убеждению, что только одна «грамматика», в смысле описания грамматического строя может считаться научной. Этим объясняются и претензии различных школ и направлений в языкознании на формулировку единственно верных и единственно научных методов описания языка.
Между тем, описание системы языка целиком зависит от практических целей, которые ставит перед собой исследователь , и научность выдвигаемых принципов может оцениваться лишь с точки зрения правильности поставленной задачи и степени приближения к намеченной цели.

corrisponde ad esempio al parlare in una lingua).
La distinzione di analisi e sintesi ha una grande importanza in linguistica generale. I problemi e le difficoltà che sorgono durante l’analisi del testo si distinguono all’origine dai problemi della sintesi. Solitamente i teorici della lingua, non scomponendo il processo traduttivo in parti costitutive, non hanno affrontato questi problemi. Solo di recente è stata evidenziata la distinzione di principio tra ascolto (analisi) e parlare (sintesi) (Jakobson, 1956) .

Intanto, l’eminente linguista L. V. Ŝerba , in relazione però al metodo di insegnamento delle lingue straniere, ha segnalato la distinzione di principio nella costruzione della grammatica a seconda che questa fosse diretta all’assimilazione attiva della lingua («sintesi» nella nostra terminologia) o passiva («analisi»).

Qui è necessario un chiarimento. È noto che il termine «grammatica» viene utilizzato con due diverse accezioni: 1) struttura grammaticale di una lingua e 2) descrizione della struttura grammaticale di una lingua. Tuttavia, non sempre notiamo che l’uso del lessico che si è andato a creare porta all’assolutizzazione del concetto di «grammatica». Questo è un passo verso la convinzione ampiamente diffusa che la sola «grammatica», nel suo significato di descrizione della struttura grammaticale, possa essere considerata scientifica. Con questo si spiegano sia le pretese delle diverse scuole, sia le tendenze nella linguistica a formulare metodi di descrizione della lingua esclusivamente certi e scientifici.

Peraltro, la descrizione del sistema linguistico dipende interamente da obiettivi pratici che lo studioso si pone e la scientificità dei principi elaborati può essere valutata solo dal punto di vista della correttezza deicompiti stabiliti e dal grado di avvicinamento agli scopi prefissati.

17

Серьезным аргументом против разделения анализа и синтеза, пассивного и активного аспекта мог бы быть следующий. Пассивная грамматика препологает переход «от формы к чистому значению», активная ‐ «от чистого значения к форме выражения». Поскольку «оголение мысли», «существование без языка» невозможно, то и подобный переход не может быть осуществлен. Здесь надо иметь в виду следующее. Под языком можно понимать всякую систему знаков, служащих для фиксирования мысли, тогда «существование мысли без языка», разумеется, невозможно. Но термин «язык» принято употреблять и для называния «совокупности конкретных средств общения людей данной страны», это ‐ конкретный язык (русский, англиский, немецкий и т. п.). Существование значения (или элементарной смысловой единицы) вне такого конкретного языка теоретически вполне допустимое предположение. В самом деле, можно преположить, что значение фиксируется в некотором искусственном языке, где осуществляется взаимооднозначное соотвествие между обозначающим и обозначаемый и где в силу последнего соображения можно говорить и о «чистом значении». Такого типа искусственным языком может явиться, например, язык‐посредник, о котором мы говорили в § 10. Машинний перевод показывает, что язык‐посредник ‐ это нечто большее, чем полезная абстракция.
Машинний перевод как раз препологает наличие некоторого абстрактного языка, который и подвергается обработке в машинной профрамме. Такой «язык‐ посредник» (вне зависимости от того, с какого количества конкретных языков может быть осушествлен на него перевод) может строиться как система односначно фиксированных абстрактных значений или, если угодно, чистих значений (как

Potrebbero essere sollevate solide argomentazioni contro la separazione di analisi e sintesi e di aspetto attivo e passivo. La grammatica passiva propone il passaggio “dalla forma al significato puro” , quella attiva “dal significato puro alla forma espressiva”. Poiché non è possibile “denudare i pensieri” e non può esistere “il pensiero senza la lingua”, un simile passaggio non può essere effettuato. È ora necessario tenere in considerazione quanto segue. Per linguaggio si può intendere qualsiasi sistema di segni, usato per fissare i pensieri, quindi l’ “esistenza dei pensieri senza la lingua”, certamente, non è possibile. Ma il termine «lingua» è anche utilizzato come denominazione di “insieme di mezzi concreti di dialogo tra le persone di un dato paese”: questa è la lingua concreta ( russo, inglese, tedesco e cosi via). L’esistenza del significato (o di unità di senso elementari) al di fuori di una determinata lingua concreta è, in sede teorica, un’ipotesi del tutto ammissibile. In effetti si potrebbe affermare che il significato viene fissato in un linguaggio artificiale, dove si realizza una corrispondenza biunivoca tra segno e oggetto e dove, data quest’ultima considerazione, si può parlare anche di « significato puro ». Un tale tipo di linguaggio artificiale può essere, ad esempio, il linguaggio d’intermediazione di cui abbiamo parlato nel paragrafo 10. La traduzione automatica mostra che il linguaggio d’intermediazione è qualcosa di più che un concetto astratto.
La traduzione automatica suggerisce l’esistenza di un linguaggio astratto, esposto a un’elaborazione all’interno del programma automatico. Tale «linguaggio d’intermediazione» (che non dipende dalla quantità di lingue concrete verso le quali può essere effettuata la traduzione) può essere costruito come sistema di significati astratti fissati univocamente o, se si desidera, di significati puri (grammaticali come anche lessicali).

18

грамматических, так и лексических). Если считать машинний перевод моделированием некоторого процесса, происходящего пpи обучении языку человека, и вообще согласиться с возможностью кибернетических аналогий, то вполне оправдано наше предположение о существовании аналога такого языка‐посредника при любом переводе.

В машинном переводе преположение о наличии системы «чистых значений» подвердгается в настоящее время экспериментальной проверке.

Заметим также, что именно машинний перевод показал необходимость раздельного подхода к проблеме анализа текста, при котором фактически мы идем от формы к языку‐посреднику, т.е. к функции или чистому значению (пассивная грамматика Л. В. Щербы) и к проблеме синтеза текста, при котором мы фактически идем от языка‐посредника, т. е. от функции или чистого значения к форме (активная грамматика Л. В. Щербы).

Когда мы говорим, что процесс общения распадается на два этапа, анализ и синтез, то это не озночает, что между ними нет взаимосвязи и взаимодействия, или, более того, что они в равной мере составляют акт коммуникации. Исходным при описании последнего, в особенности, когда имеет место общение посредством перевода, должно быть рассмотрение синтеза (порождения сообщений). Это тем более целесообразно, что анализ (распознавание единиц сообщения) может быть описан как процесс обратный по отношению к ситесу, т. е. как процесс воззтановления способов его порождения.

Se si considera la traduzione automatica modellizzazione di un processo che si attua durante l’apprendimento di una lingua reale e se in generale conveniamo sulla possibilità di analogie cibernetiche, si giustifica appieno la nostra ipotesi sull’esistenza di un analogo di un tale linguaggio di intermediazione in qualsiasi traduzione.

Nella traduzione automatica, l’ipotesi dell’esistenza di un sistema
di «significati puri» , è ora sottoposta a verifiche sperimentali.

Osserviamo anche che proprio la traduzione automatica ha mostrato la necessità di un chiaro approccio al problema dell’analisi del testo, con la quale di fatto passiamo dalla forma al linguaggio d’intermediazione, cioè alla funzione o al significato puro (la grammatica attiva di L.V. Ŝerba) e al problema della sintesi del testo, nel quale di fatto ci spostiamo dal linguaggio d’intermediazione, cioè dalla funzione o dal significato puro alla forma (la grammatica attiva di L.V. Ŝerba) . Quando diciamo che il processo del dialogo si divide in due fasi, analisi e sintesi, questo non significa che tra esse non ci siano interdipendenza e interazione, o che diano vita in egual misura all’atto comunicativo. Punto di partenza nella descrizione dell’atto comunicativo, in particolare quando questo ha luogo per mezzo di una traduzione, deve essere lo studio della sintesi (genesi del discorso). È più opportuno che l’analisi (identificazione degli elementi del discorso) venga descritta come processo reciproco rispetto alla sintesi, cioè come processo di ricostruzione delle modalità della sua genesi.

19

§ 18. Модели порождения текста
В этом параграфе мы хотим кратко изложить основные идеи связанные с построением моделей порождения текста1. Исходным понятием при построении таких моделей служит понятие осмысленной или, как говорят, «отмеченной» фразы, причем это понятие полагается интуитивно понятным и не определяется. Полагается также, что множество осмысленных фраз данного языка задано (Ревзин, 1962, стр. 60‐61). Для теории перевода осмысленными являются те сообщения, которые подлежат переводу.
Итак, пусть задано множество осмысленных фраз. Был поставлен следующий важный вопрос (Хомский, стр. 422, 1962): какова должна быть система правил, чтобы:
1) ее применением можно было получить как можно больше осмысленных фраз,
2) ее применением мы не могли произвести ни одной неосмысленной фразы и
3) она была достаточно простой.
В связи с этим, может встать вопрос о сравнении различных произвольно конструирыемых систем между собой, а именно, если одна система производит больше осмысленных фраз, чем другая, то ее можно считать более «сильной», с другой стороны, если одна система содержить меньше правил, чем другая, то ее можно считать более простой. Построению таких формальных грамматических систем, или грамматических моделей и их сравнению между собой посвящена замечательная работа Н. Хомского «Синтаксические структуры». Кратко идея первой модели Хомского сводится к следующему:
Пусть у нас имеется некоторое механическое устройство, которое может принимать конечное число состояний: С1, С2…Сn.

18. Modelli di genesi del testo
In questo paragrafo esporremo brevemente i concetti di base legati alla struttura dei modelli di genesi del testo1. Il concetto di “frase sensata” o, come si dice, “marcata”, costituisce la nozione di partenza nella costruzione di tali modelli e, nello stesso tempo, si affida alla comprensione intuitiva e non viene definito. Si presume inoltre che la quantità delle frasi sensate di una lingua sia data (Revzin, 1962:60‐61). Nella teoria della traduzione sono dotati di senso i messaggi traducibili. Quindi, supponiamo ci sia dato un gran numero di frasi sensate.
È stata posta la seguente importante questione ( Homskij:422, 1962) : quale dovrebbe essere il sistema di regole affinché: 1) la sua applicazione possa produrre quante più frasi sensate possibile,
2) la sua applicazione non sia possibile in frasi prive di senso e
3) sia abbastanza semplice.
In relazione a questo può essere sollevata la questione del confronto tra i diversi sistemi costruiti arbitrariamente, vale a dire se da un sistema derivano più frasi sensate che da un altro, questo potrà allora essere considerato più “forte” e, d’altra parte, se un sistema contiene meno regole di un altro, potrà essere considerato più semplice.
Alla costruzione di tali sistemi grammaticali formali, o modelli grammaticali, e al confronto tra gli stessi, è dedicato lo straordinario lavoro di N. Homskij «Strutture sintattiche». Sinteticamente, l’idea del primo modello di Homskij consiste in questo: Supponiamo di avere una struttura meccanica in grado di produrre un numero finito di stati: S1, S2, Sn.

20

Одно из этих состояний, например С0, является начальным состоянием, и одно из этих состояний, например Сn является конечным. Пусть переход из некоторого состояния Сi в некоторое состояние Ск сопровождается выдачей некоторого слова. Пусть зафиксированы все такие пары состояний, которые назовем связанными. Пусть теперь устройство проходит ряд цвязанных состояний от Со к Сn. Любую цепочку слов. полученную при такой операций, назовем фразой. Каждий набор фраз, произведенный некоторым устройством описанного вида, назовем языком с конечным чслом состояний, например, набор фраз the man comes “человек приходит” и the men come “люди приходят” может быть произведен следующим устройством, принимающим пять состояний:

При переходе из С0 (начальное состояние) в С1 производится «пустое слово», при переходе из С1 в С2 производится слово the, из С2 устройство может перейти в два разных состояния С3 и С4, в первом случае производится слово man, во втором men, при переходе из С3 в С5 производится слово comes и при переходе из С4 в С5 слово come. С5 ‐ конечное состояние.
Из этого примера можно сделать заключение, что язык с конечным числом состояний должен состоять только из конечного числа фраз.

Uno di questi stati, ad esempio S0, è lo stato di partenza e un altro, ad esempio Sn, è quello finale. Supponiamo che il passaggio dallo stato Si a uno stato Sk sia seguito dall’emissione di una parola. Supponiamo che tutte queste coppie di stati, che definiremo legati, siano state fissate. Supponiamo ora che il meccanismo passi attraverso una serie di stati collegati da S0 a Sn. Qualsiasi serie di parole, ottenuta durante questa operazione, sarà definita frase. Ogni serie di frasi, prodotta da un meccanismo del tipo descritto, sarà chiamata linguaggio con un numero finito di stati, ad esempio, la serie di frasi the man comes, “ l’uomo sta arrivando” e the men come, “gli uomini stanno arrivando”, possono essere prodotte dal seguente meccanismo, il quale comprende cinque stati:

Durante il passaggio da S0 (stato di partenza) a S1 si produce una “parola vuota”, durante il passaggio da S1 a S2 è prodotta la parola the, da S2 la struttura può spostarsi verso due diversi stati, S3 e S4, nel primo caso producendo la parola man, e nel secondo caso men, durante il passaggio da E3 a E5 è prodotta la parola comes e durante il passaggio da S4 a S5 la parola come. S5 è lo stato finale.

Partendo da questo esempio è possibile concludere che un linguaggio con un numero finito di stati deve essere costituito solo da un numero finito di frasi.

21

На самом деле это не так. Ведь из некоторого состояния устройство может вернуться в то же самое состояние, производя некоторое слово; пусть, например, устройство может переходить из С2 не только в С3 и С4, но и в С2, производя при этом слово old (старый, старые). Изобразим это на схеме стрелкой, выходящей из С2 и слова возвращающейся в С2:

Тогда язык будет состоять из бесконечного набора фраз вида:
the man comes, the old man comes, the old…old…old…man comes…
Схема кажется достаточно простой и удобной, т. к. конечный набор состояний дает возможность производить бесконечное множество фраз. Между тем оказалось, что эта схема, с одной стороны, обладает очень слабой объяснительной способностью, т. е. мало содействует пониманию процесса порождения фраз человеком, а с другой стороны, может быть заменена более общей моделью, частным случаем которой и является язык с конечным числом состояний (Хомский, стр. 422‐430; Ревзин, 1962, стр. 139). Ниже мы рассмотрим более сильный порождающий процесс. Однако прежде следует ометить следующее важное достоинство рассматриваемой схемы: она позволяет применить к анализу языка аппарат теории информации (§ 12).

Ma in effetti non è proprio cosi. Poiché da uno stato il meccanismo può tornare allo stesso stato, producendo una parola; supponiamo, per esempio, che la struttura possa passare da S2 non solo a S3 e S4, ma anche a S2, generando la parola old [vecchio, vecchi]. Rappresentiamo questa situazione nello schema, con una freccia che parte da S2 e torna allo stesso S2.

In questo caso la lingua sarà costituita da una serie infinita di frasi come:
the man comes, the old man comes, the old…old…old…man comes…

Lo schema appare abbastanza semplice e comodo, poiché una serie finita di stati dà la possibilità di generare un numero infinito di frasi. È stato però dimostrato che questo schema, da un lato, possiede scarse capacità esplicative, cioè non contribuisce significativamente alla comprensione del processo di genesi delle frasi dell’uomo, ma dall’altro può essere sostituito da un modello più generale, il cui caso specifico è il linguaggio con un numero finito di stati (Homskij:422‐430; Revzin 1962:139).

Più avanti analizzeremo in modo più approfondito il processo di genesi. Tuttavia è prima necessario notare il merito importante dello schema considerato: esso permette di applicare all’analisi della lingua l’apparato della teoria dell’informazione (paragrafo 12).

22

В теории информации уже рассматривались схемы, подобный схеме порождения языка с конечным числом состояний, с той только модификацей, что каждому переходу Сi → Ck приписывалась известная вероятность Рik (Эшби, гл. 9, 1959).
Вернемся к процессу порождения, приведенному в начале параграфа, только дабавим еще переходы:

C1 → C6 с выдачей слова

this “этот”

these “эти” woman

women

comes “идет”


с выдачей пустого слова

C8 → C0 “
Общая схема будет иметь вид:

C1 → C7
C6 → C10 “женщина” C7 → C9 “женщины” C10 → C5 C9 → C8

“ “

come “идут”

Для случаев, когда из данного состояний Сi мы переходим в одно и только одно состаяние Ск, соотвествующая вероятность Pik = 1. Для остальных случаев мы можем определить частоту, исследуя на достаточно длинном тексте, сколько раз встречатеся:

Nell’ambito della teoria dell’informazione sono già stati esaminati schemi simili a quello della genesi del linguaggio con un numero finito di stati, con una solo modifica, ovvero che ad ogni passaggio da S1 → Sk veniva registrata la probabilità nota Pik (Ashby, capitolo 9, 1959).
Torniamo ora al processo di genesi di cui abbiamo parlato all’inizio del paragrafo, aggiungendo però alcuni passaggi:

S1 → S6 produzione parola

S1→ S7
‘questi’
S6→S10
‘donna’
S7→S9
‘donne’
S10→S5
S9→S8
‘arrivano’
S5→S0 “

this ‘questo’ these

woman women

comes ‘arriva’ come

“ “

con produzione di una parola vuota S8→S0 “

Lo schema generale avrà quest’aspetto:

Nei casi in cui, da un dato stato S1, è possibile spostarsi solo verso lo stato Sk, la corrispondente probabilità sarà Pik = 1. Nel resto dei casi possiamo determinare la frequenza, analizzando in un testo sufficientemente lungo quante volte si incontra:

23

а) после this слова woman и man
б) после these слова women и men
в) после the слова woman, women, man и men
Г) в начале (после «пустого слова») слово this.

Проведенный анализ (правда, на небольшом материале) показал, что, по‐ видимому:

P1.2 (the) > P1.6 (this) > P1.7 (these) P6.10 (woman) ≈ P6.3 (man)
P7.4 (men) ≈ P7.9 (women)

Эти результаты, очевидно, не случайны. Можно высказать предположение, что если в языке с конечным чслом состояний два слвоа принадлежат к одному грамматическому классу и одному семантическому классу, то условная вероятнность появления (после любого данного слова) одного из них приблизительно равна условной вероятности появления другого. Возможно, что в языках с конечным числом состояний имеет место и обратное, т. е. из того, что условная вероятность появления одного слова (после любого данного) приблизительно равна условной вероятности появления другого, следует их принадлежность к одному грамматическому и одному семантическому классу.

Это предположение не опровергается тем, что вероятность появления man (человек) после the равна вероятность появления (люди), хотя они и принадлежат к разным грамматическими классам. Ведь после this (этот) вероятность появления man есть некоторое положительное число, в то времия как вероятность появления men (люди) практически равна нулю.

То, что, по‐видимому, существует определенная связь между статистической и грамматико‐ семантической структурой текста,

a)dopo this la parola woman e man
b)dopo these la parola women e men
c)dopo the la parola woman, women, man e men
d)all’inizio (dopo la “parola vuota”) il termine this.

L’analisi condotta (a dire la verità su una quantità di materiale abbastanza limitato) ha mostrato che, evidentemente:

P1.2 (the) > P1.6 (this) > P1.7 (these) P6.10 (woman) ≈ P6.3 (man)
P7.4 (men) ≈ P7.9 (women)

Questi risultati, certo, non sono casuali. È possibile formulare un’ipotesi: se all’interno di un linguaggio con un numero finito di stati due parole appartengono a una stessa classe grammaticale e a un’area semantica, allora convenzionalmente la probabilità della comparsa (dopo qualsiasi parola data) di una di esse è approssimativamente pari alla probabilità di comparsa dell’altra.
È possibile che nei linguaggi con un numero finito di stati si verifichi anche il reciproco, cioè a parità di probabilità di occorrenza di due parole, le due parole appartengono alla stessa classe grammaticale e semantica. Questa ipotesi è smentita dal fatto che la probabilità della comparsa della parola man [persona] dopo the è pari alla probabilità della comparsa di men [persone], nonostante questi termini appartengano a classi grammaticali diverse. Eppure, dopo this [questo] la probabilità di comparsa della parola man è un numero positivo, mentre la probabilità di comparsa della parola men [persone] è praticamente pari a zero.
Il fatto che, apparentemente, esista un legame preciso tra la struttura statistica e semantico‐grammaticale del testo è verosimile anche in forza delle considerazioni che seguono.

24

правдоподобно и в силу следующих соображений.
В теории информации показывается следующий факт: чем свободнее возможность связывать между собой отдельные элементы кода, тем меньше избыточность (см. § 12). Если бы язык был устроен так, что в нем избыточность равнялась нулю, то любая фраза в нем была бы осмыслена, а схема порождения должна была бы строиться так, что из любого состояния возможен с одинаковой вероятностью переход в остальные. Наоборот. чем больше ограничений наложено на порядок следования элементов, тем больше избыточность кода.

Наличие в языке целого ряда рязличных классов слов и обусловленное этим сложное структурное строение языка, наличие специфически лингвистической грамматики объясняется, по‐видимому, необходимостью в большой избыточной информации. По самим условям речевого общение язык немыслим как оптимальный код, т. к. он должен обладать очень большой помехоустойчивостью.

В этой связи интересно следующее замечание Ингве: «Порядок и беспорядок в известной мере дополняют друг друга. Статистическая независимость преполагает отсутствие структуры, а любые отклонения от равновероятного исхода (any deviation of randomness) могут рассматриваься как‐показатель структурности» (Yngve, 1956, стр. 106). Для подобных исследований схема порождения с конечным числом состояний чрезвычайно полезна, т. к. она представляет собой наиболее простую модель грамматики. С другой стороны, интересно разобрать более сложные модели порождения, которые лучше отражают свойства реальных языков.

Nella teoria dell’informazione viene mostrato il seguente fatto: più libera è la possibilità di legare tra loro i singoli elementi del codice, minore sarà la ridondanza (paragrafo 12). Se la lingua fosse costruita in modo che al suo interno la ridondanza fosse pari a zero, allora qualsiasi frase al suo interno sarebbe sensata, mentre lo schema della genesi dovrebbe essere costruito affinché da qualsiasi stato fosse possibile, con una uguale probabilità, il passaggio verso quelli rimanenti. Al contrario, quante più limitazioni sono poste sull’ordine di successione degli elementi, maggiore sarà la ridondanza del codice.

L’esistenza all’interno della lingua di una serie di differenti classi di parole, la complessa struttura della lingua da ciò condizionata e l’esistenza di una grammatica specificatamente linguistica si spiegano apparentemente con la necessità di una grande ridondanza di informazioni. Secondo le condizioni stesse della comunicazione discorsuale, la lingua non può essere considerata un codice ottimale, poiché deve possedere una considerevole resistenza alle interferenze.

A riguardo è interessante notare l’osservazione di Yngve: “Ordine e disordine, in una certa misura, si completano a vicenda. L’indipendenza statistica presuppone l’assenza di struttura, e qualsiasi deviazione da un esito prevedibile (any deviation of randomness) può essere considerata come indice di strutturalità” (Yngve:106, 1956).
Per simili ricerche, lo schema della genesi con un numero finito di stati è particolarmente utile, poiché rappresenta il più semplice modello di grammatica. D’altro canto, è interessante prendere in esame modelli di genesi più complessi, i quali meglio riflettono le proprietà reali delle lingue.

25

Используя метод анализа по непосредственно состасляющим (НП)2, Н. Хомский построил порождающий процесс, который гораздо больше соотвествует лингвистической интуиции, а главное, оказывается гораздо более сильным, чем рассмотренный ранее (Ревзин, 1962, стр. 139).
Мы изложим основные идеи этого метода порождения, используя понятие конфигуразии, принятое в нашей литературе. Мы будем называть конфигурацией:
а) последовательность грамматических классов, соотвествующих костяку предложения, т. е. классов, соотвествующих субъекту и предикату (такую конфигурацию назовем базисной); б) последовательность грамматических классов, выполняющих ту же роль, что и один класс (такую конфигурацию назовем небазисной).
То, что мы рассматриваем не цепочки слов, например, “человек пришел, большой человек, очень большой, пришел домой и т. п., а цепочки соотвествующих классов, связано с необходимостью сократить число правил вывода. Так, цепочку нарече + прилагательное м. рода, ед. числа, им. падежа можно в дальнейшем заметить очень большим числом сочетаний, например

очень хороший
очень плохой
весьма посредцтвенный довольно примитивный и т. п.

Порождение осмысленной фразы можно представить себе следующим образом. Имеется исходный симбол Z0. Этот симбол заменяется какой‐то базисной конфигурацией. Далее, каждый из элементов конфигурации, в свою очередь, заменяется конфигурацией и т.д.

Utilizzando il metodo di analisi dei costituenti immediati2, N. Homskij ha costruito un processo generativo che corrisponde in misura maggiore all’intuizione linguistica, e la cosa più importante è che si dimostra di gran lunga più forte di quello analizzato prima (Revzin:139, 1962).

Esporremo le idee fondamentali di questo metodo di genesi, utilizzando il concetto di configurazione, accettato nella letteratura. Definiremo come configurazione:

a) la sequenza di categorie grammaticali, che corrispondono allo scheletro della proposizione, cioè le classi che corrispondono a soggetto e predicato (tale configurazione sarà definita di base);

b) la sequenza di categorie grammaticali che assolvono lo stesso ruolo di classe ( tale configurazione sarà definita secondaria).
Il fatto di notare non una serie di parole, ad esempio, “un uomo è arrivato, un uomo malato, molto malato, è arrivato a casa” , ma una serie di classi corrispondenti, si lega alla necessità di ridurre il numero di regole della conclusione. Quindi alla serie avverbio + aggettivo, genere maschile, singolare, caso nominativo si potrebbe in seguito sostituire un notevole numero di combinazioni, come ad esempio:

molto buono
molto cattivo
assai mediocre abbastanza semplice ecc.

La genesi delle frasi sensate può presentarsi nel seguente modo.
Consideriamo il simbolo di partenza Z0. Questo simbolo è sostituito da una qualsiasi configurazione di base. Quindi, ciascuno degli elementi della configurazione, a sua volta, sarà sostituito dalla configurazione e cosi via.

26

Затем вступают в действие правила, заменяющие симболы классов отдельными словами.
Поясным сказанное следующим примером:

Пусть S1 ‐ класс, соответствующий существительному им. падежа, мн. числа

V1 ‐ ” непереходному глаголу мн. числа, пр. времени

V2 ” непереходному глаголу мн. числа, пр. времени

A1 ” прилагательному им. падежа, мн. ч числа

A2 ” прилагательному вин. падежа, ж. рода, ед. числа

S2 ” существительному вин. падежа, ж. рода, ед. числа

Тогда порождение фразы:
“Советские шаxматисты одержали крупную победу” можно представить как следующую последовательность замен:

  1. 1)  Z0 → S1V1
  2. 2)  S0 → A1S1
  3. 3)  V1 → V2S2
  4. 4)  S2 → A2S2
  5. 5)  S1 → шахматисты
  6. 6)  A1 → советские
  7. 7)  V2 → одержали
  8. 8)  S2 → победу
  9. 9)  A2 → крупную

Заметим, что при всех заменах в левой части обязательно стоит один симбол, а в правой части может быть несколько симболов. Каждый ряд операций типа х → y приводит к преобразованию исходного символа, которое можно записать следующим образом:

Successivamente entrano in azione le regole volte a sostituire i simboli delle classi con le singole parole.
Chiariamo quanto detto con il seguente esempio:

Sia S1 – una classe corrispondente al sostantivo, caso nominativo,
plurale

V1 – una classe corrispondente al verbo intransitivo, plurale, tempo passato

V2 – una classe corrispondente al verbo transitivo, plurale, tempo passato

A1 – una classe corrispondente all’aggettivo, caso nominativo, plurale A2 – una classe corrispondente

all’aggettivo, caso accusativo, genere femminile, singolare

S2 – una classe corrispondente al sostantivo, caso accusativo, genere femminile, singolare

Quindi la genesi della frase:
“Gli scacchisti sovietici hanno riportato una grande vittoria” può essere rappresentata

come la seguente serie

1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9)

di sostituzioni:

Z0 → S1V1
S1→ A1S1
V1→ V2S2
S2 → A2S2
S1 → scacchisti
A1 → sovietici
V2 →hanno riportato S2 → vittoria

A2 → grande

Notiamo che, in tutte le sostituzioni, nella parte sinistra troviamo immancabilmente un solo simbolo, mentre nella parte destra si possono trovare più simboli. Ogni serie dell’operazione del tipo X → Y porta alla trasformazione del simbolo di partenza, il quale può essere trascritto nel seguente modo:

27

Z0
S1V1
A1S1V1
A1S1V2S2
A1S1V2A2S2
Cоветские шахматисты V2A2S2 ……………………………………………
Cоветские шахматисты одержали крупную победу (по 9).

Такой ряд Хомский назвал выводом (derivation). Символы Z0, A, S, V и т.п. мы будем называть мета‐обозначениями. Совокупность заключительных строк задаваемых правилами данного типа, будем считать множеством осмысленных фраз, порождаемым данной грамматикой.

Набор осмысленных фраз, т. е. заключительных строк вывода, Хомский назвал терминальным языком (terminal language).
Порождению, в виде цепочки вывода, эквивалентен процесс, который представляется в виде так называемого порождающего дерева. Каждой замене одного элемента на несколько соответствует узел. из которого выходит несколько ветвей. Так, приведенное предложение может быть представлено как порожденное следующим деревом:

Рассмотренная модель интересна и с кибернетической точки зрения. На ее основе Ингве высказал следующую интересную гипотезу (Yngve, 1960).

Z0
S1V1
A1S1V1
A1S1V2S2
A1S1V2A2S2
Gli scacchisti sovietici V2A2S2 ………………………………….
Gli scacchisti sovietici hanno riportato una grande vittoria

Homskij ha definito tale serie derivazione (derivation).
Considereremo come la grande quantità di frasi sensate originate dalla data grammatica la totalità delle linee conclusive date dalle regole descritte.

L’insieme di frasi sensate, vale a dire delle linee conclusive della derivazione, è stato definito da Homskij terminal language.
Alla genesi, nell’ambito della serie delle derivazioni, equivale il processo che si presenta nel quadro del cosiddetto albero generativo. A qualsiasi sostituzione di un elemento corrisponde un nodo, dal quale si estendono vari rami. Quindi, l’affermazione riportata può essere presentata come generata dal seguente albero:

Il modello analizzato è interessante anche da un punto di vista cibernetico. Alla sua base, Yngve ha formulato la seguente interessante ipotesi (Yngve:1960).

28

Преположим, что человек действительно синтезирует фразы рассмотренным выше способом. Ясно, что он не выдает сразу готовую фразу, а выстраивает слова цепочкой, одно за другим, при этом он не всегда знает, как будет закончена фраза, начатая определенным словами. Фраза может быть, вообще говоря, сколько угодно длинной (примером может служить шутливое английское стихотворение “дом, который построил Джек”, известное у нас в переводе С. Маршака). С другой стороны, объем выстродействующей памяти человека, как показали экспериментально психологические исследования Миллера (Miller, 1956), весьма ограничен. Ингве предлагает модель, которая реализует эту ситуацию, а именно, машину, схема которой представлена на стр. 93.

При этом в постоянной памяти содержатся правила вида Xi → Yj, в решающем устройстве производится сама операция замены, а в быстродействующей памяти хранятся те промежыточные сведения, которые необходимо запомить для выполнения некоторых операций.

Supponiamo che l’uomo sintetizzi realmente le frasi nel modo sopra analizzato. È evidente che non viene subito rilasciata la frase compiuta, ma le parole vengono allineate a catena, una dopo l’altra; non sempre sa come terminerà la frase, iniziata con certe parole. La frase può essere, in generale, di una qualsiasi lunghezza (può servire come esempio la filastrocca cumulativa inglese “The house Jack Built” di Jimmy Raynor). D’altro canto, il volume della memoria di transito dell’uomo, come mostrato dalle ricerche psicologiche sperimentali di Miller (Miller:1965), è piuttosto limitato. Yngve propone un modello che realizza tale situazione, precisamente una macchina, il cui schema è rappresentato a pagina 93.

In questo caso nella memoria a lungo termine vengono mantenute le regole del tipo Xi → Yj, nella struttura determinante viene effettuata la medesima operazione di sostituzione, mentre nella memoria di transito vengono conservate quelle informazioni intermedie che è necessario ricordare per l’esecuzione di alcune operazioni.

29

Например, для вывода сочетания: «одержали крупную победу» по правилам:

  1. 1)  V1 → V2S2
  2. 2)  V2 → одержали
  3. 3)  S2 → A2S2
  4. 4)  S2 → победу
  5. 5)  A2 → крупную

до того, пока не сработало четвертое правило, в быстродейстующей памяти надо хранить слово “победу”, которое может быть выдано (и стерто в быстродействующей памяти) лишь тогда, когда выведено слово “крyпную”.

Из этого примера ясно, что быстродействующая память должна вмещать по кайней мере два слова, иначе невозможно произвести нужную нам последовательность слов.
Ингве показывает, что минимальный объем быстродействующей памяти, необходимый для порождения описанным устройством любой фразы данного языка, зависит ото того, имеем ли мы дело с так называемыми прогрессивными или же регрессивными3 конструкциями в языке.
Прогрессивными конструкциями Ингве называет деревья или поддеревья (части деревьев), где ветвление происходит в правых точках, т. е. имеющие вид:

Ad esempio, per la derivazione della combinazione: “одержали крупную победу” ( hanno riportato una grande vittoria), secondo le regole:

  1. 1)  V1 → V2S2
  2. 2)  V2 → одержали [hanno riportato]
  3. 3)  S2→A2S2
  4. 4)  S2 → победу [una vittoria]
  5. 5)  A2 → крупную [grande]

fino all’entrata in azione della quarta regola è necessario conservare nella memoria di transito la parola “vittoria”, che può essere emessa (e cancellata nella memoria di transito) solo quando viene emessa la parola “grande”.

Da questo esempio risulta chiaro che la memoria di transito deve accogliere almeno due parole, non sarebbe altrimenti possibile generare la successione di parole a noi necessaria.
Yngve mostra che il volume minimo della memoria di transito, necessario per la generazione di qualsiasi frase di una data lingua tramite il meccanismo descritto, dipende dalla nostra pratica con le cosiddette costruzioni progressive o regressive3 all’interno della lingua. Yngve definisce le costruzioni progressive alberi o sottoalberi (elementi degli alberi), dove le diramazioni si originano dai punti di destra, prendendo cioè questa forma:

30

Ингве показывает, что указанное устройство, при ограниченном объеме быстродействующей памяти, может производить фразы какой угодно большой длины, если деревья этих фраз суть прогрессивные конструкции. Регрессивными конструкциями Ингве называет деревья или поддеревья, где ветвление происходит в левых точках, т. е. имеющие вид:

Именно за счет таких конструкций и повышаются требования к объему быстродействующей памяти.
После этих предверительных замечаний перейдем к изложению основной гипотезы Ингве.

Ингве считает, что:

Yngve mostra che la struttura indicata, dato il volume limitato della memoria di transito, può produrre frasi di qualsiasi lunghezza se l’albero generativo di queste frasi è costituito dalle costruzioni progressive.

Yngve definisce gli alberi, o sottoalberi, costruzioni regressive, dove le diramazioni si originano dai punti di sinistra, prendendo cioè la seguente forma:

Proprio per queste costruzioni aumentano le esigenza del volume della memoria di transito.
Dopo queste osservazioni preliminari, passiamo ora all’esposizione dell’ipotesi di base formulata da Yngve.

Yngve ritiene che:

31

а) фразы, действительно употребляемые в разговорном языке, имеют регрессивные построения ограниженной длины;
б) во всех языках существуют методы ограничения регрессивных конструкций, и вообще для фраз с разветвленным регрессивным построением используются синонимические конструкции прогрессивного строения.

Гипотеза Ингве проходит в настоящее время экспериментальную проверку . Имеется ряд веских возражений против этой гипотезы (в частности, высказанных Хомским и Лизом ). Тем не менее, основное стремление Ингве ‐ связать механизм порождения текста с особенностями быстродействующей памяти ‐ заслуживает самого серьезного внимания. В частности, мы увидим, в § 31. что гипотеза б) имеет важное значение для понимания явлений устного перевода.

Как ни важна, однако, модель непосредственных составляющих для монимания явлений языка, имеется, как выяснилось, ряд фраз, которые не могут быть объяснены на основании этой модели (Хомский; Ревзин. 1962).

В качестве примера приведем ряд немецких фраз:

1. Gestern baute er das Haus. “Вчера стоил он дом “.

2. Wie hat er das Haus gebaut? “Как он строил дом?”

3. Das Haus wird von ihm gebaut. “Дом строится им”.

Эти фразы не могут быть произведены методом непосредственных составляющих по следующим соображениям:

а) При порождении этим методом лйюбая фраза должна делиться на две непрерывные части (соответствущие субъекту и предикату), а в наших фразах этого нет;

a) le frasi realmente utilizzate nella lingua colloquiale possiedano una struttura regressiva di lunghezza limitata;
b) all’interno di tutte le lingue esistano metodi di restrizione della costruzione regressiva, e in generale per le frasi con una struttura regressiva articolata è utilizzata una costruzione sinonimica alla struttura progressiva.

L’ipotesi di Yngve, al momento, è in fase di verifica sperimentale. Ci sono schiere di obiezioni convincenti contro suddetta ipotesi (formulate in particolare da Homskij e Lees). Ciononostante, la principale aspirazione di Yngve, stabilire una relazione tra il meccanismo della generazione del testo e le particolarità della memoria di transito , merita la più seria attenzione.

In particolare, vedremo nel paragrafo 31 che l’ipotesi b) ha importante significato per la comprensione del fenomeno della traduzione orale.

È a sua volta importante, tuttavia, il modello dei costituenti immediati per la comprensione dei fenomeni della lingua; esiste, come è stato chiarito, una serie di frasi che non possono essere spiegate sulla base di questo modello (Xomskij; Revzin:1962).

In qualità d’esempio riportiamo una serie di frasi in tedesco:

1. Gestern baute er das Haus. “Ieri ha costruito la casa”.
2. Wie hat er das Haus gebaut?

“Come ha costruito la casa?”
3. Das Haus wird von ihm gebaut. “La casa è stata costruita da lui”.

Queste frasi non possono essere prodotte dal metodo dei costituenti immediati per le seguenti considerazioni:
a) durante la genesi, con questo metodo, qualsiasi frase deve dividersi in due parti ininterrotte (corrispondenti a soggetto e predicato), mentre nelle nostre frasi questo non avviene;

32

б) Интуитивно можно сказать, что все три фразы получены из фразы er baut das Haus, которую, в свою очередь, можно, например, получить из конфигурации: субъект – предикат (er baut).

Одноко легко убедиться, что нет такого преобразования, при котором фразы 1‐3 получаются из фразы er baut das Haus при помощи замены только одного элемента конфигурацией (без изменения порядка следования других элементов).

в) При порождении фраз конфигурационным методом каждая замена Х1 → Y1 не зависела от других замен, произведенных ранее. Здесь же замена baut на wird gebaut связана с заменой er на von ihm.
В связи с этим Хомский строит некоторое обощение теории порождения по НП, а именно, допускает, что наряду с фразами, полученным из базиснух конфигураций (им можно назвать ядром языка), имеется еще дополнительное множество фраз, полученное из фраз языка путем применения некоторых трансформаций. Процесс порождения теперь можно представлять себе как развертывание конфигураций и замену абстрактных символов словами языка, как и в предшествующей модели, с последующей трансформацей полученных фраз.
Таким образом, имеется совокупность фраз ядра, полученных конфигурационным методом, и совокупность фраз, полученных из фраз ядра (или каких‐нибудь иных), путем трансформации.
Покажем, например, что фразы 1‐3 могут быть получены из фразы er baute das Haus путем трансформации описанного выше вида. Введем следующие трансформации: T1. er baute gestern → gestern baute er (этот тип трансформаций, наиболее простой, поскольку здесь все элементы остаются теми же самыми ‐ можно назвать «перестановочной трансформацией»).

b) intuitivamente si può affermare che tutte e tre le frasi sono state ottenute dalla frase er baut das Haus, la quale a sua volta può essere ottenuta dalla configurazione: soggetto – predicato (er baut).

Tuttavia si verifica facilmente che non c’è tale trasformazione, per cui le frasi 1‐3 sono ottenute dalla frase er baut das Haus con l’aiuto della sostituzione di un solo elemento della configurazione (senza una modifica dell’ordine degli altri elementi).

c) Durante la generazione delle frasi attraverso il metodo della configurazione qualsiasi sostituzione Xi → Yj non dipende da altre sostituzioni effettuate precedentemente. Qui la sostituzione di baut con wird gebaut è legata alla sostituzione di er con von ihm.
A riguardo Xomskij ha elaborato una sintesi della teoria della generazione sulla base dei costituenti immediati, e precisamente suppone che oltre alle frasi ottenute dalle configurazioni di base (che possono essere definite nucleo della lingua), esista un’ulteriore quantità di frasi ottenute dalle frasi della lingua mediante alcune trasformazioni.
Il processo della generazione può ora presentarsi come lo sviluppo della configurazione e come sostituzione di simboli astratti con parole della lingua, come anche nel modello precedente, con successiva trasformazione delle frasi ottenute.
In questo modo, c’è un insieme di frasi del nucleo ottenute attraverso il metodo di configurazione, e un insieme di frasi ottenute dalle frasi del nucleo (o di qualcos’altro), per mezzo della trasformazione.
Mostriamo ad esempio che le frasi 1‐3 possono essere ottenute dalla frase er baute das Haus per mezzo della trasformazione del tipo descritto sopra. Introduciamo la seguente trasformazione:
T1. er baute gestern → gestern baute er (questo tipo di trasformazione è il più semplice, poiché qui tutti gli elementi rimangono gli stessi, e può essere definita “trasformazione commutativa”).

33

T2. er hat → wie hat er
(этот тип «перестановочной трансформациями» можно назвать «вопросительными трансформацями»). T3. baute das Haus → hat das Haus gebaut (это не простая замена элемента baut на hat gebaut, типа тех, которые производились в предыдущем параграфе, но подлинная трансформация, поскольку здесь, во‐первых, происходит определенная перестановка и, главное, появляется не происвольный элемент некоторого класса, например, geschrieben, gemacht, и т. п., а тот элемент, который передает тот же смысл. Такие трансформации можно назвать «морфологическими»).
T4. er baut das Haus → das Haus wird von ihm gebaut.
Аналогично в русском языке:
он строит дом → дом строится им
Это «пассивная трансформация». Покажем теперь, как комбинируя методы конфигурационного порождения и трансформационных преобразований, можно получить наши фразы. Из конфигурационных преобразований нам понадобятся следующие три:

ф1 Z → er ging
ф2 ging → baute das Haus ф3 baute → baute gestern.

Эти преобразования порождают следующие ядра:

er ging
er baute das Haus
er baute gestern das Haus

Наши фразы 1‐3 получаются применением следующих преобразований:

1 фраза: ф1, ф2, ф3, T1 2 фраза: ф1, ф2, T3, T2 3 фраза: ф1, ф2, T4

T2. er hat → wie hat er
( questo tipo di “trasformazioni commutative” possono essere definite “trasformazioni interrogative”).
T3. baute das Haus → hat das Haus gebaut (questa non è una semplice sostituzione dell’elemento baut con hat gebaut, come quelle effettuate nel paragrafo precedente, ma si tratta di una vera trasformazione, poiché qui, in primo luogo, si verifica un certo spostamento e, cosa più importante, non compare un elemento arbitrario di una classe, ad esempio geschrieben, gemacht, ecc…, ma quell’elemento che trasmette lo stesso significato. Tali trasformazioni possono essere definite “morfologiche”).
T4. er baut das Haus → das Haus wird von ihm gebaut.
Analogamente nella lingua russa:
он строит дом → дом строится им ( lui ha costruito la casa → la casa è stata costruita da lui)
Questa è una “trasformazione passiva”. Mostriamo ora come, combinando i metodi della generazione, della configurazione e della trasformazione, sia possibile ottenere le nostre frasi.
Dalle configurazioni delle trasformazioni risulta necessario il seguente modello:

F1 Z → er ging
F2 ging →baute das Haus F3 baute → baute gestern.

Queste trasformazioni generano le seguenti frasi del nucleo:

er ging
er baute das Haus
er baute gestern das Haus

Le nostre frasi 1‐3 sono ottenute dalla messa in atto delle seguenti trasformazioni:

1 frase: F1, F2, F3, T1 2 frase: F1, F2, T3, T2 3 frase: F1, F2, T4

34

Трансформации могут иметь самую разнообразную форму. Это могут быть трансформации, преобразующие:
а) часть фразы в часть фразы, например, T2, T3

б) фразу в фразу, например, T4
в) фразу в часть фразы.
До сих пор трансформаций последнего типа мы не рассматривали. Между тем, в языке они играют очень большую роль.

Большинство предложений нашего языка содержит некоторые трансформации, например, взятое наугад (стр. 615) предложение из “Краткого курса математического анализа” А. Я. Хинчина: “В создании строгой теории бесконечнык рядов одновременно с Коши фундаментальные результаты были получены Абелем”. Оно получено из следующих предложений:

1) Некто создавал строгую теорию бесконечных рядов
2) Коши получил фундаментальные результаты

3) Абель получил фундаментальные результаты, т. е. в создании этого предложения участовали по крайней мере две трансформации:

Le trasformazioni possono assumere le più molteplici forme e possono coinvolgere: a)parti di frasi all’interno di parti di frasi, come nel caso di T2 o T3

b)una frase all’interno della frase, come ad esempio in T4
c)una frase all’interno di una parte di frase. Tuttora non abbiamo analizzato quest’ultimo tipo di trasformazione, che ha invece un ruolo molto importante all’interno della lingua.

La maggioranza delle frasi nella lingua russa contiene alcune trasformazioni, come ad esempio la proposizione scelta a caso da “Breve corso di analisi matematica” di A. Ja. Chinčin (pagina 615):

“Nella creazione della rigida teoria delle serie infinite contemporaneamente a Koši, risultati fondamentali sono stati ottenuti da Abel’”. Questo è ottenuto dalle seguenti proposizioni:

1) Hекто создавал строгую теорию бесконечных рядов [Qualcuno ha elaborato una rigida teoria di serie infinite]
2) Коши получил фундаментальные резултаты [Koši ha ottenuto risultati fondamentali]
3) Абель получил фундаментальные резултаты [Abel’ ha ottenuto risultati fondamentali], cioè all’elaborazione di questa proposizione hanno partecipato almeno due trasformazioni:

35

а) некто создавал теорию → создание теории
б) Абель получил результаты → результаты были получены Абелем

и два правила объединения, которые также можно рассматривать как трансформацию:
в) при объединении 1), 2) и 3) действует правило: создание → в создании

г) при совпадении предикатов у 2) и 3) действует правило: Коши делал нечто → одновременно с Коши.
Введение в предложение однородных членов может быть осуществлено с помощью алгоритма, предложенного Е. В. Падучевой (Падучева, стр. 17 ‐ 18). Такой алгоритм можно построить следующим образом. Алгоритм должен сравнивать синтаксические деревья двух сочиненых предложений, и если оказывается, что определенные части этих деревьев заняты тождественными словами (т. е. соответствующие цепочки совпадают во всем, кроме порядкового номера слова и предложении), то эти два дерева можно “срастить”, т. е. отбросить ту часть второго предложеиния, которая в нем тождественна с первое предложение с помощью сочинительного союза. В результате такой операции, можно, например, из двух сочиненных предложений:

Прямая А пересекает прямую В, и прямая А пересекает прямую Y,
получить предложение с однородными членами:

Прямая А пересекает прямую В и прямую Y.
Деревья могут сращиваться “сверху”, как в предыдущем случае, когда два сочиненных предложения имеют тождественные подлежащие и сказуемые, так и “снизу”, как в предложении:

a)некто создавал теорию [qualcuno ha elaborato la teoria] → создание теории [elaborazione della teoria]
b)Абель получил резултаты [Abel’ ha ottenuto risultati] → резултаты были получены Абелем [dei risultati sono stati ottenuti da Abel’]

e due regole di associazione, che possono a loro volta essere considerate trasformazioni: c)nell’associazione delle proposizioni 1), 2) e 3) opera una regola: создание [elaborazione] → в создании [nella creazione]

d) nel caso coincidano i predicati delle proposizioni opera allora la regola: Коши делал нечто [Koši ha fatto qualcosa] → одновременно с Коши [contemporaneamente a Koši]. L’introduzione all’interno della proposizione di elementi analoghi può essere effettuata con l’aiuto di un algoritmo, proposto da E. V. Padučeva (Padučeva, pag. 17‐18). Tale algoritmo può essere costituito nel seguente modo. L’algoritmo deve comparare gli alberi sintattici delle due proposizioni composte, e se si dimostra che certe parti di questi alberi sono occupate da parole equivalenti (cioè serie corrispondenti che coincidono in tutto, tranne che nel numero d’ordine della parola nella proposizione) , allora questi due alberi possono “congiungersi” , cioè abbandonare quella parte della seconda proposizione che è presente al suo interno come anche, identica, nella prima proposizione, mentre la parte rimanente è introdotta nella prima proposizione con l’aiuto della congiunzione copulativa. Come risultato di tale operazione è possibile ad esempio, da due proposizioni composte:

“La retta A interseca la retta B”, e “La retta A interseca la retta Y”,
ottenere una proposizione con parti analoghe:

“La retta A interseca la retta B e la retta Y”. Gli alberi possono congiungersi “dall’alto”, come nel caso precedente, dove due proposizioni composte hanno identici soggetti e predicati, come anche “dal basso”, come nel caso della proposizione:

36

Прямая А и прямая В пересекают прямую Y, где вершины деревьев различны, а совпадающими являются нижние части деревьев, начиная со сказуемого.

§ 19. Трансформация как внутриязыковой перевод
Абстрактное определение трансформации, данное в § 18, сводится к тому, что при трансформации дается ряд правил замены одних фраз другими, причем предполагается, что смысл остается неизменным. Для нас существенно именно последние.

Поэтому мы определим трансформацию как перевод внутри языка или, точнее, тот частный случай перевода по схеме No 4, при котором ИЯ совпадает с ПЯ (см. понятие внутриязыкового перевода в §

6). Отличие трансформации от межъязыкового перевода, между прочим, состоит в том, что при трансформации нам не приходится сталкиваться с разной категоризацией действительности. Представляет значительный интерес классификация информаций, предложенная Л. Теньером4. В основу своей классификации Теньер положил части речи, которые он обозначает симболами, соответствующими окончаниями частей речи в эсперанто: О (существительное), А (прилагательное), I (глагол), E (нарече). При этом он различает два основных типа трансформаций: к первому относятся трансформации полнозначного слова ‐ члена предложения в слово иной категории (трансформации первой степени), ко второму ‐ трансформация всего предложения (трансформации второй степени). Внутри каждого из этих типов выделяются трансформации простые, двойные, тройные и т. д., в зависимости от количества трансформаций, которым подвергается базисная конструкция.

La retta A e la retta B intersecano la retta Y, dove le sommità degli alberi sono differenti, mentre coincidono le parti inferiori degli alberi, a partire dal predicato.

19. La trasformazione come traduzione intralinguistica
La definizione astratta di trasformazione che abbiamo trovato nel paragrafo 18, si limita al fatto che, al momento della trasformazione, è data una serie di regole di sostituzione di alcune frasi con altre e, nello stesso tempo, si prevede che il senso rimanga invariato. Per noi è importante proprio l’ultimo elemento. Per questo definiamo la trasformazione come traduzione all’interno della lingua o, più precisamente, come caso particolare della traduzione in base allo schema No 4, nel quale la lingua emittente coincide con la lingua ricevente (vedi il concetto di traduzione intralinguistica nel paragrafo 6). La differenza tra la trasformazione e la traduzione interlinguistica, fra l’altro, consiste nel fatto che, al momento della trasformazione, non ci scontriamo con una diversa categorizzazione della realtà. È di notevole interesse la classificazione delle trasformazioni proposta da L. Tesnière4. Alla base della sua classificazione Tesnière ha posto le parti del discorso, rappresentate con dei simboli, corrispondenti alle desinenze delle parti del discorso in esperanto: O (sostantivo), A (aggettivo), I (verbo), E (avverbio). Su questa base Tesnière distingue due tipi fondamentali di trasformazione: il primo riguarda la trasformazione della parola dotata di senso, dell’elemento della proposizione nella parola di un’altra categoria (trasformazione di primo livello), mentre il secondo riguarda la trasformazione di tutta la proposizione (trasformazione di secondo livello). All’interno di ciascuno di questi tipi si distinguono trasformazioni semplici, doppie, triple e cosi via, a seconda della quantità di trasformazioni che sono esposte alla costruzione di base.

37

Трансформации далее классифицируются, исходя из характера результирующей (а не исходной) категории. Рассматриваются, следовательно, трансформации в существительное, прилагательное, нарече и глагол.

К простым трансформациями первой степени Тенеьер относит следующие: трансформация прилагательного, наречия, глагола в существительное, трансформация существительного, наречия и глагола в прилагательное, трансформация существительного, прилагательного и глагола в нарече, трансформация существительного, прилагательного и наречия в глагол. Соответственно описываются двойные, тройные е т. п. трансформации первой степени.

Так, согласно Теньеру, двойная трансформация первой степени по формуле I > O > E представляет собой трансформацию личной глагольной формы в отглагольное существительное (I > O) и далее в неречие (O > E), например:

Ср: Je vous défends de sortir, Bernard cherche à comprendre.

Здесь, по теории Теньера, неопределенная форма есть глагол, преобразованный в существительное (первая трансформация), а последнее при помощи предлога de превращается в функциональный эквивалент наречия, играя ту же роль, что, например, rigoureusement (Ср. Je vous défends rigoureusement). То же относится и к форме à comprendre. Факты перевода, по‐ видимому, подтверждайют целесообразность такого подхода, т. к., например, при переводе на немезкий язык подобных конструкций появляется подлинное отглагольное существительное (I > O), причем образуется предложная группа, часто действительно играйющая обстоятельственную роль (O > E).

Le trasformazioni sono inoltre classificate in base alla natura della categoria risultante (e non di partenza). Sono analizzate quindi le trasformazioni in sostantivo, aggettivo, avverbio e verbo.

Tra le trasformazioni semplici di primo livello Tesnière colloca quanto segue: la trasformazione dell’aggettivo, dell’avverbio, del verbo in sostantivo, la trasformazione del sostantivo, dell’avverbio e del verbo in aggettivo, la trasformazione del sostantivo, dell’aggettivo e del verbo in avverbio, la trasformazione del sostantivo, dell’aggettivo e dell’avverbio in verbo.

Di conseguenza le trasformazioni doppie, triple e cosi via sono descritte come trasformazioni di primo livello.
Quindi, secondo Tesnière, la trasformazione doppia di secondo livello secondo la formula I > O > E rappresenta una trasformazione di forma strettamente verbale in sostantivo deverbale (I > O) e, in seguito, in avverbio (O > E), ad esempio:

Je vous défends de sortir, Bernard cherche à comprendre.

Qui, secondo la teoria di Tesnière la forma indeterminata è rappresentata dal verbo, trasformato in sostantivo (prima trasformazione), mentre quest’ultimo, con l’aiuto della preposizione de si trasforma nell’equivalente funzionale dell’avverbio, svolgendo lo stesso ruolo di rigoureusement (je vous défends rigoureusement). Questo riguarda anche la forma à comprendre. Nei fatti la traduzione conferma la convenienza di questo approccio poiché ad esempio, durante la traduzione di simili costruzioni in tedesco compare un vero sostantivo deverbale (I > O), e nello stesso tempo si costituisce un gruppo preposizionale, che effettivamente spesso ricopre una funzione circostanziale (O > E).

38

Ср: Il se décidra a traiter. Er entschloß sich zur Unterhandlung.

Трансформация (I > O > E) свойственна и русскому языку. Ср.: «от нечего делать», полученное трансформацией инфинитива в нарече посредством предлога “от” (аналогично французкому предлогу de). Трансформация второй степени (обозначается ») описывает преобразование назависимого предложения в подчиненное. Сюда относятся трансформации I » O (Je dis + Alfred a raison » je dis qu’ Alfred a raison, где подчиненное предложение выступает в функции существительного). I » A (les livres que vous avez, где подчиненное предложение выступает в функции прилагательного), I » E (je vous ai reçu + vous êtes arrivés → je vous ai reçu quand vous êtes arrivés, где подчиненное предложение функционирует как наречие.

Легко заметить, что эти трансформации описывают дополнительное, определительное и обстоятельственное предложение.

Трансформация второй степени, как и трансформация первой степени, может быть многократной, т. е. состоять из нескольких глаголов. Так, сложноподчиненное предложение J’approuve ce que vous faites описывается как двойная трансформация: vous faites ( I » A) + que vous faites » ce que vous faites (A » O). Некоторые трансформации Теньер называет эллиптическими. Так, двойной трансформации второй степени по формуле I» E » O в немецком языке может соотвествовать во французком эллиптическая трансформация I » O. Ср. Lehren, wie man vorsichtig sein muß – enseigner la prudence (cp. понятие модуляции в § 20).

Теория трансформаций дает возможность решить вопрос о конструктивной омонимии.

Il se décida à traiter. Er entschloß sich zur unterhandlung.

La trasformazione (I > O > E) è propria anche della lingua russa. “от нечего делать”, è ottenuta dalla trasformazione dell’infinito in avverbio per mezzo della preposizione “от” (analogamente alla preposizione francese de). La trasformazione di secondo livello (indicata dal simbolo ») caratterizza la trasformazione della preposizione indipendente in subordinata. Qui è mostrata la trasformazione I » O (Je dis + Alfred a raison » je dis qu’Alfred a raison, dove la proposizione subordinata agisce in funzione del sostantivo), I » A (les livres que vous avez, dove la proposizione subordinata agisce in funzione di aggettivo), I » E (je vous ai reçu + vous êtes arrivés → je vous ai reçu quand vous êtes arrivé, dove la proposizione subordinata opera come avverbio.

Si nota facilmente che queste trasformazioni caratterizzano una proposizione complementare, attributiva e circostanziale. La trasformazione di secondo livello, come anche la trasformazione di primo livello, può essere multipla, cioè costituita da più verbi. Quindi il periodo per subordinazione J’approuve ce que vous faites è descritto come doppia trasformazione: vous faites → que vous faites (I » A) + que vous faites » ce que vous faites (A » O). Alcune trasformazioni sono definite da Tesnière come ellittiche. Così, alla trasformazione doppia di secondo livello in base alla formula I » E » O della lingua tedesca può corrispondere, nella lingua francese, la trasformazione ellittica I » O. Lehren, wie man vorsichtig sein muß – enseigner la prudence (vedi il concetto di modulazione nel paragrafo 20).

La teoria della trasformazione da la possibilità di risolvere la questione riguardante l’omonimia costruttiva.

39

Если одна и та же цепочка симболов получается при двух разных трансформациях, то мы будем говорить, что эта цепочка является конструктивныйм омонимом. В качестве примера приведем случай совпадения так называемого субъектного и отглагольном существительном. Если мы имеем совокупность слов die Entdekkung dieses Laboratoriums “открытие лаборатории”, то ее можно объяснить как возникшую в разультате трансформации фразы:

Das Laboratoriums entdeckt etwas → die Entdeckung des Laboratoriums

“лаборатория нечто открыла” → “открытие лаборатории” или в результате трансформации фразы:

Man entdeckt das Laboratorium → die Entdeckung des Laboratoriums “нечто открыл (обнаружил) лабораторию → открытие лаборатории”.

B терминах трансформационного порождения может быть изложена одна проблема, которая имеет долгую историю и играет больщую роль в теории перевода и грамматической стилистике. Речь идет о том случае, когда две разные грамматические конструкции, например, в немецком языке причастный оборот и предложная конструкция с отглагольным существительным имеют одно и то же значение.
1) Näher tretend, hörte er Klänge einer Blechmusik (Бредель, «Родные и знакомые»).
2) “Aha”, sagte er im Nähertreten (Манн, «Верноподанный»).
Об этом, между прочим, свидетельствует перевод:
1) Подойдя ближе, он услышал звуки духового оркестра.

Se una stessa serie di simboli è ottenuta tramite due diverse trasformazioni , allora affermeremo che questa serie è un omonimo costruttivo. In qualità di esempio riportiamo il caso di coincidenza del cosiddetto caso genitivo del soggetto e dell’oggetto con sostantivo astratto deverbale. Se ci è dato l’insieme di parole die Entdekkung dieses Laboratoriums, apertura del laboratorio, allora questo può essere interpretato come risultato della trasformazione della frase:

Das Laboratorium entdeckt etwas → die Entdeckung des Laboratoriums

“лаборатория нечто открыла” → “откритие лаборатории” [apertura del laboratorio]
O come risultato della trasformazione della frase:

Man entdeckt das Laboratorium → die Entdeckung des Laboratoriums “нечто открыл (обнаружил) лабораторию [qualcuno ha aperto (mostrato) il laboaratorio] → “откритие лаборатории” [apertura del laboratorio].

In termini di generazione trasformativa può essere esposto un problema che ha alle spalle una lunga storia e il quale ricompre un importante ruolo nella teoria della traduzione e nella stilistica grammaticale. Si tratta di quel caso in cui due diverse costruzioni grammaticali, ad esempio nella lingua tedesca, la costruzione participiale e la costruzione preposizionale con sostantivo deverbale, hanno lo stesso significato.

1) Näher tretend, hörte er Klänge einer Blechmusik (Bredel, “Parenti e amici”).
2) “Aha”, ‐ sagte er im Nähertreten (Heinrich Mann, “Il suddito”).
Questo è confermato dalla traduzione:
1) подойдя ближе, он услышал духового оркестра [Avvicinandosi sentì il suono di una banda].

40

2) «Ага», ‐ сказал он, подойдя ближе. Явлению грамматической синонимии давались различные определения; по‐ видимому, наиболее удачным является определение Балли, который рассматривал грамматическую синонимию как частных случай замещения (supplétion): «Замещающие знаки имеют в точности одно и то же значение, но разные означающие» (Балли, стр. 196 – 198, 1955). Приводя примеры замещающих знаков, Балли, между прочим, говорит: «Отметим попутно, что герундий транспонирует глагол в существительное: Il lit en se promenant – Il lit pendant sa promenade. – “Он читает, прогуливаясь” ‐ “Он читает во время прогулки”.

Однако все попытки определения этого явления наталкивались на напреодолимые трудности, связанные с неясностью выражения «иметь одно и то же значение» или «иметь близкое значение».

Мы будем называть две конструкции грамматически синонимичными, ецли они:
а) развертываются из одного и того же исходного узла на дереве порождения предложения или, иначе говоря, играют одинаковую грамматическую роль;

б) входят в предложения, полученные одно из другого путем трансформации. Вернемся теперь к определению понятия трансформации в § 18. На основании этого определения можно сделать одно существенное утверждение:

Во фразах ядра некоторого языка нельзя найти две фразы, содержащие грамматические синонимы. Это очевидно, т. к. фразы ядра порождаются без обращения к какой‐либо трансформации. Итак, имеется по крайней мере два подъязыка, один ин которых, а именно, ядро, является идеализацией понятия «нейтральный стиль», рассматриваемого в стилистике.

2) “Ага”, ‐ сказал он, подойдя ближе
[“Aha”, ‐ disse lui, avvicinandosi].
Del fenomeno della sinonimia grammaticale sono state date diverse definizioni; probabilmente la definizione meglio riuscita è quella di Bally, il quale ha considerato la sinonimia grammaticale come caso particolare della sostituzione [supplétion]: “I segni che sostituiscono hanno esattamente lo stesso significato, ma diversi significanti” (Bally:196‐198, 1955).
Riportando esempi di segni sostitutivi, Bally, tra l’altro, afferma: “Notiamo per inciso che il gerundio trasforma il verbo in sostantivo: Il lit en se promenant – Il lit pendant sa promenade. – “он читает, прогуливаясь” [Lui legge passeggiando]– “он читает во время прогулки” [Lui legge durante la passeggiata]. Tuttavia tutti i tentativi di definire questo fenomeno si sono scontrati con difficoltà insormontabili, legate alla scarsa chiarezza dell’espressione “ha lo stesso significato” o “hanno significato simile”.
Definiremo due costruzioni «grammaticalmente sinonimiche» se queste: a) si sviluppano da uno stesso nodo di partenza sull’albero della generazione della proposizione o, in altre parole, svolgono lo stesso ruolo grammaticale;
b) entrano nelle proposizioni ottenute l’una dall’altra per mezzo della trasformazione. Torniamo ora alla definizione del concetto di trasformazione del paragrafo 18. Alla base di questa definizione può essere fatta un’affermazione essenziale:
all’interno delle frasi del nucleo di una lingua non è possibile trovare due frasi contenenti sinonimi grammaticali. Questo è evidente in quanto le frasi del nucleo sono generate senza appellarsi ad alcun tipo di trasformazione. Quindi esistono almeno due sottolinguaggi, uno dei quali, più precisamente il nucleo, costituisce l’idealizzazione del concetto di «stile neutro», analizzato in stilistica.

