Nikolaj Sergeevič Trubeckoj visto dagli occhi di Roman Jakobson ANNALISA FRANZI

Nikolaj Sergeevič Trubeckoj visto dagli occhi di Roman Jakobson

ANNALISA FRANZI

Scuole Civiche di Milano
Fondazione di partecipazione
Dipartimento Lingue
Scuola Superiore per Mediatori Linguistici
via Alex Visconti, 18 20151 MILANO

Relatore professor Bruno OSIMO
Correlatrice professoressa Elena BROSEGHINI

Diploma in Scienze della Mediazione Linguistica
ottobre 2007

© Annalisa Franzi 2007, per la tesi

© eredi di Roman Jakobson 1939 per l’articolo in tedesco

ABSTRACT
La tesi si basa sulla traduzione di un articolo scientifico del semiotico russo Roman Jakobson. Il testo originale è in lingua tedesca e tratta della biografia di un altro illustre esponente dell’intelligenciâ russa vissuto tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo: Nikolaj Sergeevič Trubeckoj. Il lavoro traduttivo effettuato non si limita al semplice passaggio dalla lingua del prototesto a quella del metatesto: vi è sottesa, infatti, una ricerca concettuale e terminologica fondamentale per la comprensione del lessico utilizzato da Jakobson, caratterizzato da un’alta specificità settoriale e da uno stile peculiarissimo: in una trama tessuta con estrema precisione, infatti, in Jakobson ogni singola parola si intreccia a quella successiva creando un discorso finemente coeso e coerente. Durante la stesura della traduzione, questa struttura precisa e raffinata del testo originale ha rivelato la propria complessità, portando alla luce una serie di problemi traduttivi la cui analisi e risoluzione sono risultate cruciali per la compattezza e comprensione finali del metatesto.

ENGLISH ABSTRACT
This thesis is based on the translation of a scientific article written by the Russian semiotist Roman Jakobson. The original text is in German and concerns the biography of another prominent representative of the Russian intelligenciȃ who lived between the end of the nineteenth and the beginning of the twentieth century, Nikolaj Sergeević Trubeckoj. The translation work is not restricted to the elementary switch from the language of the prototext to the language of the metatext, but implies terminological and conceptual research essential for the understanding of the vocabulary used by Jakobson, which is characterized by a highly specific technical language and an absolutely distinctive style. In fact, every single word chosen by Jakobson is weaved one with the other into a finely cohesive and coherent discourse, like in a spider’s web. While drafting the translation, the precise and sophisticated structure of the original text revealed its own complexity, bringing to light a series of translation problems, the analysis and solution of which turned out to be basic and extremely important for the final cohesion and comprehension of the metatext.

ABSTRACT AUF DEUTSCH
Inhalt meiner Diplomarbeit ist ein wissenschaftlicher Artikel, dessen Autor der russische Semiotiker Roman Jakobson ist. Der ursprüngliche Text ist deutsch geschrieben, es handelt sich hierbei um die Biografie eines anderen vorzüglichen Vertreters der russischen Intelligenz, Nikolaj Sergeevič Trubeckoj, der am Ende des 19. und zu Beginn des 20. Jahrhunderts lebte. Die Übersetzungsarbeit beschränkt sich nicht nur auf das Übertragen von einer Sprache in die andere, das heisst von der Sprache des Urtextes zu der Sprache des Metatextes, sondern sie impliziert eine terminologische und konzeptuelle Untersuchung, die grundsätzlich ist, um den besonders spezifischen Fachwortschatz und den selten eigenartigen Stil von Jakobson zu verstehen. Wie in einem sorgfältig geflochtenen Spinnennetz ist jedes einzelne Wort mit dem folgenden verknüpft, so dass ihr Zusammenhang eine Rede mit feiner Kohäsion und Konsequenz erschafft. Während des Verfassens der Übersetzung hat diese genaue und feine Struktur des ursprünglichen Textes ihre eigene Komplexität gezeigt, wobei eine Reihe von Übersetzungsproblemen aufgetaucht ist, deren Analyse und Lösung für die definitive Geschlossenheit und Verständnis des Metatextes entscheidend gewesen sind.

Sommario

0 Sommario 4
Ringraziamenti 6
1 1. Prefazione 7
1.1 Terminologia 7
1.1.1 Schnaderhüpfel 8
1.1.2 Bylina 9
1.1.3 Systemzwang 9
1.1.4 Steingeburtssagen 10
1.1.5 ur-/Ur- 11
1.1.6 Und-Verbindung 12
1.2 Riferimenti bibliografici 13
2 2. Traduzione con testo a fronte 14

Ringraziamenti

I miei ringraziamenti vanno in particolare alla Professoressa Elena Broseghini, i cui consigli e il cui sostegno sono stati provvidenziali per la riuscita di questa “opera prima”. Un grazie speciale dunque a lei, che, con grande disponibilità, mi ha dedicato il Suo tempo e la Sua pazienza.
Ringrazio anche il Professor Bruno Osimo.
Non poteva però mancare un ringraziamento personale, non dovuto, ma voluto e sentito: GRAZIE a Voi, Mamma e Papà, perché, malgrado tutto, mi siete sempre stati accanto.

1. Prefazione

Questa tesi consiste nella traduzione e nell’analisi di un saggio biografico sul linguista russo Nikolaj Sergeevič Trubeckoj, sulle preziose esperienze e drammatiche vicissitudini legate alla sua vita, al suo pensiero e al suo vastissimo lavoro di studioso e ricercatore.
Questa biografia, scritta nel giugno 1939 a Charlottenlund, Danimarca, e pubblicata successivamente in quello stesso anno in Acta Linguistica, rivista specializzata nel settore linguistico, si deve a un autore d’eccezione, non solo in quanto illustrissima figura all’interno dell’universo semiotico, ma anche in quanto collega e amico molto stretto di Trubeckoj. I due erano entrambi di madrelingua russa, entrambi uniti da analoghe vicende di fuga ed esilio ed entrambi accomunati dalla stessa passione per i fatti linguistici, oggetto di innumerevoli e approfonditi studi da essi condotti. Entrambi, inoltre, sono da considerarsi tra i maggiori esponenti del Circolo linguistico di Praga che fu fondato nel 1926, sviluppando l’analisi testuale strutturalista e ispirandosi alla teoria della lingua quale sistema unitario e rigoroso di segni legati da relazioni di stretta interdipendenza.
1.1 Terminologia

L’articolo di Jakobson è stato pubblicato su una rivista scientifica ed è un testo altamente specialistico, caratterizzato da una terminologia puntuale e dai tecnicismi settoriali della linguistica. Il lettore modello tanto dell’originale tedesco quanto del metatesto italiano è uno specialista o uno studente di livello molto avanzato di glottologia, linguistica o filologia.
Nella traduzione mi sono attenuta quanto più possibile a un rigore terminologico, evitando il ricorso a “sinonimi” o simili forme perifrastiche, preferendo invece restituire le ripetizioni volute del prototesto dovute al suo carattere scientifico specializzato.
Pur avendo dotato il testo di note del traduttore per permettere al lettore di continuare la lettura anche in presenza di termini russi e tedeschi ostici, in questo apparato metatestuale riporto alcuni dei termini principali a mio parere più difficili – o impossibili – da tradurre, insieme con una spiegazione del loro significato tecnico e/o storico.
1.1.1 Schnaderhüpfel

Il termine in questione si riferisce ai componimenti regionali popolari appartenenti alla tradizione locale del Tirolo, della Baviera e della Stiria. Sono epigrammi costituiti da una strofa che vengono improvvisati e cantati seguendo una precisa melodia: due persone o dei gruppi di persone si alternano improvvisando delle strofe cantate. Generalmente si tratta di argomenti scherzosi e, a volte, canzonatòri.
Nella lingua italiana è impossibile trovare un traducente per «Schnaderhüpfel». All’interno del panorama poetico italiano, questo tipo di componimento potrebbe venire paragonato agli stornèlli o alle tenzoni, ma, seppur simili, anche questi generi popolari presentano delle caratteristiche tali da differenziarli dal soggetto in questione, proprio per la culturospecificità della parola, che si configura come appartenente alla categoria che in traduttologia è definita – con una parola latina che però curiosamente ci giunge attraverso il russo – «realia».
Come già accennato in precedenza, gli Schnaderhüpfel, inoltre, si riferiscono a un genere diffuso esclusivamente entro confini ben delimitati e l’utilizzo del termine è decisamente ristretto.
Proprio per questa peculiarità, se avessi cercato di adattare la parola utilizzata da Jakobson alla cultura ricevente, l’impossibilità di trovare un traducente nella lingua italiana mi avrebbe posto davanti alla problematica e inevitabile questione del forte residuo traduttivo. Di conseguenza, mi è sembrato consono mantenere il termine tedesco anche nella traduzione italiana, accompagnandolo però da alcune note, al fine di renderlo più familiare al mio lettore e di offrirne una comprensione più immediata.

1.1.2 Bylina

Ho esteso lo stesso discorso al termine russo bylina, e, nonostante quest’ultimo abbia un uso più diffuso e, probabilmente, una maggiore possibilità di comprensione, anche in questo caso mi è sembrato utile fornire un breve chiarimento terminologico e storico all’interno della traduzione stessa, evitando di renderlo con una parola che ne desse solo approssimativamente il senso omologico, privandola del suo essenziale contesto russo.
1.1.3 Systemzwang

La traduzione esatta italiana del sostantivo Systemzwang potrebbe essere «obbligo di sistema», o una traduzione esplicativa potrebbe essere «sistema vincolato», considerando la definizione che ne viene data all’interno del monolingue tedesco, «gebundenes System». Malgrado l’assenza di un preciso traducente nella cultura italiana di tale termine, una traduzione letterale in questo caso non risulterebbe efficace né di grande incisività.
A questo punto, il mio cómpito è stato quello di ricercare, all’interno della lingua italiana, un concetto che potesse corrispondere in modo quantomeno approssimativo a quello espresso dal composto tedesco utilizzato da Jakobson.
Ho individuato la soluzione al mio problema nell’espressione «sistema modulare», concetto che appartiene al campo dell’architettura e che fa riferimento, in modo particolare, all’architettura romanica. Il sistema modulare, difatti, consiste nel legame che si crea fra le dimensioni di un insieme, nel momento in cui queste vengono subordinate a un’unica misura comune, ovvero, il modulo, che, stabilendo delle relazioni precise tra i vari blocchi dell’edificio, apporterà un’armonia ritmica alla composizione stessa.
Ho ritrovato il termine Systemzwang, nella sua forma tedesca, anche all’interno di vari testi di linguistica.
Dopo queste osservazioni, «sistema modulare» è stato il traducente per il quale ho optato, poiché l’ho ritenuto il più adatto in quanto riconducibile sia a un àmbito architettonico, quindi al retaggio del nonno di Trubeckoj, sia a un àmbito linguistico, quindi alla peculiarità del pensiero strutturalista di Trubeckoj stesso.
1.1.4 Steingeburtssagen

La traduzione del termine Steingeburtssagen è stata uno dei nodi traduttivi più difficili da sciogliere e, solo dopo una lunga ricerca e un pizzico di fortuna, mi si sono presentate diverse interpretazioni, tutte plausibili e molto suggestive, che mi appresto a illustrare qui di séguito. Devo puntualizzare, però, che proprio per la varietà del materiale e per la mancanza di dati più precisi e dettagliati, la scelta meno fallibile mi è sembrata quella di mantenere una certa genericità semantica e utilizzare la forma «nascite ex petra», traduzione esatta del termine tedesco, anche per evitare la possibilità di incappare in un errore interpretativo dovuto al desiderio di estrema specificità e connotatività.
– La prima interpretazione della parola Steingeburtssagen mi è stata offerta da Jacob Grimm nella sua opera Mitologia tedesca. Secondo quanto egli scrive, le Steingeburtssagen sarebbero delle saghe antichissime in cui si narra che gli antenati del popolo tedesco avrebbero avuto origine da elementi naturali, piante e rocce, quindi, che gli esseri viventi nascerebbero da un regno semi-vivente e che, attraverso il legame tra questo regno e gli uomini, verrebbe rafforzata l’inviolabilità delle foreste e delle montagne primigenie.
Lo stesso Grimm continua nell’analisi del termine Steingeburt e riporta un’altra saga nella quale la pietra appare nuovamente come generatrice di vita, la saga di Deucalione. In séguito a un diluvio scatenato da Giove per distruggere la stirpe umana, degenerata nella corruzione, il giovane Deucalione, figlio di Prometeo, e sua moglie Pirra, grazie alla propria purezza d’animo, sono gli unici sopravvissuti alla punizione divina. Ai due viene data la possibilità di esprimere un ultimo desiderio: alla richiesta di ripopolare la terra, ai due venne ordinato di gettare dietro di sé «le ossa delle proprie madri» (in realtà, le pietre, ossa della Madre Terra). Fu così che dalla pietra lanciata da Deucalione nacquero gli uomini e dalla pietra di Pirra nacquero le donne.
– Un’altra interpretazione di Steingeburt è offerta dal Vangelo in Matteo 3, 9. [«E non pensate di dir dentro di voi: Abbiamo per padre Abramo; perché io vi dico che Iddio può da queste pietre far sorgere de’ figliuoli ad Abramo».]
– Ma l’ultima ipotesi è forse quella più suggestiva, tenuto conto dell’interesse di Trubeckoj per la letteratura avestica: il rapporto intercorrente fra la nascita ex petra e il mito del dio Mitra. Mitra, secondo una leggenda, sarebbe uscito da una pietra, armato di una daga in una mano e impugnando una fiaccola nell’altra. La sua incarnazione sarebbe volta alla sconfitta del male cosmico e morale e, grazie al suo eroico operato, avrebbero avuto origine il mondo vegetale e quello animale, uomini compresi.
Di origine persiana, presente nella cultura dei Veda e degli Avesti, il mistero del mito di
Mitra potrebbe essersi diffuso con facilità anche nei paesi caucasici, a causa dei molteplici
contatti tra le due culture.

