Theodore Savory: Translating the Bible

Theodore Savory: Translating the Bible

 

 

MARGHERITA PREVIDE MASSARA

 

 

Fondazione Milano

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

 

 

Relatore: professor Bruno Osimo

Diploma in Scienze della Mediazione Linguistica

Dicembre 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© Theodore Savory 1969

© Margherita Previde Massara per l’edizione italiana 2010

 

Theodore Savory: Translating the Bible

 

ABSTRACT

La Bibbia è il testo sacro di riferimento per milioni di persone, che nelle sue pagine hanno trovato e trovano conforto,  forza e modelli etici e riveste un ruolo unico nel panorama degli studi sulla traduzione. La prima parte del lavoro propone un’analisi dei due principali orientamenti della traduzione della Bibbia, quello formale e quello dinamico. Il primo è improntato a una resa che riproduca il più possibile il prototesto (sia nella forma che nel contenuto) e il secondo mira all’accessibilità del metatesto.Nella seconda parte viene presentato l’approccio di Erri De Luca alla traduzione di alcuni libri dell’Antico Testamento con esempi basati sull’apparato metatestuale dei suoi lavori. La tesi si conclude con la traduzione di «Translating the Bible», dal libro The Art of Translation di Theodore Savory.

ENGLISH ABSTRACT

The Bible is the holy book for millions of people who find in its pages relief, strength and ethical patterns. It plays a unique role among translation studies. The first part of this work analyses the two main approaches to Bible translation, the one oriented toward formal equivalence and that oriented toward dynamic equivalence. The former aims at a rendering which reproduces the source text as much as possible (both in form and in content) and the latter aims at the accessibility of the target text. The second part shows Erri De Luca’s approach to the translation of some of the Old Testament books, with examples based on the metatextual apparatus of his works. The thesis concludes with the translation of «Translating the Bible», from the book «The Art Of Translation» by Theodore Savory.

 

NEDERLANDSE SAMENVATTING

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Sommario

1.Prefazione. 4

1.1 Due fondamentali orientamenti in traduzione. 5

1.1.1 I princípi della traduzione formale. 7

1.1.2 I princìpi della traduzione dinamica. 9

1.2 Erri De Luca. 16

2. Traduzione con testo a fronte. 21

2.1 Translating the Bible. 23

References – Riferimenti bibliografici 55

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


1.Prefazione


1.1 Due fondamentali orientamenti in traduzione

 

Partendo dal presupposto che «non esiste, per essere esatti, niente di simile agli equivalenti identici» (Belloc, 1931 a e b:37), quando si traduce è necessario cercare il traducente che più si avvicini all’originale. Ci sono due tipi fondamentali di equivalenza: formale e dinamica.

L’equivalenza formale pone l’attenzione sul messaggio, sia nella forma che nel contenuto. In una traduzione di questo tipo bisogna prestare attenzione a corrispondenze come poesia-poesia, frase-frase e concetto-concetto. Tenendo conto di questo orientamento formale, l’importante è che il messaggio nella cultura ricevente corrisponda il più possibile ai diversi elementi della cultura emittente. Per questo motivo il messaggio nella cultura di arrivo dovrà essere costantemente confrontato con il messaggio della lingua di partenza, al fine di determinarne lo standard di accuratezza e correttezza.

Il tipo di traduzione che esprime al meglio questa equivalenza strutturale potrebbe essere chiamata «traduzione glossante» (Nida 1964: 159). Il traduttore, in questo caso, cerca di riprodurre la forma e il contenuto dell’originale senza perseguire ideali estetici, quasi parola per parola, con glosse.

Una traduzione glossante è pensata per permettere al lettore di identificarsi il più possibile con una persona appartenente al contesto della cultura emittente e di capire tutto quello che può delle usanze e delle modalità di pensiero e di espressione. Per esempio un’espressione come «bacio santo» (Romani 16,16) in una traduzione glossante verrebbe resa alla lettera e in una nota a piè pagina verrebbe spiegato che questo, ai tempi dell’Antico Testamento, era un modo comune di salutarsi.

Al contrario, una traduzione che mira a creare un’equivalenza dinamica si basa sul «principio dell’effetto equivalente» (Rieu e Phillips 1954). L’imperativo di questo tipo di traduzioni non è che il messaggio della cultura ricevente corrisponda con esattezza a quello della cultura emittente, ma che il rapporto tra ricevente e messaggio sia sostanzialmente lo stesso di quello esistente tra i riceventi originali e il messaggio.

Una traduzione dinamica mira a una totale naturalezza dell’espressione e cerca di collegare il ricevente a modalità comportamentali attinenti al suo contesto culturale. Non pretende che il ricevente capisca i modelli culturali del contesto della cultura emittente per poter comprendere il messaggio. Naturalmente ci sono molti gradi di traduzione dinamica. Per riprendere l’esempio sopra citato, una resa che mira a trovare un traducente dinamico è quella di Phillips, che traduce «greet one another with a holy kiss» con «give one another a hearty handshake all around».

Tra i due estremi della traduzione, tra l’equivalenza rigorosamente formale e l’equivalenza rigorosamente dinamica, ci sono innumerevoli gradi intermedi, che rappresentano vari standard accettabili di traduzione.


1.1.1 I princìpi della traduzione formale

 

Per capire meglio le caratteristiche dei diversi tipi di traduzione è importante analizzare più nel dettaglio i princìpi che governano una traduzione formale. Una traduzione di questo tipo è orientata alla cultura emittente, ossia è pensata in modo tale da far trapelare il più possibile della forma e del contenuto del messaggio originale.

A questo scopo si cerca di riprodurre determinati elementi formali, come unità grammaticali e coerenza nell’uso delle parole e nei sensi riguardanti il contesto della cultura emittente. La riproduzione di unità grammaticali implica:

– tradurre nomi con nomi, verbi con verbi, ecc.

– mantenere frasi e periodi intatti (ossia non separare e

poi  riassemblare le unità)

–       mantenere tutti gli indicatori formali, per esempio punteggiatura, divisione in paragrafi e paragrafi rientrati in poetica (Nida 1964: 165).

Per riprodurre la coerenza nell’uso delle parole, una traduzione formale di solito mira alla cosiddetta “concordanza terminologica”: nel metatesto, rendere una certa parola del prototesto sempre con una parola specifica. Questo principio può essere spinto fino all’estremo e il risultato sono serie di parole quasi senza senso. D’altra parte, in alcuni tipi di traduzione formale, va comunque cercato un certo grado di concordanza.