41

Что касается второго подъязыка, то его можно также рассматривать как целую совокупность подъязыков, причем каждый из подъязыков может быть охарактеризован теми трансформациями, при помощи которых получены фразы этого подъязыка. Тогда мы можем получить объективные характеристики того, что обычно называется «функциональным стилем». В самом деле, трансформации типа:

Er legt etwas zugrunde → Zugrundelegung “Он кладает нечто в основу” → “положение в основу”
Er hält die Prinzipien ein → Einhaltung der Prinzipien

“Он соблюдает принципы” “соблюдение принципов”

характерны для делового стиля, а трансформации типа:

Er legt etwas zugrunde → etwas zugrundelegend
Er hält die Prinzipien ein → die Prinzipien einhalten

для описаний в художественной литературе.

В то же время в разговорной речи неупотребительны ни те, ни другие трансформации.
Конечно, выделение подъязыков по типам применяемых трансформаций есть весьма грубое приближение понятия «функциональный стиль». Интересно, однако, что формальные методы, изложенные в § 18, могут явиться хотя бы вспомогательным инструментом для стилистики.

Per quanto riguarda il secondo sottolinguaggio, questo può anche essere considerato come un intero insieme di sottolinguaggi; ciascun sottolinguaggio può essere caratterizzato da quelle trasformazioni per mezzo delle quali si ottengono frasi di tale sottolinguaggio. Possiamo allora ricavare le caratteristiche oggettive di quello che è generalmente definito “stile funzionale”. Effettivamente trasformazioni del tipo:

Er legt etwas zugrunde [pone qualcosa alla base] → Zugrundelegung [il porre alla base] “Oн кладет нечто в основу” → “положение в основу”.

Er hält die Prinzipien ein [osserva i principi] → Einhaltung der Prinzipien [osservanza dei principi]
“он соблюдает принципы” → “соблюдение принципов”

sono tipiche dello stile ufficiale, mentre trasformazioni del tipo:

Er legt etwas zugrunde [pone qualcosa alla base] → etwas zugrundlegend [porre qualcosa alla base]
Er hält die Prinzipien ein [osserva i principi] → die Prinzipien einhalten [osservare i principi]

sono usate per le descrizioni in ambito letterario.

Allo stesso tempo nella comunicazione discorsuale non sono impiegate né queste, né altre trasformazioni.
Certo, mettere in evidenza i sottolinguaggi in base ai tipi di trasformazione adottati rappresenta un accostamento molto approssimativo al concetto di «stile funzionale». È interessante tuttavia che i metodi formali, esposti nel paragrafo 18, possono comunque rivelarsi strumenti sussidiari per la stilistica.

42

§ 20. Семантика в порождающей модели. Понятие модуляции
Рассмотренные в § 18 модели порождения имеют один существенный ‐ с точки зрения теории перевода ‐ недостаток: в них или совсем не рассматривается лексическое наполнение порождаемых фраз или же оно рассматривается лишь косвенно. Это соответствует преположению, что ‐ в отличие от грамматических структур, которые развертываются в процессе порождения из более простых ‐ лексическое наполнение всегда является чем‐то заданным и не подвергается преобразованиям, в ходе которых более простые ‐ с точки зрения их смысла ‐ единицы заменяются более сложными. Ясно, конечно, что процесс перевода можно описать и в соответствии с такой моделью порождения (в большинстве пособий по переводу, отдельно рассматривающих грамматические преобразования и лексическое наполнение, в сущности и предполагается нечто подобное). В этом случае нужно и язык‐посредник строить как систему соответствий между целыми словами и выражаениями (аналогично двуязычно,у словарю или фразеологическому словарю, предполагаермому в пособиях упомянутого типа).

Все дело, однако, в том, что тогда число соответствий становится очень большим (даже бесконечным, если допустить, что словарь всегда может пополняться новыми словами).

Если бы удалось выделить небольшое число элементарных единиц, к комбинации которых можно было бы свести значение каждого слова, то задача установления соответствий существенно упростилась бы. По‐видимому, именно такое описание личше всего моделирует деятельность человека в процессе перевода.

20. La semantica nei modelli di generazione. Il concetto di modulazione
I modelli di generazione analizzati nel paragrafo 18, dal punto di vista della teoria della traduzione, hanno un inconveniente considerevole: al loro interno il riempimento lessicale delle frasi generate non è affatto analizzato, o è analizzato solamente in modo marginale. Questo corrisponde all’idea che a differenza delle strutture grammaticali che si sviluppano nel processo di formazione da strutture più semplici, il riempimento lessicale è sempre qualcosa di dato e non è sottoposto a trasformazioni nel corso delle quali unità più semplici, dal punto di vista del loro significato, sostituiscono quelle più complesse.

È chiaro certo che il processo traduttivo può essere descritto anche in relazione a tale modello di generazione (nella maggior parte dei manuali di traduzione sono analizzati separatamente le trasformazioni grammaticali e il riempimento lessicale e non si suppone in realtà niente di simile). In questo caso è necessario costruire anche il linguaggio d’intermediazione come sistema di corrispondenze tra parole complete e frasi (analogamente al dizionario bilingue o al dizionario fraseologico, proposto in manuali del tipo menzionato).

Sta di fatto però che allora il numero delle corrispondenze diventa molto consistente (persino infinito se si ammette che il lessico può sempre arricchirsi con nuovi termini).
Se fosse possibile individuare un esiguo numero di unità di senso elementari, la combinazione delle quali potrebbe trasmettere il significato di ogni parola, allora il compito di stabilire le corrispondenze sarebbe considerevolmente più semplice. Probabilmente proprio tale descrizione simula meglio delle altre l’attività delle persone nel processo della traduzione.

43

Это соображение позволяет более чекто сформулировать вопрос о том, какие единицы целесообразно считать исходными и как должен быть устроен язык.постредник, в котором эти единицы записаны.

Некоторые соображения были высказаны в этой связи В.В. Ивановым (Иванов, 1957, стр. 56). Они сводятся к следующему. Все множество слов разбивается на ряд «семантических полей», например, поле слов, обозначающих деятеля, поле слов, обозначающих умственные способности людей и т. п. «Значение каждой лексической единицы можно рассматривать как множество, состоящее из счетного числа «сем» (или «семантических дифферемциальных признаков»). Выбор «сем», из которых состоит значение данной лексической единицы, определяется числом семантических полей, в которые входит эта единица» (там же). Возьмем для примера группу русских слов, описывающих имущественные отношения (ср. “дать”, “дарить”, “завещать”, “обменивать”, “продать”, “приобретать, “наследовать”, “получать”, “отнимать”, “лишать”, “присваивать” и т. п.). Каждое из этих слов можно представить как сложное синтаксическое образование, описывающее ситуацию, в которой взаимодействуют две стороны (А, В) и некоторый объект (О). Элементарным для всех слов этой группы является значение “иметь”. Этим не сказано, что слово “иметь” не может быть разложено на более элементарные семантические единицы: достаточно указать на то, что оно описывает ситуацию, в которой участвует субъект (А) и объект (О), между которыми существует некоторое отношение бытия (ср. : “город имеет библиотеку” ‐ “в городе есть библиотека” ‐ “библиотека этого города” и т. п.).

Questa considerazione consente di formulare più chiaramente la questione di quali unità considerare opportunamente come iniziali e di come dovrebbe essere costruito il linguaggio d’intermediazione, all’interno del quale tali unità sono inserite.

Alcune considerazioni a riguardo sono state formulate da V. V. Ivanov (Ivanov:56, 1957), e consistono in quanto segue. L’intero insieme di parole si divide in una serie di “campi semantici”, ad esempio il campo di parole che fanno riferimento alla personalità, il campo di parole che fanno riferimento alle capacità intellettive delle persone e cosi via. “Il significato di ogni unità lessicale può essere considerato un insieme composto dal numero di calcolo “sette” (o “segni semantici differenziali”). La scelta di “sei”, dei quali si costituisce il significato della data unità lessicale si configura come un numero di campi lessicali nei quali si inserisce questa unità”. Prendiamo come esempio il gruppo di parole russe che descrivono i rapporti di proprietà (дать [dare], дарить [donare], завещать [lasciare in eredità], обменивать [sostituire], продать [vendere], приобретать [acquistare], наследовать [ereditare], получать [ricevere], отнимать [sottrarre], лишать [togliere], присваивать [impadronirsi] eccetera). Ognuna di queste parole può essere presentata come una complessa costruzione sintattica che caratterizza la situazione in cui interagiscono due parti (A, B) e un oggetto (O). Basilare per tutte queste parole è il significato иметь [avere]. Questo non significa che la parola иметь [avere] non possa essere scomposta in unità semantiche ancora più elementari: è sufficiente indicare che questa caratterizza la situazione in cui hanno parte un soggetto (A) e un oggetto (O), tra i quali esiste una relazione di struttura (“город имеет бибиотеку” ‐ la città ha una biblioteca ‐ в городе есть бибиотека ‐ in città c’è una biblioteca‐ eccetera).

44

Но именно тот факт, что глагол “иметь” описывает ситуацию, в которой участвуют лишь 2 элемента, в отличие от слов группы, описывающей имущественные отношения, в которых, как уже сказано, участвуют 3 элемента, дает основание использовать значение этого слова в качестве элементарного для семантического описания этих последних. Так, слово “дать” будет представлено как состоящее из следующих семантических единиц: 1) каузировать (“сделать так, чтобы…”, фр. Faire, англ. Make, нем. lassen), 2) иметь, т, е. посредством этого слова описывается ситуация, характериизующаяся тем, что А каузирует имение О для В (Ср. : А дает книгу В). Слово “дарить” будет представлено так: 1) каузировать, 2) имееть, 3) безвозмездность. Поскольку каузировать + иметь → дать, то сово “дарить” может быть представлено как дать + безвозмездность. Получаем следующую, примерно, таблицу порождения некоторых слов, обозначающих имущественные отнощения:

1) каузировать + иметь → дать
2) дать + безвозмездность → дарить
3) дать + в обмен на деньги → продать.

Легко заметить, что приведенные здесь слова определяютося со стороны А, каузирующего имение: (Ср. фр. faire avoir – “дать”, faire don ‐ “подарить”). Но так как речь идет о двустороннем отношении, то мы можем изобразить соответствующую ситуацию и со стороны В.

Ma proprio il fatto che il verbo иметь [avere] caratterizza una situazione cui prendono parte solo 2 elementi, diversamente dalle parole dei gruppi che descrivono i rapporti di proprietà, nei quali, come è già stato detto, partecipano 3 elementi, pone le basi per l’utilizzo del significato di questa parola in qualità di elemento principale per la descrizione semantica di questi ultimi. Quindi la parola дать sarà rappresentata come costituita dalle seguenti unità linguistiche : 1) каузировать [causare] (сделать так, чтобы – fare in modo tale che.., francese: faire, inglese: make, tedesco: lassen), 2) иметь, cioè per mezzo di questa parola viene descritta una situazione caratterizzata dal fatto che A determina il possesso di O per B (А дает книгу B – A da un libro a B). La parola дарить [donare] sarà cosi rappresentata: 1) каузировать [causare] 2) иметь [avere] 3) безвозмездность [gratuità]. Poiché каузировать [causare] + иметь [avere] → дать [dare], allora la parola дарить [donare] può essere rappresentata come дать [dare] + безвозмездность [gratuità]. Otteniamo ad esempio la seguente tabella di generazione di alcune parole che fanno riferimento ai rapporti di proprietà:

1)каузировать [causare] + иметь [avere] → дать [dare]
2)дать [dare] + безвозмездность [gratutità] →дарить [donare]

3)дать [dare] + в обмен на деньги → продать [vendere]

Si nota facilmente che le parole qui riportate sono definite da A, che definisce la reggenza: (vedi frase: faire avoir – дать, fair don – подарить). Ma cosi come il linguaggio si costituisce sulla base di relazioni bilaterali, è possibile rappresentare la corrispondente situazione come definita da B.

45

Нам достаточно для этого поменять действующие стороны местами, вместо А каузировать + иметь О для В (т. е. “дать”) писать: В каузировать + иметь О для А, обозначив, таким образом, слово “получать”. Для отношения (2) получим слово “получать в дар”, для отношения (3) ‐ слово “покупать”. Легко заметить, что выражаемые таким образом отношения сходны с залоговыми отношениями: с семантической точки зрения (именно этот подход представляет преимущественно интерес для теории перевода) нет приниципальной разницы между выражением смысла лексическими или нелексическими спредствами.

(Ср. англ. B. is given a book by A. = B. receives a book from A.,

т. е. по‐русски В. получает книгу от А, или же дает книгу В.)

От этих отношений отличаются семантически отношения транзитивности‐ рефлективности: “брать”, как и “дать”, значить каузировать имение, но “дать” = А каузирует имение О для В, “брать” = В каузирует имение О для В. Вполне возможна ситуация, при которой А дает В некоторый объект, а В этот объект не берет. Проиллюстрируем теперь, каким образом можно описать значения русских слов: “иметь”, “дать”, “лишить”, “брать”, “потерять”, “отнять”, “купить”, “присвоить”, “продать”, “дарить” при помощи четырех элементарных признаков:
1) имения,
2) каузации,
3) рефлективности (для себя),
4) оплаты
и одной логической операции ‐ отрицания (каждый изуказанных признаков может отрицаться).

Ci è sufficiente scambiare di posto le parti attive, al posto di A каузировать [far fare] + иметь [avere] O, B (cioè дать – dare) scrivere: B каузировать [far fare] + иметь [avere] O con A, assumendo cosi il significato della parola получaть [ricevere]. Attraverso la relazione (2) otteniamo la parola получaть в дар [ricevere in dono], attraverso la relazione (3), la parola покупать [comprare]. Si nota facilmente che le relazioni rappresentate in questo modo appaiono come relazioni di pegno: da un punto di vista semantico (questo approccio in particolare presenta un interesse specificamente per la teoria della traduzione) non esiste una differenza sostanziale tra le espressioni di senso attraverso mezzi lessicali e non lessicali.

(vedi inglese : B. is given a book by A. = B. receives a book from A.,

cioè in russo B. получает книгу от А, oppure А дает книгу B).

È da queste relazioni che si distinguono da un punto di vista semantico le relazioni di riflessività: “брать” [prendere], come anche “дать” [dare], ha il significato di determinare il possesso, ma “дать” = A determina il possesso di O per B, “брать” = B determina il possesso di O per B.

È del tutto plausibile una situazione in cui A da a B un oggetto, ma B non lo prende. Illustriamo ora in che modo è possibile descrivere il significato delle parole russe: “иметь” [avere], “дать” [dare], “лишить” [sottrarre], “брать” [prendere], “потерять” [perdere], “отнять” [sottrarre], “купить” [comprare], “присвоить” [impossessarsi], “продать” [vendere], “дарить” [donare], con l’aiuto di quattro proprietà principali:

1) possesso
2) causa
3) riflessività (su di sé)
4) pagamento
e di un’operazione logica, la negazione (ognuna delle proprietà indicate può essere negata).

46

Можно представить себе, что значения соответствующих слов порождаются из более простых. Мы изобразим этот процесс при помощи дерева, причем условимся слева изображать положительные значения соотвествующего признака (+), а спарава ‐ отрицательные значения (‐).

На этой схеме нейтрализуются два разных значения: каузировать имение (вне зависимости от объекта) = “дать1” и каузировать имение не для себя = “дать2”, поскольку в русском языке в обоих случаях употребляется одно и то же слово “дать”. Во французком языке в значении “дать1” употревляется faire avoir, в значении “дать2” употребляется donner.

В нашей схеме использовалась лишь одна логическая операция, а именно отрицание.

È possibile presupporre che i significati delle parole corrispondenti siano generati da strutture più semplici. Rappresenteremo questo processo con l’aiuto di un grafico ad albero e stabiliremo di rappresentare a sinistra i significati positivi con il segno (+), mentre a destra quelli negativi con il segno (‐).

In questo schema sono neutralizzati due diversi significati: determinare il possesso (senza dipendere dall’oggetto) = “дать1” e determinare il possesso non per sé = “дать2”, poiché in russo in entrambi i casi è utilizzata una stessa parola “дать”. In francese nel caso del significato di “дать1” si utilizza faire avoir, mentre nel caso del significato “дать2” si utilizza donner.

Nel nostro schema è utilizzata una sola operazione logica, precisamente la negazione.

47

Разумеется, можно использовать и другие операции, например, конъюнкцию, образуя из определенных выше пучков признаков более сложные, связанные союзом “и”. Так, можно определить: обмениваться = А каузирует имение для В, и В каузирует имение для А (“дать” + “взять”);

украсть = А каузирует неимение для В и А каузирует имение для себя без оплаты (отнять + присвоить);
одолжить = А каузирует имение для В1 для того, чтобы В каузировал имение той же вещи у А (дать, чтобы получить обратно).

Аналогичный процесс порождения можно было бы построить для случая, когда исходным значением было бы имение не материального объекта, а некоторых знаний (тогда “дать2” соответствовало бы “преподавать”, нем. lehren, фр. enseigner, рум. Învăța и т. д., а “украсть” соответствовало бы “плагиировать”). Ясно, что каждое изописанных значений может модифицироваться прибавлением новых признаков, карактерных не для всей группы, а только для одного слова. Так, прибаблением признака “посмертно” к совокупности признаков слова “дарить” можно получить слово “завещать” и т. п. Такой процесс порождения можно было бы назвать лексической трансформацией. Удобнее, однако, терминологически отграничить понятия семантические от понятий грамматических. Процесс порождения, при котором соверщается переход от одного слова к другому с сохранением основного значения мы будем называть модуляцией5.

Senza dubbio possono essere impiegate anche altre operazioni, come ad esempio la congiunzione, formando dai gruppi di segni sopra definiti, altri segni più complessi, legati dalla congiunzione “и” [e].
Si può quindi stabilire che:
обмениваться [scambiarsi/barattare] = A determina il possesso per B e B determina
il possesso per A (дать + взять – dare + prendere);
украсть [rubare] = A determina il possesso per B e A determina il possesso per sé stesso senza pagare (отнять + присвоить – sottrarre + appropriarsi);
одолжить [prestare] = A determina il possesso per B1 affinché B determini il possesso di quella stessa cosa per A (dare per poi ricevere indietro).
Un analogo processo di generazione potrebbe essere stato costruito per il caso in cui il significato originario costituisse il possesso non di una cosa materiale, ma di alcune cognizioni (quindi дать2 corrisponderebbe a преподавать [insegnare], in tedesco lehren , in francese einseigner, in rumeno a preda, брать [prendere] corrisponderebbe a учиться [studiare], in tedesco lernen, in rumeno învăța e cosi via, mentre украсть [rubare] corrisponderebbe a плагиировать [plagiare]. È chiaro che ciascuno dei significati descritti può essere modificato dall’aggiunta di nuove proprietà, distintive non di tutto il gruppo, ma solo di una parola. Dunque, attraverso l’aggiunta della proprietà посмертно (postumo) all’insieme di proprietà della parola дарить [donare] si può ottenere la parola завещать [lasciare in eredità] eccetera.
Tale processo di generazione potrebbe essere definito trasformazione lessicale. È tuttavia più opportuno distinguere da un punto di vista terminologico i concetti semantici da quelli grammaticali. Il processo di generazione, attraverso il quale si realizza il passaggio da una parola a un’altra, conservando il significato di base, sarà definito modulazione5.

48

Так, переход от слова “лишить” к слову “отнять” будет модуляцией.
Частным случаем модуляции является тождественная модуляция, когда при переходе от слова к слову сохреняется весь пучок элементарных значений. Так, от слова “дарить” может быть порождено не только слово “завещать”, но и тождественная ей по смыслу лексема “оставить в наследство”. Таким образом, частным случаем модуляции является то, что называется синонимией, точнее ‐ синонимией стилистической. Это обстоятельство накладывает еще одно требоване на характер языка‐ постредника. При порождении слова должны быть заданы не только элементарные значения, но и набор характеристик, указывающик на его употребление в данном функциональном стиле, т. е. набор стилистических характеристик. Этот процесс можно себе представить так, что к набору элементарных значений добавляется характеристика (фамильярно, вулгарно) и т. п. Так, от совокупность признаков “отнять” + “”присвоить”, мы можем получить не только “украсть”, но и “стянуть”, “утащить”, “увести (машину)” и т. д.

Мы показали, каким образом анализируются слова, близкие друг к другу по смыслу (или, как мы будем говорить дальше, относящиеся к одному «смысловому ряду»). Заметим, что такие группы очень легко выделяются, если использовать следующую систему определений:
А) Назовем слова х и y полусинонимичными, если существует контекст (в некотором ПЯ), где они переводятся одним словом (омонимы считаются разными словами).
В) Назовем слова х и y полуантонимичными, если х и «y плюс отрицание» или y и «х плюс отрицание» полусинонимичны.

Quindi, il passaggio dalla parola лишить [privare] alla parola отнять [sottrarre] sarà definito modulazione.
Un caso particolare della modulazione è la modulazione identica, che si verifica quando durante il passaggio da una parola all’altra sono mantenuti tutti i significati principali. Cosi, dalla parola дарить [donare] è possibile generare non solo la parola завещать [lasciare in eredità], ma anche il lessema di senso identico оставить в наследство [lasciare in eredità]. In questo modo il caso particolare della modulazione è quello che viene definito sinonimia, più precisamente sinonimia stilistica. Questa circostanza aggiunge un nuovo requisito alla natura del linguaggio d’intermediazione. Con la generazione della parola devono essere dati non solo i significati principali, ma anche l’insieme delle caratteristiche che dimostrano il suo uso nel dato stile funzionale, cioè l’insieme delle caratteristiche stilistiche. Questo processo può essere presentato come aggiunta di caratteristiche all’insieme dei significati fondamentali (familiare, volgare) eccetera. Quindi, dall’insieme di proprietà отнять + присвоить [privare + appropriarsi] possiamo ottenere non solo украсть [rubare], ma anche стянуть [sgraffignare], утащить [portar via], увести [portare via un’automobile] eccetera.

Abbiamo mostrato in che modo sono analizzate le parole simili l’una all’altra per senso (oppure, come diremo più avanti, che possono essere attribuite a una “serie di sensi”).
Notiamo che tali gruppi si distinguono molto facilmente se si utilizza il seguente sistema di definizioni:
A) Definiremo le parole x e y semisinonimiche, se esiste un contesto (nella lingua ricevente), dove sono tradotte con una sola parola (gli omonimi sono considerati parole diverse).
B) Definiremo le parole x e y semiantonimiche se x e “y più negazione” oppure y e “x più negazione” sono semisinonimici.

49

Г) Будем говорить, что х и y относятся к одному смысловому ряду, если можно построить такую цепочку слов Х0, Х1, Х2……Хn, что 1) Хi‐1 полусинонимичны или полуантонимичны (0 ≤ I ≤ n) и 2) Х0 = х и Хn = y.

Легко доказать, что смысловые ряды не пересекаются. Понятие смыслового ряда интересно тем, чт внутри него всегда возможна модуляция (можно уточнить понятие модуляции в свою очередь не выводила за пределы смыслового ряда). Важность этого понятия интуитивно всегда сознавалась в теории перевода. К сожалению, приниципы выделения того, что называлось «синонимическим рядом», «переводическими синонимами», «антонимическим переводом» не были достаточно четко выяснены.

Из определения модуляции видно, что это понятие включает также порождение слов, называемых обычно идеографическими синонимами, т. е. слов, отличающихся не только употребляемостью в том или ином подъязыке, но и количеством элементарных значением (фактом оплаты).
Так же, как при порождении фраз, основную роль играли базисные конструкции, составляющие ядро языка, можно и слова, служащие основой для порождения целой группы слов, обозначающих имущественные отношения, ядерным словом будет “иметь”.
Таким образом, термин модуляция призван называть явление, интуитивно давно осознанное в теории перевода и часто называемое переводческой синонимией.

C) Affermeremo che x e y appartengono a un’unica serie di senso se è possibile costituire una serie di parole x0, x1, x2…xn, tale per cui 1) xi‐1 e xi siano semisinonimici o semiantonimici(0≤ i≤ n)e2)x0=xexn=y. È semplice dimostrare che le serie di senso non si intersecano. Il concetto di successione di senso è interessante in quanto al suo interno è sempre possibile la modulazione (si può rendere più preciso il concetto di modulazione affermando che questa a sua volta non oltrepassa i confini delle serie di senso). L’importanza di questo concetto è stata sempre intuitivamente riconosciuta nell’ambito della teoria della traduzione. Purtroppo, i principi di distinzione di quelli che sono definiti “serie di sinonimi”, “sinonimi traduttivi”, “traduzione antonimica”, non sono ancora stati chiariti bene.

Dalla definizione della modulazione è evidente che tale concetto include anche la generazione delle parole generalmente definite sinonimi ideografici, cioè parole che si distinguono non solo per il loro uso in questo o in un altro sottolinguaggio, ma anche per la quantità di significati fondamentali. Quindi, ad esempio, присвоить [appropriarsi] e купить [acquistare] si distinguono per un solo significato fondamentale (il pagamento).
Cosi come durante la genesi delle frasi le costruzioni di base hanno ricoperto un ruolo fondamentale, costituendo il nucleo della lingua, anche le parole, utilizzate come fondamento per la genesi di un intero gruppo di parole, possono essere considerate il nucleo lessicale della lingua. Quindi, per i gruppi di parole che si riferiscono ai rapporti di proprietà, la parola nucleare sarà иметь [avere].
In questo modo, il termine modulazione può essere definito come fenomeno da molto ormai compreso nell’ambito della teoria della traduzione a livello intuitivo e spesso definito sinonimia traduttiva.

50

В работах по теории художественного перевода подобные случаи обычно описываются при рассмотрении способов достижения полноценного перевода. Указывается, в частности, на возможность конктетизации недифференцированных и абстрактных понятий.

Например, предложение: His Lordship jumps into a cab, and goes to the railroad переводятся: “Лорд Кью юркнул в извозчичью карету и приказал везти себя на железную дорогу” (Рецкер, 1950, цтр. 176 ‐ 177).

В связи с проблемой разложения слова на семантические множители нужно заметить следующее. В переводе мы, наряду с общими словами типа рассмотренных выше, всегда, в большей или меньшей степени, имеем дело со словами‐терминами. Следует различать терминологическое значение термина и, как говорит А. М. Терпигорев, его «буквальное значение». Терминологическое значение термина ‐ это его соотнесенность с определением. дефиницией. «Буквальное»же значение термина соответствует набору семантических множителей, выделенных для данного слова в данном языке. Как указывает А. М. Терпигорев, буквальное значение термина может соответствовать, не соответствовать или противоречить его терминологическому значению (Терпигорев, 1953, стр. 73). Например, русский термин “жидкостная коррозия” применяется для понития, определяемого как «коррозия металлов в жидкой среде» (Терпигорев, 1953, стр. 74). Буквальное значение русского термина здесь соответствует его терминологическому значению. При Пассмотрении аналогичного термина в немецком языке feuchte Korrosion обнаруживается лишь частичное соответдтвие буквального значения слова его терминологическому значению: имеющееся в этом сочетании определение feuchte значить “влажная”, “сырая”, а не “жидкая”.

Nell’attività teorica della traduzione artistica casi simili caratterizzano solitamente l’analisi dei mezzi per realizzare una traduzione eccellente. Si mostra in particolare la possibilità di concretizzazione di concetti astratti e indifferenziati.

Ad esempio la proposizione: His Lordship jumps into a cab, and goes to the railroad si traduce: “Лорд Кью юркнул в извозчичью карету и приказал везти себя на железную дорогу” (Rezker:176‐177, 1950).

In relazione al problema della scomposizione della parola in fattori semantici è necessario notare quanto segue. Nella traduzione, oltre alle parole comuni del tipo sopra analizzato, abbiamo sempre a che fare, in misura maggiore o minore, con le parole‐termine. Conviene distinguere il significato terminologico del termine e, come afferma A.M. Terpigorev, il suo “significato letterale”. Per significato terminologico del termine si intende la sua correlazione con la definizione. Il significato “letterale” del termine corrisponde a un insieme di fattori semantici, rilevati per una data parola in una data lingua. Come mostra A. M. Terpigorev, il significato letterale del termine può corrispondere, non corrispondere o essere in contraddizione con il suo significato terminologico (Terpigorev, 1953, pag. 73). Ad esempio il termine russo жидкостная коррозия [corrosione da liquidi] si conforma al concetto definito come “corrosione dei metalli in ambiente liquido” (Terpigorev, 1953, pag. 74). Il significato letterale del termine russo in questo caso corrisponde al suo significato terminologico. Analizzando il termine analogo in lingua tedesca feuchte Korrosion si ritrova solo una corrispondenza parziale del significato letterale della parola con il suo significato terminologico: in questa combinazione la definizione feuchte significa “влажная” [bagnato], “сырая” [umido], e non “жидкая” [liquido].

51

Приведем еще один пример:
В немецком слове Feldstärke имеются составные части, обозначающие буквально понятие “сила поля”. Но так как терминологическое значение слова определяется содержанием обозначенного им технического понятия, то специалист по электротехнике переведет на русский язик слово Feldstärke термином “напряженность поля”. Следовательно, при оценке и переводе термина очень важно учитывать соотношение между его буквальным значением и терминологическим (Божно, стр. 11).
Термины с точки зрения теории перевода можно определить одним из следующих трех способов:
а) Как слова, не допускающие модуляции. б) Как слова, единственной трансформацией для которых является замена термина его определением или же замена абсолютным синонимом.
в) Как слова, перевод которых осуществляется не через обычный язык‐ посредных, а через язык‐посреднык, являющийся языком данной отрасли науки (вне зависимости от того, формализован или не формализован этот язык).
Наиболее важно, по‐видимому, трерье определение, из которого следуют первые два. Оно важно и для выделения специфики того, что обычно понимают под научно‐техническим переводом. Специфика научно‐технического перевода заключается именно в особом языке‐ посреднике. Недаром поэтому все пишыщие о научно‐техническом переводе говорят о необходимости знать соответствующую отрасль знания6.

Riportiamo ancora un esempio:
Nella parola tedesca Feldstärke esistono parti costitutive il cui concetto significa letteralmente “forza del campo”. Ma poiché il significato terminologico della parola è determinato dal concetto tecnico, uno specialista di elettrotecnica traduce in russo la parola Feldstärke con il termine “напряженность поля” [intensità di campo]. Di conseguenza, valutando anche la traduzione del termine, è molto importante prendere in considerazione la correlazione tra il suo significato letterale e quello terminologico (Božno:11, 1961).
I termini dal punto di vista della teoria della traduzione possono essere definiti in uno dei tre seguenti modi:
a) come parole che non ammettono la modulazione.
b) come parole la sola trasformazione delle quali è costituita dalla sostituzione del termine con la sua definizione o la sostituzione con un sinonimo assoluto.
c) come parole la traduzione delle quali è effettuata non attraverso il comune linguaggio d’intermediazione, ma attraverso un linguaggio d’intermediazione che si presenta come il linguaggio di un dato settore della scienza (senza dipendere dalla formalizzazione o meno di questo linguaggio). La definizione più importante è probabilmente la terza, dalla quale derivano le prime due. Questa è importante anche per la messa in rilievo delle peculiarità di quello che solitamente si intende per traduzione tecnico‐scientifica. La peculiarità della traduzione tecnico‐scientifica consiste proprio in un linguaggio d’intermediazione particolare. Non a caso proprio per questo motivo tutti gli autori che si occupano della traduzione tecnico‐scientifica parlano della necessità di avere una preparazione tecnica in quel settore6.

52

Приведенные соображения отчасти относятся и к словам общего языка, обозначающим конкретные предметы (как мы говорили уже, языком‐ посредником выступает в данном случае язык вещей). Здесь, однако, положение облегчается тем, что при обозначении конкретных предметов обычно имеет место одинаковая категоризация действительности. Конечно, в случаях типа приведенных в § 11 в языке‐ посреднике целесообразно иметь более дробные единицы, например, отдельные единицы, соответствующие фр. main, нем. Hand, англ. hand и фр. bras, нем. Arm, англ. arm и т. п.

Необходимо, однако, иметь в виду, что один и тот же набор признаков (в частном случае конретных предметов ‐ один признак) может применяться, как для обозначения абстрактного понятия, так и для обозначения конкретного предмета. Поэтому в языке‐посреднике их нужно разделить, например, элементарный смысл, соответстбующий слову “сердце”, представить как два элементарных смысла: “сердце1” (конкретный предмет) и “сердце2” (абстрактный признак). Это необходимо, в частности, для правильного перевода русских прилагательноых.
При рассмотрении вопорсов, связанных с переводом русских прилагательных, решающее значение имеет сама природа прилагательного, т. к. в зависимости от того, является ли оно качественным, т. е. соответствует в языке‐посреднике абстрактному смыслу, или относительным, т. е. соответствует в языке‐посреднике конкретному смыслу, может менятся и характер соответствия в ПЯ.
В качестве примера рассмотрим прилагательное “сердечный”.
Возьмем такие сочетания, как “сердечная деятельность”, “сердечная болезнь”, с одной стороны, и “сердечный прием”, с другой стороны.

Le considerazioni riportate possono parzialmente rifarsi anche alle parole della lingua comune, che si riferiscono a cose concrete (come abbiamo già detto il linguaggio delle cose agisce in questo caso come linguaggio d’intermediazione). Qui, tuttavia, la situazione si semplifica in quanto con la denotazione degli oggetti concreti ha solitamente luogo una categorizzazione univoca della realtà. Certo, nei casi del tipo riportato nel paragrafo 11 nel linguaggio d’intermediazione è opportuno che esistano unità più frazionate, ad esempio singole unità corrispondenti al francese main, al tedesco Hand, all’inglese hand e al francese bras, al tedesco Arm, all’inglese arm eccetera.
È necessario tuttavia tenere in considerazione il fatto che uno stesso insieme di proprietà (nel caso particolare degli oggetti concreti si tratta di un segno) può conformarsi sia al segno del concetto astratto, sia al segno dell’oggetto concreto. Per questo nel linguaggio d’intermediazione è necessario separarli, ad esempio il senso fondamentale, corrispondente alla parola сердце [cuore], presenta due sensi fondamentali: сердце1 (oggetto concreto) e сердце2 (proprietà astratta). Questo è necessario in particolare per una corretta traduzione dell’aggettivo russo.
Nell’analisi delle questioni relative alla traduzione degli aggettivi russi, il significato determinante ha la stessa natura dell’aggettivo, quindi a seconda che sia qualitativo, cioè se corrisponde nel linguaggio d’intermediazione a un senso astratto, o relativo, cioè se corrisponde nel linguaggio d’intermediazione a un senso concreto, può anche cambiare il carattere delle corrispondenze nella lingua ricevente.
In qualità di esempio analizzeremo l’aggettivo сердечный [cardiaco/cordiale].
Prendiamo combinazioni come сердечная деятельность [attività cardiaca], сердечная болезнь [malattia cardiaca] da un lato e сердечный приём [accoglienza calorosa] dall’altro.

53

Если бы при анализ слово “сердечный” в сочетаниях обеих групп ставилось в соответствие одной и той же единице языка‐посредника, то при синтезе мы получили бы неверные переводы. Так, если бы эта единица языка‐посредника соответствовала словам фр. cordial , англ. cordial, нем. herzlich, то наряду с осмысленными сочетаниями нем. herzlicher Empfang, фр. accueil cordial, англ. cordial reception, были бы порождены бессмысленные сочетания: herzliche Krankheit, maladie cordiale и т. п. Могут сказать, что осмысленность здесь зависить просто от сочетаемости прилагательного herzlich, cordial и т. п. с другими словами. Такой подход возможен, но вряд ли целесообразен, т. к. здесь имеется общая закономерность, которая применима не только к этому примеру, но к переводу целого ряда других прилагательных.

Возьмем другой пример ‐ слово “царский” и будем рассматривать такие сочетания: “царская дочь”, “царская семья”, с одной стороны и “царская палач”, “царский режим”, с другой стороны.

Если мы не выделим элементарных смыслов “царь1” и “царь2”, то опять мы получим ряд неосмысленных сочетаний. Правильный перевод достигается только при выделении двух разных элементарных смыслов, ибо “царская дочь” переводится – фр la fille du tsar, англ. the tsar’s daughter, нем. die Zarentochter; с другой стороны, сочетание “царская Россия” переводится: фр. la Russie tsariste, нем. das zaristische Rußland. Рассмотрим теперь прилагательное, которое очень часто встречается в переводе. Это прилагательное: “мирный”.

Se durante l’analisi la parola сердечный nelle collocazioni di entrambi i gruppi fosse messa in corrispondenza con una stessa unità del linguaggio d’intermediazione, allora durante la sintesi otterremmo traduzioni inesatte. Quindi, se questa unità del linguaggio d’intermediazione corrispondesse alla parola francese cordial, inglese cordial, tedesco herzlich, allora oltre alle combinazioni dotate di senso, in tedesco herzlicher Empfang, in francese accueil cordial e in inglese cordial reception, sarebbero generate combinazioni prive di senso: herzliche Krankheit, maladie cordiale, eccetera.

È possibile affermare che qui il senso dipende semplicemente dalla combinabilità dell’aggettivo herzlich, cordial, eccetera con altre parole. Tale approccio è possibile, ma è poco probabile che sia sensato in quanto qui esiste una regolarità generale la quale è applicabile non solo a questo esempio, ma anche alla traduzione di un’intera serie di altri aggettivi.

Prendiamo un altro esempio, la parola царский [dello zar], e analizziamo tali combinazioni: царская дочь [figlia dello zar], царская семья [la famiglia zarista], da un lato, e царская Россия [la Russia zarista], царский палач [il boia dello zar] e царский режим [regime zarista] dall’altro.

Se non evidenziamo il senso fondamentale царь1 e царь2, allora ancora una volta otterremo una serie di collocazioni prive di senso. Una traduzione corretta può essere ottenuta solo attraverso la messa in evidenza di due diversi sensi fondamentali, in quanto царская дочь si traduce come la fille du tsar in francese, the tsar’s daughter in inglese, die Zarentochter in tedesco; dall’altro lato la combinazione царская Россия si traduce come la Russie tsariste in francese e das zaristische Russland in tedesco.
Analizzeremo ora un aggettivo che si incontra molto spesso nella traduzione. Si tratta dell’aggettivo мирный [di pace/pacifico].

54

Очень часты, например, такие сочетания, как “мирный договор”, “мирный труд” и т. п. “Мирный договор” ‐ “договор о мире”. Здесь прилагательное имеет относительное значение. Мы переводим Friedensvertrag. Ясно, что сказать здесь friedlicher Vertrag нельзя. “Мирный труд” имеет качественное значение ‐ “спокойный труд, труд, не прерываемый катастрофами”, поэтому мы переводим: friedliche Arbeit. Но в этом случае соответствие не носит однозначного характера. Дело в том, что “мирный труд” может быть иногда переведен при помощи Friedensarbeit. При этом, такой перевод получает значение “работа во время мира”, “работа для мира”. Сочетания “детский дом”, “детская литература” имеют значение относительное (Виноградов, стр. 204 – 205, 1947), поэтому мы переводим: Kinderheim, Kinderliteratur. Если же мы говорим: “детская болтовня” (в смысле “наивная болтовня”), то это значение качественное, ср. Перевод kindliches Gerede.

Интересный пример изменения значения прилагательного мы находим у М. Горького:
“Онс улыбалась, лицо ее было надменно и неподвижно, улыбалась только ее серые осенние глаза” («Дело Артамоновых»).

Обычно прилагательное “осенний” имеет относительное значение: “осенний лист”, ср. Herbstlaub, “осенние дни” Herbsttage. Здесь же значение явно качественное. Поэтому переводчик должен был перевести это место так (Кузнецова, стр. 187): Sie lächelte: ihr Gesicht war hochmütig und unbeweglich, nut ihre grauen herbstlichen Augen lächelten.

Molto frequenti sono ad esempio le collocazioni мирный договор [trattato di pace], мирный труд [lavoro pacifico], eccetera. Mирный договор: договор о мире. Qui l’aggettivo ha un significato relativo. Lo tradurremo con Friedensvertrag. È chiaro che in questo caso non è possibile tradurre con friedlicher Vertrag. Mирный труд ha un significato qualitativo: спокойный труд [attività pacifica], attività non interrotta da incidenti, per questo tradurremo con friedliche Arbeit. Ma in questo caso la corrispondenza non ha carattere univoco. Infatti, мирный труд può essere a volte tradotto come Friedensarbeit. In questo caso una tale traduzione acquista il significato di “lavoro in tempo di pace”, “lavoro per la pace”.

Le collocazioni детский дом [asilo], детская литература [letteratura per bambini] hanno un significato relativo (Vinogradov:pag.204‐ 205, 1947) , per questo tradurremo: Kinderheim, Kinderliteratur. Se dicessimo: детская болтовня [chiacchiera infantile], nel senso di chiacchiera ingenua, allora questo sarebbe un significato qualitativo (vedi la traduzione kindliches Gerede).

Un interessante esempio dei mutamenti del significato dell’aggettivo è quello dato da Maksim Gor’kij:
“она улыбалась, лицо её было надменно и неподвижно, улыбалась только её серые глаза” [sorrideva, il suo viso era altezzoso e immobile, sorridevano solo i suoi occhi grigi autunnali]. (“L’affare degli Artamonov”) Generalmente l’aggettivo осенний [autunnale] ha un significato relativo: осенний лист [foglia d’autunno], Herbstlaub, осенние дни [giorni d’autunno], Herbsttage. Qui il significato è chiaramente qualitativo. Per questo il traduttore dovrebbe tradurre questo passo come segue (Kuznecov, pag. 187): Sie lächelte: ihr Gesicht war hochmütig und unbeweglich, nur ihre grauen herbstlichen Augen lächelten.

55

§ 21. Единицы перевода. Контекст Обратимся теперь к работе переводчика. Ему дано некоторое сообщение, подлежащее переводу. Прежде всего переводчик должен «понять» его. Но какий точный смысл мы можем придать словам «понимание текста»? Очевидно, что в теории перевода эту слова будут иметь разный смысл, в зависимости от того, происходит ли интерпретация (схема No 3) или собственно перевод (схема No 4). При интерпретации понимание текста сводится к установлению соответствия между текстом и действительностью. Но какой смысл имеют слова «понимание текста» при переводе? По‐видимому, целесообразно считать, что понять текст при переводе значит: а) установить соответствие между некоторым отрезками текста и элементами языка‐ посредника и б) установить синтактические отношения между этими отрезками.
Эти отрезки текста, с которыми ыстанавливается соответствие через язык‐ посредник, мы будем называть единицами перевода7.
Выделение тех единиц, на которые распадается анализируемое сообщение с точки зрения перевода, и является одной из основных задач анализа текста.
Можно было бы принщть слово (промежуток между проблемами ‐ в письменном тексте и промежуток между паузами, «фонетическое слово» в устном тексте) в качестве такой единицы.
Были выдвинуты, однако, серьезные возражения против принятия слова в качестве единицы перевода. Из них, по‐ видимому, наиболее интересным является следующее. «Главная причина, по которой мы не можем принять слово, как единицу (имеется в виду «единицу перевода»), в том, что в слове не выступает достаточно ясно двойственная природа знака, причем обозначающее выдвигается на первый план за счет обозначаемого» (Vinay, Darbelnet, стр. 37,

21. Le unità della traduzione. Il contesto Prestiamo ora attenzione al lavoro del traduttore. Al traduttore è dato un messaggio che deve essere tradotto. Per prima cosa il traduttore deve comprenderlo. Ma precisamente quale senso possiamo attribuire alle parole “comprensione del testo”? È ovvio che nella teoria della traduzione queste parole avranno un senso diverso, che dipende dal verificarsi dell’interpretazione (schema No 3) o dal verificarsi di una traduzione effettiva (schema No 4). Attraverso l’interpretazione la comprensione del testo si riduce alla creazione di una corrispondenza tra il testo e la realtà. Ma che senso hanno le parole “comprensione del testo” nell’ambito della traduzione? Probabilmente ha senso ritenere che comprendere un testo nell’ambito della traduzione significhi:

a)stabilire una corrispondenza tra alcuni frammenti del testo ed elementi del linguaggio d’intermediazione e b)stabilire relazioni sintattiche tra questi frammenti.

Definiremo questi frammenti con i quali si stabiliscono le corrispondenze per mezzo del linguaggio d’intermediazione, unità della traduzione7.

L’individuazione di tali unità, nelle quali si scompone il messaggio analizzato dal punto di vista della traduzione, costituisce uno degli obiettivi principali dell’analisi del testo.
È possibile considerare unità della traduzione la parola (l’intervallo tra gli spazi nel testo scritto e l’intervallo tra le pause, “parola fonetica”, nel testo verbale).
Tuttavia sono state sollevate solide obiezioni contro la possibilità di considerare la parola un’unità della traduzione. Tra queste, la più interessante è probabilmente la seguente. “ La ragione principale per cui non possiamo considerare la parola come unità (unità della traduzione) consiste nel fatto che all’interno della parola non emerge in modo sufficientemente chiaro la natura ambivalente del segno, e inoltre il signifiant emerge in primo piano a spese del signifiè (Vinay, Darbelnet:37, 1958).

56

1958).
Авторы цитируемой книги решают вопрос об единицах перевода выделением так называемых единиц смысла (unités de pensée). Однако на практике оказывается, что авторы сводят вопрос об единицах перевода к еще одной классификации фразеологических единиц.
Гораздо более глубокую трактовку вопрос об единицах перевода получил в работах по машинному переводу.
В машинном переводе выделение единиц перевода соответствует операции сведения определенных отрзков текста к информации, записанной в памят машины. Было предложено различать следующие виды слов («Машинный перевод», 127):
а) Вводимое слово (input‐word) есть единица текста, определенная следующим образом:
Слово есть любая цепочка букв, которой предшествует и за которой следует пробел или знак препинания.
Два слова идентифицируются, еслибуквы, стоящие на выступающих местах, совпадают.
б) Выводимое слово (output‐word) есть группа слов ПЯ, выступающих в качестве соответствия данного вводимого слова.
в) Запоминаемое слово, совокупность информаций к данному слову, помещенная в памяти машины.
Первая проблема, связанная с выделением единиц текста, состоит в следующем: должно ли «вводимое слово» совпадать с «запоминаемым словом»? Например, если имеется предложение: «Величина угла определяется отношением дуги к радиусу»8, то нужно ли. чтобы запоминаемые слова имели вид: величина
угла и т. п.

Gli autori dell’opera citata risolvono il problema delle unità della traduzione rilevando le cosiddette unità di senso (unités de pensée). Tuttavia nella pratica risulta che gli autori riducono la questione delle unità della traduzione a un’altra classificazione di unità fraseologiche.

Una trattazione della questione delle unità della traduzione di gran lunga più approfondita è stata ottenuta nell’ambito della traduzione automatica.

Nella traduzione automatica l’individuazione delle unità della traduzione corrisponde all’operazione di ricondurre determinati frammenti del testo all’informazione, registrata nella memoria della macchina. È stato proposto di distinguere i seguenti tipi di parola (“Traduzione automatica”:127):

a) input word, è un’unità del testo, definita come segue:
la parola è una qualsiasi stringa di lettere, la quale precede e alla quale segue uno spazio o un segno di interpunzione. Due parole si identificano se le lettere, che si trovano in posizioni corrispondenti, coincidono

b) output word, è un gruppo di parole della lingua ricevente, che emerge in qualità di corrispondenza della data imput word.
c) Parola memorizzata, insieme di informazioni relative a una data parola, presente nella memoria della macchina.

Il primo problema legato all’individuazione delle unità del testo consiste in quanto segue: la “imput word” deve coincidere con la “parola memorizzata”? Ad esempio, supponiamo di avere la proposizione: “величина угла определяется отношением дуги к радиусу”8 [L’ampiezza dell’angolo è determinata dal rapporto tra arco e raggio]; allora le parole memorizzate dovrebbero essere:
величина [ampiezza]
угла [dell’angolo] eccetera.

57

В обычных словарях это заведомо не так, там так называемое «словарное слово» (нем. Stichwort, польск. hasło) дается в исходной форме (существительное в именительном падеже единственного числа, глагол в форме инфинитива и т. п.). При этом предпологается, что человек легко найдет исходную форму для данного слова из текста. Для машины же нужны четкие правила идентификации вводимого и запоминаемого слова. Принципально возможны следующие два пути:

1) Вводимое и запоминаемое слово совпадают. Это означает, что в память машины длжны быть введены, например, следующие разные слова: “величина”. “величины”, “величину”, “величиной”, “величине”, “величин”, “величинам”, “величинах”. Вообще говоря, такой путь может быть приемлем (например, для языков типа английского или немеского). Однако для русского языка такой путь в десятки раз увеличил бы объем машинной памяти, что технически невыгодно.

2) Даются формальные правила, по которым ряд разных вводимых слов, например, “величина”, “величине”, “величин” и т. п. сводится к одному запоминаемому слову. При этом запоминаемое слово может быть исходной формой, как в словарях (например, “величина”), или иметь какую‐ то другую форму (например, “величин”). Поскольку решающим является критерий удобства, то форма запоминаемого слова может быть, вообще говоря, выбрана произвольно. Удобно при этом пользоваться, как показывает пример “величина”, основой слова, однако, этот термин также нуждается в точном определении применительно к машине. Сведение вводимого слова к запоминаемому может быть достигнуто путем прибавления или (что удобнее) отбрасывания определенных букв.

Nei dizionari comuni non sempre è così, poiché al loro interno il cosiddetto словарное слово [lemma], (in tedesco Stichwort, in polacco haslo) è dato nella sua forma iniziale (sostantivo al caso nominativo singolare, verbo nella forma dell’infinito eccetera). Con questo si presuppone che le persone trovino facilmente la forma iniziale della parola data nel testo. Per la macchina sono necessarie precise regole di identificazione della imput word e della parola memorizzata. In linea di principio sono possibili le due seguenti procedure:
1)La imput word e la parola memorizzata coincidono. Questo significa che nella memoria della macchina devono essere introdotte ad esempio le seguenti parole: “величина”, “величины”, “величину”, “величиной”, “величин”, “величинам”, “величинах”. Generalmente parlando, tale procedura può essere considerata ammissibile (ad esempio per lingue come quella inglese o tedesca). Tuttavia per la lingua russa questo procedimento aumenterebbe di decine di volte il volume della memoria della macchina, il che è tecnicamente svantaggioso.

2) Sono date delle regole formali per le quali una serie di diverse imput words, ad esempio “величина”, “величинe”, “величин” eccetera è riconducibile a una sola parola memorizzata. La parola memorizzata può quindi presentarsi nella sua forma di base, come nei dizionari (ad esempio “величина”), o avere una qualsiasi altra forma (ad esempio “величин”).

Poiché il criterio della comodità è determinante, allora la forma della parola memorizzata può essere, generalmente parlando, scelta arbitrariamente. Conviene in questo caso utilizzare la parola di base, come è mostrato dall’esempio “величина”, tuttavia questo termine richiede una precisa definizione relativamente alla macchina. La riduzione della imput word a parola memorizzata può essere ottenuta tramite l’aggiunta o (più comodamente) il troncamento di determinate lettere.

58

Поэтому под термином «основа» понимается часть слова, которая остается графически неизменной во всех его формах. (Кулагина, Мельчик, 1956, стр. 111). Заметим, что это не совсем то, что обозначается термином «основа» в обычных грамматиках. Возьмем вводимые слова: “осел”, “осла”, “ослов”, “ослами”, “ослах” и т. п. Можно дать правило, по котороу машина будет отбрасывать окончания ‐а, ‐ов, ‐ами, ‐ах и т. п., и вводимые слова “осла”, “ослов”, “ослами”, “ослах” будут тогда сведены к основе: “осл”. Слово “осел” к этой основе свести труднее. Можно потребовать, чтобы машина выбрасывала букву е, стоящую на предподледнем месте, но это осложит все правила. По‐видимому, целесообразнее иметь две основы: “осл” и “осел”. Иногда появиться необходимость запоминать три основы, например, “мог”, “мож” и “моч”, четыре основы, например, “ид”, “шл”, “шел”, “шедш” для глагола “идти” и, может быть, даже больше.
Таким образом, в машинном переводе, как правило, выделяются единицы, более короткие, чем слова, а именно единицы, соответствующие морфемам. С другой стороны, опыт машинного перевода показал, что в виде запоминаемого слова в словарь машины целесообразно вводить целые обороты (причем удобно иметь даже специальный словарь оборотов).
Сочетания слов или «обороты» при машинном переводе, понятие более широкое, чем, скажем, «идиомы» или «фразеологические сочетания».
«Под оборотом мы понимаем все те комбинации из нескольких слов, буквальный перевод которых одного за другим (по данным нашего словаря), без учета формы их сочетания, привел бы к искажению смысла» (Кулагина, Мельчук, стр. 113, 1956).

Per questo con il termine “tema” si intende quella parte della parola che rimane graficamente invariata in tutte le sue forme. (Kulagina, Mel’cik:111, 1956). Facciamo presente che questo non è interamente quello che si intende con il termine “tema” nella grammatica comune. Riportiamo le imput word: “осел” [asino], “осла”, “ослов”, “ослами”, “ослах”, eccetera. Può essere formulata la regola per cui la macchina lascia da parte le desinenze ‐a, ‐ oв, ‐ами, ‐ ax, eccetera, e le imput words “осла”, “ослов”, “ослами”, “ослах” sono allora ridotte al tema “осл”. È più complicato riportare a questo tema la parola “осeл”. Può essere necessario che la macchina cancelli la lettera e, situata in penultima posizione, ma questo complica tutte le regole. Probabilmente è più conveniente disporre di due temi: “осл” e “осел”. A volte sorge la necessità di conservare nella memoria tre temi, ad esempio “мог”, “мож” e “моч”, quattro temi, ad esempio “ид”, “шл”, “шел” e “шедш” dal verbo идти e magari anche di più.

In questo modo nella traduzione automatica, solitamente, si distinguono unità, più brevi della parola, ma vere e proprie unità che corrispondono a morfemi. D’altro canto, l’esperienza della traduzione automatica ha mostrato che, nella forma della parola memorizzata nel vocabolario della macchina, ha senso introdurre interi modi di dire (conviene avere perfino un apposito vocabolario di modi di dire).

Le combinazioni di parole o “collocazioni”, nell’ambito della traduzione automatica, sono un concetto più ampio rispetto alle “espressioni idiomatiche” o “collocazioni fraseologiche”.
“Per «modi di dire» intendiamo tutte quelle combinazioni di alcune parole, la cui traduzione letterale di queste in un altra (secondo le informazioni del nostro dizionario), senza tenere in considerazione la forma della loro collocazione, porterebbe a un’alterazione del senso” (Kulagina, Mel’cuk:113, 1956).

59

Если исходить из этого определения, то становится очевидмым, что многие словосочетания, которые рассматриваются в лингвистике как идиоматичные, при машинном переводе оборотами не считаются, например, намецкие Kopf verlieren (“терять голову”): Koloß auf tönernen Füßen (“колосс на глиняных ногах”).

В машинном переводе выяснено, что любой алгоритм анализа имеет своей конечной целью сопоставление отрзков текста ПЯ с некоторой данностью, существующей вне текста. Такой данностью может быть, например, текст на ПЯ или же система ПЯ, система ИЯ и, наконец, система языка‐посредника.

В связи с этим, Т. М. Николаева преложила следующую классификацию единиц перевода (Николаева, 1961):
1) Единица перевода выделяется как отрезок текста ИЯ по отношению к отрезку текста ПЯ. Такого рода единицы выделялись в ряде работ по машинному переводу, например, в опыте Достерта, о котором речь будет идти ниже (§ 38). Здесь непосредственно приравниваются друг другу части слов, слова и отдельные словосочетания (теоретически длину отрезка можно сколько угодно увеличивать, беря даже предложения и абзацы, но практически, разумеется, нельзя выходить за рамки словосочетания ‐ подробнее об этом в § 32). Как мы увидим далее, роль логических и грамматических правил в таком алгоритме сводитсе к минимуму;
2) Единица перевода выделяется как отрезок текста ИЯ по отношению к системе ПЯ. При таком подходе, анализируя, например, английское существительное с предлогом by, ему сразу приписывают русский признак «творительный падеж» и т. п.

Se ci si basa su questa definizione, allora rimane evidente il fatto che mentre numerose collocazioni in linguistica sono analizzate come idiomatiche, nell’ambito della traduzione meccanica i modi di dire non sono considerati, ad esempio in tedesco den Kopf verlieren [perdere la testa]: Koloss auf tönernen Füssen [colosso su piedi di terracotta].

Nell’ambito della traduzione meccanica è chiarito che qualsiasi algoritmo di analisi ha un fine certo di comparazione delle parti del testo della lingua ricevente con qualcosa di dato presente al di fuori del testo. Tale datità può essere, ad esempio, un testo nella lingua ricevente o lo stesso sistema della lingua ricevente, il sistema della lingua emittente e infine il sistema del linguaggio d’intermediazione.

In relazione a questo T. M. Nikolaeva ha proposto la seguente classificazione delle unità della traduzione (Nikolaeva, 1961):
1) l’unità della traduzione si distingue come il frammento del prototesto in relazione alla parte del testo della lingua ricevente. Unità di tale genere sono state individuate in una serie di lavori sulla traduzione automatica, ad esempio nell’esperienza di Dostert, di cui parleremo più avanti (paragrafo 38). Qui sono direttamente equiparate parti di parole, parole e singole collocazioni (in teoria la lunghezza della parte del testo può aumentare a piacere, comprendendo anche la proposizione e il capoverso, ma nella pratica certamente non si può uscire dall’ambito della combinazione di parole – tratteremo la questione in modo più dettagliato nel paragrafo 32). Come vedremo più avanti, il ruolo delle regole logiche e grammaticali all’interno di tale algoritmo si riduce al minimo;

2) l’unità della traduzione si distingue come il frammento del prototesto in relazione al sistema della lingua ricevente. Attraverso tale approccio, esaminando ad esempio il sostantivo inglese con la preposizione by, gli si attribuisce immediatamente la proprietà russa “caso strumentale” eccetera.

60

Этот тип анализа очень распостранен при машинном переводе;
3) Единица перевода выделяется как отрезок текста ПЯ по отношению к системе ИЯ, вне зависимости от языка, на которой делается перевод (см. § 38, независимый анализ).

4) Единица перевода выделяется как отрезок текста ИЯ по отношению к универсальному языку‐посреднику.
В общей теории перевода, очевидно, целесообразно иметь такие единицы перевода, которые выделяются в зависимости от языка‐посредника, свойстав которого, вообще говоря, в свою очередь, зависит от той пары языков, которые участвуют в переводе: то, что является единицей при переводе с русского на французкий, может не быть единицей при переводе на немецкий. Это, собственно говоря, не противоречит идее, выдвинутой авторами Stylistique comparée, поскольку фразеологизмы и идиомы являются частным случаем единиц перевода9 в любом из четырех рассмотренных подходов. Конкретное отличие рассмотренного подхода, однако, в следующем: в нем учитывается, что текст не состоит непосредственно из смысловых единиц, т. е. единиц плана содержания, смысловые единицы выделяются именно по сопоставлению с тем‐что, находящимся вне текста, поэтомув качестве единицы перевода принимается нечто, находящееся в плане выражения, т. е. в той непосредственной данности. каковой является текст.

Исходя из всех этих соображений, мы предлагаем следующее определение единицы перевода:
Единицей переводаназывается минимальный ортезок текста ИЯ, соответствующий такому набору элементарных смыслов в языке‐ посреднике, который может быть поставлен в свою очередь в соответствие с некоторым отрезком текста в ПЯ.

Questo tipo di analisi è molto diffuso nell’ambito della traduzione automatica;
3) l’unità della traduzione si distingue come frammento del prototesto in relazione al sistema della lingua emittente, senza dipendere dalla lingua verso la quale è eseguita la traduzione (vedi il paragrafo 38, l’analisi indipendente).
4) l’unità della traduzione si distingue come frammento del prototesto in relazione al linguaggio d’intermediazione universale. Nella teoria generale della traduzione è evidente la convenienza di disporre di unità della traduzione, la cui individuazione dipende dal linguaggio d’intermediazione, le proprietà del quale, generalmente parlando, dipendono a loro volta da quella coppia di lingue che partecipano alla traduzione: quello che costituisce un’unità nella traduzione dal russo al francese può non essere un unità nella traduzione verso il tedesco.
Questo di fatto non è in contraddizione con l’idea esposta dagli autori di Stylistique comparée, poiché le locuzioni e le espressioni idiomatiche costituiscono un caso particolare delle unità della traduzione9 in ognuno dei quattro approcci analizzati. La differenza fondamentale dell’approccio analizzato, tuttavia, consiste in quanto segue: si tiene in considerazione il fatto che il testo non si compone direttamente di unità di senso, cioè unità sul piano del contenuto, le unità di senso sono individuate proprio attraverso la comparazione con qualcosa che si trova all’esterno del testo, per questo motivo si considera un’unità della traduzione qualcosa che si trova sul piano dell’espressione, cioè una realtà diretta, che costituisce il testo. Partendo da tutte queste considerazioni proponiamo la seguente definizione di unità della traduzione:
Si definisce unità della traduzione un minimo frammento del prototesto, il quale corrisponde a un particolare insieme di sensi fondamentali all’interno del linguaggio d’intermediazione, che può a sua volta essere messo in corrispondenza con un frammento del metatesto.

61

Таким образом, единицы перевода выделяются здесь относительно некоторого ПЯ: Ниже мы увидим, что это определение можно упростить так, чтобы единица перевода от ПЯ не зависела.
При выделениие диниц перевода необходимо иметь в виду, что, по нашему определению, единицей перевода может быть и отдельная морфема. Это происходит, , в том случаем, когда морфема выражает значение модальности и ставится в соответствие отдельному набору элементарных смыслов в языке‐посреднике, а затем отдельному отрезку текста в ПЯ. Рассмотрим, например, французское предложение Deux ouvriers auraient été tués.

При переводе на английский язык (Vinay, Darbelnet, стр.142) нам нужно выделить отдельную единицу, которая соответствует в английском языке самостоятельному глаголу, ср. англ.:

Two workers are reportet killed.

То же в русском:
“Сообщается, что убито двое рабочик”.

Отдельной единицей может быть морфема вида, ср. русск.:

“Он говаривал”.
Нем. Er pflegte zu sagen,

Er sagte oft Фр. Il aimait répéter.

Il répétait souvent.

Мы определяли единицу перевода относительно перевода на некоторый другой язык. Поэтому, как мы говорили, в одном и том же тексте могут выделяется разные единицы перевода (в зависимости от языка, на который делается перевод). Между тем, ощущается потребность и в таких единицах, которые не зависели бы от языка, на который делается перевод.

In questo modo le unità della traduzione sono individuate in relazione a una lingua ricevente. Più avanti vedremo che questa definizione può essere semplificata in modo tale che l’unità della traduzione non dipenda dalla lingua ricevente.

Individuando le unità della traduzione è necessario tenere in considerazione che, in base alla nostra definizione, un’unità della traduzione può essere anche un singolo morfema. Questo si verifica ad esempio nel caso in cui il morfema esprime il significato della modalità e si pone in corrispondenza con un particolare insieme di sensi fondamentali all’interno del linguaggio d’intermediazione, e successivamente con un certo frammento del metatesto . Analizziamo ad esempio la proposizione francese Deux ouvriers auraient été tués. Nella traduzione verso l’inglese (Vinay, Darbelnet:142) è necessario individuare la singola unità, la quale corrisponde nella lingua inglese al verbo indipendente, vedi inglese:

Two workers are reported killed.

Lo stesso succede in russo: “Cообщается, что убито двое рабочих”.

Una singola unità può essere costituita da un morfema di aspetto, vedi il russo:

“Oн говаривал”
Tedesco: er pflegte zu sagen,

er sagte oft francese: Il amait répéter.

Il répétait souvent.

Abbiamo definito l’unità della traduzione relativamente alla traduzione verso un’altra lingua. Per questo, come abbiamo detto, in uno stesso testo è possibile individuare diverse unità della traduzione (le quali dipendono dalla lingua verso la quale è effettuata la traduzione). Allo stesso tempo si sente la necessità anche di quelle unità che non dipenderebbero dalla lingua verso la quale è effettuata la traduzione.

62

Поскольку (ср. третий подход к выделению единиц, стр. 116) трансформация и модуляция суть некоторый перевод, то можно определить единицы перевода относительно трансформации и модуляции, т. е. перевода на тот же самый язык. Единицу перевода, полученную таким способом, мы будем называть фундаментальной единицей перевода. Приведем пример:

“Лучше оперы и балеты появились в результате творческого содружества композиторов с поэтами”.

Здесь можно выделить фундаментальные единицы “появились в результате” (ср. трансформацию ‐ “явились результатом”) и “творческое содружество”” (ср. модуляцию “совместное творчество”). Таким образом, на этапе анализа мы прежде всего производим расчленение текста на единицы перевода (относительно ПЯ) или же фундаментальные единицы. Представление текста в виде последовательности единиц мы будем называть сегментацией10 текста ИЯ. Отметим, что одному и тому же отрезку ИЯ, т. е. одной и той же единице перевода может, вообще говоря, соответствовать несколько разных наборов элементарных смыслов в языке‐ посреднике, удовлетворяющих определению единицы перевода (мы будем называть такие единицы омонимичными или неоднозначными), а такие одному набору элементарных смыслов в языке‐посреднике может соответствовать несколько отрезков в ПЯ (назовем такие отрзки синонимичными).

Poiché la trasformazione e la modulazione sono l’essenza di una traduzione (vedi il terzo approccio alla distinzione delle unità della traduzione, pagina 116), allora è possibile definire le unità della traduzione in relazione alla trasformazione e alla modulazione, cioè a una traduzione intralinguistica. Definiremo l’unità della traduzione ottenuta in questo modo unità fondamentale della traduzione. Riportiamo un esempio:

“лучшие оперы и балеты появились в результате творческого содружества композиторов с поэтами” [le migliori opere e balletti hanno visto la luce grazie alla cooperazione artistica di compositori e poeti].