1.1.5 ur-/Ur-
Il prefisso ur-/Ur-, a seconda che sia anteposto ad aggettivi o a sostantivi, presenta, all’interno della lingua italiana, vari traducenti semanticamente collegati. Nel primo caso, la particella ur- può svolgere una funzione rafforzativa e assumere il significato di «molto, completamente». Qualora il prefisso Ur- si trovasse davanti a un sostantivo, il traducente italiano verrebbe ad assumere una connotazione temporale che denota lo stato iniziale e primigenio del sostantivo a cui fa riferimento.
In italiano, la parola tedesca in questione può essere tradotta con molteplici aggettivi: originario, primigenio, atavico, etc. Il traducente generalmente più utilizzato, forse sia per corrispondenza semantica che sintattica, è comunque il prefisso italiano «proto-», che denota anteriorità temporale, una fase iniziale e l’appartenenza a uno stadio remoto e unitario.
Con una frequenza crescente, l’utilizzo della particella ur- si sta diffondendo anche all’interno del vocabolario italiano e, di conseguenza, ho pensato che, anche nella traduzione del termine da me affrontata, avrei potuto lasciare il prefisso tedesco scelto da Jakobson; seguendo queste osservazioni e consapevole di chi sia il mio lettore modello, nella mia versione si ritrovano così, alternativamente, sia la traduzione italiana del termine, che il termine tedesco originario.
1.1.6 Und-Verbindung
Anche a una persona con conoscenze elementari della lingua tedesca, appare immediatamente comprensibile, nella sua semplicità, il significato della parola Und-Verbindung. Se, da una parte, la chiarezza sembra facilitarne la traduzione, dall’altra, apre le porte a molteplici possibilità. Infatti, a causa dell’impossibilità di trovare questa espressione all’interno di dizionari monolingui, tanto meno di quelli bilingui, ho dovuto spostare il campo di ricerca a un àmbito più ristretto, sperando di individuare la parola tedesca in analisi all’interno di testi ad argomento linguistico. I risultati hanno dimostrato che Und-Verbindung non è un termine appartenente alla linguistica, ma che, probabilmente, è stato coniato da Trubeckoj e riutilizzato da Jakobson per indicare un concetto legato alla fonologia, la quale, come scrive l’autore, sarebbe «[…] un’unità, una Gestalt ordinata e improntata a delle regole […]» e non un insieme di elementi meccanicamente legati tra loro. Così, non avendo trovato un traducente italiano e prendendo spunto dalla descrizione offerta da Jakobson, ho preferito lasciare l’espressione tedesca anche nel testo italiano, includendo, come nota del traduttore, una traduzione che ne dia il senso omologico e che, eventualmente, possa dissipare qualsiasi dubbio al lettore.

1.2 Riferimenti bibliografici

ARCHITETTURA, 1996, Enciclopedia Italiana dell’Architettura, Milano, Garzanti, ISBN 88-11-50465.
BIBBIA, 1974, La sacra Bibbia, Roma, Unione Editori Cattolici Italiani, Conferenza Episcopale Italiana.
BROCKHAUS, 1934, Der große Brockhaus, Leipzig, F. A. Brockhaus.
FILOSOFIA, 1981, Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Milano, Garzanti.
GRIMM JACOB, 1854, Deutsche Mythologie, Berlin.
OSIMO Bruno, 2001, Propedeutica della traduzione. Corso introduttivo con tavole sinottiche, Milano, Hoepli, ISBN 88-203-2935-2.
OSIMO Bruno, 2002, «Traduzione della cultura», in Piretto, Gian Piero, Parole, immagini, suoni di Russia. Saggi di metodologia della cultura, Milano, Unicopli, 2002, ISBN 88-400-0810-1.
PEIRCE Charles Sanders, 1931-1935, 1958, The Collected Papers of Charles Sanders Peirce, vol. 1-6, a cura di Charles Hartshorne and Paul Weiss, vol. 7-8 a cura di Arthur W. Burks, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press.
POPOVIČ Anton, 1975, La scienza della traduzione. Aspetti metodologici. La comunicazione traduttiva, a cura di Bruno Osimo, Milano, Hoepli, 2006, ISBN 88-203-3511-5.
RELIGIONI, 1993, Dizionario delle religioni, Torino, Einaudi, ISBN 88-06-13266-0.
SCIENZE, 1950, Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana Giovanni Treccani.
TOURY Gideon, 1995, Descriptive Translation Studies and Beyond, Amsterdam, Benjamins, ISBN 90-272-1606-1.

2. Traduzione con testo a fronte

NIKOLAJ SERGEEVIC TRUBETZKOY
(16. April 1890 – 25. Juni 1938)

Beim ersten internationalen Linguistenkongress sagte Meillet auf Trubetzkoy hinweisend: “Er ist der stärkste Kopf der modernen Linguistik”. – “Ein starker Kopf”, bestätigte jemand. – “Der stärkste”, widerholte nachdrücklich der scharfsichtige Sprachforscher.
In der Geschichte des hohen russischen Adels haben recht wenige Geschlechter so merkliche und dauernde Spuren im öffentlichen und geistigen Leben des Landes hinterlassen. Der Vater des Verstorbenen, Fürst Sergej Trubetzkoy (1862-1905), Professor und Rektor der Moskauer Universität, war ein hervorragender, tiefdenkender Philosoph. Der Gedanke des Logos in seinem historischen Werden und Wandeln ist sein Grundthema. Einem aufmerksamen Beobachter wird der intime Zusammenhang zwischen dieser Lehre und der Frage des Sohnes nach dem inneren Sinne der Sprachumgliederung kaum entgehen. Der Bruder des Philosophen und ebenfalls Philosoph, Evgenij Trubetzkoy, schildert kunstvoll in seinen Erinnerungen (Iz prošlogo, Wien, s. a.) das Gemeinsame und das Unterscheidende an drei Generationen seines Geschlechtes: “von einem Gedanken und einem Gefühl restlos erfasst, legt man in diesen Gedanken eine Temperaments- und Willenskraft hinein, die keine Hindernisse kennt und deshalb unbedingt das Ziel erreicht”.
Aber der Inhalt des dominierenden Gedankens wechselt mit jeder Generation. Der Urgross¬vater von Nikolaj Trubetzkoy war von selbstgenügsamen architektonischen Linien beherrscht, sein Alltag wurde ihrem strengen Stil unterworfen, “und deswegen gab es im Leben keinen grösseren Systematiker”. Im Sein des Grossvaters “verinnerlichte sich die Baukunst und verwandelte sich in eine anderartige, magische Architektur, die der Klänge” – es kam die Tonkunst. In der nächsten Generation “trat als Tochter der Musik die Philosophie auf”. Und schliesslich, fügen wir hinzu,

NIKOLAJ SERGEEVIČ TRUBECKOJ
(16 Aprile 1890 – 25 Giugno 1938)

In occasione del primo Congresso internazionale dei linguisti, Meillet si espresse nei confronti di Trubeckoj con le seguenti parole: «È la testa più brillante e tenace della linguistica moderna». «Una testa brillante e tenace», assentì qualcun altro. «La più brillante e tenace», ripeté con enfasi l’acuto linguista.
In tutta la storia dell’aristocrazia russa solo pochissime casate hanno realmente influenzato in modo così significativo e duraturo la vita pubblica e intellettuale del paese. Il padre dello scomparso, il principe Sergej Trubeckoj (1862-1905), professore e rettore all’Università di Mosca, fu un filosofo straordinario dalla grande profondità di pensiero. Il tema principale da lui affrontato è l’idea di logos, nel suo divenire e nelle sue trasformazioni storiche. Un osservatore attento non mancherà di notare l’intimo rapporto che lega la teoria del padre all’interrogativo formulato dal figlio sul significato profondo del ristrutturarsi del linguaggio. Nelle sue memorie, il fratello del filosofo, Evgenij Trubeckoj, a sua volta filosofo, tratteggia con grande maestria (Iz prošlogo, Vienna, sine anno) ciò che accomunava e divideva tre generazioni della sua stirpe: «afferràti da un unico, esclusivo pensiero e sentire, viene profusa in questi pensieri una passionalità e una volontà tali da abbattere ogni ostacolo e raggiungere, di conseguenza, senza fallo la meta».
Ma il contenuto del pensiero dominante cambia di generazione in generazione. Il bisnonno di Nikolaj Trubeckoj era profondamente attratto dalle linee architettoniche autosufficienti; tutta la sua quotidianità iniziò a ruotare intorno al loro stile severo «e, proprio per questo motivo, non esistette un sistematico più grande». Nell’esistenza del nonno, invece, «l’architettura si interiorizzò e si trasformò in un’architettura di altro tipo, un’architettura magica, l’architettura degli accordi» e divenne così arte musicale. Nella generazione successiva, «emerse come figlia della musica, la filosofia». In fine, soggiungiamo noi, nel mondo creativo di Trubeckoj, l’idea ultraterrena di logos

wird in der schöpferischen Welt Nikolaj Trubetzkoy’s die überirdische Idee des Logos durch die verkörperte, empirische Wortsprache ersetzt. Und wenn auch der Sprachgelehrte sich von jedem allzuabstrakten Philosophieren entschieden lossagte, findet man kaum in der gegenwärtige Linguistik eine andere Lehre, die dermassen von wahrem philosophischen Geist durchdrungen ist und so ergiebig die Philosophie fördert. Mit dem aufrührerischen Neuerungsgeist vereinigt Trubetzkoy eine urwüchsige Kraft der Tradition; ja es lebt in seinem Lebenswerke nicht nur die Logosproblematik seines Vaters, sondern auch der ererbte Musikgeist, der ihn zur Kunstsprache, zum Vers und zwar ausschliesslich zum Singvers lockt und seine feinen Beobachtungen über die Wechselbeziehungen zwischen dem sprachlichen und musikalischen Rhythmus lenkt. Die russischen Bylinen und Schnaderhüpfel, das mordwinische und polabische Volkslied, Puškins Nachklänge der serbischen Epen und die altkirchenslavische Hymne enthüllen ihm ihre Schallgesetze. Aber auch die architektonische Einstellung des Urahns lebt in N. S. Trubetzkoy fort. Sie kommt in Form und Inhalt zum Vorschein: einer¬seits in seinem klassisch klaren Still und besonders in der durchsichtigen, harmonischen Komposition, andererseits in seiner seltenen Klassifizier¬ungskunst, die einen genialen und leidenschaftlichen Systematiker offenbart. Man könnte nicht diesen “Systemzwang” als Grundsatz seines Schaffens genauer beschreiben, als es Trubetzkoy selbst gemacht hat. In seinem Buch K probleme russkogo samopoznanija (1927) mahnt er jeden Volksgenossen zur persönlichen und nationalen Selbsterkenntnis und insbesondere zum Anerkennen und Begreifen des turanischen Einschlags, den der Verfasser als einen massgebenden Bestandteil der russischen Geschichte und Psychologie hervorhebt (vgl. bes. seine unter den Initialen I. R. herausgegebene Broschüre Nasledie Čingisxana, Berl. 1925), und er schildert diesen “turanischen Geist” mit einer geradezu introspektiven Überzeugungskraft, die Meillet so bewundert hat:
Der turanische Mensch unterwirft jeden Stoff einfachen und schematischen Gesetzen, die ihn zu einer Ganzheit zusammenschmelzen und dieser Ganz¬heit eine gewisse schematische Klarheit und Durchsichtigkeit verleihen. Er grübelt nicht gerne an überfeinen und verwickelten Einzelheiten und

