Henrik Gottlieb: Subtitles and International Anglification

Henrik Gottlieb: Subtitles and International Anglification

 

ALESSANDRA MERISIO

 

 

 

Fondazione Milano

Milano Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

 

 

Relatore: professor Bruno Osimo

Diploma in Scienze della Mediazione Linguistica

Luglio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© Henrik Gottlieb 2004

© Alessandra Merisio per l’edizione italiana 2011

 

 

 


ABSTRACT

Questa tesi consiste nella traduzione in italiano dell’articolo «Subtitles and International Anglification» dello studioso e  sottotitolatore danese Henrik Gottlieb, pubblicato nel 2004 sull’accademico Nordic Journal of English Studies. Gli argomenti e le tesi avanzati dall’autore sono commentati e approfonditi nella prefazione: il sottotitolaggio come forma di traduzione intersemiotica diagonale, l’evolversi e il ruolo della figura del traduttore audiovisivo in seguito all’introduzione di corsi universitari specializzati, la trasformazione diamesica, gli anglicismi e la funzione istruttiva dei sottotitoli.

ENGLISH ABSTRACT

This thesis consists of the translation into Italian of the article «Subtitles and International Anglification», published in 2004 in the academic Nordic Journal of English Studies by the Danish scholar and subtitler Henrik Gottlieb. A comment and in-depth study on the topics and his thesis are present in the preface: subtitling as a diagonal intersemiotic translation form, the development and role of the screen translator after the introduction of specialised university courses, the diamesic process, anglicisms and the instructive function of subtitling.

 

DEUTSCHE ZUSAMMENFASSUNG

Diese Diplomarbeit besteht aus der italienischen  Übersetzung des Artikels «Subtitles and International Anglification», der im akademischen Nordic Journal of English Studies vom dänischen Akademiker und Untertitel-Übersetzer Henrik Gottlieb im Jahr 2004 veröffentlicht wurde. Die Themen und Thesen des Autors werden im Vorwort kommentiert und vertieft: die Untertitelung als diagonale intersemiotische Übersetzung, die Entwicklung und Rolle des audiovisuellen Übersetzers nach der Einführung spezieller Studiengänge, der diamesische Verlauf, die Anglizismen und die belehrende Funktion der Untertitel.

 

 

 

 

 

 

 

Sommario

 

1. Prefazione……….. 4

2. Riferimenti bibliografici……….. 14

3. Traduzione con testo a fronte……….. 16

Subtitles and International Anglification……….. 17

I sottotitoli e l’anglicizzazione internazionale……….. 18

4. References……….. 42

 

 

 

 

 

 


1. Prefazione


L’articolo «Subtitles and International Anglification» è stato pubblicato nel 2004 sulla rivista accademica Nordic Journal of English Studies, Vol 3, N° 1 dallo studioso e sottotitolatore danese Henrik Gottlieb, esponente di spicco nonché pioniere del settore della traduzione audiovisiva.

La traduzione audiovisiva ha iniziato ad affermarsi come vera e propria disciplina universitaria a cavallo tra gli anni ottanta e novanta con l’attivazione di corsi pre e postuniversitari (Gottlieb, 1992). Dal 1991 il Centre for Translation Studies and Lexicography dell’università di Copenhagen, di cui Gottlieb è direttore, è stato tra i primi in Europa ad offrire un corso post-laurea di traduzione audiovisiva con un modulo specifico dedicato alla sottotitolazione. La nascita di questi corsi universitari testimonia la necessità di riconoscere la scientificità e la ricchezza teorica della traduzione audiovisiva come campo di ricerca e al contempo di formare delle figure professionali che svolgano il compito di sottotitolatori in modo brillante e funzionale e non più arbitrario (Perego 2005).

La domanda che pone Gottlieb nella prima parte dell’articolo è se il sottotitolaggio possa essere considerato vera e propria traduzione. Per rispondere a questa domanda è necessario chiarire il significato dei termini «traduzione» e «testo». Secondo la concezione di traduzione totale di Torop, con il termine «traduzione» si intende «qualsiasi processo che trasformi un prototesto (primo testo) in un metatesto (testo modificato)» (Osimo 2001), mentre un «testo» può essere costituito non solo da parole, ma anche dai linguaggi extraverbali. Grazie al modello della traduzione totale è quindi possibile descrivere qualsiasi tipo di attività traduttiva (Torop 2010). Partendo dal presupposto che un testo non è fatto di sole parole, in un articolo del 2005 lo stesso Gottlieb ha dato una sua definizione del termine traduzione:

any process, or product hereof, in which a combination of sensory signs carrying communicative intention is replaced by another combination reflecting, or inspired by, the original entity[1].

Considerando questi presupposti, la risposta alla domanda non può che essere positiva. Il sottotitolaggio è una forma di traduzione intersemiotica, poiché utilizza diversi canali semiotici, spaziando dall’oralità del discorso del prototesto (il prodotto audiovisivo) allo scritto del metatesto, i sottotitoli. Nel caso di sottotitolazione interlinguistica, il sottotitolaggio diventa un processo diagonale, perché oltre alla trasmissione del messaggio da un testo orale a un testo scritto, avviene anche il passaggio dalla cultura emittente alla cultura ricevente. In particolare, il sottotitolaggio è una forma traduttiva specifica che si distingue da altri tipi di traduzione per i parametri individuati da Gottlieb.  Il sottotitolaggio è:

prepared communication using written language acting as an additive and synchronous semiotic channel, as part of a transient and polysemiotic text[2].

Si tratta di comunicazione: scritta (written), perché delle parole vengono riportate sullo schermo; aggiuntiva (additive), poiché i sottotitoli convivono con il testo originale formato da battute, immagini e suoni che non possono essere modificati; immediata (immediate) e sincronica (synchronous), poiché i sottotitoli appaiono sullo schermo di pari passo al dialogo originale; multimediale (polymedial), perché costituisce uno dei tanti canali di trasmissione del messaggio; e transitoria (transient), perché di passaggio sullo schermo (Perego 2005:47).