Qui è possibile individuare le unità fondamentali “появились в результате” (vedi la trasformazione – “явились результатом” – sono risultate da) e творческое содружество” (vedi la modulazione творческое содружество – attività creativa comune).
In questo modo nella fase dell’analisi per prima cosa effettueremo la scomposizione del testo nelle unità della traduzione (in relazione alla lingua ricevente) o unità fondamentali. La rappresentazione del testo sotto forma di sequenza di unità sarà definita segmentazione10 del testo nella lingua emittente.
Notiamo che a una stessa parte del testo nella lingua emittente, cioè a una stessa unità della traduzione, possono, generalmente parlando, corrispondere diversi insiemi di sensi fondamentali nel linguaggio d’intermediazione, i quali soddisfano la definizione di unità della traduzione (definiremo tali unità omonimiche o ambigue), ma anche a un insieme di sensi fondamentali nel linguaggio d’intermediazione possono corrispondere alcuni frammenti nella lingua ricevente (definiremo questi frammenti sinonimici).

63

Если теперь небольшим расширением единицы перевода можно перейти от неоднозначной единицы перевода к однозначной (или хотя бы резко сократить количество соответствующих наборов в языке‐посреднике), то мы будем называть новый расширенный текст микроконтекстом данной единицы. Если же от неоднозначной единицы текста можно перейти к одноозначной лишь значительным расширением текста, то мы будем называть новый расширенный текст макроконтекстом данной единицы перевода. Макроконтекст не может учитываться в формальной теории. Поэтому, в дальнейшем, говоря о контексте, мы будем, как правило (если это не оговорено особо), иметь в виду микроконтекст.

Была предложена следующая классификация типов перевода в зависимости от длины учитываемого контекста (Yngve, 1955):

а) пословный (word‐for‐word) перевод б) посинтагменный (phrase‐for‐phrase) перевод
в) пофразный (sentence‐for‐sentence) перевод

Продолжая эту классификацию, можно было бы выделить:
г) поабзацный перевод и т. п.
Необходимо ясно представлять себе, что при такой фиксации пределов контекста мы не обязательно должны кажды раз пробегать весь выбранный нами контекст, но, во всяком случае, не должны выходить за его пределы. Это означает, что, если, например,производится пофразный перевод, то можно представить себе, что текст разрезается на предложения, и каждое дается отдельному переводчику, а затем полученные переводы соединяются в нужном порядке.

Se ora, con una modesta estensione dell’unità della traduzione, fosse possibile passare da un’unità della traduzione ambigua o omonimica a una sinonimica (o almeno ridurre fortemente la quantità degli insiemi corrispondenti all’interno del linguaggio d’intermediazione), allora definiremmo il nuovo testo esteso microcontesto della data unità.

Se da un’unità del testo ambigua o omonimica fosse possibile passare ad un’unità sinonimica solo attraverso una considerevole estensione del testo, allora definiremmo il nuovo testo esteso macrocontesto della data unità della traduzione.

Il macrocontesto non può essere preso in considerazione dalla teoria formale. Per questo, a seguire, trattando il contesto (se non è specificato separatamente) terremo in considerazione come da regola il microcontesto.

È stata proposta la seguente classificazione dei tipi di traduzione, a seconda della lunghezza del contesto considerato (Yngve, 1955):

a) traduzione word for word
b) traduzione phrase for phrase
c) traduzione sentence for sentence proseguendo con questa classificazione è possibile individuare:
d) traduzione capoverso per capoverso eccetera.
È necessario rappresentare chiaramente il fatto che con una tale stabilizzazione dei limiti del contesto non dobbiamo sempre e obbligatoriamente ricordare tutto il contesto da noi selezionato, ma in ogni caso non bisogna uscire dai suoi confini. Questo significa che se ad esempio si esegue una traduzione sentence for sentence, allora è possibile immaginare che il testo si divida in proposizioni e ognuna di queste sia affidata a un singolo traduttore, e in seguito le traduzioni ottenute siano connesse nell’ordine necessario.

64

Ясно, что на практике такое ограничение приводит к снижению качества перевода. Чрезвычайно важно, однако, точно определить такую среднюю длину контекста, чтобы ошибки были достаточно редки (некоторые попытки в этом направлении см. в работе Kaplan, 1955).

Выделение минимальных контекстов имеет место и на практике, а именно, при так называемом последовательном устном переводе. Здесь, естественно, возникает вопрос о длине отрезка речи. Она определяется условиями устного общения. При переводе диалогической речи (беседы, переговоров, допроса и т. п.), последовательно переводятся небольшие по объему высказывания, каждое изкоторых представляет собой, как правило, самодоблеющий контекст. При последовательном переводе монологической речи (выступления, заявления и т. п.), длина отрзков определяется, с одной стороны, характером такой речи (логическая связанность, характер сцеплений см. § 29), и, с другой стороны, необходимостью понимания сообщения слушателями. Если значительно удлинить отрезки, или, тем более, перевести речь целиком после того, как оратор ее закончил, то будет нарушена основная характеристика устной речи ‐ одновременность коммуникации. Если же переводить речь предложение за предложением, или, тем более, отдельными синтагмами, то будут искажены характерные черты монологической речи. Можно, следовательно, сказать, что длина переводимого отрезка будет определяться этим полярными требованиямии. Как правило, она колебляется от 1 до 5 минут звучания, редко доходя до 10 минут.

È chiaro che nella pratica tale limitazione porta a una minore qualità della traduzione. Particolarmente importante, tuttavia, è determinare precisamente una certa lunghezza media del contesto, in modo tale che gli errori siano abbastanza rari (per alcuni tentativi in questa direzione vedi il lavoro di Kaplan, 1955).
L’individuazione di contesti minimali ha luogo sia nella pratica che proprio durante la cosiddetta traduzione orale consecutiva. Qui, naturalmente, sorge la questione della lunghezza del frammento del discorso. Questa è determinata dalle condizioni dell’attualizzazione. Nella traduzione del discorso dialogico (interviste, trattative, interrogatori, eccetera) si traducono consecutivamente proposizioni di dimensioni modeste, ciascuna delle quali costituisce di solito un contesto a sé stante.
Nella traduzione consecutiva del discorso monologico (discorsi, dichiarazioni, eccetera), la lunghezza della parte del discorso è determinata, da un lato, dal carattere di tale discorso (legame logico, carattere della coesione, vedi paragrafo 29) e, dall’altro lato, dalla necessità di comprendere il messaggio da parte degli ascoltatori. Se si allunga considerevolmente la parte del discorso o se addirittura si traduce il discorso interamente dopo che l’oratore ha terminato, allora si va contro quella che è la caratteristica principale del discorso orale: la contemporaneità della comunicazione. Se si traduce il discorso frase per frase o se si traducono i singoli sintagmi, allora sarebbero alterate le caratteristiche proprie del discorso monologico. È possibile quindi affermare che la lunghezza della parte tradotta sarà determinata da queste esigenze diametralmente opposte. Solitamente, questa varia da 1 a 5 minuti, raggiungendo raramente i 10 minuti.

65

NOTE

1 Этот параграф предполагает ‐ согласно программе курса лингвистики для соответствующих отделений ‐ знакомство с основыми идеяами порождающей грамматики. Читателям, не прослушавшим этот курс, рекомендуется опустить § 18 и перейти сразу к § 19.
[In conformità al programma del corso di linguistica per le sezioni corrispondenti, questo paragrafo presuppone una conoscenza dei concetti di base della grammatica generativa. Al lettore che non ha frequentato questo corso si suggerisce di tralasciare il paragrafo 18 e di andare direttamente al paragrafo 19.]

2 Изложение метода анализа но НП можно найти в книге Глисона (Глисон, 1959).
[L’esposizione del metodo di analisi secondo i costituenti immediati può essere rintracciata nell’opera di Gleason] (Gleason, 1959)
3 См. понимание прогрессивной и регрессивной последовательности у Балли (Балли, стр. 218 ‐ 312). [Vedi l’interpretazione della successione progressiva e regressiva di Bally]

(Bally, pag. 218‐ 312)
4 Трансформационный синтаксис Теньера не столь строго формализован, как синтаксис в теории Хомского. Вслед за Балли, Теньер вводит понятие трансляции, обозначающее «…перевод полнозначного слова из одной грамматической категории в другую…» (Tesnière стр. 364). Он не задает правила порождения фраз при помощи трансляций, но зато дает детальное описание трансляций. Кратко излагая эту классификацию, мы будем пользоваться термином «трансформация».
[La sintassi trasformativa di Tesnière non è rigorosamente formalizzata, come la sintassi nella teoria di Homskij. Subito dopo Bally, Tesnière ha introdotto il concetto di traslazione, ovvero “…il trasferimento di una parola dotata di significato da una categoria grammaticale a un’altra…” (Tesnière, pag. 364). Egli non indica regole di genesi delle frasi tramite la traslazione, tuttavia da una descrizione dettagliata della traslazione. Esponendo brevemente tale classificazione utilizzeremo il termine “trasformazione”.]
5 В русском слове значение рефлективности‐нерефлективности не противопоставлены, в отличие от фр. prêter, нем. Leihen “дать в долг” и фр. emprunter, нем. borgen “брать в долг”.
Этот термин заимствован нами у авторов серии (см. Vinay, Darbelnet, стр. 51, Malblanc, стр. 28). Там же приводится много примеров, иллюстрирующих значение этого понятия для теории перевода.
[Nella parola russa i significati di riflessività e non sono contrapposti, a differenza del francese prêter, del tedesco leihen (dare in prestito), e del francese emprunter, del tedesco borgen (prendere in prestito).
Abbiamo preso in prestito questo termine dagli autori della collana “Stylistique comparée” (vedi Vinay, Darbelnet, pag. 51, Malblanc, pag.28), dove non sono riportati molti esempi ad illustrare il significato di tale concetto per la teoria della traduzione.]
6 Это требование на первый взгляд тривиально (как будто при нетехническом переводе не приходится обращаться к действительности, т. е. иметь дело с интерпретацией) и даже ошибочно (именно при техническом переводе обрашение к действительности минимально; доказательством служит машинный перевод именно технических текстов), но оно отражает верную идею о том, что в техническом переводе процесс осуществляется через другой язык‐посредник.
[In una prima analisi tale esigenza è banale (come se nella traduzione non tecnica non ci si occupasse della realtà) e perfino falsa (proprio nella traduzione tecnica il legame con la realtà è minimo; la prova è che la traduzione meccanica viene utilizzata proprio per testi tecnici), ma questa esprime l’idea esatta di quello che è il processo che si realizza attraverso un altro linguaggio di interemediazione nella traduzione tecnica.]
7 Для интерпретации аналогами единиц перевода будут некоторые отрезки текста, поставленные в соответствие элементарный ситуациям.
[Per l’interpretazione, al posto di analoghe unità della traduzione avremo frammenti di testo messi in corrispondenza con situazioni elementari.]
8 Данное предложение взято из числа тех, которые переводились при Джорджтаунском эксперименте (см. «Машинный перевод», стр. 173 и сл.).
[La proposizione data è tratta da una delle tante che sono state tradotte nell’ambito del Georgetown experiment (vedi “Машинный перевод”, pag. 173 e seguenti)].
9 Ср. определение идиоматичности по отношению к определенному языку, предложенное Бар‐ Хиллелом и Мельчуком (Бар‐Хиллел. «Машинный перевод», стр. 251, Мельчик, 1960 б).
[Vedi la definizione di idiomaticità in relazione a una determinata lingua, proposta da Bar Hillel e Mel’čuk (Bar Hillel, “Машинный перевод”, pag. 251, Mel’čuk, 1960)].
10 Авторы серии «Stylistique comparée» употребляют в этом значении термин découpage (Malblanc, стр. 23; Vinay, Darbelnet, стр. 161 и др.)
[Gli autori della collana “Stylistique comparée” utilizzano in questo senso il termine découpage (Malblanc, pag. 23; Vinay, Darbelnet, pag. 161 e altre)].

66

Riferimenti bibliografici

67

Jakobson R. Shifters, verbal categories and the Russian verb. Harvard University, 1957 (Department of slavic languages)
Revzin I. I. Модели языка, 1962
Homskij N. Синтаксические структуры, Сб. «Новое в лингвистике», вып. 2, М., 1962

Ashby U. Росс. Введение в кибернетику. Перевод с англ., М., 1959
Yngve V. H. Gap analysis and syntax, IRE transactions on information theory, vol. JT- 2, 1956
Yngve V. H. Sentence for sentence translation, «Mechanical translation» 1955
Miller G. A. Human memory and the storage of information «IRE transactions on Information Theory», vol. IT‐2, September, 1956
Padučeva E. V. О правилах порождения предложений стандартизованного языка геометрии, «Доклады на конференции по обработке информации, машинному переводу и автоматическому чтению текста», вып. 5, М., 1961
Bally, Общая лингвистика и вопросы француского языка. 1955
Ivanov V. V. Понятие неийтрализации в морфологии и лексике, «Бюллетень объединения по проблемам машинного перевода», 1957
Rezker Ja. I. О закономерных соответствиях при переводе на родной язык, Сб. «Теория и методика учебного перевода», М., 1950
Terpigorev A. M. Об упорядочении технической терминологии, «Вопросы языкознания», И, 1953, стр. 71 ‐ 76.
Božno L. I. Технические термины в немецком языке, М., 1961
Vinogradov V. V. Русский язык, М., 1947.
Kuznecov P. S., Lyapunov A. A., Реформатский А. А. Основные проблемы машинного перевода, «Вопросы языкознания», 1956, стр. 107‐110
Vinay J. P., Darbelnet J. Stylistique comparée du français et de l’anglais. Méthode de traduction, Paris, 1958.
Kulagina O. S., Mel’cik I. A. Машинний перевод с французкого языка на русский, «Вопросы языкознания», 1956, стр. 111‐121
Nikolaeva T. M. Алгоритм независимого грамматического анализа русских текстов, «Доклады на конференции по обработке информации, машинному переводу и автоматическому чтению текста», 1959
Kaplan Abr. An experimental study of ambiguity and context, «Mechanical translation», 1960

68

69

Amplifon: un esperimento di traduzione dal marketese all’italiano

 

Amplifon: un esperimento di traduzione dal marketese all’italiano

FEDERICA BARTESAGHI

Fondazione Milano

Milano Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

Relatore: professor Bruno Osimo

Diploma in Mediazione Linguistica

Ottobre 2010


 

 

© GfK Eurisko, Post Test sulla comunicazione stampa Amplifon, 2009

© Federica Bartesaghi per l’edizione italiana 2010

 

Amplifon: un esperimento di traduzione dal marketese all’italiano

(Amplifon: a translation experiment from marketese

to italian)

 

Abstract in italiano

La traduzione è quel processo di mediazione che permette a persone provenienti da paesi diversi di comunicare tra loro, ma non solo, la traduzione è anche e soprattutto una costante nella vita di ogni uomo: è ciò che rende possibile stabilire un nesso fra sé stessi e il resto del mondo o, senza spingersi troppo lontano, tra sé stessi e chi ci circonda. Quotidianamente ci si imbatte in centinaia di diverse culture e altrettante convivono dentro a ogni singolo individuo. «Traduzione» significa incontro tra lingueculture e quindi «tradurre» significa rendere possibile l’interazione tra due, venti o duecento mondi diversi. Questo è quanto si è voluto mostrare attraverso la traduzione linguoculturale di una ricerca di mercato commissionata da Amplifon all’istituto di ricerca GfK Eurisko.

 

English abstract

Translation is the mediation process that enables comprehension between people coming from different countries; most importantly, translation is a constant in every person’s life. It makes it possible to establish a connection between ourselves and the rest of the world, or without going too far, between ourselves and the people around us. Every day, we run across hundreds of different cultures and just as many live together inside a single person. “Translation” means an encounter among languacultures, and therefore, “to translate” means to enable the interaction among two, twenty or two hundred different worlds. That is what we have tried to show through the languacultural translation of a market survey commissioned by Amplifon to the research centre GfK Eurisko.

 

Resumen en español

La traducción es el proceso de mediación que permite la comunicación entre personas originarias de diferentes países, pero no solo, la traducción es también y sobretodo una constante en la vida de todas las personas. Nos hace posible establecer una conexión con el resto del mundo, o sin ir más lejos, entre nosotros y quien nos rodea. Todos los días, nos topamos con centenares de diferentes culturas y otras tantas coexisten dentro de cada persona. «Traducción» significa encuentro entre lenguaculturas y por lo tanto «traducir» significa hacer posible la interacción entre dos, veinte o docientos mundos diferentes. Esto es lo que hemos querido mostrar a través de la traducción de la lengua-cultura de una investigación de mercado que Amplifon le comisionó al centro de investigación de mercados GfK Eurisko.

 

Sommario

 

1. Prefazione  3

1.1 I rich point  4

1.2 La traduzione della cultura  6

1.3 La ricerca di mercato come sottocultura  10

2. Analisi traduttiva  13

2.2 Analisi linguistico-culturale  14

2.3 Dominante e sottodominanti 16

2.4 Lettore modello   17

3. Traduzione  19

3.1 Residuo traduttivo   28

 

 

 

1. Prefazione


1.1 I rich point

Il punto di partenza della mia tesi può essere facilmente riassunto dalle parole di un illustre etnologo e studioso della lingua che ha affermato quanto segue: «Using a language involves all manner of background knowledge and local information in addition to grammar and vocabulary» (Agar 2006:2). Ciò mi aiuta a introdurre il concetto di «linguacultura», che nei prossimi capitoli starà alla base di ogni mia considerazione.

In materia di traduzione parlare di lingua non è sufficiente. Grammatica, lessico, punteggiatura, sono solo alcuni degli ostacoli che un traduttore si trova a dover affrontare al momento di tradurre da una lingua verso un’altra lingua. Consapevolmente o no, migliaia di altri fattori interferiscono e creano ostacoli che possono forse essere catalogati come culturali. Dico «forse» perché, come spiegherò più avanti, il concetto di «cultura» è tutt’altro che semplice da definirsi. Per ora, utilizzerò il termine «cultura» nella sua accezione più comune, ossia ciò che definisce quell’insieme di abitudini, atteggiamenti, convenzioni che fanno sì che un gruppo di persone più o meno ristretto si identifichi come “diverso” dagli altri. Questa differenza tra culture è la distanza che si interpone fra le stesse ed è esattamente il vuoto che un traduttore si propone di colmare al fine ultimo di rendere ogni cultura più accessibile all’altra. Si tratta di quel genere di fraintendimenti che si presenterebbero se un inglese e un giapponese cercassero di comunicare tra loro, ognuno parlando la propria lingua; ma paradossalmente lo stesso genere di equivoci può facilmente riscontrarsi all’interno della stessa lingua, o meglio, è un fenomeno che si verifica in continuazione e che non è meno complicato da analizzare rispetto al primo.

Lo stesso Agar identifica questi momenti di incomprensione e di aspettative disattese con la locuzione «rich point», in quanto è proprio grazie alla loro esistenza che avvertiamo una distanza, un punto di mancato incontro. Differenze che talvolta fanno sorgere un problema: cos’è meglio, una traduzione accettabile, in cui il vuoto è colmato senza che il traduttore lasci alcuna traccia di sé nel testo finito, o una traduzione adeguata, dove si ritiene giusto conservare le peculiarità dell’originale, in quanto impossibile da tradurre in modo completo? Nel primo caso il rischio sarebbe quello di cancellare l’identità del testo originale, eliminando o modificando ogni sua caratteristica e privando quindi i riceventi del testo tradotto di nuovi elementi che potrebbero in qualche modo arricchirli a livello personale. Nel secondo caso il rischio è ben diverso, fornire al lettore ultimo un testo eccessivamente complicato da capire, anche se indubbiamente più apprezzabile.

È una domanda e un problema ai quali non è possibile dare una risposta univoca, in quanto è plausibile che una risposta giusta e universalmente valida nemmeno esista; ecco invece una seconda questione, che è poi il fulcro della tesi stessa: come comportarsi quando non si tratta di tradurre da una linguacultura verso un’altra linguacultura, ma piuttosto all’interno della stessa lingua? Prendiamo di nuovo in considerazione quel gruppo di persone che si identificano in una stessa cultura e che di conseguenza avvertono una distanza nei confronti di altre culture; facciamo ora una seconda divisione, in quanto questo gruppo, questa cultura, altro non è in realtà se non la microcultura (che nel nostro specifico caso si chiamerà «ricerca di mercato») di una macrocultura, (che si chiamerà «marketing»).

Siamo dunque giunti all’introduzione del mio esempio, reale e pratico, di come una microcultura pur utilizzando (anche se così non sembra) una stessa lingua e pur essendo profondamente radicata all’interno di una società, possa a un gran numero di persone facenti parte della medesima società risultare incomprensibile e distante anni luce. Queste sono le premesse, ma non posso passare alla dimostrazione pratica di quanto introdotto fin qui prima di chiarire il concetto, ormai rivelatosi fondamentale, di «linguacultura» e più in generale di «traduzione culturale».

1.2 La traduzione della cultura

La lingua è così profondamente radicata nella cultura e viceversa, che esse possono fondersi in un’unica parola: «linguacultura». Inizierò prendendo nuovamente spunto da una citazione: «Culture is construction, a translation between source and target […] the translation we build is the culture we describe» (Agar 2006:6). È necessario quindi capire perché le parole «cultura» e «traduzione» vengono associate quasi fossero sinonimi, o meglio metafore una dell’altra. La cultura, proprio come detto per la traduzione, è un concetto relativo. Relativo a moltissimi fattori, ma individuabile in un solo modo: quando si incontra una differenza, ossia quel rich point di cui ho parlato in precedenza.

La linguacultura risulta pertanto “visibile” solo quando entra in contrasto con una seconda linguacultura, quando si produce ciò che è giustamente definito «culture shock». Quest’ultimo altro non è se non un letterale shock culturale, l’evento che ci fa rendere conto di non essere in grado di comprendere qualcosa perché a noi sconosciuto, insolito, estraneo (successivamente spiegherò quanto questo concetto calzi alla perfezione col mio caso specifico). Siamo giunti al punto in cui il gruppo, la nostra particolare cultura, incontra una cultura differente con la quale deve entrare in contatto ed è costretta a stabilire una comunicazione facendo uno sforzo traduttivo. In questo caso la traduzione è un costrutto artificiale ideato al fine di rendere possibile la comunicazione tra “loro” e “gli altri”. Riecco quindi la questione che avevo sollevato e alla quale non avevo potuto dare una risposta: fino a che punto sia giusto interferire nel testo originale per semplificare la comprensione di chi userà il testo finito. Approfitterò di una nuova citazione, che a parer mio è chiarissima ed esaustiva a riguardo: «[…] it needs to be elaborate enough to get the job done and no more than that» (Agar 2006:6).

Prima ho affermato che la cultura è relativa e questo è vero per il semplice motivo che non può esistere nessuna cultura in sé, può esistere solo una particolare percezione di codesta cultura per un’altra cultura. Lo stesso principio vale per la lingua: quando si parla una lingua per la maggior parte i problemi non riguardano la grammatica delle frasi, ma piuttosto il significato che queste frasi hanno per ogni individuo. Detto in parole semplici, la cultura è una presa di coscienza che inizia proprio lì dove avvertiamo un problema. Nulla può definirsi «cultura» prima di entrare in contrasto con qualcos’altro che metta in evidenza le incongruenze e di conseguenza non ha senso parlare di una cultura X senza definire cosa questa cultura X rappresenta per una cultura Y. È riduttivo parlare di una cultura; bisognerebbe parlare sempre di più culture. Ne consegue che esistono altri due tratti distintivi del termine «cultura», ossia che oltre ad essere relativa è anche parziale e plurale.

Oggi ogni individuo è un po’ di tutto, un po’ di questa e un po’ di quella cultura, nessuno può essere più identificato con una cultura soltanto, come invece era più probabile anni fa, quando i nuclei cittadini erano chiusi e isolati ed entravano poco in contatto con il resto del mondo, quando le tradizioni, le usanze, le lingue erano tramandate di generazione in generazione quasi imperturbate. Basti immaginare la vita che potevano condurre un contadino o un fabbro: certamente il numero di culture con le quali queste persone venivano a contatto era molto limitato. Allora forse sì era possibile parlare di un numero ristretto di culture, ma oggi non più.

La facilità con la quale è possibile viaggiare fino all’altro capo del mondo, o con la quale ci si mette in comunicazione con chiunque ovunque si trovi, crea i presupposti per un fruttuoso interscambio culturale tra i popoli. Una «contaminazione positiva» (Osimo 2002:7) tra le culture favorisce la crescita intellettuale degli individui ed arricchisce coloro che si pongono nei confronti del resto del mondo con un atteggiamento umile e curioso, mentre non è di alcuna utilità a coloro che si pongono nei confronti degli altri con un atteggiamento caratterizzato dal pregiudizio e dall’indifferenza. Ci si chiede se sia giusto continuare a usare indistintamente la parola «cultura» se il suo significato originale è venuto a mancare; e ci si chiede anche dove stia la linea di demarcazione tra ciò che è identificabile come culturale e ciò che non lo è. È difficile, se non improbabile, tracciare questa immaginaria linea, relativa anch’essa a molti fattori.

Un terzo concetto attribuibile alla cultura è «densità». Con questo si intende il grado di rilevanza di una cultura, quanto è pervasiva nei confronti delle altre. Un altro ancora l’«atteggiamento», ossia come ci si comporta nel confronti di una data cultura, come ci si relaziona ad essa e quanta importanza le si attribuisce. Una quinta questione è il «livello di integrazione» e con questo s’intende quanto i singoli siano riusciti a far confluire verso un traguardo comune le mille sfaccettature delle loro culture. Un’ultima caratteristica della cultura è la «volatilità», che equivale ai mutamenti più o meno importanti a cui la cultura viene sottoposta nel corso del tempo. Come abbiamo visto, tutti questi concetti aiutano a inquadrare le mille qualità che una cultura può presentare, ma a questo punto sorge spontaneo chiedersi che senso abbia delineare così precisamente un termine il cui significato e la cui attualità vengono messi in seria discussione.

Ciononostante, è giusto dire che un buon uso di questo termine è, come detto, individuare una differenza, un rich point. Al contrario, un uso sbagliato del termine sarebbe indicare una mancanza, etichettare una differenza che percepiamo come una deficienza da parte degli altri. Come ho affermato all’inizio del paragrafo, dire «cultura» è un altro modo per dire «traduzione». Ma attenzione ancora una volta, quando diciamo «cultura» possiamo far riferimento a due cose ben distinte: una prima accezione della parola è quella già ampiamente analizzata e discussa; una seconda accezione, invece, è quella che sta a indicare tutto ciò che è “squisitamente umano”, ciò che da migliaia di anni rende gli uomini diversi dagli altri primati e dai suoi antenati preistorici.

In quest’ottica si può dire che le differenze tra gli uomini rappresentano anche le loro similitudini e cioè quello che rende possibile la traduzione. Questa universale connessione tra gli individui è esattamente il secondo significato del termine «cultura». Le condizioni storiche che hanno portato a coniare questa parola e le condizioni storiche che, al contrario, hanno portato al suo declino sono molto diverse; c’è da chiedersi se il suo destino è l’estinzione o se sarà in grado di trovare un nuovo posto nel mondo.

1.3 La ricerca di mercato come microcultura

Nel paragrafo precedente ho parlato di una macrocultura e di una microcultura; è venuto ora il momento di spiegare meglio come queste due entità hanno a che fare con quanto detto. Voglio occuparmi di una particolare cultura che è ormai diventata parte integrante della nostra società e non solo, parlo di quel vastissimo settore che prende il nome di «marketing», ossia di tutto ciò che ha a che fare con il commercio, la consulenza, la compravendita, la finanza, ossia con la maggior parte degli ambiti lavorativi e, in maniera indiretta, anche con i rimanenti.

Nel nostro caso il «marketing» rappresenta la macrocultura, una vera e propria linguacultura sotto ogni aspetto. Restringerò ora il campo alla «ricerca di mercato», che costituisce una delle molte microculture o culture satellite rispetto alla macrocultura appena citata e che a essa ha guardato nel momento di organizzare il proprio “repertorio culturale”, ossia «l’aggregato di alternative utilizzate da un gruppo di persone e dai suoi singoli membri per l’organizzazione della vita» (Itamar Even-Zohar 2000:201).

In quanto totalmente estranea a questo settore e ignara delle sue dinamiche, ho avuto l’opportunità di “sbirciare” al suo interno grazie all’aiuto di persone che, per necessità professionale, hanno dovuto relazionarsi con questo sistema e hanno imparato a farlo proprio. In riferimento a quanto spiegato, il modo in cui queste persone sono venute a contatto con questo nuovo mondo è stato un vero e proprio cultural shock. Come mi è stato raccontato, dopo un iniziale sconcerto, costoro hanno cominciato a familiarizzare con la nuova dimensione e hanno iniziato ad esprimersi usando la lingua della cultura dominante (il marketese) e giorno dopo giorno ciò che inizialmente suonava bizzarro, quasi senza senso, ha acquisito nuova forma ed è diventato uno strumento fondamentale, se non indispensabile, della vita lavorativa.

Metabolizzando lo shock iniziale hanno preso confidenza con l’ambiente, trasformandolo in qualcosa di quotidiano, di naturale. Esattamente come avviene per una persona che si trasferisce in un nuovo paese e che deve abituarsi a uno stile di vita completamente diverso. In seguito all’iniziale smarrimento, la routine e l’abitudine faranno sì che questa persona si ritrovi a pensare, parlare e vivere in quello stesso modo che prima gli era avulso quasi senza rendersene conto. A qualcuno forse un simile paragone potrà sembrare bizzarro, ma la dimostrazione pratica di queste mie considerazioni ne comproverà la veridicità. A volte infatti (e questo avviene anche con la traduzione), la vera difficoltà sta in ciò che appare scontato, ciò che di primo acchito non avremmo messo neanche in discussione.

 

 

 

2. Analisi traduttiva

 

2.1 Presentazione del materiale

Nel terzo capitolo, ossia nella parte pratica, mi occuperò della traduzione di una ricerca di mercato commissionata da Amplifon all’istituto di ricerche sociali e di mercato GfK Eurisko, con sede a Milano. Si tratta del rapporto di ricerca delle rilevazioni effettuate da un gruppo di ricercatori nel periodo tra l’ottobre e il novembre del 2009, il cui scopo finale era quello di testare la comunicazione stampa dell’azienda che commissionava il lavoro. Tale documento mi è stato gentilmente messo a disposizione dagli stessi addetti ai lavori, i quali mi hanno altresì fornito le informazioni necessarie per una più esaustiva interpretazione del gergo marketese all’interno della traduzione.

2.2 Analisi linguistico-culturale

Per svolgere un’analisi linguistico-culturale del testo che tradurrò è necessario fare una premessa, ossia che ogni mediazione linguistica ruota intorno a tre poli: la cultura emittente (dell’autore), la cultura mediante (del traduttore) e la cultura ricevente (del lettore). Nel mio caso specifico, che differisce dall’immaginario classico che si ha di una traduzione e cioè che essa sia interlinguistica, quindi tra due sistemi linguistici differenti, questa mediazione è effettuata all’interno della stessa area linguistica e alla presenza di due soli poli: la cultura emittente, che come affermato è una microcultura del più ampio settore del marketing e cioè la ricerca di mercato; e di una cultura comune per il traduttore e i riceventi del testo finito. Difatti, ho già anticipato che la mia preparazione linguistico-culturale antecedente alla traduzione del testo è quella di una persona in gran parte estranea a questa cultura, come lo sono anche i miei prototipi di lettori.

Partendo da questo presupposto, risulta ragionevole che il problema fondamentale che si riscontra durante una prima lettura del testo siano gli elementi culturospecifici, ovvero una terminologia estremamente settoriale che rende la comprensione ostica a chiunque non sia dotato di un minimo bagaglio di conoscenze specifiche.

Allo stesso modo, la comprensione è resa ulteriormente ardua da tutto ciò che è omesso, vale a dire dall’implicito culturale. Perché se già risulta complicato capire ciò che il testo vuole comunicare al lettore a causa del gergo utilizzato, ciò che di alcuni argomenti viene dato per scontato perché ritenuto conoscenza già acquisita risulta ancor più duro da comprendere. Ma se questi ostacoli che il testo presenta sono complessi da affrontare, presenta anche innegabili punti di forza per il traduttore: il prototesto ha come obiettivo principale riportare i risultati della ricerca nel modo più sterile possibile; non vi è alcuna personalizzazione, non vi è ironia, non vi sono metafore, in pratica non vi si trova nessuno di quegli elementi connotativi che solitamente caratterizzano testi come articoli di giornale, saggi o testi narrativi e che il più delle volte sono fonte di complicazioni e fraintendimenti per il traduttore. Questi elementi non sono presenti nel nostro testo proprio perché l’autore non ha alcun interesse a rendere la sua ricerca più intrigante facendo ricorso a simili tattiche comunicative che andrebbero a discapito di una comprensione immediata.

La strategia comunicativa del traduttore deve mirare a riportare tale impersonalità anche nel metatesto. Sarà fondamentale ricordarsi di comunicare nel modo più chiaro e semplice possibile, spiegando bene non solo ogni concetto, ma anche ciò che nel testo non è esplicitato. Come spiegherò più attentamente nei prossimi paragrafi, nulla deve essere dato per scontato per il nostro lettore modello.

2.3 Dominante e sottodominanti

Mi ricollego al paragrafo precedente per chiarire un altro aspetto fondamentale dell’analisi traduttiva, ovvero l’individuazione della dominante del testo e delle eventuali sottodominanti in esso presenti. La dominante di un testo è il senso primario che esso vuole trasmettere, il primo concetto che si desidera far giungere al ricevente quando quest’ultimo affronta la lettura e che, nel caso di una traduzione, rispecchia ciò che l’autore voleva comunicare originariamente o attualizza sensi che si attivano col contatto con la cultura ricevente. In cima alla classifica degli aspetti più importanti che l’autore di questo testo voleva comunicare al lettore quando ha messo nero su bianco ciò che aveva scoperto, vi è indubbiamente l’intenzione di divulgare informazioni. D’altronde, scopo primario di questa e di tutte le ricerche di mercato è fare un’indagine per dare una risposta alle richieste del committente. Questo è affermato in maniera chiarissima nelle prime pagine del documento:

«GfK Eurisko ha condotto una ricerca multi-disciplinare che si è posta i seguenti obiettivi: verificare l’impatto e il gradimento della pagina di stampa […] individuare le aree ad alto impatto visivo immediato […] evidenziare le aree in cui si concentra l’attenzione, verificare le parti di testo che vengono lette, comprendere quale sia la decodifica del messaggio proposto, valutare la capacità di call to action, valutare il riflesso della comunicazione sull’immagine del brand di Amplifon».

La sola sottodominante di rilievo che emerge dal testo è l’aspirazione a dare al committente una forte impressione di professionalità e di internazionalizzazione; ed è anche l’aspetto più complicato da riportare in una traduzione, visto che è stato ottenuto principalmente facendo ricorso a termini in lingua straniera. Questo carattere secondario del testo talvolta risulta fin troppo marcato: il ricorrente impiego di termini importati o adattati dall’inglese mi induce a credere che la smania dell’autore di fare colpo sul suo cliente attraverso frasi altisonanti e una terminologia complessa offuschi l’obiettivo di comunicare informazioni nel modo più chiaro possibile.

2.4 Lettore modello

In questo caso specifico, lettore modello dell’autore e lettore modello del traduttore sono molto diversi; ma non sempre queste due figure coincidono. Individuarle prima di accingersi a tradurre è fondamentale quanto individuare la dominante del testo. Il lettore modello è la persona che prima l’autore e poi il traduttore hanno in mente come plausibile ricevente del testo, tanto originale quanto tradotto. È il prototipo di persona per la quale si scrive, una persona immaginaria che forse nella realtà non sarà mai l’effettiva ricevente del testo, ma che in ogni caso è inevitabile avere ben chiara in mente.

Per ogni testo scritto esiste un lettore modello; per un libro di fiabe il lettore modello sarà un bambino che forse ha appena imparato a leggere, per un film splatter probabilmente un giovane ragazzo o un appassionato del genere, mentre per una ricerca di mercato il lettore modello sono il committente e il suo staff. Bisogna sempre sapere per che genere di persona si sta scrivendo: di dov’è originaria, qual è la sua età, che tipo di istruzione ha ricevuto, di che sesso è e in alcuni casi è utile persino possedere informazioni secondarie come qual è il suo stato civile, se ha dei figli e via dicendo. Sono tutte informazioni che permettono di elaborare una strategia traduttiva sensata e completa.

Nel caso specifico di questa ricerca di mercato, sarebbe poco verosimile un prototipo di lettore che non avesse nulla a che fare con il campo delle comunicazioni, della pubblicità o del marketing. Il prototipo di lettore dell’autore era indubbiamente una persona competente in questo campo, che avrebbe ricavato informazioni utili per la sua vita professionale leggendo questa ricerca (informazioni che oltretutto aveva pagato). Il lettore modello che mi prefiguro io al momento di tradurre questo testo per la mia tesi è invece molto diverso: benché molto istruito, possiede poche e generiche informazioni riguardo al funzionamento di questo particolare settore e ha bisogno di essere agevolato nella comprensione da ampie spiegazioni che permettano di colmare il vuoto lasciato dall’implicito culturale che caratterizzava invece il primo lettore modello, il quale troverebbe tali agevolazioni alla lettura indubbiamente ridondanti.


3. Traduzione

 

 

 

 

 

 

Figura 1


La semiotica[1] è una metodologia di analisi desk[2] che può intervenire su[3] qualsiasi supporto[4] di comunicazione e marketing / brand communication mix[5] (concept; nome; logo; packaging; advertising; below-the-line[6]; retailing; web site; etc.)
L’analisi semiotica è un metodo[7] di ricerca di mercato preliminare che può essere applicato a qualsiasi strumento di comunicazione usato per lanciare un prodotto[8] (idea; nome; logo; confezione; pubblicità; pubblicità con media alternativi; distribuzione commerciale al dettaglio; sito internet; etc.)

 

Individua i codici e le modalità/proprietà comunicazionali pertinenti e distintive che definiscono l’identità (brand, product[9]) espressa/il concetto comunicato, il posizionamento[10] veicolato e i valori trasmessi dal supporto in test[11], identificandone il target profile[12] prefigurato. Individua le modalità per comunicare[13] nella maniera più pertinente e distintiva, che siano  in grado di esprimere l’identità scelta (marchio, prodotto), il concetto comunicato e i risultati ottenuti dalla pubblicità testata, identificando il profilo degli acquirenti potenziali.

 

Il Media Mix[14] di Amplifon tende a costruire un profilo comunicazionale[15] coerente e trasversale[16] di “testimonianza[17]”, concentrato sulla “performance risolutiva[18]” (e non sugli end benefit[19]) e sulla “call to action[20]” (alla prova[21]) per esemplificazione[22].

Costruisce una determinazione dimostrativa assertiva[23] e storicizzante[24] (“prima”) del “problema” (psico-sociale primariamente) dell’ipoacusia[25]; nella stampa, in particolare, definisce un’idea di ‘comunicazione da leggere’ a carattere informativo (prevalente), “corporate[26]” e promozionale (in coda) mentre marginalizza l’impatto visivo.

La strategia pubblicitaria di Amplifon mira a stabilire un piano comunicativo che sia coerente con se stesso e che si rivolga a tutti i potenziali clienti avvalendosi della testimonianza di chi ha fatto uso del prodotto (e non sui benefici che apporta) e vuole stimolare i possibili acquirenti a recarsi nei punti vendita per provare il prodotto.

Descrive il problema della riduzione dell’udito (il disagio personale e le difficoltà a relazionarsi con gli altri) in maniera decisa e contestuale[27]; nel volantino la comunicazione può essere letta a più livelli: informativa sul prodotto, informativa sull’azienda e promozionale[28], mentre riduce l’impatto visivo.

 

Trasversalmente, il Media Mix di Amplifon sfrutta un insieme omogeneo di figure referenziali della “vita sociale” (gruppo di amici/famiglia, il setting d’arredo[29], il momento della cena, la living room[30]/sala da pranzo) per: caratterizzare i needs[31] (contemporanei) e le attese del target[32] (senior[33], 65-75 anni) in senso di piena/effettiva e appagante compartecipazione conviviale – socialità, comunitarietà, amicalità/familiarità, giovialità[34].

 

Nella comunicazione stampa, tuttavia, il visual[35] risulta tendenzialmente incoerente e scarsamente performante[36]: qualifica l’ipoacusia attraverso la figura della bolla ma ne dona una determinazione solo debolmente invalidante ; il visual tende a ridurre gli aspetti “privativi” e a connotare un’idea di partecipazione (contenuta, ma reale) incoerente con le valenze espresse dall’ “intrappolamento” nella bolla.

Complessivamente, la strategia pubblicitaria di Amplifon mette in scena un modello di vita sociale armoniosa (gli amici/la famiglia, l’ambientazione, il momento della cena, il soggiorno/la sala da pranzo) per rappresentare i bisogni contemporanei e le aspettative del “cliente modello[37]” (anziano, 65/75 anni) vale a dire un vero e appagante coinvolgimento nella vita sociale[38].

 

 

 

 

Tuttavia, l’immagine usata nel volantino funziona poco: la bolla fa capire che l’uomo non è in grado di sentire bene, ma non in maniera del tutto convincente; l’immagine, infatti, dà comunque un’idea di partecipazione, per quanto limitata, che è incoerente con l’impressione di intrappolamento che bolla vuole suggerire.

 

La caratterizzazione risulta molto più coerente e chiara nel commercial televisivo[39] (erigendo tale comunicazione a “primario riferimento[40]”) in quanto: la mimesi facciale del “protagonista” (opposta a quella degli “astanti”) esprime “straniamento” (vs. “condivisione), “apatia” (vs. enfasi), “contenutezza” (vs. divertimento); la disposizione della simulazione finzionale[41] alla partecipazione enfatizza la sensazione di disagio e il sentimento di repressione: “voler partecipare / vivere appieno la socialità” , “non poter seguire” (per non audizione) “dover far sembrare” di partecipare per evitare la stigmatizzazione sociale. La rappresentazione risulta molto più coerente e chiara nella pubblicità televisiva (il che la rende fondamentale), in quanto la mimesi facciale del protagonista esprime spaesamento, indifferenza e noia contrapponendosi a quella degli altri, i cui volti esprimono partecipazione, passione e divertimento. Il fatto che il protagonista finga di essere coinvolto evidenzia il suo disagio e la sua inibizione: vuole partecipare alla vita sociale, ma è incapace di farlo perché non riesce a sentire, e simula la comprensione per evitare l’esclusione sociale.

 

Nel complesso, il media Mix risulta piuttosto coerente in termini di identità espressiva, scelte figurative e tematiche, tono di voce e dinamica narrativa proposta, sebbene siano relativamente diverse le qualificazioni dell’ipoacusia: Più “severe” le condizioni ‘costrittive’ sul piano relazionale nell’adv televisivo[42].

Molto meno invalidante l’ipoacusia proposta nella press adv[43] (tendendo a marginalizzare l’ “utilità” di un intervento risolutore).

Il media mix risulta tendenzialmente pertinente alla ‘call to action’ promozionale, valorizzando specificatamente la gratuità della prova e l’assistenzialità dei “protesisti[44]”: in modo più coerente l’adv televisivo che esprime con maggiore chiarezza e attinenza l’esemplificazione esortativa, valorizza compiutamente il Centro Amplifon e focalizza chiaramente sulla ‘temporalità[45]’ della “portabilità” dell’offerta; in modo meno appealing[46] e diretto (anche se più “istituzionalizzante[47]” e rassicurante) nell’adv stampa che investe più propriamente in una “attestazione” risolutiva (più che esortativa)[48], non avvalora la “temporalità” della portabilità e rende meno evidente il discorso “testimoniale”.

Nel complesso, la strategia pubblicitaria è coerente con l’identità del prodotto, con le scelte figurative e tematiche, con il tono di voce e con la narrazione proposta, sebbene il disturbo all’udito acquisisca sfumature differenti: più “gravi” nello spot televisivo e più “lievi” nel volantino, dove la necessità di un intervento risolutore sembra minore.

La strategia pubblicitaria risulta quindi atta a invogliare le persone a partecipare al mese della prevenzione, puntando sulla prova gratuita dell’udito e sull’assistenza ai clienti da parte dei protesisti: lo spot televisivo è più coerente, dato che sottolinea l’importanza di una prova pratica del prodotto, valorizza il Centro Amplifon e richiama l’attenzione sulla temporaneità[49] dell’offerta. Nel volantino ciò avviene in modo meno invitante e diretto (ma più serio[50] e rassicurante): valorizza maggiormente la risoluzione del problema, ma incentiva meno il cliente a recarsi nel Centro Amplifon e, al contempo, indebolisce sia l’aspetto temporale dell’offerta che l’importanza della testimonianza diretta.

 


3.1 Residuo traduttivo

Il residuo traduttivo di un testo è ciò che il traduttore si trova costretto a omettere o decide deliberatamente di escludere dal testo finale. Quando si affronta la traduzione di un testo è impossibile pensare di riprodurre tutto; bisogna fare scelte traduttive ricordando di tenere sempre in mente qual è la dominante del testo e per chi si traduce. Può trattarsi di qualsiasi aspetto del testo che risulterebbe incomprensibile al lettore modello e che nelle traduzioni interlinguistiche, il più delle volte, è rappresentato da elementi culturospecifici che per natura non possono avere la stessa valenza per il lettore modello dell’autore e per quello del traduttore. Naturalmente, vi si sommano elementi linguistici e sintattici propri di ogni sistema linguistico. Nel mio caso, ossia in una traduzione culturale, il mio ostacolo sono stati prevalentemente gli elementi culturospecifici di coloro che ormai conosciamo come «marketesi» e, siccome il mio lettore modello è una persona totalmente estranea alla loro cultura, nella maggior parte dei casi non è stato possibile trovare dei corrispondenti nella cultura ricevente. Ho dovuto fare ricorso a un gran numero di note e di agevolazioni alla lettura per compensare la mancanza di traducenti. L’unico residuo che ho scelto di eliminare è stata la forte aggettivazione presente nel prototesto; questo perché benché fosse perfettamente possibile riportare questo aspetto nel metatesto, non sarebbe stato coerente con la decisione di eliminare tutte le parti del testo non indispensabili alla comprensione e quindi anche tutti quegli “orpelli lessicali” (lunghe serie di aggettivi e un uso esagerato di parentesi e virgolette) che avrebbero creato confusione nella mente del mio lettore modello.

Riferimenti bibliografici

Anderson, Myrdene (2000). «Ethnography as translation». In La traduzione. A cura di Susan Petrilli, Roma: Meltemi (181-187).

Agar, Michael (1994). Language shock, New York: William Morrow & company.

Agar, Michael (2006). «Culture: can you take it anywhere?» International Journal of Qualitative Methods (1-12).

Bartesaghi, Gaia. Conversazione privata (2010).

Dictionary.com. Random House Inc. (2010). Disponibile in internet all’indirizzo www.dictionary.reference.com consultato nel mese di settembre 2010.

Dizionario di italiano Il Sabatini Coletti (2010). Disponibile in internet all’indirizzo www.dizionari.corriere.it consultato nel mese di settembre 2010.

Even-Zohar, Itamar (2000). «La formazione del repertorio cultural e il ruolo del trasferimento». In La traduzione. A cura di Susan Petrilli, Roma: Meltemi (200-206).

Glossario Marketing. Disponibile in internet all’indirizzo www.marketing informatico.it consultato nel mese di settembre 2010.

Lotman, Jurij. (1990). «Three functions of the text». Universe of Mind: a Semiotic Theory of Culture (1:11-19), Bloomington: Indiana University Press.

Nida, Eugene (2000). «Language and culture: two similar simbolic system». In Tra segni. A cura di Susan Petrilli, Roma: Meltemi (119-128).

Osimo, Bruno. (2010). Propedeutica della traduzione: corso introduttivo con tabelle sinottiche, Milano: Hoepli.

Osimo, Bruno (2002). In «Traduzione della cultura» Parole, immagini, suoni di Russia. A cura di G. P. Piretto, Milano: Unicopli.

Osimo, Bruno. (2004). Manuale del traduttore: guida pratica con glossario, Milano: Hoepli.

Osimo, Bruno (2008). «Cultural basis of translation (1.4: 24-31)». [o.b.1] Jakobson: translation as imputed similatity. Sign System Studies, 36.2, 315 – 332

Osimo, Bruno (2009). «Jakobson and the mental phases of translation». Mutatis Mutandis, 2, 73-82.

Osimo, Bruno. «Jakobson and Cinderella’s parable of translation». In corso di pubblicazione.

Petrilli, Susan. A cura di (2001). Lo stesso altro, Roma: Meltemi.

Torop Peeter (2010). La traduzione totale: tipi di processo traduttivo nella cultura. A cura di B. Osimo, Milano: Hoepli.

Toury, Gideon (2000). «Progettazione culturale e traduzione». In La traduzione. A cura di Susan Petrilli, Roma: Meltemi (188-199).



[1] La semiotica all’interno delle ricerche di mercato è utile ad analizzare la comprensione e l’efficacia di una comunicazione pubblicitaria. Per cui un messaggio pubblicitario, un prototipo, una confezione (pack), uno slogan, un simbolo, un’immagine, un logo, ecc. vengono presentati e discussi con i partecipanti dei focus group (forma di ricerca qualitativa, in cui un gruppo di persone è interrogato riguardo all’atteggiamento personale nei confronti di un tema specifico. Le domande sono fatte all’interno di un gruppo interattivo, in cui i partecipanti sono liberi di comunicare con altri membri del gruppo. Il focus group è una tecnica particolarmente usata nella ricerca di mercato e nel marketing, come strumento utile per lo sviluppo di nuove idee e per l’acquisizione di feedback riguardo ai nuovi prodotti. In particolare, permette alle imprese e alle agenzie di discutere, osservare o esaminare il nuovo prodotto prima che esso sia messo a disposizione del pubblico al fine di cogliere i loro processi di significazione).

[2] L’analisi desk viene realizzata per circoscrivere un quadro di riferimento, vale a dire il contesto della ricerca. La sua utilità è duplice: da un lato rappresenta il background teorico e razionale del piano progettuale, dall’altro costituisce la base dei contenuti su cui elaborare gli strumenti di rilevazione per la fase di ricerca sul campo. Tale metodologia consiste nello studiare uno o più oggetti scomponendoli in elementi e attribuendogli dei significati. Scomporre l’oggetto della ricerca significa dotarsi di strumenti per un’analisi più precisa e puntuale, che agevoli l’individuazione degli aspetti maggiormente ricchi di significato, i quali dovranno essere approfonditi in successive fasi di ricerca quantitativa e/o sul campo. Si noti che analisi desk è la versione italiana della locuzione inglese desk analysis e si tratta di una traduzione in cui i due termini sono stati invertiti, ma dove non è stata introdotta la preposizione e tradotta la seconda parola.

[3] La preposizione «su» viene usata in modo molto esteso in tutti i campi in cui è forte l’influenza della lingua inglese, probabilmente come traducente della preposizione «on» (reale o immaginaria che sia). Un esempio lampante di tale fenomeno sono le locuzioni «su internet»/«sul sito», che stanno prendendo piede in alternativa alle più italiane «in internet»/«nel sito». Pertanto, nella traduzione ho ritenuto opportuno sostituire il «su» con una preposizione italiana più grammaticalmente fondata.

[4] Calco sull’inglese support. Dato il contesto mi è sembrato più chiaro usare la parola «strumento», in alternativa avrei anche potuto usare la parola «mezzo».

[5] La Communication mix è un insieme di elementi che compongono il piano di comunicazione di un’idea di marketing e si raggruppano in 4 categorie: pubbliche relazioni, pubblicità, promozione delle vendite, attività persuasiva dei venditori.

[6] Below the line è una locuzione tecnica che si usa in pubblicità e indica tutte le attività di comunicazione che non sfruttano i media tradizionali. Tra queste troviamo le sponsorizzazioni, le relazioni pubbliche, le promozioni e il direct marketing (tecnica di marketing attraverso la quale aziende e enti comunicano direttamente con clienti e utenti finali). La locuzione ha origini giornalistiche e indica il complesso delle notizie nella metà inferiore, cioè sotto (below) la piega (line) della prima pagina di un quotidiano esposto assieme agli altri in edicola. L’espressione contraria è Above the line, che indica invece le attività veicolate attraverso i media classici, come televisione, radio, editoria, affissioni.

[7] In questo caso non si tratta di metodologia in senso stretto, ma di un metodo. C’è la tendenza  a usare la parola più astratta per quella più concreta o quella collettiva al posto di quella che denota un solo elemento, come nei casi di tipo/tipologia, problema/problematica ecc. A volte la stessa tendenza si riscontra anche nei verbi, nei quali di solito si preferisce la variante più lunga: usare/utilizzare/usufruire.

[8] Nella versione originale c’era una certa ridondanza prodotta dalla locuzione communication mix, che sostanzialmente significa ciò che già viene detto in altre parti della frase. Ho preferito semplificare la comprensione per il mio lettore modello.

[9] Non c’è un reale motivo terminologico per dire brand e non dire marchio. L’uso di termini inglesi conferisce alla ricerca una certa pomposità e un aspetto più cosmopolita.

[10] Il posizionamento di un prodotto è la decisione aziendale circa il target e il tipo di prodotto (con relative caratteristiche) in relazione al mercato e al suo collocamento. Ad esempio: se si tratta di un prodotto pensato per ragazze, molto probabilmente si sceglierà di farlo rosa, colorato, profumato o in versione da borsetta. Sono decisioni che vengono prese a tavolino prima di cominciare la produzione.

[11] In test significa testato, già provato.

[12] Il target profile è il modello di cliente a cui è rivolta una determinata campagna, pubblicità o prodotto; si tratta quindi di un prototipo di cliente. È la “versione marketing” del lettore modello di un autore.

[13] L’ostacolo alla comprensione è dovuto a un uso sbagliato della lingua. «Comunicazionale» è un aggettivo di seconda formazione rispetto a «comunicazione». La scelta di usare un aggettivo di seconda formazione richiama il discorso fatto in precedenza per usare/utilizzare: sono parole più pesanti e difficili da capire per una persona normale e vengono usate con allo scopo di “abbindolare” il lettore usando un lessico altisonante (ma inesatto).

[14] Il Media Mix è una strategia di marketing che decide quali strumenti o mezzi utilizzare per una campagna di pubblicizzazione. Il media mix (o media planning), serve a capire dove e come distribuire il budget tra vari mezzi e pianificare l’azione di comunicazione.

[15] Il profilo comunicazionale è l’identità della comunicazione stessa: giovane, vecchia, classica, moderna, diretta, indiretta ecc. Sono i tratti principali della comunicazione e vengono prestabiliti ad hoc per il prodotto che si vuole pubblicizzare.

[16] «Trasversale al target» significa per tutti, cioè che sia adatto per tutta la fascia di persone che rappresentano i potenziali clienti.

[17] Per «comunicazione di testimonianza» si intende la testimonianza fisica di una persona che realmente soffre di quel disturbo, una persona che sia vicina ai clienti e che gli assomigli: per testimoniare sull’utilità e sui benefici che l’utilizzo di un apparecchio acustico apporta allo stile di vita quotidiano di una persona comune, non ci sarà un giovane attore o modello a fare da testimonial, ma piuttosto un signore di mezz’età che come migliaia di altre persone deve convivere con un problema all’udito.

[18] «Performance risolutiva» significa letteralmente «risoluzione del problema». Non si tratta di un palliativo o di un aiuto, ma di qualcosa che è in grado di eliminare il problema completamente. La pubblicità deve mostrare ai possibili compratori la performance del prodotto, quindi come funziona e i vantaggi che apporta.

[19] L’end benefit è il risultato finale: il beneficio ottenuto in seguito all’uso del prodotto.

[20] Call to action è la locuzione inglese usata per indicare la «chiamata all’azione». Si riferisce allo stimolo che la pubblicità deve dare al cliente: deve far in modo che chi è interessato al prodotto non si limiti a pensare che sarebbe utile comprarlo, ma esca realmente di casa e si rechi nel negozio per provarlo.

[21] È importante, se non fondamentale, che la gente lo vada a provare. Tutti infatti già sanno a cosa serve il prodotto, già lo conoscono in linea teorica. Il punto cruciale è che quando poi lo provano non vogliano più farne a meno ed è esattamente questo lo spirito della pubblicità: fare in modo che alle persone venga voglia di provarlo.

[22] «Esemplificare» significa spiegare o dimostrare qualcosa attraverso degli esempi. In questo caso si intende mostrare le qualità del prodotto e il suo funzionamento tramite la prova pratica dello stesso.

[23] Letteralmente, l’assertività è una caratteristica del comportamento umano che consiste nella capacità di esprimere in modo chiaro ed efficace le proprie emozioni e opinioni.

[24] «Storicizzare» significa concepire o interpretare qualcosa come un processo storico in divenire (per esempio storicizzare la realtà). In questo caso intende dire che la pubblicità racconta una storia: un uomo ha un problema all’udito, è insieme alla sua famiglia, gli altri si divertono, ma lui non è in riesce a partecipare. Poi si reca in un Centro Amplifon, prova l’apparecchio acustico ed è felice, perché finalmente la sua percezione della realtà cambia (esce dalla bolla).

[25] Per «ipoacusia» si intende una riduzione, più o meno grave, dell’udito.

[26]Nell’ambito della comunicazione, il termine inglese corporate indica tutto ciò che è relativo all’azienda. La comunicazione corporate ha come scopo quello di pubblicizzare l’immagine e la conoscenza dell’azienda stessa: è Amplifon che dice qualcosa di sé.

[27] Ho scelto di capovolgere la frase e di mettere il soggetto all’inizio e gli aggettivi ad esso riferiti in seguito, dato che la costruzione originaria era più inglese che italiana. In questo modo la lettura risulta meno faticosa e più normale.

[28] In questo caso per «promozionale» si intende dire che la pubblicità è informativa rispetto al mese della prevenzione: offre ai clienti la possibilità di recarsi nei punti vendita ed effettuare gratuitamente la prova dell’udito. In definitiva nella pubblicità si promuovono l’apparecchio, il marchio e il servizio di controllo dell’udito gratuito.

[29] Hanno scelto di usare la locuzione inglese piuttosto che quella italiana perché l’espressione è omnicomprensiva: non si riferisce unicamente all’arredamento, ma anche a tutto ciò che abbellisce e adorna lo spazio abitato. Usare la parola «arredamento» al posto di setting d’arredo sarebbe limitante, ma la parola «ambientazione» è in grado di riprodurre la stessa idea.

[30] Anche in questo caso scelgono di usare l’inglese piuttosto che l’italiano, quando invece esiste un traducente esatto per living room, ovvero «salotto» o «soggiorno».

[31] Parola chiave in questa e in tutte le ricerche di mercato. L’obiettivo principale delle aziende è infatti quello di soddisfare le esigenze dei clienti e per fare ciò è fondamentale essere capaci di individuarne i bisogni (i needs).

[32]Il target rappresenta i soggetti che, sulla base delle caratteristiche delle loro richieste, vengono individuati come ideali destinatari di una specifica azione di marketing o di una particolare comunicazione pubblicitaria. Questo termine inglese che letteralmente significa «bersaglio» viene usato in molti settori oltre che nel marketing pubblicitario: in gergo economico, ad esempio, indica il risultato di una precisa strategia; mentre all’interno di un’azienda è il risultato pratico posto come obiettivo per un progetto.

[33] In questo caso definisce un’età precisa ma non sempre è così. Solitamente, indica una fascia di età che a seconda dei casi noi definiremmo in molti modi diversi: adulta, mezz’età,anziana.. e che nel gergo del marketing è spesso contrapposta a un’altra fascia, quella dei  junior.

[34] La grande ripetizione che viene fattafrequente occorrenza in tutto il testo di parole che terminano in ità (come ad esempio socialità, comunitarietà e successivamente temporalità, gratuità e assistenzialità) è un’altra prova dello stile raffinato pretenzioso che l’autore cerca di conferire al testo usando la forma più astratta di una parola, ma lo fa maldestramente e a discapito del senso della frase.

[35] Il visual corrisponde all’immagine principale sia di una confezione che di una campagna pubblicitaria. In questo caso si riferisce all’immagine dell’uomo intrappolato nella bolla visibile nella figura 1, che è seduto a tavola con la sua famiglia e con gli amici, ma che fatica a sentire ciò di cui stanno parlando.

[36] La figura 1 mostra l’immagine della bolla, la quale da un lato suggerisce l’idea di un totale straniamento rispetto al mondo esterno, ma dall’altro non esclude del tutto l’ipoacustico dalla vita sociale: lui ne fa ancora parzialmente parte. Per «scarsamente performante» si intende che l’immagine non funziona bene perché non trasmette esattamente il significato che si desiderava comunicare.

[37] Per «cliente modello» non intendo dire «cliente perfetto»; mi rifaccio alla definizione di target profile data in precedenza, ovvero un prototipo di acquirente ideale.

[38] Mettono in campo una vasta gamma di emozioni e situazioni per rendere meglio l’idea, ma non aggiungono significato alla frase e non sono necessarie per capirne il senso, quindi ho preferito riassumere l’idea generale e parlare di «vita sociale».

[39] Il commercial televisivo è la pubblicità che viene mandata in onda in televisione(on air).

[40] Il commercial televisivo è diventato il mezzo di comunicazione primario per questo prodotto (ovvero il «primario riferimento») perché è quello che funziona di più: rispetto agli altri riesce a comunicare al meglio l’identità del prodotto. La mimesi facciale del protagonista nel video rivela appieno il suo senso di disagio e di smarrimento mentre gli altri si stanno divertendo, impressione che è meno immediata nella pubblicità stampata, cioè nel volantino (figura 1).

[41] Nella figura 1 è evidente che il protagonista finge di essere in grado di seguire la conversazione e sorride a chi siede al tavolo con lui. Simula per non dare a vedere che in realtà non riesce a sentire bene perché vuole evitare il disagio che tale situazione crea e per la paura di essere trattato diversamente dagli altri.

[42] Adv, Advertising e Adware sono tre termini con cui si indica la pubblicità. L’adv televisivo indica gli annunci pubblicitari mandati in onda in televisione.

[43] È l’abbreviazione della locuzione inglese Newspaper advertising e si riferisce alla pubblicità che viene stampata sui giornali o sul volantini, quindi una forma scritta di pubblicità.

[44] I protesisti di Amplifon sono coloro che si occupano della creazione e dell’adattamento delle protesi acustiche.

[45] L’uso della parola «temporalità» è scorretto perché fuori contesto. Infatti sotto questa voce nel dizionario si legge: «natura di ciò che è temporale, effimero; proprio del tempo, della storia (si contrappone a spiritualità): condannare la t. della Chiesa».

[46] Appeal è un termine inglese che può avere molti significati e per questo viene usato in svariati modi; ma i più ricorrenti sono: «attrazione, richiamo, interesse, fascino».

[47] Come ho già accennato, l’uso dell’aggettivo «istituzionalizzante» sembra fuori luogo. Ciò che è «istituzionalizzante» è ciò che «istituzionalizza» e sotto questa voce nel dizionario si legge:  «Acquisizione, all’interno della società, di una forma stabile, pienamente accettata e perlopiù oggetto di ordinamento giuridico (sancire qualcosa dandogli carattere giuridico)».

[48] «Investire di più in un’attestazione risolutiva invece che esortativa» significa dare maggiormente rilievo e importanza alla dimostrazione di come si può risolvere il problema (quindi mostrare il disagio che si prova prima di usare Amplifon e il benessere che si può ritrovare dopo averlo provato) piuttosto che esortare le persone a recarsi nel punto vendita.

[49] Forse ciò che in gergo marketese si intende dire con «temporalità» corrisponde all’italiano «temporaneità», che indica ciò che e temporaneo, quindi che ha durata breve e limitata.

[50] Con l’uso dell’aggettivo «istituzionalizzante», che non pare pertinente all’interno della frase, si cerca di dare lustro e serietà all’azienda. È come se Amplifon volesse dire ai suoi clienti che lo scopo dell’azienda non è solo quello di ricavare dei guadagni, ma anche quello di assistere al meglio i suoi clienti, in modo sicuro e professionale. Per questo motivo ho scelto di usare la parola «serietà».

 

Slavismi in A Clockwork Orange e loro analisi semiotica

Slavismi in A Clockwork Orange e loro analisi semiotica

SARA TROMBETTA
Fondazione Milano
Milano Lingue
Scuola Superiore per Mediatori Linguistici
via Alex Visconti, 18 20151 MILANO

Relatore: professor Bruno OSIMO

Diploma in Mediazione linguistica
luglio 2013
Sommario
1. Abstract
2. Introduzione
3. Com’è nato il romanzo
4. Il nadsat
4.1. Analisi
4.2. Esempi di adattamento
5. Motivi del libro: perché il russo?
6. Burgess e Orwell a confronto
7. Riflessioni generali
8. Conclusioni
9. Appendici
9.1. Glossario nadsat
9.2. Nomi e toponimi russi
10. Riferimenti bibliografici
1. Abstract

ABSTRACT IN ITALIANO
I capitoli seguenti presentano il romanzo A Clockwork Orange di Anthony Burgess e il linguaggio inventato che lo caratterizza, il nadsat. Questo slang è formato da parole russe “adattate” all’inglese, e viene esaminata l’idea alla base del libro per poter capire i motivi che hanno spinto l’autore a fare determinate scelte linguistiche. Sono presentati alcuni esempi tratti dal romanzo, ipotizzate le parole russe da cui derivano ed è proposta un’analisi del loro “adattamento” all’inglese. Sono avanzate ipotesi sulle impressioni che il lettore non slavista ha alla lettura di questo romanzo. Nelle appendici è proposto un glossario nadsat e un elenco dei nomi e toponimi russi presenti nel libro.