Il traduttore può anche servirsi di parentesi, incisi o corsivi (come nella King James) per aggiungere parole utili alla comprensione. Ecco un esempio «And to every beast of the earth, and to every fowl of the air, and to every thing that creepeth upon the earth, wherein [there is] life, [I have given] every green herb for meat: and it was so» (Genesi 1,30).

Per riprodurre sensi riguardanti il contesto della cultura emittente, la traduzione formale di solito non  cerca di adattare le espressioni idiomatiche, ma piuttosto di riprodurle più o meno parola per parola, così che il lettore possa percepire il modo in cui l’originale ha fatto uso di elementi della cultura locale per comunicare il senso.

In molti casi, comunque, determinati elementi formali del prototesto semplicemente non si possono riprodurre. Per esempio possono esserci giochi di parole, chiasmi, assonanze o acrostici. In questo caso è necessario ricorrere a note. In alcuni rari casi si riesce a creare un gioco di parole che si avvicina all’equivalenza. Per esempio, traducendo il testo ebraico di Genesi 2,22 troviamo la parola ishàh, che significa donna e deriva da ish, uomo. Quindi il traduttore inglese può usare rispettivamente «woman» e «man». Corrispondenze formali di questo tipo sono però molto rare, perché le lingue sono anisomorfe.

Una traduzione formale ha molti passi che il lettore medio fatica a capire. Si rendono quindi necessarie note, che hanno la funzione non solo di spiegare alcune delle caratteristiche formali che altrimenti non verrebbero adeguatamente rese, ma anche di rendere comprensibili alcuni equivalenti formali utilizzati, dal momento che queste espressioni potrebbero essere chiare solo nel contesto della cultura o della lingua emittente.

Alcuni tipi di traduzioni formali, per esempio quelle interlineari e le concordanze, hanno valore estetico limitato. Altre invece, hanno un grande valore estetico. Per esempio le traduzioni preparate per i linguisti raramente si spingono oltre la resa strettamente formale. In queste traduzioni la formulazione di solito è piuttosto letterale e le varie parti sono spesso numerate in modo tale da rendere più rapido il confronto tra le unità corrispondenti.


1.1.2 I princìpi della traduzione dinamica

 

Oltre alle traduzioni formali, ve ne sono di dinamiche. In queste l’attenzione è concentrata non tanto sul messaggio, quanto sulla reazione del lettore della cultura ricevente. La traduzione dinamica è una traduzione della quale una persona bilingue può ragionevolmente dire «è proprio come lo diremmo noi». In ogni caso è importante capire che una traduzione dinamica non è un altro messaggio più o meno simile a quello della fonte. È una traduzione e come tale deve riflettere in modo chiaro il senso e l’intento del prototesto.

La traduzione dinamica è « l’equivalente naturale più prossimo del prototesto» (Nida 1964: 166). Questo tipo di definizione consta di tre termini essenziali:

–       equivalente: orientato al prototesto;

–       naturale:        orientato alla cultura ricevente;

–       più prossimo: che lega i due orientamenti al livello      

                             al livello  più alto di approssimazione.

 

Considerato che la traduzione dinamica mira principalmente a un’equivalenza reattiva piuttosto che  formale, è importante definire in modo più esaustivo le implicazioni del termine «naturale» applicato a questo tipo di traduzioni. Il termine naturale è applicabile a tre aree del processo comunicativo. Una resa naturale deve aderire alla cultura ricevente, al contesto del messaggio specifico e al lettore del metatesto.

Il fatto che una traduzione sia conforme alla cultura ricevente nel suo insieme è un fattore essenziale di qualunque versione stilisticamente accettabile. Di fatto questa conformità si nota solo quando manca. J. H. Frere (1820: 481) spiega chiaramente il concetto affermando: «Pensiamo che la lingua della traduzione dovrebbe essere un elemento puro, impalpabile e invisibile, fare da tramite a pensieri ed emozioni e nient’altro. Non dovrebbe mai attirare l’attenzione su di sé. È bene evitare prestiti». Questo tipo di adattamento alla cultura ricevente produce un metatesto privo di traduzionalità (A. Popovič 2006: 174).

La traduzione naturale coinvolge due principali aree di adattamento: la grammatica e il lessico. In generale le modifiche grammaticali sono quelle più immediate, dal momento che molti cambiamenti grammaticali sono dettati dalla struttura della lingua ricevente. Ciò significa che si è spesso obbligati a un diverso ordine delle parole, o all’uso di verbi e pronomi al posto di nomi. La struttura lessicale del messaggio del prototesto è invece meno facile da adattare alle necessità semantiche della cultura ricevente, dal momento che ci sono numerose possibilità alternative. Generalmente devono essere presi in considerazione tre livelli lessicali:

–                    parole per le quali ci sono paralleli già disponibili, per

esempio «fiume», «albero», «sasso», «coltello».

–     parole che identificano oggetti diversi dal punto di vista

culturale, ma con funzioni in qualche modo simili. Per esempio la parola

«libro», che in italiano sta per «complesso di fogli della stessa misura,

stampati o  manoscritti, e cuciti insieme così da formare un volume,

fornito di copertina o rilegato» (Vocabolario Treccani 2010), ma che

all’epoca del Nuovo Testamento stava per una pergamena o un papiro

lungo arrotolato;

–                   parole che identificano particolarità culturali, per esempio

khomer (unità di capacità), eyfah (unità di misura), kerubìm

per citarne soltanto alcuni presenti nella Bibbia.

 

Solitamente il primo gruppo non presenta problemi. Il secondo può causare equivoci. Il traduttore deve decidere se usare un altra parola che rifletta la forma dell’originale, ma che non ha la stessa funzione, o se usare una parola che identifichi la stessa funzione a discapito dell’identità formale. Traducendo le parole del terzo gruppo è difficile evitare “associazioni strane”. La traduzione che cerca di colmare un vuoto culturale molto ampio non può sperare di eliminare tutte le tracce della struttura lessicale originaria. Per esempio per quanto riguarda la traduzione della Bibbia è praticamente impossibile non parlare di farisei, sadducei, tempio di Salomone, città rifugio o di temi biblici come unzione, procreazione adultera, sacrificio di esseri viventi e agnello di Dio, poiché queste espressioni sono insite nella struttura di pensiero del prototesto.