venne sostituita dalla linguistica empirica incarnata. E se anche il linguista abbandonò recisamente i filosofismi troppo astratti, nella linguistica contemporanea si faticherebbe a individuare un’altra dottrina compenetrata in ugual misura da uno spirito filosofico autentico e capace, in modo tanto fecondo, di promuovere la filosofia. Allo spirito innovativo e sovvertitore, Trubeckoj unisce la forza naturale primigenia della tradizione; nella sua opera, opera di tutta una vita non si ritrova unicamente la problematica del logos affrontata dal padre, ma anche il retaggio dello spirito musicale che lo porta ad avvicinarsi al linguaggio letterario e ai versi – per essere più precisi esclusivamente al verso melodico – e che lo guida verso osservazioni acute sulle correlazioni tra il ritmo della lingua e quello musicale. Le byliny [componimenti dell’epos popolare russo; N.d.T.] e gli Schnaderhüpfel [epigrammi canori di carattere scherzoso; N.d.T.], i canti popolari in lingua mordvina e polaba, gli echi puškiniani delle epopee serbe e gli inni ecclesiastici paleoslavi gli rivelano le proprie leggi foniche. Ma in N. S. Trubeckoj sopravvive l’approccio architettonico dell’antenato, sia nella forma che nel contenuto: per un verso nel suo stile classico e nitido e, in particolar modo, nella composizione limpida e armonica, per l’altro nella sua arte classificatoria fuori del comune, che rivela in lui la natura di un geniale e passionale sistematico. Nessuna definizione di sistema modulare quale principio fondante della sua creatività risulterebbe più appropriata di quella fornita da Trubeckoj stesso. Nel suo libro K probleme russkogo samopoznaniâ [Il problema dell’autoconoscenza russa; N.d.T.] (1927) Trubeckoj esorta tutti i connazionali alla conoscenza di sé e della nazione e, in modo particolare, al riconoscimento e alla comprensione dell’influenza turanica, indicata dall’autore come elemento determinante per la storia e la psicologia russe (cfr. soprattutto la sua brochure Nasledie Čingishana [L’eredità di Gengis Khan.], pubblicata a Berlino nel 1925 con lo pseudonimo «I. R.») e, in quest’opera, descrive tale «spirito turanico» con una persuasività tanto amata da Meillet persino introspettiva:
L’uomo turanico riesce a padroneggiare ogni dato di conoscenza per mezzo di leggi semplici e schematiche, che, a mo’ di crogiolo, lo riportano a un’integrità/totalità e conferiscono a detta totalità una certa chiarezza e befasst sich lieber mit deutlich wahrnehmbaren Gebilden, die er in klare und schlichte Schemata gruppiert. […] Diese Schemata sind kein Ergebnis einer philosophischen Abstraktion. […] Sein Denken und seine ganze Wirklichkeitsauffassung finden spontan in den symmetrischen Schemata eines sozusagen unterbewussten philosophischen Systems Platz. […] Es wäre aber ein Fehler zu denken, der Schematismus dieser Mentalität lähme den breiten Schwung und Ungestüm der Phantasie. […] Seine Phantasie ist weder dürftig, noch feig, sie hat im Gegenteil einen kühnen Schwung, aber die Einbildungskraft ist nicht auf den minuziösen Ausbau und nicht auf das Auftürmen von Einzelheiten gerichtet, sondern sozusagen auf die Entwick¬lung in Breite und Länge; das derartig aufgerollte Bild wimmelt nicht von mannigfaltigen Farben und Ubergangstönen, sondern ist in Grundtönen, in breiten, bisweilen riesenhaft breiten Pinselstrichen gemalt. […] Er liebt die Symmetrie, die Klarheit und das stabile Gleichgewicht.
Trubetzkoy sah ein, dass dieser Geist der allumfassenden strengen Systematik für die ursprünglichsten Errungenschaften der russischen Wissenschaft und für sein eigenes Schaffen im besonderen höchst ken¬zeichnend ist. Er besass eine seltsame und leitende Fähigkeit, in allem Wahrgenommenen das Systemartige aufzudecken (so hat er, schon tod¬krank, wenige Wochen vor dem Ende, auf den ersten Blick die Phonemen¬reihen des Dunganischen und des Hottentottischen treffend erraten, welche für die angesehenen Fachkenner dieser Sprachen unnachgiebig blieben). Auch sein merkwürdiges Gedächtnis war stets auf das Systemar¬tige gerichtet, die Tatsachen lagerten sich als Schemata ab, die sich ihrerseits zu wohlgestalteten Klassen ordneten. Nichts war ihm dabei fremder und unannehmbarer als eine mechanische Katalogisierung. Das Gefühl eines inneren, organischen Zusammenhangs der einzuteilenden Elemente verliess ihn nie, und das System blieb nie, von der übrigen Gege¬benheit gewaltsam entrissen, in der Luft hängen. Im Gegenteil erschien ihm die gesamte Wirklichkeit als ein System der Systeme, eine grossartige hierarchische Einheit von vielfachen Übereinstimmungen, deren Bau seine Gedanken bis zu den letzten Lebenstagen fesselte. Er war für eine ganzheitliche Weltauffassung innerlich vorausbestimmt, und einzig im Rahmen der strukturalen Wissenschaft hat er sich selbst tatsächlich vollständig gefunden. Gleich empfindlich für sprachliche Fakta und für neue sprachwissenschaftliche Gedanken, fühlte er mit Scharfblick die für seinen folgerichtigen und eigenartigen Systemaufbau geeignet waren.

limpidezza schematiche. Non ama rimuginare su sottigliezze e dettagli intricati e, quando pensa, di preferenza si occupa di configurazioni mentali palesemente percettibili, che raggruppa secondo schemi chiari ed elementari. […] Questi schemi non sono il risultato di un processo di astrazione filosofica. […] Il suo pensiero e la sua concezione intera della realtà si collocano spontaneamente all’interno degli schemi simmetrici di un sistema filosofico, per così dire, subconscio. […] Ma sarebbe un errore pensare che lo schematismo di questa mentalità paralizzi gli slanci e l’irruenza della fantasia. […] La sua fantasia non è stenta né pavida, al contrario è animata da un empito ardito, sebbene tale forza immaginativa non sia rivolta a un’elaborazione minuziosa e all’accumulo verticale di particolari, ma, si potrebbe dire, allo sviluppo in ampiezza ed estensione; così il quadro dispiegato non brulica di miriadi di colori o di sfumature, ma presenta le tonalità fondamentali, con ampie pennellate che, a volte, diventano gigantesche. […] Ama la simmetria, la chiarezza, l’equilibrio e la stabilità.

Trubeckoj si rese conto che questo spirito di una severa sistematica di ampio respiro caratterizza in modo estremamente peculiare le conquiste iniziali della scienza russa e, in particolar modo, la sua stessa creatività. Egli possedeva una capacità unica e dominante che gli permetteva di scoprire l’elemento sistematico nella congerie di tutti i fenomeni percepiti (in questo modo, alcune settimane prima della sua morte, quando era già in fin di vita, al primo sguardo scoprì, cogliendo nel segno, la serie fonematica dell’idioma di Dungan e ottentotto, che rimane una pietra miliare per i più autorevoli specialisti di queste lingue). Anche la sua straordinaria memoria era sempre rivolta all’elemento sistematico e i fatti reali si disponevano come schemi che a loro volta si inserivano in classi ben ordinate. Non esisteva nulla a lui più estraneo e inaccettabile di una catalogazione meccanica. Non lo abbandonò mai il sentimento di un legame interno e organico tra gli elementi classificabili, e, per lui, il sistema non rimaneva mai campato in aria e strappato con violenza dal sostrato fattuale. Al contrario, la realtà nella sua totalità gli appariva come un sistema dei sistemi, una grandiosa unità gerarchica formata da molteplici corrispondenze la cui struttura avvinse i suoi pensieri fino all’ultimo giorno di vita. Aveva un’intima predisposizione per una concezione olistica del mondo e solamente all’interno della corrente strutturalista si sentì completamente a suo agio. Con la stessa sensibilità per i fenomeni della lingua e per le concezioni linguistiche nuove, con

In einer unveröffentlichten und unbeendeten autobiographischen Skizze erzählt Trubetzkoy: „Meine wissenschaftlichen Interessen erwachten sehr früh, noch im Alter von 13 Jahren, wobei ich ursprünglich hauptsächlich Volks- bzw. Völkerkunde studierte. Ausser der russischen Volksdichtung interessierte ich mich besonders für die finnougrischen Völker Russlands. Seit dem Jahre 1904 besuchte ich regelmässig alle Sitzungen der Moskauer Ethnographischen Gesellschaft, mit derem Präsidenten Prof. V. F. Miller (dem bekannten Forscher auf dem Gebiete des russischen Volksepos und der ossetischen Sprache) ich in persönliche Beziehungen trat.“ Es war eine Blütezeit der russischen Volkskunde und Folkloristik, von der ruhmvollen historischen Schule Millers geleitet. Die ungemein lebens¬kräftige, archaische und vielsprachige Volksüberlieferung Russlands, ihre altertümlichen ethnischen Kreuzungen, ihre bunten und eigenartigen Formen, ihr ständiger Einfluss auf das Schrifttum und ihr reicher histo¬rischer und mythologischer Gehalt boten den Forschern eine uner¬schöpfleche Quelle. Dieser Problematik widmete sich begeistert der heran¬wachsende Trubetzkoy; der Mittelschulbesuch blieb ihm erspart, er studierte zu Hause, gewann dadurch viel freie Zeit für seine wissenschaft¬lichen Erstlingsversuche und war mit fünfzehn Jahren ein reifer Forscher. Er veröffentlichte im Organ der erwähnten Gesellschaft “Ètnografičeskoe Obozrenie” ab Jahr 1905 eine Reihe bemerkenswerter Studien über die Spuren eines gemein-ugrofininschen Totenkultritus im westfinnischen Volksliede, über eine nordwestsibirische heidnische Göttin in den alten Reiseberichten und im Volksglauben der heutigen Vogulen, Ostjaken und Votjaken, über die nordkaukasischen Steingeburtssagen usw. Auch das Sprachstudium ist für Trubetzkoy nur ein Hilfsmittel der historischen Ethnologie und besonders der Religionsgeschichte. Diese Fragen haben ihn übrigens auch später stets angelockt, wie es beispiels¬weise seine Bemerkungen über die Spuren des Heidentums im polabischen Wortschatz (ZfsIPh I, 153 ff.) oder über die Iranismen der nordkauka¬sischen Sprachen (MSL XXII, 247 ff.) verraten, und noch im letzten Lebensjahr plante er, anlässlich des neusten, seiner Überzeugung nach ganz widersinnigen Versuches, die Echtheit des Igorliedes zu bestreiten, eine Studie über die heidnischen Namen
perspicacia avvertì quelle che erano adatte alla logicità e all’originalità della sua struttura sistematica.
In un abbozzo autobiografico incompiuto e inedito, Trubeckoj afferma:
I miei interessi scientifici si sono manifestati molto presto, già all’età di tredici anni, quando io, in origine, mi dedicavo principalmente allo studio del folclore e dell’etnologia. Al di là della poesia popolare russa, nutrivo un interesse particolare per i popoli ugrofinnici della Russia. Dal 1904 presi regolarmente parte a tutti gli incontri della Società etnografica di Mosca, entrando in rapporto stretto con il Presidente, il professor V. F. Miller (famoso ricercatore nel campo dell’epica russa e della lingua osseta).
Era un’epoca fiorente per l’etnologia e il folclore russi, campi di studio in cui la gloriosa e storica scuola di Miller aveva avuto una funzione di guida. Le tradizioni popolari incredibilmente vitali, arcaiche e multilinguistiche della Russia, le sue antiche ibridazioni etniche, la sua policromia e le sue forme peculiari, la sua influenza costante sulla letteratura e la sua ricchezza storica e mitologica rappresentarono una fonte inesauribile per i ricercatori. Il Trubeckoj adolescente si dedicò a questa tematica con crescente entusiasmo; fu dispensato dal frequentare la scuola secondaria, studiò a casa, riuscendo così a conquistare molto tempo libero da profondere nei suoi primi esperimenti scientifici. All’età di quindici anni era un ricercatore formato. A partire dal 1905, sulla rivista della scuola sopra citata, che recava il titolo Ètnografičeskoe obozrenie [Rassegna etnografica; N.d.T], Trubeckoj iniziò a pubblicare una serie di studi cospicui sulle tracce di un rito funerario delle comunità ugrofinniche testimoniato nei canti popolari dei finni occidentali, su una dea pagana della Siberia nord-occidentale descritta negli antichi resoconti di viaggio e nelle credenze popolari degli odierni Voguli, degli Ostâki e dei Vostâki, sulle saghe delle nascite ex petra di origine nord-caucasica e così via. All’inizio, anche lo studio della lingua fu solo un espediente per lo studio dell’etnologia storica e, soprattutto, per la storia della religione. Queste problematiche, tra l’altro, continuarono ad attrarlo anche in seguito come rivelano, per esempio, le sue osservazioni sulle tracce del paganesimo nel lessico polabo (Zeitschrift für slavische Phylologie I, 153 sgg.) o sugli iranismi delle lingue nord-caucasiche (Mémoires de la Société de linguistique, XXII, 247 sgg.); ancora, negli ultimi anni della
dieses wertvollen Denkmals (den Gottesnamen Dažьbogъ legte er als ein archaisches Compositum mit der Bedeutung “gib Reichtum” aus und gleichfalls die parallele Bildung St[ь]ribogъ).
Zum Studium der kaukasischen Sprachen wurde der junge Trubetzkoy von Miller angeregt und unter dem Einfluss des Ethnographen und Archäologen S. K. Kuznecov begann er sich mit den finnisch-ugrischen und paläosibirischen Sprachen zu befassen und gewann dabei allmählich ein unmittelbares Interesse für die vergleichende und allgemeine Sprach¬wissenschaft. Er stellte auf Grund der alten Reiseberichte ein Wortver¬zeichnis nebst einem kurzen grammatischen Abriss der gegenwärtig aussterbenden kamtschadalischen Sprache auf und entdeckte kurz vor seiner Matura “eine Reihe von auffallenden Entsprechungen zwischen dem Kamtschadalischen, Tschuktschisch-Korjakischen einerseits und dem Samojedischen andererseits, nämlich auf dem Gebiete des Wortschatzes”. Seine Arbeit brachte ihn in einen lebhaften wissenschaftlichen Brief¬wechsel mit den drei Pionieren der ostsibirischen Volks- und Sprach¬kunde, Joxel’son, Šternberg und besonders Bogoraz; als der letzte aber aus Petersburg nach Moskau kam und seinen gelehrten Korrespondenten persönlich kennen lernte, war er direkt beleidigt zu erfahren, es handle sich um einen Schulknaben!
Trubetzkoy trat 1908 an die historisch-philologische Fakultät der Moskauer Universität ein. Ursprünglich hatte er die Völkerkunde im Auge, da sie aber im Lehrprogramm dieser Fakultät fehlte, wählte er, um “haup¬sächlich Völkerpsychologie, Geschichtsphilosophie und die methodolo¬gischen Probleme zu studieren”, die philosophisch-psychologische Ab¬teilung; als er aber sah, dass er sich hier nicht einlebe, und dass ihn der linguistische Interessenkreis immer fester halte, ging er im dritten Semes¬ter, zur aufrichtigen Betrübnis seiner bisherigen Lehrer und Kollegen, die in ihm die grosse Hoffnung der russischen Philosophie begrüssten, in die sprachwissenschaftliche Abteilung über. Doch blieb ihm für das ganze Leben eine gediegene philosophische Schulung und ein hegelianischer Einschlag, den besonders die suggestive Wirkung seines geistvollen Kollegen