ENGLISH ABSTRACT
The following chapters present Anthony Burgess’s novel A Clockwork Orange and the invented slang that characterises it, the so-called nadsat. This slang is composed of Russian words that have been “adapted” to English. The main idea at the basis of the book is examined, in order to understand the reasons why the author made certain linguistic choices. Some examples from the novel are given, the Russian words from which they originate are hypothesized and an analysis of their “adaptation” to English is proposed. A non-Slavist reader’s first impressions about this novel are also hypothesized. In the appendix a nadsat glossary and a list of the Russian names and toponyms from the book are proposed.

PЕЗЮМЕ НА РУССКОМ ЯЗЫКЕ
Следующие главы представляют роман Энтони Борджесс A Clockwork Orange и nadsat, то-есть слэнг характеризующий его.
2. Introduzione
A Clockwork Orange (Un’arancia a orologeria nella prima traduzione di Floriana Bossi, Einaudi, 1969; poi cambiato in Arancia meccanica) è un romanzo del 1962 scritto da John Burgess Wilson (in arte Anthony Burgess).
Ambientato in una società futuristica, racconta la storia di un ragazzo di quindici anni, Alexander the Large, che commette una serie di crimini e di atti di violenza insieme ai suoi droogs [amici].

3. Com’è nato il romanzo
In un periodo di relativa crisi di buone idee per un nuovo romanzo, spinto dalla curiosità e dall’editore Heinemann, che sperava di ricavare una storia da pubblicare, nel 1961 Burgess andò a Leningrado (l’attuale San Pietroburgo). In previsione del viaggio l’autore iniziò a studiare russo da autodidatta, ed ebbe l’idea di un romanzo scritto in uno slang che fosse un misto di russo, inglese, e altre lingue. Prima ancora di partire cominciò a creare un dizionario di circa 200 vocaboli russi modificati, e a scrivere A Clockwork Orange (Biswell 2005 237).
Una sera, quando già si trovava a Leningrado insieme a sua moglie, vide fuori da un ristorante un gruppo di stilâgi [giovani che seguono la moda occidentale] che urlavano e facevano rumore. Fu colpito in modo particolare da questo episodio perché guardando questi ragazzi gli sembrò di vedere i giovani inglesi, vestiti in the «height of fashion» (Burgess 2011 4), che dopotutto si comportavano nello stesso modo. Questo può spiegare perché non è specificata l’ambientazione della storia: la violenza tra i giovani è un fenomeno internazionale.

4. Il nadsat
Il nadsat [in inglese teen] è il nome del linguaggio che usano Alex e i suoi amici, che sono infatti adolescenti.
Nonostante l’autore avesse anticipatamente creato un dizionario del nadsat, molte parole sono nate o sono state modificate nel corso della stesura del romanzo, e come si può vedere dalle note scritte a mano dallo stesso Burgess sui lati del dattiloscritto (Biswell 2005 250) e da lettere che scrisse ad amici e conoscenti, l’autore nutriva profondi dubbi al riguardo.
In primo luogo non era sicuro che questo linguaggio sarebbe stato davvero efficace: quanti avrebbero capito il significato dei termini? e quanti avrebbero colto il senso del loro uso?
In secondo luogo, l’autore voleva un linguaggio particolare e ben studiato, temeva di cadere nella banalità se avesse usato alcune espressioni di inglese corrente, ma allo stesso tempo non voleva esagerare con l’uso del russo per non risultare pesante.
Su consiglio del suo stesso editore Heinemann di Londra, l’uso del nadsat si intensifica man mano che si procede con la lettura. In questo modo il lettore può “digerire” la novità, senza trovarsi subito di fronte a qualcosa di incomprensibile, e può allo stesso tempo imparare una nuova lingua (Biswell 2005 249).
Ma allora perché Burgess non ha voluto pubblicare un dizionario di nadsat, scelta che peraltro è stata criticata da diversi editori e autori?
Un glossario avrebbe certamente facilitato la lettura, ma forse il libro avrebbe perso di efficacia. Una cosa, infatti, è leggere parole sconosciute e provare a indovinarne il significato, a capire perché sono state usate in quel modo e perché invece non sono state usate parole di uso comune, un’altra è non capire che cosa si è letto e andare a cercare spiegazioni in un glossario. In quest’ultimo caso buona parte delle sensazioni che proviamo nella lettura verrebbe persa, l’effetto che suscitano (o che dovrebbero suscitare) in noi parole come chelloveck, tolchock e spatchka svanirebbe nel momento in cui scopriamo che vogliono dire uomo, spinta e dormita.

4.1 Analisi
Gli slavismi che Burgess ha scelto di inserire nel romanzo non sono stati traslitterati, ma “adattati” all’inglese e al lettore inglese attraverso per esempio l’aggiunta delle desinenze inglesi del simple past e del present continuous, l’aggiunta della -s del plurale o della terza persona singolare all’indicativo presente, il troncamento delle tipiche desinenze russe (dei verbi, degli aggettivi, ecc) o la loro sostituzione con altre desinenze tipiche inglesi.
In generale questo lavoro di adattamento si può dividere in due categorie: l’adattamento della grammatica e quello della pronuncia. Alcune parole, poi, sono state completamente stravolte e reinventate partendo dalla radice slava.
Inoltre, a un verbo nel romanzo non sempre corrisponde un verbo russo: molti dei verbi “creati” da Burgess nel romanzo derivano da sostantivi russi.

4.2 Esempi di adattamento
«Now all the cats were getting spoogy and running and jumping in a like cat-panic» (Burgess 2011 47; corsivo aggiunto): spoogy potrebbe derivare dall’aggettivo russo испуганный [ispugannyj] che significa “spaventato”. La lettera russa <у> non è stata traslitterata ma è stata trascritta secondo le regole fonetiche inglesi. La desinenza degli aggettivi maschili russi è abbreviata in , forse per facilitare il lettore inglese, per il quale una finale in sarebbe risultata consonantica. Le lettere centrali sono state eliminate e questo, insieme al fatto che la prima lettera () nell’aggettivo russo è stata omessa, è forse per mimare l’aggettivo inglese spooky, che significa “spaventoso”.

«But I let on to be back in sleepland and then I did doze off real horrorshow, and I had a queer and very real like sneety, dreaming for some reason of my droog Georgie. In this sneety […]» (Burgess 2011 28; corsivo aggiunto): sneety potrebbe derivare dal verbo russo сниться [snit’sâ] che significa “dormire”, ed è quindi un esempio di verbo usato come sostantivo (“sogno”). Anche in questo caso è stata eseguita una trascrizione invece della traslitterazione, per far sì che il lettore inglese riuscisse a pronunciare la parola correttamente. Perciò <и> () è trascritta . Inoltre la particella riflessiva del verbo russo <-sâ> è sostituita da una , forse per non far percepire la parola come straniera.

horrorshow potrebbe derivare dall’avverbio russo хорошо [horošo] che significa “bene”. Il suono della prima lettera russa /h/ è stato mantenuto, come anche il suono finale. Burgess non l’ha traslitterata, ma ha creato una parola nuova, con un suono molto simile e con un significato ben preciso: è infatti una parola molto usata dal protagonista Alex, che la usa con il significato russo “bene”, riferendosi a cose che per lui sono belle, come pestaggi, stupri e atti di violenza, ma che per gli altri sono appunto horror shows.

«Then we saw one young malchick with his sharp, lubbilubbing under a tree, […]» (Burgess 2011 16; corsivo aggiunto): lubbilubbing potrebbe derivare dal verbo russo любить [lûbit’] che significa “amare”. Questa parola è stata completamente reinventata, partendo dalla radice slava. Inoltre è stato aggiunto il suffisso -ing del present continuous.
Con questo termine non riusciamo a capire di preciso che cosa stia succedendo, possiamo solo fare delle ipotesi in quanto non ci viene data un’immagine diretta, il compito di interpretare viene lasciato alla nostra immaginazione. È questo un esempio di come Burgess sia riuscito a trasmettere determinate situazioni, come scene di sesso o di violenza, senza però scandalizzare il lettore, che intuisce quello che l’autore intende dire ma riceve un’immagine meno forte, a volte addirittura comica o infantile.

«In the trousers of this starry veck there was only a malenky bit of cutter (money, that is) […] so we gave all his messy little coin the scatter treatment, it being hen-korm to the amount of pretty polly we had on us already.» (Burgess 2011 8; corsivo aggiunto): hen-korm potrebbe derivare dalla parola inglese chickenfeed [cifra irrisoria], ed essere stata scomposta in questo modo: “hen” sostituisce “chicken”, e “feed” è sostituito dal verbo russo кормить [kormit’] che significa appunto “nutrire”, e che, come per tutti gli altri verbi russi scelti da Burgess, è stato abbreviato omettendo la desinenza del verbo russo <-it’>.

«He had books under his arm […] and was coming round the corner from the Public Biblio, which not many lewdies used those days.» (Burgess 2011 6; corsivo aggiunto): lewdies deriva probabilmente dal sostantivo russo люди [lûdi] che significa persone. Invece della traslitterazione è stata fatta una trascrizione, facendo sì che il lettore inglese potesse pronunciare correttamente la parola, che assomiglia all’aggettivo inglese lewd [lascivo, volgare]. Si noti anche che люди in russo è già un plurale, mentre nel romanzo è stata aggiunta la -s del plurale inglese.

«You could viddy that poor old Dim the dim didn’t quite pony all that […]» (Burgess 2011 9; corsivo aggiunto): pony potrebbe derivare dal verbo russo понять [ponât’], che significa “capire”. La trascrizione standard di questa parola è <ponyat’> e, dato che per tutti gli altri termini Burgess si è affidato alla trascrizione, un’ipotesi potrebbe essere che, sapendo o avendo verificato la corretta pronuncia di понять, abbia semplicemente eliminato la desinenza del verbo russo <-at’>, come ha fatto in tutti gli altri casi.
Il fatto che in inglese la parola “pony” esista (anche se con un altro significato) potrebbe aver influito su questa scelta.

«I thought how I would have a malenky bit longer in the bed, […] make toast for myself and slooshy the radio or read the gazetta, all on my oddy knocky.» (Burgess 2011 27; corsivo aggiunto): oddy knocky deriva probabilmente dall’aggettivo russo одинокий [odinokij] che significa “solo”. La parola russa è stata scomposta in due parole, che seguono la pronuncia russa ma l’uso lessicale inglese: diventa .
Inoltre oddy knocky riprende il tono infantile di Alex (eggiweg, skolliwoll, ecc). Anche in questo caso sembra che Burgess si sia basato su parole inglesi esistenti (“odd” e “knock”) per crearne una nuova di significato diverso.

«When he came, all nervous and rubbing his rookers on his grazzy apron, we ordered […]» (Burgess 2011 9; corsivo aggiunto); «So down I ittied, slow and gentle, admiring in the stairwell grahzny pictures of old time […]» (Burgess 2011 46; corsivo aggiunto): grazzy e grahzny potrebbero derivare entrambi dall’aggettivo russo грязный [grâznyj] che significa “sporco”. Il fatto che Burgess ne abbia dato due versioni diverse potrebbe essere segno di indecisione per quanto riguarda l’adattamento: una volta scelto il vocabolo da usare bisognava pensare a come “adattarlo” all’inglese. Forse, essendo indeciso, ha scelto di lasciarle entrambe. Oppure in un primo momento aveva usato uno solo dei due termini, e successivamente ne ha inventato un altro che gli sembrava migliore, ma non ha sostituito la prima scelta in tutte le sue occorrenze, per sbadataggine o perché il nadsat non segue delle regole precise.

«[…] I got new vons, sniffing away there with my like very sensitive morder or sniffer.» (Burgess 2011 72; corsivo aggiunto): morder potrebbe derivare dal sostantivo russo морда [morda] che significa “muso”. In questo, come in altri casi, è stata mantenuta la radice slava, mentre la desinenza è stata cambiata.
Per prima cosa, dato che Burgess ha trascritto tutti questi termini, potrebbe aver pensato di scrivere “morder” perché si legge quasi come “morda”.
Inoltre, una finale in vocale è poco frequente nei sostantivi inglesi, a differenza di quelli russi (al femminile e neutro). Per questo è stata aggiunta la desinenza , che oltre a essere più comune, è anche la desinenza della parola “sniffer” che segue. “sniffer” e “morder” hanno qui un significato simile: forse Burgess temeva che non fosse abbastanza chiaro lasciare solo il termire nadsat e ha preferito aggiungere la traduzione inglese (come ha fatto per altri termini) per non creare dubbi. Forse, invece, lo ha fatto per far passare per inglese una parola inventata di origine straniera, oppure semplicemente per mettere in evidenza la sua abilità di creare nuove parole partendo da due lingue così diverse tra loro.

«And there were devotchkas ripped and creeching against walls and I plunging like a shlaga into them» (Burgess 2011 27; corsivo aggiunto): shlaga potrebbe derivare dal sostantivo russo шлагбаум [šlagbaum], che deriva a sua volta dal tedesco Schlagbaum, che significa “sbarra”, oppure dal sostantivo russo шланг [šlang] che significa “tubo”. Nel libro alcune parole nadsat provengono dal francese, dal tedesco o dall’ebraico. Non essendo riuscita a stabilire con precisione fino a che punto Burgess conoscesse queste lingue (era, fra le altre cose, linguista e traduttore) non posso affermare con certezza che “shlaga” derivi dal russo piuttosto che dal tedesco. Il fatto che non abbia mai traslitterato le parole, ma le abbia trascritte, non aiuta: , infatti, può essere sia la trascrizione anglosassone di (tedesco), sia di <ш> (russo).
шлагбаум e Schlagbaum indicano principalmente la sbarra a strisce rosse e bianche di un passaggio a livello. In un altro passaggio del libro, Alex usa una metafora per dire che sta andando a dormire: «[…] before getting my passport stamped […] at sleep’s frontier and the stripy shest lifted to let me through» (Burgess 2011 25; corsivo aggiunto). “shest” deriva probabilmente dal sostantivo russo шест [šest] che significa “palo, asta”, ad esempio quella per lo sport del salto con l’asta. Perché in questo caso, dove шлагбаум (o Schlagbaum) sarebbe stata la parola perfetta, ha scelto di usarne un’altra, meno precisa? Perché non le ha invertite, usando “shest” al posto di “shlaga” e viceversa? Forse ha cercato in un dizionario la traduzione russa di “pole” e ha scelto uno a caso dei traducenti che ha trovato. Questa teoria andrebbe a favore dell’ipotesi che nel 1961, quando ha scritto A Clockwork Orange, Burgess non conosceva bene il russo.

5. Motivi del libro: perché il russo?
Ci sono diverse ragioni per cui Burgess ha scelto di inventare il nadsat.
Come ho già detto, l’idea del romanzo è nata quasi per caso, in quanto casuale è stata l’idea di organizzare il viaggio a Leningrado. Ma perché creare il nadsat?
Il macrotema del libro è il libero arbitrio. L’uomo, secondo Burgess, non è più libero di fare le proprie scelte indipendentemente, e di scegliere liberamente il bene o il male. Nella società futuristica di A Clockwork Orange, che non è poi tanto diversa da quella in cui viveva l’autore, lo stato («State») è padrone: possiede la televisione e i mass media, controlla le menti umane e le trasforma in meccanismi a orologeria nel momento in cui elimina ogni possibilità di libera scelta.
Quando il protagonista Alex, che ha chiaramente scelto il male, viene catturato e portato alla Staja, «State Jail, that is» (Burgess 2011 57), lo Stato provvede a imporre su di lui il bene: non avviene un percorso di pentimento ma, attraverso un lavaggio del cervello, Alex è costretto a compiere il bene per non sentire dolore.
In questo senso il romanzo può essere letto come critica ai regimi totalitari, e i continui riferimenti allo stato e al governo («State» e «Government») richiamano il regime socialista (può essere letto anche un sottile richiamo allo stato di 1984 di Orwell, anche se in quest’ultimo la presenza del GF è costante, mentre in Burgess è più qualcosa di cui si sa l’esistenza ma che appare solo dopo che la violenza è stata commessa, arriva per punire, non per prevenire). Essendo scritto in piena guerra fredda, ed essendo formato da “slavismi anglicizzati” (o “anglicismi russificati”) il nadsat può rappresentare la perfetta contrapposizione dei due fronti, quello occidentale e quello orientale.

[…] in early 1961 […] I thought hard about the book and decided that its story properly belonged to the future, in which it was conceivable that even the easy-going British state might employ aversion therapy to cure the growing disease of youthful aggression. My late wife and I spent part of the summer of 1961 in Soviet Russia, where it was evident that the authorities had problems with turbulent youth not much different from our own. The stilyagi, or style-boys, were smashing faces and windows, and the police, apparently obsessed with ideological and fiscal crimes, seemed powerless to keep them under. It struck me that it might be a good idea to create a kind of young hooligan who bestrode the iron curtain and spoke an argot compounded of the two most powerful political languages in the world – Anglo-American and Russian. The irony of the style would lie in the hero-narrator’s being totally unpolitical.
(Burgess 1987 1)

Per ricreare una società futuristica Burgess dovette pensare a un linguaggio che la rispecchiasse: utilizzare uno slang qualsiasi in voga a quei tempi tra i giovani non era plausibile, in quanto con gli anni sarebbe passato di moda, facendo inevitabilmente risultare il libro “vecchio”. È probabile che Burgess abbia scritto una prima versione del romanzo, non pubblicata, nell’argot dei Teddyboys, Mods e Rockers dell’epoca, o che avesse iniziato a scrivere il romanzo in questo modo, cambiando poi idea per quanto riguarda il linguaggio da usare.

This first version presented the world of adolescent violence and governmental retribution in the slang that was current at the time among the hooligan groups known as the Teddyboys and the Mods and the Rockers. I had the sense to realise that, by the time the book came to be out, that slang would already be outdated, but I did not see clearly how to solve the problem of an appropriate idiolect for the narration.
(Burgess 1987 1)

Un’altra riflessione da fare sul nadsat riguarda il modo in cui queste strane parole sono percepite dal lettore.
Partendo dal presupposto che Burgess descrive un gruppo di adolescenti, questo slang da loro un tocco infantile. Dire infatti «Then we saw one young malchick with his sharp, lubbilubbing under a tree» (Burgess 2011 16) non ha lo stesso effetto di (per esempio) «Then we saw one young boy flirting with his sharp under a tree». Inoltre, Alex e i suoi amici bevono il latte (moloko) insieme a diversi tipi di droghe: l’accento è posto sul fatto che, nonostante siano molto violenti, sono comunque dei ragazzini, e quindi il loro modo di parlare deve essere conforme alla loro età. Nel corso del libro Alex cresce, e nell’ultimo capitolo dell’edizione inglese (omesso nella prima edizione americana) ci è lasciato a intendere che sta maturando, e con lui cresce e matura anche il suo modo di esprimersi.

Un altro effetto che si ottiene con il nadsat, oltre che al tocco infantile, è un senso di “ammorbidimento del tono”. Il libro è stato pubblicato per la prima volta in Gran Bretagna nel 1962, e in quegli anni non si parlava così apertamente come facciamo oggi di violenza, stupri di gruppo, uccisioni, ecc. Per non scandalizzare in maniera eccessiva il pubblico (cosa che era inevitabile, soprattutto dopo l’uscita del film) Burgess trovò “l’espediente” del linguaggio, anche perché il suo scopo non era quello di sconvolgere il lettore, ma mostrare semplicemente un ritratto della società.

It was the dawn of the age of candid pornography that enabled Stanley Kubrick to exploit, to a serious artistic end, those elements in the story which were meant to shock morally rather than merely titillate. These elements are, to some extent, hidden from the reader by the language used: to tolchok a chelloveck in the kishkas does not sound so bad as booting a man in the guts, and the old in-out in-out, even if it reduces the sexual act to a mechanical action, does not sicken quite as much as a Harol Robbins description of cold rape.
(Burgess 1987 2)

Il libro è stato soprattutto un esperimento linguistico. L’obiettivo era di mettere in primo piano la lingua, non la violenza o il sesso (Burgess 1990 You’ve had your time: Being the second part of the confessions of Anthony Burgess, William Heinemann Ltd, London).
Amante di Joyce, Burgess condivideva con lui l’idea che la lingua fosse così importante in un romanzo da diventare un personaggio del romanzo stesso, se non addirittura il protagonista (Biswell 2005 37).
Dopotutto, A Clockwork Orange non fu il primo esperimento linguistico di Burgess: in tutti i suoi precedenti romanzi e scritti di ogni genere si dilettava nella sperimentazione della lingua, riscrivendo testi di canzoni ben conosciute cambiandone il contenuto, sperimentando giochi di parole, che non sempre erano di facile comprensione. Nella Trilogia malese (A Malayan Trilogy nell’edizione inglese, The Long Day Wanes: A Malayan Trilogy in quella americana), scritta nella seconda metà degli anni Cinquanta, Burgess inserisce parole e nomi malesi nel testo sbagliando di proposito, creando un effetto comico (per chi conosce il malese ovviamente), ma non forma parole nuove mischiando le due lingue (inglese e malese). Questa è infatti una novità di A Clockwork Orange.
Nonostante sia una lettura abbastanza impegnativa, il significato delle parole nadsat si può intuire dal contesto, anche se non si conosce il russo. Esperimenti linguistici più estremi sono stati fatti successivamente, in The Doctor is Sick (1960) per esempio, dove il linguaggio della malavita inventato da Burgess è quasi (se non del tutto) incomprensibile («“Witch the narnoth and cretch the giripull.” “Vearl pearnies under the weirdnick and crafter the linelow until the vopplesnock.”») (Burgess 1960 148). Non si sa da dove derivi questo slang, potrebbe essere del tutto inventato, magari una deformazione dell’inglese. In ogni caso si tratta di un linguaggio usato solo in brevi tratti del romanzo, durante i dialoghi dei gangster, mentre in A Clockwork Orange il nadsat caratterizza tutto il libro, non solo i dialoghi, perché il narratore è il protagonista Alex.
6. Burgess e Orwell a confronto
Nuovi linguaggi erano già stati inventati in precedenza, tra gli altri da George Orwell nel suo 1984. In questo romanzo, Orwell inventa il Newspeak [Neolingua], che sarebbe una lingua che nel futuro sostituirà l’inglese. Nel romanzo sono presenti solo alcuni termini Newspeak, per il resto la lingua usata è l’inglese. Inoltre, nelle appendici, è presente una spiegazione dettagliata della provenienza di questa Neolingua, del senso della sua creazione e del suo uso, della formazione delle parole, e sono forniti al lettore alcuni esempi.
Il Newspeak è stato quindi pensato e creato in base a regole grammaticali, che vengono fornite al lettore (anche se nel libro si incontrano raramente parole Newspeak, che sono sempre seguite da una spiegazione che ne chiarisce il significato).
Al contrario, in A Clockwork Orange, non abbiamo il supporto delle appendici: il lettore è catapultato in una realtà linguistica senza alcuna spiegazione, se non qualche traduzione tra parentesi, solo di alcune parole e principalmente all’inizio del libro: «Pete had a rooker (a hand, that is) […]» (Burgess 2011 4; corsivo aggiunto). Non abbiamo nemmeno una spiegazione morfologica, l’unica informazione che ci viene data è che si tratta di «“Odd bits of old rhyming slang” […] “A bit of gipsy talk, too. But most of the roots are Slav. Propaganda. Subliminal penetration.”» (Burgess 2011 86).
Oltre a questa prima differenza tra nadsat e Newspeak, si noti che il primo è uno slang parlato dai giovani, che è usato quasi per estraniarsi dalla realtà degli adulti, non è un linguaggio organizzato ma, come tutti gli slang giovanili, cambia in continuazione, anche a seconda del parlante. Il Newspeak, invece, è una lingua costruita e imposta dal centro di potere, che ha come obiettivo quello di impedire alle persone di pensare. Usando un vocabolario estremamente ridotto, ogni parola è carica di significato, un significato ben preciso però, che non lascia spazio a dubbi o doppi sensi. Si può quindi dire che, mentre uno è un linguaggio dei giovani e dei ribelli, colorato, impreciso e poco chiaro, l’altro è la lingua del governo e del potere. Mentre uno è il linguaggio sovversivo, anti-dittatoriale, l’altro è la lingua della dittatura. Per capire il perché di queste differenze bisogna forse pensare ai due autori e al loro rapporto con lo stato e con le dittature.
Orwell si definiva “socialista democratico”. Rimasto deluso dalle contraddizioni del comunismo di Stalin, in 1984 mostra quanto di sbagliato c’è in un regime totalitario, sia esso di destra o di sinistra, portando alle estreme conseguenze la realtà dittatoriale.
In Burgess, invece, la critica ai regimi totalitari è molto più sottile. Non è solo un attacco al socialismo, come spesso è stato interpretato, anche per via dei numerosi riferimenti al governo e allo stato, ma anche, e forse soprattutto, una critica alle democrazie in generale, per esempio alla Gran Bretagna. Burgess, infatti, ipotizza che anche in uno stato che si definisce libero e democratico come il Regno Unito possa verificarsi una situazione in cui lo stato decida di avviare un programma di terapie dell’avversione per criminali, nel tentativo di eliminare ogni tipo di violenza e criminalità, e di poter reinserire gli ex detenuti nella società senza alcun timore. Anche se non si è mai schierato apertamente né da una né dall’altra parte, Burgess lascia intendere che, per lui, anche le democrazie possono rivelarsi dei regimi totalitari.

[…] I thought hard about the book and decided that its story properly belonged to the future, in which it was conceivable that even the easygoing British state might employ aversion therapy to cure the growing disease of youthful aggression.
(Burgess 1987 1)

7. Riflessioni generali
Sarebbe importante riuscire a capire fino a che punto Burgess conoscesse il russo, ma come ho già detto, non sono riuscita a stabilirlo con esattezza.
È probabile che non avesse molte difficoltà a studiare le lingue: negli anni in cui lavorò in Malesia dovette superare una prova in malese per potere insegnare. Testimonianze dei suoi colleghi in Malesia riportano che riuscì in poco tempo a imparare la lingua e a padroneggiarla, al punto da poterla usare in giochi di parole nei suoi romanzi della Trilogia malese. Lo stesso Burgess sosteneva che per imparare una lingua bastasse avere una buona memoria e un buon orecchio, per ricordare i suoni e le strutture sintattiche (Biswell 2005 166).
Dopo essersi recato in Unione Sovietica affermò di aver voluto intraprendere quel viaggio anche per una questione linguistica, per poter ascoltare il russo parlato dai madrelingua, per poter praticare ciò che aveva imparato, e per completare e mettere a punto il dizionario che aveva già iniziato e che gli sarebbe servito per la revisione finale di A Clockwork Orange (Biswell 2005 238).
Può darsi che Burgess abbia chiesto consiglio a un madrelingua, o a qualcuno che sapeva bene il russo per scegliere quali vocaboli usare. Tuttavia, anche se alcune delle parole russe che ha scelto non sono solitamente le prime che una persona impara appena inizia a studiare russo (надменный [arrogante], мёрзкий [abominevole]), potrebbe di certo averle cercate in un dizionario. Questo quindi vorrebbe dire che il libro è stato prima di tutto pensato e scritto in inglese, con slang e influenze di altre lingue, e in un secondo momento alcune delle parole inglesi sono state sostituite da quelle russe, dopo una ricerca in un dizionario. Questo tipo di lavoro non richiede una conoscenza approfondita della lingua. A favore di questa tesi si aggiunge il fatto che la struttura e i modi di dire che ha usato sono comunque inglesi («[…] I gave them a like cold glazzy [eye].» (Burgess 2011 33; corsivo aggiunto); «[…] He had gotten me interessovatted [interested] now […]» (Burgess 2011 37; corsivo aggiunto); «[…] we went […] to watch through the window what was ittying [going] on.» (Burgess 2011 43; corsivo aggiunto); «[…] and spoon after spoon after spoon of sugar, me having a sladky [sweet] tooth, […]» (Burgess 2011 31; corsivo aggiunto)).
D’altro canto, però, pare che Burgess abbia letto e imparato a memoria parte della poesia Evgenij Onegin del poeta Puškin in lingua originale prima ancora di andare a Leningrado, e che si fosse cimentato in traduzioni della stessa, per poi confrontarle con quelle di Vladimir Nabokov (Burgess 1965 74).
Sempre restando in tema di traduzioni, nel 1985 tradusse e adattò la commedia teatrale di Alexandr Griboedov Gore ot uma con il titolo Chatsky (The Importance of Being Stupid) (Biswell 2005 387). Un lavoro simile richiede senz’altro determinate conoscenze linguistiche: Burgess le aveva perché erano passati più di vent’anni da A Clockwork Orange e aveva perfezionato la lingua, o perché le aveva già nel 1961?
In preparazione al viaggio a Leningrado lesse anche la traduzione inglese di Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij. Forse si ispirò proprio a questo romanzo quando decise di scrivere A Clockwork Orange. Quest’ultimo, infatti, può essere scomposto in due parti: la prima riguarda i crimini di Alex e la sua banda, quindi il “delitto”, la seconda, invece, che ci mostra come Alex viene messo in carcere e successivamente sottoposto a una terapia (la cura Ludovico) per essere “guarito” dal suo carattere violento, è appunto il “castigo” (Biswell 2005: 238).
Un’altra considerazione che ritengo sia giusto fare riguarda un ristretto gruppo di parole:
“cal”, che deriva dal sostantivo russo кал [kal], che significa “fèci”;
“groodies” che deriva probabilmente dal sostantivo russo грудь [grud’], che significa “seno”;
“sherries” che deriva probabilmente dal sostantivo russo шары [šary], che significa “sfere”;
“yahma” che deriva probabilmente dal sostantivo russo яма [âma], che significa “buca”;
“bratchnies” che deriva probabilmente dall’aggettivo russo внебрачный [vnebračnyj], che significa “extramatrimoniale”.
Queste sono tutte parole standard usate impropriamente al posto di termini volgari e offensivi. “внебрачный”, ad esempio, significa “nato fuori dal matrimonio”, e in russo non è un insulto. Viene però usato da Alex come insulto nei confronti dei poliziotti: «Bog murder you, you vonny stinking bratchnies.» (Burgess 2011 49; corsivo aggiunto), che poche righe sopra chiama “bastards”.
“cal” [feci], ripetuto moltissime volte da Alex, non corrisponde al linguaggio che ci si aspetterebbe da un delinquente quindicenne quando dice: «And all that cal.» (Burgess 2011 141; corsivo aggiunto). Esiste senz’altro una parola di registro più colloquiale, più adatta alla situazione.
Lo stesso vale per “groodies” [seno], quando, appena prima di stuprare una donna, Alex commenta: «[…] a young pretty bit of sharp with real horrorshow groodies on her […]» (Burgess 2011 18; corsivo aggiunto).
Probabilmente Burgess pensava a “kiss my ass” quando ha deciso di scrivere «kiss-my-sharries» (Burgess 2011 12; corsivo aggiunto), dove “sharries”, che significa “sfere”, in russo non ha doppi sensi e non è mai usato in senso anatomico. Questa parola ricorda tra l’altro “cherries”, cosa che forse rende quest’espressione ancor più carica di senso.
Infine, dopo aver aggredito un signore che aveva libri e lettere in mano, Alex ci descrive come uno dei suoi droogs afferri una lettera e imiti una persona sul water: «Then he let out a very shoomny smeck […] pretending to start wiping his yahma with [the letter].» (Burgess 2011 8; corsivo aggiunto). Anche in russo, come in inglese, esiste un’espressione gergale per indicare l’azione compiuta da Dim, espressione di cui senza dubbio si servirebbe un ragazzo come Alex in questa situazione: è difficile immaginare un gruppo di teppisti sotto l’effetto di stupefacenti che, dopo aver violentemente picchiato un uomo, dicono “pulirsi la buca”. Fa parte anche questo del repertorio infantile di Alex, o l’autore ha visto un doppio senso dove non c’era? Oppure, nel mondo di A Clockwork Orange, “yahma” ha proprio questo doppio senso: nel momento in cui una parola viene usata in un certo modo assume un significato che originariamente non aveva.
Questi esempi rafforzano l’ipotesi che Burgess non abbia fatto altro se non prendere un dizionario, cercare le parole che gli servivano, facendosi guidare anche dal suono, e prendere per buono il primo traducente che trovava, non sapendo il russo e non capendo gli esempi sul dizionario. Altrimenti perché usare queste parole che nel contesto risultano fuori luogo?
Di certo non per evitare di scandalizzare il lettore, che capisce in ogni caso quello che Alex fa, e comunque, come ho già detto, il solo uso del russo avrebbe mascherato qualsiasi concetto censurabile, quindi l’autore, volendo, avrebbe potuto sbizzarrirsi come meglio credeva, così come aveva già fatto nella Trilogia malese, dove attribuì nomi di registro gergale e offensivi “cifrati” (ad esempio in malese) a persone e luoghi. È infatti risaputo che Burgess, in barba al “comune senso di pudore”, si divertiva a far imprecare i personaggi dei suoi romanzi in modi più o meno riconoscibili (Biswell 2005 194).
Un altro esempio mostra chiaramente come Burgess non avesse paura di usare parolacce: «“Crash your dermott, yid,” meaning to shut up, but it was very insulting.» (Burgess 2011 66; corsivo aggiunto). “dermott” deriva probabilmente dal sostantivo russo дерьмо [der’mo] che significa “feci, merda”. Questa parola può avere anche un senso gergale ed essere usata come insulto. Perché qui ha usato “dermott”, mentre nel resto del romanzo ha usato “cal”? Forse perché credeva che fossero sinonimi intercambiabili.
I due esempi che seguono saltano all’occhio perché sembrano errori grossolani: «You filthy old soomka […]» (Burgess 2011 48; corsivo aggiunto); «And then the disc on the stereo twanged off and out (it was Johnny Zhivago, a Russky koshka, singing […]» (Burgess 2011 22; corsivo aggiunto). “soomka” deriva probabilmente dal sostantivo russo сумка [sumka], che significa “borsa”. A differenza dell’inglese “old bag”, che può significare “vecchia befana”, in russo сумка non ha questo significato. Allo stesso modo, “koshka”, che deriva dal sostantivo russo кошка [koška] e significa “gatta”, non può voler dire “tipo” (“a Russky type”), significato che può invece avere l’inglese “cat”.
Da questi esempi molto significativi sorge un’ulteriore domanda: è davvero possibile che Burgess, pur non sapendo il russo, abbia commesso questi errori senza accorgersene? Come può non aver pensato che “bag” inteso come “befana” e “cat” inteso come “tipo” fanno parte dello slang inglese, e che quindi avrebbe dovuto fare più attenzione nella sua ricerca? Non può essere invece che, facendo spesso vari tipi di “giochetti linguistici” per prendere in giro il lettore, abbia sbagliato di proposito, e che, consapevole del fatto che “сумка” vuol dire “borsa” e che “кошка” significa “gatta”, abbia scelto di usare lo stesso queste parole? Magari pensava che il lettore inglese non lo avrebbe capito, oppure non gli importava. Oppure il suo lettore modello sa il russo e l’inglese ed è in grado di ricostruire questo gioco complesso.
Una cosa è certa secondo me: il nadsat non è stato pensato anticipatamente, elaborato con cura, e non si basa su regole grammaticali definite. Penso che sia il risultato di un lavoro di genio, ma che rimane comunque un lavoro poco accurato. Che questa poca accuratezza fosse voluta o meno, rimane da decidere. Forse era voluta, o forse no. Magari per mancanza di tempo o di voglia Burgess ha deciso di lasciare le cose così come gli erano venute. Credo sia evidente, comunque, che non si sia preoccupato di risultare preciso, anche perché forse il romanzo ne avrebbe risentito: meglio lasciare il “lampo di genio” e non un linguaggio troppo artificioso e costruito.

8. Conclusioni
A una prima lettura A Clockwork Orange sembra un romanzo caratterizzato da un linguaggio molto strano. Forse non ci si rende immediatamente conto che molte parole sono straniere, anzi, la maggior parte delle parole nadsat assomiglia, o è addirittura uguale, a parole inglesi, come si può vedere dagli esempi nel capitolo 4.2. Si potrebbe pensare, quindi, che siano parole che non conosciamo, magari di uno slang della Gran Bretagna che non abbiamo mai sentito, e il fatto che ci siano davvero parole Cockney aumenta quest’impressione. Oppure ci sembra di riconoscere parole inglesi, ma ci sorge qualche dubbio perché sono inserite in un contesto insolito, quindi si potrebbe pensare che siano davvero parole inglesi ma che in quel caso abbiano un significato che non sapevamo avessero (e che magari non ci preoccupiamo di andare a controllare in un dizionario, dal momento che possiamo intuirlo dal contesto).
Che cosa ne pensa invece un lettore inglese non slavista? In alcuni casi vengono usate espressioni di inglese arcaico: «[…] What dost thou in mind for thy little droog have?» (Burgess 2011 120), quindi potrebbe pensare che alcune di queste parole siano arcaiche. In altri casi, invece, potrebbe intuire che si tratta di parole straniere, anche se magari non sa che sono russe.
Sono solo alcune, infatti, le parole che suonano davvero straniere: per chi ha almeno qualche base di russo non dovrebbe essere difficile riconoscere la parola di provenienza, ma anche chi non lo conosce affatto si dovrebbe rendere conto che alcune parole hanno un suono slavo.
In conclusione ipotizzerei che è molto probabile che un lettore non slavista di madrelingua diversa dall’inglese non si accorga che nel romanzo molte parole provengono dal russo, o che addirittura non si renda conto che non sono inglesi. Per quanto riguarda le parole che di certo non sembrano inglesi, molto probabilmente il lettore penserà che sono inventate, anche perché alcune sono veramente inventate, o modificate al punto tale da sembrarlo.
9. Appendici
9.1 Glossario nadsat
Occorrenza nel romanzo
Parola russa
Significato della parola russa
Stringa di testo
baboochkas
бабушка
[babuška]
nonna
«[…] in the snug there were three or four baboochkas peeting their black and suds on SA (State Aid).» (Burgess 2011 8)
bandas
банда
[banda]
banda
«[…] or for that matter any of the other bandas or gruppas or shaikas that from time to time were at war with one.» (Burgess 2011 25)
bezoomny
безумный
[bezumnyj]
stupido
«[…] I eased up and put the brake on, the other three giggling like bezoomny, […]» (Burgess 2011 17)
Biblio
библиотека
[biblioteca]
biblioteca
«He had books under his arm […] and was coming round the corner from the Public Biblio, […]» (Burgess 2011 6)
bitva
битва
[bitva]
battaglia
«They looked like they had been in some big bitva, as indeed they had, […]» (Burgess 2011 36)
Bog
Бог
[Bog]
Dio
«[…] veshches which would give you a nice quiet horrorshow fifteen minutes admiring Bog And All His Holy Angels and Saints […]» (Burgess 2011 3)
bolnoy
больной
[bol’noj]
malato
«So I was put into the bed and still felt bolnoy but could not sleep, […]» (Burgess 2011 80)
bolshy
большой
[bol’šoj]
grande
«[…] great bolshy yarblockos to you.» (Burgess 2011 23)
bootick
бутик
[butik]
negozio
«[…] I thought here at least was time to itty off to the disc-bootick […]» (Burgess 2011 33)
brat/bratty
брать
[brat’]
fratello
«Not right it wasn’t to get on to me like the way you done, brat.» (Burgess 2011 49)
bratchnies
внебрачный
[vnebračnyj]
bastardo
«Bog murder you, you vonny stinking bratchnies.» (Burgess 2011 49)
britva
бритва
[britva]
rasoio
«[…] this would be the nozh, the oozy, the britva, not just fisties and boots.» (Burgess 2011 13)
brooko
брюхо
[brûho]
pancia
«I’m not going to crawl around on my brooko any more, […]» (Burgess 2011 53)
brosatted
бросать
[brosat’]
lasciare
«And you will hardly believe […] that on this Sunday they brosatted in another plenny.» (Burgess 2011 64)
bugatty
богатый
[bogatyj]
ricco
«I gave them […] the lot, right up to this night’s veshch with the bugatty starry ptitsa […]» (Burgess 2011 54)
cal
кал
[kal]
fèci
«[…] his platties were a disgrace, all creased and untidy and covered in cal and mud and filth […]» (Burgess 2011 12)
cantora
контора
[kontora]
ufficio
«They dragged me to this very bright-lit whitewashed cantora, […]» (Burgess 2011 51)
carmans
карман
[karman]
tasca
«[…] and we were going out without one cent of cutter in our carmans.» (Burgess 2011 9)
chai
чай
[čaj]

«A cup of the old chai, sir? Tea, I mean.» (Burgess 2011 29)
chasha
чаша
[čaša]
tazza
«[…] slurping away at the old chai, cup after tass after chasha, […]» (Burgess 2011 32)
chasso
часовой
[časovoj]
guardia
«Pete keeping chasso without, not that there was anything to worry about out there.» (Burgess 2011 10)
cheenas
женщина
[ženŝina]
donna
«It was nadsats milking […] around, […] but there were a few of the more starry ones, vecks and cheenas alike […]» (Burgess 2011 22)
cheest
чистить
[čistit’]
pulire
«[…] soaking out tashtooks in spit to cheest the dirt off.» (Burgess 2011 11)
chelloveck
человек
[čelovek]
persona
«The chelloveck sitting next to me […]» (Burgess 2011 4)
chepooka
чепуха
[čepuha]
sciocchezza
«[…] with “My dearest dearest” in them and all that chepooka, […]» (Burgess 2011 8)
choodessny
чудесный
[čudesnyj]
meraviglioso, portentoso
«[…] had to submit to the strange and weird desires of Alexander the Large which […] were choodessny and zammechat […]» (Burgess 2011 36)
cluve
клюв
[klûv]
becco
«And he launched a bolshy tolchock right on my cluve, so that all red red nose-krovvy started to drip […]» (Burgess 2011 111)
collocoll
колокол
[kolokol]
campana
«[…] so we rang the collocoll and brought a different waiter in this time […]» (Burgess 2011 11)
crarking
кряхтеть
[krâhtet’]
gemere
«Now as I got up from the floor among all the crarking kots and koshkas […]» (Burgess 2011 48)
crasting
красть
[krast’]
rubare
«Our pockets were full of deng, so there was no real need from the point of view of crasting any more pretty polly […]» (Burgess 2011 3)
creech/
screech
кричать
[kričat’]
gridare
«The starry prof type began to creech […]» (Burgess 2011 7)
damas
дама
[dama]
dama, signora
«[…] and old ptitsas who were widows and deaf starry damas with cats […]» (Burgess 2011 43)
ded
дед
[ded]
vecchio
«[…] it reminded me of that time of the tolchocking and Sheer Vandalism with that ded coming from the public biblio […]» (Burgess 2011 58)
deng
деньги
[den’gi]
soldi
«Our pockets were full of deng […]» (Burgess 2011 3)
dermott
дерьмо
[der’mo]
merda
«“Crash your dermott, yid,” meaning to shut up, but it was very insulting.» (Burgess 2011 66)
devotchkas
девочка
[devočka]
ragazza
«There were three devotchkas sitting at the counter all together […]» (Burgess 2011 4)
dobby
добрый
[dobryj]
buono
«Makes you feel real dobby, that does.» (Burgess 2011 9)
domy
дом
[dom]
casa
«[…] Sit”, he said, “sit, sit,” as though this was his domy and me his guest.» (Burgess 2011 29)
dorogoy
дорогой
[dorogoj]
caro,costoso
«[…] vases and ornaments that looked starry and dorogoy.» (Burgess 2011 44)
dratsing
драться
[drat’sâ]
picchiarsi
«Then in the dratsing this droog of Billyboy’s suddendly found himself all opened up like a peapod, […]» (Burgess 2011 14)
droogs
друг
[drug]
amici
«There was me, that is Alex, and my three droogs, that is Pete, Georgie, and Dim, […]» (Burgess 2011 3)
eegra
игра
[igra]
gioco
«I didn’t like this crack crack eegra, so I grasped hold of one end of her stick as it came down again […]» (Burgess 2011 47)
eemya
имя
[imâ]
nome
«[…] looking for A Clockwork Orange, which would be bound to have his eemya in, he being the author.» (Burgess 2011 117)
forella
форель
[forel’]
trota
«[…] and there was this nasty vindictive starry forella with her wattles ashake and grunting as she like tried to lever herself up from the floor, […]» (Burgess 2011 47)
gazetta
газета
[gazeta]
giornale
«[…] make toast for myself and slooshy the radio or read the gazetta, all on my oddy knocky.» (Burgess 2011 27)
glazzies
глаза
[glaza]
occhi
«These sharps were dressed […] with purple and green and orange wigs on their gullivers, […] and make-up to match (rainbows round the glazzies, that is, […])» (Burgess 2011 4)
gloopy
глупый
[glupyj]
stupido
«[…] Dim the dim didn’t quite pony all that, but he said nothing for fear of being called gloopy and a domeless wonderboy.» (Burgess 2011 9)
goloss
голос
[golos]
voce
«The stereo was on and you got the idea that the singer’s goloss was moving from one part of the bar to another, […]» (Burgess 2011 5)
goobers
губа
[guba]
labbro
«The old veck began to make sort of chumbling shooms […] so Georgie let go of holding his goobers apart and just let him have one in the toothless rot with his ringy fist, […]» (Burgess 2011 7)
goolied
гулять
[gulât’]
camminare
«So we goolied up to him, very polite, and I said: “Pardon me, brother.”» (Burgess 2011 6)
gorloes
горло
[gorlo]
gola
«[…] they’d all be back now […] forcing black and suds and double Scotchmen down the unprotesting gorloes of those stinking starry ptitsas […]» (Burgess 2011 50)
govoreeting
говорить
[govorit’]
parlare
«[…] vecks and cheenas alike […] laughing and govoreeting at the bar.» (Burgess 2011 22)
grahzny
грязный
[grâznyj]
sporco
«So down I ittied […] admiring in the stairwell grahzny pictures of old time […]» (Burgess 2011 46)
grazzy
грязный
[grâznyj]
sporco
«When he came, all nervous and rubbing his rookers on his grazzy apron, we ordered us four veterans […]» (Burgess 2011 9)
gromky
громкий
[gromkij]
forte, rumoroso
«As I stepped back from the kick I must have like trod on the tail of one of these dratsing creeching pusspots, because I slooshied a gromky yauuuuuuuuw […]» (Burgess 2011 48)
groody
грудь
[grud’]
seno
«Then they had long black very straight dresses, and on the groody part of them they had little badges of like silver with different malchicks’ names on them […]» (Burgess 2011 4)
gruppas
группа
[gruppa]
gruppo
«[…] or for that matter any of the other bandas or gruppas or shaikas that from time to time were at war with one.» (Burgess 2011 25)
gullivers
голова
[golova]
testa
«These sharps were dressed in the height of fashion too, with purple and green and orange wigs on their gullivers […]» (Burgess 2011 4)
hen-korm
кормить
[kormit’]
nutrire
«[…] there was only a malenky bit of cutter […] so we gave all his messy little coin the scatter treatment, it being hen-korm to the amount of pretty polly we had on us already.» (Burgess 2011 8)
horrorshow
хорошо
[horošo]
buono, bello
«[…] one or two other veshches which would give you a nice quiet horrorshow fifteen minutes admiring Bog […]» (Burgess 2011 3)
interessovatted
интересовать
[interesovat’]
interessare
«He had gotten me interessovatted now […]» (Burgess 2011 37)
itty
идти
[idti]
andare
«And in the afterlunch I might perhaps […] itty off to the old skolliwoll […]» (Burgess 2011 27)
jeezny
жизнь
[žizn’]
vita
«Dim can’t go on all his jeezny being as a little child.» (Burgess 2011 23)
kartoffel
картофель
[kartofel’]
patata
«[…] we had these off-white cravats which looked like whipped-up kartoffel or spud […]» (Burgess 2011 4)
keeshkas
кишка
[kiška]
budella
«He was creeching out loud […], only the odd blurp blurp coming from his keeshkas, […]» (Burgess 2011 12)
kleb
хлеб
[hleb]
pane
«[…] Georgie with like a cold leg of something in one rooker and half a loaf of kleb […] in the other, […]» (Burgess 2011 19)
klootch
ключ
[klûč]
chiave
«I opened the door of 10-8 with my own little klootch, […]» (Burgess 2011 25)
knopka
кнопка
[knopka]
bottone
«I went to the lift, but there was no need to press the electric knopka to see if it was working or not, […]» (Burgess 2011 25)
kopat
копать
[kopat’]
scavare
«I didn’t so much kopat the later part of the book, which is more like all preachy govoreeting than fighting and the old in-out.» (Burgess 2011 60)
Korova
корова
[korova]
mucca
«There was me, that is Alex, and my three droogs […] and we sat in the Korova Milkbar […]» (Burgess 2011 3)
koshka
кошка
[koška]
gatta
«[…] it was Johnny Zhivago, a Russky koshka, singing […]» (Burgess 2011 22)
kots
кот
[kot]
gatto
«[…] [she] was pouring the old moloko from a milk-bottle into saucers and then setting these saucers down on the floor, so you could tell there were plenty of mewing kots and koshkas […]» (Burgess 2011 44)
krovy
кровь
[krov’]
sangue
«Dim looked very surprised, his rot open, wiping the krovvy off of his goober with his rook and in turn looking surprised at the red flowing krovvy and at me.» (Burgess 2011 22)
kupetting
купить
[kupit’]
comprare
«[…] because it would be just a matter of kupetting Dim a demi-litre of white but this time with a dollop of synthemesc in it, […]» (Burgess 2011 4)
lapa
лапа
[lapa]
zampa
«Now all the cats were getting spoogy and running and jumping in a like cat-panic, and some were blaming each other, hitting out cat-tolchocks with the old lapa […]» (Burgess 2011 47)
lewdies
люди
[lûdi]
persone
«[…] [he] was coming round the corner from the Public Biblio, which not many lewdies used those days.» (Burgess 2011 6)
litso
лицо
[lico]
viso
«[…] Dim had a very hound-and-horny one of a clown’s litso (face, that is).» (Burgess 2011 4)
lomtick
ломтик
[lomtik]
fettina
«[…] as soon as he’d slooshied this dollop of song like a lomtick of redhot meat plonked on your plate, […]» (Burgess 2011 22)
loveted
ловить
[lovit’]
catturare
«All right, I do bad […] and if I get loveted, well, too bad for me, […]» (Burgess 2011 31)
lubbilubbing
любить
[lûbit’]
amare
«Then we saw one young malchick with his sharp, lubbilubbing under a tree, […]» (Burgess 2011 16)
Luna
луна
[luna]
luna
«So there we were dratsing away in the dark, the old Luna with men on it just coming up, the stars stabbing away as it might be knives […]» (Burgess 2011 14)
malchicks
мальчик
[mal’čik]
ragazzo
«[…] they had little badges of like silver with different malchicks’ names on them – Joe and Mike and suchlike.» (Burgess 2011 4)
malenky
маленький
[malen’kij]
piccolo
«He looked a malenky bit poogly when he viddied the four of us […]» (Burgess 2011 6)
maslo
масло
[maslo]
burro
«[…] Georgie with like a cold leg of something in one rooker and half a loaf of kleb with a big dollop of maslo on it in the other, […]» (Burgess 2011 19)
merzky
мёрзкий
[mërzkij]
abominevole
«I’m not going to crawl around on my brooko any more, you merzky gets.» (Burgess 2011 53)
messel
мысль
[mysl’]
pensiero, idea
«You’d lay there after you’d drunk the old moloko and then you got the messel that everything all round you was sort of in the past.» (Burgess 2011 5)
mesto
место
[mesto]
posto
«The Korova Milkbar was a milk-plus mesto, and you may, O my brothers, have forgotten what these mestos were like, […]» (Burgess 2011 3)
millicents
милиция
[miliciâ]
polizia
«[…] the whole district had been very quiet on the whole, so the armed millicents or rozz patrols weren’t round there much, […]» (Burgess 2011 9)
minoota
минута
[minuta]
minuto
«Then we said: “Back in a minoota,” […]» (Burgess 2011 9)
molodoy
молодой
[molodoj]
giovane
«And now, with the nochy still molodoy, let us be on our way, O my brothers.» (Burgess 2011 16)
moloko
молоко
[moloko]
latte
«[…] some of the new veshches which they used to put into the old moloko, […]» (Burgess 2011 3)
moodge
муж
[muž]
uomo
«I could never stand to see a moodge all filthy and rolling and burping and drunk, […]» (Burgess 2011 12)
morder
морда
[morda]
grugno, muso
«[…] I got new vons, sniffing away there with my like very sensitive morder or sniffer.» (Burgess 2011 72)
mozg
мозг
[mozg]
cervello
«[…] one or two other veshches which would give you a nice quiet horrorshow fifteen minutes admiring Bog And All His Holy Angels and Saints in your left shoe with lights bursting all over your mozg.» (Burgess 2011 3)
nachinatted
начинать
[načinat’]
iniziare
«[…] for he was such a nasty quarrelsome type of plenny […] that trouble nachinatted that very same day.» (Burgess 2011 64)
nadmenny
надменный
[nadmennyj]
arrogante
«It opened with German eagles and the Nazi flag […] and then there were very haughty and nadmenny like German officers […]» (Burgess 2011 84)
nadsats
надцать
[nadcat’]
adolescenti
«It was nadsats milking and coking and fillying around (nadsats were what we used to call the teens), […]» (Burgess 2011 22)
nagoy
нагой
[nagoj]
nudo
«[…] some of the malchicks living in 18A had […] [added] hair and stiff rods and dirty ballooning slovos out of the dignified rots of these nagoy (bare, that is) cheenas and vecks.» (Burgess 2011 25)
neezhnies
нижний
[nižnij]
intimo
«And too I saw just by 18A a pair of devotchka’s neezhnies doubtless rudely wrenched off in the heat of the moment, O my brothers.» (Burgess 2011 25)
nochy
ночь
[noč’]
notte
«So we scatted out into the big winter nochy and walked down Marghanita Boulevard […]» (Burgess 2011 6)
noga
нога
[noga]
piede
«Then I made with the noga, and we backed out lovely, and nobody viddied us take off.» (Burgess 2011 16)
nozh
нож
[nož]
coltello
«This would be real, this would be proper, this would be the nozh, the oozy, the britva, not just fisties and boots.» (Burgess 2011 13)
oddy knocky
одинокий
[odinokij]
solo
«[…] make toast for myself and slooshy the radio or read the gazetta, all on my oddy knocky.» (Burgess 2011 27)
odin dva tree
один два три
[odin dva tri]
uno due tre
«But then I counted odin dva tree and went ak ak ak with the britva, […]» (Burgess 2011 41)
okno
окно
[okno]
finestra
«[…] old Dim chaining the okno till the glass cracked and sparkled in the winter air, […]» (Burgess 2011 21)
oobivat
убивать
[ubivat’]
uccidere
«[…] all these cell-droogs of mine were very shoomny with tales of what I’d done to oobivat this worthless pervert whose krovvy-coverd plott lay sacklike on the floor.» (Burgess 2011 68)
ookadeeted
уходить
[uhodit’]
andarsene, uscire
«But when he’d ookadeeted and I was making this very strong pot of chai, I grinned to myself over this veshch that P. R. Deltoid and his droogs worried about.» (Burgess 2011 31)
ooko
ухо
[uho]
orecchio
«[…] I cracked this veck who was sitting next to me and well away and burbling a horrorshow crack on the ooko or earhole, […]» (Burgess 2011 5)
oomny
умный
[umnyj]
intelligente
«But when we got into the street I viddied that thinking is for the gloopy ones and that the oomny ones use like inspiration and what Bog sends.» (Burgess 2011 40)
oozhassny
ужасный
[užasnyj]
terrificante
«There were real oozhassny animal type vecks among them, […]» (Burgess 2011 54)
oozy
узы
[uzy]
catene
«[…] this would be the nozh, the oozy, the britva, not just fisties and boots.» (Burgess 2011 13)
osooshing
осушить
[osušit’]
prosciugare
«Dim was osooshing the last of the krovvy off.» (Burgess 2011 24)
otchkies
очки
[očki]
occhiali
«[…] with her was this chelloveck who was her moodge, youngish too with horn-rimmed otchkies on him, […]» (Burgess 2011 18)
peet
пить
[pit’]
bere
«Or you could peet milk with knives in it, as we used to say, and this would sharpen you up […]» (Burgess 2011 3)
pishcha
пища
[piŝa]
cibo
«So they put down their fatty pishcha on the table among all the flying paper […]» (Burgess 2011 19)
platch
плач
[plač]
pianto
«They went haw haw haw, viddying old Dim dancing round and fisting the writer veck so that the writer veck started to platch like his life’s work was ruined, going boo hoo hoo […]» (Burgess 2011 19)
platties
платье
[plat’e]
vestito
«So all we did then was to pull his outer platties off, stripping him down to his vest and long underpants […]» (Burgess 2011 7)
plennies
пленный
[plennyj]
prigioniero
«You could hear some of the plennies in their cells cursing and singing […]» (Burgess 2011 51)
plesk
плеск
[plesk]
gorgoglio
«The point was whether to leave the auto to be sobiratted by the rozzes or […] to give it a fair tolchock into the starry waters for a nice heavy loud plesk before the death of the evening.» (Burgess 2011 20)
pletchoes
плечо
[plečo]
spalle
«Then we wore waisty jackets without lapels but with these very big built-up shoulders (“pletchoes” we called them) […]» (Burgess 2011 4)
ploshed
площадь
[ploŝad’]
piazza, area
«They saw themselves, you could see, as real grown-up devotchkas already, what with […] padded groodies and red all ploshed on their goobers.» (Burgess 2011 33)
plott
плоть
[plot’]
carne, corpo
«With my britva I managed to slit right down the front of one of Billyboy’s droog’s platties, very very neat and not even touching the plott under the cloth.» (Burgess 2011 14)
podooshka
подушка
[poduška]
cuscino
«But for the present, little droog, get your bleeding gulliver down on your straw-filled podooshka and let’s have no more trouble from anyone.» (Burgess 2011 66)
pol
пол
[pol]
sesso
«They kept looking our way and I nearly felt like saying the three of us […] should go off for a bit of pol […]» (Burgess 2011 4)
polezny
полезный
[poleznyj]
utile
«I would perform the old ultra-violence on the starry ptitsa and on her pusspots if need be, then I would take fair rookerfuls of what looked like real polezny stuff and go waltzing to the front door […]» (Burgess 2011 46)
pony
понять
[ponât’]
capire
«You could viddy that poor old Dim the dim didn’t quite pony all that, but he said nothing for fear of being called gloopy and a domeless wonderboy.» (Burgess 2011 9)
poogly
пугливый
[puglivyj]
pauroso
«[…] “Yes? What is it?” in a very loud teacher-type goloss, as if he was trying to show us he wasn’t poogly.» (Burgess 2011 6)
pooshka
пущка
[puŝka]
cannone
«As soon as we launched on the shop we went for Slouse who ran it, […] who viddied at once what was coming and made straight for the inside where the telephone was and perhaps his well-oiled pooshka, complete with six rounds.» (Burgess 2011 10)
prestoopnicks
преступник
[prestupnik]
criminale
«Then there was being remanded in filthy custody among vonny perverts and prestoopnicks.» (Burgess 2011 57)
privodeeted
приводить
[privodit’]
condurre
«When I’d finished my rabbit with the stereo he just govoreeted a few slovos of thanks and then I was privodeeted back to the cell on Tier 6 […]» (Burgess 2011 63)
prodding
продавать
[prodavat’]
vendere
«They had no licence for selling liquor, but there was no law yet against prodding some of the new veshches which they used to put into the old moloko, […]» (Burgess 2011 3)
ptitsa
птица
[ptica]
uccello
«[…] there was no real need […] to do the ultra-violent on some shivering starry grey-haired ptitsa in a shop […]» (Burgess 2011 3)
pyahnitsa
пьяный
[p’ânyj]
ubriaco
«When we got outside of the Duke of New York we viddied by the main bar’s long lighted window, a burbling old pyahnitsa or drunkie, […]» (Burgess 2011 12)
rabbited
работать
[rabotat’]
lavorare
«I heard my papapa grumbling and trampling and then ittying off to the dyeworks where he rabbited, […]» (Burgess 2011 28)
radosty
радость
[radost’]
felicità
«More, badness is of the self, the one, the you or me on our oddy knockies, and that self is made by old Bog or God and is his great pride and radosty.» (Burgess 2011 31)
raskazz
рассказ
[rasskaz]
racconto
«You will have little desire to slooshy all the cally and horrible raskazz of the shock that sent my dad beating his bruised and krovvy rockers against unfair like Bog in his Heaven, […]» (Burgess 2011 57)
rassoodocks
рассудок
[rassudok]
ragione, mente
«[…] we sat in the Korova Milkbar making up our rassoodocks what to do with the evening, […]» (Burgess 2011 3)
razdraz
раздражать
[razdražat’]
irritare, far arrabbiare
«[…] and then he got very very razdraz, waving and screaming and losing his guard […]» (Burgess 2011 14)
razrez
разрез
[razrez]
taglio, spaccatura
«This crystal book I had was very tough-bound and hard to razrez to bits […]» (Burgess 2011 7)
razzes
раз
[raz]
volta
«When I’d gone erk erk a couple of razzes on my full innocent stomach, I started to get out day platties from my wardrobe, […]» (Burgess 2011 32)
rooker/rockers
рука
[ruka]
mano
«Pete had a rooker (a hand, that is), Georgie had a very fancy one of a flower, […]» (Burgess 2011 4)
rot
рот
[rot]
bocca
«These sharps were dressed […] with purple and green and orange wigs on their gullivers, […] and make-up to match (rainbows round the glazzies, that is, and the rot painted very wide).» (Burgess 2011 4)
Russky
русский
[russkij]
russo
«And then the disc in the stereo twanged off and out (it was Johnny Zhivago, a Russky koshka, singing […]» (Burgess 2011 22)
sabog
сапог
[sapog]
stivale
«[…] he stabbed this veck’s foot with his own large filthy sabog.» (Burgess 2011 22)
sakar
сахар
[sahar]
zucchero
«[…] I was brought some nice hot chai with plenty of moloko and sakar […]» (Burgess 2011 80)
sammy
самый
[samyj]
stesso
«The next thing was to do the sammy act, which was one way to unload some of our cutter […]» (Burgess 2011 8)
scooped
скупать
[skupat’]
accaparrarsi
«And he scooped this ill-gotten pretty into his trouser carmans, […]» (Burgess 2011 38)
scoteenas
скот
[skot]
bestia
«And we could viddy one or two [cats], great fat scoteenas, jumping up on to the table with their rots open going mare mare mare.» (Burgess 2011 44)
shaikas
шайка
[šajka]
banda
«[…] or for that matter any of the other bandas or gruppas or shaikas that from time to time were at war with one.» (Burgess 2011 25)
sharries
шары
[šary]
sfere
«Everything as easy as kiss-my-sharries.» (Burgess 2011 12)
shest
шест
[šest]
asta
«I wanted like a big feast of it before getting my passport stamped, my brothers, at sleep’s frontier and the stripy shest lifted to let me through.» (Burgess 2011 25)
shilarny
желание
[želanie]
desiderio
«If you need pretty polly you take it. Yes? Why this sudden shilarny for being the big bloated capitalist?» (Burgess 2011 40)
shiyah
шея
[šeâ]
collo
«And I made sure my so-called droogs were in it, right up to the shiyah.» (Burgess 2011 54)
shlaga
шлагбаум
[šlagbaum]/ шланг
[šlang]
sbarra/tubo
«And there were devotchkas ripped and creeching against walls and I plunging like a shlaga into them, […]» (Burgess 2011 27)
shlapa
шляпа
[šlâpa]
cappello
«When I opened up he came shambling in looking shagged, a battered old shlapa on his gulliver, his raincoat filthy.» (Burgess 2011 29)
shlemmies
шлем
[šlem]
casco
«[…] it was only two very young rozzes that came in, very pink under their big copper’s shlemmies.» (Burgess 2011 11)
shoomny
шумный
[šumnyj]
rumoroso
«Then he let out a very shoomny smeck – “Ho ho ho” – […]» (Burgess 2011, 8)
shooms
шум
[šum]
rumore
«The old veck began to make sort of chumbling shooms – “wuf waf wof” – […]» (Burgess 2011 7)
shoot
шут
[šut]
buffone
«I viddied then, of course, what a bezoomny shoot I was not to notice that it was the hypodermic shots in the rooker.» (Burgess 2011 86)
skazatted
сказать
[skazat’]
dire
«None of them skazatted a word or nodded even.» (Burgess 2011 24)
skorriness
скорость
[skorost’]
velocità
«[…] this old ptitsa had come up behind me very sly and with great skorriness for her age […]» (Burgess 2011 47)
skorry
скоро
[skoro]
velocemente
«[…] you may, O my brothers, have forgotten what these mestos were like, things changing so skorry these days and everybody very quick to forget, […]» (Burgess 2011 3)
skriking
скрести
[skresti]
raschiare, graffiare
«[…] and, my balance being a bit gone, I went really crash this time, on to sploshing moloko and skriking koshkas, […]» (Burgess 2011 48)
skvatted
схватить
[shvatit’]
prendere
«And then Pete skvatted these three books from him and handed them round real skorry.» (Burgess 2011 6)
sladky
сладкий
[sladkij]
dolce
«[…] I drink this very strong chai with moloko and spoon after spoon after spoon of sugar, me having a sladky tooth […]» (Burgess 2011 31)
slog
злог
[zlog]
etto
«[…] he took a bottle from a cupboard in his desk and started to pour himself a real horrorshow bolshy slog into a very greasy and grahzny glass.» (Burgess 2011 72)
sloochatting
случаться
[slučat’sâ]
accadere
«[…] the whole veshch really a very humorous one if you could imagine it sloochatting to some other veck and not to Your Humble Narrator.» (Burgess 2011 48)
slooshy
слушать
[slušat’]
sentire
«Then you could slooshy panting and snoring and kicking behind the curtain and veshches falling over and swearing and then glass going smash smash smash.» (Burgess 2011 10)
slovos
слово
[slovo]
parole
«This chelloveck sitting next to me […] was well away with his glazzies glazed and sort of burbling slovos like “Aristotle wishy washy works outing cyclamen get forficulate smartish”.» (Burgess 2011 4)
smeck
смех
[smeh]
riso
«[…] there was no real need […] to do the ultra-violent on some shivering starry grey-haired ptitsa in a shop and go smecking off with the till’s guts.» (Burgess 2011 3)
smot
смотреть
[smotret’]
guardare
«He took a very close smot at me but then went back to being like kind and cheerful […]» (Burgess 2011 118)
sneety
сниться
[snit’sâ]
apparire in sogno
«But I let on to be back in sleepland and then I did doze off real horrorshow, and I had a queer and a very real like sneety, dreaming for some reason of my droog Georgie.» (Burgess 2011 28)
sobiratted
собирать
[sobirat’]
raccogliere
«The point was whether to leave the auto to be sobiratted by the rozzes or, us feeling like in a hate and murder mood, to give it a fair tolchock […]» (Burgess 2011 20)
soomka
сумка
[sumka]
borsa
«[…] You filthy old soomka […]» (Burgess 2011 48)
soviet
совет
[sovet]
consiglio
«”Now,” I said, and it was me that was starting, because Pete had given old Dim the soviet not to uncoil the oozy from round his tally and Dim had taken it, […]» (Burgess 2011 41)
spatchka
спячка
[spâčka]
letargo
«”Best we go off homeways and get a bit of spatchka,” said Dim.» (Burgess 2011 24)
splooge
сплющить
[splûŝit’]
schiacciare
«[…] this rich beat-up chelloveck had raged like real bezoomny and gone for them all with a very heavy iron bar. […] Georgie had tripped on the carpet and then brought this terrific swinging iron bar crack and splooge on the gulliver, […]» (Burgess 2011 58)
spoogy
испуганный
[ispugannyj]
spaventato
«Now all the cats were getting spoogy and running and jumping in a like cat-panic, […]» (Burgess 2011 47)
starry
старый
[staryj]
vecchio
«[…] there was no real need […] to do the ultra-violent on some shivering starry grey-haired ptitsa […]» (Burgess 2011 3)
stoolies
стул
[stul]
sedia
«I was in bumpy darkness, with beds and cupboards and bolshy heavy stoolies and piles of boxes and books about.» (Burgess 2011 45)
strack
страх
[strah]
paura, terrore
«[…] I was not your handsome young Narrator any longer but a real strack of a sight, my rot swollen and my glazzies all red and my nose bumped a bit also.» (Burgess 2011 51)
tally
талия
[taliâ]
(giro)vita
«Old Dim said: “Oh no, not right that isn’t,” and made to uncoil the chain round his tally, […]» (Burgess 2011 40)
tolchock
толчок
[tolčok]
spintone
«Our pockets were full of deng, so there was no real need from the point of view of crasting any more pretty polly to tolchock some old veck in an alley […]» (Burgess 2011 3)
toofles
туфли
[tufli]
scarpe
«Then I put my nogas into very comfy woolly toofles, […]» (Burgess 2011 29)
vareeting
варить
[varit’]
bollire
«[…] I might perhaps […] itty off to the old skolliwoll and see what was vareeting in that great seat of gloopy useless learning, O my brothers.» (Burgess 2011 27)
veck
человек
[čelovek]
persona
«[…] tolchock some old veck in an alley and viddy him swim in his blood while we counted the takings and divided by four, […]» (Burgess 2011 3)
veshches
вещь
[veŝ’]
cose
«[…] there was no law yet against prodding some of the new veshches which they used to put into the old moloko, so you could peet it with vellocet or synthemesc or drencrom […]» (Burgess 2011 3)
viddy
видить
[vidit’]
vedere
«[…] tolchock some old veck in an alley and viddy him swim in his blood while we counted the takings and divided by four, […]» (Burgess 2011 3)
vino
вино
[vino]
vino
«[…] he went grinning and going er er and a a a for this veck’s dithering rot, crack crack, first left fistie then right, so that our dear old droog the red – red vino on tap and the same in all places, like it’s put out by the same big firm – started to pour and spot the nice clean carpet […]» (Burgess 2011 19)
voloss
волос
[volos]
capelli
«What was ittying on was that this starry ptitsa, very grey in the voloss and with a very liny like litso, […]» (Burgess 2011 43)
von
вон
[von]
odore
«Billyboy was something that made me want to sick, […] and he always had this von of very stale oil that’s been used for frying over and over, […]» (Burgess 2011 13)
vred
вред
[vred]
danno
«Billyboy had a nozh […] but he was a malenky bit too slow and heavy in his movements to vred anyone really bad.» (Burgess 2011 15)
yahma
яма
[âma]
buco
«Then he let out a very shoomny smeck – “Ho ho ho” – pretending to start wiping his yahma with [the letter].» (Burgess 2011 8)
yahzick
язык
[âzyk]
lingua
«Then I tooth-cleaned and clicked, cleaning out the old rot with my yahzick or tongue, […]» (Burgess 2011 26)
yarbles
яйца
[âjca]
uova, palle
«[…] Come and get one in the yarbles, if you have any yarbles, you eunuch jelly, thou.”» (Burgess 2011 14)
yeckated
ехать
[ehat’]
andare
«We yeckated back townwards, my brothers, […]» (Burgess 2011 20)
zammechat
замечательный
[zamečatel’nyj]
straordinario
«[…] had to submit to the strange and weird desires of Alexander the Large which […] were choodessny and zammechat […]» (Burgess 2011 36)
zasnoot
заснуть
[zasnut’]
dormire
«So the he started on me, me being the youngest there, trying to say that as the youngest I ought to be the one to zasnoot on the floor and not him.» (Burgess 2011 65)
zheena
жена
[žena]
moglie
«The writer veck and his zheena were not really there, bloody and torn and making noises.» (Burgess 2011 20)
zoobies
зубы
[zuby]
denti
«Pete held his rookers and Georgie sort of hooked his rot wide open for him and Dim yanked out his false zoobies, upper and lower.» (Burgess 2011 7)
zvonock
звонок
[zvonok]
campanello
«There was a bellpush and I pushed, and brrrrrrr brrrrr sounded […]. So I pushed the old zvonock a malenky bit more urgent.» (Burgess 2011 44)
zvook
звук
[zvuk]
suono, rumore
«But there were the golosses of millicents telling them to shut it and you could even slooshy the zvook of like somebody being tolchocked […]» (Burgess 2011 51)

9.2 Nomi e toponimi russi

Occorrenza nel romanzo
Stringa di testo
Molotov
«[…] [they were] shuffling through the new pop-discs – Johnny Burnaway, Stash Kroh, The Mixers, Lay Quiet Awhile With Ed And Id Molotov, and all the rest of that cal» (Burgess 2011 33)
Zhivago
«[…] it was Johnny Zhivago, a Russky koshka, singing […]» (Burgess 2011 22)
Brodsky
«Brodsky will deal with him tomorrow and you can sit in and watch Brodsky.» (Burgess 2011 69)
Gagarin
«Namely, that bit of shop-crasting in Gagarin Street.» (Burgess 2011 136)

Riferimenti bibliografici
Burgess A. 2011, A Clockwork Orange, London: Penguin Essentials
Biswell A. 2005, The real life of Anthony Burgess, Picador
Orwell G. 2008, 1984, London: Penguin

Revzin, Rozencvejg: la disambiguazione

Revzin, Rozencvejg: la disambiguazione

EMA STEFANOVSKA

Fondazione Milano
Milano Lingue
Scuola Superiore per Mediatori Linguistici
via Alex Visconti, 18 20151 MILANO

Relatore: professor Bruno Osimo
Diploma in Mediazione linguistica
Ottobre 2012

© I. I. Revzin, V. Û. Rozencvejg: «Osnovy obŝego i mašinnogo perevoda» 1964
© Ema Stefanovska per l’edizione italiana 2012

Revzin, Rozencvejg: la disambiguazione

Abstract in italiano

La prefazione esamina alcuni problemi traduttivi relativi alla disambiguazione di termini e concetti e alla loro resa nella lingua ricevente. Il testo tradotto affronta le fasi del processo traduttivo basandosi su un unico linguaggio d’intermediazione, a cui ridurre i significati elementari del testo nella lingua emittente e da cui partire per ottenere, mediante la sintesi, il testo nella lingua ricevente. Partendo dal presupposto che i concetti della teoria della traduzione tradizionale sono di facile formalizzazione, Revzin e Rozencvejg propongono dei metodi di analisi mediante algoritmi matematici. Tale approccio si scontra con i problemi dell’ambiguità e della complessità del linguaggio naturale e con la disambiguazione lessicale, grammaticale e sintattica ai fini dell’interpretazione del testo nella lingua emittente.