È inevitabile anche che, quando le due culture sono molto diverse, ci siano molti temi fondamentali che non possono essere “naturalizzati” dal processo traduttivo. Per esempio, gli indiani Jívaro dell’Ecuador di sicuro non possono capire Corinzi 11,14 «La natura stessa non vi insegna che è un disonore per l’uomo portare la chioma? Se invece la donna porta la chioma, ciò è per lei un onore, poiché la chioma le è stata data per copertura» (La Nuova Diodati), perché gli uomini Jívaro si lasciano crescere i capelli, mentre le donne adulte se li rasano. Similmente in molte zone dell’Africa Occidentale è considerato riprovevole il comportamento dei discepoli che accolgono Gesù a Gerusalemme lanciando sul suo cammino foglie e rami. Secondo le usanze dell’Africa Occidentale, il sentiero percorso da un capo a piedi o su una cavalcatura deve essere completamente pulito e chiunque vi getti anche solo un ramo, commette una grave mancanza di rispetto (Nida 1964:168). Ciononostante, queste discrepanze culturali sono meno difficili da superare di quanto si pensi, specialmente se le note sono usate per mettere in luce la diversità culturale.

La naturalezza dell’espressione nella cultura ricevente è un problema di  co-adeguatezza a vari livelli, dei quali i più importanti sono:

–       classi di parole: se non esiste un sostantivo per «amore» bisogna dire «Dio ama» invece di «Dio è amore».

–      categorie grammaticali: in alcune lingue il numero

grammaticale dei predicati nominali deve concordare con

quello del soggetto. In questo caso non si potrà dire «The two

shall be one», ma bisognerà dire «The two persons shall act

as though they are one person».

–                       classi semantiche: è possibile che in una lingua le  imprecazioni si basino

su storpiature volgari del nome della divinità, ma che in altre lingue si

faccia più ricorso a scatologia e parti anatomiche.

–                       tipi di discorso: alcune lingue necessitano di citazioni dirette e

altre no.

–       contesti culturali: in alcune società la pratica tipica del Nuovo Testamento di sedersi per insegnare sembra strana, se non sconveniente.

 

Oltre a essere appropriata per la lingua e la cultura ricevente, la traduzione naturale deve essere in armonia con il contesto del messaggio. I problemi quindi non si limitano a caratteristiche grammaticali e lessicali, ma possono anche sconfinare in dettagli come l’intonazione e il ritmo della frase (Pound 1954: 298). Il problema è che « se rimane invischiato solo nelle parole, il traduttore perde lo spirito originale dell’autore» (Manchester 1951: 68).

Per certi versi la traduzione naturale può essere descritta più facilmente parlando di ciò che omette anziché di ciò che dice. Sono le gravi anomalie, eliminate in una buona traduzione, che fanno sentire il lettore totalmente estraneo al contesto. Per esempio delle volgarità in un testo che ci si aspetta sia serio sono inappropriate e di sicuro non suonano naturali. Ma le volgarità rappresentano un problema meno spinoso rispetto allo slang o ai colloquialismi.

Alcuni traduttori riescono a evitare le volgarità e lo slang, ma non l’errore di far sembrare un complicato documento legale quello che in realtà era un messaggio relativamente chiaro nella cultura emittente, nel tentativo di essere il meno ambigui possibile. In queste traduzioni rimane ben poco della naturalezza dell’originale.

Gli anacronismi sono un altro modo di violare la co-adeguatezza del messaggio e del contesto. Per esempio una traduzione che usa «ossido di ferro» invece di «ruggine» sarebbe corretta dal punto di vista tecnico, ma sicuramente anacronistica. D’altro canto traducendo «i cieli e la terra» con «universo» in Genesi 1,1 non ci si allontana così tanto quanto ci si aspetterebbe, dal momento che le popolazioni antiche avevano un’idea molto avanzata di un sistema organizzato che comprendeva «i cieli e la terra» (Nida). Gli anacronismi comportano due tipi di errori:

–     l’uso di parole della contemporaneità che falsificano la vita

in un periodo storico diverso, per esempio tradurre

«posseduto dal demonio» con «mentalmente deviato»;

–       l’uso di una lingua obsoleta nella cultura ricevente e quindi

dare un’impressione di irrealtà.

 

L’appropriatezza del messaggio all’interno del contesto non è un mero problema di contenuto referenziale delle parole. L’impressione complessiva di un messaggio non è data solo da oggetti, eventi, astrazioni e rapporti simboleggiati dalle parole, ma anche dalla contestualizzazione stilistica. Inoltre gli standard di accettabilità stilistica per vari tipi di discorso cambiano radicalmente da una lingua all’altra.

È essenziale non solo che una traduzione eviti alcuni errori ovvi nell’adattamento del messaggio al contesto, ma anche che incorpori alcuni elementi positivi dello stile che forniscano il tono emotivo appropriato al discorso. Questo tono emotivo deve riflettere con precisione il punto di vista dell’autore. Quindi elementi come sarcasmo e ironia devono essere resi accuratamente nella traduzione dinamica.

Un altro elemento caratterizzante della naturalezza della traduzione dinamica è quanto il messaggio si addice al lettore della cultura ricevente. L’appropriatezza va giudicata sulla base del suo livello di esperienza e della capacità di decodificazione. D’altro canto non si ha sempre la certezza di come abbia reagito o avrebbe dovuto reagire il lettore della cultura emittente. Per esempio i traduttori della Bibbia hanno dato molta importanza al fatto che la lingua del Nuovo Testamento era la koiné, la lingua dell’uomo comune, e quindi una traduzione dovrebbe essere rivolta all’uomo comune. La verità è che il primo destinatario di molti messaggi del Nuovo Testamento non era l’uomo comune, ma l’uomo appartenente a una comunità religiosa. Per questo motivo espressioni come “Aba, padre” e “battezzato in Cristo”, possono essere usate e ci si aspetta che vengano capite.

Una traduzione dinamica inevitabilmente richiede un certo numero di adattamenti formali, che coinvolgono tre aree principali:

–                  Forme letterarie particolari;

–                  Espressioni semanticamente esocentriche (Nida 1964: 170);

–                  Sensi culturospecifici (Nida 1964: 170).

La traduzione della poesia ovviamente richiede più adattamenti rispetto alla prosa, dal momento che le forme ritmiche differiscono nella forma e di conseguenza nel risultato estetico. Nella traduzione della Bibbia, la procedura comune è mirare a dare una certa dignità alla prosa dove l’originale utilizzava la poesia, perché in generale il contenuto dei libri sacri è considerato molto più importante rispetto alla sua forma.