sua vita, egli organizzò, in occasione del più recente e, a detta sua, totalmente assurdo tentativo di contestare l’autenticità del Canto della schiera di Igor [è in questo contesto che, per la prima volta, si incontra il termine byliny, nonostante questo sia stato poi introdotto nel 1840 nella terminologia scientifica per designare il canto epico orale sorto nell’antica Russia in ambienti popolari nel secolo IX; N.d.T.], una ricerca sui nomi pagani di questo prezioso monumento letterario (Trubeckoj interpretò il nome del dio Dažъbogъ come un nome arcaico composto, avente il significato di «donatore di ricchezza» e, allo stesso tempo, la formazione parallela St[ъ]ribogъ).
Fu Miller a incoraggiare il giovane Trubeckoj allo studio delle lingue caucasiche e, sotto l’influsso dell’etnografo e archeologo S. K. Kuznecov, Trubeckoj iniziò ad occuparsi degli idiomi ugrofinnici e paleosiberiani e, in questo modo, a nutrire a poco a poco un interesse diretto per la linguistica generale e comparata. Sulla base di vecchi resoconti di viaggio, stilò un glossario insieme a un breve compendio grammaticale della lingua oggigiorno in estinzione della Kamčatka e, poco prima di finire il liceo, scoprì «una serie di corrispondenze vistose tra il gruppo delle lingue čukotko-kamčatke da una parte e quello delle lingue samoiede dall’altra, per l’appunto nel campo del lessico». Il suo lavoro lo portò a instaurare una vivace corrispondenza scientifica con tre pionieri del folclore e della linguistica della Siberia orientale, Iohel´son, Šternberg e, soprattutto, Bogoraz; ma non appena quest’ultimo si recò da Pietroburgo a Mosca e conobbe il suo erudito corrispondente di persona, rimase particolarmente offeso di scoprire che si trattava di un ragazzetto che non aveva ancora terminato gli studi!
Nel 1908 Trubeckoj iniziò a frequentare la facoltà di storia e filologia dell’Università di Mosca. All’inizio pensava di studiare folclore, ma, dato che non compariva tra gli insegnamenti previsti, scelse il dipartimento di filosofia-psicologia per poter «studiare principalmente la demopsicologia, la filosofia della storia e i problemi metodologici». Ma non appena vide che lì non riusciva ad adattarsi e che la sfera linguistica continuava ad avvincerlo sempre più, durante il terzo semestre si trasferì al dipartimento di linguistica con sincero dispiacere da parte di coloro che, fino
und Freundes, des frühverstorbenen Samarin, befestigt hat. Auch die Grundfragen der Völkerpsychologie, Soziologie und Historio¬sophie haben nie aufgehört, den Forscher zu beschäftigen. Die seit den Schuljahren geplante Trilogie über die Kulturproblematik, -wertung, -entwicklung und über ihre nationale Fundierung, mit besonderer Rücksicht auf die russischen Verhältnisse, wurde teilweise in der spannen¬den, auch ins Deutsche und Japanische übersetzten Monographie Europa und die Menschheit (Evropa i čelovečestvo, 1920) verwirklicht, teils in den Studien der erwähnten russischen Sammelschrift Zum Problem der russischen Selbsterkenntnis. Diesen Arbeiten folgte eine Reihe Aufsätze über Nationalitätenfrage, über Kirche und über Ideokratie, von denen nur ein Teil veröffentlich wurde, und das Meiste zugrundegegangen ist. Die Erwägungen Trubetzkoys, gegen jede naturalistische (sei es biolo¬gische oder geradlinig evolutionistische) Auffassung der Geisteswelt und gegen jeden überlegenen Egozentrismus scharf gerichtet, wurzeln zwar in der russischen ideologischen Tradition, brachten aber viel Persön¬liches und Bahnbrechendes und wurden besonders durch die reiche sprachwissenschaftliche Erfahrung des Verfassers und durch seine enge, beinahe zwanzigjährige Mitarbeit mit dem hervorragenden Geographen und Kulturhistoriker P. N. Savickij vertieft und zugespitzt. Die Lehre der beiden Denker über die Eigenart der russischen (eurasischen) geographi¬schen und historischen Welt gegenüber Europa und Asien wurde zur Grundlage der sogen. eurasischen ideologischen Strömung.
Trubetzkoy absolvierte Anfang 1913 das Programm der sprachwissen¬schaftlichen Abteilung. Die Fakultät billigte seine Arbeit über die Bezeich¬nungen des Futurums in den wichtigsten indogermanischen Sprachen, deren Nachklang (“Gedanken über den lateinischen a-Konjunktiv”) in der Festschrift Kretschmer zu finden ist, und nahm seine Angliederung an das Universitätslehrkorps zwecks Vorbereitung zur akademischen Lehr¬tätigkeit einstimmig an.

ad allora, erano stati i suoi insegnanti e colleghi, coloro che vedevano in lui una grande speranza per la filosofia russa. Nonostante ciò, gli rimase per tutta la vita una solida preparazione filosofica e un’impronta hegeliana, rafforzata soprattutto dall’influenza e dalle suggestioni esercitate dal suo arguto collega e amico Samarino, morto in giovane età. Ma anche le questioni fondamentali relative alla demopsicologia, sociologia e storiosofia non hanno mai smesso di interessare il ricercatore. La trilogia progettata sin dagli anni scolastici sulla problematica, sul valore e sullo sviluppo delle culture e sui loro fondamenti nazionali, con un particolare riguardo per le vicende russe, venne realizzata in parte nell’affascinante monografia L’Europa e l’umanità. La prima critica all’eurocentrismo (Evropa i čelovečestvo, 1920), saggio tradotto anche in tedesco e in giapponese, e in parte negli studi della raccolta russa già menzionata Zum Problem der russischen Selbsterkenntnis [Il problema dell’autocoscienza russa; N.d.T.]. Delle opere che fecero seguito a questi lavori, riguardanti il problema della nazionalità, la chiesa e l’ideocrazia, solo alcune vennero pubblicate e la maggior parte è andata distrutta. Le riflessioni di Trubeckoj, aspramente dirette contro ogni concezione naturalistica del mondo dello spirito (sia essa biologica o piattamente evoluzionistica) e contro ogni egocentrismo arrogante, affondavano sì le proprie radici nella tradizione ideologica russa, ma erano permeate di elementi fortemente personali e pionieristici e si approfondirono e affinarono sempre più soprattutto grazie alla ricca esperienza linguistica dell’autore e grazie alla stretta collaborazione, durata quasi vent’anni, con il brillante geografo e studioso della storia della civiltà, P. N. Savickij. Le dottrine di entrambi i pensatori sulla peculiarità del mondo storico e geografico russo (eurasiatico) rispetto all’Europa e all’Asia divennero le fondamenta della cosiddetta corrente ideologica «eurasiatica».
All’inizio del 1913, Trubeckoj si laureò alla facoltà di linguistica, che approvò il suo lavoro sui caratteri distintivi del tempo futuro all’interno delle più importanti lingue indoeuropee, la cui risonanza («pensieri sulla forma congiuntiva in -a latina») si può trovare nella Festschrift
“Der Umfang”, schreibt Trubetzkoy, “und die Richtung des Unterrichtes in der sprachwissenschaftlichen Abteilung befriedigte mich nicht: mein Hauptinteresse lag ausserhalb der indoger¬manischen Sprachen. Wenn ich mich aber doch für diese Abteilung entschloss, so tat ich es aus folgenden Gründen: Erstens war ich schon damals zur Überzeugung gekommen, dass die Sprachwissenschaft der ein¬zige Zweig der “Menschenkunde” sei, welcher eine wirkliche wissenschaft¬liche Methode besitzt, und dass alle anderen Zweige der Menschenkunde (Volkskunde, Religionsgeschichte, Kulturgeschichte usw.) nur dann aus der “alchemischen” Entwicklungsstufe in eine höhere übergehen können, wenn sie sich in Bezug auf die Methode nach dem Vorbilde der Sprach¬wissenschaft richten werden. Zweitens wusste ich, dass die Indogermanis¬tik der einzige wirklich gut durchgearbeitete Teil der Sprachwissenschaft ist und dass man eben an ihr die richtige sprachwissenschaftliche Methode lernen kann. Ich ergab mich also mit grossem Fleisse den durch das Programm der sprachwissenschaftlichen Abteilung vorgeschriebenen Studien, setzte aber dabei auch meine eigenen Studien auf dem Gebiete der kaukasischen Sprachwissenschaft und der Folkloristik fort. Im Jahre 1911 forderte mich Prof. V. Miller auf, einen Teil der Sommerferien auf seinem Gute an der kaukasischen Küste des Schwarzen Meeres zu ver¬bringen und in den benachbarten tcherkessischen Dörfern die tscherkes¬sische Sprache und Volksdichtung zu erforschen. Ich leistete dieser Aufforderung Folge und setzte auch im Sommer 1912 meine tscher¬kessischen Studien fort. Es gelang mir, ein ziemlich reichhaltiges Material zu sammeln, dessen Bearbeitung und Veröffentlichung ich bis nach der Absolvierung der Universität verschieben musste. Grossen Nutzen bekam ich bei meiner Arbeit vom persönlichen Verkehr mit Prof. Miller, dessen Ansichten über Sprachwissenschaft freilich etwas altmodisch waren, der aber als Folklorist und als tüchtiger Kenner der ossetischen Volkskunde mir viele wertvolle Ratschläge und Anweisungen gab.”
Die Fortunatovsche Schule, die damals beinahe alle linguistischen Lehrstühle der Moskauer Universität beherrschte, wurde von Meillet sehr richtig als die höchste Verfeinerung und philosophische Vertiefung des junggrammatischen Verfahrens bezeichnet.

Kretschmer e poi, all’unanimità, egli fu ammesso nel corpo dei docenti universitari per prepararsi all’attività didattica a livello accademico.
Trubeckoj scrisse:
L’ambito e l’orientamento delle lezioni al dipartimento linguistico non soddisfacevano le mie esigenze: il mio interesse principale non si limitava certo alle lingue indoeuropee. Ma quando decisi di iscrivermi a questo indirizzo, lo feci per i seguenti motivi: innanzitutto, già allora ero arrivato alla convinzione che la linguistica fosse l’unico settore dell’“antropologia” basato su un vero metodo scientifico, e che tutti gli altri rami di questa scienza (folclore, storia della religione, storia della civiltà ecc.) potessero fare un salto da uno stadio evolutivo “alchemico” a uno più elevato, solo nel momento in cui si fossero conformati alla metodologia sulla scorta della linguistica. Inoltre sapevo che l’indoeuropeistica era l’unico settore della linguistica realmente studiato a fondo e che proprio sulle orme di questa disciplina si poteva imparare il giusto metodo linguistico. Mi dedicai quindi con grande impegno alle materie di studio previste dal programma del dipartimento di linguistica, ma, contemporaneamente, proseguii i miei studi nel campo della linguistica caucasica e del folclore. Nel 1911, il professor V. Miller mi invitò a trascorrere una parte delle vacanze estive nella sua tenuta sulla costa caucasica del Mar Nero e a portare avanti delle ricerche sulla lingua e la poesia popolare circasse. Io accolsi il suo invito e proseguii i miei studi sul circasso anche nell’estate del 1912. Riuscii a raccogliere una quantità di materiale abbastanza ricco, di cui dovetti rimandare la revisione e la pubblicazione a dopo la laurea. Trassi grandi vantaggi dal mio rapporto personale con il professor Miller che, nonostante avesse delle opinioni abbastanza antiquate sulla linguistica, mi diede consigli e istruzioni preziose in veste di folclorista e di abile conoscitore della demologia osseta.

La scuola di Fortunatov, che allora aveva il controllo di quasi tutte le cattedre linguistiche dell’Università di Mosca, venne giustamente indicata da Meillet come il massimo raffinamento e approfondimento filosofico del metodo neogrammatico.

Die Gesetzmässigkeit jedes sprachlichen Geschehens, die Form als das massgebende Sprach¬spezifikum und die Notwendigkeit, jede einzelne Sprachebene als ein autonomes Teilganzes zu betrachten wurden hier folgerichtig bis zu Ende gedacht, wenn auch dabei die Begriffe der mechanischen Kausalität und der genetischen Psychologie ihre Geltung stets bewahrten, und die Auffassung der sprachlichen Empirie wie ehedem rein naturalistisch blieb. Die Universitätslehrer Trubetzkoys – der strenge Komparatist W. Porzeziński, der feinfühlende, künstlerisch veranlagte Slavist V. N. Ščepkin und der klassische Philologe M. M. Pokrovskij waren durchwegs unmittelbare Schüler Fortunatov’s die die Lehre und die hohe linguisti¬sche Technik des grossen Denkers und Forschers treu übermittelten, aber was für sie ein unabänderliches Dogma war, wurde für den freisinnigen Schüler zum Ausgangspunkt einer gründlichen, mitunter vernichtenden Kritik. Nichtsdestoweniger bleibt Trubetzkoy ein wahrhafter Forsetzer der Moskauer Schule, er behält im wesentlichen ihre Auswahl der For¬schungsprobleme und ihre Kunstgriffe, er sucht während der ersten Periode seiner sprachwissenschaftlichen Tätigkeit ihren Gesichtskreis zu erweitern und ihre Prinzipien genauer zu fassen und fortzubilden, – er steigert die Aktiva der Schule und sucht dann im letzten Lebensdezen¬nium sich von ihren obenangedeuteten Passiva Schritt für Schritt zu befreien.
Schon als Student versuchte Trubetzkoy die vergleichende Methode in der Fortunatovschen Prägung aus der Indogermanistik auf die nord¬kaukasischen Sprachen zu übertragen. Im Früjahr 1913 hielt er am Tifliser Kongress der russischen Ethnologen zwei Vorträge über mytholo¬gische Relikte im Nordkaukasus und einen über den Bau des ostkauka¬sischen Verbums, und er arbeitete eifrig an der vergleichenden Grammatik der nordkaukasischen Sprachen, die die Urverwantdschaft der beiden nordkaukasischen Zweigen – des ost- und westkaukasischen, ausführlich begründen sollte, während die Frage der vermeintlichen Verwandtschaft dieser Sprachfamilie mit den kartvelischen Sprachen ihm als vorläufig unlösbar erschien.