English abstract

The foreword examines some translation problems as regards the disambiguation of terms and concepts and the rendering in the target language. The translated text tackles the phases of the translation process based on an intermediary language including the basic meanings of the prototext from which the metatext is produced by synthesis. Based on the assumption that the notions of traditional translation theory can be easily formalized, Revzin and Rozencvejg suggest methods of analysis by mathematical algorithms. This approach is hampered by problems relating to the ambiguity and the complexity of the natural language and to the lexical, grammatical and syntactic disambiguation to interpret the prototext.

Резюме на русском языке

Введение изучает некоторые проблемы перевода, относящиеся к снятию омонимии терминов и понятий и к их передачи на переводящем языке. Перевод касается определения стадий процесса перевода, основывающегося на одном языке-посреднике, который заключает в себе элементарные значения исходного текста и с которого начинается, путем синтеза, составление текста на переводящем языке. Исходя из предпосылки, что в традиционной теории перевода имеется ряд достаточно легко формализуемых понятий, Ревзин и Розенцвейг ставят своей целью изложить методы анализа посредством математических алгоритмов. Этот подход сталкивается с проблемами, связанными с неоднозначностью и сложностью естетсвенного языка и со снатием лексической, грамматической и синтаксической омонимии, с целью интерпретации текста на исходном языке.

1. Prefazione

1.1. La presente tesi ha come oggetto la traduzione del quinto e ultimo capitolo dell’opera Oсновы общего и машинного перевода [Fondamenti di traduzione generale e automatica], pubblicato a Mosca nel 1964 da Isaak Iosifovič Revzin e Viktor Ûl’evič Rozencvejg. L’opera raccoglie le nozioni di traduzione generale e automatica discusse dagli autori durante un ciclo di lezioni tenuto negli anni 1959-61 e si presenta come un manuale accademico per gli studenti e i docenti delle facoltà di lingue.
Il libro nasce in un contesto storico e geografico di grande affermazione dell’approccio scientifico alla traduzione. A partire dagli anni Cinquanta, nell’URSS la traduzione automatica assume un’importanza sempre maggiore e viene considerata un elemento fondamentale del processo traduttivo. Questo approccio non viene condiviso dall’Occidente, perciò l’opera non trova, ad oggi, traduzioni in lingue occidentali.
Partendo dal presupposto che nella teoria della traduzione tradizionale – basata sul concetto di equivalenza – i concetti importanti sono di facile formalizzazione, i due studiosi russi si pongono l’obbiettivo di esporre la problematica della teoria della traduzione in relazione alla linguistica strutturale e propongono metodi di analisi formale volti a risolvere alcune difficoltà linguistiche del processo traduttivo, come per esempio verificare la correttezza dell’analisi grammaticale del testo e risolvere i problemi di omonimia grammaticale.
Il quinto capitolo – qui tradotto – intitolato «Alcune questioni specifiche della teoria della traduzione generale e automatica», ripercorre le fasi del processo traduttivo ed evidenzia i problemi che si creano in ogni fase. Partendo dallo stadio iniziale d’individuazione delle unità traduttive si esplicano i diversi metodi di analisi (lessicale, grammaticale e sintattica) del testo nella lingua emittente. Il principio da cui partono i due studiosi è un unico linguaggio d’intermediazione, sufficientemente formale e con capacità di rappresentazione dei significati elementari, a cui ridurre le frasi da tradurre e da cui partire per ottenere, mediante la sintesi, le corrispondenti frasi tradotte. Questo approccio alla traduzione si scontra con il problema della polisemia, dell’ambiguità e della complessità del linguaggio naturale e con la relativa disambiguazione ai fini della comprensione e dell’interpretazione del testo nella lingua emittente.
Trattando approfonditamente i metodi di analisi mediante processi di tipo algoritmico, il capitolo in oggetto presuppone una determinata conoscenza dell’interpretazione di testi formalizzati ovvero testi tradotti in un sistema di simboli matematici.

1.2. Di seguito vengono analizzati alcuni problemi emersi durante la traduzione relativi alla disambiguazione di concetti e termini nella lingua emittente (russo) e quindi alla resa degli stessi nella lingua ricevente (italiano).
Uno dei problemi di traduzione più frequenti è rappresentato dalla disambiguazione delle omonimie o delle polisemie delle parole nella lingua emittente ai fini di interpretare correttamente il testo e stabilire il traducente nella lingua ricevente. In alcuni casi tale disambiguazione può avvenire mediante l’analisi del contesto della parola o mediante l’accertamento di una sua eventuale appartenenza a una determinata sottolingua. Per esempio nel Grande Dizionario Italiano di Aldo Gabrielli sotto la voce «soluzione» si trova il suo significato generale (risoluzione, spiegazione) e il suo significato in qualità di termine chimico (miscela molecolare omogenea risultante dalla dissoluzione di uno o più soluti in un solvente). Nella lingua russa questi due significati sono espressi da due diverse parole: решение per il significato generale e раствор per quello terminologico. Se nel tradurre in russo la collocazione italiana «soluzione del problema» il traduttore non tenesse conto del contesto della parola e della sua appartenenza a una sottolingua, potrebbe approdare a una traduzione non appropriata come раствор задачи (parola per parola «*miscela molecolare del problema») invece di quella appropriata решение задачи.
Tuttavia ci sono casi in cui l’analisi del contesto non è sufficiente per risolvere il problema dell’ambiguità della parola. Vediamo di seguito un esempio dove oltre all’analisi del contesto, per la disambiguazione è necessaria l’interpretazione del testo rivolgendosi alla realtà ovvero «fare una ipotesi sul mondo possibile che il testo rappresenta» (Eco 2003). Come afferma Eco nell’opera Dire quasi la stessa cosa, in mancanza di tracce adeguate, il compito del traduttore è quello di scegliere l’accezione o il senso più probabile e ragionevole e rilevante in quel contesto e in quel mondo possibile.
Prendiamo come esempio la parola russa omonima мир che in italiano si potrebbe tradurre con entrambi i traducenti «pace» e «mondo» e il suo aggettivo мировой (in italiano «di pace» e «mondiale»). Nella collocazione in russo мировая война (guerra mondiale) abbiamo sufficienti informazioni per poter scegliere il traducente in italiano, considerato che sarebbe poco ragionevole definire uno dei due conflitti mondiali mediante l’ossimoro “guerra di pace”. Il problema sorge quando mancano informazioni riguardo alla realtà cui si riferisce l’espressione omonima. La frase russa Испытания этого оружия угрожают миру potrebbe essere tradotta in italiano in due diversi modi: «I test di quest’arma minacciano il mondo» e «I test di quest’arma minacciano la pace». Essendo tale frase proposta nel prototesto in qualità di esempio e, quindi, estrapolata dal suo contesto originale, non è possibile stabilire quale delle due varianti traduttive sia quella corretta.
Un altro esempio analogo è rappresentato dall’aggettivo russo общий e dalle relative traducenti «generale» e «generico».
Vediamo ora un altro esempio dove per la corretta interpretazione del testo è necessaria la disambiguazione contestuale della parola omonima nella lingua ricevente.
«Семантическая взаимосвязанность субъекта, объекта и обстоятельств действия выражается, как мы видим, лексически, морфологически и синтаксически, что и понятно, поскольку эти отношения являются существенными для едва ли не каждого речевого сообщения.» (paragrafo 5.5)
La parola omonima обстоятельство oltre al suo significato generale (in italiano «circostanze, contesto») ha anche un significato terminologico dell’ambito linguistico (in italiano «complemento di circostanza»). Nella stessa frase si potrebbe trovare la stessa parola utilizzata con due significati diversi. Un esempio ne è la definizione del suo significato terminologico tratta dal Dizionario di termini linguistici russi dove nella traduzione in italiano dobbiamo ricorrere a due traducenti diversi:
«Обстоятельство – это второстепенный член предложения, поясняющий слово со значением действия или признака и обозначающий, при каких обстоятельствах совершается действие, или указывающий способ, меру, степень проявления действия и признака. »
[Il complemento di circostanza è un elemento secondario della proposizione che spiega la parola con un significato di azione o di qualità e indica le circostanze in cui si svolge l’azione oppure il modo, la misura e il grado di manifestazione dell’azione o della qualità.]
Per stabilire l’accezione cui si riferisce la parola nel prototesto è necessario analizzare il contesto in cui tale parola si trova. Entrambi i significati avrebbero senso all’interno di un testo cui oggetto è lo studio del processo traduttivo. Ma da un’analisi contestuale più approfondita si evince che la parola in questione si trova all’interno di una spiegazione grammaticale della ridistribuzione delle unità elementari di senso nella frase, insieme ad altri termini grammaticali. Stabilito il suo significato, si passa alla scelta del termine con cui rendere il concetto per adattarlo alle norme grammaticali della lingua ricevente (italiano).
La frase risulterà, in italiano, come segue:
«La correlazione semantica del soggetto, oggetto e il complemento di circostanza si esprime in maniera lessicale, morfologica e sintattica; ciò è comprensibile dato che queste relazioni sono essenziali per quasi tutte le espressioni linguistiche.»
Il significato terminologico della parola обстоятельство nel prototesto è stato riscontrato anche all’interno della collocazione обстоятельственные слова cui traduzione parola per parola in italiano sarebbe «parole complementari». Appurato il fatto che tale traduzione non indica nella lingua ricevente lo stesso concetto espresso della lingua emittente, si procede alla scelta di una perifrasi che al meglio esprime tale concetto grammaticale: «parole con funzione di complemento di circostanza».
L’ultimo esempio proposto riguarda la resa nella lingua ricevente del concetto stesso di disambiguazione. Nella lingua emittente (russo) tale concetto viene espresso mediante la collocazione снятие омонимии (parola per parola «*eliminazione dell’omonimia»), permettendo di specificare il tipo di ambiguità che viene “eliminata”. Il traducente in italiano («disambiguazione») non fornisce una simile specificazione. Perciò nel tradurre in italiano l’espressione russa снятие омонимии или многозначности слов è necessario integrare il concetto italiano di disambiguazione con tale specificazione («disambiguazione delle omonimie o delle polisemie delle parole»).

1.3. Abbiamo esaminato alcune delle difficoltà che si incontrano frequentemente durante il processo traduttivo. Questo tipo di problemi semantici ha sbarrato la strada alle sperimentazioni nel campo della traduzione automatica negli anni Sessanta che si basavano sull’idea di creare un sistema capace di tradurre da una lingua naturale a un’altra lingua naturale senza l’intervento umano. Un linguaggio prodotto da un tale sistema, come risultato dell’esecuzione di algoritmi, è una lingua artificiale. Il linguaggio umano, invece, è il risultato della creatività umana guidata da processi complessi difficilmente rappresentabili in un codice matematico. Questo contrasto tra lingua naturale e artificiale viene molto ben chiarito da Umberto Eco nell’opera Dire quasi la stessa cosa sulla base di una serie di traduzioni effettuate utilizzando un servizio gratuito di traduzione automatica on-line.
Nel suo esperimento del 2003 Eco chiede al sistema di traduzione automatica la traduzione in italiano dell’espressione inglese the works of Shakespeare e ottiene il seguente risultato: «gli impianti di Shakespeare». Tale problema di traduzione è dovuto all’omonimia della parola inglese work e all’impossibilità del sistema automatico di individuare il contesto a cui si riferisce l’espressione. In altre parole, il sistema, basandosi sulle definizioni dizionariali delle singole parole, si limita a tradurre le lingue senza badare al senso complessivo generato dalla sequenza di parole nel loro insieme.
Se a distanza di quasi un decennio provassimo a ripetere l’esperimento di Eco, noteremo che il sistema di traduzione automatica riesce a produrre una traduzione appropriata («le opere di Shakespeare»). Questo si deve al trasferimento dell’approccio dalla traduzione di lingue alla traduzione di discorsi: il sistema traduce unità di parole tenendo conto delle parole circostanti. Tuttavia tale approccio permette di limitare gli errori di traduzione ma non di evitarli del tutto. Cosi, chiedendo a un sistema automatico la traduzione italiana dell’espressione russa азиатчина русской культуры otteniamo «asiatico cultura russa». Questo risultato oltre a non avere senso ci mostra che il sistema di traduzione automatica ignora del tutto i secoli di storia e cultura russa celati all’interno della parola азиатчина.

Riferimenti bibliografici

Dizionario di termini linguistici russi, disponibile al sito www.textologia.ru, consultato nel mese di agosto 2012
Eco U. 2003 Dire quasi la stessa cosa, Milano: Bompiani
Gabrielli A. 2008 Grande dizionario Hoepli. Italiano, Milano: Hoepli
Lûdskanov A. 1967 Un approccio semiotico alla traduzione. Dalla prospettiva informatica alla scienza traduttiva, a cura di Bruno Osimo (2008), Milano: Hoepli
Monti J. 2004 «Dal sogno meccanico alla e-translation: la traduzione automatica è realtà?», I quaderni di Telèma, disponibile in internet all’indirizzo www.fub.it, consultato nel mese di luglio 2012
Osimo B. 2000-2004 Corso di traduzione, disponibile in internet all’indirizzo www.logos.it, consultato nel mese di agosto 2012
Osimo B. 2001 Propedeutica della traduzione. Corso introduttivo con tavole sinottiche, Milano: Hoepli
Popovič A. 1975 La scienza della traduzione. Aspetti metodologici. La comunicazione traduttiva, a cura di Bruno Osimo (2006), Milano: Hoepli
Revzin I. I. e Rozencvejg V. Û. 1964 Osnovy obŝego i mašinnogo perevoda, Moskva:Vysŝaâ ŝkola
Torop P. 2009 La traduzione totale, a cura di Bruno Osimo, Milano: Hoepli

2. Traduzione

Глава V
НЕКОТОРЫЕ СПЕЦИАЛЬНЫЕ ВОПРОСЫ ТЕОРИИ ОБЩЕГО И МАШИННОГО ПЕРЕВОДА

§32. Проблемы словаря

Посмотрим теперь, как происходит выделение единиц перевода. Поскольку обычно язык-посредник явно не присутствует, то соответсвие просто устанавливается между отрезком текста ИЯ и отрезком теста ПЯ. Средством идентификации единиц перевода служит прежде всего словарь.

Между прочим, в теории перевода и у части переводчиков-профессионалов установилось несколько пренебрежительное отношение к двуязычному словарю. Считается даже, что словарь скорее мешает, чем помогает в переводе. Между тем, словарь − это первый список заранее заданных соответсвий, с которым мы сталкиваемся в практике перевода. Заслуживает внимания следующее заявление одного из современных теоретиков перевода: «словарь можно определить как инструмент, который позволяет переводить, не зная одного из языков» (Cary, 1956 в, стр. 11).
Недоверие к словарю, как это ни звучит парадоксально, вызвано его достоинством. Словар дает слишком много вариантов перевода, а практика перевода требует, чтобы каждое слово переводилось только одным способом. Вообще говоря, это в известной мере условно. Вполне можно представить себе положение, когда каждое слово передается в том же тексте набором разных соответствий.
Весьма поучительно с теоретической точки зрения разобрать подобную возможность.
Представим себе словарь, в котором каждый набор вариантов отделен вертикальной чертой, а внутри этих наборов на первом месте пишется основной перевод, а в скобках − остальные словарные вариянты.
Возьмем русское предложение, например:
´В настоящее время успешно проведены опыты по машинному переводу`.

Мы получили следующий перевод его на немецкий язык:
|| In (nach, zu, um) || gegenwärtig (echt, wirklich, wahrhaft, richtig) || Zeit || erfolgreich || durchgeführt (geführt, verwirklicht, gelegt) || Erfahrung (Experiment Versuch) || über (entlang, durch, O, nach) || Maschinen − || Übersetzung (Überführung, Versetzung, Anweisung) ||.
На французском языке мы получили бы следующее:
A (dans, en) || présent (véritable, vrai, authentique) || temps (heure, saison) || avec succès (heureusement) || entrepris (conduits, menés, accompagnés, passés, construits, installés, posés) || experiénces (essais) || sur (par, selon, suivant, d’après, à raison de) || mécanique (à la machine) || traduction (version, thème, transfert, mutation, aiguilage, mandat postal) ||.
Уже такой перевод дает возможность человеку, знающему немецкий или французский язык, понять, о чем идет речь, и перевести, не зная языка, данную фразу. Ясно, однако, что такой перевод плох хотя бы потому, что дает слишком много, в нем много ненужной, причем мешающей информации (см. Micklesen).
Посмотрим теперь, какими способами можно избавиться от этой ненужной информации.
Любой достаточно хороший словарь фиксирует не только слова, но и часто встречающиеся сочетания слов, т.е. микроконтекст соответствующих единиц. Например, при слове ´настоящий` может быть дано сочетание ´в настоящее время` − gegenwärtig, actuellement, при слове ´опыт` − сочетание: ´проводить опыт` Experiment durchführen и сочетание ´опыт по` Experiment mit (expériences sur, essais de).

Одновременно в хорошем словаре указываются сочетания ´почтовый перевод`, ´денежный перевод` − нем. Postanweisung, фр. mandat poste, и поскольку это сочетание нам не встретилось, то соответствующие переводы будут исключены. Таким образом, будет даваться только один перевод, причем это будет перевод наиболее вероятный, если слово не встретилось в определенных сочетаниях, и специяльный, если слово встретилось в определенном зафиксированном словарем сочетании с данным словом или словом данной группы.
Другое средство сокращения ненужной информации состоит в указании макрокотекста. Но это достигается лишь в тех случаях, когда при отдельных переводах можно дать помету, указывающую соответсвующий подъязык. Так, при немецком слове Kolben можно дать, например, следующие соответствия, приводимые в Болшом немецко-русском словаре под редакцией Е.А. Мейер (М. 1934):
(военн.) приклад
(техн.) поршен
(биол.) початок
(зоол.) жужжальца (у насекомых)

Заметим, что при подобном решении вопроса целесообразно установить определенную иерархию между критериями сочетаемости и области применения. Первому должно быть отдано предпочтение. Как мы уже говорили в § 20, одно и тоже слово может иметь общее («буквальное») и терминологическое значение, т.е. употребляться в одном значении как термин, а в другом как обычное слово. Возьмем немецкое слово Lösung или фр. solution. Их значение в качестве химического термина − ´раствор`. Однако и в химическом тексте может быть употреблено сочетание Lösung der Aufgabe, la solution du problème (´решение задачи`). Ориентируясь на помету (хим.), переводчик может перевести ´раствор задачи`. Чтобы этого не произошло, нужно, чтобы он в первую очередь просмотрел все обороты, в которые входит данное слово и уже после этого руководствовался пометой (хим.). Мы видим, что основным вопросом при анализе текста является снятие омонимии или многозначности слов. В приведенных только что примерах омонимия снижается благодаря учету контекста многозначного или омонимичного слова, прнадлежности его к тому или иному подъязыку. Иногда, однако, снятие омонимии требует интерпретации текста, т.е. обращения к действительности и выявления того, что имеется в виду. Так, например, двусмысленность предложения: ´Испытания этого оружия угрожают миру`, вызываемая омонимичным словом ´мир` (англ. peace и world, фр. paix и monde, нем. Frieden и Welt), не всегда может быть устранена путем анализа контекста. То же можно сказать о предложениях: ´Эти студенческие группы провели два общих собрания, на которых обсудили вопросы научной работы` (англ. general и mutual, фр. général и commun, нем. allgemein и gemeinsam).

Необходимо отметить, что фиксирование в словаре всех оборотов практически невозможно. Поэтому в ряде случаев целесообразно идти по другому пути, а именно, предусмотреть в самой структуре языка-посредника такое выделение элементарных значений, которое позволило бы выделять однозначные единицы без обращения к микроконтексту. С этой точки зрения поучителен следующий пример (Tesnière, стр. 294). Рассмотрим французский перевод немецкого предложения:
нем. Er ließ die Zeitung holen.
фр. Il envoya chercher le journal.
русск. Он послал за газетой.

Можно, разумеется, зафиксировать в словаре соответствие:
Holen lassen − aller chercher.
Но если в языке-посреднике будет выделено три элементарных смысла, то мы получим следующее:

Язык- посредник 1
Эл. смысл каузативности
2
Эл. смысл
ходьбы 3
Эл. смысл
Нахождения
чего-то

фр. язык

envoyer
chercher

нем. язык
lassen
holen

русск. язык
послать за

Здесь мы можем установить в отдельности соответствия между envoyer и смыслами 1 и 2, между chercher и смыслом 3, между lassen и смыслом 1, между holen и смыслами 2, 3. Ясно, что такой способ установления соотвествий экономнее.
Одна из частых ситуаций при анализе состоит в том, что для некоторого отрезка текста вообще не находится соответствия в словаре. Это может объясняться разными причинами, например: неполнотою словаря, или же тем, что данное слово еще не зафиксировано ни в каком словаре (так называемые неологизмы или реалии) , или же тем, что данный отрезок текста вообще не является словом (формулы, собственные имена, схемы и т.п.).
Здесь с точки зрения теории перевода полезно различать два случая:
А. Слово восстанавливается по контексту (ср. часто встречающиеся в литературе упоминания о «переводческой догадке»). Это возможно в тех случаях, когда во фразе содержится избыточная информация (ср. § 12).
Разберем следующий пример (Звегинцев, стр. 161 − 162). Возьмем ряд фраз, в которых пропущено одно слово, например:
Мы пошли в разные …
Это … была мной исхожена вдоль и поперек.
Обсудим вопрос с разных … .
Исходя из контекста фраз, подбирая слова, как говорит В. А. Звегинцев, «по принципу предметной соотнесенности», довольно несложно заполнить соответствующие пропуски .
Заметим, однако, что такое восстановление предполагает, что осталные слова поставлены в соответствие с пучками элементарных смыслов, которые и дают возможность более или менее однозначно восстановить пропущенные слова. Подобное восстановление особенно важно при синхронном переводе (см. § 31).
Б. Слово не восстанавливается по контексту. Тогда возможны следующие случаи:
а) Этап анализа оставляет его неизменным и в таком виде переносит в язык-посредник и далее, на этапе синтеза, в ПЯ. Все эти элементы текста мы будем называть формулами.
б) На этапе анализа устанавливается побуквенное соответствие между буквами или группами букв переводимого слова и соответствующими фонемами. Таким образом, в язык-посредник входят, кроме соответствий между словами, соответствия между буквами и фонемами.

По этому принципу анализируются, в первую очередь, имена собственные, географические названия, названия учреждений, газет, пароходов и т.п., слова, обозначающие так называемые бытовые реалии, а также неологизмы, т.е. слова, относящиеся к так называемой безэквивалентной лексике. Подробнее о словах этой группы см. § 37.

§ 33. Конфигурационный анализ

Мы уже видели, что в словаре можно фиксировать не только отдельные слова, но и сочетания слов. Пусть у нас имеется язык, содержащий ровно 1002 слова (примером языка, близкого к такому, может служить так называемый Basic English) и пусть длина предложения в этом языке всегда равна 5. Пусть теперь в словаре хранятся всевозможные сочетания, содержающие пять разных слов. Число таких сочетаний равно в принципе:
C⁵⁄₁₀₀₂=998X999X1000X1001X1002≈1000000000000000=10¹⁵
Даже, если считать, что из 100 возможных сочетаний по пять слов только одно имеет смысл, мы получим астрономическую цифру 10¹³. Однако интересно следующее. Если бы нам удалось составить словарь, содержающий 10¹³ различных сочетаний, то перевод с этого гипотетического языка мог бы быть осуществлен без всякой грамматики: каждое предложение отыскивалось бы в словаре, и там же находился бы его перевод.
Этот пример показывает место грамматики и ее роль в переводе. Грамматические правила дают возможность перевести сочетание нескольких слов в случае, когда такое сочетание не зафиксировано в словаре. Иначе говоря, можно сказать, что грамматика дает возможность сократить число и длину единиц перевода.

При этом, разумеется, мы заинтересованы в таких правилах, из которых каждое было бы применимо к возможно больщему числу сочетаний. Ясно, что если правило применимо только к одному слову, то оно ни чем не отличается от простой фиксации данного сочетания в словаре. Отсюда следует, что, в отличие от обычной грамматики, которая почти к каждому правилу дает несколько исключений и тем самым становится трудной для всякого, кто ею пользуется, в теории перевода мы заинтересованы в грамматике, которая дает правила, не знающие исключений, а все исключения фиксируются при соответствующих словах в словаре, т.е. расширяются единицы перевода.
Между прочим, подобная точка зрения представлена и в теоретическом языковедения. Так, Л.В.Шерба считал, что все массовые явления должны отражаться в грамматике, в то время как все единичное есть факт словаря.
Основное отличие грамматики от словаря состоит в том, что она обращается не к отдельным словам, а к целым классам слов.

Рассмотрим теперь некоторый гипотетический язык. Пусть в нем имеется очень большое (но конечное) число слов, но пусть все они разделяются на 32 грамматических класса (это цифра вполне реальная, в некоторых языках классов даже меньше). Рассмотрим теперь все возможные сочетания по пять слов, принадлежащих к разным классам. Их будет:
C⁵₃₂ =28X29X30X31X32≈30⁵=20 000 000
Если считать, что на каждые 20 сочетаний только одно имеет (грамматический) смысл, то мы имеем миллион возможных сочетаний. Допустим, что словарь с такой грамматикой построен. (Это сделать гораздо легче, чем в предыдущем случае). Тогда перевод осуществлялся бы следующим образом: для каждого слова отыскивался бы в словаре индекс, означающий принадлежность к определенному классу, для полученной цепочки индеков в таблице была бы указана грамматическая структура в ПЯ, в эту структуру по определенным правилам вставлялись бы соответствующие слова, и таким образом мы получили бы перевод. Мы видим, что уменьшение объема словаря привело к усложнению правил, однако, эти правила применимы к большому числу фраз, а запись их в словаре занимает гораздо меньше места, чем запись 10¹³ сочетаний.
Можно, однако, сделать еще один важный шаг. В § 18 показано, что каждое предложение может быть порождено путем развертывания конфигураций, соответствующих словосочетаниям или синтагмам. Без всяких формул можно подсчитать, что число конфигураций в языке колеблется от 50 до 200. Такие конфигурации очень легко запомнить.
Идея машинного перевода при помощи конфигураций была впервые использована Т.Н. Молошной при составлении правил перевода с английского языка (Молошная, 1957, стр. 92 и сл.).
Сначала проиллюстрируем этот метод в упрощенном виде на примере перевода одного немецкого предложения:
1 2 3 4 5 6
Ein sehr junger Arbeiter erzählte uns
7 8 9 10
von seinen Arbeits-methoden.
Пусть в словаре для каждого слова будет найдено соответствие, а при нем информация о принадлежности к соответствующему классу. Кроме того, имеется список конфигураций, например:
а) наречие + изменяемая форма прилагательного;
б) изменяемая форма прилагательного + существительное;
в) притяжательное прилагательное + существительное;
г) существительное + s + отсутствие пробела + существительное, написанное с маленькой буквы;
д) глагол + местоимение + существительное в косвенном падеже;
е) глагол + предлог + существительное;
ж) существительное в им. падеже + глагол.
Сравнив информацию слов 2 и 3 со списком конфигураций, мы устанавливаем, что они составляют конфигурацию а. В этой конфигурации будет учитываться теперь только основное слово (3). Точно также будет объединено 3 и 4 (останется 4), 9 и 10 (останется 10), 8 и 10 (останется 10), 5 и 6 (останется 5), 5, 7, и 10 (останется 5) и, наконец, 1, 4 и 5. Этот метод дает возможность установить все связи между словами. Когда все связи установлены, можно находить русские соответствия. Разумеется, это должно происходить в обратном порядке, хотя бы потому, что мы не знаем, например, какой формой переводить слово junger, пока мы не перевели слово Arbeiter.
Итак, сначала будет найдено соответствие для конфигурации ж, потом для конфигурации е и т.д.
Таков в общем метод перевода по отдельным кофигурациям. Его основные черты сводятся к следующему:
1) выделяются минимальные сочетания слов (конфигурации);
2) зависимый член конфигурации в дальнейшем анализе не учитывается;
3) выделение конфигураций производится в строго определенном порядке;
4) для каждой конфигурации ИЯ подыскивается соответствующая в ПЯ;
5) оформление конфигураций в ПЯ происходит в обратном порядке (по отношению к выделению конфигураций в ИЯ).

Подобный метод перевода выгоден тем, что он применим для любого языка.
Рассмотрим теперь применение конфигурационного метода анализа в том формализованном виде, в каком он был предложен Т.Н. Молошной для машинного перевода с английского языка (Молошная, 1957, 1960).
Т.Н. Молошная исходит из структурной классификации классов слов, разработаной в дескриптивной лингвистике (Fries , 1953) и несколько дополненной ею применительно к целям машинного перевода. Для того, чтобы читатель имел возможность пользоваться первоисточником, мы сохраняем здесь систему индексов, принятую Т.Н. Молошной.
В частности, Т.Н. Молошная выделяет следующие классы слов:
1 – существительное;
P – личное местоимение в им. падеже;
Pm – личное местоимение в объектном падеже;
2ˉ – непереходные глаголы в личной форме;
2⁺- переходные глаголы в личной форме;
2º – глагол, после которого употре-бляется так называемый вин. падеж с инфинитивом (например, I made the boy run. – Я заставил мальчика бежать.);
2B – глагол be в личной форме;
2˟ – глагол have в личной форме;
2¹ – глаголы shall и will;
2¹¹ – глагол let;
2⁺ing – причастие I (активное);
2⁺ed – причастие II (пассивное) от переходного глагола;
3 – прилагательное;
N – притяжательное и указательное местоимение;
D – артикль;
F – предлог;
J – подчинительный союз;
I – вопросительное или относительное местоимение.
Далее Т.Н. Молошная дает ряд формул свертывания конфигураций, т.е. замены их тем индексом, из которого могла бы быть развернута при порождении данная конфигурация, например:
1) 3₁ 1₂ = 1₂ (снизу проставляется номер слова во фразе)
2) Д₁ 1₂ = 1₂
3) Д₁ 3₂ = 1₂
4) 2⁺ 1₂ = 2⁻₁ и т.п.
При этом надо учитывать, что по таким правилам одну и ту же последовательность индексов можно свертывать разными способами. Например, фразе the old man соответствует последовательность индексов Д₁ 3₂ 1₃, которые можно сгруппировать двумя способами:
1) Д 3 1
│1 │1
1
2) Д 3 1
Д 1│
1
Ясно, что первый способ свертывания приведет к неверному анализу фразы. Как же поступить? Можно было бы вообще отказаться от формули Д 3=1. Но это было бы верно лишь для такого подъязыка, где не присутствуют фразы типа: The rich enjoy life, которое как раз анализируется по схеме:
The rich enjoy life,
Д 3 2⁺ 1
1 2ˉ
где конфигурация 1 2ˉ считается базисной.
Т.Н. Молошная избрала поэтому другой путь. Она заранее задает порядок, в котором должны применяться правила; так, преобразование 3 1=1 производится раньше чем Д 3=1; тогда последнее преобразование будет осуществляться лишь в том случае, если непосредственно после индекса 3 нет индекса 1.
Пусть теперь кроме заданных выше четырех правил свертывания действуют еще следующие:
5) 2º 1 1 = 2ˉ
6) 2¹¹ Pm 2ˉ = 2ˉ
Посмотрим, как действует механизм свертывания при переводе следующего английского предложения:
Let us call the above-mentioned lemma the fundamental lemma.
2¹¹1 Pm₂ 2º₃ Д₄ 3₅ 1₆ Д₇ 3₈ 1₉

Свертывание ее можно представить следующей таблицей:

Применяемая Анализируемая последовательность
формула индексов
3₅ 1₆ = 1₆
3₈ 1₉ = 1₉ 2¹¹₁ Pm₂ 2⁰₃ Д₄ 1₆ Д₇ 1₉
Д₄ 1₆ = 1₆ 2¹¹₁ Pm₂ 2⁰₃ 1₆ 1₉
Д₇ 1₉ = 1₉ 2¹¹₁ Pm₂ 2⁻₃
2⁰₃ 1₆ 1₉ = 2⁻₃ P₂2⁻₃
2¹¹₁ Pm₂ 2⁻₃ = P₂2⁻₃

Конфигурационный анализ помогает разрешить проблемы грамматической омонимии, например, конверсии в английском языке. В этом языке, как известно, не очень много слов, которые могут быть только существительными, например, development ´развитие`, kingdom ´королевство`, не очень много слов, которые могут быть только глаголами, например, develop ´развивать`, protect ´опекать`, а подавляющее число существительных может одновременно быть глаголами; (впрочем, можно сказать, что подавляющее число глаголов является одновременно существительными), например, turn ´поворот` и ´поворачиваться`, rule ´правление` и ´править`, talk ´говорить` и ´разговор`. К тому же почти любое существительное может употребляться как прилагательное.
Все это – одна из основных трудностей перевода с английского языка (Молошная, 1958, стр. 215). Трудность анализа состоит здесь в том, что форма слова несет недостаточную информацию о своей функции в предложении. Именно для таких языков конфигурационный анализ особенно полезен.
Грамматическая омонимия проявляется в том, что одному слову ставится в соответствие сразу несколько индексов или, как говорит Т.Н. Молошная, «один сложный индекс».
Возьмем, например, предложение:
No prior knowledge of vector theory will be assumed. ´Не преполагается никакого предварительного знакомства с векторной теорией`.
Слову vector соответствует сложный индекс (1,3), т.е. это слово может играть роль как существительного, так и прилагательного. Поэтому дается следующее правило: «Если, начиная с конца предложения, обнаруживаем сложный индекс (1,3), то проверяем, стоит ли за сложным индексом индекс 1, соответствующий существительному, содержащемуся в словаре. Если да, то рассматриваемый сложный индекс заменяется индексом 3» (там же, стр. 240).
Разберем еще один пример, приводимый Т.Н. Молошной. Дано предложение:
All the solutions of dy/dt = Ay approach O as t → ∞
´Все решения (уравнения) dy/dt = Ay стремятся к О, когда t → ∞`.

Этому предложению соответствует цепочка индексов:
NД 1F1 (2 + 1) 1Y1,
где слову approach соответствует сложный индекс (2 + 1) в связи с тем, что слово approach в одных контестах является глаголом, а в других существительным.
Здесь действует следующее правило:
«Имея (1, 2⁺) или (1, 2ˉ), проверяем, не стоят ли перед неразобранным индексом 2⁺ F, 2b 2⁺ing F, 2b 2⁺ed F, 2˟ 2ed F. Если один из них стоит, то заменяем сложный индекс на индекс 2⁺ или 2ˉ. Если не стоит, то проверяем, нет ли вправо или влево до точки или запятой J или I индексов 2⁺, 2ˉ, 2b, 2⁺ed, 2b 2ˉ ed, 2˟ 2⁺ed, 2b 2ˉ ing, 2˟ 2ˉ ed. Если есть, то заменяем сложный индекс на индекс 1, если нет, то на 2⁺ или 2ˉ» (стр. 241).

Подобным же образом разбиряются и другие случаи грамматической омонимии.
Интересно сравнить методы конфигурационного анализа языка с одным методом анализа, который часто используется в зарубежной литературе по машинному переводу. В этой сфере он был применен Бар-Хиллелом (Bar-Hillel,1953), а основан он на идее синтаксической связности, выдвинутой польским логиком К. Айдукевичем (Aidukiewicz, стр. 1-27; Suszko, стр.9).
В основе теории Айдукиевича лежит понятие семантической категории (Bedeutungskategorie), т.е. он исходит из смысла выражений. А именно, два слова или выражения А и В принадлежат к одной и той же семантической категории, если А, взятое в смысле х и употребленное в некотором высказывании Sа, можно заменить на В в смысле у, так что сохраняется смысл остальных частей и членение высказывания и Sb также является высказыванием.
Айдукевич отмечает, что к данной семантической категории относятся не только отдельные слова, но и целые группы слов (т.е. то, что Т.Н. Молошная назвала «кофигурациями»). Он строит свою теорию связности таким образом, чтобы группа слов («кофигурация») получала индекс той же категории, что и отдельное слово, принадлежащее к этой категории. Это достигается при помощи метода «сокращения индексов». Каждому слову присвоен индекс:
а) n, если оно является именем;
б) s/n, если оно является непереходным глаголом; s/(n) [n], если оно является переходным глаголом; и вообще s/(α1)…( αi) [β1]… [βj], если оно входит в базисную конфигурацию со словами, имеющими индексы αi и βj, где αi и βj – индексы, составленные из элементов n и [n];
в) s/n/s/n, если слово является обстоятельством в группе глагола; n/n, если слово является определением к существительному; n/n/n/n, если слово является наречием, относящимся к определению, и вообще α/α, если слово является сократимым членом в конфигурации, основному слову которой присвоен индекс α;
г) Некоторые элементы можно рассматривать как операторы, превращающие элемент одной природы в элемент другой природы, так, предлоги превращают элемент с индексом n в элемент с индексом s/n/s/n или n/[n], т.е. атрибут к имени или глаголу; вспомогательные глаголы (типа немецкого sein) превращают имя или атрибут к имени в элемент с индексом s/n.
Исходя из этого, предлогу может быть присвоен индекс s/n / s/n/(n) или n/[n]/(n), вспомогательному глаголу индекс s/n/[n], и т.п.
Пусть теперь для каждого элемента языка получены применением указанной процедуры соответствующие индексы.
Тогда каждой фразе соответствует некоторая последовательность индексов: i₁ i₂ … in. Условимся теперь, что если в последовательности индексов стоят рядом два такие индекса, что весь правый индекс совпадает со стоящим в круглых скобках знаменателем левого индекса или весь левый индекс совпадает со стоящим в квадратных скобках знаменителем правого индекса, то совпадающие индексы взаимно сокращаются.
Например, пусть нам дана фраза:
´Очень маленькая девочка гуляла там`.
Ей соответствует последовательность индексов
n/(n) / (n/n) n/(n) n s/[n] s/n / s/n
Путем последовательных сокращений получаем:
1) n/(n) n s/n
2) n s/[n]
3) s
Аналогично для немецкого примера, приведенного Айдукевичем:
Der Flieder duftet stark.
n/(n) n s/n s/n / s/n
получаем в конце концов S.
Фразе: ´Он поднялся на высокий холм` будет соответствовать следующая цепочка символов:
n s/n s/n / s/n /n n/(n) n.
Последовательным сокращением мы снова получаем S.
Значение индексации Айдукевича в следующем. Как мы уже видели, не всякому слову соответствует один индекс, поскольку одно и тоже слово может входить в разные конфигурации. Такое слово, как vor в немецком языке должно получить индексы как предлога, так и элемента, относящегося к глаголу.
Сопоставляя соответствующие цепочки индексов, мы можем чисто механическим путем определить, какой индекс при анализе данного предложения должен быть выбран, ср.:
er schlägt etwas vor für Peter
с двумя возможными индексами для vor:
s/n / s/n /(n) и s/n / [s/n]
1) n s/n /(n) n s/n / s/n /(n) n
и 2) n s/n/(n) n s/n / [s/n] s/n / s/n /(n) n
Если вторая цепочка при сокращении дает S, то первая, как легко проверить, дает при сокращении последовательность,
S s/n / s/n /(n) s/n / s/n,
которая далее не сокращается. Это и означает, что один из индексов был выбран неправильно. Так, часто машинным путем можно проверить правильность грамматического анализа текста.

§ 34. Анализ через синтез

Снятие грамматической омонимии, как мы видели, достигается путем процесса порождения омонимичной конструкции. Подобные приемы анализа через синтез необходимы не только для решения вопроса об омонимии – в неявном виде они присутствуют при любом анализе. Восстановление процесса синтеза конструкций по непосредственно составляющим или же по правилам трансформации особенно действенно всякий раз, когда неясны отношения между элементами некоторой грамматической структуры.
Рассмотрим для примера анализ немецких определительных сложных существительных.
Такие слова, как например, Produktionsmittel легко разлагаются на составные части: Produktion и Mittel, перевод таких слов стандартен: это, как правило, следующая модель:
Produktion=s=mittel

средство производства (род. п., ед. ч.)

Таких слов очень много, и для них не нужно запоминать все слово, например, такое, как Produktionssteigerung.
Легко сформулировать даже машинное (автоматическое) правило разложения таких слов на составные части. Машина должна сверить вводимое слово с запоминаемыми, найти слева направо наибольшее из запоминаемых, целиком умещающееся в данном вводимом слове, таким запоминаемым будет для Produktionsmittel слово Produktion, при данном запоминаемом должно быть указано, с какими соединительными элементами слово вступает в словосложении (в нашем примере -s-), этот соединительный элемент должен быть отброшен и остающая часть таким же образом проверена в словаре. Эта процедура может быть проведена несколько раз, и таким образом можно получить поэлементный перевод слов типа:
Bleidioxydschicht – ´слой перекиси свинца`, Gefrierpunktserniedrigung – ´понижение точки замерзания` и т.п.
Ясно, что хранить все подобные слова в словаре невыгодно, тем более, что любой автор образует новые слова данного типа. Достаточно помещать в словаре целиком лишь слова с нестандартным переводом, например, Stickstoff ´азот` и т.п.
Конечно, анализ сложных слов может в отдельных случаях представить значительные трудности, например, Э. Рейфлер указывает на воможность двоякого разложения сложного слова («Машинный перевод», стр. 198). Примером может служить слово Arbeitsamt, которое можно разложить двояко:
Arbeit-s-Amt
Arbeit-Samt
Но часть таких вопросов решается введением указания на возможные соединительные элементы (см. выше), в остальном же можно считать, что такие случаи достаточно редки (таков характер почти всех примеров, приводимых Рейфлером).
Интересно, однако, что в принципе в любом случае анализа так называемых определительных сложных существительных немецкого языка необходимо обратиться к истории порождения. В самом деле, для того, чтобы перевести слово Unions – Landwirtschaftsausstellung, нам необходимо знать отношения между компонентами, а для этого нужно знать историю порождения этого слова. Если же мы восстановили схему порождения, имеющую вид
S

Unions | = Land | wirtschafts | ausstellung
и знаем, что в каждой точке ветвления левая часть зависит от правой, то перевод дать нетрудно: ´Всесоюзная выставка сельского хозяйства` или ´Всесоюзная сельскохозяйственная выставка `.
Здесь мы рссмотрели вопросы, связанные с историей конфигурационного порождения. Теперь обратимся к трансформационной истории переводимого текста. Для постановки артикля при однородных членах необходимо знать, возникли ли эти однородные члены путем развертывания из одного элемента – тогда соответствующее сочетание обозначает единство, и артикль относится ко всему сочетанию – или же они возникли из слияния двух предложений – тогда соответствующее сочетание обозначает два разных понятия, и артикль ставится перед каждым словом. Пусть нам дано сочетание ´рабочие и крестьяне` в смысле все ´рабочие и крестьяне`. Мы переведем его при помощи сочетания: die Arbeiter und Bauern, т.к. можно считать, что это конфигурация, соответствующая, например, слову die Werktätigen. Однако при переводе сочетания ´рабочие и капиталисты` нужно повторить артикль: die Arbeiter und die Kapitalisten, т.к. обычно такие сочетания возникают из слияния предложений.
Приведем еще один пример, когда знание порождающего процесса необходимо для правильной постановки артикля. Возьмем сочетание: ´5-й лондонский съезд партии`.

Если порождение этого сочетания можно представить схемой:

5-й лондонский съезд партии
то тогда нужен лишь один артикль, но числительное 5-й определяет все сочетание ´Лондонский съезд партии`, и тогда получается, что все пять съездов партии состоялись в Лондоне.

Если же порождение представить как трансформацию, получившуюся путем объединения двух схем:

5-й съезд партии лондонский съезд партии

то тогда нужно два раза повторить артикль (или артикль + существительное), ср. нем. der fünfte, der Londoner Parteitag, фр. le 5 ͤ Congrès du Part, le Congès de Londres.
Аналогичный пример. Если для перевода сочетания ´III коммунистический Интернационал` мы употребим в немецком языке сочетание die dritte kommunistische Internationale, или во фр. языке la troisième Internationale communiste, то это будет значить, что все 3 Интернационала были коммунистические; известно, однако, что о II Интернационале этого никак нельзя сказать. Таким образом, и здесь необходимо употребить форму нем. die dritte, die Kommunistische Internationale, фр. la Troisième Internationale, l’Internationale communiste.
Знание трансформационной истории помогает разграничить в русском языке два вида многократного отрицания.
1) Повторение отрицания, служащее для усиления; такое многократное отрицание передается в ПЯ однократным отрицанием. ´Я не могу ничего об этом рассказать` – мы можем перевести на немецкий язык: Ich kann darüber niemand etwas erzählen или Ich kann darüber keinem etwas erzählen. Отрицание такого рода, сколько бы раз оно ни стояло, не влияет на смысл, поэтому фразы с разным количеством отрицаний можно рассматривать как варианты одной фразы.
2) Двойное отрицание, возникающее в результате трансформации, сохраняющей утвердительный смысл предложения, например: ´я не мог не рассмеяться` из ´я рассмеялся` или ´я должен был рассмеяться`. При переводе таких предложений мы можем воспользоваться конструкцией нем. nicht umhin können, ср. фр. ne pouvoir s’empêcher.

Знание трансформационной истории нужно и для перевода деепричастных оборотов русского языка.
Дело в том, что в русском языке деепричастный оборот может иметь самые разнообразные обстоятельственные значения, возникающие в результате трансформирования разных придаточных предложений.
Это может быть значение времени. Например, ´ко всему он относился вяло и небрежно, все презирал, и даже, поедая свой вкусный обед, брезгливо фыркнул` (Чехов, «Каштанка»). ´поедая свой вкусный обед, ↔ когда он поедал свой вкусный обед`.

Значение причины. ´Предчувствуя неизбежную разлуку, он хотел по крайней мере остаться ее другом` (Тургенев, «Отцы и дети»). ´Предчувствуя разлуку ↔ так как он предчувсвовал разлуку`.

Значение условий. ´Однако, болтая с тобой, грибов не наберешь` (Пушкин, «Барышня-крестьянка»). ´Болтая с тобой ↔ если болтать с тобой`.

Уступительное значение. ´Так тяжкий млат, дробя стекло, кует булат` (Пушкин) ´Дробя стекло ↔ хотя он дробит стекло` и т.п.

Восстановление трансформационной истории необходимо и при анализе отношений сочетаний с абстрактным отглагольным существительным. Лишь трансформационный анализ этих сочетаний выявит, является ли их второй член дополнением или логическим субъектом отглагльного существительного. Ср., например, нем. die Regierung Frankreichs, ´правительство Франции` и zur Zeit der Regierung des Königs Heinrich IV ´во время правления короля Генриха IV`.
Ср. аналогичное явление при переводе сочетания: ´укрепление государства`. Это сочетание может соответствовать двум предложениям:
а) ´(рабочие и крестьяне) укрепляют государство` и
б) ´государство укрепилось`.

В переводе на немецкий язык значению а) будет скорее соответсвовать перевод die Festigung des Staates, а значению б) скорее соответсвует перевод: das Erstarken des Staates.
Ср. также ´Каждый из двух конгрессов имел большое значение для сплочения масс`, т.е. ´… имел большое значение для того, чтобы сплотить массы`, фр. Chacun des deux congrès a été très important dans l’oeuvre de cohésion des masses.

§ 35. Общие вопросы синтаксического анализа текста

В § 33 и § 34 основное внимание уделено тому значению, которое приобретают для теории перевода понятия, выработанные в практике машинного перевода. Мы, однако, не говорили о том, каким образом в машинном переводе выявляются синтаксические связы между словами в общем случае, т.е. когда члены конфигураций расположены не обязательно контактно. Этот процесс важен для теории перевода потому, что они как бы моделирует тот метод проб и ошибок, который часто (по крайней мере, на начальных этапах) имеет место при «человеческом» анализе текста на малознакомом языке. Предварительно небесполезно проследить, как проходит соответсвующий процесс у человека.
Возьмем предложение:
Oil immersed transformer windings are now usually made with paper covered conductors.
Анализ («пассивная грамматика») предполагает, как было сказано в § 17, что для каждой словоформы дан полный перечень ее функции, т.е. ее грамматических значений. Берем первое слово oil, оно может быть подлежащим, переводим словом в именительном падеже: ´масло`. Второе слово immersed тогда придется рассматривать как сказуемое (данная словоформа вполне может быть глаголом в прошедшем времени). Получаем – ´масло погрузило`; третье слово переводится тогда как дополнение: ´масло погрузило трансформатор`. Следующее слово также является существительным, поэтому предшествующее не может переводиться как существительное. Переделываем перевод: ´ масло погрузило трансформаторную обмотку`. Однако следующее слово are показывает, что сделанные ранее предположения о функциях всех слов неверны, т.к. are обязательно является сказуемым или частью сказуемого; между тем, для этого сказуемого нет подлежащего. Таким подлежащим может быть лишь слово windings. Итак, имеем ´трансформаторная обмотка делается`. Это заставляет предположить, что immersed не глагол, а причастие (такая функция также имеется в первоначальном перечне значений), и должно переводиться словом ´погруженная`. Отсюда следует, что слово oil зависит от этого причастия и должно переводиться косвенным падежом. Получаем окончательный перевод ´Погруженная в масло трансформаторная обмотка делается…`. Окончательным этот перевод назван потому, что дальше мы не встречаем слов, которые свидетельствовали бы о том, что наш анализ произведен неверно. Так же анализируется и вторая часть предложения.

Разберем теперь аналогичный немецкий пример:
Die zusätzliche Produktion kann nicht losgelöst von den Planaufgaben in Angriff genommen werden, wie es in der Vergangenheit vielfach geschah.
Ключом к переводу является правильное выделение подлежащего и сказуемого. Подлежащее в главном предложении выделяется легко (Die Produktion). Сказуемое явно сложное. Первая часть его (kann) стоит, как и полагается, на втором месте. Но какова вторая часть? Если считать, что это genommen werden, то перевод, как в этом не трудно убедиться, получится бессмысленным. В данном случае необходимо знать, что in Angriff nehmen представляет собой единство, имеющее значение ´приступить к чему-либо`, ´начинать что-либо`. Посмотрим, однако, нет ли в предложении какой-либо другой формы глагола, которая также может служит частью сказуемого. Рассмотрим с этой точки зрения причастие losgelöst. Оно по формальным признакам могло бы входить в сказуемое (die zusätzliche Produktion kann nicht losgelöst warden). Однако в этом случае, во-первых, указание на объект (von den Planaufgaben) не могло бы стоять после losgelöst, а во-вторых, часть предложения in Angriff genommen warden повисла бы в воздухе. Таким образом, мы установили, что losgelöst не входит в состав сказуемого. Значит, оно образует самостоятельную группу losgelöst von den Planaufgaben – ´изолированные от плановых заданий` (Шванебах, Ревзин, стр. 101-102).
Переводы такого типа, как наш первоначальный вариант, неизбежно возникают у каждого обучающегося переводу, однако они обычно просто квалифицируются как ошибки, что вовсе не гарантирует от появления подобных ошибок в дальнейшем. Если эти вполне закономерные «ошибки» будут использованы в качестве этапа на пути нахождения перевода, то эффективность овладения навыками перевода только повисится. Общеизвестен логический принцип, по которому обнаружение противоречия всегда ведет к увеличению знаний.
Ниже будет изложен один из методов общего синтаксического анализа текста. Этот метод предложен Ю.С. Мартемьяновым . Он состоит в следующем.
Под синтаксическим анализом предложения понимается установление синтаксических связей между словами с указанием на главный и зависимый член. Такие связы в дальнейшем называются «доминативным отношением» или отношением подчинения.
Для выявления максимального количества доминативных отношений, объединяющих слова предложения, оказалось удобным иметь три основных класса слов и два правила, связывающие эти классы.
Классификация основывается на особых синтаксических признаках:
1) активная способность быть зависимым (сокращенно АЗ);
2) активная способность быть главным (сокращенно АГ);
3) пассивная способность быть главным (сокращенно ПГ).
Для 1 и 3 признака введено дополнительное различение, учитывающее относительное расположение слов в речи: следование по ходу речи – слева направо (п) и обратное следование – справа налево (л).
Соответственно, признаки АЗ и ПГ выступают в двух вариантах: Азп и Азл; ПГп и ПГл, т.е. «активная способность быть зависимым от левого», «пассивная способность быть главным для правого» и такая же «для левого».
Даются следующие два основных правила:
I. «Если для слова x из класса элементов с признаком АЗ (сокращено – из класса АЗ) в предложении найдется с определенной стороны слово из класса элементов с соответствующим признаком ПГ, то (при отсуствии некоторых запрещений – об этом ниже) между x и y следует установить доминативное отношение, где слово у будет главным».
II. «Если после слова х из класса АГ в предложении есть еще какие-либо слова y, t, z не из класса АЗ, то каждое из этих последующих слов следует объединить со словом х в доминативное отношение, где х будет главным членом».
Эти два правила с их вариантами, и составляют основу синтаксического анализа.
Пусть все синтаксические признаки (кроме трех основных, введено еще несколько дополнительных, см. ниже стр. 205 и сл.) приписаны словам в словаре.
Пусть далее, нужные слова переписаны из словаря в сводную таблицу предложения и получили порядковые (абсолютные) номера. Тогда установление доминативных отношений будет, очевидно, состоять в последовательном отыскании активного члена (АЗ или АГ), предусматриваемого в правилах I-II, в поиске (с соответствующей стороны и при учете определенных условий) второго члена и в выполнении соответствующего следствия: «припиши зависимому члену отношения в графу «относительных номеров» абсолютный номер главного члена». Таким образом, относительный номер указывает, какому слову подчинено данное слово.
Вначале действует группа операций, устанавливающая доминативные отношения по правилу I: Iа – для АЗл и Iв – для АЗл. Специальная группа операций, устанавливающая доминативные отношения по правилу II, применяется позднее. Конечным «выходом» работы каждой группы операций является появление относительных номеров у соответствующих слов.
Так, для слов английского предложения (P): The (1) chief (2) members (3) of (4) the (5) common (6) Market (7) seem (8) too (9) little (10) perturbed (11) by (12) Maudling’s (13) pro position (14) of (15) the (16) free (17) trade (18) area (19) including (20) only (21) seven (22) nations (23) (в скобках представлены абсолютные номера слов) будут получены следующие результаты.

Результаты синтаксического анализа предложения (P) по группам операций
Группа операций Iа)

абсол. номера
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
относ. номера
2 7 7 14 18 18 22 23

Группа операций Iб)

абсол. номера
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
относ. номера
2 3 7 7 10 11 8 13 14 14 18 18

Группа операций II

абсол. номера
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
относ. номера
2 3 7 7 4 10 11 8 13 14 12 14 18 18 15 19 22 23

Рассмотрим теперь дополнительные синтаксические признаки слова. Для обработки слов по правило I необходимо введение дополнительного признака «ориентированности на главное или ближайшее неопределенное слово». Пусть правее слова АЗп (или левее АЗл) в предложении находятся сразу два соответствующих слова ПГ, причем пусть они будут связаны доминативным отношением; the (АЗп) Common (ПГл) Market (ПГл). По общему правилу I всякое слово АЗ должно связываться с ближайшим словом ПГ, как это имеет место, например, для слов 9-10 (too little) и 21-22 (only seven). Однако для слова the общее правило не привело бы к желательной связи с более далеким из двух слов ПГ – Market. В подобных случаях признак АЗ приходится уточнять, вводя в синтаксическую кодировку слова дополнительный признак «ориентированности на главное». Оказалось, что слово с признаком АЗ может зависеть от более далекого из двух слов ПГ лишь в том случае, если это более далекое объединено с более близким в доминативное отношение и при этом является главным.

Для использования этого дополнительного признака необходимо, чтобы к моменту обработки слова АЗ было уже установлено, какое из двух слов ПГ является главным. Это достигается тем, что перебор слов при анализе идет в определенном направлении. При обработке слов АЗп перебор совершается от конца предложения к началу, при обработке слов АЗл – наоборот.