Personalmente ho sempre considerato il sottotitolaggio una vera forma di traduzione, ancora prima di iniziare questo percorso universitario e quindi di venire a conoscenza delle nozioni basilari della scienza della traduzione. Ma solo negli ultimi mesi ho iniziato a considerare il sottotitolaggio in modo più critico. Io stessa posso notare la differenza di qualità tra i sottotitoli di film in DVD e dei filmati in televisione rispetto ai sottotitoli di materiale audiovisivo reperibile in siti di streaming in internet. Infatti, mentre i primi sono  preparati da professionisti, i secondi possono essere preparati da qualsiasi utente che dimostri di avere un po’ di competenza linguistica, ma che non è necessariamente un traduttore. Nonostante ciò, come avviene in tutti i campi della traduzione, non basta sapere una lingua straniera per improvvisarsi sottotitolatori: è necessario aver conseguito la specializzazione adeguata. Il ruolo del traduttore audiovisivo, che in questo caso chiameremo sottotitolatore, è infatti fondamentale al fine di trasmettere in modo corretto tutte le informazioni del testo originale mantenendo il dovuto dinamismo comunicativo (Perego 2005). Oggi sembra scontato che un sottotitolatore debba essere in primo luogo un traduttore, ma non è sempre stato così: la figura del sottotitolatore si è infatti evoluta notevolmente. L’esigenza di formare del personale specializzato è nata negli anni novanta:

The 1990s have witnessed the emergence of a well-defined job profile for the subtitler. This has lead to the development in recent times of special training courses for this profession. Broadcasting stations and subtitling companies are recruiting language graduates and training them in-house; universities and specialised translation schools are setting up subtitling classes as part of their media translation courses. The media industry has realised that trained professionals are needed for the job[3].

Se in passato era frequente che i sottotitoli fossero preparati da personale inesperto, oggi è più raro che questo avvenga. L’evoluzione della figura del sottotitolatore è a mio parere una grande conquista nel campo della traduzione.

Come già accennato, il sottotitolaggio comporta una trasformazione diamesica, cioè un cambiamento di codice. Il dialogo della lingua parlata, apparentemente priva di regole, come la definisce Gottlieb, deve essere “trasformato” in un altro codice, quello della lingua scritta, più rigida. Nonostante questo, ossia che avvenga un passaggio da un sottocodice all’altro, io credo che il sottotitolatore debba conferire ai sottotitoli la naturalezza del dialogo parlato, rispettando sì le regole della lingua scritta (punteggiatura, ortografia, sintassi e grammatica), ma al tempo stesso cercando di evitare  l’utilizzo di forme e strutture rigide, più tipiche della lingua scritta che renderebbero i sottotitoli del tutto non naturali e “forzati”. A tal proposito in un articolo in Internet sul sottotitolaggio, anche Osimo ritiene che negare la realtà del parlato nei romanzi o nei film sottotitolati, renda gli stessi ridicoli e lontani dalla realtà. Prendiamo il seguente esempio: se in una scena di un film in cui due amiche vogliono bere un caffè insieme, una dicesse all’altra: «Propongo di bere un caffè insieme» la battuta sarebbe sì corretta da un punto di vista ortografico e grammaticale, ma suonerebbe troppo “finta” e poco naturale. Sarebbe molto più opportuno sostituirla con la seguente battuta: «Ti va un caffè?», molto più naturale e spontanea.

Il sottotitolaggio è definito da Gottlieb un lavoro che richiede talenti diversi:

apart from being an excellent translator of foreign-language lines, a good subtitler needs the musical ears of an interpreter, the no-nonsense judgement of a news editor, and a designer’s sense of esthetics. In addition, as most subtitlers do the electronic time-cueing themselves, the subtitler must also have the steady hand of a surgeon and the timing of a percussionist[4].

Oltre a un diploma in traduzione audiovisiva, per essere un bravo sottotitolatore è necessario possedere e affinare questi talenti. Uno degli aspetti più importanti del lavoro del sottotitolatore è il montaggio dei sottotitoli chiamato «timing». Esso consiste nel definire i tempi di «entrata» e «uscita» di ciascun sottotitolo e nel trovare il miglior equilibrio tra il ritmo del film, il ritmo di parlata dei personaggi o del narratore e il ritmo di lettura dello spettatore. Vanno inoltre considerati i tagli e i collegamenti sonori tra due scene, al fine di raggiungere al tempo stesso il più alto livello di sincronizzazione possibile tra la parola pronunciata e l’effettivo sottotitolo (Ivarsson, Carrol 1998:82). Quando Gottlieb parla di «tempismo di un percussionista», si riferisce molto probabilmente a questo difficile compito.

Un’altra sfida particolarmente ardua che deve affrontare un sottotitolatore è la strategia di condensazione del dialogo (Gottlieb) o di riduzione parziale, secondo Kovačič. La strategia di condensazione ripropone il messaggio in una forma più sintetica, senza comportare la perdita totale di informazioni: cambia solo la forma del messaggio, ma non il suo contenuto. Per attuare questa strategia il sottotitolatore deve dimostrare una grande abilità  di analisi, sintesi e congettura.

Credo quindi che sia importante che un sottotitolatore concili la teoria (il fatto che abbia studiato per diventare sottotitolatore) con la pratica, l’insieme delle abilità e dei talenti. Questo pensiero può essere riassunto nelle parole di  Luyken secondo il quale «il traduttore audiovisivo è una figura professionale determinante che necessita di un’adeguata preparazione per soddisfare le esigenze qualitative richieste. Solide basi teoriche unite ad abilità ed esperienza sul versante pratico sono attributi imprescindibili» (Luyken 1990).

 

Gottlieb ritiene che «finché la gran parte dello scambio internazionale di film e produzioni televisive rimane anglofona, sarà molto probabile che sia il sottotitolaggio che il doppiaggio continueranno a proiettare aspetti tipici della lingua inglese dal dialogo originale al discorso tradotto. Così come stanno le cose, si trova un’alta frequenza di anglicismi in entrambi i tipi di traduzione[…]». Egli definisce quello degli anglicismi un problema da ridurre al minimo e spera che in futuro le importazioni di programmi da paesi anglofoni siano ridotte nel bene della diversità linguistica e culturale. Credo che il termine «problema» utilizzato da Gottlieb sia esagerato, soprattutto se applicato a un paese come l’Italia che ha alle spalle un passato di nazionalismo linguistico, causato dalla chiusura del regime fascista verso le altre lingue e culture. Il 22 ottobre 1930 l’ufficio di revisione fece infatti emettere la seguente disposizione:

il ministero dell’interno ha disposto che da oggi non venga accordato il nullaosta alla rappresentazione di pellicole cinematografiche che contengano del parlato in lingua straniera sia pure in misura minima. Di conseguenza, tutti indistintamente i film sonori, ad approvazione ottenuta, porteranno sul visto la condizione della soppressione di ogni scelta dialogata o comunque parlata in lingua straniera[5].