In questo contesto, la regolarità di tutti gli avvenimenti linguistici, la forma quale specifico linguistico fondamentale e la necessità di considerare ogni singolo piano della lingua come un tutto parziale autonomo, vennero portate alle loro ultime conseguenze, nonostante rimanesse in piedi il valore dei concetti di causalità meccanica e di psicologia genetica, e, come in passato, la concezione di empirismo linguistico conservasse la sua matrice puramente naturalistica. I docenti universitari di Trubeckoj – il severo comparatista W. Porzeziński, lo slavista V. N. Ŝepkin, dotato di un temperamento sensibile e artistico, e il filologo classico M. M. Pokrovskij – furono senza eccezione quegli allievi diretti di Fortunatov che, fedelmente, trasmisero gli insegnamenti e le più sofisticate tecniche linguistiche dell’autorevole pensatore e ricercatore, ma ciò che per loro fu un dogma inamovibile, per lo studente libero pensatore divenne un punto di partenza per una critica radicale e, a volte, demolitoria. Nonostante ciò, Trubeckoj rimase un autentico continuatore della scuola di Mosca, ne mantenne sostanzialmente le varie tematiche di studio e gli accorgimenti utilizzati, durante il primo periodo della sua attività linguistica cercò di allargarne l’orizzonte e di definire e approfondire i suoi princìpi in modo ancora più preciso; accrebbe i lati positivi della scuola e in séguito, nel suo ultimo decennio di vita, cercò a poco a poco di liberarsi dei limiti sopra accennati.
Già da studente, Trubeckoj tentò di applicare alle lingue nord-caucasiche il metodo comparativo utilizzato per l’indoeuropeistica che caratterizzava la scuola di Fortunatov. Nella primavera del 1913, durante il congresso di Tbilisi degli etnologi russi, tenne due conferenze sulle vestigia mitologiche nel Caucaso del nord e una sulla formazione del verbo nel Caucaso dell’est. Lavorò inoltre con assiduità alla grammatica comparativa delle lingue nord-caucasiche, la quale avrebbe dovuto gettare le basi delle affinità originarie tra i due rami nord-caucasici, quello nord-orientale e quello nord-occidentale, mentre, per il momento, gli sembrava ancora insolubile la questione della parentela putativa tra questa famiglia linguistica e le lingue cartveliche.

Diese Arbeit und seine reichhaltigen sprachlichen und folkloristischen Aufzeichnungen aus dem Nordkaukasus, bes. aus dem Tscherkessenland, gingen leider in Moskau während des Bürgerkrieges, zusammen mit zahlreichen Studien aus der altindischen, ostfinnischen und russischen Verslehre, verloren, und nur einen kleinen Teil seiner kaukasologischen Erfahrung gelang es dem Sprachgelehrten wieder¬herzustellen. Trotzdem arbeitete er auch im Ausland auf diesem ver¬wickelten Gebiet unermüdlich weiter, veröffentlichte in den Fachzeit¬schriften eine Reihe bahnbrechender Studien, und seinem ursprünglichen Misstrauen zuwider musste er dabei unvermeidlich, unter dem Druck des eigenartigen Forschungsstoffes, auf die Frage der “typologischen Ver¬wandtschaft” und derjenigen der Nachbarsprachen im besonderen stossen. So kam er zum Problem der “Sprachbunde” (s. Evraijsk. Vremennik III, 1923, 107 ff. und die Akten des I., II. und III. Linguistenkongresses), dessen Tragweite ihm immer deutlicher wurde (vgl. Sbornik Matice slovenskej XV, 1937, 39 ff. und Proceedings des III. Kongresses für phonet. Wissenschaften, 499).
Von der fremden Sprachwissenschaft war es die deutsche, die in den Gesichtskreis der Moskauer Schule stets gehörte, und Trubetzkoy wurde gemäss der Tradition nach Leipzig geschickt, wo er im Wintersemester 1913-1914 die Vorlesungen von Brugmann, Leskien, Windisch und Lind¬ner besuchte, das Altindische und Avestische intensiv studierte und mit den rhythmisch-melodischen Studien Sievers’ sich kritisch auseinander¬setzte. Von Leskien behielt er den Eindruck einer gewaltigen Persönlich¬keit, der das Geleise der junggrammatischen Doktrin allzueng wurde; überhaupt kehrte der junge Gelehrte mit der Vorstellung einer gewissen hemmenden Müdigkeit der deutschen Linguistik zurück, stellte ihr entschlossen die Antriebskraft der neuen französischen Sprachwissen¬schaft gegenüber, bewunderte auch die Frische der Gedanken in den Princi¬pes de linguistique psychologique von J. van Ginneken, und diese neuen, abweichenden Strömungen befestigten seinen Kritizismus und spornten sein Suchen an.

Purtroppo, questo lavoro e la consistente quantità di appunti sulla lingua e il folclore della regione nord-caucasica, in particolar modo, della Circassia, andarono persi durante la guerra civile a Mosca, insieme a innumerevoli studi sulla metrica nell’indo dei Veda, nel finnico dell’est e nel russo, e il grande linguista riuscì a ricomporre solo una piccola parte della sua esperienza caucasologica. Tuttavia, anche all’estero, continuò a dedicarsi instancabilmente allo studio di questo complesso settore, pubblicò diverse ricerche pionieristiche su riviste specialistiche e, contrariamente alla sua iniziale diffidenza, spinto dalla natura stessa del materiale di studio, si trovò inevitabilmente a dover affrontare il problema della “parentela tipologica” e, soprattutto, quello delle lingue affini. Così arrivò a trattare il nodo dello “Sprachbund” [“lega linguistica”; N.d.T.], (si veda Evraz-sk. Vremennik III, 1923, 107 sgg. e gli atti di I, II e III Congresso di linguistica), la cui portata gli divenne sempre più chiara (cfr. Sbornik Matice slovenskej XV, 1937, 39 sgg. e Proceedings del III Congresso delle scienze fonetiche, 499).
Tra le linguistiche straniere, quella tedesca aveva sempre fatto parte dell’orizzonte della Scuola di Mosca e, secondo la tradizione, Trubeckoj venne mandato a Lipsia, dove, nel primo semestre dell’anno accademico 1913-1914, seguì le lezioni di Brugmann, Leskien, Windisch e Lindner, studiò in modo intensivo l’indo dei Veda e l’avestico, e si confrontò in modo critico con gli studi ritmico-melodici di Siever. Di Leskien egli riportò l’impressione di una personalità potente, che sentiva troppo limitative le linee-guida della dottrina neogrammatica. Il giovane studioso ritornò con l’idea di una linguistica tedesca caratterizzata da una certa qual faticosità paralizzante, cui, con fermezza, contrappose la forza propulsiva della nuova linguistica francese; ebbe inoltre la possibilità di apprezzare la freschezza dei pensieri espressi in Principes de linguistique psychologique di J. van Ginneken, e queste correnti nuove e divergenti consolidarono il suo criticismo e stimolarono la sua attività di ricerca.

Diese beiden Elemente waren für ihn naturgemäss verbunden, und er betonte ständig, der Kritizismus müsse konstruktiv sein, sonst entarte er unvermeidlich in eine selbstgenügende anarchische Zerstörungsarbeit, die der Forscher direkt hasste. Die beiden öffentlichen Probevorlesungen, mit denen die Habilitationsprüfungen Trubetzkoy’s 1915 abgeschlossen wurden – Die verschiedenen Richtungen der Veda¬forschung und Das Problem der Realität der Ursprache und die modernen Rekonstruktionsmethoden – wurden zu programmatischen Erklärungen eines schöpferischen Revisionismus, und die ersten konkreten Schritte auf diesem Wege liessen nicht auf sich warten.
Im akademischen Jahre 1915-1916 hielt Trubetzkoy als neu approbier¬ter Privatdozent für vergleichende Sprachwissenschaft an der Moskauer Universität Vorlesungen über Sanskrit und beabsichtigte im nächsten Jahr Avestisch und Altpersisch vorzutragen. Er befasste sich damals, wie er selbst erzählt, hauptsächlich mit iranischen Sprachen, weil diese von allen indogermanischen am meisten auf die kaukasischen Sprachen eingewirkt hatten, welche doch sein Hauptinteresse heranzogen; plötzlich aber traten für ihn die slavischen Sprachen in den Vordergrund. Den Anlass gab das neue Buch des führenden russischen Slavisten A. A. Šaxmatov Abriss der ältesten Periode in der Geschichte der russischen Sprache (1915). Der persönlichste Schüler Fortunatov’s mit einer breiten Tatsachenkenntnis und einer seltenen Intuition ausgerüstet, versuchte hier zum ersten Mal die Summe seiner eigenen Forschung und derjenigen der ganzen Schule zu ziehen und die Lautentwicklung des Urslavischen in seinem Umbau ins Russische als ein Ganzes systematisch aufzudecken. Aber gerade bei dieser synthetischen Fassung trat die ungenügend strenge, allzumechanische Rekonstruktionsweise Šaxmatov’s zu Tage.
A suo parere, questi due elementi erano collegati naturalmente, e, come non mancava mai di sottolineare, il criticismo doveva essere costruttivo, altrimenti sarebbe inevitabilmente degenerato in un’opera di distruzione anarchica e paga di sé stessa, che il ricercatore odiava profondamente. Entrambe le due prolusioni sperimentali e ufficiali, con cui, nel 1915, Trubeckoj terminò gli esami di abilitazione, Die verschiedenen Richtungen der Vedaforschung [I diversi orientamenti della ricerca sui Veda; N.d.T] e Das Problem der Realität der Ursprache und die modernen Rekonstruktionsmethoden [Il problema della realtà della protolingua e i moderni metodi di ricostruzione; N.d.T.], si trasformarono in dichiarazioni programmatiche di un revisionismo creativo e i primi passi concreti in questa direzione non si fecero attendere.
Durante l’anno accademico 1915-1916, presso l’università moscovita, Trubeckoj tenne delle lezioni sulla lingua sanscrita come libero docente appena abilitato nel campo della linguistica comparata e, per l’anno successivo, progettò di tenere delle conferenze sulla lingua avestica e persa antica. Come lui stesso racconta, all’epoca si occupava principalmente delle lingue iraniche, poiché, tra tutte quelle indoeuropee, avevano esercitato la maggiore influenza sulle lingue caucasiche, proprio quelle che attiravano il suo interesse precipuo; ma, sorprendentemente, furono le lingue slave ad accamparsi in primo piano. Lo spunto gli fu offerto dalla pubblicazione del libro Abriss der ältesten Periode in der Geschichte der russischen Sprache [Compendio del periodo più antico nella storia del russo; N.d.T.] (1915), il cui autore era l’eminente slavista russo A. A. Šahmatov. In quest’opera, lo studente più vicino a Fortunatov dotato di una profonda conoscenza dei fatti linguistici e di una rara intuizione, cercò per la prima volta di trarre le fila della sua stessa ricerca e di quella dell’intera scuola e di mettere in luce, come un tutto sistematico, lo sviluppo fonetico del protoslavo nel suo ristrutturarsi entro la lingua russa. Ma proprio durante questa stesura sintetizzante, il metodo di ricostruzione di Šahmatov si rivelò insufficientemente rigoroso e troppo meccanico.

Es brach eine Zeit der Gärung und der Umwertung im Nachwuchs der Moskauer Schule an, eine Zeit der Verfeinerung und Steigerung der methodologischen Forderungen, und man wetteiferte im Aufsuchen und in der Aufklärung der Fehlgriffe des Abrisses, ja ein ganzes Kolleg des jüngsten Schülers Fortunatov’s, N. N. Durnovo, wurde der Besprechung des neuen Buches gewidmet. Doch das wesentlich Neue am lebhaft bestrittenen und von der jüngeren Generation völlig anerkannten Vortrage über die Šaxmatovsche sprachgeschichtliche Konzeption, welchen Trubetzkoy im damaligen Zentrum des Moskauer linguistischen Lebens, in der Dialektologischen Kommission gehalten hat, lag in der durchdringenden Tragweite dieser kritischen Analyse: sie zeigte, dass manche grundsätzliche Fehler Šaxmatov’s schon im Verfahren Fortuna¬tov’s wurzeln, nämlich in seinen Entgleisungen von den eigenen Grund¬prinzipien. Trubetzkoy suchte diese Widersprüche zu beseitigen und die Grundsätze der Schule methodologisch genau und folgerichtig, ja genauer als ihr Urheber selbst, anzuwenden. “Ich fasste”, sagt Trubetzkoy, “den Plan, ein Buch unter dem Titel Vorgeschichte der siavischen Sprachen zu schreiben, worin ich mit Hilfe einer perfektionierten Rekonstruktions¬methode den Vorgang der Entwicklung der slavischen Einzelsprachen aus dem Urslavischen und des Urslavischen aus dem Indogermanischen zu schildern beabsichtigte.”
Als Trubetzkoy nach den stürmischen Erlebnissen der Revolutionszeit nach abenteuerlichem und lebensgefährlichem Wandern durch den Kaukasus des Bürgerkrieges zerlumpt und verhungert beim Rektor der Rostover Universität, trotz dem harten Widerstand der Diener gegenüber dem verdächtigen Vagabunden, erscheint und dort (1918) Professor der slavischen Sprachen wird, ergibt er sich vollständig seinem Buche, beendet im wesentlichen die Lautgeschichte und skizziert die Formenlehre, doch Ende 1919 muss er wieder jählings die Flucht ergreifen, und seine ganze Arbeit geht wiederum im Manuskript verloren.