Следует отметит, что признак «ориентированности на главное» не имеет в виду никаких иных сведений, кроме тех, которые выявляются в результате предшествующей синтаксической обработки. С точки зрения грамматики желание связать the с Market обусловлено тем, что в анлийском языке элемент части речи «артикль» обычно сочетается, т.е. образует «конфигурацию», с элементами части речи «существительное». Но тем самым, в правильно организованном английском предложении, артикль все равно не будет отделен от своего существительного никаким словом, которое могло бы оказаться для этого существительного главным (например, между артиклем и его существительным не может оказаться глагол, но только прилагательные и определения к прилагательным). Именно поэтому, при анализе готового, правильного английского предложения знание конкретной части речи, с которой нужно связать артикль и т.д., может быть не обязательным.
К классу АГ, обрабатываемому по правилу II, отнесены одинаково слова типа of, by (предлоги) и слова типа seem, perturbed (глаголы). Такое объединение приводит к необходимости ввести некоторое дополнительное различие: уже в нашем предложении слово of, если применит к нему правило второе, оказалось бы главным для последующего слова seem, а слово by – главным для последующего of, что нежелательно. Выражаясь в терминах обычных частей речи, их «способность быть главным» следовало бы ограничить ближайшим справа «существительным». Однако, вместо ссылки на конкретную часть речи, мы будем ссылаться на результаты предшествующей обработки, введя уточняющий признак «ограниченности ближайшим главным из последующих слов». Это тем более удобно, что, например, для английского языка подчиняющее действие предлога ограничивается не просто существительным, но главным из цепи последующих существительных (of the free trade area, by the chief members см. ниже).
После выполнения этих операций слова предложения оказываются носителями определенных синтаксических отношений, связывающих их с другими словами того же предложения. Синтаксические отношения, выявляемые у одного слова, могут отличаться от синтаксических отношений другого слова по своему качеству и количеству (см. пример на стр. 204).
Своеобразие синтаксических функций разных слов, устанавливаемое на соответствующем этапе анализа, целиком обусловлено исходным различием в синтаксической кодировке слов (см. таблицу на стр. 210). Синтаксические признаки содержат как бы в свернутом виде все возможности речевых связей слова в любом предложении. Они открывают возможность разложить на составные элементы те нерасчлененные комплексы синтаксических свойств, которые приписываются обычно той или иной традиционной части речи. Последние предстают как наборы различительных («дифференциальных») признаков.
С первого взгляда, в синтаксической кодировке разных слов легко опознать некоторые устойчивые наборы признаков, регулярно повторяющиеся для многих слов. Например, набор единиц в графах 17-18-19-20 соответствует «предлогу»; единицы в графах 10-12-16 обозначают «прилагательное»; единицы в графах 10-12-19-20 – «артикль»; единицы в графах 14-17-18-19-20 – «подчинительный союз». Описание перечисленных частей речи с помощью дифференциальных признаков выглядит весьма простым и в то же время оно достаточно полно, что свидетельствует о сугубо синтаксической природе соответствующих частей речи. Другие традиционные части речи английского языка (глагол, существительное) синтаксически неоднородны: если глагол выступает в форме инфинитива (или настоящего времени), он описывается набором 15-16-17-19-20 (seem). Глагольной форме на -ing (including) соответствует более широкая синтаксическая информация: 10-11-12-15-16-17-19-20, дополняющая глагол признаками, которые сближают его с прилагательным.
Существительное в прямом падеже (Maudling, Market, area) кодируется двумя признаками 15-16, в косвенном падеже – Maudling’s – оно более информативно: 10-11-12-15-16.
Учет признаков, приписанных аффиксам, может исключить некоторые синтаксические признаки: глагольная основа, при которой обнаружен суффикс -tion (или -ment, -ence, -er), утрачивает признаки 17-19-20, уподобляясь существительному (proposition).
Одиннадцати признаков, используемых при кодировке, оказывается достаточно, чтобы обеспечить различную обработку не только разных частей речи, таких, напимер, как «предлог» и «прилагательное», но и отдельных слов внутри одной и той же части речи: так, предлог of, обычно зависимый от предшествующего существительного, получает признак АЗл, в то время как для by, который стоит после глагола, обладающего собственными средствами подчинения (признаком АГ), признак АЗл был бы лишним.
После описания частей речи в дифференциальных признаках, синтаксическая обработка каждой части речи распадается на ряд последовательных циклов, занимающихся лишь определенной частью синтаксических свойств.
Преимущество такой раздельной обработки отдельных синтатических признаков очевидно: элементарных синтатических признаков гораздо меньше, чем частей речи, которые ими описываются. «Синтаксический смысл» таких признаков уже раскрыт в ограниченном числе правил анализа. В тех пределах, пока отдельная часть речи может быть описана в предлагаемых признаках, особенность ее обработки будет заключаться лишь в особой комбинации правил, соответствующих этим признакам.
Мы уже говорили в § 23 о синтаксической омонимии. Посмотрим тепер, как эту проблему можно изложить в терминах теории Мартемьянова. Омонимом будет слово, у которого в двух разных условиях оказались реализованными разные признаки. Так, прилагательное (10-12-15-16), у которого нереализованными в некоторых конкретных условиях оказались признаки 10-12, синтаксически уподобляется в этих условиях «существительному» (15-16). Предлог (18-19-20), для которого в данном предложении не нашлось последующего существительного и тем самым остался неиспользованным признак 18 (АГ), превращается в «наречие» (19-20). Еще больше возможностей для такой омонимии у формы на –ing, синтаксический код которой содержит наборы признаков, свойственных «существительному», «глаголу» и «прилагательному».
Во всех этих случаях синтексическая омонимия слова может рассматриваться как результат разной контекстной реализации одного и того же набора синтаксических признаков. Эта омонимия вполне может не находить отражения в постоянном синтексическом коде слова. Словам типа common, any, bad следует всегда приписывать признаки 10-12, словам типа with, by – признаки 18, форме на –ing – максимальный набор возможных у нее признаков.
Различная реализация этих наборов целиком оставляется на синтаксический контекст соответствующего предложения.
Вернемся теперь к нашему предложению. К концу обработки текста по правилам процедуры (см. стр. 204) в анализируемом предложении осталось несколько несвязанных между собой отрезков:
а) отрезок (1-2);
б) отрезок (3-7);
в) отрезок (8-18);
г) отрезок (19-23).
Для установления доминативных отношений между этими отрезками описанный способ недостаточен.
Синтаксический анализ, опирающийся на дифференциальные признаки слов, возможен лишь постольку, поскольку эти признаки приписаны слову постоянно; понятно, что постоянный код может быть полезен лишь в том случае, если для любых предложений, где встречается это слово, он приводит к установлению одных только желательных связей.
Желаемое подчинение слова trade слову area (так же, как слова chief слову members) нельзя предусмотреть никакими признаками, не рискуя получить в каком-либо другом предложении нежелательную связь.
Ограниченность применения синтаксической кодировки слов нельзя считать недостатком разбираемого способа. Зависимость предшествующего существительного от последующего можно рассматривать как речевой эффект, в основе которого лежат особые возможности самого контактного соположения слов. Эти возможности реализуются в различных языках по-разному: английский язык предпочитает препозицию, а, например, французский, – постпозицию. В таком случае описываемый способ анализа, опирающийся на постоянные синтаксические свойства слов, по самой своей сути не может распространяться на случаи типа trade area.
Случаи связывания, объясняемые фактом характерного взаимного расположения смежных слов, следует выделить в особый синтаксис; назовем его синтаксисом II.
Правила 1а, 1в, II служат только для описания синтаксиса 1. Они не претендуют на выявление всех отношений, существующих в предложении. Их роль – свертывание предложения к минимуму отрезков, дальнейшее связывание которых либо не нужно, либо не представляет трудности.
Для описания синтаксиса II (в нашем случае – для установления доминативных отношений chief members и trade area) составлена специальная группа правил III, о которой здесь не рассказывается.
Наконец, совершенно особым случаем следует считать связывание двух оставшихся отрезков: the chief members… и perturbed… .
Это уже не синтаксис II, который имеет дело с взаимным расположением смежных слов: это и не синтаксис I, ибо совершенно невозможно предусмотреть в постоянном синтаксическом коде слова далеко не постоянную функцию «подлежащего» и «сказуемого». Но это и не нужно: для большинства предложений подлежащее и сказуемое автоматически выявляются в ходе свертывания как две основные независимые «вершины» предложения, опознание которых не представляет никакой трудности.
К тем синтаксическим признакам слова, которые приписаны его основе в словаре (или «таблице основ»), могут добавляться признаки от аффиксов, записанные в соответствующей морфологической таблице. Поэтому синтаксический алгоритм предваряется отдельным этапом – правилами морфологического анализа (группа правил А), благодаря которым осуществляется отождествление всех морфем текстовых слов с морфемами таблиц. Этот этап заканчивается выборкой информации из общих таблиц языка в сводную таблицу предложения (см. таблицу) после чего и проводится синтаксический анализ, описанный выше.

§ 36. Семантические вопросы синтеза

В результате лексического и грамматического анализа текста ИЯ выделяется, как мы видели, некоторая последовательность единиц перевода и отношений между единицами, т.е. план содержания сообщения зафиксирован в виде некоторого набора элементарных смыслов и отношений в языке-посреднике.
Рассмотрим сообщение, проанализированное с точки зрения перевода, т.е. прошедшее этап анализа. Возьмем предложение:
´Я одолжил моему брату 500 рублей на покупку автомобиля`.

Можно себе представить проанализированный текст, разбитый таким образом, что сообщение в результате анализа примет следующий вид:

Первое
лицо,
ед. число А каузи-
рует имение
для В и В кау-
зирует имение для А Принад-
лежность,
первое
лицо, ед.
число Сын тех
же матери и отца 500
рублей В каузи-
рует имение для себя с оплатой Автомо-
биль

Для того, чтобы завершить процесс перевода, необходимо заменить эту последовательность единиц плана содержания элементами плана выражения, т.е. составить текст на ПЯ. В этом и заключается синтез.
Каким образом, по каким правилам мы будем выбирать в ПЯ единицы, необходимые для составления текста? Рассмотрим вкратце этот вопрос.
В результате анализа мы распологаем набором элементарных значений. Некоторым из этих значений будут однозначно соответствовать слова в ПЯ. Сюда относятся многие слова, означающие предметную соотнесенность: ´автомобиль`, ´дерево`, ´цветок`, ´собака`, ´стол`, ´карандаш`, ´дышать`, ´читать`, например, фр. automobile, arbre, fleur, chien, table, crayon, respirer, lire и т.д., или же абстрактные понятия, одинаково построенные в ИЯ и ПЯ (ср. ´физиономия`, ´артериосклероз`, ´платежный баланс`, ´необходимость`, ´вероятность` и т.п., фр. physionomie, artério-sclérose, blance de paiements, nécessité, probabilité).

Правда, в некоторых языках существуют варианты слов, употребляемые в разных этнических коллективах. Так, например, при переводе на английский язык приходится учесть американские варианты английских слов (ср. baggage: luggage; bill: note – ´банковский билет`; can: tin ´консервная банка`, car: coach ´железнодорожный вагон`, corn: tin ´кукуруза`, store: shop ´магазин` и т.д.).
Это, тем не менее, принципиально не меняет вопрос о синтезе подобных слов: достаточно привести соответствующую помету в словаре.
Количество слов, одинаково членящих действительность в ИЯ и ПЯ, т.е. совпадающих в плане содержания, особенно велико в научных текстах, как ив других отраслях, в которых осуществляются регулярные контакты между языками.
Как правило, однако, между набором элементарных единиц языка-посредника словами ПЯ однозначного соответствия нет. Рассмотрим для примера английское предложение Bleriot flew across the channel. Его фр. перевод: Blériot traversa la Manche en avion (Vinay; Darbelnet, стр.105), где английским словам flew across поставлены в соответствие traversa en avion. Каков механизм этого перевода? На этапе анализа английского предложения был выделен следующий набор семантических единиц: двигался + воздушным путем (flew) + путем пересечения (across). Затем из этого набора были синтезированы французские слова: traverser двигаться путем пересечения + en avion (воздушным путем). Произошло, таким образом, некоторое перераспределение элементарных смысловых единиц, соотносящихся со словами, но в целом единица перевода синтезирована, т.е. построено сообщение в ПЯ, соответствующее по смыслу исходному тексту.
Существенно отметить, что при синтезе приведенной французской фразы перераспределение элементарных смысловых единиц по словам было обязательным. Подобное перераспределение потребуется и при переводе этой фразы на русский язык, причем здесь три элементарных значения (двигаться + воздушным путем + путем пересечения) будут выражены одным словом – перелетел (Блерио перелетел Ла-Манш). Тот факт, что выражение этого набора значений в русском языке иное, чем в английском или французском, связан с иным словообразованием, и хотя важен сам по себе, но не имеет решающего значения для синтеза: главное, что требуется при синтезе – построить сообщение, соответствующее набору значений в плане содержания. Способ же выражения этого значения может быт разным: одно и то же значение может быть выражено лексически, причем разными словами, или морфологически (Мельчук 1960,1961). Так, например, слово «дать», содержащее две элементарные семантические единицы (каузировать и иметь), может быть при переводе его на английский или французский языки быть синтезировано не только через give, doner, но и через let have и faire avoir. Такой способ синтеза, весьма распространенный в английском и французском, а также и в немецком языках, позволяет гибко выражать субъектно-объектные отношения. Достаточно добавить, например, вспомогательный глагол faire к французскому непереходному глаголу в инфинитиве, чтобы этот глагол выражал факт воздействия, каузативность. Так, значение сигнализации, посылки сообщений может быть выражено не только соответствующими глаголами (dire, montrer и т.п.), но и глаголами, означающими восприятие сообщения (entendre, voir и т.п.). Ср. следующие тексты:
´Раздался какой-то глухой шум` – un bruit se fit entendre; ´глухо прозвучал звонок` – la sonnerie sourde venait de se faire entendre; ´он показал ему лошадь` – il lui fit voir le cheval; ´новость, которую я здесь привожу` – les aventures qu’on va lire; ´люди бормотали` – on entendait murmurer; ´он повторил анекдот` – il se fit l’écho d’une anecdote; ´он молчал` – il ne soufflait mot; ´он самоуверенно засмеялся` – il partit d’un éclat de rire assuré.

При переводе с немецкого или с русского на французский часто возникает необходимость перестройки всего предложения, в особенности при выражении причинно-следственных отношений. Дело в том, что французский язык при выражении каузативности при помощи глагола faire и других подобных способов предполагает такой порядок слов, при котором субъект действия находится на первом месте, а соответствующие объекты следуют за сочетанием faire + глагол в инфинитиве. Ср. Robert regarde un paysage и Albert fait voir un paysage à Robert, в то время как немецкий и русский языки предпочитают выражать причинную связь обстоятельственными словами. Этим и вызвана соответствующая перестройка при синтезе французского предложения. Ср. следующие примеры (Malblanc, стр. 27-28):
Davon zittern die Fensterscheiben – Cela fait trembler les vitres; Bei diesen Worten erbleichte Hans – Ces paroles firent pâlir Jean (наряду с A ces mots Jean pâlit); Vor dem nahen Feind entflohen die Einwohner in die Wälder – L’approche de l’ennemi fit fuir les habitants dans les forêts. Ср. также аналогичные примеры перевода с русского: ´Вы боитесь моих слов` – Mes paroles vous font peur; ´он смеялся и подчас сам не знал и не понимал, чему смеялся` – Il riait et parfois ne savait ni ne se rappelait lui-même ce qui le faisait rire; ´Чем люди живы` (Л.Н. Толстой) – Ce qui fait vivre les hommes; ´Через них она забыла свою черную беду` (Достоевский «Идиот») – Ils lui firent oublier sa misère (наряду с Par eux elle oublia sa misère noire) (Tesnière, стр. 296). ´Гроза не дает мне спать` – L’orage m’empêche de dormir; ´Я все равно ее люблю` – Ça ne m’empêche pas de l’aimer.

Отличие отрицательной антикаузативности («непрепятствования»), выраженной фр. ne pas empêcher и положительной каузативности (разрешения), обнаруживается при синтезе французского текста введением слов с элементарным смыслом уступительности (si vous voulez, je veux bien, j’y consens, soit, d’accord). Ср.: ´Колпаки, пожалуй, можно надеть и чистые` (Гоголь) и фр. «On peut leur mettre des bonnets propres si vous voulez; Je veux bien qu’on leur mette des bonnets propres; j’y consens; Soit, qu’on leur mette des bonnets propres; D’accord, qu’on leur mette des bonnets propres» (Tesnière, стр. 299).
Семантическая взаимосвязанность субъекта, объекта и обстоятельств действия выражается, как мы видим, лексически, морфологически и синтаксически, что и понятно, поскольку эти отношения являются существенными для едва ли не каждого речевого сообщения. Некоторые синтаксические проявления такой взаимосвязы (например, отношение активных и пассивных конструкций) рассматривались нами ранее (§ 27).
Здесь следует обратить внимание на перераспределение элементарных смысловых единиц при синтезе фраз, выражающих залоговые отношения. Ср. следующие примеры: Pour quelques personnes, la fortune du vieux était un objet d’orgueil. – ´Были люди, которые гордились богатством старика`; Le bonhomme Grandet devint maire (Balzac) – ´Почтенный, уважаемый Гранде был сделан мэром` (перевод Достоевского).

Часто наблюдается перераспределение элементарных смыслов, выражающих обстоятельства действия. Наличие вспомогательных глаголов, выражающих каузативность, позволяет при синтезе текстов превратить группу слов, выражающих обстоятельства действия, в группу подлежащего. Ср., например:
´В 1962 году производство стали увеличилось на 8%`. -L’année 1962 a vu la production de l’acier augmenter de 8%, англ. 1962 saw the steel production rise by 8%.

Соответственно русские и немецкие наречия замещаются французским глаголом, а глаголы со значением конкретного образа действия – неличными формами глагола. Ср. der Fluβ steigt unaufhörlich – le fleuve ne cesse de monter; lesen Sie weiter – ´читайте дальше` – continuez à lire; er leugnet hartnäckig – ´он упорно отрицает` – il s’obstine à nier; Man hat sogar gesagt – ´даже говорили (говорилось)` – on est allé jusqu’à dire; нем. gern, русск. ´охотно` дают во фр. aimer: ich lese gern – j’aime à lire – ´я охотно читаю`. Ср. также перевод сравнительной степени от нем. gern-lieber, а также русск. ´лучше`, через фр. préférer, включающий сравнительно с aimer, дополнительный элементарный смысл, выраженный в сравнительной степени (je préfére – j’aime mieux): Ich lese lieber – ´я лучше почитаю` – Je préfére (j’aime mieux) lire. Ср. в обратном направлении фр. J’aime le vin – нем. Ich trinke gern Wein.

В заключение рассмотрим следующий вопрос. В § 32 мы видели, что слова, не имеющие соответствия в языке-посреднике и не являющиеся формулами, ставятся в соответствие с фонемными цепочками языка-посредника. При синтезе, в этом случае мы должны поставить в соответствие цепочкам фонем языка-посредника последовательность букв в ПЯ.

Здесь необходимо различать следующие возможности (Суперанская, стр. 44-81):
1) фонеме языка-посредника соответствует фонема ПЯ;
2) такого соответствия нет.
В 1-м случае фонема языка-посредника получает при синтезе такую же буквенную фиксацию, как и соответствующая фонема ПЯ, например:
(ʃɛn) из фр. Chesne русск. Шэн
(gaus) из нем. Gauβ русск. Гаусс
В 2-м случае фонема языка-посредника передается буквой, соответствующей одной из фонем ПЯ, в артикуляторно-акустическом отношении близкой к фонеме языка-посредника.
Такая ситуация особенно часто встречается при синтезе слов из фонем языка-посредника, соответствующих английским фонемам (ср. Аристов, 39-40), но она характерна и для перевода на другие языки, например, немецкий (Шванебах, Ревзин, 34-35).

Практика показывает, что при этом возникает известный разнобой; часто фамилии одного и того же лица пишутся (или, как обычно говорят, транслитерируются) по-разному в различных изданиях. Так, например, немецкие дифтонги ei и eu передаются не так, как произносятся согласно общенемецкой произносительной норме («ой», «ай»), а так как они звучат на юге Германии («ей»). Поэтому:
Feuchtwanger – Фейхтвангер, а не Фойхтвангер
Neues Deutschland – Нейес Дейчланд, а не Нойес Дойчланд
Leipzig – Лейпциг, а не Лайпциг

До недавнего времени существовала традиция передавать звук h (Hauchlaut) при помощи русского г (связано это, по-видимому, с южнорусским и украинским произношением ´г`, которое близко к немецкому h). Поэтому:
Heinrich Heine – Генрих Гейне, а не Хайнрих Хайне.
В последнее время звук h начали передавать фонетически при помощи х.
Во всех подобных случаях исключение делается для тех имен и названий, в написании которых в русском языке уже установилась определенная традиция, например:
Humboldt – Гумбольдт
Herbert – Герберт
Reuter – Рейтер
Wien – Вена
Paris – Париж
Washington – Вашингтон
Sachen – Саксония
Mailand – Милан
Описанный выше процесс синтеза, носящий иногда название транслитерации, является окончательным только для собственных имен, поскольку последние не подвержены никакой категоризации в системе ПЯ.
Сложнее обстоит дело с неологизмами или реалиями, для синтеза которых необходимо снабдить слово всеми категориями соответствующей части речи ПЯ.
Возьмем в качестве примера немецкое соответствие слову ´колхоз` (см. Ревзин, 1959, стр. 204-205). Предположим, что нам понадобилось переводить это слово методом транслитерации. Оказывается, что недостаточно просто внести какое-то слово, надо, чтобы оно входило в систему языка, т.е. прежде всего получило место в склонении, а значит получило какой-то род. Поскольку у слова нет каких-то особых признаков, то, исходя из разных соображений, разные люди употребляли разный род – мужской род (der Kolchos) употреблялся из того соображения, что в русском языке сочетание ´колхоз` мужского рода, средний род (das Kolchos) употреблялся из того соображения, что ´коллективное хозяйство` среднего рода, женский род (die Kolchose) употреблялся потому, что Kollektiv-wirtschaft (калька, употреблявшаяся раньше) – женского рода.
Что касается формы die Kolchose, надо признать, что она неудачна уже по своему звучанию, т.к. она омонимична с бессмысленным, но смешным сочетанием: Kohlhose.
Форма das Kolchos нежелательна потому,что это слово тяготеет к определенному разряду склонения, а именно, к ряду слов среднего рода, оканчивающихся на -os, например, Epos; в этом ряду во множественном числе -os- заменяется на -en-, и возникает тенденция произносить das Kolchos – die Kolchen. Поэтому форму der Kolchos следует считать наиболее пригодной. Однако до сих пор еще встречаются все три формы.
Мы рассматривали возможности синтеза безэквивалентной лексики при переводе. Ясно, что при интерпретации, т.е. обращении к действительности, здесь возможны и другие решения (см. § 13).

§ 37. Синтаксические проблемы синтеза

Синтез в общем виде осуществляется по схемам порождения, разобранным нами в § 19.
В частности, конфигурационный синтез осуществляется как процесс, обратный конфигурационному анализу.
При конфигурационном синтезе (Молошная, 1960, стр. 268) будут развертываться конфигурации ПЯ в порядке, обратном свертыванию в ИЯ. На стр. 188 приведен список классов слов, выделенных Т.Н. Молошной для английского языка. Приведем теперь примеры соответствующих классов русского языка:
P – личное местоимение
1 – существительное
2‾ – непереходный глагол в личной форме (невозвратный)
3 – прилагательное.
При этом условимся каждому индексу приписывать морфологическую информацию (указание на падеж, число и т.п.) и, кроме того, при помощи знака ˅, надписываемого над индексом, указывать на согласование, причем определяющее слово выделяется при помощи индекса ~, например, формула развертывания:
₁̃ = ₃̌ ₁̃ˇ
показывает, что существительное развертыватся в последовательность существительное + прилагательное, где прилагательное согласуется с существительным.
В § 23 мы разбирали анализ английского предложения:
Let us call the above-mentioned lemma the fundamental lemma и видели, что оно приводится к базисной конфигурации:
P₂ 2‾ ₃
Вводятся следующие правила синтеза (соответствующие разобранным выше правилам свертывания):
1) ₂‾ = ₂̃‾
2) ₁ = ₃̃ˇ ₁̃
Процесс синтеза можно теперь представить таблицей:

Применяемая Синтезируемая последовательность
формула индексов
P₂ 2‾ ₃ = 2‾ ₃ буд. 1л., мн.ч. 2‾ ₃ буд. 1л., мн.ч.
2˜₃ = 2˜₃ 1₆ вин. 1₉ тв. 2‾ ₃ буд. 1л., мн.ч. 1₆ вин. 1₉ тв.
1˜₉ = 3ˇ₈ 1˜ˇ₉
1˜₆ = 3ˇ₅ 1˜ˇ₆ 2‾ ₃ буд. 1л., мн.ч. 3ˇ₅ 1˜ˇ₆ вин.
3ˇ₈ 1˜ˇ₉ тв.
2₃ = назвать
3₅ = вышеупомянутый
1₉, 1₆ = лемма
3₈ = основной назовем вышеупомянутую лемму
основной леммой

Остановимся на проблеме ограничений, наложенных на ПЯ и влияющих тем самым на синтез фразы.
Наиболее общим случаем ограничений, накладываемых на язык, является порядок слов, обязательный по тем или иным причинам в данном языке.
Рассмотрим пример синтеза на немецком языке сочетания, в котором одно из слов языка-посредника соответствует русскому прилагательному. Возьмем сочетание ´Союз Советских Социалистических Республик`, по-немецки die Union der Sozialistischen Sowjetrepubliken. Легко заметить, что при синтезе на втором и третьем месте произошлоа перестановка, ср.
1 2 3
´Союз Советских Социалистических Республик`
1 3 2
Die Union der Sozialistischen Sowjetrepubliken.
Перестановка эта вызвана тем, что слова ´Советская Республика` переводятся одним словом: die Sowjetrepublik, а прилагательное sozialistisch переходит на первое место. По этой же модели ´Крупное социалистическое предприятие` переводится как: ein sozialistischer Groβbetrieb. Связано это, конечно, с тем, что смысловому набору ´крупное предприятие` соответствует при синтезе одно слово (Groβbetrieb).
Рассмотрим некоторые другие вопросы синтеза на немецкий язык. Пусть нам дано сочетание ´обслуживание процесса обращения товаров` и мы хотим для избежания генетивной цепочки образовать сложное слово.
Теоретически имеются следующие возможности:
1. die Betreuung des Prozesses – die Prozeβbetreuung
2. der Prozeβ der Zirkulation = der Zirkulationprozess
3. die Zirkulation der Waren = die Warenzirkulation
Однако в данном предложении возможно использовать только третье сложное слово. Почему? Оказывается, при образовании сложных слов в немецком языке действует следующее правило: существительное, подчиненное грамматически другому существительному, может быть превращено в первый компонент сложного слова лишь в том случае, если к нему не относятся никакие другие слова.
Учет ограничений важен также при синтезе соответствий русских двойных существительных, а именно, существительных, связаных дефисом, типа ´депутат-коммунист`, ´поэт-демократ`, ´писатель-борец`, ´художник-дилетант`, ´ученый-художник` и т.д.

Буквально такие сочетания перевести на немецкий или французский язык нельзя, например, нельзя сказать по-немецки Dichter – Demokrat. Дело в том, что в русском языке последовательность прогрессивная, а в немецком регрессивная, и в немецком языке, как правило, такие слова, если они существуют, являются словами определительного типа, в которых первый компонент определяет второй, например, в сочетаниях ´депутат-коммунист`, ´поэт-демократ` – ведущие слова ´депутат` и ´поэт`, поэтому при переходе от языка-посредника к немецкому языку можно превратить второе слово в прилагательное der kommunistische Deputierte и ein demokratischer Dichtier и т.д.

§ 38. Независимость анализа и синтеза

При ознакомления с примерами, использованными в предыдущих параграфах, могло создаться впечатление, что перевод зависит от ИЯ, вернее, что этап синтеза зависит от анализа. Вообще говоря, так действительно часто и происходит при переводе. Именно таковым и было положение, когда строились так называемые бинарные алгоритмы перевода; русско-английский, англо-русский, французско-русский и т.п. В этом случае язык-посредник был системой соответствий между двумя данными языками и свойства этого языка-посредника существенно зависели от пары языков.
Больше того, в некотором отношении оказывается удобным строить именно такие бинарные языки-посредники, причем правила перевода с языка L1 на язык L2 в ряде случаев оказались существенно отличными от правил перевода с L2 на L1. Иначе говоря, эти правила оказывались необратимыми. Так, в машинном переводе было выяснено, что отношения русского и английского языков таковы, что в простейших ситуациях правила перевода с русского на английский могут быть очень простыми, в то время как правила перевода соответствующих английских фраз на русский язык весьма сложны.
В качестве примера рассмотрим фразу из первого опыта перевода на русский язык («Машинный перевод», стр. 171 и сл.).
В этом опыте переводилось, как мы уже видели, предложение ´величина угла определяется отношением дуги к радиусу`. Слова ´угла`, ´отношением`, ´дуги` и ´радиусу` при анализе разбиваются на основу и окончание, причем выясняется, что окончание а и и выражают родительный, ем – творительный и у дательный падеж. При синтезе значению родительного падежа ставится в соответствие элемент of, значению дательного падежа – элемент to и значению творительного падежа – элемент by. Затем дается правило: элемент, соответствующий значению падежа, ставится перед словом, к которому оно относится. В результате получится перевод: Magnitude of angle is determined by the relation of arc to radius. Заметим, что формы is determined и артикль перед словом relation были просто взяты из словаря, т.е. мы вновь убеждаемся, что деление на словарь и грамматику вовсе не является раз навсегда установленным.

Успех описываемого опыта машинного перевода объясняется не только абсолютно непредвзятым подходом к грамматическим проблемам, которое подготовлено всем ходом развития американского дескриптивизма. Дело также и в том, что здесь выбрана чрезвычайно удачная для перевода пара языков. «Пассивная грамматика» для русского языка более или менее проста: почти каждое слово сигнализирует своим окончанием о своей функции. «Пассивная грамматика» английского языка гораздо сложнее, и при анализе приходится каждый раз обращаться к контексту и производить сложные логические операции. Наоборот, «активная грамматика» русского языка чрезвычайно сложна: каждому значению соответствует целый ряд форм (например, в зависимости от типа склонения или спряжения), «активная грамматика» английского языка более проста.
Эти утверждения верны, однако лишь для определенных подъязыков. И при анализе русской фразы весьма часто встречается омонимия (в том числе и грамматическая – см. Николаева, 1962, стр. 1043).
С другой стороны, в работах по машинному переводу было доволно быстро осознано, какую выгоду несет построение таких правил, при которых анализ текста ИЯ не зависел бы от свойств ПЯ и обратно. Выгода здесь прежде всего количественная. Представим себе, что имеется сто языков и мы хотим переводить с каждого на каждый. Тогда нам нужно 9900 разных наборов правил, поскольку именно таково число попарных комбинаций языков. Если воспользоваться независимым анализом или синтезом, т.е. иметь отдельный набор правил анализа и правил синтеза для каждого языка, то достаточно будет сделать, очевидно, 100 анализов и 100 синтезов (Успенский, 1959, стр. 41).
Независимый анализ, т.е. переход от текста ИЯ к языку-посреднику, соответствует «пониманию текста», т.е. тому общему пониманию, которое является по единогласному мнению всех теоретиков необходимой предпосылкой перевода.

При формализации понимание (анализ) отражается как перевод лексики и синтаксических отношений данного текста на некоторую универсальную лексику и универсальные синтаксические отношения (Мельчук, 1960). Система записи этой универсальной лексики и универсальных синтаксических отношений и есть язык-посредник. Зная способы выражения общих понятий и отношений средствами ПЯ, или, иначе говоря, зная систему соответствий между языком-посредником и данным конкретным языком, мы легко можем синтезировать текст на этом языке.
Независимый синтез, т.е. переход от языка-посредника к тексту ПЯ соответствует собственно творческому моменту в переводе, а именно «выражению мысли».

Независимость анализа от синтеза и интересна с точки зрения моделирования подобного подхода к переводу.

Capitolo V
ALCUNE QUESTIONI SPECIFICHE DELLA TEORIA DELLA TRADUZIONE GENERALE E AUTOMATICA

5.1. I problemi dei dizionari

Vediamo ora come avviene l’individuazione delle unità traduttive. Poiché il linguaggio d’intermediazione di solito non è presente in modo visibile, si stabilisce la corrispondenza semplicemente tra il frammento del testo della lingua emittente e il frammento del testo della lingua ricevente. Da strumento per l’identificazione delle unità traduttive serve anzitutto il dizionario.
A questo proposito, nella teoria del processo traduttivo e fra i traduttori professionali si è consolidato un certo atteggiamento negativo nei confronti del dizionario bilingue. Si considera perfino che il dizionario rappresenti più un ostacolo che un aiuto nel processo traduttivo. Inoltre, il dizionario è il primo elenco di corrispondenze a priori nel quale ci imbattiamo nella pratica traduttiva. Merita l’attenzione il seguente pronunciamento di uno dei maggiori teorici contemporanei della traduzione: «il dizionario può essere definito come strumento che permette di tradurre a chi non conosce una delle due lingue» (Cary 1956: 11).
La diffidenza nei confronti del dizionario, per quanto possa sembrare paradossale, è provocata dai suoi pregi. Il dizionario dà troppe varianti della traduzione, mentre la pratica traduttiva necessita che ogni parola venga tradotta con un unico metodo. Generalmente parlando dipende dalle circostanze. Si può benissimo immaginare una situazione dove ogni parola venga resa in uno stesso testo con una serie di traducenti diversi.
Da un punto di vista teorico, è molto interessante prendere in esame una simile possibilità.
Immaginiamoci un dizionario nel quale ogni serie di varianti è separata da una linea verticale, e dentro quelle serie, al primo posto c’è la traduzione di base, mentre tra parentesi ci sono le rimanenti varianti dizionariali.
Prendiamo per esempio la frase russa:
V nastoâŝee vremâ uspešno provedeny opyty po mašinnomu perevodu. [Attualmente sono state condotte con successo gli esperimenti della traduzione automatica.]
Abbiamo ottenuto la seguente traduzione in tedesco:
|| In (nach, zu, um) || gegenwärtig (echt, wirklich, wahrhaft, richtig) || Zeit || erfolgreich || durchgeführt (geführt, verwirklicht, gelegt) || Erfahrung (Experiment Versuch) || über (entlang, durch, O, nach) || Maschinen − || Übersetzung (Überführung, Versetzung, Anweisung) ||.
In francese otterremmo la seguente traduzione:
A (dans, en) || présent (véritable, vrai, authentique) || temps (heure, saison) || avec succès (heureusement) || entrepris (conduits, menés, accompagnés, passés, construits, installés, posés) || experiénces (essais) || sur (par, selon, suivant, d’après, à raison de) || mécanique (à la machine) || traduction (version, thème, transfert, mutation, aiguilage, mandat postal) ||.
Tale traduzione permette a una persona che sa il tedesco o il francese di capire il senso e, senza sapere la lingua, tradurre la frase in
questione. Tuttavia, è chiaro che una simile traduzione è inadeguata, ma lo è perché offre troppe informazioni, tra cui molte sono superflue e perciò disturbano la comunicazione (Micklesen 1958).
Vediamo ora in che modo è possibile liberarsi di queste informazioni superflue.
In ogni buon dizionario sono registrate non solo parole, ma anche collocazioni, ovvero un microcontesto di unità corrispondenti. Per esempio, nel caso della parola nastoâŝij [presente] può essere data la collocazione v nastoâŝee vremâ [attualmente] − gegenwärtig, actuellement, nel caso della parola opyt [esperimento] la collocazione provodit’ opyt [fare un esperimento] − Experiment durchführen e la collocazione opyt po [esperimento di] − Experiment mit (expériences sur, essais de).
Allo stesso tempo in un buon dizionario sono indicate le collocazioni počtovyj perevod [vaglia postale], denežnyj perevod [bonifico], − tedesco Postanweisung, francese mandat poste, ma siccome non abbiamo incontrato questa collocazione, le traduzioni corrispondenti vanno escluse. In questo modo ci sarà solo una traduzione e questa sarà la traduzione più probabile se la parola non è stata incontrata in determinate collocazioni, e la traduzione settoriale se la parola è stata incontrata in un determinato dizionario fisso di collocazioni con una certa parola o una parola di un certo gruppo.
Un altro mezzo per la riduzione delle informazioni superflue consiste nell’indicazione del macrocontesto. Ma questo si ottiene solo in quei casi in cui per certe traduzioni è possibile dare un’indicazione di ambito specialistico che allude a una sottolingua corrispondente. Quindi, nel caso della parola tedesca Kolben si possono dare, per esempio, i seguenti traducenti riportati nel Deutsch-Russisches Wörterbuch a cura di E.A. Mejer (Mejer 1934):
(mil.) calcio
(tecn.) stantuffo
(biol.) pannocchia
(zool.) ronzio (rif. a insetti)
Si noterà che nel caso di una simile soluzione della questione è opportuno stabilire una determinata gerarchia tra i criteri di combinabilità e gli ambiti d’uso, dando preferenza ai criteri. Come abbiamo già detto nel paragrafo 3.4., una stessa parola può avere un significato generale («parola per parola») e un significato terminologico, ossia essere utilizzata in un significato come termine e nell’altro come semplice parola. Prendiamo la parola tedesca Lösung o francese solution. Il loro significato in qualità di termine chimico è «soluzione» [miscela molecolare omogenea]. Tuttavia, anche in un testo chimico può essere utilizzata la collocazione Lösung der Aufgabe, la solution du problème («risoluzione di un problema»). Partendo dall’indicazione di ambito specialistico «(chim.)» si potrebbe tradurre rastvor zadači [soluzione (miscela molecolare omogenea) di un problema]. Perché questo non avvenga bisogna che il traduttore in primo luogo controlli tutti i costrutti che contengono la data parola e solo dopo si basi sull’indicazione di ambito specialistico «(chim.)». Notiamo come la questione di base nell’analisi del testo sia la disambiguazione dell’ omonimia o della polisemia delle parole. Negli esempi appena mostrati l’omonimia si riduce perché si tiene conto del contesto della parola omonima o polisemica, la sua appartenenza a una o un’altra sottolingua. A volte, tuttavia, la disambiguazione necessita dell’interpretazione del testo, ossia occorre prendere in esame la realtà e capire quello che si intende. Per esempio l’ambiguità della frase: Ispytaniâ ètogo oružiâ ugrožaût miru [I test di quest’arma minacciano il mondo/la pace], suscitata dalla parola omonima mir [in italiano «mondo» e «pace»] (in inglese peace e world, in francese paix e monde, in tedesco Frieden e Welt) non sempre può essere eliminata mediante l’analisi del contesto. Lo stesso si può dire della frase: Èti studenčeskie gruppy proveli dva obŝih sobranija, na kotoryh obsudili voprosy naučnoj raboty [Questi gruppi di studenti hanno tenuto due assemblee generali alle quali hanno discusso sulle questioni del lavoro scientifico] (inglese general e mutual, francese général e commun, tedesco allgemein e gemeinsam).
Si noti che dare conto nel dizionario di tutti i costrutti è praticamente impossibile. Per questo in una serie di casi è opportuno agire in diverso modo e, precisamente, stabilire nella struttura stessa del linguaggio d’intermediazione una distinzione dei significati elementari che permetta di distinguere le unità univoche senza appellarsi al microcontesto. Da questo punto di vista è indicativo il seguente esempio (Tesnière 1959:294). Esaminiamo la traduzione francese della frase tedesca:
tedesco Er ließ die Zeitung holen.
francese ll envoya chercher le journal.
russo On poslal za gazetoj. [Lui ha mandato qualcuno a comprare il giornale.]
Si può chiaramente registrare nel dizionario la seguente corrispondenza: Holen lassen − aller chercher.
Ma nel caso in cui nel linguaggio d’intermediazione vengano individuati tre sensi elementari, si ottiene quanto segue:

Linguaggio d’intermediazione 1
Senso elementare causativo
2
Senso elementare
di moto
3
Senso elem. di reperimento di qualcosa

francese

envoyer
chercher

tedesco
lassen
holen

russo
poslat’ za [mandare a]

Qui possiamo stabilire separatamente le corrispondenze tra envoyer e i sensi 1 e 2, tra chercher e il senso 3, tra lassen e il senso 1, tra holen e i sensi 2 e 3. È chiaro che questo modo di stabilire le corrispondenze è di maggiore economicità.
Una delle situazioni frequenti nell’analisi consiste nel fatto che per alcuni frammenti del testo non si trova alcuna corrispondenza nel dizionario. Questo può essere dovuto a diverse cause, per esempio all’incompletezza del dizionario oppure al fatto che la data parola non sia registrata in nessun dizionario (i cosiddetti neologismi o i realia) oppure al fatto che il dato frammento di testo non sia affatto una parola (formule, nomi propri, schemi, eccetera).
Dal punto di vista della teoria della traduzione è utile differenziare due ipotesi:
A. La parola può essere ricostruita dal contesto (si vedano gli accenni frequenti in letteratura riguardo alla «congettura traduttiva»). Questo è possibile nei casi in cui la frase contiene informazioni ridondanti (paragrafo 2.4.).
Esaminiamo il seguente esempio (Zvegincev: 161,162). Prendiamo una serie di frasi nelle quali è stata tralasciata una parola, per esempio:
My pošli v raznye … [Siamo andati in diverse …]
Èto … byla mnoj ishožena vdol’ i poperëk. [Ho percorso questa … in lungo e in largo]
Obsudim vopros s raznyh … [Esaminiamo la questione da diversi …]
Partendo dal contesto della frase, scegliendo le parole, come afferma V. A. Zvegincev «in base al principio della correlazione oggettuale», è abbastanza semplice colmare le lacune.
Osserviamo, tuttavia, che questo tipo di ricostruzione presuppone che le parole rimanenti corrispondano alle colonne dei sensi elementari, le quali permettono di ricostruire le parole mancanti in modo più o meno univoco. Tale ricostruzione è di particolare importanza nella traduzione simultanea (si veda il paragrafo 4.10.).
B. La parola non può essere ricostruita dal contesto. In tal caso sono possibili le seguenti situazioni:
a) In fase d’analisi la parola rimane invariata e come tale viene trasferita nel linguaggio d’intermediazione e, in seguito durante la fase della sintesi, nella lingua ricevente. Tutti questi elementi del testo saranno chiamati formule.
b) In fase d’analisi viene stabilita la corrispondenza tra le lettere o tra gruppi di lettere della parola da tradurre e i fonemi corrispondenti. In questo modo nel linguaggio d’intermediazione, oltre alle corrispondenze tra le parole, rientrano anche le corrispondenze tra le lettere e i fonemi.
In base a questo principio vengono analizzati, in primo luogo, i nomi propri, le denominazioni geografiche, i nomi di istituzioni, giornali, piroscafi, eccetera, le parole che significano i cosiddetti realia, nonché i neologismi ossia parole che riguardano il cosiddetto lessico senza traducenti. Per maggiori dettagli sulle parole di questo gruppo si veda il paragrafo 5.6.

5.2. Analisi della configurazione

Abbiamo già visto come nel dizionario si può dare conto non solo delle singole parole, ma anche delle collocazioni. Supponiamo di avere una lingua che contenga precisamente 1002 parole (da esempio di una lingua simile può servire il cosiddetto Basic English) e la cui lunghezza delle frasi sia sempre esattamente 5. Supponiamo ora che nel dizionario ci siano tutte le possibili collocazioni che contengono cinque parole. Il numero di tali collocazioni sarà uguale a:
C⁵⁄₁₀₀₂=998X999X1000X1001X1002≈1000000000000000=10¹⁵
Se anche una sola collocazione di cinque parole su 100 ha senso, otteniamo la cifra astronomica di 10¹³. Tuttavia, è interessante quanto segue. Se riuscissimo a compilare un dizionario contenente 10¹³ collocazioni diverse, la traduzione dalla lingua ipotetica potrebbe essere fatta senza nessuna grammatica: ogni frase sarebbe reperibile nel dizionario, dove peraltro si troverebbe anche la sua traduzione.

Questo esempio ci mostra il posto e il ruolo della grammatica nel processo traduttivo. Le regole grammaticali permettono di tradurre le combinazioni di alcune parole nei casi in cui tali collocazioni non siano registrate nel dizionario. In altri termini, si potrebbe affermare che la grammatica permetta la riduzione del numero e della lunghezza delle unità traduttive.
In questo caso, naturalmente, siamo interessati alle regole applicabili al più grande numero possibile di collocazioni. È chiaro che se la regola si può applicare solo a una parola, non si differenzia dalla semplice registrazione della data collocazione nel dizionario. Ne consegue che, a differenza della semplice grammatica la quale a quasi ogni regola impone alcune eccezioni per le quali diventa di difficile utilizzo per tutti, nella teoria della traduzione siamo interessati alla grammatica che dà regole prive di eccezioni, e tutte le eccezioni vengono registrate accanto alle parole corrispondenti nel dizionario ossia le unità traduttive si estendono.

Tra l’altro un simile punto di vista è stato esposto anche nella linguistica teorica. Così L.V. Šerba considerava che tutti i fenomeni di massa devono riflettersi nella grammatica, mentre i casi isolati sono esempi da dizionario.
La differenza essenziale tra grammatica e dizionario consiste nel fatto che la grammatica riguarda non le singole parole, ma intere classi di parole.
Esaminiamo ora una lingua ipotetica. Supponiamo che contenga un numero molto grande (ma finito) di parole, ma supponiamo che si dividano in trentadue classi grammaticali (questa cifra è del tutto reale, in alcune lingue le classi sono persino meno). Vediamo ora tutte le possibili collocazioni composte da cinque parole che appartengono a classi diverse. Ci saranno:
C⁵₃₂ =28X29X30X31X32≈30⁵=20 000 000
Se si considera che ogni venti collocazioni solo una avrà un senso (grammaticale), avremmo un milione di possibili collocazioni. Ammettiamo che un dizionario con una simile grammatica esista. (Questo è molto più facile che nel caso precedente). Allora la traduzione si attuerebbe nel seguente modo: per ogni parola si troverebbe nel dizionario un indicatore dell’appartenenza a una determinata categoria, per la serie di indicatori ottenuta nella tabella sarebbe specificata la struttura grammaticale nella lingua ricevente, in questa struttura secondo determinate regole si inserirebbero le parole corrispondenti e in questo modo si otterrebbe la traduzione. Notiamo che la diminuzione del volume del dizionario ha portato alla complicazione delle regole, tuttavia queste regole sono applicabili a un numero maggiore di frasi e la loro registrazione nel dizionario occupa un posto molto minore della registrazione di 10¹³ collocazioni.
Si può però fare un altro passo importante. Nel paragrafo 3.2. è stato mostrato che ogni frase può essere generata mediante lo spiegamento delle configurazioni che corrispondono alle collocazioni o ai sintagmi. Senza alcuna formula si può calcolare che il numero delle configurazioni in una lingua oscilla tra 50 e 200. Una simile quantità di configurazioni è facile da ricordare.
L’idea della traduzione automatica per mezzo delle configurazioni è stata per la prima volta impiegata da T.N. Mološnaâ nella compilazione di un manuale di traduzione dall’inglese (Mološnaâ 1957:92 e seguenti).
Prima illustriamo questo metodo in maniera semplificata con l’esempio della traduzione di una frase tedesca:
1 2 3 4 5 6
Ein sehr junger Arbeiter erzählte uns
7 8 9 10
von seinen Arbeits-methoden.
Supponiamo che nel dizionario per ogni parola si trovi il traducente e l’informazione sull’appartenenza alla categoria corrispondente. E inoltre che ci sia un elenco di configurazioni, per esempio:
a) avverbio + forma variabile dell’aggettivo;
b) forma variabile dell’aggettivo + sostantivo;
c) aggettivo possessivo + sostantivo;
d) sostantivo + s + assenza di lacune + sostantivo minuscolo;
e) verbo + pronome + sostantivo al caso obliquo;
f) verbo + preposizione + sostantivo;
g) sostantivo al caso nominativo + verbo.

Raffrontando l’informazione delle parole 2 e 3 all’elenco delle configurazioni, possiamo stabilire che le parole compongono la configurazione a. In questa configurazione si prenderà in considerazione ora solo la parola principale (3). Esattamente così saranno uniti 3 e 4 (rimane 4), 9 e 10 (rimane 10), 8 e 10 (rimane 10), 5 e 6 (rimane 5), 5, 7 e 10 (rimane 5) e, infine, 1, 4 e 5. Questo metodo permette di stabilire tutte le relazioni tra le parole. Una volta stabilite tutte le relazioni si possono trovare i traducenti in russo. Ovviamente questo deve avvenire nell’ordine inverso, anche perché non possiamo sapere, per esempio, come tradurre la parola junger prima di tradurre la parola Arbeiter.
Quindi prima si trova la corrispondenza per la configurazione g, in seguito per la configurazione f, eccetera.
Questo è il metodo della traduzione in base a configurazioni singole. Le sue caratteristiche basilari sono:
1) si rilevano le collocazioni minime (configurazioni);
2) l’elemento subordinato della configurazione non viene preso in considerazione nell’analisi successiva;
3) l’individuazione delle configurazioni viene svolta in ordine rigidamente determinato;
4) per ogni configurazione della lingua emittente si trova la corrispondente nella lingua ricevente;
5) la formazione delle configurazioni nella lingua ricevente avviene in ordine inverso (rispetto all’individuazione delle configurazioni nella lingua emittente).
Tale metodo traduttivo è vantaggioso in quanto applicabile a qualsiasi lingua.
Esaminiamo ora l’impiego del metodo di analisi della configurazione nel modo formalizzato nel quale è stato proposto da T.N. Mološnaâ per la traduzione automatica dall’inglese (Mološnaâ 1957, 1960).

T.N. Mološnaâ parte dalla classificazione strutturale delle categorie di parole elaborata nella linguistica descrittiva (Fries 1953) e con alcune integrazioni sue per facilitare la traduzione automatica. Perché il lettore possa utilizzare la fonte originale, conserviamo qui il sistema di indicatori adottato da T.N. Mološnaâ.
In particolare T.N. Mološnaâ individua le seguenti categorie di parole:
1 – sostantivo;
P – pronome personale al caso nominativo;
Pm – pronome personale al caso diretto ;
2ˉ – verbi intransitivi in forma personale;
2⁺- verbi transitivi in forma personale;
2º – verbo dopo il quale si usa il cosiddetto caso accusativo con l’infinito (per esempio, I made the boy run. – Ja zastavil malčika bežat’. [Ho fatto correre il ragazzo.]);
2B – verbo be in forma personale;
2˟ – verbo have in forma personale;
2¹ – verbi shall e will;
2¹¹ – verbo let;
2⁺ing – participio I (attivo);
2⁺ed – participio II (passivo) dal verbo transitivo;
3 – aggettivo;
N – pronome possessivo e dimostrativo;
D – articolo;
F – preposizione;
J – congiunzione subordinativa;
I – pronome interrogativo e relativo.
In seguito T.N. Mološnaâ propone una serie di formule di riduzione delle configurazioni ovvero la loro sostituzione con indicatori dai quali potrebbe avvenire lo spiegamento della data configurazione durante la genesi, per esempio:
1) 3₁ 1₂ = 1₂ (in basso si inserisce il numero di parole nella frase)
2) Д₁ 1₂ = 1₂
3) Д₁ 3₂ = 1₂
4) 2⁺ 1₂ = 2⁻₁ eccetera.
Bisogna tener conto che la stessa sequenza di indicatori con questo genere di regole può essere ridotta mediante diversi procedimenti. Per esempio, la frase the old man corrisponde alla sequenza di indici Д₁ 3₂ 1₃, i quali possono essere raggruppati in due modi:
1) Д 3 1
│1 │1
1
2) Д 3 1
Д 1│
1

È chiaro che il primo procedimento di riduzione porta all’analisi erronea della frase. Quindi come agire? Si potrebbe in generale rinunciare alla formula Д 3=1. Ma questo sarebbe esatto solo per quelle sottolingue dove non esistono frasi come The rich enjoy life che a volte vengono analizzate secondo lo schema:
The rich enjoy life,
Д 3 2⁺ 1
1 2ˉ
dove la configurazione 1 2ˉ è ritenuta basilare.
Perciò T.N. Mološnaâ ha scelto un altro modo. Prima di tutto stabilisce l’ordine nel quale vanno impiegate le regole: in questo modo la trasformazione 3 1=1 avviene prima della Д 3=1 e l’ultima trasformazione si realizzerà solo nel caso in cui immediatamente prima dell’indice 3 non ci sia l’indice 1.
Supponiamo ora che oltre alle quattro regole di riduzione stabilite sopra ci siano anche le seguenti:
5) 2º 1 1 = 2ˉ
6) 2¹¹ Pm 2ˉ = 2ˉ
Osserviamo come funziona il meccanismo di riduzione nella traduzione della seguente frase inglese:
Let us call the above-mentioned lemma the fundamental lemma.
2¹¹1 Pm₂ 2º₃ Д₄ 3₅ 1₆ Д₇ 3₈ 1₉

La sua riduzione può essere illustrata con la seguente tabella:

Formula applicata Sequenza di indicatori analizzata

3₅ 1₆ = 1₆
3₈ 1₉ = 1₉ 2¹¹₁ Pm₂ 2⁰₃ Д₄ 1₆ Д₇ 1₉
Д₄ 1₆ = 1₆ 2¹¹₁ Pm₂ 2⁰₃ 1₆ 1₉
Д₇ 1₉ = 1₉ 2¹¹₁ Pm₂ 2⁻₃
2⁰₃ 1₆ 1₉ = 2⁻₃ P₂2⁻₃
2¹¹₁ Pm₂ 2⁻₃ = P₂2⁻₃

L’analisi della configurazione aiuta a risolvere i problemi dell’omonimia grammaticale, per esempio la conversione nella lingua inglese. Come è noto, in questa lingua non ci sono molte parole che abbiano solo la funzione di sostantivo, per esempio development («sviluppo»), kingdom («regno»), oppure di verbo, per esempio develop («sviluppare»), protect («tutelare»), ma la maggior parte dei sostantivi può contemporaneamente avere funzione di verbo (del resto si può affermare che la maggior parte dei verbi può contemporaneamente avere funzione di sostantivo), per esempio turn («giro» e «girarsi»), rule («governo» e «governare»), talk («parlare» e «conversazione»). Inoltre, quasi ogni sostantivo può essere utilizzato come aggettivo.

Tutto ciò rappresenta una delle maggiori difficoltà nella traduzione dall’inglese (Mološnaâ 1958: 215). La difficoltà dell’analisi consiste nel fatto che la forma delle parole non porta abbastanza informazioni sulla sua funzione nella frase. È proprio per questo tipo di lingue che l’analisi della configurazione è particolarmente utile.
L’omonimia grammaticale si manifesta quando a una parola corrispondono contemporaneamente più indicatori oppure, come afferma T.N. Mološnaâ, «un indicatore composto».
Per esempio prendiamo la frase:
No prior knowledge of vector theory will be assumed. [Non è prevista nessuna conoscenza preliminare della teoria vettoriale.]

La parola vector corrisponde all’indicatore composto (1,3) ossia questa parola può avere la funzione di sostantivo o di aggettivo. Perciò si pone la seguente regola: «Nel caso in cui, partendo dalla fine della frase, troviamo l’indicatore composto (1,3), verifichiamo se dopo l’indicatore composto si trova l’indicatore 1 che corrisponde al sostantivo contenuto nel dizionario. In caso affermativo, l’indicatore complesso esaminato cede il posto all’indicatore 3» (Mološnaâ 1958: 240).
Analizziamo un altro esempio riportato da T.N. Mološnaâ. Abbiamo la frase:
All the solutions of dy/dt = Ay approach O as t → ∞
Tutte le soluzioni (equazioni) dy/dt = Ay tendono verso О quando t → ∞.
A questa frase corrisponde la serie di indicatori:
NД 1F1 (2 + 1) 1Y1,
dove alla parola approach corrisponde l’indicatore composto (2,+ 1) in relazione al fatto che la parola approach in certi contesti assume la funzione di verbo e in altri quella di sostantivo.
Qui vige la seguente regola:
«Avendo (1, 2⁺) o (1, 2ˉ), verifichiamo se sono posizionati davanti all’indicatore composto 2⁺ F, 2b 2⁺ing F, 2b 2⁺ed F, 2˟ 2ed F. Se uno di essi è posizionato davanti, sostituiamo l’indicatore composto con l’indicatore 2⁺ o 2ˉ. In caso contrario, verifichiamo se a destra o a sinistra prima del punto o della virgola J o I non ci siano gli indicatori 2⁺, 2ˉ, 2b, 2⁺ed, 2b 2ˉ ed, 2˟ 2⁺ed, 2b 2ˉ ing, 2˟ 2ˉ ed. Se ci sono sostituiamo l’indicatore complesso con l’indicatore 1, se non ci sono, con l’indicatore 2⁺ o 2ˉ» (Mološnaâ 1958: 241).
Anche gli altri casi di omonimia grammaticale si esaminano in modo simile.
È interessante confrontare il metodo di analisi linguistica della configurazione con il metodo di analisi frequentemente utilizzato nei manuali non russi di traduzione automatica. In questo ambito è stato adottato da Bar-Hillel (Bar-Hillel 1953) e si basa sull’idea di connessione sintattica proposta dal logico polacco K. Aidukiewicz (Aidukiewicz: 1-27; Suszko: 9).
Alla base della teoria di Ajdukiewicz sta il concetto di «categoria semantica» (Bedeutungskategorie) ovvero parte dal senso dell’espressione. Precisamente due parole o espressioni A e B appartengono alla stessa categoria semantica nel caso in cui A preso nel senso x e utilizzato in un dato enunciato Sа si possa sostituire con B nel senso y in modo tale che venga mantenuto il senso delle parti rimanenti e la costituzione dell’ennunciato e che anche Sb sia un ennunciato.

Ajdukiewicz rileva che alla data categoria semantica si riferiscono non solo singole parole ma anche interi gruppi di parole (ovvero ciò che T.N. Mološnaâ chiama «configurazione»). Ha costruito la sua teoria della connessione in maniera tale che un gruppo di parole («configurazione») riceva l’indicatore della stessa categoria cui appartengono le singole parole. Questo si ottiene mediante il metodo della «riduzione degli indicatori». A ogni parola viene attribuito un indicatore:
a) n, se la parola è un nome;
b) s/n, se la parola è un verbo intransitivo; s/(n) [n], se è un verbo transitivo; e in generale s/(α1)…( αi) [β1]… [βj], se rientra nella configurazione basilare con le parole che hanno gli indicatori αi e βj, dove αi e βj sono indicatori composti dagli elementi n и [n];
c) s/n/s/n, se la parola è un complemento nel gruppo di verbi; n/n, se è un attributo del sostantivo; n/n/n/n, se la parola è un avverbio che si riferisce al attributo; e in generale α/α, se la parola rappresenta un elemento riducibile nella configurazione alla cui parola principale è attribuito l’indicatore α;
d) Alcuni elementi possono essere esaminati come operatori che trasformano un elemento di un tipo in elemento di un altro tipo, come per esempio le preposizioni trasformano l’elemento con indicatore n nell’elemento con indicatore s/n/s/n или n/[n], ovvero l’attributo in nome o verbo; i verbi ausiliari (come il tedesco sein) trasformano il nome o l’attributo in elemento con indicatore s/n.
In base a ciò, alla preposizione può essere attribuito l’indicatore s/n/s/n/(n) o n/[n]/(n), al verbo ausiliario l’indicatore s/n/[n], eccetera.

Supponiamo ora che per ogni unità della lingua si ottengano con la procedura stabilita gli indicatori corrispondenti.
Ogni frase corrisponde a una sequenza di indicatori: i1 i2 … in. Stabiliamo ora che, se nella sequenza di indicatori ci sono due indicatori adiacenti di cui quello di destra coincide con il denominatore posto tra parentesi tonde dell’indicatore di sinistra oppure l’indicatore di sinistra coincide con il denominatore posto tra parentesi quadre dell’indicatore di destra, gli indicatori corrispondenti si riducono reciprocamente.
Per esempio, supponiamo di avere la frase
Očen’ malen’kaâ devočka gulâla tam. [Una bambina molto piccola passeggiava lì.].
Alla frase corrisponde la sequenza di indicatori:
n/(n) / (n/n) n/(n) n s/[n] s/n / s/n
Tramite le riduzioni consecutive otteniamo:
1) n/(n) n s/n
2) n s/[n]
3) s
In modo analogo nell’esempio tedesco riportato da Ajdukiewicz:
Der Flieder duftet stark.
n/(n) n s/n s/n / s/n
otteniamo alla fine S.
La frase On podnâlsâ na vysokij holm [Lui è salito su una collina alta] corrisponderà alla seguente serie di simboli:
n s/n s/n / s/n /n n/(n) n.
Mediante riduzione consecutiva otteniamo di nuovo S.
L’importanza degli indicatori di Ajdukiewicz sta in quanto segue. Come abbiamo già visto non a ogni parola corrisponde un indicatore, poiché la stessa parola può far parte di diverse configurazioni. Una parola, come la tedesca vor, deve ricevere l’indicatore sia in qualità di preposizione sia come elemento che si riferisce al verbo.
Confrontando le serie corrispondenti di indicatori possiamo per via puramente meccanica stabilire quale indicatore deve essere scelto nell’analisi della data frase:
er schlägt etwas vor für Peter
confrontare con i due possibili indicatori per vor:
s/n / s/n /(n) и s/n / [s/n]
1) n s/n /(n) n s/n / s/n /(n) n
e 2) n s/n/(n) n s/n / [s/n] s/n / s/n /(n) n
Se la seconda serie in seguito alla riduzione risulta S, la prima, come è facilmente verificabile, in seguito alla riduzione risulta nella sequenza:
S s/n / s/n /(n) s/n / s/n
la quale non può essere ulteriormente ridotta. Questo significa che uno degli indicatori è stato scelto erroneamente. Spesso per via automatica si può verificare la correttezza dell’analisi grammaticale del testo.

5.3. Analisi mediante sintesi

La disambiguazione grammaticale, come abbiamo visto, avviene attraverso la ricostruzione del processo di genesi del costrutto omonimo. Simili procedimenti di analisi mediante la sintesi, presenti in modo non manifesto in qualsiasi analisi, sono necessari non solo per risolvere la questione dell’omonimia. La ricostruzione del processo di sintesi dei costrutti direttamente mediante gli elementi che lo compongono oppure mediante le regole di trasformazione è particolarmente efficace nei casi in cui le relazioni tra gli elementi di una struttura grammaticale sono poco chiare.
Esaminiamo come esempio l’analisi dei sostantivi composti determinativi in tedesco.
Le parole come Produktionsmittel sono facilmente scomponibili nei loro elementi costitutivi: Produktion e Mittel. La traduzione di queste parole è convenzionale e avviene di regola col modello seguente:
Produktion=s=mittel

Sredstvo proizvodstva (rod. p., ed. č.)
[Mezzo di produzione (genitivo, singolare)]
Sono molte le parole di questo tipo e per loro non è necessario memorizzare l’intera parola, come per esempio Produktionssteigerung. È facile formulare persino una regola automatica di scomposizione di queste parole nei loro elementi costitutivi. La macchina deve raffrontare la parola introdotta con quelle memorizzate, trovare in ordine da sinistra a destra la parola più grande tra quelle memorizzate che è contenuta interamente nella parola introdotta; la parola memorizzata per Produktionsmittel sarà Produktion, presso la quale devono essere indicati gli elementi connettivi con i quali la parola forma un costrutto (nel nostro esempio -s-); questo elemento connettivo va rimosso e la parte rimanente controllata nel dizionario. Questa procedura si può attuare più volte e in questa maniera si può ottenere la traduzione parola per parola delle parole composte:
Bleidioxydschicht – sloj perekisi svinca [estratto di perossido di piombo], Gefrierpunktserniedrigung – poniženie točki zamerzaniâ [abbassamento del punto di congelamento], eccetera.
È chiaro che non conviene tenere tutte le parole del genere nel dizionario, tanto più che ogni autore forma nuove parole di questo tipo. È sufficiente inserire nel dizionario per intero solo le parole con traduzione non convenzionale, per esempio Stickstoff [azoto] eccetera.
Certamente, l’analisi delle parole composte in alcuni casi può presentare difficoltà considerevoli, per esempio E. Rejfler segnala la possibilità di doppia scomposizione della parola composta (Booth e Locke 1957: 198). Come esempio può servire la parola Arbeitsamt che può essere scomposta in due modi diversi:
Arbeit-s-Amt
Arbeit-Samt
Tuttavia, una parte di tali questioni si può risolvere mediante l’inserimento di indicazioni sui possibili elementi connettivi (si veda sopra), per il resto i simili casi sono abbastanza rari (quasi tutti gli esempi proposti da Rejfler hanno tale carattere).
È tuttavia interessante che in linea di principio per ogni caso di analisi dei cosiddetti sostantivi composti determinativi in tedesco bisogna fare riferimento a come si sono formati. Infatti per tradurre la parola Unions – Landwirtschaftsausstellung bisogna sapere la relazione tra i suoi componenti, e per questo è necessario sapere la storia della genesi di tale parola. Se abbiamo ricostruito uno schema della sua genesi del tipo:
S

Unions | = Land | wirtschafts | ausstellung
e sappiamo che in ogni punto di diramazione la parte sinistra dipende da quella destra, non è difficile fare la traduzione: Vsesoûznaâ vystavka sel’skogo hozâjstva [esposizione pansovietica dell’agricoltura] oppure Vsesoûznaâ sel’skohozâjstvennaâ vystavka [esposizione agricola pansovietica].
Abbiamo esaminato le questioni legate alla storia dell’origine della configurazione. Ora passiamo alla storia della trasformazione del prototesto. Per la posizione dell’articolo negli elementi simili della proposizione bisogna sapere se tali elementi si sono formati dallo sviluppo di un elemento solo e quindi la collocazione corrispondente rappresenta un’unità e l’articolo si riferisce all’intera collocazione, oppure si sono formati mediante l’integrazione di due proposizioni e quindi la collocazione corrispondente rappresenta due diversi concetti e l’articolo viene posto davanti a ogni parola. Supponiamo di avere la collocazione rabočie i krest’âne [operai e contadini] nel senso di tutti gli «operai e contadini». La tradurremmo mediante la collocazione die Arbeiter und Bauern, poiché si può affermare che tale configurazione corrisponde per esempio alla parola die Werktätigen. Tuttavia nella traduzione della collocazione rabočie i kapitalisty [operai e capitalisti] è necessario ripetere l’articolo die Arbeiter und die Kapitalisten, poiché di solito tali collocazioni si formano dall’integrazione di frasi.
Riportiamo un altro esempio in cui la conoscenza del processo di genesi è necessaria per la corretta posizione dell’articolo. Prendiamo la collocazione: 5-j londonskij s’’ezd partii [Quinto congresso londinese del partito].
Se la formazione di tale collocazione si può presentare attraverso lo schema:

5-j londonskij s’’ezd partii
[Quinto congresso londinese del partito]
è necessario solo un articolo, ma il numerale 5-j [quinto] si riferisce all’intera collocazione Londonskij s’’ezd partii [congresso londinese del partito] e perciò si ottiene che tutti i cinque congressi del partito hanno avuto luogo a Londra.
Se invece la formazione è rappresentata come trasformazione ottenuta mediante l’unione di due schemi:

5-j s’’ezd partii londonskij s’’ezd partii
[quinto congresso del partito] [congresso londinese del partito]
è necessario ripetere l’articolo (oppure articolo + sostantivo); confrontare con il tedesco der fünfte, der Londoner Parteitag e il francese le 5 ͤ Congrès du Part, le Congès de Londres.
Un esempio analogo. Se per la traduzione della collocazione III komunističeskij Internacional [III Internazionale comunista] utilizziamo in tedesco la collocazione die dritte kommunistische Internationale oppure in francese la troisième Internationale comuniste, significherà che tutte e tre le Internazionali sono state comuniste; è noto, tuttavia, che la II Internazionale non era comunista. Perciò qui è necessario utilizzare la forma tedesca die dritte, die Kommunistische Internationale, e quella francese la Troisième Internationale, l’Internationale communiste.
La conoscenza della storia delle trasformazioni aiuta a delimitare in russo due tipi di negazione ripetuta.
1) Ripetizione della negazione che serve per rafforzare; tale negazione ripetuta si trasmette nella lingua ricevente mediante la negazione singola. La frase  ne mogu ničego ob ètom rasskazat’ [Io non posso raccontare niente di questo] la possiamo tradurre in tedesco Ich kann darüber niemand etwas erzählen o Ich kann darüber keinem etwas erzählen. La negazione di questo tipo, indipendentemente da quante volte è presente, non influenza il senso, perciò le frasi con numero diverso di negazioni possono essere ritenute varianti della stessa frase.
2) Doppia negazione sorta come risultato della trasformazione che mantiene il senso affermativo della frase, per esempio:  ne mogu ne rassmeât’sâ [Io non posso non farmi una risata] dal  rassmeâlsâ [Io ho fatto una risata] oppure  dolžen byl rassmeât’sâ [Io ho dovuto farmi una risata]. Nella traduzione di simili frasi possiamo utilizzare la costruzione tedesca nicht umhin können; confrontare con il francese ne pouvoir s’empêcher.
La conoscenza della storia delle trasformazioni è necessaria anche per la traduzione dei costrutti gerundivi russi.
Nella lingua russa il costrutto gerundivo può avere molteplici funzioni di complemento che nascono in seguito alla trasformazione di diverse proposizioni subordinate.