È da questo momento che in Italia inizia a svilupparsi l’industria del doppiaggio che ha ormai raggiunto un livello di qualità esemplare. È interessante notare come oggi l’Italia sia più positiva e aperta verso gli anglicismi. Se è vero che durante gli anni del regime fascista ci fu una chiusura verso le lingue straniere, è anche vero che con gli sbarchi in Sicilia e ad Anzio delle truppe americane, in molte regioni d’Italia i soldati americani e la lingua inglese divennero molto familiari con una naturale apertura dei più giovani verso questa lingua. Oggi in Italia gli anglicismi sono utilizzati molto spesso nel linguaggio quotidiano, molte volte senza rendersene conto. Si pensi ai lemmi «manager», «smog», «week-end» ormai affermati e presenti sul vocabolario della lingua italiana. Non sono contraria all’utilizzo degli anglicismi, purché moderato e a patto che si sia consapevoli di utilizzare un termine preso in prestito da un’altra lingua, nonostante esista la possibilità di dire la stessa cosa in italiano.

L’Italia fa parte dei «dubbing countries», ossia dei paesi che si avvalgono principalmente della tecnica del doppiaggio. Ciò significa che il pubblico italiano è sempre stato abituato a vedere programmi doppiati importati da altri paesi ed è raro che vengano trasmessi in tv programmi o film in lingua straniera sottotitolati. Uno dei modi per accedere a materiale audiovisivo sottotitolato è utilizzare i DVD (Digital Versatile Disk) che possono contenere fino a 32 versioni sottotitolate in lingue diverse (Ivarsson, Carrol 1998). Personalmente ritengo molto utile la visione di film in lingua originale sottotitolati per favorire l’apprendimento di una lingua straniera. Questo metodo dovrebbe essere promosso non solo nelle scuole, ma anche alla televisione al fine di trarne il massimo vantaggio per tutti. La televisione dovrebbe dare al pubblico la possibilità di scegliere tra la versione originale di un film sottotitolata e la versione doppiata, come avviene in molti altri Paesi. Credo che la programmazione di film in lingua inglese sottotitolati andrebbe a vantaggio di molti, soprattutto dei più giovani:

In Europe children start to learn foreign languages, especially English, at a young age. Watching television makes a substancial contribution to their understanding of spoken English and to improving their pronunciation[6].

La funzione istruttiva dei sottotitoli è riconosciuta anche da Gottlieb che però vorrebbe limitare notevolmente le importazioni di materiale anglofono a favore di produzioni locali nell’interesse della diversità linguistica e culturale.

 

Al termine della mia analisi ritengo doveroso rivolgere una critica circa lo stile e la struttura dell’articolo. Infatti, Il Nordic Journal of English Studies, nel quale è pubblicato l’articolo in questione, è una rivista accademica, ossia un «periodico a revisione paritaria  in cui vengono pubblicati contributi di scienziati ed esperti di una disciplina accademica» (Wikipedia 2011). Le riviste accademiche fungono da forum per l’introduzione e la presentazione di nuova ricerca e per la critica di ricerca esistente. In quanto tale, Subtitles and International Anglification dovrebbe rispondere a determinati criteri di stesura di un articolo accademico. Nella comunità scientifica internazionale un articolo deve essere organizzato nell’ordine suggerito dall’acronimo IMRAD: Introduction, Methods, Results and Discussion[7]. Tuttavia, Gottlieb non rispetta appieno questi criteri. Più che presentare nuovi dati di ricerca, egli fa trasparire più volte la sua opinione personale: limitare le importazioni anglofone e favorire le produzioni locali e importazioni da paesi non anglofoni per promuovere la diversità culturale. Le considerazioni personali abbassano il livello di scientificità di un articolo, soprattutto se non supportate da dati. La scarsa scientificità dell’articolo in questione è a mio parere evidente nella conclusione, dove Gottlieb espone per l’ennesima volta il suo desiderio sopra citato. Oltre a essere una ripetizione, che è sempre bene evitare in un articolo scientifico, lo stile in cui Gottlieb si esprime non è del tutto scientifico. Si veda per esempio l’esclamazione «ahimè» e la conclusione «questo circolo, vizioso o no, deve essere interrotto, almeno nell’interesse della diversità linguistica e culturale».


2. Riferimenti bibliografici

De Linde Zoè 1999. The Semiotics of Subtitling. Manchester: St.Jerome.

De Mauro Tullio 2008. «Gli anglicismi? No problem, my dear», disponibile in internet all’indirizzo http://www.treccani.it/site/lingua_linguaggi/archivio_speciale/demauro, consultato nel giugno 2011.

Gottlieb Henrik 1992. Subtitling – A  New University Discipline, «Teaching Translation and Interpreting», Dollerup, Cay e Anne Loddegaard.

Gottlieb Henrik 2004. «Subtitles and International Anglification». Nordic Journal of English Studies, Vol III-1: 219-230,  disponibile in internet all’indirizzo http://ojs.ub.gu.se/ojs/index.php/njes/issue/view/11, consultato nel marzo 2011.

Gottlieb Henrik 2005. «Multidimensional Translation: Semantics turned Semiotics». Proceeding of the Marie Curie Euroconferences MuTra Challenges of Multidimensional Translation, disponibile in internet all’indirizzo http://www.euroconferences.info/proceedings/2005_Proceedings/2005_proceedings.html, consultato nel maggio 2011.

Ivarsson Jan e Carrol Mary 1998. Subtitling. Simrishamn: TransEdit HB.

Kotzé Theuns 2007. «Guidelines on Writing a First Quantitative Academic Article», disponibile in internet all’indirizzo web.up.ac.za/sitefiles/file/40/753/writing_an_academic_journal_article.pdf, consultato nel giugno 2011.

Luyken Georg-Michael 1990. Language Conversion in Audiovisual Media, «Proceeding of a conference» P. Mayorcas, Londra: Aslib.

Osimo Bruno 2001. Propedeutica della traduzione. Milano: Hoepli.

Osimo Bruno 2000-2004. «Sottotitolaggio», disponibile in internet all’indirizzo http://courses.logos.it/pls/dictionary/linguistic_resources.cap_4_19?lang=it, consultato nel giugno 2011.

Perego Elisa 2005. La traduzione audiovisiva. Roma: Carocci.

Torop Peeter 2010. La traduzione totale, a cura di Bruno Osimo. Milano: Hoepli.

