Intervista a Guglielmo Pispisa in occasione dell’uscita del libro «Voi non siete qui», Saggiatore 2014. ISBN 9788842819592, 13,60 euro

domanda: Come autore, la domanda che detesto è se nel mio romanzo ci sono elementi autobiografici e quali. Quindi non te la faccio, anche perché non mi sembra davvero importante. Ti domanderei invece se gli elementi ovviamente autobiografici (età, professione, geografia) non ti creino comunque complicazioni nella tua vita non finzionale pensando a chi cercherà di capire, allora, quali sono i tratti non autobiografici.

risposta: Anch’io la trovo una domanda inutile dal punto di vista letterario, ma d’altronde comprendo il meccanismo che innesca la curiosità e riconosco quanto sia facile che scatti in maniera automatica, dunque non mi scandalizzo. In effetti gli unici elementi autobiografici sono proprio quelli ovvi da te menzionati, luoghi geografici, dettegli tecnici della professione del protagonista e poco altro, ma immagino pure che questa cosa dell’autobiografia tornerà come un refrain ogni volta che parlerò del libro e, per quanto la risposta sarà sempre quella che ho appena dato, ognuno pretenderà di riconoscere qualche dettaglio in più. Complicazioni prodotte alla mia vita non finzionale dalla percezione dei lettori di quel che scrivo non ne ho avute mai; confido di non averne nemmeno stavolta, perché di solito parto da un principio e cerco di attenermici: dopo la pubblicazione, quel che scrivi non ti appartiene più, per cui ogni lettore è libero di formarsi in merito una sua opinione e tu sei libero di fregartene alla grande.

10609681_266975900166848_1384390370426642200_ndomanda: Il tuo romanzo si legge molto volentieri, anzi si divora. (Gli
ingordi si considerino avvertiti.) Questo in prima battuta potrebbe far pensare a una scrittura di genere, invece la dimensione psicologica dei personaggi è approfondita, ci sono svariati quesiti esistenziali, e secondo me a ben vedere c’è una storia – introspettiva – nella storia – vicissitudini. Sembra quasi che tu abbia inventato una storia piena di suspence come pretesto per scrivere un romanzo serio, esistenziale.
Ti riconosci in questo?
risposta: Tutto quel che scrivo, ho la presunzione di ritenere, ha o mira ad avere una dimensione esistenziale. Ho però anche troppo rispetto del tempo dei lettori per pretendere che lo sprechino appresso alle mie paturnie senza dar loro in cambio almeno un poco di divertimento. Ho sempre ragionato così, per cui sì, mi riconosco nella tua analisi.

domanda: Il motivo del parto e della gravidanza porta per mano il lettore per buona parte dell’intreccio. La usi consapevolmente come metafora? La prima che s’incontra (non dico di chi per non sciupare il piacere dei lettori) a me è sembrata molto metaforica. È un mio abbaglio?

risposta: Quando scrivo, mi do una scaletta di temi ed eventi, ma evito che sia troppo stringente proprio per non eccedere nell’autoanalisi del mio lavoro in corso d’opera, che trovo un metodo pericoloso perché rischia di rendere la narrazione troppo meccanica e “a tesi”. Il motivo del parto, per esempio, non era fra quelli previsti a priori e non ho scelto a tavolino di metaforizzarlo. È venuto scrivendo e ha preso corpo man mano. In sé è un tema talmente forte e fertile che a metterlo in mezzo è difficile non predomini sul resto, no? Vuol dire così tante cose nella vita di ciascuno, è una svolta, un taglio, è la metafora delle metafore, direi.

guglielmodomanda: Le scene di sesso sono descritte in modo non pruriginoso, senza concessioni al voyeurismo. Benché non si sfumi per poi passare al dopo, come nei film americani, si dice quello che succede come se si parlasse di un argomento normale. Lo consideri un argomento normale? Oppure il tuo è narrativamente un bluff, come quando un avvocato
affronta momenti di terrore con faccia impassibile? Dove passa il confine tra erotismo e pornografia secondo te? È più da emancipati parlare di sesso come di una cosa normale o non parlarne affatto?