Ci può essere la funzione di complemento di tempo. Per esempio Ko vsemu on otnosilsâ vâlo i nebrežno, vse preziral, i daze, poedaâ svoj vkusnyj obed, brezglivo fyrknul [Si comportava con tutti in modo fiacco e negligente, disprezzava tutti e persino mangiando il suo pranzo gustoso brontolava con disprezzo] (Čehov Kaštanka). Poedaâ svoj vkusnyj obed ↔ kogda on poedal svoj vkusnyj obed [mangiando il suo pranzo gustoso ↔ quando mangiava il suo pranzo gustoso].
Funzione di complemento di causa. Predčuvstvuâ neizbežno razluku, on hotel po krajnej mere ostat’sâ eë drugom [Presentendo l’inevitabile separazione, lui voleva almeno rimanerle amico] (Turgenev Padri e figli). Predčuvstvuâ razluku ↔ tak kak on predčuvstvoval razluku [Presentendo la separazione ↔ poiché presagiva la separazione].
Funzione di complemento di condizione. Odnako, boltaâ s toboj, gribov ne nabereš’ [Tuttavia, chiacchierando con te, funghi non se ne raccolgono] (Puškin La contadina padrona). Boltaâ s toboj ↔ esli boltat’ s toboj [Chiacchierando con te ↔ se si chiacchiera con te].
Funzione di complemento di concessione. Tak tâžkij mlat, drobâ steklo, kuet bulat [Un martello così pesante, frantumando il vetro, forgia l’acciaio.] (Puškin). Drobâ steklo ↔ hotâ on drobit steklo [Frantumando il vetro ↔ anche se frantuma il vetro] eccetera.
La ricostruzione della storia delle trasformazioni è necessaria anche nell’analisi delle relazioni tra collocazioni e sostantivi deverbali astratti. Solo l’analisi delle trasformazioni di queste collocazioni rivela se il loro secondo membro rappresenta un complemento oppure un soggetto logico del sostantivo deverbale. Si confrontino per esempio le collocazioni tedesche die Regierung Frankreichs [il governo di Francia] e zur Zeit der Regierung des Königs Heinrich IV [durante il governo del re Enrico IV].
Confrontiamo il caso analogo nella traduzione della collocazione ukreplenie gosudarstva [rafforzamento dello stato]. Questa collocazione può corrispondere a due frasi:
a) (rabočie i krest’âne) ukreplâût gosudarstvo [(gli operai e i contadini) rafforzano lo stato] e
b) gosudarstvo ukrepilos’ [lo stato si è rafforzato].
Nella traduzione in tedesco il significato a) corrisponderà alla traduzione die Festigung des Staates, mentre il significato b) alla traduzione das Erstarken des Staates.
Confrontiamo anche Každij iz dvuh kongressov imel bol’šoe značenie dlâ spločeniâ mass [Entrambi i congressi hanno avuto una grande importanza per l’unione delle masse], ovvero … imel bol’šoe značenie dlâ togo, čtoby splotit’ massy [… hanno avuto una grande importanza perché le masse si unissero] con il francese Chacun des deux congrès a été très important dans l’oeuvre de cohésion des masses.

5.4. Questioni generali di analisi sintattica del testo

Nei paragrafi 5.2 e 5.3 si è prestata una particolare attenzione al significato che i concetti elaborati nella prassi della traduzione automatica acquisiscono nella teoria della traduzione. Tuttavia, non abbiamo parlato del modo in cui si manifestano i nessi sintattici tra le parole nella traduzione automatica ovvero quando i membri delle configurazioni non sono necessariamente adiacenti. Per la teoria della traduzione questo processo è importante perché è come se i nessi sintattici modelizzassero quel metodo di prove e errori che spesso (almeno nella fase iniziale) avviene durante l’analisi “umana” di un testo in una lingua poco conosciuta. In modo preliminare è utile esaminare come avviene il processo corrispondente nell’uomo.

Prendiamo la frase:
Oil immersed transformer windings are now usually made with paper covered conductors.
Come abbiamo detto nel paragrafo 3.1, l’analisi («grammatica passiva») presuppone che per ogni forma morfologica della parola sia presente l’intero elenco delle sue funzioni ovvero dei suoi significati grammaticali. Prendiamo la prima parola oil; può essere il soggetto e avere il traducente in caso nominativo maslo [olio]. La seconda parola immersed va considerata un predicato (la data forma morfologica può del tutto essere un verbo al passato). Si ottiene maslo pogruzilo [l’olio ha immerso]; la terza parola si traduce allora come complemento maslo pogruzilo transformator [l’olio ha immerso il trasformatore]. Anche la seguente parola è un sostantivo, perciò quella precedente non può essere tradotta come sostantivo. Rifacciamo la traduzione: maslo pogruzilo transformatornuû obmotku [l’olio ha immerso l’avvolgimento del trasformatore]. Tuttavia la parola seguente are dimostra che le ipotesi fatte precedentemente riguardo le funzioni di tutte le parole sono inesatte poiché are è senz’altro il predicato oppure la parte del predicato; inoltre, non c’è il soggetto per questo predicato. Un simile soggetto può essere solo la parola windings. È otteniamo transformatornaâ obmotka delaetsâ [l’avvolgimento del trasformatore diventa]. Questo ci obbliga a supporre che la parola immersed non sia un verbo, ma un participio (tale funzione è contenuta nell’elenco iniziale dei significati) e che deve essere tradotta con il traducente pogružennaâ [immerso]. Ne segue che la parola oil dipende da questo participio e deve essere tradotta con un caso obliquo. Otteniamo la traduzione definitiva: Pogružennaâ v maslo transformatornaâ obmotka delaetsâ… [Immerso nell’olio l’avvolgimento del trasformatore diventa…]. Questa traduzione è definitiva perché in seguito non si incontrano parole che possano confermare la scorrettezza della nostra analisi. Nella stessa maniera viene analizzata anche la seconda parte della frase.
Analizziamo ora l’esempio analogo in tedesco:
Die zusätzliche Produktion kann nicht losgelöst von den Planaufgaben in Angriff genommen warden, wie es in der Vergangenheit vielfach geschah.
La chiave della traduzione sta nella corretta individuazione del soggetto e del predicato. Nella proposizione principale, il soggetto è facilmente individuabile (Die Produktion). Il predicato, invece, è più complesso. La sua prima parte (kann) si trova, come di regola, al secondo posto. Ma qual’è la seconda parte? Se si considera tale genommen werden, si ottiene una traduzione visibilmente priva di senso. In questo caso è necessario sapere che in Angriff nehmen rappresenta un’unità con il significato «accedere a qc», «iniziare qc». Tuttavia, vediamo se nella proposizione ci sia un’altra forma verbale che serve anche da parte del predicato. Esaminiamo da questo punto di vista il participio losgelöst. In base alle sue caratteristiche formali potrebbe far parte del predicato (die zusätzliche Produktion kann nicht losgelöst warden). Ma in questo caso, in primo luogo il riferimento all’oggetto (von den Planaufgaben) non potrebbe stare dopo losgelöst e in secondo luogo la parte della proposizione in Angriff genommen warden resterebbe in sospeso. In questo modo abbiamo stabilito che losgelöst non fa parte del predicato; ciò significa che forma il gruppo autonomo losgelöst von den Planaufgaben – izolirovannye ot planovyh zadanij [isolati dagli obbiettivi prevvisti dal piano] (Švanebah, Revzin: 101-102).

Gli studenti di traduzione fanno inevitabilmente traduzioni simili alla nostra variante iniziale; ma di solito vengono definiti genericamente errori, il che non permette di evitare simili erorri successivamente. Se questi “errori” regolari venissero utilizzati come fase del processo traduttivo, l’efficaccia dell’acquisizione dell’esperienza traduttiva potrebbe solo crescere. È noto a tutti il principio logico secondo il quale la scoperta di contraddizioni porta sempre all’aumento delle conoscenze.

In seguito sarà esposto uno dei metodi di analisi sintattica generale del testo. Questo metodo è stato proposto da Û.S. Martem’ânov e consiste in quanto segue.
Per «analisi sintattica della frase» si intende lo stabilire nessi sintattici tra le parole mediante l’indicazione del membro principale e quello subordinato. Tali nessi in seguito saranno chiamati «relazioni di dominanza» oppure relazioni di subordinazione.

Per l’individuazione del maggior numero di relazioni di dominanza che uniscono le parole della frase si è rivelato opportuno avere tre classi elementari di parole e due regole che collegano le classi.

La classificazione si basa su parametri sintatici specifici:
1) capacità attiva di essere subordinato (abbreviato AS);
2) capacità attiva di essere principale (abbreviato AP);
3) capacità passiva di essere principale (abbreviato PP).
Per i parametri 1 e 3 è stata stabilita un’ulteriore distinzione che tiene conto della posizione di relazione delle parole nel discorso: seguire l’andamento del discorso, da sinistra a destra (d) e l’andamento contrario, da destra a sinistra (s).
Di conseguenza i parametri AS e PP appaiono in due varianti: ASd e ASs, PPd e PPs, eccetera., ovvero «capacità attiva di essere subordinato all’elemento a sinistra», «capacità passiva di essere principale per l’elemento a destra» e lo stesso per quello «a sinistra».
Si formulano le seguenti due regole di base:
I. «Se due parole x della classe di elementi con il parametro AS (abbreviato – della classe AS) in un determinato lato della frase trovano una parola della classe di elementi con il parametro corrispondente PP, (in assenza di alcuni divieti di cui parleremmo più avanti) tra x e y si deve stabilire la relazione di dominanza in cui la parola y sarà il membro principale».
II. «Se dopo la parola x della classe AP nella frase ci sono delle parole y, t, z, non appartenenti alla classe AS, ognuna di queste parole deve essere unita alla parola x in relazione di dominanza in cui x sarà il membro principale».
Queste due regole con le loro varianti sono la base dell’analisi sintattica.
Supponiamo che tutti i parametri sintattici (oltre ai tre basilari, sono stati introdotti anche alcuni aggiuntivi, si veda pag. 205 e seguenti) siano attribuiti a parole del dizionario.
Supponiamo inoltre che le parole necessarie siano ricopiati dal dizionario in una tavola riassuntiva della frase e ricevano dei numeri progressivi (assoluti). L’accertamento delle relazioni di dominanza consisterà nel reperimento consecutivo del membro attivo (AS o AP) stabilito dalle regole I e II, nella ricerca (dal lato corrispondente e tenendo conto di determinate condizioni) del secondo membro e nell’applicazione della seguente regola: «inserisci al membro subordinato della relazione nella casella “numeri relativi” il numero assoluto del membro principale». In questo modo il numero relativo indica a quale parola è subordinata la parola in questione.

Inizialmente agisce un gruppo di operazioni che stabilisce le relazioni di dominanza secondo la regola I: Ia per ASs e Iв per ASs. Il gruppo speciale di operazioni che stabilisce le relazioni di dominanza secondo la regola II viene utilizzato più tardi. L’“esito” finale del lavoro di ciascun gruppo di operazioni è rappresentato dalla comparsa di numeri relativi nelle parole corrispondenti.
Per le parole della frase inglese (P): The (1) chief (2) members (3) of (4) the (5) common (6) Market (7) seem (8) too (9) little (10) perturbed (11) by (12) Maudling’s (13) pro position (14) of (15) the (16) free (17) trade (18) area (19) including (20) only (21) seven (22) nations (23) (tra parentesi è posto il numero assoluto delle parole) si otteranno i seguenti risultati.

Risultati dell’analisi sintattica della frase (P) in base ai gruppi di operazioni
Gruppo di operazioni Iа)

numeri assoluti
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
numeri relativi
2 7 7 14 18 18 22 23

Gruppo di operazioni Iб)

numeri assoluti
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
numeri relativi
2 3 7 7 10 11 8 13 14 14 18 18

Gruppo di operazioni II

numeri assoluti
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
numeri relativi
2 3 7 7 4 10 11 8 13 14 12 14 18 18 15 19 22 23

Esaminiamo ora i parametri sintattici aggiuntivi delle parole. Per l’elaborazione delle parole secondo la regola I è necessaria l’introduzione di un parametro aggiuntivo «orientamento in base alla parola principale oppure la prossima parola indefinita». Supponiamo che immediatamente a destra della parola ASd (o a sinistra di ASs) nella frase ci siano due parole corrispondenti PP e, inoltre, supponiamo che queste siano collegate da relazione di dominanza; the (ASd) Common ((PPs) Market (PPs). In base alla regola generale I ogni parola AS deve unirsi alla parola più vicina PP, come avviene per esempio per le parole 9-10 (too little) e 21-22 (only seven). Tuttavia la regola generale non porterebbe la parola the alla relazione opportuna con quella più lontana delle due parole PP – Market. In questi casi l’indicatore AS deve precisare inserendo nel codice sintattico della parola il parametro aggiuntivo «orientamento in base alla parola principale». È risultato che la parola con l’indicatore AS può essere subordinata alla parola più lontana delle due parole PP solo nel caso in cui la parola più lontana sia unita con la più vicina in relazione di dominanza dove la prima risulta la principale.
Per utilizare il parametro aggiuntivo è necessario che al momento dell’elaborazione della parola AS sia stabilito quale delle due parole PP è la principale. Questo si ottiene grazie al fatto che la revisione delle parole nell’analisi avviene in una determinata direzione. Nell’elaborazione delle parole ASd la revisione si svolge dalla fine della frase verso l’inizio, nell’elaborazione delle parole ASs si svolge in direzione contraria.
Bisogna evidenziare che il parametro «orientamento in base alla parola principale» non tiene conto di altre informazioni all’infuori di quelle emerse in seguito all’elaborazione sintattica precedente. Dal punto di vista della grammatica l’intenzione di unire the con Market è determinata dal fatto che nella lingua inglese l’elemento – parte del discorso «articolo» di solito si unisce, ovvero forma “configurazione” con gli elementi – parti del discorso «sostantivo». Tuttavia in una frase inglese correttamente organizzata l’articolo non sarà separato dal suo sostantivo con nessuna parola che possa risultare principale per il sostantivo (per esempio tra l’articolo e il suo sostantivo non ci può essere il verbo, ma solo un attributo). Perciò nell’analisi di una frase inglese finita e corretta la conoscenza della concreta parte del discorso con quale bisogna unire l’articolo può essere non obbligatoria.

Nella classe AP elaborata in base alla regola II sono state collocate allo stesso modo le parole del tipo di of, by (preposizioni) e le parole del tipo di seem, perturbed (verbi). Tale unione porta alla necessità di introdurre una differenza aggiuntiva: se nella nostra frase alla parola of venisse applicata la seconda regola risulterebbe la principale per la parola successiva seem, e la parola by risulterebbe la principale per la successiva of; il che non sarebbe opportuno. Esprimendosi in termini di ordinarie parti del discorso la loro «capacità di essere principale» si dovrebbe limitare mediante il «sostantivo» immediatamente a destra. Tuttavia al posto del riferimento alla concreta parte del discorso, ci riferiamo ai risultati dell’elaborazione precedente introducendo il parametro di precisione «separatezza delle parola principale da quelle successive». Questo è opportuno tanto più che per esempio nella lingua inglese l’azione subordinata della preposizione è limitata non semplicemente dal sostantivo, ma da quello principale della serie di sostantivi successivi (of the free trade area, by the chief member; si veda più avanti).
In seguito all’attuazione di queste operazioni le parole della frase si rivelano portatrici di determinate relazioni sintattiche che li collegano alle altre parole della stessa frase. Le relazioni sintattiche individuate in una parola possono distinguersi da quelle di un’altra parola in base alla loro quantità e qualità (si veda l’esempio a pag. 204).

La peculiarità delle funzioni sintattiche delle diverse parole stabilita nella fase dell’analisi è del tutto condizionata dalla differenza iniziale nella codifica sintattica delle parole (si veda la tabella a pag. 210). I parametri sintattici contengono in modo “compresso” tutte la possibilità di relazioni tra le parole in ogni frase. Tali parametri danno la possibilità di scomporre negli elementi costituenti i complessi indivisi di caratteristiche sintattiche che di solito si attribuiscono a una o a un’altra normale parte del discorso. Queste ultime si presentano come serie di parametri distintivi («differenziali»).

A prima vista nella codifica sintattica di diverse parole sono facilmente riconoscibili alcune serie costanti di parametri che si ripetono regolarmente per molte parole. Per esempio la serie di unità nelle caselle 17-18-19-20 corrisponde a «preposizione»; le unità nelle caselle 10-12-16 contrassegnano «aggettivo»; le unità nelle caselle 10-12-19-20 contrassegnano «articolo»; le unità nelle caselle 14-17-18-19-20 contrassegnano «congiunzione subordinativa». La descrizione delle parti del discorso elencate mediante i parametri differenziali appare molto semplice e allo stesso tempo abbastanza piena, il che dimostra la particolare natura sintattica delle relative parti del discorso. Le altri parti del discorso normali della lingua inglese (verbo, sostantivo) sono eterogenee dal punto di vista sintattico: se il verbo appare all’infinito (o al presente) viene descritto con la serie 15-16-17-19-20 (seem). La forma verbale -ing (including) corrisponde all’informazione sintattica più ampia 10-11-12-15-16-17-19-20 che integra il verbo con i parametri che lo avvicinano all’aggettivo.

Il sostantivo al caso diretto (Maudling, Market, area) viene codificato con due parametri 15-16, quello al caso obliquo (Maudling’s) contiene più informazioni 10-11-12-15-16.
Il calcolo dei parametri attribuiti agli affissi può escludere alcuni parametri sintattici: il tema verbale dove si rileva il suffisso -tion (oppure -ment, -ence, -er) perde i parametri 17-19-20, diventando così simile al sostantivo (proposition).
Gli undici parametri utilizati nella codifica bastano per garantire un’elaborazione varia non solo delle diverse parti del discorso come per esempio «preposizione» o «aggettivo», ma anche delle singole parole nella stessa parte del discorso: in questa maniera la preposizione of, di solito subordinata al sostantivo precedente, riceve il parametro ASs e, allo stesso tempo, per la preposizione by, posta dopo il verbo con strumenti di subordinazione propri (parametro AP), il parametro ASs sarebbe superfluo.

Dopo la descrizione delle parti del discorso attraverso i parametri differenziali, l’elaborazione sintattica di ogni parte del discorso si scompone in una serie di cicli consecutivi che si occupano solo di una determinata parte delle caratterisctiche sintattiche.
Il vantaggio di una simile elaborazione separata dei singoli parametri sintattici è evvidente: i parametri sintattici elementari sono molto meno rispetto alle parti del discorso che descrivono. Il “senso sintattico” di tali parametri è spiegato da un numero limitato di regole dell’analisi. Entro quei limiti, mentre la singola parte del discorso può essere descritta con i parametri proposti, la peculiarità della sua elaborazione consisterà solo nella combinazione particolare di regole che corrispondono a questi parametri.
Nel paragrafo 4.2. abbiamo già parlato dell’omonimia sintattica. Esaminiamo ora come questi problemi possono essere formulati in termini della teoria di Martem’ânov. Omonima sarà la parola nella quale in due diverse condizioni risultano attuati parametri diversi. In questo modo, l’aggettivo (10-12-15-16), del quale in alcune condizioni concrete sono risultati non attuati i parametri 10-12, dal punto di vista sintattico viene paragonato al «sostantivo» (15-16). La preposizione (18-19-20), per la quale nella data frase non è stato trovato il sostantivo successivo e con ciò è rimasto inutilizzato il parametro 18 (AP), si trasforma in «avverbio» (19-20). Sono ancora maggiori le possibilità di tale omonimia nella forma in –ing, cui codice sintattico contiene una serie di parametri caratteristici dei «sostantivi», dei «verbi» e degli «aggettivi».

In tutti questi casi l’omonimia sintattica della parola può essere considerata conseguenza della diversa realizzazione contestuale della stessa serie di parametri sintattici. Questa omonimia può non trovare del tutto rappresentazione nel codice sintattico costante della parola. Le parole del tipo di common, any, bad bisogna sempre registrarle con i parametri 10-12, le parole del tipo di with, by con i parametri 18, la forma in –ing con la serie maggiore di possibili parametri.

La diversa attuazione di queste serie è interamente legata al contesto sintattico della frase corrispondente.
Torniamo ora alla nostra frase. Verso la fine dell’elaborazione del testo in base alle regole della procedura (si veda la pag. 204) nella frase analizzata sono rimasti alcuni frammenti non correlate tra loro:
a) frammenti (1-2);
b) frammenti (3-7);
c) frammenti (8-18);
d) frammenti (19-23).
Il metodo descritto è insufficiente per stabilire le relazioni di dominanza tra questi frammenti.

L’analisi sintattica che si fonda sui parametri differenziali delle parole funziona solo se questi parametri vengono attribuiti costantemente alla parola; è chiaro che il codice costante può essere utile solo se porta a stabilire le stesse relazioni opportune in due frasi dove si incontra la stessa parola.

L’auspicabile subordinazione della parola trade alla parola area (come anche della parola chief alla parola members) non si può stabilire con nessun parametro senza rischiare di ottenere in un’altra frase una relazione non opportuna.
La limitatezza dell’utilizzo della codifica sintattica delle parole non deve essere considerata come difetto del metodo esaminato. La dipendenza del sostantivo precedente da quello successivo si può considerare effetto discorsuale alla cui base stano le possibilità particolari della posizione adiacente delle parole. Queste possibilità nelle varie lingue si realizzano in maniere diverse: la lingua inglese preferisce la preposizione e, invece, la lingua francese la posposizione. In questo caso il metodo di analisi descritto che si basa sulle caratteristiche sintattiche costanti delle parole per la sua essenza non può estendersi ai casi del tipo di trade area.

I casi di conessione spiegati con l’esempio della tipica disposizione reciproca delle parole adiacenti devono essere individuati in una particolare sintassi che chiameremmo sintassi II.
Le regole Ia, Ib e II servono solo alla descrizione della sintassi 1 e non pretendono di individuare tutte le relazioni che esistono nella frase. Il loro ruolo consiste nella riduzione delle frasi a una quantità minima di frammenti, la cui ulteriore conessione non è necessaria oppure non presenta difficoltà.
Per la descrizione della sintassi II (nel nostro caso per stabilire le relazioni di dominanza di chief members e trade area) è stato composto un gruppo speciale di regole III del quale qui non ci occupiamo.
Infine, un caso molto particolare è considerata la conessione delle due parti rimanenti: the chief members… e perturbed… .
Non è la sintassi II che si occupa della disposizione reciproca delle parole adiacenti; e neanche la sintassi I, poiché è impossibile stabilire nel codice sintattico costante della parola la funzione non invariata del «soggetto» e del «predicato». Ma ciò non è necessario dal momento che per la maggioranza delle frasi il soggetto e il predicato si manifestano automaticamente nel corso della riduzione come due “sommità” basilari indipendenti della frase la cui identificazione non presenta alcuna difficoltà.

Ai parametri sintattici della parola attribuiti al suo tema nel dizionario (o nella «tavola dei temi») possono aggiungersi parametri degli affissi registrati nella tavola morfologica corrispondente. Perciò l’algoritmo sintattico è anticipato da singole fasi ovvero dalle regole dell’analisi morfologica (gruppo di regole A) grazie alle quali avviene l’identificazione di tutti i morfemi delle parole del testo con i morfemi della tavola. Questa fase si conclude con la selezione di informazioni dalle tavole generali della lingua nella tavola riassuntiva della frase (si veda la tavola) dopo di chè avviene l’analisi sintattica descritta sopra.

5.5. Questioni semantiche della sintesi

In seguito all’analisi lessicale e grammaticale del testo nella lingua emittente si manifesta, come abbiamo visto, una certa successione di unità traduttive e di relazioni tra le unità ovvero il piano del contenuto del messaggio è stabilito per mezzo di alcune serie di sensi elementari e relazioni nel linguaggio d’intermediazione.
Esaminiamo il messaggio analizzato dal punto di vista della traduzione ovvero la fase passata dell’analisi. Prendiamo la frase:
 odolžil moemu bratu 500 rublej na pokupku avtomobilâ. [Ho prestato al mio fratello 500 rubli per comprare una macchina.]
Si può immaginare il testo analizzato scomposto in tale modo che il messaggio in seguito all’analisi assuma l’aspetto seguente:

Prima
persona,
singolare A causa l’avere di B e B causa l’avere di A Apparte-
nenza,
prima persona
singolare Figlio degli stessi genitori 500
rubli B causa il suo avere mediante il paga-
mento Macchina

Perché si possa concludere il processo traduttivo bisogna sostituire la successione di unità del piano del contenuto con gli elementi del piano dell’espressione ovvero comporre il testo nella lingua ricevente. Proprio in questo consiste la sintesi.
In quale modo, in base a quali regole sceglieremo nella lingua ricevente le unità necessarie per la composizione del testo? Esaminiamo in breve la questione.
In seguito all’analisi disponiamo di una serie di significati elementari. Ad alcuni di questi significati corrisponderano in modo univoco le parole nella lingua ricevente. A questa categoria appartengono molte parole che indicano correlazione oggettuale: avtomobil [macchina], derevo [albero], cvetok [fiore], sobaka [cane], stol [tavolo], karandaš [matita], dyšat’ [respirare], čitat’ [leggere]; per esempio in francese: automobile, arbre, fleur, chien, table, crayon, respirer, lire, eccetera.; oppure concetti astratti formati in maniera uguale nella lingua emmitente e ricevente (si confrontino fizionomiâ [fisionomia], arterioskleroz [arteriosclerosi], platëžnyj balans [bilancia dei pagamenti], neobhodimost’ [necessità], veroâtnost’ [probabilità] con il francese physionomie, artério-sclérose, blance de paiements, nécessité, probabilité).
È vero che in alcune lingue ci sono le varianti delle parole utilizzati in diverse comunità etniche. Così per esempio nella traduzione in inglese bisogna tener conto delle varianti americane delle parole inglesi (confrontare baggage: luggage, bill: note – bankovskij bilet [banconota], can: tin – konservnaâ banka [scatoletta da conserva], car: coach – železnodorožnyj vagon [carrozza ferroviaria], corn: tin – kukuruza [mais], store: shop – magazin [negozio], eccetera.).
Tuttavia questo in linea di principio non cambia la questione della
sintesi di parole simili; è sufficiente riportare l’indicazione di ambito specialistico nel dizionario.
Le parole che articolano in modo uguale la realtà nella lingua emittente e nella lingua ricevente, ovvero che corrispondono sul piano del contenuto, sono particolarmente numerose nei testi scientifici, nonché negli ambiti in cui avvengono contatti regolari tra le lingue.
Tuttavia di regola tra le serie di unità elementari del linguaggio d’intermediazione non c’è una corrispondenza univoca con le parole della lingua ricevente. Esaminiamo come esempio la frase inglese Bleriot flew across the channel. Nella sua traduzione francese Blériot traversa la Manche en avion (Vinay, Darbelnet: 105) alle parole inglesi flew across sono posti in corrispondenza traversa en avion. Qual è il meccanismo di tale traduzione? Nella fase dell’analisi della frase inglese è stata individuata la seguente serie di unità semantiche: si muoveva + per via aerea (flew) + mediante l’attraversamento (across). Poi da questa serie sono state sintetizzate le parole francesi: traverser (muoversi mediante l’attraversamento) + en avion (per via aerea). In questo modo è risultata una ridistribuzione delle unità elementari di senso correlate con le parole, ma nell’insieme l’unità traduttiva è sintetizzata ovvero è stato formulato un messaggio nella lingua ricevente che corrisponde al senso del testo nella lingua emmitente.
È essenziale segnalare che nella sintesi della frase francese riportata era obbligatoria la ridistribuzione delle unità elementari di senso in base alle parole. Una simile ridistribuzione è necessaria anche nella traduzione di questa frase in russo, dove i tre significati elementari (muoversi + per via aerea + mediante l’attraversamento) sarano espressi con una sola parola pereletel [trasvolare] (Blerio pereletel La Manš [Bleriot ha trasvolato la Manica]). Il fatto che l’espressione di questa serie di significati in russo sia diversa dall’inglese e francese è legato alla diversa derivazione delle parole e, sebbene sia importante di per sé, non ha un’importanza decisiva per la sintesi; ciò che serve principalmente nella sintesi è la formulazione di un messaggio che corrisponde alla serie di significati sul piano del contenuto. Ci possono essere diversi metodi per esprimere questo significato: lo stesso significato può essere espresso in modo lessicale, ovvero con diverse parole, oppure in modo morfologico (Mel’čuk 1960,1961). Per esempio la parola dat’ [dare] che contiene due unità semantiche elementari (causare e avere) nella traduzione in inglese o in francese può essere sintetizzata non solo attraverso give, doner, ma anche attraverso let have, faire avoir. Questo metodo di sintesi molto diffuso nell’inglese, francese, nonché nel tedesco permette di esprimere in maniera flessibile le relazioni soggetto-oggetto. È sufficiente aggiungere per esempio il verbo ausiliare faire al verbo francese intransitivo al infinito perché questo verbo esprima l’influenza, la causalità. In questo modo il significato di segnalazione, l’invio di messaggi può essere espresso non solo mediante i verbi corrispondenti (dire, montrer, eccetera.), ma anche mediante i verbi che indicano la ricezione di messaggi (entendre, voir, eccetera.). Si vedano i seguenti testi:
Razdalsâ kakoj-to gluhoj šum [Ha echeggiato un certo rumore sordo] – un bruit se fit entendre; gluho prozvučal zvonok [il campanello ha risuonato sordamente] – la sonnerie sourde venait de se faire entendre; on pokazal emu lošad’ [lui gli ha mostrato il cavallo] – il lui fit voir le cheval; novost’, kotoruju ja zdes’ privožu [la notizia che porto qui] – les aventures qu’on va lire; lûdi bormotali [la gente borbottava] – on entendait murmurer; On povtoril anekdot [lui ha ripettuto l’aneddoto] – il se fit l’écho d’une anecdote; On molčal [lui taceva] – il ne soufflait mot; On samouverenno zasmejalsâ [lui ha riso presuntuosamente] – il partit d’un éclat de rire assuré.
Nella traduzione dal tedesco e dal russo in francese nasce la necessità di ristrutturare tutte le frasi, in particolare nell’espressione di relazioni causa-effetto. Si tratta del fatto che il francese nell’espimere la causalità mediante il verbo faire o altri modi simili presuppone un tale ordine delle parole nel quale il soggetto dell’azione si trova al primo posto e gli oggetti corrispondenti vengono dopo la collocazione faire + verbo al infinito. Si confrontino Robert regarde un paysage e Albert fait voir un paysage à Robert. Mentre il tedesco e il russo preferiscono esprimere la relazione di causalità mediante parole con funzione di complemento. A questo è legata la ristrutturazione corrispondente nella sintesi della frase francese. Si confrontino i seguenti esempi (Malblanc: 27-28):
Davon zittern die Fensterscheiben – Cela fait trembler les vitres; Bei diesen Worten erbleichte Hans – Ces paroles firent pâlir Jean (oltre a A ces mots Jean pâlit); Vor dem nahen Feind entflohen die Einwohner in die Wälder – L’approche de l’ennemi fit fuir les habitants dans les forêts. Si confrontino anche gli esempi analoghi della traduzione dal russo: Vy boites’ moih slov [Voi temete le mie parole] – Mes paroles vous font peur; On smejalsâ i podčas sam ne znal i ne ponimal, čemu smejalsâ [Rideva e a volte lui stesso non sapeva e non capiva perchè rideva] – Il riait et parfois ne savait ni ne se rappelait lui-même ce qui le faisait rire; Čem lûdi živi (L.N. Tolstoj) [Perchè la gente è viva] – Ce qui fait vivre les hommes; Čerez nih ona zabyla svoû černuû bedu [Grazie a loro lei ha dimenticato la sua nera disgrazia] (Dostoevskij Idiota) – Ils lui firent oublier sa misère (oltre a Par eux elle oublia sa misère noire) (Tesnière: 296). Groza ne daët mne spat’ [La tempesta mi impedisce di dormire] – L’orage m’empêche de dormir; Â vsë ravno eë lûblû [Io comunque la amo]- Ça ne m’empêche pas de l’aimer.
La differenza dell’anticausalità negativa (“non impedimento”) espressa in francese con ne pas empêcher e la causalità positiva (permesso) si manifesta nella sintesi mediante inserimento di parole con senso elementare di concessione (si vous voulez, je veux bien, j’y consens, soit, d’accord). Si confrontino: Kolpaki, požaluj, možno nadet’ i čistye [Forse si può mettere un beretto pulito] (Gogol’) e il francese On peut leur mettre des bonnets propres si vous voulez; Je veux bien qu’on leur mette des bonnets propres; j’y consens; Soit, qu’on leur mette des bonnets propres; D’accord, qu’on leur mette des bonnets propres (Tesnière: 299).
La correlazione semantica del soggetto, dell’oggetto e del complemento di circostanza si esprime in maniera lessicale, morfologica e sintattica; ciò è comprensibile dato che queste relazioni sono essenziali per quasi tutte le espressioni linguistiche. Abbiamo prima esaminato (paragrafo 4.6.) alcune forme sintattiche di tale correlazione (per esempio la relazione delle costruzioni attive e passive).

Ora bisogna prestare attenzione alla ridistribuzione delle unità elementari di senso nella sintesi di frasi che esprimono relazioni lessicali. Si confrontino i seguenti esempi: Pour quelques personnes, la fortune du vieux était un objet d’orgueil. – Byli lûdi, kotorye gordilis’ bogatstvom starika [C’erano persone che andavano fiere della ricchezza del vecchio]; Le bonhomme Grandet devint maire (Balzac) – Počtennyj, uvažaemyj Grande byl sdelan merom (traduzione di Dostoevskij) [Il rispettabile, egreggio Grandet è diventato sindaco].
Spesso avviene la ridistribuzione dei sensi elementari che esprimono il complemento di circostanza. La presenza di verbi ausiliari che esprimono la causalità permette durante la sintesi dei testi di trasformare il gruppo di parole che esprime il complemento di circostanza in gruppo del soggetto. Si confontino per esempio:
V 1962 godu proizvodstvo stali uveličilos’ na 8%. [Nel 1962 la produzione di acciaio è aumentata del 8%.] – L’année 1962 a vu la production de l’acier augmenter de 8%; l’inglese 1962 saw the steel production rise by 8%.
Di conseguenza gli avverbi russi e tedeschi si sostituiscono con i verbi francesi, e i verbi con significato di modo concreto dell’azione con le forme impersonali del verbo. Si confrontino der Fluβ steigt unaufhörlich – le fleuve ne cesse de monter; lesen Sie weiter – čitajte dal’še [continui a leggere] – continuez à lire; er leugnet hartnäckig – on uporno otricaet [lui nega ostinatamente] – il s’obstine à nier; Man hat sogar gesagt – daže govorili (govorilos’) [perfino dicevano (si diceva)] – on est allé jusqu’à dire; il tedesco gern, il russo ohotno [volentieri] danno in francese aimer: ich lese gern – j’aime à lire – â ohotno čitaû [io leggo volentieri]. Si confronti anche la traduzione del grado comparativo dal tedesco gern-lieber, e dal russo lučše [meglio], mediante il francese préférer che comprende rispetto a aimer il senso elementare aggiuntivo espresso nel grado comparativo (je préfére – j’aime mieux): Ich lese lieber – â lučše počitaû [è meglio che io legga] – Je préfére (j’aime mieux) lire. Confontare nella direzione opposta il francese J’aime le vin – il tedesco Ich trinke gern Wein.
In conclusione osserviamo un’altra questione. Nel paragrafo 5.1. abbiamo visto come le parole che non hanno traducenti nel linguaggio d’intermediazione e non rappresentano formule vengono messe in corrispondenza con le serie fonemiche del linguaggio d’intermediazione. In questo caso nella sintesi dobbiamo correllare le serie di fonemi del linguaggio d’intermediazione con la successione di lettere nella lingua ricevente.
Qui bisogna differenziare le seguenti possibilità (Superanskaâ: 44-81):
1) al fonema del linguaggio d’intermediazione corrisponde il fonema della lingua ricevente;
2) non c’è tale corrispondenza.
Nel primo caso il fonema del linguaggio d’intermediazione durante la sintesi riceve una registrazione con lettere come il fonema corrispondente della lingua ricevente, per esempio:
(ʃɛn) dal francese Chesne russo Šèn
(gaus) dal tedesco Gauβ russo Gauss
Nel secondo caso il fonema del linguaggio d’intermediazione viene reso mediante la lettera che corrisponde a uno dei fonemi della lingua ricevente che è vicino al fonema del linguaggio d’intermediazione dal punto di vista della relazione acustico-articolatoria. Una simile situazione si incontra particolarmente spesso nella sintesi di parole dai fonemi del liguaggio d’intermediazione che corrispondono ai fonemi inglesi (si veda Aristov: 39-40), ma è tipica anche della traduzione in altre lingue, per esempio in tedesco (Švanebeh, Revzin: 34-35).
La prassi ha mostrato che in questo caso si crea una certa discordanza; spesso i cognomi di una stessa persona si scrivono (o, come di solito si dice, si traslitterano) in diverso modo nelle varie pubblicazioni. Per esempio i dittonghi tedeschi ei e eu si rendono non come si pronunciano in conformità alle regole generali tedesche di pronuncia («oj», «aj»), ma come suonano nella Germania meridionale («ej»). Perciò:
Feuchtwanger – Fejhtvanger, e non Fojhtvanger
Neues Deutschland – Nejes Dejčland, e non Nojes Dojčland
Leipzig – Lejpcig, e non Lajpcig
Fino a poco tempo fa esisteva la tradizione di rendere il suono h (Hauchlaut) mediante la lettera russa g (legato alla pronuncia in Russia meridionale e Ucraina del «g» dove è più vicino al suono tedesco h). Perciò:
Heinrich Heine – Genrih Gejne, e non Hajnrih Hajne.
Ultimamente il suono h si rende foneticamente mediante la lettera «х» [h].
In tutti i casi simili c’è l’eccezione per tutti i nomi e denominazioni cui scrittura/grafia in russo ha già una certa tradizione, per esempio:

Humboldt – Gumbol’dt
Herbert – Gerbert
Reuter – Rejter
Wien – Vena
Paris – Pariž
Washington – Vašington
Sachen – Saksoniâ
Mailand – Milan
Il processo di sintesi descritto sopra che viene a volte chiamato traslitterazione è definitivo solo per i nomi propri poiché questi non sono soggetti a nessun tipo di categorizzazione nel sistema della lingua ricevente.
È più complicata la questione per quanto riguarda i neologismi e i realia per la cui sintesi bisogna fornire la parola di tutte le categorie di parti del discorso corrispondenti nella lingua ricevente.
Prendiamo come esempio il traducente tedesco della parola kolchoz [azienda agricola colletiva nella Russia sovietica] (si veda Revzin 1959: 204-205). Supponiamo di dover tradurre questa parola con il metodo della traslitterazione. Non si rivela molto semplice l’inserimento di una parola; la parola deve far parte del sistema della lingua ovvero prima di tutto deve avere una propria declinazione e ciò significa avere un genere. Poiché nella parola non ci sono degli indicatori particolari, diverse persone, partendo da varie considerazioni, utilizzavano diverso genere – il genere maschile (der Kolchos) si usava perché in russo la collocazione kolchoz è di genere mascile, il genere neutro (das Kolchos) si usava perché in russo kollektivnoe hozâjstvo [kolchoz: azienda agricola colletiva nella Russia sovietica] è di genere neutro e il genere femminile (die Kolchose) si usava perché Kollektiv-wirtschaft (calco usato precedentemente) è di genere femminile.
Per quanto riguarda la forma die Kolchose bisogna ammettere che è una scelta infelice già per via del suono in quanto è omonima alla collocazione priva di senso, ma comica Kohlhose.
La forma das Kolchos non è opportuna perché questa parola tende verso una certa categoria di declinazione e, precisamente, alla categoria delle parole di genere neutro che terminano in -os, per esempio Epos; in questa categoria al plurale -os diventa -en e da qui nasce das Kolchos – die Kolchen. Perciò la forma der Kolchos deve essere ritenuta la più opportuna. Tuttavia ancora si possono incontrare le tre forme.

Abbiamo esaminato la possibilità di sintesi del lessico senza traducenti. È chiaro che nell’interpretazione ovvero rivolgendosi alla realtà ci possono essere anche altre soluzioni (si veda il paragrafo 2.5.).

5.6. I problemi sintattici della sintesi

La sintesi in generale si realizza secondo gli schemi di genesi che abbiamo esaminato nel paragrafo 3.3..
In particolare la sintesi della configurazione si realizza come processo opposto all’analisi della configurazione.
Nella sintesi della configurazione (Mološnaâ 1960: 268) si svolgeranno le configurazioni della lingua ricevente in ordine opposto allo svolgimento nella lingua emittente. A pagina 188 è riportato un elenco delle classi delle parole, definiti da T.N. Mološnaâ per la lingua inglese. Riportiamo ora esempi delle classi corrispondenti in russo:
P – pronome personale
1 – sostantivo
2‾ – verbo intransitivo in forma personale (non riflessivo)
3 – aggettivo.
In questo poniamo la condizione di aggiungere a ogni indicatore l’informazione morfologica (indicazione di caso, numero, eccetera.) e, inoltre, mediante il segno ˅ posto sopra l’indicatore indicare la conocordanza e mediante l’indicatore ~ segnare la determinata parola. Per esempio la formula di svolgimento:
₁̃ = ₃̌ ₁̃ˇ
mostra che il sostantivo si sviluppa nella sequenza sostantivo + aggettivo dove l’aggettivo concorda con il sostantivo.

Nel paragrafo 4.2. abbiamo esaminato la frase inglese Let us call the above-mentioned lemma the fundamental lemma e abbiamo visto che può essere condotta alla configurazione di base:
P₂ 2‾ ₃
Si stabiliscono le seguenti regole di sintesi (corrispondenti alle regole di svolgimento sopra analizzate):
1) ₂‾ = ₂̃‾
2) ₁ = ₃̃ˇ ₁̃
Il processo di sintesi può essere raffigurato mediante la tabella:

Formula Sequenza sintettizzata di indicatori
applicata
P₂ 2‾ ₃ = 2‾ ₃ fut. 1p.,sg. 2‾ ₃ fut. 1p., sg.
2˜₃ = 2˜₃ 1₆ acc. 1₉ str. 2‾ ₃ fut. 1p., sg. 1₆ acc. 1₉ str.
1˜₉ = 3ˇ₈ 1˜ˇ₉
1˜₆ = 3ˇ₅ 1˜ˇ₆ 2‾ ₃ fut. 1p., sg. 3ˇ₅ 1˜ˇ₆ acc.
3ˇ₈ 1˜ˇ₉ str.
2₃ = chiamare
3₅ = summenzionato
1₉, 1₆ = lemma
3₈ = principale chiameremo il lemma summenzionato
Il lemma principale

Soffermiamoci nella lingua ricevente sui problemi delle limitazioni che sono imposti e che influenzano perciò la sintesi della frase.
Il caso più comune di limitazioni imposti nella lingua è l’ordine delle parole, vincolante per varie ragioni nella lingua in questione.

Esaminiamo l’esempio di sintesi in tedesco della collocazione in cui una delle parole del linguaggio d’intermediazione corrisponde all’aggettivo russo. Prendiamo la collocazione Soûz Sovetskih Socialističeskih Respublik [L’unione delle repubbliche socialiste sovietiche], in tedesco die Union der Sozialistischen Sowjetrepubliken. È facile notare che nella sintesi al secondo e terzo posto è avvenuta un’inversione:
1 2 3
Soûz Sovetskih Socialističeskih Respublik
1 3 2
Die Union der Sozialistischen Sowjetrepubliken.
L’inversione è provocata dal fatto che le parole Sovetskaâ Respublika [Repubblica sovietica] si traducono con una parola sola die Sowjetrepublik, e l’aggettivo sozialistisch passa al primo posto. In base allo stesso modello Krupnoe socialističeskoe predpriâtie [grossa azienda socialista] si traduce come ein sozialistischer Groβbetrieb. Ciò e legato al fatto che il sistema di senso krupnoe predpriâtie [grossa azienda] corrisponde nella sintesi a una parola sola (Groβbetrieb).
Osserviamo alcune altre questioni di sintesi in tedesco. Supponiamo di avere la collocazione obsluživanie processa obrašeniâ tovarov [servizio del processo di circolazione di merci] e di voler formare una parola composta per evitare la serie di genitivi.
In teoria ci sono le seguenti possibilità:
1. die Betreuung des Prozesses = die Prozeβbetreuung
2. der Prozeβ der Zirkulation = der Zirkulationprozess
3. die Zirkulation der Waren = die Warenzirkulation
Tuttavia nella frase in questione può essere utilizzata solo la terza parola composta. Perché? Nella formazione di parole composte in tedesco si applica la seguente regola: il sostantivo subordinato grammaticamente a un altro sostantivo può essere trasformato nel primo elemento della parola composta solo se non ci sono altre parole subordinate a esso.

La registrazione delle limitazioni è importante anche nella sintesi delle corrispondenze dei sostantivi composti russi, nonché dei sostantivi legati da trattino del tipo deputat-komunist [deputato-comunista], poet-demokrat [poeta-democratico], pisatel’-borec [scrittore-partigiano], hudožnik-diletant [artista-dilettante], učënyj-hudožnik [studioso-artista], eccetera.
Similli collocazioni non devono essere tradotte in tedesco o in francese parola per parola, per esempio non si deve dire in tedesco Dichter-Demokrat. Si tratta del fatto che in russo la sequenza è progressiva, mentre in tedesco è regressiva e in tedesco di regola tali parole se esistono sono delle parole di determinato tipo nelle quali il primo elemento determina il secondo, per esempio nelle collocazioni deputat-komunist [deputato-comunista], poet-demokrat [poeta-democratico] le parole principali deputat [deputato] e poet [poeta], perciò nel passaggio dal linguaggio d’intermediazione verso il tedesco è possibile trasformare la seconda parola in aggettivo der kommunistische Deputierte e ein demokratischer Dichtier, eccetera.

5.7. L’indipendenza dell’analisi e della sintesi

Osservando gli esempi utilizzati nei paragrafi precedenti si è potuta creare l’impressione che la traduzione dipenda dalla lingua emittente, o meglio che la fase della sintesi dipenda dall’analisi. Generalmente parlando è così che spesso in effetti avviene la traduzione. Proprio questa era la posizione quando si costruivano gli algoritmi binari della traduzione: russo-inglese, inglese-russo, francese-russo, eccetera. In questo caso il linguaggio d’intermediazione era il sistema di corrispondenze tra le due lingue in questione e le caratteristiche di tale linguaggio d’intermediazione dipendevano dalle coppie di lingue.
Inoltre in certi casi si rivela opportuno formare tali linguaggi d’intermediazione binari e le regole traduttive dalla lingua L1 alla lingua L2 in molti casi si sono rivelate notevolmente diverse dalle regole traduttive dalla lingua L2 alla lingua L1. In altri termini queste regole si sono dimostrate irreversibili. Nella traduzione automatica è stato chiarito come le relazioni tra la lingua russa e quella inglese siano tali che nelle situazioni più semplici le regole traduttive dal russo in inglese possono essere molto semplici, ma allo stesso tempo le regole traduttive delle frasi inglesi corrispondenti in russo molto complicate.

In qualità di esempio analizziamo la frase del primo esperimento di traduzione in russo (Booth e Locke 1957: 171 e seguenti).
In questo esperimento, come abbiamo visto, è stata tradotta la frase veličina ugla opredelâetsa otnošeniem dugi k radiusu [la dimensione dell’angolo è determinata dal rapporto tra l’arco e il raggio]. Le parole ugla, otnošeniem, dugi e radiusu nell’analisi si scompongono tra il tema e la desinenza, da dove è chiaro che le desinenze a e i esprimono il caso genitivo, la desinenza em il caso strumentale e la desinenza u il dativo. Nella sintesi il significato del caso genitivo si pone in corrispondenza con l’elemento of, il significato del caso dativo con l’elemento to e il significato del caso strumentale con l’elemento by. Da qui la regola: l’elemento che corrisponde al significato del caso si pone davanti alla parola cui questo si riferisce. In seguito a ciò si ottiene la traduzione: Magnitude of angle is determined by the relation of arc to radius. Riccordiamo che le forme is determined e l’articolo davanti alla parola relation erano semplicemente prese dal dizionario ovvero di nuovo ci convinciamo che la divisione tra il dizionario e la grammatica non è valida una volta per tutte.
Il succeso dell’esperimento di traduzione automatica descritto si spiega non solo con l’approccio ai problemi grammaticali per niente prevenuto che è stato preparato al passo con lo sviluppo del descrittivismo americano. Si tratta anche del fatto che qui è stata scelta in maniera straordinariamente felice una coppia di lingue opportuna per la traduzione. La «grammatica passiva» russa è più o meno semplice: quasi ogni parola segnala mediante la propria desinenza la propria funzione. La «grammatica passiva» inglese è molto più complicata e nell’analisi bisogna ogni volta tener conto del contesto e fare operazioni logiche complicate. Al contrario, la «grammatica attiva» russa è straordinariamente complicata: a ogni significato corrisponde un’intera serie di forme (per esempio in base al tipo di declinazione o coniugazione), la «grammatica attiva» inglese è più semplice.

Queste affermazioni sono vere, ma solo per determinate sottolingue. Anche nell’analisi della frase russa spesso ci si imbatte in casi di omonimia (compresa quella grammaticale; si veda Nikolaeva 1962: 1043).
Dall’altro lato negli studi sulla traduzione automatica si è capito presto il vantaggio che porta la formazione di tali regole con le quali l’analisi del testo nella lingua emittente non dipende dalle caratteristiche della lingua ricevente e viceversa. Il vantaggio è prima di tutto quantitativo. Supponiamo che ci siano cento lingue e di voler tradurre da ogni lingua in ogni lingua. Abbiamo bisogno di 9900 diverse serie di regole poiché è tale il numero di combinazioni di due lingue. Se si utilizano analisi e sintesi indipendenti ovvero se si ha una certa serie di regole di analisi e regole di sintesi per ogni lingua, basterà fare cento analisi e cento sintesi (Uspenskij 1959: 41).

L’analisi indipendente ovvero il pasaggio dal testo della lingua emittente al linguaggio d’intermediazione corrisponde alla «comprensione del testo», ovvero alla comprensione generale che, a seconda dell’opinione unanime di tutti i teorici, è un presupposto necessario della traduzione.
Nella formalizzazione, la comprensione (l’analisi) si riflette come traduzione del lessico e dei nessi sintattici del testo in questione in lessico universale e nessi sintattici universali (Mel’čuk 1960). Il sistema di registrazione di tale lessico universale e di tali nessi sintattici universali è il linguaggio d’intermediazione. Conoscendo i mezzi espressivi dei concetti e dei nessi generici mediante gli strumenti lessicali della lingua ricevente ovvero conoscendo il sistema di corrispondenze tra il linguaggio d’intermediazione e la lingua concreta in questione possiamo facilmente sintetizzare il testo in questa lingua.
La sintesi indipendente ovvero il passaggio dal linguaggio d’intermediazione al testo della lingua ricevente corrisponde in sostanza alla fase creativa della traduzione e precisamente all’«espressione del pensiero».
L’indipendenza dell’analisi dalla sintesi è interessante dal punto di vista della modellizzazione di un simile approccio alla traduzione.

Paola Zanacca, Agar: narrazione, antropologia linguistica e organizzazione complessa

Agar:
narrazione, antropologia linguistica e organizzazione complessa

PAOLA ZANACCA

Scuole Civiche di Milano
Fondazione di partecipazione
Dipartimento Lingue
Scuola Superiore per Mediatori Linguistici
via Alex Visconti, 18 20151 MILANO

Relatore: professor Bruno Osimo
Diploma in Scienze della Mediazione Linguistica
Estate 2009

© MICHAEL AGAR, Ethnoworks, US, 2005

© Paola Zanacca per l’edizione italiana 2009
Agar: narrazione, antropologia linguistica
e organizzazione complessa

(Agar: narrative, linguistic anthropology, and complex organization)

Abstract in italiano

Con il termine «organizzazione complessa» s’intende un’organizzazione in grado di rispondere ai continui cambiamenti. Le osservazioni locali e le storie sono risorse importanti per sviluppare questa capacità. Termini quali «narrazione» e «storia» risultano piuttosto ambigui per una persona con una formazione in antropologia linguistica, dove entrambi sono stati usati per oltre un secolo in modi molto diversi. In questo articolo, Michael Agar tenta di darne una spiegazione introducendo il concetto di «creazione di senso» di Weick che porta la «storia» nel cuore della ricerca e del funziona¬men¬to dell’organizzazione. Passa poi a concentrarsi sul recente lavoro di Ochs e Capps sulla «narrazione viva». Le loro cinque dimensioni della narrazione danno alla creazione di senso un significato più fondato e dettagliato. Infine, concetti presi dall’analisi del discorso ci permettono di valutare il modo in cui la creazione di senso sia in linea con l’idea dell’organizzazione come sistema coevoluzionistico complesso.

English abstract

“Complex organization” means an organization capable of responding to frequent changes. Local noticings and stories are critical resources to develop that capability. Terms like “narrative” and “story” are pretty confusing for a person who grew up in linguistic anthropology, where both have been used in a variety of ways for a century or so. In this article Michael Agar tries to clarify the terms through Weick’s concept of “sensemaking” which brings “story” into the realm of organizational research and practice. He draws on the recent work on “living narrative” by Ochs and Capps. Their five dimensions of narrative give sensemaking a more grounded and detailed meaning. Then concepts from discourse analysis allow us to evaluate sensemaking for its fit with ideas about an organization as a complex co-evolutionary system.

Deutsche Zusammenfassung

Unter dem Begriff “komplexe Organisation” versteht man eine Organisation, die fortlaufenden Veränderungen standhält. Die Beobachtung der örtlichen Gegebenheiten und Geschichten sind wichtige Quellen, um dieses Können zu erwerben. Begriffe wie “Erzählung” und “Geschichte” scheinen einer in linguistischer Anthropologie ausgebildeten Person eher zweideutig, da beide in diesem Bereich seit mehr als einem Jahrhundert auf eine ganz andere Weise verwendet werden. In diesem Artikel versucht sich Michael Agar an einer Erklärung und führt das Konzept der “Sinnerzeugung” von Weick ein, welches die “Geschichte” in den Mittelpunkt der Forschung und des Funktionierens der Organisation stellt. Es folgt ein Einblick in die kürzlich erschienene Veröffentlichung von Ochs und Capps zur “lebendigen Erzählung”. Ihre fünf Dimensionen der Erzählung verleihen der Sinnerzeugung eine fundiertere und ausführlichere Bedeutung. Abschließend werden Konzepte der Diskursanalyse eingesetzt, um darzulegen, auf welche Art die Sinnerzeugung der Idee der Organisation als koevolutionäres komplexes System entspricht.

Sommario

1. Prefazione 4
1.1. Dalla cultura come entità autoreferenziale alla cultura come traduzione 4
1.2. Rich point e strategia traduttiva 6
1.3. Traduttore e antropologo: lo stesso mestiere con due applicazioni diverse 7
1.4. Riferimenti bibliografici 9
1.5. Alcune note biografiche 10
1.5.1. Michael Agar 10
1.5.2. Karl E. Weich 10
1.5.3. Elinor Ochs 11
1.5.4. Lisa Capps 11
2. Traduzione con testo a fronte 12
2.1 Riferimenti bibliografici 61

1. Prefazione
1.1. Dalla cultura come entità autoreferenziale alla cultura come traduzione
In antropologia, il concetto di «cultura» è onnicomprensivo e per questo viene spesso considerato in modo errato. In passato, gli antropologi usavano la parola cultura per descrivere, spiegare e generalizzare il comportamento altrui. Citando Alfred Kroeber e Clyde Kluckhohn (1966), il vecchio concetto di cultura può essere così sintetizzato: «La cultura è composta da un insieme, esplicito e implicito, di comportamenti acquisiti e trasmessi da simboli che costituiscono le particolari conquiste ottenute da un gruppo di esseri umani e che comprendono anche la loro personificazione sotto forma di artefatti; il nucleo essenziale della cultura è composto da idee tradizionali e in particolare dai valori ad esso collegati. Da un lato i sistemi culturali possono essere considerati come prodotti di azioni, e dall’altro come elementi condizionanti di ulteriori azioni» (Kroeber e Kluckhohn, 1966).
Il concetto di «cultura» aveva così un significato autoreferenziale legato alla spiegazione di un determinato modus operandi. Se una persona si comportava in un certo modo, l’antropologo riteneva che quel particolare atto o atteggiamento derivasse dalla sua cultura e dal fatto di condividere una specifica identità culturale. In passato si è sempre ritenuto che la cultura fosse un sistema chiuso e coerente di azioni e significati che comprendeva solo un gruppo ristretto di individui, appartenenti appunto a quella cultura. Non aveva alcuno sviluppo temporale ed era un valore tradizionale che veniva tramandato da una generazione all’altra. In questo modo, diventava sinonimo di identità autoreferenziale che precludeva qualsiasi possibile deviazione e che inoltre semplificava un concetto che in realtà, come ha sottolineato anche Michael Agar, è molto più complesso e ampio.
Il concetto di «cultura», e la sua comprensione, implicano un legame tra due linguaculture che Agar chiama «linguacultura (languaculture) emittente» e «linguacultura ricevente». Con il termine «linguacultura», Agar intende un linguaggio che comprende non solo elementi quali grammatica e lessico, ma anche conoscenze pregresse e informazioni locali. Il concetto di «cultura» è un concetto relazionale. Non ha alcun senso parlare della cultura di X senza considerare a chi è collegata quella cultura. Il concetto di «cultura» richiede sempre una traduzione che possa renderla chiara e visibile anche a un esterno.
Si tratta di una relazione tra due estremi, nel mezzo dei quali si trova la traduzione. Ed è proprio la quantità di materiale che viene trasmesso da un estremo all’altro, la cultura, a determinare poi la portata della traduzione e stabilire il ruolo maggiore o minore del traduttore che convoglia queste informazioni. Tutto dipende quindi dai confini e dai limiti posti tra la lingua emittente e ricevente.
1.2. Rich point e strategia traduttiva
Il concetto di «cultura», quindi, assume un valore sistemico. Ci rendiamo conto della presenza di una cultura diversa nel momento in cui ci troviamo di fronte a persone che hanno un comportamento a noi incomprensibile. Agar ha definito questi momenti di incomprensione e di aspettativa mancata rich point.
Di qualsiasi differenza o deviazione si tratti, ci troviamo sempre sul piano culturale. Ed è qui che entra in gioco la traduzione. Solo con la traduzione è possibile dare un senso a queste differenze, ovvero a questi rich point.
Riconoscere una differenza è il primo passo per avviare una traduzione e la conseguente strategia traduttiva. Solitamente i rich point sono strettamente collegati a contesti e significati creati da un determinato popolo e richiedono quindi la conoscenza non solo degli aspetti semantici, grammaticali e prettamente linguistici, ma anche comportamentali. Il problema della traduzione è così legato alla capacità di comprendere, interpretare e spiegare un linguaggio in cui sono condensate la cultura e la storia di un popolo.
Il traduttore deve concentrarsi su queste deviazioni per creare un senso che tutti possano comprendere. Nella sua traduzione dovrà tenere conto di vari aspetti, il cui numero è molto variabile e dipende della natura del confine tra la lingua emittente e ricevente. Più la lingua emittente è “lontana” da quella ricevente, più il compito del traduttore è complesso, poiché deve confrontarsi con un numero maggiore di rich point e dare loro un senso anche nella lingua ricevente.
La traduzione, e di conseguenza la cultura, che altro non è che una costruzione artificiale che permette la traduzione, è qualcosa di intersoggettivo, che va poi rielaborato. Il compito del traduttore è trovare un senso a questi reach point per renderli comprensibili in un’altra lingua, trasmettendo contemporaneamente i rapporti e i modelli comportamentali di un contesto culturale differente.
1.3. Traduttore e antropologo: lo stesso mestiere con due applicazioni diverse
Il lavoro dell‘antropologo e quello del traduttore sono quindi molto simili, in quanto il fine di entrambi è comprendere il senso di ciò che hanno di fronte, sia lo studio di un popolo o di un linguaggio. Entrambe le discipline si occupano, infatti, di comprendere un linguaggio in cui si sono condensate la cultura e la storia di un popolo. Tuttavia, compito del traduttore è non solo comprendere, ma interpretare e spiegare tale linguaggio fino a trasporlo e renderlo comprensibile nella lingua ricevente.
La traduzione è centrale per ogni tentativo di comprensione e di comunicazione, tanto più quando la relazione implica orizzonti di significato, lingue, storia e culture diverse, straniere le une per le altre.
Già Goethe si sofferma sull’importanza della traduzione e ribadisce due princìpi che dovrebbero guidare un traduttore: «Uno richiede che l’autore di una nazione straniera venga portato a noi in modo che possiamo considerarlo nostro; l’altro richiede a noi di passare dalla parte dello straniero, e di metterci nella sua condizione, nel suo modo di parlare, nella sua particolarità» (Strazzeri, 2003).
Per Walter Benjamin il compito del traduttore è arduo, perché, se deve essere, nello spirito, fedele all’originale, tuttavia deve intuire l’intima verità di ogni lingua: in questo tutte le lingue sono affini fra di loro, senza per questo essere necessariamente somiglianti. Il compito del traduttore «consiste nel trovare quell’atteggiamento verso la lingua in cui si traduce che possa ridestare in essa l’eco dell’originale» (Benjamin, 1962).
Il traduttore, nei fatti, dovrebbe stare in mezzo, nella condizione di inbetweeness, come suggerisce la Scuola Canadese della traduzione, o collocarsi in ciò che Homi Bhabha (1990) ha definito «Third Space», spazio terzo.
Ci sono forme di esperienza particolarmente vicine al nostro modo di sentire, e altre, invece, piuttosto lontane. La traduzione dell’una nel linguaggio dell’altra deve evitare di appiattirle in un’identità ipostatizzata. Una residuale non-identità, un elemento negativo incommensurabile è spesso la chiave di accesso all’altro, inteso come un rapporto di rispetto e di riconoscimento.
Il traduttore deve quindi essere formato a essere una sorta di mediatore culturale. Il termine «mediatore» deriva dal verbo latino medio e ha due significati: da un lato si riferisce all’azione di acquisire (e ottenere) e di trasmettere e prestare (per esempio della conoscenza) e dall’altro riferisce ad un’azione di mediare, di intervenire.
1.4. Riferimenti bibliografici

Agar, M. (1995). Language shock: Understanding the culture of conversation. New York: William Morrow.