Per le giovani leve della Scuola di Mosca ebbe inizio un periodo di fermento e sovvertimento dei valori, un periodo di crescita e raffinamento delle esigenze metodologiche e si assistette a una competizione nella ricerca e delucidazione dei passi falsi contenuti nell’Abriss: un intero seminario del più giovane studente di Fortunatov, N. N. Durnovo, fu dedicato infatti alla discussione del nuovo libro. Ma la novità sostanziale della relazione, soggetta a continue discussioni e, senza dubbio, apprezzata dalla generazione più giovane, relazione che verteva sulla concezione storico-linguistica di Šahmatov e che fu tenuta da Trubeckoj nel centro della vita linguistica moscovita di quel tempo, la Commissione dialettologica, risiedeva nella portata di questa analisi critica penetrante: mostrava che alcuni errori basilari di Šahmatov affondavano le proprie radici già nel metodo di Fortunatov, vale a dire nelle sue brusche deviazioni dai propri princìpi di fondo. Trubeckoj cercò di eliminare queste contraddizioni e di applicare le leggi fondamentali della scuola in modo metodologico preciso e consequenziale, con maggiore precisione di quanto non avesse fatto il suo stesso fondatore. Lo stesso Trubeckoj afferma:
Avevo in progetto la stesura di un libro dal titolo Vorgeschichte der slavischen Sprachen [Preistoria delle lingue slave; N.d.T.], in cui, grazie a un metodo di ricostruzione affinato, mi proponevo di illustrare le fasi di sviluppo delle singole lingue slave derivanti dal protoslavo e le fasi di sviluppo del protoslavo dall’indoeuropeo.
Dopo le esperienze turbolente del periodo rivoluzionario e dopo aver errato attraverso il Caucaso in cui era in atto una guerra civile, tra avventure e pericoli insidianti la sua stessa vita, un Trubeckoj affamato e vestito di stracci si presentò al rettore dell’Università di Rostóv, nonostante la forte resistenza del domestico nei confronti del vagabondo sospetto, e lì divenne professore in lingue slave (1918). In questo periodo si dedicò completamente al suo libro, portò a termine – nelle sue linee essenziali – la storia fonologica e approntò uno schizzo sulla morfologia, ma, alla fine del 1919, dovette improvvisamente riprendere la fuga e tutto il suo lavoro in forma di manoscritto andò perso ancora una volta.

Er steht in Konstantinopel vor der tragisch-grotesken Wahl, Schuhputzer zu werden oder weiter heldisch und von seiner heldischen Frau unterstützt, trotz allen Ränken des Schicksals wieder um die Wissenschaft zu kämpfen. Es gelingt ihm, sich in Sofia als Dozent für vergleichende Sprachwissenschaft niederzusetzen, und zwei Jahre später (1922) wird er, besonders dank dem klar¬sehenden Gutachten Jagić’s, Professor der slavischen Philologie an der Universität Wien.
Mit der Beharrlichkeit eines Glaubeneiferers sucht Trubetzkoy seine eingebüsste Vorgeschichte wiederherzustellen, ja er baut sie um und erwei¬tert sie. Folgende Grundgedanken lenken die Arbeit: es ist ebenso verfehlt die urslavischen Vorgänge auf eine Zeitebene zusammenzuwerfen, wie die Eroberungen Cäsars und Napoleons als synchronisch auffassen zu wollen; das Urslavische hat eine lange und verwickelte Geschichte, und mittels einer relativchronologischen Analyse ist die vergleichende Sprach¬wissenschaft imstande, sie aufzudecken und aufzuzeichnen; die gleich¬zeitigen sowie die nacheinanderfolgenden Ereignisse müssen in ihrem inneren Zusammenhange untersucht werden, und hinter den Einzelbäumen darf man nicht den Wald als Ganzes, die Leitlinien der Entwick¬lung übersehen. Fortunatov lehnt zwar im Grundsatz die naturalistische Stammbaumtheorie entschieden ab, doch bleiben trotzdem ihre Überreste in seiner sprachhistorischen Forschungsarbeit und eigentlich in der üb¬lichen komparatistischen Praxis überhaupt vorhanden, wogegen Trubetz¬koy die Schleichersche sprachgenealogische Auffassung zugunsten der Wellentheorie restlos und konsequent aufgibt; demzufolge betrachtet er die einzelnen slavischen Sprachen in ihrer Anfangsperiode als blosse Mundarten innerhalb des Urslavischen; die Anfänge seiner Differenzie¬rung erklärt er geistreich durch die “Unterschiede im Tempo und in der Richtung der Verbreitung gemeinurslavischer Lautveränderungen” und durch die daraus folgende verschiedenartige Reihenfolge dieser Verände¬rungen in den einzelnen Dialekten. Das Urslavische als “Subjekt der Evolution” lebt, wie Trubetzkoy überzeugend zeigte, bis zur Schwelle unseres Jahrtausends, als der letzte gemeinslavische Lautwandel, der Verlust der schwachen Halbvokale, sich zu verbreiten anfing.

A Costantinopoli si trovò davanti alla scelta tragico-grottesca di diventare un lustrascarpe o ancora, eroico e sostenuto da una moglie altrettanto eroica, di continuare a lottare per la scienza, nonostante tutti gli scherzi del destino. Gli riuscì di ottenere una cattedra a Sofia come docente di linguistica comparata e, due anni più tardi (nel 1922), divenne professore di filologia slava all’Università di Vienna, soprattutto grazie alla chiaroveggente expertise di Jagić.
Con la tenacia propria di uno zelante fanatico, Trubeckoj cercò di ricostruire la propria Vorgeschichte, andata persa, e anzi la ristrutturò e ampliò. A guidare il suo lavoro furono i seguenti concetti fondamentali: è altrettanto erroneo pensare a un accostamento sincronico ai diversi stadi di sviluppo del protoslavo, di quanto lo sarebbe l’interpretazione sincronica delle conquiste di Cesare e Napoleone; l’Ur-slavo ha una storia lunga e intricata e, all’interno di un’analisi cronologica relativizzante, la linguistica comparata è in grado di individuare e tracciare tale storia; gli avvenimenti contemporanei, così come quelli sequenziali, devono venire studiati nel loro contesto intrinseco e non si possono ignorare le linee-guida dello sviluppo, analogamente a come, dietro ai singoli alberi, non si può ignorare il bosco nella sua totalità. Tra i suoi princìpi, Fortunatov rifiuta sì con risolutezza la teoria naturalistica dell’albero filogenetico, ma, nel suo lavoro di ricerca storico-linguistica, ne rimangono comunque dei residui, in realtà molto presenti nel consueto metodo comparativo, al contrario di Trubeckoj che abbandona definitivamente e con fermezza l’interpretazione storico-genealogica di Schleicher a favore di un modello a onde; di conseguenza guarda ai singoli idiomi slavi nelle loro fasi iniziali come a semplici dialetti all’interno del protoslavo. Trubeckoj illustra con grande arguzia i princìpi della differenziazione dello slavo attraverso le «diversità, quanto a velocità e direttrici di propagazione, della diffusione dei mutamenti fonici del protoslavo comune« e attraverso la diversificata sequenza che tali mutamenti originano nei singoli dialetti. Come Trubeckoj dimostrò in modo convincente, l’Ur-slavo visse quale “soggetto dell’evoluzione”, fino alla soglia del nostro millennio, quando poi iniziò a diffondersi l’ultimo cambiamento fonico della matrice slava, la perdita delle semivocali deboli.
Es erschienen in den slavistischen Zeitschriften der zwanziger Jahre bloss einzelne, wenn auch ausgezeichnet zusammenfassende Bruchstücke des lautgeschichtlichen Teils der Vorgeschichte, und doch darf man sagen, es gebe kaum in der Weltliteratur eine junggrammatische Schilderung der Sprachdynamik, die dermassen ganzheitlich vorgehe. Selbst die offenbaren fremden Einflüsse, wie z. B. die Lehre Meillets von den ursprachlichen Dialekten oder die Gedanken Bremers und Hermanns über die relative Chronologie, sind hier so tief und organisch bis zu den feinsten logischen Folgerungen verarbeitet, dass das Werk eine selten persönliche Prägung behält. Weshalb wurde dieses Buch nie vollendet? Kaum war da ein Zufall, wenn auch mehrere zufällige Hindernisse im Wege standen.
Am Anfang der Arbeit war für Trubetzkoy (ähnlich wie für Fortunatov und Leskien) die indogermanische Erbschaft im Urslavischen das bemer¬kenswerteste, und Spuren der versunkenen morphologischen Kategorien hier zu suchen blieb stets seine grosse Vorliebe und Kunst (vgl. Slavia I, 12 ff. und ZfslPh IV, 62 ff.). Doch musste er in Wien die einzelnen slavi¬schen Sprachen und Literaturen vortragen, und seine Lehrpflichten nahm er, der geborene und vollkommene Lehrer, bis zu einer asketischen Opfer¬willigkeit ernst (vgl. den Nachruf seines besten linguistischen Schülers A. V. Isačenko in der Slav. Rundsch. X). Er stellte sich zur Aufgabe, jede dieser Sprachen in ihrer Entwicklungsgeschichte selbständig durch¬zuprüfen. So bekam in seinen Vorlesungen die Vorgeschichte der slavischen Sprachen ihre gesetzmässige Fortsetzung, die auch auf die prähistorischen Stufen mehrmals ein neues Licht warf und auch für diesen Fragenkreis Ergänzungen und Korrekturen forderte. Auch auf die Entwicklung der einzelnen slavischen Sprachen wendet Trubetzkoy das streng vergleichende Verfahren an; dem Fortunatovschen Gedanken treuer als Fortunatov selbst, betont er bei seiner bahnbrechenden Dar¬stellung der russischen Lautgeschichte (Zfs1Ph I, 287 ff.), die komparatis¬tische Methode spiele hier naturgemäss “eine grössere Rolle als die rein¬philologische”,

Nelle riviste slave degli anni Venti apparvero solo alcuni, per quanto eccellenti, frammenti riassuntivi della sezione storico-fonica della Vorgeschichte, e tuttavia si può dire che si stenterebbe a trovare nella letteratura mondiale una descrizione neogrammatica delle dinamiche linguistiche che proceda con una tale coesione unitaria. In questi scritti, gli influssi manifesti di altri linguisti – come, per esempio, la dottrina di Meillet sui protodialetti linguistici o le tesi di Bremer e Hermann sulla cronologia relativizzante – vengono elaborati in modo così profondo e organico fino alle loro ultime implicazioni logiche, che l’opera conserva un’impronta personalissima. Ma perché questo libro non è mai stato portato a compimento? Non è stato un caso, anche se molteplici impedimenti ne intralciarono la completa stesura.
All’inizio, per Trubeckoj (come anche per Fortunatov e Leskien) nell’Ur-slavo la cosa più rimarchevole era il retaggio indoeuropeo e la sua più grande passione e maestria continuò a essere la ricerca, all’interno di tale eredità, delle tracce di categorie morfologiche estinte (cfr. Slavia I, 12 sgg. e Zeitschrift für slavische Phylologie IV, 62 sgg.). Ma a Vienna le sue lezioni dovevano vertere sulle singole lingue e letterature slave e Trubeckoj assunse così seriamente il suo dovere di docente – un docente nato, un docente per eccellenza – da giungere all’abnegazione ascetica (cfr. il necrologio del suo migliore allievo, il linguista A. V. Isačenko, nella Slavische Rundschau X). Trubeckoj si pose come c¬ómpito quello di passare al setaccio ognuna di queste lingue, prese singolarmente nel contesto della loro storia evolutiva. Così, nelle sue lezioni, la protostoria delle lingue slave trovò una propria continuazione logica che, da un lato, gettava continuamente nuova luce sugli stadi più antichi e, dall’altro, esigeva completamenti e correzioni a questa problematica. Trubeckoj estese il severo metodo comparativo anche allo sviluppo delle singole lingue slave; più fedele al pensiero di Fortunatov dello stesso Fortunatov, con una esposizione fortemente innovativa della storia fonica russa (Zeitschrift für slavische Phylologie I, 287 sgg.), Trubeckoj sottolineò come, in modo naturale, il metodo comparativo giochi, all’interno di questo discorso, «un ruolo di maggiore rilievo rispetto a quello della filologia pura, e, di conseguenza, arrivò a comprendere
und folgerichtig erfasst er die den rechtgläubigen Kom¬paratisten sonderbarerweise entgangene Notwendigkeit, das Altkirchen¬slavische durch den Vergleich seiner čechischen und bulgarischen Rezen¬sion wiederherzustellen. Nur Weniges von diesen durchdachten Studien ist im Drucke erschienen, und erst wenn seine Aufzeichnungen zu den sprachhistorischen Vorlesungen herausgegeben werden, und wenn es uns hoffentlich gelingt, seine zahl- und inhaltreichen linguistischen Briefe (Trubetzkoy’s Lieblingsgattung!) zu veröffentlichen, wird die Tiefe, Breite und Originalität seiner Forschungsbeute noch anschaulicher her¬vortreten.
Einerseits erweiterte sich das Programm der Vorgeschichte, andererseits wurde seine Verwirklichung durch literarhistorische Vorlesungen und kulturwissenschaftliche Studien verzögert. Doch waren die einen wie die anderen auch für die Linguistik ergebnisreich. Die Probleme der dichte¬rischen Sprache, in der heimatlichen wissenschaftlichen Tradition mannigfaltig vertreten, von F. E. Korš (einem der ruhmvollen “Moskauer” neben seinen Mitgenossen Fortunatov und Miller) geistvoll gepflegt und von den russischen Wortkünstlern unseres Jahrhunderts praktisch und theoretisch zugespitzt, mündeten um die Revolutionsjahre in der Fassung der jungen Sprach- und Literaturforscher Russlands in ein harmonisches System der streng linguistisch (bzw. semiotisch) fundierten Poetik (bzw. Ästhetik). Trubetzkoy, den die Fragen der linguistischgeprüften Metrik von Jugend an lockten, näherte sich allmählich den Prinzipien dieser (in den slavischen Ländern heutzutage einflussreichen) “formalistischen Schule”, verstand ihre mechanistischen Entgleisungen zu überwinden, zeigte das Schaffen Dostoevskijs in einem ungewohnten doch für die Dichtung als solche massgebenden, rein linguistischen Aspekt und legte vor allem die Grundsteine zur Untersuchung der alt¬russischen Wortkunst, – eine Tat, die nicht nur eine unbekannte Welt eigenartiger und erhabener Kunstwerte wissenschaftlich entdeckt, sondern zugleich die methodologisch wichtige Frage der Werthierarchien im allgemeinen aufrollt.