Quando periodi semanticamente esocentrici nella lingua emittente sono senza senso o fuorvianti se tradotti alla lettera, si è obbligati ad apportare degli adattamenti alla traduzione dinamica. Per esempio, il modo di dire semitico «cingere i lombi della mente» (Pietro 1,13) può significare, se tradotto alla lettera,  nient’altro che «mettere una cintura attorno ai fianchi dei pensieri». In questo caso bisogna passare da un tipo di espressione esocentrica a una endocentrica per esempio «predisporre la mente all’azione». Inoltre un modo di dire non solo potrebbe essere senza senso, ma potrebbe addirittura distorcere il senso. In questo caso dev’essere modificato. Spesso una metafora può essere sostituita con una similitudine, per esempio «sons of thunder» (come erano chiamati Giacomo e Giovanni) può diventare «men like thunder» (Nida 1964).

I sensi culturospecifici sono quelli che più perdono nel processo traduttivo, dato che dipendono moltissimo dal contesto culturale della lingua in cui sono usati e quindi non sono direttamente trasferibili ad altri contesti linguistico-culturali. Nel Nuovo Testamento la parola tapeinos, di solito tradotta con «humble» o «lowly» in inglese, aveva connotazioni emotive ben definite nel mondo greco, dove aveva il significato peggiorativo di «low», «humiliated», «degraded», «mean» o «base» (Nida 1964: 171). I cristiani facevano parte della classe sociale più bassa e adottarono questa parola come simbolo di un’importante virtù cristiana. Le traduzioni del Nuovo Testamento in inglese non possono pensare di poter rendere tutti i significati emotivi latenti nella parola greca. Allo stesso modo traduzioni come «unto», «messia» e «cristo» non rendono pienamente giustizia al greco Christos, che aveva associazioni intimamente collegate alle speranze e alle aspirazioni della prima comunità giudaico-cristiana. Questi elementi emotivi di senso non sono collegati soltanto a termini teologici, ma vanno applicati a tutti i livelli di vocabolario.


1.2 Erri De Luca

 

Il desiderio che muove Erri De Luca è di «prendere alla lettera  ̶  e dunque ridare il posto principale a  ̶  quel formato iniziale della rivelazione che è l’ebraico antico». Non mira certo a dare una traduzione gradevole da leggere, anzi per primo ammette: «Le mie traduzioni sono un po’ ingessate nella lingua d’arrivo».

De Luca s’avvicina all’ebraico negli anni Ottanta, quando fa l’operaio. Durante il lavoro ripete canti che trova nelle scritture per scandire le martellate, per darsi un ritmo e far passare la giornata al cantiere. Inizia a studiarlo lentamente, «semplicemente per curiosità e per compagnia». Di mattina, tra le cinque e le sei e mezza legge una pagina della Bibbia. Si definisce «un frequentatore di quelle scritture, un lettore assiduo, quotidiano» e non rivendica alcuna forma di autorità sull’ebraico antico, se non la sua continua intimità con questa lingua.

Iod. De Luca traduce il tetragramma sacro, che gli ebrei non pronunciano, con «Iod», la sua lettera iniziale. Le Bibbie cristiane traducono con «Dio», dal greco theòs, che è un nome comune a tutte le divinità e viene scritto con la lettera minuscola. In ebraico l’unità di dio, l’Ehad (Uno), è talmente assoluta da non poter essere nominata.

Una delle differenze più evidenti tra la traduzione di De Luca e le altre è che il primo tende a modellare l’italiano sulla sintassi ebraica. In ebraico biblico il soggetto solitamente segue il verbo, non viene fatta un’eccezione nemmeno se il soggetto è Iod. Come sostiene l’autore, «in quella rivelazione il verbo è più importante del soggetto. Il dire e il fare hanno la precedenza» .

Per De Luca l’ebraico ha, tra le altre caratteristiche, una grande fisicità. Le traduzioni italiane usano «spirito» e «anima» dove l’ebraico usa «vento», «soffio» e «fiato». Nel famoso discorso della montagna Gesù dice «Beati i poveri di spirito», l’ebraico «shfal rùah», che riprende da Isaia 57,15 («In luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi»). De Luca traduce «shfal rùah» con «abbassàti di vento», resa decisamente poco consueta per il lettore italiano. Afferma che «poveri di spirito» è meno  forte della sua versione, che rende invece l’idea di persone oppresse al punto tale da «avere il collo piegato, il fiato rivolto a terra, trascinato al suolo». Traducendo «ruàh» con «vento» invece che con «spirito», il senso dell’umiltà è forse più concreto: gli uomini non possiedono nemmeno il respiro. È un vento esterno che entra in ciascuno, esce e prosegue oltre.

De Luca parte dal principio che, nella sua traduzione della Bibbia, l’italiano è una lingua di servizio. Quella di De Luca è quasi sempre una traduzione interlineare: mette le parole italiane sotto quelle ebraiche e «se la frase intera suona storta è quasi certo che almeno in origine è dritta nella sua lingua» ebraica.

Erri De Luca è preciso: se l’ebraico usa un solo verbo per il «fare» di Dio, ossia «asà», nella sua traduzione ci sarà solo quel verbo. Si dichiara «estremista» della «fedeltà» e dell’«obbedienza» al testo ebraico, intendendo che è favorevole a un approccio estremamente filologico. Eccone un esempio.

De Luca traduce il comandamento dell’amare il prossimo come sé stessi con «e amerai il tuo compagno come a te» (Levitico 19,18), mentre la Bibbia CEI nell’edizione del 1974 traduce con «amerai il tuo prossimo come te stesso». De Luca spiega che il verbo amare è costruito con l’ebraico «le», simile alla preposizione «a» italiana, dunque in forma dativa. «L’amore non carnale è spesso meravigliosamente dativo, quello fisico è spesso accusativo, caso di un complemento oggetto». [non so se mettere questo esempio qui o più su, quando dico che modella la sintassi italiana su quella ebraica[o.b.1] ]

Traduce Kohèlet 4,1 con «E sono tornato io e ho visto tutti gli oppressi che sono fatti sotto il sole. E ecco lacrima degli oppressi» a differenza, per esempio, della Bibbia CEI nell’edizione del 1974 che traduce «Ho poi considerato tutte le oppressioni che commettono sotto il sole. Ecco il pianto degli oppressi», sostenendo che la parola «haashukìm» è la stessa che compare poco oltre nel verso e che viene tradotta con «gli oppressi».