Wikipedia 2011. «Academic Journal» in Wikipedia, disponibile in internet all’indirizzo http://en.wikipedia.org/wiki/Academic_journal, consultato nel giugno 2011.

 

 

3. Traduzione con testo a fronte


Subtitles and International Anglification

Is subtitling translation?

Language professionals tend to disagree as to whether subtitling is indeed translation, and even the subtitling industry is often reluctant to grant this type of language transfer the status of ‘real’ translation. This is mainly due to two things:

1) The famous and infamous time-and-space constraints of subtitling, which mean that no more than some 70 (alphanumeric) characters can be fitted into one subtitle, and that – in order to give viewers enough reading time – subtitles should be exposed at a pace not exceeding 12 characters per second. This normally implies some measure of condensation of the original dialogue, something that is often not expected in translated texts.

2) The fact that to most people the term ‘translation’ – or the equivalents ‘traduction’, ‘Übersetzung’, ‘oversættelse’, etc. – means ‘the transfer of written text in one language into written text in another’.

I will suggest labeling all types of interlingual transfer ‘translation’, as they all share one basic quality: verbal messages are recreated in another language. However, a watershed runs between what I will call isosemiotic translation on the one hand, and diasemiotic translation on the other. Isosemiotic translation uses the same semiotic channel – i.e. channel of expression – as the original, and thus renders speech as speech and writing as writing. This means that processes as diverse as conference interpreting, post-synchronization (= dubbing), technical translation and literary translation are all examples of isosemiotic translation.

 

 

 

I sottotitoli e l’anglicizzazione internazionale

Il sottotitolaggio è traduzione?

I professionisti della lingua tendono a dissentire sulla questione se il sottotitolaggio si possa considerare proprio traduzione e spesso anche l’industria del sottotitolaggio è riluttante a conferire a questo tipo di trasferimento linguistico lo status di “vera” traduzione. Ciò è dovuto principalmente a due fattori:

1) I tristemente famosi limiti spazio-temporali dei sottotitoli, che implicano che non possono essere inseriti in un sottotitolo più di circa settanta caratteri (alfanumerici)  e che, per dare agli spettatori il tempo di lettura sufficiente, i sottotitoli dovrebbero essere esposti a una velocità non superiore ai 12 caratteri al secondo. Questo in genere implica delle misure di condensazione del dialogo originale, espediente che non è previsto spesso nei testi tradotti.

2) Il fatto che per la maggior parte delle persone il termine “traduzione”, o gli equivalenti «traduction», «Übersetzung», «oversættelse», ecc, significa «il trasferimento di un testo scritto in una lingua in un testo scritto in un’altra».

Propongo di classificare tutti i tipi di trasferimento interlinguistico con il termine «traduzione», poiché essi condividono tutti una qualità essenziale: i messaggi verbali sono ricreati in un’altra lingua. Tuttavia, esiste uno spartiacque tra ciò che chiamerò «traduzione isosemiotica» da una parte e «traduzione diasemiotica» dall’altra. La traduzione isosemiotica utilizza lo stesso canale semiotico (il canale di espressione) dell’originale e quindi rende il discorso orale con un discorso orale e il testo scritto con un testo scritto. Ciò significa che processi così diversi come l’interpretariato di conferenza, la post-sincronizzazione (doppiaggio), la traduzione tecnica e la traduzione letteraria sono tutti esempi di traduzione isosemiotica.

 

In contrast, diasemiotic translation crosses over from writing to speech, or – as in the case of subtitling – from speech to writing.

As is seen below, the process of diasemiotic translation is diagonal. Thus, subtitling – the only type of diasemiotic translation found in the mass media – ‘jaywalks’ from source-language speech to target-language writing:

 

 

 

 

The realm of subtitling

 

Subtitling can be defined as “diasemiotic translation in polysemiotic media (including films, TV, video and DVD), in the form of one or more lines of written text presented on the screen in sync with the original dialogue[8]“.

Per contro, la traduzione diasemiotica spazia dallo scritto al discorso, oppure, come nel caso del sottotitolaggio, dal discorso al testo scritto.

Come si vede sotto, il processo di traduzione diasemiotica è diagonale. Quindi il sottotitolaggio, l’unico tipo di traduzione diasemiotica dei mass media, si avventura dal discorso della cultura emittente al testo scritto della cultura ricevente:

 

 

 

Il campo del sottotitolaggio

 

Il sottotitolaggio può essere definito come «traduzione diasemiotica nei media polisemiotici (inclusi film, tv, video e DVD), sotto forma di una o più righe di testo scritto, presentato sullo schermo contemporanemente al dialogo originale». [9]

In most European speech communities with less than 25 million speakers, subtitling – costing only a fraction of lip-sync dubbing – has been the preferred type of screen translation ever since the introduction of sound film in the late 1920s[10].Internationally, at least six different patterns of subtitling are found, with most subtitling countries adhering to only one of them:

1) Subtitling from a foreign language into the domestic majority language: Denmark, Sweden, Norway, Iceland, the Faroe Islands, the Netherlands, Portugal, Estonia, Slovenia, Croatia, Romania, Greece, Cyprus, Argentina, Brazil, etc.

2) Bilingual subtitling (in cinemas) from a foreign language into two domestic languages: Finland (Finnish and Swedish), Belgium (Flemish and French), Israel (Hebrew and Arabic).

3) Subtitling from national minority languages into the majority language: Ireland, Wales (English).

4) Subtitling from the majority language into an immigrant language: Israel (Russian).

5) Subtitling from non-favored languages to the favored language: South Africa and India (English).

6) Revoicing foreign-language dialogue in the favored language, with subtitles in a non-favored domestic language: Latvia (voice-over in Latvian, subtitles in Russian).

 

Nella maggior parte delle comunità discorsuali europee con meno di venticinque milioni di parlanti, il sottotitolaggio, essendo molto più economico del doppiaggio con sincronizzazione labiale, è il tipo di traduzione audiovisiva preferito fin dall’introduzione del film sonoro alla fine degli anni ’20[11].

A livello internazionale si identificano almeno sei diversi modelli di sottotitolaggio. La maggior parte dei paesi che si avvalgono del sottotitolaggio  adottano soltanto uno di essi:

1) Sottotitolaggio da una lingua straniera alla lingua nazionale maggioritaria:

Danimarca, Svezia, Norvegia, Islanda, Isole Faroe, Paesi Bassi, Portogallo, Estonia, Slovenia, Croazia, Romania, Grecia, Cipro, Argentina, Brasile ecc.