la necessità, stranamente sfuggita ai comparativisti ortodossi, di ricostruire il paleoslavo ecclesiastico attraverso il confronto con le sue forme ceche e bulgare fino ad allora recensite. Di questi studi elaboratissimi, solo pochi furono pubblicati e solamente quando verranno divulgati i suoi appunti sulle lezioni storico-linguistiche e quando, auspicabilmente, ci riuscirà di far conoscere le sue numerose lettere di carattere linguistico tanto dense di contenuto (il genere preferito di Trubeckoj!), la profondità, l’ampiezza e l’originalità del suo prezioso materiale di studio appariranno ancora più perspicui.
Se da un lato il programma della Vorgeschichte acquistò maggiore corposità, dall’altro la sua realizzazione venne rallentata a causa delle lezioni storico-letterarie e degli studi scientifico-culturali. Ma anche per la linguistica, tutte queste occupazioni furono in eguale misura feconde. Intorno agli anni della rivoluzione, i problemi relativi al linguaggio poetico, rappresentati in svariati modi nella tradizione scientifica del proprio paese, coltivati in modo arguto da F. E. Korš (uno dei gloriosi “moscoviti” accanto ai suoi sodali Fortunatov e Miller) e portati all’estrema conseguenza, sia sotto l’aspetto pratico che teorico, dagli artisti russi della parola contemporanei, sfociarono – nelle formulazioni dei giovani ricercatori russi in campo linguistico e letterario – in un sistema armonioso di una poetica (ovvero di una estetica) dalle rigorose fondamenta linguistiche (ovvero semiotiche). Trubeckoj, che fin da giovane era attratto dagli interrogativi sulla metrica analizzata sulle basi di leggi linguistiche, si avvicinò in modo graduale ai princìpi di questa “scuola formalistica” (oggigiorno molto influente nei paesi slavi), ne seppe superare le deviazioni meccanicistiche, analizzò le opere di Dostoevskij da un punto di vista sicuramente inusuale, ossia prettamente linguistico e tuttavia determinante per la poetica stessa, e, soprattutto, gettò le fondamenta per un esame dell’antica arte russa della parola, un’impresa che non solo portò alla luce in modo scientifico un mondo sconosciuto dal valore artistico peculiare e sublime, ma che, al tempo stesso, delucidò la questione, basilare per la sfera metodologica, riguardante la scala dei valori in generale.

Die kulturwissenschaftlichen Skizzen Trubetzkoy’s brachten ihm die Problematik der Schriftsprache nah und bereicherten die Sprachwissenschaft durch seine schöne Studie über die Rolle des Kirchenslavischen für das Russische, eine der glänzendsten Leistungen des Gelehrten, die für das Problem des hybriden Sprachbaus von grund¬sätzlicher Bedeutung ist und in der Frage der Radiationszone des cyrilli¬schen Alphabets sich geradezu als prophetisch erwies (s. K probleme russkogo samopoznanija). Für die schöpferische Entwicklung Trubetzkoys waren die Gebiete der Wortkunst und der Sprachkultur besonders dadurch wichtig, dass sie ihn unmittelbar vor die Fragen des synchronischen Systems und der Zielstrebigkeit stellten.
Je mehr sich der Forscher mit der Lautgeschichte befasste, desto klarer sah er ein, dass “die Lautentwicklung wie jede andere historische Entwicklung ihre innere Logik besitzt, die zu erfassen die Aufgabe des Lauthistorikers ist”, doch letzten Endes trat das teleologische Prinzip in einen unversöhnlichen Konflikt mit der herkömmlich naturalistischen Behandlung der lautlichen Geschehnisse. Die Vorgeschichte wuchs in die Vereinung ihrer eigenen Grundlage um. Trubetzkoy war durch und durch historisch eingestellt, und solange das Problem des Phonems und der Phonemsysteme sich auf die Synchronie beschränkte, liess es ihn, wie ehemals auch Fortunatov und seine Schüler, kühl und passiv. Die Lehren Saussure’s, Baudouin de Courtenay’s und Ščerba’s lagen ausser¬halb seiner Problematik, da sie “sich einfach von der Sprachgeschichte abwandten”. Er billigte zwar (Slavia II, 1923, 452ff.; BSL XXVI, 3, 1925, 277ff.) meinen Versuch einer phonologischen Prosodie, gleich wie die Untersuchung N. F. Jakovlev’s über den kabardinischen Phonembestand, aber einzig die Frage der panchronischen prosodischen Gesetze lässt eine Spur in seiner eigenen Arbeit.
Gli schizzi storico-culturali intrapresi da Trubeckoj lo avvicinarono alla problematica della lingua scritta e arricchirono la linguistica grazie a un suo bellissimo studio sul ruolo dello slavo ecclesiastico all’interno della lingua russa, una delle opere più brillanti dello studioso, tale da rivestire un significato fondamentale per la trattazione del problema riguardante la struttura, basata sull’ibridazione, della lingua e da rivelarsi addirittura profetica quanto all’investigazione dell’ambito della zona di irradiamento dell’alfabeto cirillico (si veda la già citata K probleme russkogo samopoznaniâ). Particolarmente significativi per lo sviluppo della creatività di Trubeckoj furono i campi dell’arte della parola e della cultura linguistica, poiché lo posero immediatamente davanti ai problemi relativi al sistema sincronico e ai processi governati da finalismo.
Quanto più il ricercatore si occupava della storia fonematica, tanto più capiva che «lo sviluppo fonetico, analogamente a tutti gli altri sviluppi storici, possiede una propria logica intrinseca, la cui individuazione è cómpito dello studioso di fonologia», ma, in ultima analisi, il principio teleologico entrò in un conflitto irrisolvibile con la trattazione naturalistica tradizionale dei fenomeni fonematici. La Vorgeschichte crebbe intorno al fondersi dei suoi stessi princìpi fondamentali. Trubeckoj aveva un’impostazione radicalmente storica e, fintantoché il problema dei fonemi e del sistema fonemico si limitava alla sincronia, egli rimaneva freddo e indifferente, come già prima Fortunatov e i suoi allievi. Gli insegnamenti di Saussure, Baudouin de Courtenay e Ŝerba erano alieni alla sua problematica, poiché «semplicemente si allontanavano dalla storia della lingua». Egli si trovò però d’accordo (Slavia II, 1923, 452 sgg.; BSL XXVI, 3, 1925, 277 sgg.) con il mio tentativo di una prosodia fonologica, proprio come con la ricerca intrapresa da N. F. Âkovlev sul patrimonio fonetico cabardinico, ma solo il problema delle leggi prosodiche pancroniche lasciò un segno nel suo lavoro.

Erst als das phonologische Problem auf das Gebiet der Sprachgeschichte übergeht und ihn Ende 1926 ein aufgeregter langer Brief erreicht, der die Frage aufwarf, ob es nicht geeignet wäre, die naturwidrige Kluft zwischen der synchronischen Analyse des phonologischen System einerseits und der “historischen Phonetik” andererseits dadurch zu überbrücken, dass jeder Lautwandel als ein zweckbedingtes Ereignis unter dem Gesichtspunkt des gesamten Systems untersucht werden soll, bringt diese Frage den Empfänger, nach seinem eigenen Ausdruck, aus dem Konzept. Er gesteht bald zu, es gebe hier keinen Mittelweg. Und als Trubetzkoy meine Thesen für den Haager Linguistenkongress (Korrelationsbegriff, allgemeine Solidaritäts¬gesetze, historische Phonologie) zugesandt bekam, schrieb er, er füge gern auch seine Unterschrift hinzu, bezweifle aber, dass die Fragestellung verstanden wird. Indessen erwies es sich im Haag, dass in der jungen Linguistik verschiedener Länder ein unabhängiges und doch konvergentes Streben nach einer strukturalen Auffassung der sprachlichen Sychronie und Diachronie losbricht; das wirkte freudig ermunternd, und wenige Monate später schrieb Trubetzkoy, er habe in den Sommerferien unter anderm über Vokalsysteme nachgedacht, zirka vierzig aus dem Gedächt¬nis untersucht und manches Unerwartete habe sich dabei herausgestellt. Es war in nuce die Untersuchung “Zur allgemeinen Theorie der phonolo¬gischen Vokalsysteme” (TCLP I, 1929, 39 ff.). Man vermutete zwar schon, das phonologische System wäre keine mechanische “Und-Verbindung”, sondern eine geordnete gesetzmässige Gestalteinheit, aber erst er baute einen wesentlichen Abschnitt dieser Systemlehre konkret auf. Er zeigte, dass die Vielheit der Vokalsysteme auf eine beschränkte Anzahl sym¬metrischer, durch einfache Gesetze bestimmter Modelle hinausläuft, und stellte ihre Typologie fest. Karl Bühler sagt mit Recht, Trubetzkoy habe “für die Vokalphoneme einen Systemgedanken vorgelegt, der an Trag¬weite und einleuchtender Einfachheit dem Systemgedanken seines Landsmannes, des Chemikers Mendeleev, gewachsen sein dürfte”.
Im Geiste eines wirklichen kollektiven Schaffens, in dem Trubetzkoy eine russische Erbschaft sah, wurde dann an der neuen Disziplin gearbei¬tet. Er pflegte unsere Zusammenarbeit mit

Secondo quanto lui stesso affermò, Trubeckoj cadde in confusione solo quando il problema fonologico trapassò al campo della storia della lingua e quando, alla fine del 1926, ricevette una lunga lettera concitata, che sollevava il quesito se non fosse opportuno superare la spaccatura innaturale tra l’analisi sincronica del sistema fonologico da una parte, e la “fonetica storica” dall’altra, così che ogni mutamento fonetico venisse studiato come un evento finalistico dal punto di vista dell’intero sistema. Immediatamente, egli ammise che, in questo caso, non poteva esistere una via di mezzo. E quando Trubeckoj ricevette per posta le mie tesi formulate per il Congresso dei linguisti dell’Aia (concetti di correlazione, leggi generali di solidarietà, fonologia storica), mi rispose che avrebbe apposto con grande piacere anche la sua firma, ma che dubitava che la formulazione del quesito potesse essere capita. Per contro, all’Aia si dimostrò che, nella linguistica più recente dei diversi paesi, si stava facendo strada una tendenza indipendente, e tuttavia convergente, verso un’interpretazione strutturale della sincronia e diacronia linguistica; questo fatto ci rallegrò e incoraggiò e, dopo pochi mesi, Trubeckoj scrisse che, durante le vacanze estive, aveva riflettuto, tra le altre cose, sui sistemi vocalici, studiandone circa quaranta attingendo alla propria memoria e che, nel fare questo, qualcosa di inatteso era venuto alla luce. Era in nuce lo studio «Sulla teoria generale del sistema fonologico vocalico» (TCLP I, 1929, 39 sgg.). Si presupponeva già che il sistema fonologico non fosse una “Und-Verbindung” [un collegamento basato sulla mera giustapposizione; N.d.T.] meccanica, ma un’unità, una Gestalt ordinata e improntata a delle regole, però lui fu il primo a erigere in modo concreto un capitolo fondamentale di questa dottrina sistematica. Egli dimostrò che la molteplicità dei sistemi vocalici finiva col corrispondere a un numero limitato di modelli simmetrici determinati da leggi elementari e ne fissò la tipologia. Karl Bühler affermò a ragione che «Trubeckoj ha messo appunto un sistema concettuale per i fonemi vocalici, che, per portata e illuminante semplicità, può definirsi all’altezza del sistema concettuale del suo connazionale, il chimico Mendeleev».
Quindi, nello spirito di un processo creativo reale e collettivo, in cui Trubeckoj ravvisava un
einem Staffellauf zu vergleichen. Bald erhielt dieser Aufbau eine noch breitere Grundlage – die gemein¬samen Anstrengungen des Prager linguistischen Cercle. “Die verschiede¬nen Entwicklungsstufen des Cercle, – schreibt Trubetzkoy, – die ich mit ihm gemeinsam erlebte, tauchen in meinem Gedächtnis auf – erst die bescheidenen Versammlungen beim Vorsitzenden (V. Mathesius), dann die heroische Zeit der Vorbereitungen zum ersten Slavistenkongress, die unvergesslichen Tage der Prager phonologischen Konferenz und viele andere schöne Tage, die ich in der Gesellschaft meiner Prager Freunde erlebt habe. Alle diese Erinnerungen sind in meinem Bewusstsein mit einem seltsamen erregenden Gefühl verbunden, denn bei jeder Berührung mit dem Prager Cercle erlebte ich einen neuen Aufschwung der schöp¬ferischen Freude, die bei meiner einsamen Arbeit fern von Prag immer wieder sinkt. Diese Belebung und Anregung zum geistigen Schaffen ist eine Äusserung des Geistes, welcher unserer Vereinigung eigen ist und aus der kollektiven Arbeit der befreundeten Forscher entsteht, die in einer gemeinsamen methodologischen Richtung gehen und von gleichen theoretischen Gedanken bewegt sind.” Hier möchten wir aber vor allem den massgebenden persönlichen Beitrag Trubetzkoys in knappen Worten zum Gedächtnis bringen.
Glücklich verband er den Korrelationsbegriff mit der Lehre Saussure’s über die phonologische Gegenüberstellung eines Vorhandenseins und Nichtvorhandenseins und entwickelte mit Martinet den damit eng zusammenhängenden Begriff der Oppositionsaufhebung (TCLP VI); Jakovlevs treffenden Anregungen folgend, vollbrachte er eine scharfe Analyse aller konsonantischen Korrelationen (TCLP IV) und baute eine tragfähige Systematik der Grenzsignale auf (Proceedings II); er machte den ersten, tastenden Versuch einer Einteilung der phonologischen Oppositionen (Journ. de Psych. XXXIII); er besprach eingehend die Technik der phonologischen Sprachbeschreibungen (Anleitung zu phonologischen Beschreibungen, 1935) und gab einige mustergültige Bei¬spiele: das Konsonantenverzeichnis der ostkaukasischen Sprachen (Cau¬casica VIII), die Morphonologie des Russischen (TCLP V, 2) und die