Spesso nelle introduzioni e nelle note alle sue traduzioni De Luca sostiene di non voler correggere altre traduzioni e nemmeno di pensare che le sue scelte siano esatte e definitive, non perfezionabili. Dichiara solo di seguire altre piste, meno battute. Per esempio l’autore della Vulgata, San Girolamo, il «nonno dei traduttori» come lo chiama lui, ha tradotto «Hèvel» con «vanitas», da cui l’italiano «vanità» («Vanità delle vanità, dice Qoelet, vanità delle vanità, tutto è vanità». Ecclesiaste 1,2). De Luca non vuole correggere San Girolamo, ma tentare un’altra strada, ossia quella della coincidenza di Hèvel con Abele. Sostiene che i traduttori non abbiano dato importanza all’uguaglianza di Abele con Hèvel e lui vuole «credere che in quella lingua e in quei libri nessuna parola è libera, tutte sono serve di un pensiero sacro: che vuole essere interrogato almeno secondo la lettera». Di solito dei nomi dei personaggi dell’antico testamento viene detta la parola da cui derivano, mentre di Abele no. Succede il contrario, che da Abele si arrivi a una parola. Per De Luca questa parola è «spreco»: «Spreco di sprechi ha detto Kohèlet, spreco di sprechi il tutto è spreco». Trova la sua spiegazione in parte nel verso successivo «Cosa è di avanzo per l’Adam». Per indicare l’uomo, Kohèlet potrebbe usare «ish», più frequente in lingua sacra, invece usa «Adàm», padre di tutti gli uomini e nello specifico padre di Abele. L’autore fa notare come queste coincidenze di nomi propri siano evidenti in ebraico e quasi totalmente perse in traduzione. «Hèvel è il frutto doloroso di Adàm». Per De Luca lo spreco si riferisce alla morte prematura di Abele.

Un’altra affermazione molto chiara di De Luca è la volontà di affrontare il testo così come la storia gliel’ha lasciato, in alcune parti corrotto o con errori, perché «anche il guasto appartiene alla provvidenza che accompagna un testo sacro». Un esempio si trova in Kohèlet 5,9, che la versione CEI del 1974 traduce «Chi ama il denaro mai si sazia di denaro e chi ama la ricchezza non ne trae profitto», mentre De Luca traduce «Chi ama argento non si sazierà di argento e chi ama in abbondanza niente raccolto». Il problema di questo passo è che il verbo «amare» in lingua sacra non viene mai costruito come qui, con la preposizione «be», che significa «in». I grammatici sostengono che si tratti di una dittografia, un errore di raddoppio della consonante finale della parola precedente. De Luca non vuole cambiare il testo ebraico, ma mantenere la difficoltà, l’«amare in». Per lui significa «chi è avido di abbondanze non si sazierà di un buon raccolto».

In alcuni passi De Luca si sposta con decisione dalle altre traduzioni perché nell’ebraico vede qualcosa di totalmente diverso da quello che hanno visto e vedono altri traduttori. La traduzione di Ecclesiaste 3,14 è in molte Bibbie «gli uomini avranno timore davanti a Elohìm». Per De Luca è l’esatto contrario e traduce «E Elohìm ha fatto che avranno timore via dal suo volto», dunque se si allontaneranno da lui.

Un altro esempio è la traduzione di Ecclesiaste 2,8. La Nuova Diodati presenta «mi procurai dei cantanti e delle cantanti, le delizie dei figli degli uomini e strumenti musicali di ogni genere», la versione CEI del 1974 «mi sono procurato cantori e cantatrici, insieme con le delizie dei figli dell’uomo». De Luca traduce «Shiddà vershiddòt» con «favorita» (e quindi «ho fatto per me cantori e cantatrici e soavità dei figli dell’Adàm, una favorita e delle favorite») sostenendo che nell’elenco delle piacevolezze non dovrebbe mancare questo intrattenimento, ma soprattutto che «shad» in ebraico è mammella.

Quando gli viene chiesto che vocabolario usa, la risposta è sempre la stessa: «nessuno». Erri De Luca si serve della concordanza ebraica, in cui di ogni parola è segnato il passo della Bibbia in cui compare. È lui stesso a dire «La coincidenza insegna che ogni parola uscita sta in una corrente, ha un verso e non ritorna indietro». La coincidenza in lingua sacra non è mai infeconda, porta sempre quantomeno a una riflessione sui sensi possibili, alternativi o paralleli a quelli attualizzati nelle altre traduzioni. Spesso le sue note che riportano una coincidenza hanno l’aspetto della seguente «”Ahàv”, amare: suolo, straniero, saggezza, conoscenza, violenza, vino, olio, giorni, correzione, lite, regalo, focacce, salvezza, nome, ricco, giudizio».

De Luca, partendo dalla certezza grammaticale che tutti i comandamenti sono rivolti a un tu maschile, si chiede chi fosse questo tu. Forse Mosè? Si risponde di no, che Mosè aveva solo il compito di trasmettere il decalogo. Si fa aiutare dalla coincidenza: «z*kh*r» in ebraico è sia «maschio» che forma del verbo «ricordare». Ne conclude che al maschio è affidato il compito di ricordare, alla femmina di generare. Il maschio è «ostruito» per natura e la lingua ancora una volta aiuta l’autore, che ci dice che la circoncisione è la cerimonia di un’apertura. Infatti i non circoncisi erano chiamati «i chiusi».

Quello che emerge dalle note di Erri De Luca è una sorta di biografia della parola, dell’«utensile divino».

 

2. Traduzione con testo a fronte

2.1 Translating the Bible

“So great is the force of established usage that even acknowledged corruptions please the greater part, for they prefer to have their copies pretty rather than accurate.” Jerome

Among our present studies the translation of the Bible holds an important, indeed a unique, position. There are two chief reasons for this.
The first and most fundamental in that the subject matter of the Bible, and especially of the Old Testament, touched the man’s very existence; it tell him about his origin, his purpose and his destination. For countless generations men have been advised to seek the reason for their lives in the pages of the Bible, and to drawn from the same source the rules by which these rules ought to be governed; they have absorbed this instruction at impressionable ages, so that many of them have grown up with the doctrines of the Bible woven into their emotional constitutions. The Bible has become in a real sense different from all other books, and with this it has been untouchable. Men have sought in its pages comfort, or inspirations, or strength, and have found these blessings emotionally rather than logically offered them. this is what they have preferred, so that their religious attitude rests on an unshakable faith, in which they permit no alteration. The cold logic of any thinker who, in fact, may seek to do no more than underline the difference between beliefs that are based on emotion and tenets that are demonstrable facts is likely to be received, and has often been received, with a storm of opposition and abuse unjustified as it is unjustifiable.

The second reason for the unique position for the Bible text among translations is of course the unapproachable quality of the text of the Authorized Version. This has been praised so often, so universally, and for so long that there in no need, at this point, to do more than recall the fact.