2) Sottotitolaggio bilingue (al cinema) da una lingua straniera alle due lingue nazionali: Finlandia, (finlandese e svedese), Belgio (fiammingo e francese), Israele (ebraico e arabo).

3) Sottotitolaggio dalle lingue nazionali minoritarie alla lingua maggioritaria: Irlanda, Galles (inglese).

4) Sottotitolaggio dalla lingua principale in una lingua di immigrazione: Israele (russo).

5) Sottotitolaggio da lingue non preferite alla lingua preferita: Sud Africa e India (inglese).

6) Risonorizzazione del dialogo in una lingua straniera nella lingua preferita, con sottotitoli in una lingua nazionale non preferita: Lettonia (voice-over in lettone, sottotitoli in russo).

 

Dubbing vs. subtitling

 

Dubbing, the traditional rival of subtitling, long ago established itself as the dominant type of screen translation in all non-Anglophone major speech communities in Western Europe, i.e. Spain, Germany, Italy and France. Without entering the never-ending ‘dubbing vs. subtitling’ discussion[12],two central – and slightly paradoxical – facts need mentioning here:

a) Subtitling, often considered the more authentic of the two methods, constitutes a fundamental break with the semiotic structure of sound film by re-introducing the translation mode of the silent movies, i.e. written signs.

b) Dubbing, a “natural”, isosemiotic type of translation, generates a conglomerate expression in which the voices heard, severed as they are from the faces and gestures seen on screen, will never create a fully natural impression. Only total remakes will be able to supplant the original film.

 

All in all, the two methods of screen translation differ in the following respects:

1. In semiotic terms, i.e. with regard to

(a) written vs. spoken language mode, and

(b) supplementary mode (subtitling) vs. substitutional mode (dubbing).

 

 

 

 

 

Doppiaggio versus sottotitolaggio

 

Il doppiaggio, rivale tradizionale del sottotitolaggio, si affermò tempo fa come tipo dominante di traduzione audiovisiva in tutte le grandi comunità discorsuali non anglofone dell’Europa occidentale ossia Spagna, Germania, Italia e Francia. Senza addentrarci nell’infinita discussione «doppiaggio versus sottotitolaggio»[13], è necessario menzionare due fatti fondamentali, leggermente paradossali:

a)             Il sottotitolaggio, spesso considerato il più autentico dei due metodi, crea una rottura fondamentale con la struttura semiotica del film sonoro, reintroducendo la modalità traduttiva dei film muti, cioè i segni scritti.

b)             Il doppiaggio, un tipo di traduzione isosemiotica “naturale” crea un’espressione conglomerata nella quale le voci sentite, talmente separate dai volti e dai gesti visti sullo schermo, non potranno mai creare un effetto totalmente naturale. Soltanto girando di nuovo l’intero film si potrà soppiantare l’originario.

Complessivamente, i due metodi di traduzione audiovisiva si distinguono per i seguenti aspetti:

  1. in termini semiotici, in particolare considerando

a) la modalità scritta versus la modalità parlata e

b) la modalità integrativa (sottotitolaggio) versus la modalità sostitutiva (doppiaggio).

 

2. In wording, where

(c) to a great extent, subtitling is governed by the norms of the written language[14],and

(d) unlike dubbing, subtitling tends to condense the original dialogue by roughly one third[15],partly as a result of point 2c above, partly to provide enough reading time for the audience (cf. the constraints mentioned in the introduction).

 

Subtitling, a multi-talent task

 

Apart from being an excellent translator of foreign-language lines, a good subtitler needs the musical ears of an interpreter, the no-nonsense judgment of a news editor, and a designer’s sense of esthetics. In addition, as most subtitlers do the electronic time-cueing themselves, the subtitler must also have the steady hand of a surgeon and the timing of a percussionist.

Furthermore, due to the diasemiotic nature of subtitling, the subtitler must, on top of translating spoken utterances from one language to another, transfer the dialogue from one sub-code (the seemingly unruly spoken language) to another (the more rigid written language). If this shift of sub-code were not performed as a fundamental part of the subtitling process, the audience would be taken aback by reading the oddities of spoken discourse.

 

2.   nella formulazione verbale, dove

c) il sottotitolaggio è governato in gran misura dalle regole della lingua scritta[16] e

d) diversamente dal doppiaggio, il sottotitolaggio tende a ridurre il dialogo originale di circa un terzo[17], in parte come risultato del punto 2c sopra, in parte per dare al pubblico tempo di lettura sufficiente (si vedano i limiti menzionati nell’introduzione).

 

Il sottotitolaggio, compito che richiede talenti diversi.

 

Oltre a essere un traduttore eccellente di dialoghi, un buon sottotitolatore necessita dell’orecchio musicale di un interprete, del giudizio pratico di un redattore giornalistico e del senso estetico di un designer. Per di più, dato che molti sottotitolatori svolgono loro stessi il montaggio delle battute, il sottotitolatore deve anche avere la mano ferma di un chirurgo e il tempismo di un percussionista.

Inoltre, a causa della natura diasemiotica del sottotitolaggio, il sottotitolatore, oltre a tradurre il discorso da una lingua a un’altra, deve trasferire il dialogo da un sottocodice (la lingua parlata apparentemente priva di regole) a un altro (la lingua scritta, più rigida).

Se questo mutamento di sottocodice non avvenisse come parte fondamentale del processo di sottotitolaggio, il pubblico sarebbe sorpreso nel leggere le stranezze del discorso parlato.

 

But as the dialogue is always re-coded en route to the bottom of the screen, viewers only react if the other dimension of diagonal subtitling – the translation proper – seems imperfect.

 

But this happens often enough; double-guessing subtitlers is almost a national sport in semi-bilingual subtitling countries, and several websites are now dedicated to onscreen translation bloopers (see for instance the Danish “Bøfsiden” and “Avigsidan” from Sweden).

 

Naturally, many of the errors reported are inexcusably stupid – albeit very amusing. But at a more sophisticated level, the complex and polysemiotic nature of filmic media renders a simple textual comparison between subtitles and original dialogue insufficient for making quality judgments.

 

Instead, the synthesis of the four parallel semiotic channels – image, (non-verbal) sound, dialogue and subtitles – should be compared with the original three-channel discourse. Only then will it be possible to determine to which extent the subtitled version as a whole manages to convey the semantic gestalt of the original.

 

 

 

 

 

 

 

Ma dato che il dialogo è sempre simultaneamente ricodificato nella parte bassa dello schermo, il pubblico reagisce soltanto se sembra imperfetta l’altra dimensione del sottotitolaggio diagonale, la vera e propria traduzione.