retaggio russo, si cominciò a lavorare alla nuova disciplina. Era solito paragonare la nostra collaborazione a un gioco di staffetta. Presto questa costruzione poté contare su una base ancora più ampia: gli sforzi di tutto il Cercle linguistico di Praga. Scrive Trubeckoj:
I diversi stadi di sviluppo del Circolo, attraverso cui sono passato di persona insieme agli altri membri, riaffiorano alla mia memoria: prima le modeste riunioni in casa del presidente (V. Mathesius), poi il periodo eroico del lavoro di preparazione per il primo congresso degli slavisti, i giorni indimenticabili della conferenza sulla fonologia a Praga e ancora molti altri momenti che ho vissuto nella cerchia delle mie amicizie praghesi. Tutti questi ricordi sono legati, nella mia consapevolezza, da un sentimento particolare ed entusiasmante, poiché a ogni contatto con il Circolo di Praga sono stato travolto da un nuovo slancio di gioia feconda che svaniva immancabilmente quando invece mi dedicavo al mio lavoro solitario lontano da Praga. Questo stimolo vivificante all’operare creativo di natura intellettuale è un’espressione dello spirito che caratterizza il nostro sodalizio e che nasce da un lavoro comune di ricercatori legati da amicizia, ricercatori che condividono lo stesso approccio metodologico e che sono mossi dalle stesse concezioni teoriche.
Ma più di tutto, vorremmo qui brevemente ricordare il determinante contributo personale di Trubeckoj.
Con successo creò un legame tra il concetto di correlazione e la dottrina di Saussure sul raffronto fonologico tra entità esistenti e non esistenti, e sviluppò con Martinet l’idea a ciò strettamente connessa di un superamento delle opposizioni (TCLP VI); sulla scorta dei felici impulsi di Âkovlev, completò un’acuta analisi di tutte le correlazioni consonantiche (TCLP IV) e costruì una solida sistematica dei segnali limite (Proceedings II); fece il primo tentativo volto a sondare il terreno in vista di una classificazione delle opposizioni fonologiche (Journal de Psychologie XXXIII); in modo dettagliato discusse la tecnica delle descrizioni fonologiche della lingua (Anleitung zu phonologischen Beschreibungen [Introduzione alle descrizioni fonologiche; N.d.T.], 1935) e ne diede alcuni esempi magistrali: la registrazione delle consonanti nelle lingue del Caucaso orientale (Caucasica VIII), la morfofonologia del russo (TCLP V, 2) e le esaustive

erschöpfenden Monographien über das Polabische (Sitzb. Ak Wiss. Wien, phil-hist. Kl., CCXI, Abh. 4) und das Altkirchenslavische. Zur letzteren sind bisher nur die Vorstudien veröffentlicht, aber hoffentlich erscheint bald auch das beinahe fertiggeschriebene Handbuch . Es ist interessant, dass die beiden Monographien tote Sprachen behandeln, deren Phonembestand erst durch eine sorgfältige Analyse des Schrift¬systems in seinem Verhältnis zum phonologischen System festgestellt wird, und auch in diesem Sinne sind die beiden Arbeiten wirkliche Meis¬terstücke, die die Fortunatovsche Tradition fortsetzen und würdig krönen: das Problem der Wechselseitigkeit zweier autonomen Systeme – der Schriftnorm und der Lautnorm lockte stets die Aufmerksamkeit der Moskauer Schule; die polabische Spielart dieses Problems fesselte schon Porzeziński sowie Ščepkin, und Trubetzkoy beabsichtigte, seine Pola¬bischen Studien dem Andenken des ersten zu widmen; der altkirchen¬ slavischen Schrift und Orthographie gelten die feinsten Beobachtungen Fortunatov’s und in der neueren Zeit die ursprünglichsten Erwägungen Durnovos, an die Trubetzkoy anknüpft; “Alphabet und Lautsystem” wird ihm zum Ausgangspunkt seiner phonologischen Forschung, und er glaubt, eine autonome Graphemenlehre nach dem Vorbild der Phonemenlehre entstehen zu sehen (Slovo a Slovesnost I, 133).
Die Phonologie der beiden toten Sprachen ist zwar bei Trubetzkoy streng synchronisch gefasst, doch die Projektion des statischen Quer¬schnittes in die Vergangenheit ist für ihn offenkundig eine Vorstufe der diachronischen Forschung. Als Anthithese der historischen Phonetik, welche die erste Etappe seines Schaffens beherrschte, trat in der weiteren Etappe die synchronische Phonologie ein, die Diachronie wurde von jetzt an nur in zwei episodischen Beiträgen angetastet (Festschrift Miletič 1933, 267 ff. und Księga referatów des II. Slavistenkongresses 1934, 133 ff.), und doch bleibt die Lautgeschichte die verborgene Triebkraft seines Suchens, und Trubetzkoy strebt zur historischen Phonologie als dialektischer Synthese.

monografie sull’idioma polabo (Sitzungberichte der Akademie der Wissenschaften, Wien, philos.-histor. Kl., CCXI, Abh. 4) e paleoslavo ecclesiastico. Di questa ultima monografia, sono stati pubblicati fino ad ora solo gli studi preparatori, ma ci si augura che sia presto disponibile anche il manuale , la cui stesura era quasi completa. È interessante notare come entrambe le monografie tràttino di lingue morte, il cui patrimonio fonematico viene stabilito ancora attraverso un’analisi scrupolosa del sistema grafico nella sua relazione con quello fonologico, e anche in questo senso entrambe le opere rappresentano due autentici capolavori che proseguirono e coronarono degnamente la tradizione di Fortunatov: il problema della reciprocità di due sistemi autonomi, la norma grafica e fonica, che aveva sempre suscitato l’interesse della Scuola di Mosca; la peculiarità che questo problema assume all’interno della lingua polaba aveva già catturato Porzeziński come anche Ŝepkin, e Trubeckoj si ripropose di dedicare i suoi Polabischen Studien [Studi sul polabo; N.d.T.] alla memoria di Porzeziński; le osservazioni più fini di Fortunatov e, negli ultimi tempi, le primissime riflessioni di Durnovo, furono rivolte alla scrittura e ortografia del paleoslavo ecclesiastico e proprio a queste si riallaccia Trubeckoj; «alfabeto e sistema fonico» divennero il punto di partenza della sua ricerca fonologica ed egli credette di vedere la nascita di un’autonoma dottrina dei grafemi sulla base della dottrina fonematica (Slovo a Slovesnost I, 133).
La fonologia di entrambe le lingue morte venne sì affrontata da Trubeckoj in modo scrupolosamente sincronico, ma la proiezione del profilo statico nel passato fu per lui, in modo manifesto, uno stadio preliminare della ricerca diacronica. In antitesi alla fonetica storica che aveva dominato la prima fase del suo lavoro, subentrò, nella seconda fase, la fonologia sincronica, e da qui in poi la diacronia venne trattata di sfuggita in due saggi episodici (Festschrift Miletič 1933, 267 sgg. e Księga referatów del II Congresso di slavisti del 1934, 133 sgg.). E tuttavia, la storia della fonetica rimase la molla segreta della ricerca di Trubeckoj, che tese alla fonologia storica come a una sintesi dialettica.

Er weiss, wie grosse und grundsätzlich neue Aufgaben hier den Forscher erwarten, wie eingehend das Rekonstruk¬tionsverfahren sich ändern muss, wie viele Überraschungen der weitere Fortschritt der phonologischen Geographie, bes. ein entsprechender Weltaltlas, beibringen kann, und wie selbst das Problem einer Ursprache, beispielsweise des Urindogermanischen, in einem wesentlich neuen Lichte hervortritt (vgl. Acta Ling. I, 81 ff.). In seinem Handbuch des Altkirchen¬slavischen versucht Trubetzkoy, die methodologische Erfahrung der Phonologie auch auf das Gebiet der Formenlehre zu erweitern (ausser dem Kasuskapitel hielt er diesen Teil des Werkes im grossen und ganzen für fertig). Der systematische Aufbau der strukturalen Morphologie, besonders einer Typologie der morphologischen Systeme kommt für ihn an die Reihe, sowie die gleichlaufende (in Mélanges Bally, 75 ff. angedeutete) syntaktische Problematik. Und endlich schwebte ihm eine strukturale Betrachtung des Wortschatzes als eines gesetzmässigen Systems immer deutlicher vor (vgl. TCLP I, 26 f.).
Doch das alles zu verwirklichen war ihm leider nicht mehr vergönnt, und er ahnte es. Unermüdlich schrieb er, mit dem Tode im Herze, an den Grundzügen der Phonologie (TCLP VII), seinem herrlichen Synthese¬buch, das er als den Etappeabschluss betrachtete und als eine fördernde Grundlage zu den sich immer mehrenden phonologischen Sprachbe¬schreibungen sowie zu einer weiteren sachlichen, fruchtbaren theoretischen Diskussion.
“Die Lebensfrist ist schon kurz, – schrieb einst Sergej Trubetzkoy, – und man muss sich beeilen, alles, was noch möglich, aus der geistigen Ernte einzuheimsen, – nur dass es nicht zu spät sei.” – “Dieses Vorgefühl täuschte leider nicht, – fügt sein Bruder hinzu, – das Herz hielt nicht aus […] und er verschied in der vollen Blüte seiner Kräfte […] Vor Entrüstung und Schmerz um der Anderen willen verschmachtete er und starb.”

Era consapevole dei grandi e fondamentalmente nuovi cómpiti che sarebbero spettati ai ricercatori in questo settore; di quanto in profondità si sarebbe dovuto spingere il processo di ricostruzione; di quante sorprese avrebbe potuto offrire un ulteriore progresso nel campo della geografia fonologica, in particolare un corrispondente atlante universale; e di come il problema stesso di una Ur-sprache, per esempio il protoindoeuropeo, si sarebbe presentato sotto una luce del tutto diversa (cfr. Acta Linguistica I, 81 sgg.). Nel manuale sulla lingua paleoslava ecclesiastica, Trubeckoj cerca di estendere l’esperienza metodologica della fonologia al campo della morfologia (nel complesso, eccetto il capitolo sui casi, egli considerò conclusa questa parte dell’opera). In un secondo momento si sarebbe presentata la costruzione sistematica della morfologia strutturale, in modo particolare di una tipologia di sistemi morfologici, come anche il parallelo problema sintattico (in Mélanges Bally, 75 sgg.). Infine, in modo sempre più chiaro, si delineò nella sua mente una riflessione di tipo strutturale riguardante il lessico quale sistema governato da proprie regole interne (cfr. TCLP I, 26 sg.).
Purtroppo, come lui stesso aveva presagito, non gli fu però più possibile realizzare tutto questo. Con uno spirito instancabile e la morte nel cuore, si mise a lavorare a Fondamenti di fonologia (TCLP VII), un magnifico lavoro di sintesi da lui considerato la tappa conclusiva e il punto di partenza che sarebbe servito da stimolo sia per le descrizioni di analisi linguistiche fonologiche vieppiù numerose, sia per un’ulteriore discussione teoretica, obiettiva e feconda.
«La vita è breve» scrisse una volta Sergej Trubeckoj, «e noi dobbiamo affrettarci, per quanto possibile, a fare incetta del raccolto spirituale prima che non sia troppo tardi». «Questo presentimento non era fallace», aggiunse suo fratello, «il suo cuore non resse […] e lui morì nel pieno delle sue forze […] mosso dall’amore per gli altri, si strusse e morì per lo sdegno e il dolore».

Das tragische Schicksal des Vaters wiederholte sich buchstäblich. Der Mensch, der das Zeitalter rühmte, in dem die gesamte Wissenschaft die atomisie¬rende Weltauffasung durch den Strukturalismus zu ersetzen suchte, und der zu seinen grössten und wackersten Vorkämpfern gehörte, scheute in seinem bewegten Leben einzig die seelenlose Vertilgung der Geistes¬werte.

Geschrieben in Charlottenlund (Dänemark), Juni 1939, und veröffentlicht in Acta Linguistica, I (1939).

Il tragico destino toccato al padre si ripeté letteralmente per il figlio. L’uomo che aveva celebrato l’epoca in cui una scienza complessiva tentava di sostituire la concezione atomizzante del mondo attraverso la teoria strutturalista, di cui lui era il più grande e valoroso precursore, nella sua vita movimentata nutrì un unico timore, l’arido annientamento dei valori dello spirito.

Scritto nel giugno 1939 a Charlottenlund (Danimarca) e pubblicato in Acta Linguistica, I (1939).

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