 

2.1 Translating the Bible

“So great is the force of established usage that even acknowledged corruptions please the greater part, for they prefer to have their copies pretty rather than accurate.” Jerome

Tra i nostri studi attuali, la traduzione della Bibbia occupa una posizione importante, se non addirittura unica. I motivi principali sono due. Il primo e basilare è che l’argomento della Bibbia, e specialmente dell’Antico Testamento, tocca proprio l’esistenza dell’uomo; gli racconta la sua origine, il suo scopo e la sua meta. Per generazioni e generazioni agli uomini è stato raccomandato di cercare il motivo della loro vita nelle pagine della Bibbia e dalla stessa fonte trarre le regole che la disciplinino. Hanno assorbito questo insegnamento in età influenzabili tanto che molti di loro sono cresciuti con la dottrina della Bibbia radicata nella costituzione emotiva. La Bibbia è diventata effettivamente diversa dagli altri libri e per questo è intoccabile. Tra le sue pagine le persone hanno cercato conforto, ispirazione, forza e hanno sentito che queste benedizioni erano loro offerte irrazionalmente più che logicamente. È quello che hanno preferito e questo ha fatto sì che la loro attitudine religiosa poggi su una fede salda e che non ne permettano alcuna alterazione . La fredda logica di un qualsiasi pensatore che, in effetti, voglia solo evidenziare la differenza tra credenze basate su emozioni e princìpi invece dimostrabili coi fatti probabilmente verrebbe recepita, e spesso così è stato, con una tempesta di ostilità e insulti tanto ingiustificata quanto ingiustificabile.

Il secondo motivo della posizione unica che occupa la Bibbia fra le traduzioni è di certo la qualità inavvicinabile del testo della Authorized Version. Quest’ultima è stata lodata così spesso, così universalmente e così a lungo, che non si può fare altro, a questo punto, che prenderne atto.

 

 

Yet from this there follows the consequence that the English-speaking peoples, having grown up with it, are inclined, normally and naturally, if like most people they are normal an natural and not rational, to resent  any suggestion of change in its matchless words and phrases. No other translators have to face this position: that there already exists a magnificent example of the very work to which they have set their hands, a version so beloved, so enshrined in the hearts of their readers, that they can hope to improve it, here and there, only in matters of editorial detail.

From the point of view of the student of translation the Bible is peculiar in that it has for long been known as a translation. The earliest manuscripts have either perished or have not yet been discovered. There is evidence that an established Hebrew text of the Old Testament was in use at the end of the first century A. D., and that from it were derived both the Greek version known as the Septuagint, the earliest part of which may date back to the third century, and, in the fourth century, the Latin version known as the Vulgate.

The Vulgate was the work of Eusebium Hieronymus, more usually known as St Jerome, the finest scholar of his age and the first to make a translation of the whole Bible into Latin. His aim was to keep to the wording of his predecessors whenever this seemed to him to be accurate, and to introduce changes only when corruption of the text was apparent. His translation has long been regarded as one of three supreme versions, fit to be compared with Luther’s German Bible and our own King James’s Version. It continued in general use in Britain until the time of the Reformation. A very large number of English translations of the Bible have been made in last six hundred years, and they may be considered in three ways: as fragments of historical bibliography; as part of the development of theological doctrine; and as a series of examples of translational practice.

 

Eppure la conseguenza è che le persone anglofone, essendo cresciute con l’Authorized Version, sono naturalmente e normalmente inclini, se come la maggior parte delle persone sono normali e naturali piuttosto che razionali, a rifiutare qualsiasi proposta che cambi le sue parole e frasi impareggiabili. Nessun altro traduttore si trova a dover affrontare questa situazione: proprio del lavoro al quale hanno apposto la loro firma c’è già un esempio perfetto, una versione così amata, così racchiusa come un gioiello nel cuore dei lettori, che possono sperare di migliorarla, qua e là, solo in qualche dettaglio editoriale.

Dal punto di vista degli studiosi di traduzione, la Bibbia è particolare per il fatto che per moltissimo tempo è stata conosciuta solo in traduzione. I manoscritti più antichi sono andati distrutti o non sono stati ancora scoperti. Ci sono prove del fatto che un testo ebraico ufficiale era in uso alla fine del primo secolo d.C. e che da esso derivanosia la versione greca nota come Septuaginta, le prime parti della quale potrebbero risalire al III secolo, e nel IV secolo la versione latina, conosciuta come Vulgata.

La Vulgata è opera di Eusebius Hieronimus, più comunemente noto come San Girolamo, il più raffinato studioso del suo tempo e il primo a fare una  traduzione dell’intera Bibbia in latino. Il suo intento era di attenersi alla formulazione dei suoi predecessori quando questa fosse accurata e di introdurre dei cambiamenti solo laddove il testo fosse palesemente corrotto. La sua traduzione è stata a lungo considerata  una delle tre versioni supreme, paragonabile alla Bibbia tedesca di Lutero e alla King James. Ha continuato a essere comunemente usata in Gran Bretagna fino alla Riforma. Negli ultimi seicento anni sono state fatte moltissime traduzioni inglesi della Bibbia e possono essere considerate in tre modi: frammenti di bibliografia storica; parte dello sviluppo della dottrina teologica e infine una serie di esempi di pratica traduttiva.


Each of these has its place in the growth of literary scholarship: in this chapter the translating must be given emphasis over the other aspects.

As a preliminary point, attention should be called to the fact, peculiar to Bible translating, that over the years there have been changes in our knowledge of the original texts, changes in our knowledge of the Hebrew and ancient Greek languages, and changes in our use of our own language.

Translators of other books do not expect to have to meet the first two of these vital characteristics of Bible translation.

The first English version was due to the conviction of John Wyclif (? 1320- 82), Master of Balliol and Canon Lincoln, that men could be expected to order their lives in accordance with the precepts of the Bible only if they were able to read the book itself. He was probably not the actual translator; the work, based on the Vulgate, was done by his friends. There were two versions: he earlier is believed to have been made largely by Nicholas of Hereford in 1382, and the second, a revision, was edited by John Purvey, who had been Wyclif’s secretary, in 1390.

The first translation, following Wyclif’s advice, was a very literal translation; it often preserved the word order and the Latin constructions of the Vulgate, even when the consequence was not good English. Purvey, however, is believed to have compared several Latin manuscripts, and, defending his method, produced a more natural text.

At this time the Bible, like very other book, was written by hand and so could be reproduced only by the laborious process of copying. The scribes who undertook this task were always liable to make mistakes, a form of human frailty which has been responsible for countless uncertainties in all the earliest manuscripts.

