recensione del «Movimento del linguaggio. Una ricerca sul problema del tradurre», a cura di Emilio Mattioli e Riccarda Novello, Marcos y Marcos 1997

Friedmar Apel, Il movimento del linguaggio. Una ricerca sul problema del tradurre, a cura di Emilio Mattioli e Riccarda Novello, Marcos y Marcos 1997.

Fiedmar Apel è il principale traduttologo tedesco vivente. Ha già pubblicato in Italia il Manuale del traduttore letterario.

Con Apel, viene ribaltata la vecchia concezione linguistica secondo cui esiste un messaggio, di cui la traduzione si fa tramite per convogliarlo ai lettori in un’altra lingua. In questa concezione il traduttore è asservito al Senso, e l’Originale è una sorta di divinità che va trasportata col minor numero possibile di scossoni. In questa vecchia concezione, il traduttore va a caccia di “equivalenze”, e perciò naturalmente torna sempre a casa col carniere vuoto, dato che nei linguaggi naturali le equivalenze non esistono.

Nella visione apeliana, al centro del paradigma non sta più il senso ma il linguaggio, e la dialettica tra la poetica del primo autore e la poetica del traduttore (secondo autore) dà vita appunto allo Sprachbewegung del titolo. Partendo da Gottsched e proseguendo fino a Celan, passando da Breitinger, Bodmer, Klopstock, Gottsched,  Hamann, Herder, Schlegel, Novalis, Schleiermacher, Humboldt, Benjamin e altri, Apel ravvisa alcuni tratti comuni sviluppati dalla scuola filologica tedesca. Con Herder viene dinamizzata l’idea di traduzione, che diventa un modo per dare forma alla lingua propria ed entra così a far parte della storia. Con Voss si comincia a capire che «nella traduzione dovrebbe apparire chiaro proprio il fatto che non si può dire tutto quello che idealmente vi si dovrebbe dire»: l’inadeguatezza, l’incompletezza assurgono a tratto dominante, dinamico: il lettore deve essere invogliato a farsi strada verso l’originale.

Esplicito, il dinamismo linguistico lo diventa in Humboldt: «La lingua non è un’opera (ergon), ma un’attività (energheia)». Da questa affermazione discende anche il capovolgimento di prospettiva lingua/percezione, la loro dipendenza reciproca. Ed energia è anche la traduzione, energia per l’arricchimento della cultura nazionale: «Se per avverso timore dell’inconsueto si […] vuole evitare persino lo stesso straniero, […] allora si distrugge tutto il tradurre e tutta la sua utilità per la lingua e la nazione». Il diverso, lo straniero, l’estraneo sono elementi di vitalità per la cultura nazionale.

La concezione di Benjamin è mistica, secondo il movimento del Tikkùn, la restaurazione del tutto: i vasi allineati sono un’immagine della creazione. Rivelatisi fragili, i vasi si rompono, consentendo di separare il bene dal male. Qui entra in gioco il traduttore-angelo, che traduce dall’inferiore al superiore, avvicinando a Dio e restaurando il vaso: un lavoro artigianale che produce un risultato migliore dell’originale.

Fino ad arrivare a Celan, le cui le traduzioni sono al tempo stesso poesia, poetica e interpretazioni storiche ben definite.

Dall’excursus storico-filologico si ricava una concezione della traduzione come rapporto tra due poetiche, che va continuamente superata nello spazio (al lettore deve venire il desiderio di gettare via la traduzione, portatrice di imperfettibilità, e di imparare la lingua originale) e nel tempo: ogni traduzione invecchia perché è la fotografia del rapporto tra la poetica dell’autore in un tempo X e quella del traduttore in un tempo Y, e va di continuo superata.

Bruno Osimo

1° marzo 1998

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