 

Ma questo capita abbastanza spesso; in molti paesi semi bilingue che si avvalgono dei sottotitoli, essere sottotitolatori sospettosi è quasi uno sport nazionale e molti siti internet sono ormai dedicati alle “perle” della traduzione audiovisiva (si vedano per esempio il sito danese  «Bøfsiden» (titlevision 2008-2011) e lo svedese «Avigsidan» (avigsidan)).

 

Naturalmente molti degli errori riportati sono imperdonabilmente stupidi, benché molto divertenti. Ma a un livello più sofisticato, la natura complessa e polisemiotica dei media filmici rende un semplice paragone testuale tra i sottotitoli e il dialogo originale insufficiente per giudicarne la qualità.

 

Al contrario, la sintesi dei quattro canali semiotici paralleli – immagine, suono (non verbale), dialogo e sottotitoli – dovrebbe essere paragonata al discorso originale nei tre canali. Solo così sarà possibile determinare in che misura la versione sottotitolata riesce a trasferire nell’insieme la struttura semantica complessiva dell’originale.

 

Anglophone programing, anglified subtitles?

 

Film, TV and video are presently being digitized, leading to formats much better suited for special translation needs than the traditional one-translation-per-film entity. Already today, films on DVD are marketed in multi-language versions, with (in theory) up to 8 dubbed and 32 subtitled versions on one disc – although on most DVDs far less than half of these options are offered[18].

With Digital Video Broadcasting (DVB), new standards for TV translation may (still) be expected (Karamitroglou 1999), making ‘personal subtitling’ – i.e. remote control selection of the preferred language version – a matter of course to most audiences worldwide.

However, as long as the bulk of the international exchange of films and TV productions remains anglophone, both subtitling and dubbing will very likely keep projecting English language features from the original dialogue to the translated discourse[19].As things are, high frequencies of Anglicisms are found in both types of translation, as shown in recent German and Danish studies (Herbst 1994 & 1995, Gottlieb 1999 & 2001).

 

Programmi anglofoni, sottotitoli anglicizzati?

 

I film, la tv e i video sono attualmente in fase di digitalizzazione, introducendo dei formati molto più appropriati per delle esigenze particolari di traduzione rispetto al tipo “una traduzione a film”. Già oggi i film sui DVD sono distribuiti in versioni multilingui con (in teoria) fino a otto versioni doppiate e trentadue sottotitolate su un unico disco, anche se nella maggior parte dei DVD sono disponibili molto meno della metà di queste opzioni.[20]

Con il Digital Video Broadcasting si attendono (ancora) dei nuovi criteri per la traduzione televisiva (Karamitroglou 1999), che rendano «i sottotitoli personalizzati», per esempio la selezione col telecomando della versione nella lingua preferita, una procedura normale per la maggior parte del pubblico in tutto il mondo.

Tuttavia, finché la gran parte dello scambio internazionale di film e produzioni televisive rimane anglofona, sarà molto probabile che sia il sottotitolaggio che il doppiaggio continueranno a proiettare aspetti tipici della lingua inglese dal dialogo originale al discorso tradotto[21]. Così come stanno le cose, si trova un’alta frequenza di anglicismi in entrambi i tipi di traduzione, come mostrato in recenti studi tedeschi e danesi (Herbst 1994 & 1995, Gottlieb 1999 & 2001).

 

And indeed, with the largely unchallenged power of Hollywood, although many subtitlers and language authorities may be critical to linguistic echoes of English in translated media, film companies, broadcasters and audiences worldwide tend to be more positive in this respect – one example being the increasing number of American film titles remaining untranslated in non-anglophone countries.

Interestingly, even when Anglicisms are concerned, subtitling differs from dubbing – in terms of which grammatical level is mainly affected. Dubbing tends to introduce syntactic ‘Trojan horses’ in target languages, primarily because the actors’ lip movements force dubbing translators to copy English speech patterns. Subtitling, on the other hand, typically promotes lexical innovation, i.e. loanwords, a more transparent Anglicism category. This is partly because viewers expect terminological similarity between what they hear and what they read on the screen (Gottlieb 2001).

For those concerned by these facts, there is little consolation in the alternatives:

a) Voice-over, where the original soundtrack is overlayed with impassion-ate, sometimes English-flavored narration in the target language (Griga-raviciúté & Gottlieb 1999), with no way of checking the translation against the original,

b) No translation, where the domestic language is not ‘contaminated’, but the audience is forced to make the best of their knowledge of English – a sink-or-swim strategy used in, for instance, several countries in Southern Africa (Kruger & Kruger 2001) – and, finally

 

E infatti, con il potere ampiamente incontestato di Hollywood, sebbene molti sottotitolatori e autorità della lingua potrebbero criticare le eco linguistiche dell’inglese nei media tradotti, le società di produzione, le emittenti e il pubblico in tutto il mondo tendono a essere più positivi su questo aspetto – un esempio è il crescente numero di titoli di film americani che non vengono tradotti nei paesi non anglofoni.

Anche quando si tratta di anglicismi, è interessante notare come il sottotitolaggio si distingua dal doppiaggio, in termini di quale livello grammaticale è principalmente implicato.

Il doppiaggio tende a introdurre dei «cavalli di troia» sintattici nelle lingue riceventi, principalmente perché i movimenti labiali degli attori obbligano gli adattatori a fare dei calchi sul discorso inglese. Dall’altra parte il sottotitolaggio promuove tipicamente l’innovazione lessicale,  ossia i prestiti dalla lingua, una categoria più trasparente di anglicismi. Ciò avviene anche perché il pubblico si aspetta una somiglianza terminologica tra quello che sente e quello che legge sullo schermo (Gottlieb 2001).

Gli interessati traggono gran poca consolazione dalle alternative:

a)             Voice-over, dove la colonna sonora originale è coperta da una piatta narrazione nella lingua ricevente, a volte anglicizzata (Grigraviciute & Gottlieb 1999), senza possibilità di confrontare la traduzione con l’originale,

b)             Nessuna traduzione, dove la lingua interna non è “contaminata”, ma il pubblico è obbligato a sfruttare al massimo la propria conoscenza dell’inglese – una strategia di sopravvivenza utilizzata per esempio in molti paesi dell’Africa meridionale (Kruger & Kruger 2001) – e infine,

 

c) English intralingual subtitles, a method which may help viewers make sense of the spoken English lines, but still offers no interlingual aid.