 

 

Ognuno di questi ha il proprio posto nell’evoluzione dello studio del testo.

Per prima cosa, l’attenzione va posta sul fatto, tipico della traduzione della Bibbia, che negli anni sono avvenuti cambiamenti nella nostra conoscenza degli originali, in quella della lingua ebraica e del greco antico e nell’uso della nostra lingua madre. I traduttori di altri libri non incontrano le prime due di queste essenziali caratteristiche della traduzione della Bibbia.

La prima versione inglese si deve alla convinzione di John Wyclif (?1320 – 1382), preside al Balliol college e canonico al Lincoln, che ci si poteva aspettare dagli uomini che disciplinassero la loro vita secondo i precetti della Bibbia solo se fossero stati in grado di leggerla. È probabile che non fosse lui il vero traduttore, ma che il lavoro, basato sulla Vulgata, sia stato svolto dai suoi collaboratori. Ne esistevano due versioni: la prima, del 1382, si crede sia opera in gran parte di Nicholas di Hereford e la seconda, una revisione, fu curata nel 1390 da John Purvey, segretario di Wyclif.

La prima traduzione, sotto suggerimento di Wyclif, era molto letterale. Spesso conservava l’ordine delle parole e delle costruzioni latine della Vulgata, anche quando ciò produceva un inglese non gradevole. Tuttavia si crede che Purvey abbia messo a confronto molti manoscritti latini e, difendendo il suo metodo, abbia realizzato un testo più naturale.

In questo periodo la Bibbia, come ogni altro libro, era scritta a mano e perciò poteva essere riprodotta solo col laborioso processo di copiatura. Gli scribi che si assumevano questo compito a volte facevano errori, fragilità umana che è  responsabile di innumerevoli dubbi in tutti i manoscritti più antichi.

 

The first printed Bible was the work of William Tyndale (? 1484 – 1536), and was not made from the Vulgate but from the Greek of Erasmus- Tyndale believed that the quality of the English was of greater importance than literal faithfulness. He began to make his translation about 1523, when he was living in London, but found it advisable to move to Germany. Here, first at Cologne and later at Worms, he completed the printing of the New Testament in 1526. This was followed in 1530 buy the Pentateuch, translated from the Hebrew.

Tyndale had not finished the Old Testament at the time of his martyrdom, and in 1535 the first complete printed English Bible was produced at Cologne by Miles Coverdale (1488 – 1569). He used German and Latin texts since he knew neither Greek nor Hebrew, and he often followed Tyndale closely.

Tyndale had left a quantity of manuscript translations of parts of the Old Testament, and these were taken by one of his followers, John Rogers, added to the existing Tyndale version, and a composite work completed by using the necessary parts of Coverdale. The whole was produced at Antwerp under the pseudonymous editorship of Thomas Matthew  in 1537. two years later it was re-edited by Richard Taverner.

In 1538 Cromwell ordered that every church should contain Bible for general use, and to meet the demand a revision of the Matthew Bible was made by Coverdale. It was known as the Great Bible and is most familiar to us today because it contained the Psalms as they still appear in our Book of Common Prayer. It is sometimes called Cranmer’s Bible because he wrote a preface to the edition of 1540.

The famous Geneva Bible appeared in 1560. it was the work of William Whittingham, John Knox, and others who were determined to further the doctrine of Protestantism. This was the Bible of Shakespeare, and it was a great and popular success.

 

La prima Bibbia stampata fu opera di William Tyndale (?1484-1536) e non era una traduzione della Vulgata, ma della versione greca di Erasmo. Tyndale credeva che la qualità dell’inglese fosse di maggiore importanza rispetto alla fedeltà letterale. Iniziò questa traduzione nel 1523 circa, quando viveva a Londra, ma ritenne meglio trasferirsi in Germania. Qui, prima a Colonia e poi a Worms, completò la stampa del Nuovo Testamento nel 1526, a cui seguì il Pentateuco, tradotto dall’ebraico.

Tyndale non aveva finito l’Antico Testamento quando subì il martirio e nel 1535 a Colonia fu stampata da Miles Coverdale (1488-1560) la prima Bibbia inglese completa. Si servì di testi latini e tedeschi, dal momento che non conosceva né il greco né l’ebraico e spesso aderì strettamente a Tyndale.

Tyndale lasciò molte traduzioni manoscritte di parti dell’Antico Testamento che vennero raccolte da uno dei suoi seguaci, John Rogers, aggiunte alla versione esistente di Tyndale e fu realizzata un’opera composita usando le parti di Coverdale necessarie. Fece stampare il tutto ad Anversa sotto lo pseudonimo di Thomas Matthew nel 1537. Due anni dopo ci fu la versione di Richard Taverner.

Nel 1538 Cromwell ordinò che ogni chiesa avesse una Bibbia che potesse essere consultata da tutti e per andare incontro a questa richiesta Coverdale realizzò una revisione della Bibbia di Matthew. Si chiamava Great Bible ed è molto familiare a noi oggi perché contiene i Salmi così come appaiono ora nel Book of Common Prayer.  A volte viene chiamata «Bibbia di Cranmer» perché questi scrisse una prefazione all’edizione del 1540.

La famosa Bibbia di Ginevra fa la sua comparsa nel 1560. Era opera di William Whittingham, John Knox e altri, determinati a promuovere la dottrina del Protestantesimo. Questa fu la Bibbia di Shakespeare, un successo enorme e popolare.
Its rendering of Genesis iii, 7, ‘and they sowed fig-tree leaves together and made themselves breeches’, has caused it to be affectionately known as the Breeches Bible.

The reception, favourable or antagonistic, given to all these Bibles from Tyndale’s onwards, was determined not by their literary standards but by the doctrinal character of the included ‘Notes’. It was because  Archbishop Parker disapproved of the Puritan notes to the Geneva Bible, that he caused a panel of bishops to edit another version. This, appropriately known as the Bishops’ Bible, appeared in 1568. It was not so much a new translation as a re-writing of the Geneva Bible, and it remained the authoritative Bible of the Church in Britain for forty-three years.

At about the same time members of the Roman Catholic Church felt the need to produce a Bible of their own. Translations of the New Testament, published in 1582, and of the Old Testament in 1609 were the work of professor Gregory Martin of the English College of Douai and (temporarily) of Rheims. They were based on the Vulgate and contain a proportion of Latinisms which do not tend towards easy reading. A typical feature, interesting from the point of view of translation, is its version of the Psalms.  The Psalms in the Vulgate were based on a Gallican psalter from the Greek Septuagint: hence  the Douai psalter is a translation of a translation of a translation. We have met this phenomenon before. Although the Douai-Rheims Bible more than once received editorial attention, it was due for a complete revision by the eighteenth century, and this was undertaken by Bishop Richard Challoner. He produced several successive revisions of his own work which finally took the form of the Douai Bible as in use, with minor emendations, today.

