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Vado ad Harvard o ad Sapienza? Forse meglio ad Spinelli!

articolo pubblicato su L’Altiero

Stando alla versione ‘inglese’ del sito del governo italiano, per poche ore nel 2001 un ministro appena entrato in carica è risultato laureato alla ‘Mouthfuls University’. Non conoscete questa università? Ma sì, è a Milano, e ospita la più nota facoltà di economia. Normalmente la chiamano Bocconi, ma chi aveva predisposto il sito aveva deciso di tradurre anche il nome proprio. È una malattia epidemica, si chiama «traduttivite», colpisce anche cittadini al di sopra di ogni sospetto.

La falsità delle notizie riguardanti università e altre istituzioni spesso è garantita, e chi cerca di sottrarsi alle improprietà del mainstream usage viene dilavato insieme alla corrente.

Nessun madrelingua italiano penserebbe di formulare la frase ***«Si è laureato a Bocconi»*** Perché, in questa forma, sembrerebbe il nome di un luogo, mentre tutti sappiamo che è il nome di un ateneo, fondato da Bocconi Ferdinando, per ricordare il figlio Luigi.

maxresdefaultMa allora perché sentiamo dire di continuo ***«ad Harvard»***? È un’espressione che concentra in sé una certa quantità di distrazione. Cominciamo dalla pronuncia. Come si può sentire da qui https://forvo.com/word/harvard_university/#en la pronuncia della prima lettera (h) è perfettamente udibile, ciò che impedisce l’uso della preposizione eufonica ad, che si può usare solo davanti a un suono vocalico.

ladige-18-12-2015_largeUn altro problema non da poco è che si tratta di un cognome, e precisamente quello del pastore John Harvard di Charlestown, che nel 1638 alla morte ha lasciato la biblioteca e il patrimonio alla schoale perché facessero un colledge. La Harvard è situata a Cambridge, nel Massachusetts, meno di 350 chilometri a nordest di New York. Volendo usarla come complemento di luogo, perciò, sarebbe «studio a Cambridge, nel Massachusetts». Oppure «studio alla Harvard».

Più in generale, i nomi propri non si traducono. Quando ancora leggiamo, in un’edizione di cent’anni fa, che un libro è di «Leone Tolstoi», o di «Alessandro Dumas», o di «Sigismondo Freud», ci viene da sorridere, perché oggi non ci sogneremmo nemmeno di dire «Emanuele Macron», «Teresa May» o «Vladimiro Putin». Lo stesso vale per i nomi propri di cosa: di cinema (***Little Gym Theatre*** anziché Cinema Palestrina?), alberghi (***Albergo Crollalanza*** anziché Shakespeare Hotel?), navi (***Venetian Victory*** anziché Vittorio Veneto?) e istituzioni, naturalmente.la-fashion-blogger-chiara-ferragni

Per esempio, la Washington University può essere solo resa con questi caratteri esatti, né uno di più né uno di meno. Quando la incontriamo su libri e giornali come ***Università di Washington***, la falsità è addirittura raccapricciante. Innanzitutto perché si trova a Saint Louis, nel Missouri. Poi perché è intitolata non a una città ma a George (non Giorgio, come si legge sulla targa della via a Milano) Washington, e quindi è un caso simile – anche se, concedo, lievemente meno noto – alla nostra Civica Scuola Interpreti e Traduttori «Altiero Spinelli».  Inoltre esistono altre tre università con nome simile: la University of Washington (che, si badi bene, non è A Washington, ma NEL Washington, a Seattle), la Washington State University (che, si badi bene di nuovo, non è A Washington, ma NEL Washington, a Pullman, città che persone affette da traduttivite rendono come «autobus») e la George Washington University, che è davvero a Washington ed è la più vecchia delle quattro, essendo del 1821.

Ragionamento simile vale per la Stanford (fondata da Leland and Jane Stanford a Palo Alto), la Yale (fondata da Elihu Yale a New Haven), la Cornell (fondata da Ezra Cornell a Ithaca) e così via.

Quando scriviamo il nostro CV in inglese, evitiamo di tradurre i nomi delle scuole in cui abbiamo studiato. Ciò che va tradotto è il titolo, che in tutto il mondo si capisce se è espresso così: BA (laurea triennale), MA (laurea specialistica), PhD (dottorato di ricerca). Per non fare la figura dei provinciali è meglio evitare anche di usare titoli onorifici tipo «dottore» all’estero: l’Italia è l’unico paese al mondo dove la qualifica di dottore si acquisisce già subito, dopo il BA, mentre nel mondo vero si deve aspettare di avere finito il dottorato.

A parte il fatto che nel resto del mondo il titolo di studio è spesso sottaciuto, quando non strettamente pertinente: «Ho mandato a quel paese il signor Einstein: fa sempre sgocciolare la biancheria sulle mie piante» non significa che non è laureato, ma che non è quello il punto. Ostentare il titolo fa parte del nostro provincialismo: se non fosse interpretato, nella nostra cultura, come status symbol, forse potremmo perfino fare a meno del CEPU e abolirne il valore legale.

Ho il sentore che qualcuno obietterà che tutti fanno così, non si può fare diversamente, ormai ***ad Harvard*** è entrato nel cosiddetto uso…

hvd1_235Lascio la risposta allo scrittore polacco Waldemar Łysiak: «Gdy tylu ludzi pochwala to samo, wtedy łatwo jest dojść do wniosku: jedzmy gówna, przecież miliony much nie mogą się mylić!» [Quando una certa cosa è apprezzata da tantissimi individui, è facile giungere alla conclusione: mangiamo gówna, in fondo, non è possibile che milioni di mosche si sbaglino!]

per la versione integrale originale:

articolo pubblicato su L’Altiero