Agar, M. (1996). The professional stranger: An informal introduction to ethnography (2nd ed.). New York: Academic Press.

Agar, M. (2006). Culture: Can you take it anywhere? International Journal of Qualitative Methods, 5(2), Article xx. Disponibile sul sito http://www.ualberta.ca/~iiqm/backissues/5_2/pdf/agar.pdf

Benjamin, W. (1962). Il compito del traduttore, in Angelus Novus. Torino: Einaudi

Bhabha, Homi K. (1990). The Third Space, in J. Rutherford (ed.), Identity: Community, Culture, Difference. London: Lawrence and Wishart.

Kroeber, A.L. & Kluckhohn, C. (1966). Culture: A critical review of concepts and definitions. New York: Random House

Strazzeri, M. (2003). Il compito del traduttore: Riflessioni su un saggio di Walter Benjamin, in Giovanna Gallo e Paola Scoletta (a cura di), La traduzione. Un panorama interdisciplinare. Nardò: Besa.
1.5. Alcune note biografiche
1.5.1. Michael Agar
Michael Agar è laureato in antropologia presso il Language-Behavior Research Lab dell’Università di Berkeley, California. Attualmente svolge attività di ricerca come indipendente presso Ethknoworks a Santa Fè, New Mexico. Agar tiene workshop introduttivi e avanzati sulla ricerca qualitativa e sulla teoria della complessità e offre servizi di consulenza sull’uso di questi metodi in diverse applicazioni progettuali. Da un po’ di tempo si dedica alla ricerca sull’uso della complessità teorica per riformulare organizzazioni di servizio sociale. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Language shock: Understanding the culture of conversation (1994) e An inofrmal introduction to ethnography (1996).
1.5.2. Karl E. Weich
Karl E. Weick è nato nel 1936 a Varsavia, Polonia. Laureatosi nel 1958 alla Wittenberg University di Springfield, nel 1960 ha conseguito il Master of Art in Psychology e nel 1962 il dottorato in psicologia presso la Ohio State University di Columbus. Dal 1988 insegna psicologia e comportamento organizzativo all’Università del Michigan. Tra le sue opere principali: The social psychology of Organizing (1969), Sensemaking in organizations (1995) e Making Sense of the organization (2001).
1.5.3. Elinor Ochs

Elinor Ochs è professore di Antropologia e Linguistica applicata alla UCLA (University of California, Los Angeles). È una dei pionieri nel campo della socializzazione del linguaggio e ha condotto ricerche sulla relazione tra linguaggio e psicopatologia. Ha avuto diversi incarichi: Presidente dell’American Association for Applied Linguistics, Dottorato Onorario alla Linkoping University e Presidente della Society for Linguistic Antrhopology. Tra I suoi libri ricordiamo: Acquisition of Conversational Competence (con B. Schieffellin, 1985), Culture and Language Development (1988); Constructing Panic (con L. Capps, 1995), Living Narrative (con L. Capps, 2001).
1.5.4. Lisa Capps
Lisa Capps è morta nel 2000 all’età di 35 anni. Era professore incaricato di psicologia all’Università di Berkeley dal 1996. Si era laureata a Stanford e aveva conseguito un dottorato in psicologia clinica alla UCLA. Nei suoi tre anni alla Facoltà di Psicologia ha svolto un lavoro innovativo abbinando la ricerca clinica tradizionale con approcci linguistici e narrativi. Ha pubblicato Constructing Panic (con E. Ochs, 1995), Living Narrative (con E. Ochs, 2001).

2. Traduzione con testo a fronte

Agar: narrative, linguistic anthropology, and the complex organization

Michael Agar
Ethnoworks, US
E:CO Issue Vol. 7 Nos. 3-4 2005 pp. 23-34

Here is the basic argument. An interest in complex co-evolutionary systems arose and continues to grow in organizations because an increasing frequency of unexpected changes in the worlds they interact with. Traditional models that rely on independent variables and linear cause and equilibrium states cannot handle such problems. Complexity models take the facts of interdependence and nonlinearity and dynamics as foundational. So organizations look to complexity for ideas on how to handle this brave new constantly changing world.
The problem of frequent and surprising change is not new. In 1970 Alvin Toffler, in his boos Future Shock (1970), had already noticed that change was increasing at an increasing rate. For that matter, so did Henry Adams with his ‘Law of Acceleration’ in 1904 (1999). Complexity theory, a later arrival that flourished in the 1980’s, not only notices this but predicts it based on the increased connections, interactions and feedback loops that our accelerating
Agar: narrazione, antropologia linguistica
e organizzazione complessa

Michael Agar
Ethnoworks, US
E:CO Issue Vol. 7 N. 3-4 2005 pp. 23-34

Ecco l’argomento di base. All’interno delle organizzazioni è sorto e continua a crescere un interesse per i complessi sistemi coevoluzionistici, a causa della frequenza sempre maggiore di cambiamenti inaspettati nei mondi con cui interagiscono. I modelli tradizionali che si affidano a variabili indipendenti e condizioni di causa ed equilibrio lineari non possono gestire problemi di questo tipo. Per i modelli della complessità sono fondamentali interdipendenza, non linearità e dinamica. Le organizzazioni si rivolgono quindi alla complessità per avere idee su come affrontare questo mondo nuovo, coraggioso e in continua evoluzione.
Il problema del cambiamento continuo e sorprendente non è nuovo. Nel 1970, Alvin Toffler aveva già osservato nel libro Future Shock (1970) che il cambiamento stava crescendo a un ritmo incessante. E lo stesso ha fatto Henry Adams nel 1904 con la sua Teoria dell’accelerazione (1999). La teoria della complessità, un assunto successivo che si è diffuso negli anni Ottanta, non solo osserva questo fenomeno, ma lo prevede basandosi sulle crescenti connessioni, interazioni e feedback che i nostri sempre più accelerati processi di globalizzazione hanno causato e che ancora continuano

processes of globalization have brought, and are still bringing about. Any organization, any node, in the global network can now expect frequent perturbations from God knows where, God knows when.
So, one characteristic of an organization adapting to this complex world lies in the recognition of a simple principle. Stability is no longer the norm, with change as the exceptional event. Now change is the norm, with stability as exceptional. Complex organizations lead, manage and practice based on that fact.
Given this principle, a large number of consequences need to be spelled out and tested in the field of organization life, a process now ongoing. A sampling of the many implications of the principle cann be found in sources such as Olson and Eoyang’s (2001) and Stacy’s (2001) applications of complexity to organizational development.
In this article, I only mean to deal with one of those consequences. The change principle needs to be linked to the way people in the organization use language to notice unexpected events and make sense out of them. Once again, the basic idea here is an old one that pre-dates complexity theory. People who actually do things in an organization will have good ideas about how to do those things better. The idea has its roots in early ‘human relations’ antidotes to scientific management (Trahair, 2005). It developed with Drucker’s early writings on the ‘knowledge worker’ (Drucker,
a causare. Qualsiasi organizzazione, qualsiasi nodo nella rete globale può ora aspettarsi continui sconvolgimenti, Dio solo sa dove e quando.
Quindi, una delle caratteristiche dell’organizzazione che si adatta a questo mondo complesso è il riconoscimento di un semplice principio. La stabilità non è più la norma, né il cambiamento un evento eccezionale. Ora è il cambiamento ad essere la norma, mentre la stabilità è un’eccezione. Le organizzazioni complesse guidano, controllano e agiscono sulla base di questo dato di fatto.
Accettato questo principio, è necessario chiarire in dettaglio e verificare nell’ambito della vita dell’organizzazione un gran numero di conseguenze, un processo che è ora in corso. È possibile riscontrare un campione delle numerose implicazioni di questo principio in varie fonti quali Olson ed Eoyang (2001) e Stacy (2001) che applicano la complessità allo sviluppo dell’organizzazione.
In questo articolo intendo occuparmi solo di una di quelle conseguenze. Il principio del cambiamento va collegato al modo in cui le persone all’interno dell’organizzazione usano il linguaggio per rilevare eventi inaspettati e per dare loro un senso. Ancora una volta, l’idea di base è una vecchia idea antecedente alla teoria della complessità. Le persone che effettivamente agiscono all’interno di un’organizzazione avranno ottime idee su come fare meglio queste cose. L’idea affonda le sue radici nei primi antidoti delle «relazioni umane» all’ organizzazione scientifica (Trahair, 2005); si è sviluppata

1998), and it surfaces in most all of the trendy management models of the last few decades.
Let’s call this simple idea the ‘local knowledge’ principle. And once again, notice that the principle is rich in consequences for leadership, management and work.
Now combine the principle of local knowledge with the principle of continual change and look at language. Perturbations, which occur with increasing frequency, are surprises – low probability events – that are first noticed in the organizational sites where they have an impact. ‘Notice’ means news, hot topics, something that we will discuss under ‘tellability’ later in this article. An organization, then, can use these local noticings to spot perturbations. Local knowledge, or, more precisely, surprises with reference to it, serve as early warning signs of changes that an organization should monitor.
But noticing, useful as it might be, isn’t enough to take advantage of all that local knowledge has to offer. Practitioners are rich resources of experience, evaluation and innovation. Practitioners don’t just notice. They talk about what they notice with each other. The talk sets the new event in context, links it to possible causes, significant actors and related events. The talk speculates on what the change means, uses the talk to imagine a future that includes it.

con i primi scritti di Drucker sul «lavoratore intellettuale» (Drucker, 1998) e affiora praticamente in tutti i modelli di management di tendenza degli ultimi decenni.
Chiamiamo questa semplice idea «principio della conoscenza locale». E, ancora una volta, notiamo come questo principio abbia numerose conseguenze per il gruppo dirigente, il management e il lavoro.
Ora uniamo il principio della conoscenza locale con quello del cambiamento continuo e osserviamo la lingua. Le perturbazioni, che si verificano sempre più frequentemente, sono sorprese, ossia eventi a bassa probabilità, che si notano prima nei luoghi organizzativi su cui hanno un impatto. Per «osservare» s’intendono notizie, argomenti caldi, qualcosa di cui ci occuperemo più avanti in questo articolo quando parleremo di «raccontabilità». Un’organizzazione quindi può fare uso di queste osservazioni locali per individuare le perturbazioni. La conoscenza locale, o più precisamente le sorprese che vi si riferiscono, sono i primi segnali di avvertimento di cambiamenti che un’organizzazione dovrebbe monitorare.
Ma per quanto osservare possa essere utile, non è sufficiente per sfruttare al massimo tutto quello che può offrire la conoscenza locale. I professionisti sono fonti ricchissime di esperienza, valutazione e innovazione. Non si limitano a osservare. Parlano tra loro di ciò che osservano. Parlarne pone il nuovo evento all’interno di un contesto, lo collega alle possibili cause, agli attori significativi e agli eventi connessi. Parlarne porta a fare ipotesi sul significato del

An organization needs to take such talk seriously, but only as an indication that a potentially important change is underway, but also as a resource to evaluate and act on it.
None of this means that local noticing and talk is the only way to build complexity into an organization that matches the complexity of an interconnected changing world. Nor does it mean that local noticing and talking are necessarily correct and that all other sources are always wrong.
But this article does argue that local noticing, and local talking about what is noticed, should be valued by an organization in a complex world. When change is assumed to be the normal situation, and when those closest to the change are viewed as sensitive reporters and creative problem-solvers, then opening a space for that talking and enabling its wider distribution makes a lot of sense.
I think this is one of the reasons for interest in story and narrative in the organization. Story and narrative point towards those moments that open with shared noticing of a change among co-workers, moments that continue with subsequent efforts to make sense of that change. If ‘complex’ organization means an organization capable of responding to frequent surprising changes, then local noticings and stories are critical resources to develop that capability.

cambiamento, a immaginare un futuro in cui sia presente. Un’organizzazione deve prendere sul serio questo genere di discorso, non solo come indicatore che è in corso un cambiamento potenzialmente importante, ma anche come risorsa per valutarlo e intervenire.
Ciò non significa che l’osservazione locale e il parlarne siano l’unico modo per creare complessità all’interno di un’organizzazione che si adegua alla complessità di un mondo interconnesso e mutevole. Né significa che l’osservazione locale e il parlarne siano necessariamente corretti e che tutte le altre fonti siano sempre sbagliate.
In questo articolo si vuole argomentare che l’osservazione locale, e il discutere localmente su ciò che si è osservato, vanno tenuti in considerazione da un’organizzazione all’interno di un mondo complesso. Quando si ritiene che un cambiamento rappresenti la normalità e quando coloro che sono più vicini a tale cambiamento sono visti come cronisti sensibili e innovativi risolutori di problemi, aprire uno spazio per parlarne e permetterne la più ampia diffusione ha molto senso.
Ritengo che questo sia una delle ragioni dell’interesse per storia e narrazione nell’organizzazione. Storia e narrazione puntano verso quei momenti che, attraverso un’osservazione condivisa, favoriscono la nascita di un cambiamento tra i collaboratori, momenti che con sforzi successivi continuano a dare un senso a quel cambiamento.
Se per organizzazione «complessa» s’intende un’organizzazione in

The problem is this: ‘story’ and ‘narrative’ are extremely rich and ambiguous concepts with a long and contentious pedigree in many fields having to do with human expressions – language, literature, film, the plastic arts, music, etc. As I look at the concepts through my background in linguistic anthropology, I find what I read and hear confusing. In the hope that some of my confusion might be helpful to others, I’d like to use this article to clarify if not resolve it.
The first classification: ‘story’ and ‘narrative’ are actually about many different ways that language is used. The variety I will focus on here foregrounds a Lynch-type story, an in media res construction out of lived experience, without a clear sense of a beginning or end, but with a clear interest in guessing why something happened and how what happened might effect the very near future.
This of course isn’t the only way the concepts might be used, but it is one way. And this way of narrowing the concepts brings us to another well-known concept that links Lynch-stories to organizations. Karl Weick writes about what he calls ‘sensemaking’, a term I will use for the rest of the article as a label for this Winch-like use of language in organizational contexts. Weick describes it like this:

grado di rispondere a continui cambiamenti sorprendenti, osservazioni locali e storie sono risorse critiche per sviluppare quella capacità.
Il problema è: «storia» e «narrazione» sono concetti estremamente ricchi e ambigui, con un pedigree lungo e controverso in numerosi campi che hanno a che fare con l’espressione umana: lingua, letteratura, cinema, arti plastiche, musica ecc. Se osservo questi concetti dal mio background in antropologia linguistica, ciò che leggo e ascolto mi confonde. Nella speranza che parte di questa mia confusione possa essere utile agli altri, vorrei utilizzare questo articolo per chiarirla, se non eliminarla.
Ecco il primo chiarimento: «storia» e «narrazione» indicano in realtà i molteplici modi in cui viene usata la lingua. La varietà su cui mi concentrerò ora è una ricostruzione in medias res di un’esperienza vissuta, senza un chiaro senso di inizio o fine, ma con un chiaro interesse nell’indovinare il motivo per cui qualcosa è successo, e come ciò che è successo potrebbe influenzare il futuro più prossimo.
Ovviamente, questo non è l’unico modo in cui sono utilizzabili questi concetti, ma solo uno dei modi possibili. E questo modo di restringere i concetti ci porta a un altro ben noto concetto che collega storia e organizzazione. Karl Weick scrive di quello che lui chiama «sensemaking» [letteralmente «creazione di senso»], termine che uso nel resto dell’articolo per definire questo uso della lingua alla Winch, all’interno dei contesti organizzativi. Weick lo descrive così:
“…sensemaking is about such things as placement of items into frameworks, comprehending, redressing surprise, constructing meaning, interacting in pursuits of mutual understanding, and patterning” (1995: 6).
Not exactly a crisp definition, but clearly related to the earlier discussion of Lynch-stories. Important as his concept is, it suffers from the same problem as the use of ‘narrative’ and ‘story’ earlier in this article. It rambles all over the discourse territory.
Sensemaking isn’t the only related concept far from it. For now let’s stick with ‘sensemaking’ as our general cover term. Sensemaking occurs when a group uses language to collectively link something that happened with a guess about why it occurred, and what changes it might bring about in the near future. Sensemaking is a social in media res construction where time and cause come together to explore possible futures.
People who do the frontline work notice a perturbation and make sense out of it. Usually we associate this sensemaking with the water-cooler, the car pool, or the long lunch. Now we want to take more of it than that. We want it to be incorporated into an organization as a regular process for monitoring and evaluating changes. Sensemaking becomes a cornerstone for the bottom-up innovation advocated by complexity-theory oriented sources cited earlier. Whether the sensemaking is useful or whether changes actually result from it – these are of course other questions that we discuss later.
«…..sensemaking is about such things as placement of items into frameworks, comprehending, redressing surprise, constructing meaning, interacting in pursuits of mutual understanding, and patterning» (1995:6).
Non è esattamente una definizione precisa. Risente dello stesso problema che abbiamo prima citato sull’uso di «narrazione» e «storia». Si limita a girovagare per tutto il territorio del discorso.
La creazione di senso non è l’unico concetto pertinente, anzi, ma per il momento consideriamola come nostro termine generale. La creazione di senso si verifica quando un gruppo utilizza la lingua per collegare collettivamente un evento che è accaduto con un’ipotesi sul perché è accaduto, e quali cambiamenti quest’evento potrebbe causare nel futuro più prossimo. La creazione di senso è una costruzione sociale in medias res dove tempo e causa si uniscono per esplorare futuri possibili.
Le persone che fanno un lavoro in prima linea osservano una perturbazione e ne traggono un senso. Di solito, associamo questa creazione di senso con il refrigeratore ad acqua, il car-sharing o la pausa pranzo lunga. Ora vogliamo fare di più. Vogliamo che questa creazione di senso sia inserita all’interno di un’organizzazione come processo regolare per monitorare e valutare i cambiamenti. La creazione di senso diventa così il fondamento per l’innovazione bottom-up sostenuta dalle fonti orientate verso la teoria della complessità citate in precedenza. Ovviamente, se la creazione di senso sia utile o produca davvero dei cambiamenti è una questione diversa che discuteremo in seguito.
Suppose someone, somewhere, built a dream organization that figured out how to support and use sensemaking among its members. Suppose we lifted the roof off and eavesdropped on the talking that went on inside of it. Suppose we listened for sensemaking, either as researchers from the school of business and management or as organizational consultants looking for some ‘positive deviance’ to amplify. Could we, with all that linguistic anthropological baggage I drag around, know in advance what a sensemaking session should sound like?
Here I can draw on decades of research on how people use language in daily life, work called discourse analysis, conversational analysis, pragmatics, and other unprintable things. This diffuse field is often anchored in the pioneering fieldwork of Bronislaw Malinowski, who worked on the Trobriand Islands early in the twentieth century. There are many other honored ancestors, such as Bhaktin and Wittgenstein as well. All of them tried to figure out how people use language to make life happen even as they live it. That’s what we want to do for organizations with the concept of sensemaking. Let’s see if we can use the ancestors to bring Weick’s concept to life.
To do so I will draw heavily on the recent work of a descendant of those ancestors, linguistic anthropologist Eleanor Ochs, whose book Living Narrative (Ochs & Capps, 2001) with the late Lisa Capps offers concepts for the grounded analysis of sensemaking as well as for the complications in the narrative concept that we seek.
Supponiamo che qualcuno, da qualche parte, abbia creato un’organizzazione ideale che ha scoperto come sostenere e usare la creazione di senso tra i propri membri. Supponiamo di aver sollevato il tetto e di aver origliato i discorsi fatti all’interno. Supponiamo di andare in cerca della creazione di senso come ricercatori dell’istituto di business and management o come consulenti di un’organizzazione alla ricerca di una «devianza positiva» da amplificare. Con tutto quel bagaglio linguistico antropologico che mi porto appresso, sappiamo in anticipo come dev’essere una sessione di creazione di senso?
Qui posso fare appello a decenni di ricerche su come le persone usano la lingua nella vita di tutti i giorni. Questo lavoro si chiama «analisi del discorso», «analisi conversazionale», pragmatica e altre cose non pubblicabili. Questo campo molto esteso è spesso ancorato alla pionieristica ricerca sul campo di Bronislaw Malinowski, che ha lavorato all’inizio del Novecento alle Isole Trobriand. Ci sono anche molti altri prestigiosi antenati, come ad esempio Bahtin e Wittgenstein. Tutti loro hanno cercato di capire come le persone usino la lingua per far sì che la vita si verifichi così come la vivono. È quello che vogliamo fare per le organizzazioni con il concetto di «creazione di senso». Proviamo a vedere se riusciamo a usare gli antenati per dare vita al concetto di Weick.
Per farlo, attingerò principalmente al recente lavoro di una discendente di questi antenati, l’antropologa linguista Eleanor Ochs, il cui libro Living Narrative (Ochs & Capps, 2001), scritto con la defunta
“Living narratives,” as Ochs and Capps call them, are what happen when people come together to “build accounts of life events.”
“[N]arrators are often bewildered, surprised, or distressed by some unexpected events and begin recounting so that they may draw conversational partners into discerning the significance of their experience. Or, narrators may start out with a seamless rendition of events only to have conversational partners poke holes in their story. In both circumstances, narratives are shaped and re-shaped turn by turn in the course of conversation” (2001: 2).
This is quite different from polished finished stories, coherent examples, or stories with a beginning, a middle and an end built on a narrative spine of chronology and cause. The narratives Ochs and Capps want to deal with, stories that arise spontaneously in ordinary conversation, aren’t so neat: “….conversational narrative will include questions, clarifications, challenges and speculations” (2001:19).
Ochs and Capps don’t want to ignore smooth traditional narratives or pretend they don’t exist; they want to broaden the framework that includes them so that we don’t forget the messy end of the spectrum, the more frequent one, the end that contains the kind of sensemaking that Weick is after.
How do they create such a framework, one that includes both living narratives and polished performances? They outline five dimensions of narrative that show the difference between a smooth,
Lisa Capps, offre concetti per un’analisi fondata della creazione di senso e per le complicazioni connesse al concetto di narrazione che stiamo cercando. Le «narrazioni vive», come le chiamano Ochs e Capps, sono ciò che avviene quando le persone si riuniscono per «fare un resoconto di eventi di vita reale».
[N]arrators are often bewildered, surprised, or distressed by some unexpected events and begin recounting so that they may draw conversational partners into discerning the significance of their experience. Or, narrators may start out with a seamless rendition of events only to have conversational partners poke holes in their story. In both circumstances, narratives are shaped and re-shaped turn by turn in the course of conversation (2001:2).
È qualcosa di molto diverso dalle storie lineari e perfette, dagli esempi concreti, o dalle storie con un inizio, una parte centrale e una fine costruite su una spina dorsale narrativa di cronologia e causa. Le narrazioni che Ochs e Capps vogliono trattare, ovvero storie che nascono spontaneamente nelle conversazioni di tutti i giorni, non sono così chiare: «…conversational narrative will include questions, clarifications, challenges and speculations» (2001:19).
Ochs e Capps non intendono ignorare le fluide narrazioni tradizionali, né far finta che non esistano. Vogliono ampliare la struttura che le contiene in modo da non dimenticare l’estremo disordinato dello spettro, quello più frequente, che contiene il tipo di creazione di senso che cerca Weick.

polished story and a rough story in media res. The five dimensions are:
1. tellership;
2. tellability;
3. embeddedness:
4. linearity; and
5. moral stance.
Polished and smooth narratives cluster on the left hand side of the scales defined by the five dimensions. A life history that I gathered years ago, for example, was on the smooth end. It involved only one active teller and a story with guaranteed tellability – he’d told it many times and knew that audiences liked it. The narrative was not embedded in another event – it didn’t come up while doing something else; rather, the situation was organized around the telling itself. The narrative was linear, a neat sequence of cause and effect in a story that had a clear beginning, middle and end. And it had a constant moral stance – in the case I’m thinking of here, an arc of character development from down-and-out and alone to sophisticated and socially connected.
Narratives relevant to an organization can also be found at the polished and smooth end of the scale as well. For example, in her chapter in a recent overview of discourse analysis, Charlotte Linde writes of the stories organizations tell to teach employees “how Come sono riuscite a creare una simile struttura, una struttura che includa sia le narrazioni vive che le storie lineari? Delineando cinque dimensioni della narrazione che mostrano le differenze tra una storia fluida, lineare e una storia allo stato grezzo, in medias res. Le cinque dimensioni sono:
1. narratori
2. raccontabilità
3. integrazione
4. linearità e
5. atteggiamento morale.
Le narrazioni scorrevoli e lineari sono raggruppate al lato sinistro delle scale definite dalle cinque dimensioni. Una storia di vita che ho raccolto anni fa, per esempio, andava collocata tra le narrazioni fluide. Aveva un solo narratore attivo e una storia con una raccontabilità garantita – l’aveva raccontata molte volte e sapeva che al pubblico piaceva. La narrazione non era integrata in un altro evento – non spuntava fuori mentre si stava facendo altro; al contrario, la situazione ruotava attorno al narratore stesso. La narrazione era lineare, una chiara sequenza di causa ed effetto in una storia che aveva un inizio, una parte centrale e una fine ben definiti. E aveva un atteggiamento morale costante – nel caso di cui sto parlando, un arco di sviluppo del carattere da solo e senza una lira a sofisticato e socialmente inserito.
All’estremità scorrevole della scala si possono trovare anche narrazioni relative a un’organizzazione. Per esempio, nel capitolo con una panoramica sull’analisi del discorso, Charlotte Linde scrive a

things are done around here” (Linde, 2001). In her work, a polished and frequently told story promotes equilibrium rather than elaborating on change. This, like the life history narrative, is a perfectly reasonable use of the narrative concept, but it is obviously not what I’m after in this article, nor is it the kind of narrative that Ochs and Capps want to describe.
Now consider the other end of the scale, the right-hand side more typical of living narratives. Many tellers rather than just one. Several people try to tell the same story, interrupting and contradicting each other, elaborating on what one another says, etc. The story probably focuses on surprising news – tellable in that sense – but the news isn’t worked out and the conversation skids into known and even boring side-issues. The narrative is embedded in another situation, part and parcel of what’s going on even as it is being told, rather than a special event where an audience sits and listens. It will be nonlinear rather than linear, drifting and wandering around and looping back onto itself. And all those co-tellers may well dispute the moral evaluation of what is said – one thinks it’s funny, another sad, a third evil, and a fourth disgusting beyond belief.
Sensemaking lies towards this right hand side of the scale, the ‘living’ side, unplanned and occasioned rather than a bounded practiced performance.

proposito delle storie che le organizzazioni raccontano per insegnare ai dipendenti «come si fanno le cose da queste parti» (Linde, 2001). Nel suo lavoro, una storia scorrevole e raccontata spesso promuove l’equilibrio piuttosto che lavorare sul cambiamento. Questo, così come la narrazione di una storia di vita, è un uso perfettamente ragionevole del concetto di «narrazione», ma non è ovviamente quello che voglio trattare in questo articolo, né è il tipo di narrazione che Ochs e Capps vogliono descrivere.
Consideriamo ora l’altra estremità della scala, quella a destra, più tipica delle narrazioni vive. Ci sono più narratori invece di uno solo. Molte persone cercano di raccontare la stessa storia, interrompendosi e contraddicendosi l’un l’altro, approfondendo quello che l’altro dice, ecc. La storia si concentra probabilmente su una notizia sorprendente – raccontabile in quel senso – ma la notizia non viene elaborata e la conversazione scivola verso questioni secondarie, conosciute e addirittura noiose. La narrazione si incastra in un’altra situazione, parte essenziale di quello che sta accadendo proprio mentre viene raccontata, anziché essere un evento speciale in cui c’è un pubblico seduto che ascolta. Sarà non lineare, invece che lineare, sarà trascinata qua e là dalla corrente e si riavvolgerà su se stessa. E tutti quei conarratori possono anche non essere d’accordo sulla valutazione morale di ciò che viene detto – uno lo considera divertente, un altro triste, un terzo malvagio e un quarto disgustoso al di là di ogni immaginazione.
La creazione di senso si trova nella parte destra della scala, la

But that isn’t the only lesson to draw from Ochs and Capps’s work, not to mention from the rest of the tradition of discourse research. I want to shift now to some consequences of the match. Of what use is it to conclude that sensemaking is living narrative?
Consider the hierarchical, ‘command and control’ structures where – in the worst parody – one does not speak unless spoken to, and then only to agree with what was just said. Ochs and Capps’s narrative dimensions help see a bit more clearly what has to happen to open up the hierarchical controlled space into something different.
The smooth and polished end of Ochs and Capps’s narrative scale is more like what you’d expect in a command and control organization. One teller runs the show. A narrative is tellable because the teller says so. It is not embedded in what the listener is doing – listeners stop what they’re doing and gather around and listen. The story will be nice and linear, the clear and certain causal analysis you’d expect from the top of the hierarchy. The moral tone will be clear; no ambiguity or discussion allowed.
Contrast this with a sensemaking organization. We’d hear many people collectively making the story; we’d hear contradictions and interruptions.

parte “viva”, non pianificata e causata, piuttosto che una rappresentazione esercitata e limitata. Ma questa non è l’unica lezione che si può ricavare dal lavoro di Ochs e Capps, così come dal resto della tradizione della ricerca sul discorso. Ora voglio passare a trattare alcune conseguenze di questa combinazione. A cosa serve concludere che la creazione di senso è una narrazione viva?
Considerate le strutture gerarchiche di «comando e controllo», dove, nel peggiore dei casi, una persona non parla se non le viene rivolta la parola e, in quel caso, lo fa solo per assentire con quanto è stato appena detto. Le dimensioni narrative di Ochs e Capps aiutano a capire un po’ meglio cosa deve accadere per aprire questo spazio gerarchico controllato e trasformarlo in qualcosa di diverso.
L’estremità lineare e perfetta della scala narrativa di Ochs e Capps assomiglia molto di più alla situazione che ci si aspetta di trovare in un’organizzazione basata sul comando e sul controllo. Un narratore conduce l’incontro. Una narrazione è raccontabile perché lo dice il narratore. Non è integrata in quello che l’ascoltatore sta facendo. Gli ascoltatori interrompono quello che stanno facendo e si raccolgono intorno al narratore per ascoltarlo. La storia è piacevole e scorrevole, l’analisi causale chiara e sicura che ci si aspetterebbe dal vertice della gerarchia. L’atteggiamento morale è chiaro; non sono concesse ambiguità o discussioni.
Ora contrapponetela a un’organizzazione basata sulla creazione di senso. In quel caso, ascolteremmo molte persone che danno vita

Several people would be tellers. We would hear tellability questioned and justified. Embeddedness would vary. Several people would be tellers. We would hear tellability questioned and justified. Embeddedness would vary. Some tellings might occur in the middle of the situation that was the topic – “See, look at that, what did I tell you?” Others might happen during a break, or even in a meeting where the topic was a featured agenda item, or maybe the agenda item. Linearity – cause and effect and sequence – would be a goal, not a guideline for how to reach it. And sensemaking might end with multiple possibilities or open questions, things to be looked for and thought about between that telling and the next. Same with the moral tone – disagreement and ambiguity would abound in the beginning. In the end, rather than a clear moral tone, it might be a “does the good outweigh the bad” kind of dilemma, maybe a dilemma that would keep a few people awake that night, maybe for the rest of their lives.
We now push down a level and look under the hood. Consider the tellers first. Sensemaking is social discourse, talk with others, a collective enterprise where agreement and disagreement from participants shape the stories that emerge. There are multiple tellers. How do they co-ordinate what they are doing?
If we look closely, we see that some discourse mechanisms are, in fact, about the micro-politics of the group – who gets to tell what when?

a una storia in modo collettivo; ascolteremmo contraddizioni e interruzioni. I narratori sarebbero numerosi. La raccontabilità sarebbe messa in discussione e giustificata. L’integrazione varierebbe. Alcuni racconti potrebbero nascere nel mezzo della situazione che era l’argomento centrale. «Hai visto, guarda, che ti avevo detto?». Altri potrebbero prendere avvio durante una pausa o addirittura durante una riunione in cui l’argomento era un punto all’ordine del giorno, o forse proprio l’ordine del giorno. La linearità – causa ed effetto e sequenza – sarebbe l’obiettivo e non una linea guida su come raggiungerlo. E la creazione di senso potrebbe terminare con molteplici possibilità o domande aperte, questioni da ricercare e su cui riflettere tra quella narrazione e la successiva. E lo stesso vale per il tono morale. All’inizio prevarrebbero disaccordo e ambiguità. Alla fine, invece di un tono morale ben chiaro, ci sarebbe un dilemma del tipo «il bene conta più del male?», forse un dilemma che terrebbe sveglio qualcuno quella notte, forse per il resto della sua vita.
Ora scendiamo di un gradino e andiamo più in profondità. Per prima cosa consideriamo i narratori. La creazione di senso è un discorso sociale, una conversazione con altri, un’iniziativa collettiva dove l’accordo e il disaccordo tra i partecipanti danno forma alle storie che emergono. Ci sono diversi narratori. Come coordinano quello che stanno facendo?
Se osserviamo più attentamente, notiamo che alcuni meccanismi del discorso riguardano, di fatto, le micropolitiche del

For example, one of the foundational concepts of conversational analysis is ‘turn-taking’. In a multi-teller conversation, no formal rules specify who speaks when. Turns have to be negotiated.
Now imagine we look at some transcripts of a sensemaking session. Look at the details. How are the turns worked out? It is normal for there to be overlaps and multiple speakers as people try to get the floor. Overlaps that occur at ‘possible completion points’ are more egalitarian than a heavy-handed takeover when a speaker is in mid-utterance. There may well be a dominant figure or two, but do they moderate or do they control? Who gets the floor when, and once gotten, do they ever give it up?
Smooth turn-taking is diagnostic of good sensemaking, since a characteristic of sensemaking is multiple tellers building a story out of their different points of view. Turn-taking reveals whether the sensemaking is a dictator looking for an audience or a group co-operating to make sense of something.
Turn-taking might show that what is supposed to be going on is in fact the opposite of what is actually going on. Consider the endless stream of articles that describe how a ‘new’ management model has failed. Typically the new model pushes in the direction of opening up space for sensemaking in a strongly hierarchical system.

gruppo: a chi tocca dire cosa e quando? Ad esempio, uno dei concetti fondamentali dell’analisi della conversazione è il «meccanismo dell’alternanza». In una conversazione con diversi narratori, non ci sono regole formali che stabiliscono chi parla e quando. I turni vanno negoziati.
Ora immaginiamo di leggere le trascrizioni di una sessione di creazione di senso. Guardiamo i dettagli. Come funziona l’alternanza? In questa situazione è normale che ci siano sovrapposizioni e più locutori, perché in molti cercano di inserirsi nella conversazione. Sovrapposizioni che si verificano in «possibili fasi conclusive» sono più egualitarie di interventi invasivi nella fase in cui un oratore è nel bel mezzo del discorso. Ci potrebbero essere una o due figure dominanti, ma queste moderano o controllano? Chi prende la parola, quando, e una volta ottenuta, la cede mai?
Una fluida alternanza è sintomo di una buona creazione di senso, poiché una delle caratteristiche della creazione di senso è la presenza di vari narratori che costruiscono una storia sulla base dei loro diversi punti di vista. L’alternanza rivela se la creazione di senso è un dittatore alla ricerca di un pubblico o un gruppo che collabora per dare senso a qualcosa.
L’alternanza potrebbe dimostrare che quello che si suppone stia accadendo è di fatto l’opposto di quello che sta effettivamente accadendo. Considerate l’infinita serie di articoli che descrivono come un “nuovo” modello di gestione sia fallito. Solitamente, il nuovo modello spinge nella direzione di aprire uno spazio alla creazione di senso in un sistema fortemente gerarchico.

It advocates a move away from command and control. So, one day the new model is announced to be in place. But a close look shows that, in reality, hierarchy and command and control continue when actual discourse is underway. To use Argyris’s (1993) terms, the ‘espoused theory’ changes on the surface, but the ‘theory-in-use’ stays the same.
Turn-taking, that narrowly defined academic concept, evaluates whether there are really multiple tellers or not. Just listen or, better, comb the details of a transcript or two. The way turns are organized will be a clear diagnostic of whether an organization co-evolving or chain-of-command.
There are other potential diagnostics as well. Consider the adjacency pair, couplets found in every language, like “how you doing?” and “just fine, thanks.” If someone uses the first part of an adjacency pair, then someone else is required to perform the second part. If they don’t, the failure is interpreted as a breach, an expression of bad intentions. Particularly important here is the question/answer adjacency pair. If someone asks a question, it sets up a linguistic imbalance that demands to be restored with an answer. But who is asking the question? The same person, over and over again? Perhaps many are talking during a sensemaking session, so it sounds like multiple tellers. But if the same person is always asking a question, s/he is limiting and directing what it is the next

Sostiene un allontanamento da comando e controllo. Così, un giorno viene annunciato che il nuovo modello è operativo. Tuttavia, un esame più attento rivela come, in realtà, quando si fanno discorsi veri, la gerarchia, il controllo e il comando continuino. Per usare i termini citati da Argyris (1993), la «teoria sposata» cambia in superficie, ma la «teoria in uso» continua a essere la stessa.
L’alternanza, quel concetto accademico definito in senso stretto, valuta se ci siano davvero vari narratori o no. Ascoltate, o meglio esaminate con attenzione i dettagli di una o due trascrizioni. Il modo in cui si alternano gli interlocutori mostra chiaramente se un’organizzazione si sviluppa in gruppo o subisce il peso del comando.
Ci sono altri potenziali indizi al riguardo. Considerate le coppie adiacenti, quelle sequenze di due enunciati presenti in ogni lingua, tipo «Come va?» e «Bene, grazie». Se qualcuno utilizza il primo enunciato di una coppia adiacente, qualcun altro deve replicare con il secondo. Se ciò non accade, questo viene interpretato come un’infrazione, un’espressione di cattive intenzioni. In questo caso, è particolarmente importante la coppia adiacente domanda/risposta. Se qualcuno pone una domanda, si crea uno squilibrio linguistico che richiede una risposta di riequilibrio. Ma chi pone la domanda? La stessa persona più volte? Forse più persone stanno parlando durante una sessione di creazione di senso, così si potrebbe pensare che si tratta di vari narratori. Ma se a porre la domanda è sempre la stessa persona, sta limitando e controllando quello che potrà dire l’altra.

person can say. Q/A adjacency pairs – like turn-taking – control the topic, and control over topic is control over how and in what terms sense will be made.
Now let’s move from tellers to tellability, the second narrative dimension that Ochs and Capps describe. A traditional narrative is made to tell. It is supposed to be tellable by definition. A living narrative, though, has to earn its tellability.
Tellability links to the question, “is it news?” Tellable means inspired by some event that departs from expectations, ranging from something astonishing and incomprehensible to something that was a mild surprise. More often than not, the news is bad, not good. To paraphrase a line from Tolstoy, happy families are all the same, but each unhappy family is unhappy in its own way.
If I tell a story that begins, “The funniest thing happened this morning. I woke up, went into the bathroom, and brushed my teeth,” I doubt that any co-tellers within range will be inspired to join in. The story is much too routine to be tellable. On the other hand, if I open with “I started to brush my theeth and the toothpaste tube was full of fire ants,” co-tellers would jump into the story with their views as to how and why such a thing could happen.

Le coppie adiacenti domanda/risposta, così come l’alternanza, controllano l’argomento, e avere il controllo sull’argomento significa avere il controllo su come e in quali termini si crea il senso.
Spostiamoci ora dai narratori alla raccontabilità, la seconda dimensione narrativa descritta da Ochs e Capps. Una narrazione tradizionale è fatta per raccontare. Si suppone che sia raccontabile per definizione. Una narrazione viva, invece, deve guadagnarsi la sua raccontabilità.
La raccontabilità si collega alla domanda «È qualcosa di nuovo?» «Raccontabile» significa ispirato da un certo tipo di evento che è lontano dalle aspettative, che spazia da qualcosa di straordinario e incomprensibile a qualcosa che suscita sorpresa. Molto spesso si tratta di una brutta notizia più che di una bella. Per citare una frase di Tolstoj «Tutte le famiglie felici sono felici allo stesso modo, ogni famiglia infelice è infelice a modo proprio».
Se racconto una storia che comincia con «Questa mattina è successa una cosa buffissima. Mi sono svegliato, sono andato in bagno e mi sono lavato i denti», dubito che qualche co-narratore sarà ispirato a partecipare. La storia è troppo «normale» per essere raccontabile. Se invece comincio con «Ho cominciato a lavarmi i denti e il tubetto di dentifricio era pieno di formiche rosse», i conarratori si tufferebbero nella storia con le loro opinioni su come e perché sia potuta accadere una cosa simile.

The occurrence of a low probability event is high in information – it is ‘news’ – and around this simple fact is built much of literature, the daily paper, ethnographic method, and sensemaking. Sensemaking becomes the way that its members notice and explain those events. This higher frequency of surprises is a major reason why models for organizational complexity have grown in popularity. The models – sensemaking among them – are an organizational survival strategy for an increasingly connected world.
Where do we see tellability in discourse? Tellability’ links to traditional discourse notions of ‘given’ and ‘new’ information. Discourse has to reach the right balance of the two, in sequences of given and new, where the ‘given’ at time 2 might in fact have been the ‘new’ at time 1. Too much ‘new’ and the discourse is incomprehensible; too much ‘given’ and it’s boring.
In a group who have a history, shared experiences will have produced a local ‘language’ together with the connected assumptions and shared background required to understand it. I call this mixture ‘languaculture’ (Agar, 1995). Given and new are measured against this shared background.
The proper mix of given and new is a serious issue for organizational sensemaking. ‘Given’ in one corner of the organization

Il verificarsi di un evento a bassa probabilità è molto frequente nell’informazione, si tratta di qualcosa di “nuovo”, e intorno a questo semplice fatto si costruisce gran parte della letteratura, dei giornali quotidiani, del metodo etnografico e della creazione di senso. La creazione di senso diventa il modo in cui le persone osservano e spiegano quegli eventi. La maggiore frequenza di sorprese è una delle principali ragioni per cui è cresciuta la popolarità dei modelli per la complessità di un’organizzazione. I modelli, e la creazione di senso è una di questi, rappresentano una strategia di sopravvivenza dell’organizzazione all’interno di un mondo sempre più collegato.
Dove troviamo la raccontabilità all’interno del discorso? La «raccontabilità» si collega ai concetti del discorso tradizionale di informazioni «note» e «nuove». Il discorso deve raggiungere il giusto equilibrio tra le due, in sequenze di noto e nuovo, in cui il «noto» nella fase 2 potrebbe di fatto essere stato il «nuovo» nella fase 1. Troppo «nuovo» e il discorso diventa incomprensibile; troppo «noto» ed è noioso.
In un gruppo con una storia, le esperienze condivise hanno prodotto una «lingua» locale insieme agli assunti a essa collegati e a un background condiviso indispensabile per capirla. Chiamo questo mix «linguacultura» (dal termine «languaculture»; Agar, 1995). Il noto e il nuovo vengono misurati in base a questo background condiviso.

might well be ‘new’ in another. Tellable in one corner might be boring in another. Sensemaking will vary depending on the languaculture that a group of co-tellers share. The right balance must be truck.
Now let’s look at ‘tellable’ from a different angle. Say that a surprising event has produced a tellable story, where tellable means ‘news’ to all the participants. And say that a group of co-tellers sets out to collectively make sense of it. Is it also a tellable topic? Is it is something one dares say out loud? Will the organization allow sensemaking at all?
It is now a cliché, given what we’ve learned from giants such as Foucault and fields such as critical linguistics(Fairclough, 1989), to say that there are limits on what may be said. Ideological walls around the tellable buttressed by power are as much a part of an organization as they are of a society.
Now let me bring the issue down to a more interpersonal level. Can a teller take the tellable news’ and explore it with co-tellers in any way he or she chooses? If topics s/he wants to add to the sensemaking stew are more personal, more damaging, more harmful, is s/he willing to say them in front of others in the organization?

Il giusto mix tra noto e nuovo è una questione seria per la creazione di senso in un’organizzazione. Il «noto» in un angolo dell’organizzazione potrebbe essere benissimo «nuovo» in un altro. Quello che è raccontabile in un angolo potrebbe risultare noioso in un altro. La creazione di senso varia a seconda della linguacultura condivisa da un gruppo di conarratori. Occorre centrare il giusto equilibrio.
Ora consideriamo ciò che è «raccontabile» da un altro punto di vista. Diciamo che un evento sorprendente ha prodotto una storia raccontabile, nella quale per «raccontabile» s’intende «nuova» a tutti i partecipanti. Diciamo anche che un gruppo di conarratori si prepara a trovarvi collettivamente un senso. Si tratta di un argomento raccontabile? È qualcosa di cui si ha il coraggio di parlare ad alta voce? L’organizzazione permetterà la creazione di senso?
Considerato quello che abbiamo imparato da titani come Foucault e da campi quali la linguistica critica (Fairclough, 1989), dire che ci sono limiti al dicibile è un cliché. Le mura ideologiche erette, con il sostegno del potere, intorno a ciò che è raccontabile sono parte di un’organizzazione tanto quanto di una società.
Ora permettetemi di portare la questione a un livello più interpersonale. Un narratore può prendere il «nuovo» raccontabile e analizzarlo insieme ai conarratori in qualsiasi modo scelga di farlo? Se gli argomenti che desidera aggiungere allo stufato della creazione di senso sono più personali, più dannosi, più pericolosi, è pronto a enunciarli di fronte agli altri all’interno dell’organizzazione?
Trust is critical here (Kramer & Cook, 2004). In an organization, trust among a group of potential co-tellers increases what can be told and enriches the space within which sensemaking can emerge.
We know a few things about trust. A scheduled sensemaking session with people who have never dealt with each other before and never will again would guarantee low trust, by this account. A group that has worked together for awhile is more likely to have established trust than a team of strangers, though they may have established plenty of negative things as well, like a motive for revenge.
There is some evidence that a group bonded under shared circumstances of risk and uncertainty will yield a higher degree of trust as well. We know trust is supported when all parties see some purpose or value in maintaining the relationship. A shared incentive whose attainment benefits all would increase trust. But what kind of incentive?
Tellability turns out to be a many-splendored thing. It first of all links to the discourse concern with the proper distribution of given and new information. More than this, it links the ‘new’ with the unexpected, the surprise, the out of the ordinary, as featured in both the organizational development work based on complexity and in the linguistic work of Ochs and Capps. But then once a low probability event opens up a space for multiple tellers to do some creative sensemaking, we need to worry about the boundaries around that space.
Qui la fiducia è cruciale (Kramer & Cook, 2004). In un’organizzazione, la fiducia tra un gruppo di potenziali conarratori aumenta ciò che può essere detto e arricchisce lo spazio entro il quale può emergere la creazione di senso.
Sulla fiducia sappiamo alcune cose. Una sessione programmata di creazione di senso con persone che non hanno mai avuto a che fare le une con le altre prima, e che non lo faranno nemmeno in futuro, garantisce un basso livello di fiducia. È più probabile che si crei fiducia in un gruppo che lavora insieme da un po’ di tempo che non in un team di sconosciuti, anche se possono essere vissute numerose esperienze negative che alimentano un desiderio di vendetta.
Esistono evidenze che mostrano come anche un gruppo che condivide le stesse situazioni di rischio e incertezza può produrre un livello maggiore di fiducia. Sappiamo che la fiducia si rafforza quando tutte le parti perseguono uno scopo o un valore nel mantenere vivo il rapporto. Un incentivo condiviso, il cui conseguimento avvantaggia tutti, aumenta la fiducia. Ma che tipo di incentivo?
La raccontabilità si rivela una cosa meravigliosa. Per prima cosa collega l’interesse del discorso alla giusta distribuzione tra informazioni note e nuove. Soprattutto lega il «nuovo» con l’inaspettato, la sorpresa e ciò che è fuori dal comune, come risulta sia nel lavoro di sviluppo dell’organizzazione basato sulla complessità che nello studio linguistico di Ochs e Capps. Tuttavia, quando un evento a bassa probabilità lascia spazio a narratori diversi per la How open is it, really? We want new stories to emerge. Can they? Are they allowed to?
Two major constraints here are the ideological limits and the limits set by trust within the group doing the sensemaking. The first constraint is buttressed by power, which boils down to direct control over one’s job. The second is sanctioned by others in the group – are they likely to use what they learn to advance their own interests and/or damage the standing of others? I don’t mean to be negative here, because the notion of innovative stories emerging from collective telling has strong appeal. But experience tells me that the two constraints of organizational ideology and low trust tend to keep things inside traditional topic frameworks, and as a result keep things pretty dull and uncreative. Careful listening, or reading of a transcript, will reveal whether sensemaking is able to merge with the tellable, or whether the tellable is buried in old information or ruled out of bounds by ideological or interpersonal fears.
Now to embeddedness, the third dimension of narrative. At one end of the scale, a narrative is a special performance. The narrative is the event – people gather around to hear the expert tell the story. But as we move to the other end of the scale, the ‘living narrative’ end, a story might come up while a group is doing something else. The narrative emerges as part of some other event, plays a role in it, and when it ends the event goes on. Living narrative is part and parel of the flow of life, unscheduled, often about the very thing that people are doing when they tell it.
creazione di senso, dobbiamo preoccuparci dei confini di tale spazio. Quanto è davvero aperto? Vogliamo che emergano nuove storie. Possono farlo? Avranno accesso?
Due dei principali ostacoli sono i limiti ideologici e i limiti fissati dalla fiducia all’interno del gruppo impegnato nella creazione di senso. Il primo ostacolo è rafforzato dal potere, che consiste nel controllare direttamente il proprio lavoro. Il secondo è invece sancito da altri nel gruppo – è probabile che usino ciò che hanno appreso per favorire i propri interessi e/o danneggiare la posizione altrui? Non voglio essere negativo, perché il concetto di storie innovative che emerge dal racconto collettivo ha un enorme fascino. Ma l’esperienza mi insegna che i due limiti dell’ideologia dell’organizzazione e la scarsa fiducia tendono a mantenere le cose entro schemi tradizionali, e, di conseguenza, a mantenerle piuttosto monotone e poco creative. L’ascolto attento o la lettura di una trascrizione rivela se la creazione di senso può fondersi con il raccontabile, se il raccontabile è sepolto sotto vecchie informazioni o se invece paure ideologiche o interpersonali gli vietano l’accesso.
Passiamo all’integrazione, la terza dimensione della narrazione. A un’estremità della scala, la narrazione è un fatto speciale. La narrazione è l’evento – le persone si radunano per ascoltare l’esperto che racconta la storia. Se però ci spostiamo all’altra estremità della scala, l’estremità della «narrazione viva», una storia potrebbe spuntare fuori mentre un gruppo sta facendo altro. La narrazione emerge nell’àmbito di qualche altro evento, svolge un ruolo al suo

Living narrative is part and parel of the flow of life, unscheduled, often about the very thing that people are doing when they tell it.
For organizational sensemaking, a story is highly embedded by definition. People in organization build stories to make sense of unexpected events that impact on the organization. Sensemaking is part of organizational life, not a separate special event. The most important narratives from an organizational development point of view are embedded narratives.
A concept from the tradition of anthropological linguistics helps see the embeddedness of a story. That concept is ‘indexicality’ (Duranti, 1997). Indexicality ties the surface of language to context – the people involved, the tasks they are engaged in, their shared experiences in the organization, virtually anything available in the moment when discourse is produced.
The most obvious kind of indexicality occurs with so-called ‘deixis’, the way that pronouns like ‘this’ or ‘that’ point directly to context, or the way that words like ‘bigger’ and ‘smaller’ presuppose an established frame of reference – “bigger or smaller than what?” – or the way that phrases like “you know” point to immediately relevant and shared background knowledge. But indexicality can also mean the way that language points into the realm of any ‘given’ information that a speaker assumes that others have, any background knowledge that results from shared experience in the organization, or shared experience outside it.
interno, e una volta terminata, l’evento prosegue. La narrazione viva è parte integrante del flusso della vita, non è programmata, e spesso riguarda proprio quello che le persone stanno facendo mentre la raccontano.
Per la creazione di senso dell’organizzazione, una storia è fortemente integrata per definizione. Le persone all’interno dell’organizzazione costruiscono storie per trovare un senso a eventi inaspettati che hanno impatto sull’organizzazione stessa. La creazione di senso fa parte della vita dell’organizzazione; non è un evento speciale separato. Le narrazioni più importanti dal punto di vista dello sviluppo dell’organizzazione sono narrazioni integrate.
Un concetto preso dalla tradizione della linguistica antropologica aiuta a trovare l’integrazione di una storia. È il concetto di «indicalità» (Duranti, 1997). L’indicalità lega la superficie della lingua al contesto – le persone coinvolte, i compiti in cui sono impegnati, le loro esperienze condivise all’interno dell’organizzazione, quasi ogni cosa disponibile nel momento in cui viene prodotto il discorso.
Il tipo più ovvio di indicalità avviene con la cosiddetta «deissi», ovvero il modo in cui pronomi come «questo» o «quello» indicano direttamente il contesto, o il modo in cui parole quali «più grande» o «più piccolo» presuppongono una struttura di riferimento prestabilita – «più grande o più piccolo di cosa?» – o ancora il modo in cui frasi quali «vero?» indicano immediatamente conoscenze pregresse rilevanti e condivise. Ma l’indicalità può anche significare come la lingua fa riferimento al contesto di qualsiasi informazione “nota” che un parlante presume gli altri conoscano, ovvero qualsiasi conoscenza

Here we link back to the discussion of ‘given’ and ‘new’ in the previous section.
Embeddedness describes a number of different connections between an organization and sensemaking. At the narrow end, it means the way specific discourse particles point directly to the setting where the speaking is underway. At the broad end, it means the way the discourse indexes a shared background for its understanding. But in all its uses, embeddedness asks, did the sensemaking arise as part of the flow of an event? Once again, an outsider can tell from the details of the language through which sense was made.
The fourth dimension of narrative is linearity, a concept that emphasizes the causal links that glue traditional narratives together. There is a famous line from Chekhov – if a shotgun is hanging over the fireplace in Act I, it had better go off by Act III. Chekhov’s message is, everything that goes into a story must play some role, from complication through development to resolution. Point to a scene in a story and ask, “What is this doing here?” and there must be an answer in terms of the story as a whole. A narrative, the traditional kind, is a finely crafted thing.

pregressa che risulta dall’esperienza condivisa all’interno dell’organizzazione oppure al di fuori. E qui ci colleghiamo nuovamente alla discussione sul «noto» e «nuovo» della sezione precedente.
L’integrazione descrive una serie di collegamenti diversi tra un’organizzazione e la creazione di senso. All’estremità stretta, indica il modo in cui specifiche parti del discorso puntino direttamente allo scenario in cui si sta svolgendo il discorso. All’estremità più ampia significa il modo in cui il discorso indica un background condiviso, necessario per la sua comprensione. Qualunque sia il suo uso, l’integrazione domanda: la creazione di senso nasce nell’àmbito del flusso di un evento? Ancora una volta, un esterno può rispondere osservando i dettagli della lingua attraverso i quali si è creato il senso.
La quarta dimensione della narrazione è la linearità, concetto che enfatizza i collegamenti causali che tengono insieme le narrazioni tradizionali. Come sostiene Čehov in una sua famosa frase: se all’inizio dello spettacolo vedi un fucile sopra il camino, stai sicuro che sparerà prima della fine del terzo atto. Il messaggio di Čehov è: tutto ciò che entra a far parte di una storia deve avere un ruolo, dalla complicazione alla soluzione, passando attraverso lo sviluppo. Indica una scena in una storia e chiedi: «Cosa succede lì?» e ci dev’essere una risposta legata alla storia nella sua interezza. Una narrazione, di tipo tradizionale, è qualcosa di finemente lavorato.

Ochs and Capps compare the smooth linear flow of traditional narrative with how living narrative slips and slides all over the place. The conflict, they write, is between ideal narrative – fixed and polished – and the open-ended and contingent narrative of everyday life. They introduce the concept of ‘sideshadowing’, something typical of living narratives. Sideshadowing occurs because the tellers want to pack in all of the experience from the situation that is the source of the story rather than to edit and re-shape experience into a polished narrative. Sideshadowing involves going ‘off on a tangent’, from a traditional narrative point of view, but of ‘covering everything that happened’, from the point of view of those who were there.
What does this mean for sensemaking? As Ochs and Capps suggest, we certainly don’t expect sensemaking to be linear. Yet, as it turns out, there are other kinds of logical links besides time and use.
Sensemaking will lie towards the nonlinear end of Ochs and Capps’s scale. But to achieve its goals, sensemaking will unfold with competing locally coherent sequences, a mix of linear and non-linear,and it will offer a sequence by one teller that will receive critical and complicating responses from the others. Sensemaking isn’t just brainstorming, though at times it will resemble it. It is brainstorming constrained by and evaluated against an unexpected event that a group is trying to understand, explain, and act on the basis of.
Ochs e Capps paragonano il flusso lineare e scorrevole della narrazione tradizionale al modo in cui la narrazione viva scivola e scorre ovunque. Il conflitto, scrivono, è tra la narrazione ideale – ben definita e pulita – e quella aperta e contingente della vita quotidiana. Introducono poi il concetto di «sideshadowing», qualcosa di tipico delle narrazioni vive. Il sideshadowing si verifica quando i narratori vogliono far entrare tutte le esperienze derivanti dalla situazione che è la fonte della storia, piuttosto che modificare e riformulare le stesse esperienze all’interno di una narrazione lineare. Sideshadowing significa «saltare di palo in frasca», dal punto di vista della narrazione tradizionale, ma anche «descrivere tutto quello che è successo» dal punto di vista di quelli che c’erano.
Cosa c’entra questo con la creazione di senso? Come suggeriscono Ochs e Capps, naturalmente non ci aspettiamo che la creazione di senso sia lineare. Però, come sappiamo, ci sono altri collegamenti logici oltre a tempo e causa.
La creazione di senso si trova, infatti, all’estremità non lineare della loro scala. Tuttavia, per raggiungere il suo scopo, la creazione di senso si sviluppa parallelamente a sequenze opposte, localmente coerenti, un insieme di eventi lineari e non lineari, e offre una sequenza di un solo narratore che riceve reazioni critiche e complesse dagli altri. La creazione di senso non è solo brainstorming, anche se a volte gli assomiglia. È un brainstorming limitato e valutato rispetto a un evento inaspettato che un gruppo sta cercando di capire, spiegare e in base al quale poi agisce.

The final dimension of the Ochs and Capps narrative model is moral stance. In the traditional narrative, there is usually a “moral o the story,” though that phrase has come to mean most any lesson one takes away, be it moral, practical or anything else. What Ochs and Capps mean is more the traditional idea of morality, the nature of the good – the just society, right action, the values one lives by, the ‘ought’ rather than the ‘is’.
Still, there is no question that sensemaking will reveal moral stance and disputes over which moral stance is correct.
Adjectives carry a major moral load, as in the old jokes of the form “I am dedicated, you are stubborn, he is pig-headed.” But many other ways to express moral stance are available as well. Actual cases of sensemaking can be analyzed to show their moral stance(s), and we expect sensemaking to show a variety of them. As a group of tellers work to build a sensemaking fragment that explains a surprise, different moral stances come under discussion as to what the surprise meant, why it happened, what it means for the organization, and what to do about it.
It seems immoral to allow a section on moral stance to be so brief compared to earlier discussions of the other dimensions of a living narrative, especially given recent spectacular cases of immoral organizations, both private and public.

L’ultima dimensione del modello di narrazione di Ochs e Capps è l’atteggiamento morale. Nella narrazione tradizionale c’è di solito una «morale della storia», anche se con questa frase ora si tende a definire qualsiasi lezione si possa ricavare: morale, pratica o di qualsiasi altro genere. Quello che intendono Ochs e Capps è più l’idea tradizionale di moralità, la natura del bene – la società giusta, l’azione corretta, i valori per cui vivere, il «dovrebbe» al posto dell’ «è».
Senza dubbio la creazione di senso svela l’atteggiamento morale e le controversie su qual è l’atteggiamento morale corretto.
Gli aggettivi hanno un peso morale importante, come nelle vecchie barzellette: «Io sono concentrato, tu sei testardo e lui è cocciuto come un mulo». Ma abbiamo a disposizione molti altri modi per esprimere un tono morale. Si possono analizzare casi di creazione di senso per dimostrare il loro atteggiamento morale, e ci aspettiamo che la creazione di senso ne mostri una grande varietà. Quando un gruppo di narratori lavora per creare un frammento di creazione di senso che spieghi una sorpresa, entrano in discussione diversi atteggiamenti morali sul significato della sorpresa, sul perché si è verificata, su cosa significa per l’organizzazione e su cosa fare al riguardo.
Dare così poco spazio alla sezione sull’atteggiamento morale rispetto alle precedenti discussioni sulle altre dimensioni di una narrazione viva sembra immorale, soprattutto considerati i recenti casi spettacolari di organizzazioni immorali, sia private che pubbliche.

But the first four dimensions of narrative link to specific aspects of discourse. Moral tone, on the other hand, pervades those aspects and most all of the others.
Should this approach to narrative and story be useful, a next major step will involve linguistic variations among the specific discourse devices described here. Turn-taking – the first example used under ‘tellers’ – always appear, wherever you go, since turns have to be negotiated in living narrative construction. But the way that turn-taking works varies from group to group. Turn-taking in Washington DC, where I lived for many years, is a different breed of cat from turn-taking in New Mexico, where I live now. And shifting from American English to Mexican Spanish involves changes in turn-taking as well. And these examples are just the start of a very long list.
Discourse analysis, of the sort introduced in this article, lays out many of the devices by which sensemaking is constructed. But work remains to show the different shapes those devices take in the context of different languages and different histories. Sensemaking now needs to be considered in light of other fields, such as second language learning and intercultural communication. But that is a job for another day.

Le prime quattro dimensioni della narrazione si legano però a specifici aspetti del discorso. Invece, il tono morale pervade quegli aspetti e la maggior parte degli altri.
Se questo approccio alla narrazione e alla storia si è rivelato utile, un prossimo passo importante riguarda le variazioni linguistiche tra gli specifici meccanismi del discorso descritti qui. L’alternanza – il primo esempio utilizzato nella sezione «narratori» – si riscontra sempre, ovunque, perché nella costruzione di una narrazione viva i turni vanno negoziati. Tuttavia, il modo in cui questa alternanza funziona varia da gruppo a gruppo. L’alternanza a Washington, dove ho vissuto per molti anni, è tutta un’altra storia rispetto all’alternanza nel New Mexico, dove vivo ora. E passare dall’inglese americano allo spagnolo messicano comporta cambiamenti anche nell’alternanza. E questi sono solo alcuni esempi di una lista lunghissima.
L’analisi del discorso, del tipo descritto in questo articolo, spiega molti dei meccanismi su cui si basa la creazione di senso. Restano ancora da illustrare le diverse forme che questi meccanismi assumono nel contesto di lingue diverse e storie diverse. Ora la creazione di senso va considerata alla luce di altri campi, come lo studio di una seconda lingua e la comunicazione interculturale. Ma di questo mi occuperò un altro giorno.

2.1 Riferimenti bibliografici

Adams, H. (1999). The education of Henry Adams, Oxford, University Press, ISBN 0192823698.

Agar, M. (1995). Language shock: Understanding the culture of conversation, New York, NY: William Morrow, ISBN 0688149499.

Argyris, C. (1993). Knowledge for action: A guide to overcoming barriers to organizational change, San Francisco, CA: Jossey-Bass, ISBN 1555425194.

Drucker,P. (1998). Harvard business review on knowledge management, Cambridge, MA: Harvard Business School Press, ISBN 0875848818.

Duranti, A. (1997). Linguistic anthropology, Cambridge, UK: Cambridge University Press, ISBN 0631221115.

Fairclough,N. (1989) Language and power, London, UK: Longman, ISBN 0582414830.

Kramer, R. M. and Cook, K. S. (eds.) (2004). Trust and distrust in organizations, New York, NY: Russell Sage Foundation, ISBN 0871544857.

Linde, C. (1993). Life stories: The creation of coherence, New York, NY: Oxford University Press, ISBN 0195073738.

Linde, C. (2001). “Narrative in institutions,” in D. Schiffrin, D. Tannen and H. E. Hamilton (eds.), The handbook of discourse analysis, , 518-536, Oxford, UK: Blackwell Publishing, ISBN 0631205950.

Ochs, E. and Capps, L. (2001). Living narrative: Creating lives in everyday storytelling, Cambridge, MA: Harvard University Press, ISBN 0674010108.

Olson, E. E. and Eoyang, G. H. (2001). Facilitating organization change: Lessons from complexity science, San Francisco, CA: Jossey-Bass/Pfeiffer, ISBN 07879533X.

Stacey, R. D. (2001). Complex responsive processes in organizations: Learning and knowledge creation, London, UK: Routledge, ISBN 0415249198.

Toffler, A. (1970). Future shock, New York, NY: Random House, ISBN 0394425863.

Trahair, R. C. S. (2005). Elton Mayo: The humanist temper, Somerset, NJ: Transaction Publishers, ISBN 1412805244.

Weick, K. E. (1995). Sensemaking in organizations, Thousand Oaks, CA: Sage, ISBN 0631223193.