 

At the end of the day, boosting domestic productions is the only way to ‘minimize the Anglicism problem’ – and produce dialogue with only those Anglicisms that are already firmly established[22].Avoiding all imports is as unrealistic as it is undesirable. Instead, more imports from non-anglophone speech communities would be beneficial to all parties involved.

 

Language politics and choice of screen translation method

 

Regarding program exchange and translation choices on television, six scenarios can be outlined, four of which exist today[23].The two supplementary ones, ‘Utopia’ and ‘Dystopia’, should be seen as opposite extremes establishing the cline on which all present and future realities are bound to be found:

 

 

 

 

 

c)              Sottotitoli inglesi intralinguistici, metodo che può aiutare il pubblico a seguire le battute di inglese parlato, ma che però non dà aiuto interlinguistico.

 

In fin dei conti, promuovere la produzione interna è l’unico modo di “ridurre al minimo il problema degli anglicismi” e di produrre dialoghi con solo quegli anglicismi che si sono già saldamente affermati[24]. Evitare qualsiasi importazione è tanto irrealistico quanto non auspicabile. Più importazioni da comunità discorsuali non anglofone andrebbero invece a favore di tutte le parti in causa.

 

Politica linguistica e scelta di metodo di traduzione audiovisiva

 

Per quanto riguarda lo scambio di programmi e le scelte di traduzione in televisione, possono essere individuati sei scenari, quattro dei quali esistenti[25]. Gli altri due scenari, «utopia» e «distopia» dovrebbero essere considerati due estremi opposti che fissano una scala di gradazione in cui tutte le realtà presenti e future sono destinate a trovarsi:

 

Scenario 1: Utopia

The cosmopolitan situation:

Flourishing international program exchange,

less than 50% English programing,

less than 50% national programing,

a wide range of non-English imports,

standard imports subtitled in all domestic languages,

children’s imports dubbed or voiced-over.

 

Scenario 2: Scandinavia

The monolingual anglophile situation:

Substantial program imports,

around 50% English programing,

almost 50% national programing,

very few non-English imports,

standard imports subtitled in the dominant domestic language,

children’s imports subtitled, dubbed or voiced-over.

 

Scenario 3: South Africa

The multilingual anglophile situation:

Massive program imports,

more than 50% English programing,

less than 50% national programing,

very few non-English imports,

standard imports not translated,

children’s imports either not translated or dubbed / voiced-over,

indigenous programs subtitled in English.


Scenario 1: Utopia

La situazione cosmopolita:

fiorente scambio di programmi internazionali;

meno del 50% di programmazione inglese;

meno del 50% di programmazione nazionale;

un’ampia gamma di importazioni non-anglofone;

importazioni standard sottotitolate in tutte le lingue interne;

importazioni per bambini doppiate o con voice-over.

 

Scenario 2: Scandinavia

La situazione monolingue anglofila:

notevoli importazioni di progammi;

circa il 50% della programmazione inglese;

quasi il 50% della programmazione nazionale;

pochissime importazioni non-anglofone;

importazioni standard sottotitolate nella lingua interna principale;

importazioni per bambini sottotitolate, doppiate o con voice-over.

 

Scenario 3: Sud Africa

La situazione multilingue anglofila:

massicce importazioni di programmi;

più del 50% di programmi inglesi;

meno del 50% di programmi nazionali;

pochissime importazioni non-anglofone;

importazioni standard non tradotte;

importazioni per bambini sia non tradotte che doppiate/con voice-over;

programmi indigeni sottotitolati in inglese.

 

Scenario 4: France

The monolingual nationalist situation:

Limited program imports,

less than 50% English programing,

more than 50% national programing,

very few non-English imports,

niche imports subtitled,

all other imports dubbed or voiced-over.

 

Scenario 5: ‘Anglostan’ (the native English-speaking countries)

The anglophone situation:

Very few non-English imports,

almost 100% English programing,

niche imports subtitled,

all other imports dubbed or voiced-over.

 

Scenario 6: Dystopia

The anglified situation:

Very few non-English imports,

domestic and regional production mainly in English,

standard imports not translated,

programs for the elderly subtitled or dubbed.

 

Scenario 4: Francia

La situazione monolingue nazionalista:

limitate importazioni di programmi;

meno del 50% di programmi inglesi;

più del 50% di programmi nazionali;

pochissime importazioni non-anglofone;

importazioni di nicchia sottotitolate,

tutte le altre importazioni doppiate o con voice-over.

 

Scenario 5: “Anglostan” (i paesi anglofoni nativi)

La situazione anglofona:

pochissime importazioni non anglofone;

quasi il 100% di programmi inglesi;

importazioni di nicchia sottotitolate,

tutte le altre importazioni doppiate o con voice-over.

 

Scenario 6: Distopia

La situazione anglicizzata:

pochissime importazioni non anglofone;

produzione domestica e regionale principalmente in inglese;

importazioni standard non tradotte;

programmi per anziani sottotitolati o doppiati.

 

Judged from a global perspective, the only sustainable scenario seems to be the Utopian one, in which neither national nor anglophone productions dominate, and where different segments among viewers may select different language versions of imported programs.

If we want to, we have an all-win situation on our hands:

a) Subtitling anglophone imports enhances the learning of English, still unchallenged as a global lingua franca[26].

b) Importing more programs from non-anglophone countries will raise viewers’ linguistic and cultural awareness and help keep the dominance of English in check.

c) Offering subtitles in all major indigenous languages will improve the status of so-called lesser-used languages and make program production in these languages viable.

Alas, as with so many other choices in life, consensus is easier reached than action, especially when money is concerned. Today, American, British and Australian imports are so much more affordable to TV stations worldwide than domestic productions – as long as these remain difficult to export because neighboring countries keep filling their shelves with anglophone imports.

Vicious or not, this circle needs to be broken, at least for the sake of linguistic and cultural diversity.

 

Considerato da un punto di vista globale, l’unico scenario sostenibile sembra essere l’utopico, in cui non domina né la produzione nazionale né quella anglofona e dove diverse porzioni di pubblico potrebbero selezionare versioni di lingue diverse di programmi importati.

Volendo, si ha a disposizione una situazione win-win:

a)             sottotitolare le importazioni anglofone promuove l’apprendimento dell’inglese, la lingua franca globale[27] tuttoggi indiscussa.

b)             Importare più programmi dai paesi non anglofoni aumenterà la consapevolezza linguistica e culturale del pubblico e contribuirà a limitare la prevalenza dell’inglese.

c)              Proporre sottotitoli in tutte le lingue indigene principali migliorerà lo status delle cosiddette lingue meno usate e renderà possibile la produzione di programmi in queste lingue.