risposta: Non fingo che sia un argomento normale, non prendiamoci in giro, non lo è. O meglio, lo è ma non viene percepito come tale, rientra nell’ordinario assoluto dell’esistenza ma tutti drizzano le antenne quando se ne parla. Suscita inevitabilmente un’attenzione morbosa. Da scrittore finora non avevo mai avuto gran curiosità o necessità di affrontare il tema, ma in questa storia il sesso rappresenta uno snodo imprescindibile e ho scelto dunque di prendere la cosa di petto. Scrivere scene di sesso che non siano noiose né già viste è quanto di più difficile ci sia e anche questo mi ha stimolato, era una sfida più impegnativa di molte altre. Sono contento che ti siano piaciute. Ho scelto di trattare l’argomento senza giri di parole né artifici retorici, ho usato le parole che usano tutti e ho cercato, per quanto era nelle mie possibilità, di renderle allo stesso comiche e un po’ grottesche mantenendole comunque eccitanti. Almeno questa era la mia intenzione. Perché se scrivi una scena di sesso, deve fare eccitare il lettore, altrimenti che la scrivi a fare? Sulla differenza tra pornografia e erotismo davvero non saprei fare un distinguo netto. Credo sia al fondo una questione di curiosità. Nell’accezione negativa di pornografia, la curiosità non esiste, non solo perché tutto è in piena luce, genitali, penetrazioni ecc. ma perché la ripetitività, la scontatezza e l’ordinarietà dell’azione ammazzano ogni possibile curiosità e dunque ogni desiderio. Immagino che possa esistere un porno che rimanga erotico se riesce a preservare la curiosità, ad andare oltre il banale.

domanda: Il tuo eroe maschile è un eroe perché riesce a non essere come gli altri se lo aspetterebbero? È un eroe in quanto emarginato? Il sottosuolo è l’ambiente in cui vive o è quello che ha dentro?

risposta: Non sono abituato a pensare a Walter come a un eroe. Non ha le qualità morali o fisiche per esserlo, ma effettivamente ha un elemento tipico dell’eroe tragico, ossia quello di essere un predestinato, indirizzato da forze superiori sulle quali non ha alcun controllo incontro a un destino che non può modificare nemmeno facendo leva su risorse eroiche che, appunto, non ha. Vive in un ambiente che sente ostile più che altro perché è lui a detestarlo e non si rende conto invece di essere il perfetto risultato di quell’humus. Anche la sua avversione sterile per luoghi, abitudini sociali e persone non è altro che il frutto di quell’ecosistema, è solo un altro dei tanti che si lamentano di quanto tutto faccia schifo senza avere davvero la voglia e la qualità di cambiare le cose a partire dalle proprie abitudini. Critica i suoi concittadini che vestono capi firmati e si deprime quando prova ad acquistare abiti in un supermercato, fa lo snob alla festa dei vip ma poco prima di entrarvi va in apprensione al pensiero di non essere stato inserito in lista. È un essere umano, cretino come tutti.

bruno legge pispisa Photo on 27-08-14 at 11.38domanda: Il tratto che amo di più nella tua poetica è l’autoironia. Questo sembrerebbe confermato anche dall’epigrafe iniziale da Dostoevskij. L’autoironia è destabilizzante per sé e per gli altri. «La vita è autoironia, o l’autoironia aiuta a vivere meglio?» Quelli che si prendono troppo sul serio sono odiosi, concordo. Ma quelli che si prendono troppo poco sul serio? non finiscono per soccombere nel celodurismo imperante?

risposta: Tengo molto a quell’epigrafe. Di sicuro l’autoironia aiuta a vivere meglio e altrettanto vero è che chi eccede in autoironia rompe quanto chi si prende troppo sul serio. Ma il punto di quell’epigrafe, della storia del libro (almeno nelle intenzioni del protagonista, che sono ben lontane da quel che egli riesce davvero a mettere in pratica) e più ancora del sottotesto introspettivo che tu hai, mi sembra, colto è un altro: l’autolesionismo. Sono sempre rimasto affascinato dai gesti autolesionistici gratuiti. Affascinato e direi ammirato. Quel disprezzo per le convenzioni racchiuso in un gesto che, pur di mantener fede a se stesso, finisce col distruggere consapevolmente e invincibilmente chi lo compie. Uno sceglie ciò che lo danneggia per il puro gusto di non fare quel che gli altri si aspettano da lui, l’opzione ragionevole e conveniente. Invece no! Per puntiglio. Mi rovino, faccio la figura del deficiente, e solo per non essere come voi, mediocri idolatri della convenienza. Meraviglioso.

domanda: Il protagonista è una persona per nulla provinciale che si trova a vivere nel provincialismo più bieco. Avevi già deciso di trasferirti in un’altra città, o pensi di aspettare la testa di cavallo nel letto?

risposta: Mah, come ti dicevo sopra, secondo me Walter è invece perfettamente provinciale, è il provinciale velleitario che crede di non esserlo pur essendolo in pieno. Prodotto del suo ambiente, con l’ansia di mostrarsi diverso dalla massa ma privo delle qualità morali e dell’astuzia per accorgersi che alla fine fa proprio quel che fanno tutti. Solo che pensa di no. Non sono così importante da indurre chicchessia a sprecare una testa di cavallo. Per il momento rimango dove sono, in futuro chissà.

Leave a Reply