Ahimè, come succede con molte altre scelte nella vita, è più facile ottenere il consenso che l’azione, specialmente quando si tratta di soldi. Oggi le importazioni americane, britanniche e australiane sono molto più accessibili economicamente per le emittenti televisive in tutto il modo che le produzioni interne; finché queste rimangono difficili da esportare perché i paesi vicini continuano a riempirsi gli scaffali di importazioni anglofone.

Questo circolo, vizioso o no, deve essere interrotto, almeno nell’interesse della diversità linguistica e culturale.



4. References

 

References

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[1] Qualsiasi processo, o prodotto di questo, nel quale una combinazione di segni sensoriali con un’intenzione comunicativa è sostituita da un’altra combinazione che riflette o è ispirata all’entità originaria (Gottlieb 2005).

[2] Comunicazione preparata che utilizza un linguaggio scritto che funge da canale semiotico aggiuntivo e sincronico nell’ambito di un testo transitorio e polisemiotico (Gottlieb 2005).

[3] Gli anni novanta hanno visto la nascita di un profilo professionale ben definito per il sottotitolatore. Ciò ha recentemente portato allo sviluppo di speciali corsi di formazione per questa professione.  Le emittenti televisive e le agenzie di sottotitolazione stanno assumendo laureati in lingue e li stanno formando al loro interno; le università e le scuole di traduzione specializzate stanno organizzando lezioni di sottotitolaggio nell’ambito dei loro corsi di traduzione per i media. L’industria dei media ha capito che per  questo lavoro sono necessari dei professionisti formati (Ivarsson, Carrol 1998).

[4] Oltre a essere un traduttore eccellente di dialoghi, un buon sottotitolatore necessita dell’orecchio musicale di un interprete, del giudizio pratico di un redattore giornalistico e del senso estetico di un designer. Per di più, dato che molti sottotitolatori svolgono loro stessi il montaggio delle battute, il sottotitolatore deve anche avere la mano ferma di un chirurgo e il tempismo di un percussionista (Gottlieb 2004).

[5] Perego 2005.

 

[6] In Europa i bambini iniziano a studiare presto le lingue straniere, soprattutto l’inglese. Guardare la televisione contribuisce notevolmente alla loro comprensione dell’inglese parlato e al miglioramento della pronuncia (Ivarsson, Carrol 1998).

[7] Introduzione, metodi, risultati e discussione.

[8] The term ‘polysemiotic’ refers to the presence of two or more parallel channels of discourse constituting the text in question. In a film, up to four semiotic channels are in operation simultaneously: non-verbal picture, written pictorial elements, dialogue, and music & effects.

[9] Il temine «polisemiotico» si riferisce alla presenza di due o più canali paralleli del discorso che costituiscono il testo in questione. In un film funzionano contemporaneamente fino a quattro canali semiotici: l’immagine non verbale, gli elementi pittorici scritti, il dialogo, la musica e gli effetti sonori.

[10] On the history of subtitling, see Ivarsson & Carroll (1998: 9-32) and Gottlieb (2003, 25-34).

[11] Sulla storia del sottotitolaggio consultare Ivarsson & Carrol (1998:9-32) e Gottlieb (2003: 25-34).

 

[12] This issue is thoroughly dealt with in Koolstra et al. (2002). For a state-of-the-art survey of screen translation, see Diaz Cintas (2003).

[13] Questo argomento è approfondito in Koolstra et al. (2002).  Per una panoramica sul grado di avanzamento della traduzione audiovisiva consultare Diaz Cintas (2003).

[14] The problems of rendering ‘meaningful’ deviations from standard speech in subtitling are discussed in Assis Rosa (2001).

[15] Several European studies, most of them unpublished, point to a typical (quantitative) condensation rate of between 20 and 40 per cent, see for instance Lomheim (1999).

[16] I problemi di rendere “sensate” le deviazioni dal discorso standard nel sottotitolaggio sono affrontati in Assis Rosa (2001).

[17] Molti studi europei, la maggior parte dei quali non pubblicati, indicano una riduzione (quantitativa) tipica del 20-40%, si veda per esempio Lomheim (1999).

[18] In Denmark, anglophone DVD productions with subtitles commissioned in the USA – although offering a wider variety of language versions – generally display a poorer subtitling quality than those commissioned in Denmark (with subtitles in the Nordic languages only), both in terms of idiomaticy, translational equivalence, reading times, and technical perfection (Witting Estrup 2002).

[19] One of the earliest scholarly discussions of this problem referred to Finnish TV (Sa-javaara 1991), thus demonstrating that the influence of English via screen translation is by no means limited to Indo-European languages.

[20] In Danimarca le produzioni anglofone di DVD con sottotitoli commissionate negli Stati Uniti, nonostante offrano una più ampia scelta di versioni in lingua, rivelano normalmente una qualità di sottotitolaggio inferiore rispetto a quelle commissionate in Danimarca (con sottotitoli solo nelle lingue nordiche), sia per quanto riguarda le espressioni idiomatiche, che per l’equivalenza traduttiva, i tempi di lettura e la perfezione tecnica (Witting Estrup 2002).

[21] Una delle prime discussioni accademiche di questo problema riguardava la tv finlandese (Sajavaara 1991), che dimostrava che l’influenza dell’inglese attraverso la traduzione audiovisiva non è affatto limitata alle lingue indoeuropee.

[22] Impressive documentation of the present European situation regarding English linguistic influence is found in Görlach (ed.) 2001, 2002a and 2002b.

[23] Scenarios 2-5 are based on, among other sources, Danan (1995), Gottlieb (1996), and Kruger & Kruger (2001).

[24] Una notevole documentazione dell’attuale situazione europea riguardo all’influenza linguistica inglese si trova in Görlach 2001, 2002a e 2002b.

[25] Gli scenari dal due al cinque sono basati, tra le altre fonti, su Danan (1995), Gottlieb (1996) e Kruger & Kruger (2001).

[26]  Even scholars adamantly against the international dominance of English recognize the need for improved English skills the world over (Phillipson 2003).

[27] Persino gli studiosi inflessibilmente contrari alla prevalenza internazionale dell’inglese riconoscono la necessità di migliorare le competenze relative alla lingua inglese in tutto il mondo (Phillipson 2003).

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