On 14th January, 1603, King James I summoned the bishops and other clergy to a conference at Hampton Court.

 

La sua resa di  Genesi III, 7 «and they sowed fig-tree leaves together and made themselves breeches»  le ha dato il soprannome di «Breeches Bible».

La ricezione, favorevole o contraria, di tutte queste bibbie, da quella di Tyndale in poi, fu determinata non dal loro standard letterario, ma dal carattere dottrinale delle «Note» aggiunte. La disapprovazione dell’arcivescovo Parker per le note puritane alla Bibbia di Ginevra e l’insoddisfazione per la Great Bible favorirono la formazione di un gruppo di vescovi incaricati di curarne un’altra versione. Questa, giustamente conosciuta come Bishops’ Bible, apparve nel 1568. Era più una riscrittura della Bibbia di Ginevra che un nuova traduzione e rimase la Bibbia di riferimento della Chiesa in Gran Bretagna per quarantatré anni.

All’incirca nello stesso periodo i cattolici romani sentirono la necessità di realizzare una propria Bibbia. Traduzioni del Nuovo Testamento, pubblicate nel 1582, e dell’Antico Testamento nel 1609, furono opera del professor Gregory Martin del Collegium anglorum duacense e (temporaneamente) di Rheims. Le sue traduzioni erano basate sulla Vulgata e contengono molti di latinismi che non facilitano la lettura. Una caratteristica tipica, interessante dal punto di vista traduttivo, è la sua versione dei Salmi. I Salmi della Vulgata si basano su un salterio gallicano della Septuaginta: quindi il libro dei Salmi di Douai è una traduzione di una traduzione di una traduzione. Abbiamo già incontrato questo fenomeno in passato. Nonostante la Bibbia di Douai-Rheims più di una volta avesse ricevuto attenzione editoriale, fu sottoposta a una revisione completa nel Settecento, intrapresa dal vescovo Richard Challoner. Fece molte revisioni del suo stesso lavoro, che infine prese la forma della Bibbia di Douai che, con modifiche secondarie, è in uso oggi.

Il 14 gennaio 1603 Re Giacomo I radunò i vescovi e altri esponenti del clero in una conferenza alla Hampton Court.
On the following day Dr John Reynolds, President of Corpus Christi, Oxford, and Dean of Lincoln, put forward this plea: ‘May your Majesty be pleased that the Bible be new translated, such as are extant not answering the original?’ To this the King agreed, saying, ‘ I confess I could never yet see a Bible well translated in English; but I think that of all, that of Geneva is the worst’. Here and thus was the birth of the Authorized Version.

In July of the following year the forty-seven learned men were appointed, and three years later began their work, which was published by the King’s Printer in 1611. the Bishops’ Bible  was the foundation, and reference was freely made to other translations mentioned above as well as to Greek and Hebrew texts. King James had supplied a set of rules which were to be observed, and the translators adopted the principle of giving their readers the spirit and meaning of their ‘originals’ in preference to a closer translation. They were especially careful of the rhythm and euphony of their work, and in this their success has never been approached.

As a literally achievement the Authorized Version is unlikely to be superseded by any other as long as the English language is spoken or read, a claim that can hardly be made for any other translation in the literature of the world.

Like all its predecessors, the Authorized Version received its share of criticism. Where the critics found fault with its scholarship the deserved attention, and although new translations of several books were made during the next two centuries it was not until 1870 that the Bishop of Winchester, addressing the Upper House of Convocation, suggested the Upper House of Convocation, suggested the  appointment of a committee to produce what is now known as the Revised Version. The New Testament was published in 1881, the Old Testament in 1884 and the Apocrypha in 1895. Praise for the Revised Version has always been couched in guarded terms.

 

Il giorno seguente, il dottor John Reynolds, presidente del Corpus Christi College di Oxford e decano del Lincoln, avanzò questa proposta: «Potrebbe Sua Maestà gradire che la Bibbia fosse nuovamente tradotta poiché quelle esistenti non sono rispondenti all’originale?». Il re acconsentì dicendo: «Confesso di non essere mai riuscito a vedere una Bibbia ben tradotta in inglese; tuttavia penso che, tra tutte, quella di Ginevra sia la peggiore». Qui e così è nata la Authorized version.

Nel luglio dell’anno seguente vennero designati quarantasette eruditi e tre anni più tardi cominciarono l’opera che fu pubblicata dal Kings Printer nel 1611. La Bishops’ Bible ne era la matrice e c’erano riferimenti liberi ad altre traduzioni menzionate in precedenza, così come ai testi greco ed ebraico. Il re Giacomo aveva fornito regole da osservare e il principio adottato dai traduttori fu quello di dare al lettore lo spirito e il significato degli «originali», preferendoli a una traduzione più letterale. Prestarono particolare attenzione al ritmo e all’eufonia e in questo il loro successo rimane ineguagliato.

 

Come successo letterario è improbabile che la Authorized Version verrà sostituita da qualche altra versione finché l’inglese verrà parlato o scritto, affermazione che difficilmente può essere fatta per qualsiasi altra traduzione a livello mondiale.

Come tutte le Bibbie precedenti, anche l’Authorized Version ricevette la sua parte di critiche. Non avevano torto i critici che trovarono difetti interpretativi e anche se durante i due secoli successivi furono ritradotti diversi libri, non fu prima del 1870 che il vescovo di Winchester, rivolgendosi alla Upper House of Convocation, propose la nomina di una commissione per realizzare quella oggi conosciuta come Revised Version. Il Nuovo Testamento fu pubblicato nel 1881, il Vecchio Testamento nel 1884 e i Vangeli Apocrifi nel 1895. Le lodi alla Revised Version sono sempre state avanzate in modo cauto.

 

It was, as it was meant to be, an improved rendering of the Greek text, for which reason it has been widely approved in colleges and used by students, because its textual accuracy outweighs other features. It cannot be read with the same sensuous pleasure: put shortly, it is an example of what has already been described as ‘translator’s English’.

An edition of the Revised Version with modifications more acceptable to American opinion was published in 1901 and was known as the American Standard Version. It was protected by copying which was acquired in 1928 by the International Council of Religious Education, and in due course this body determined on a revision. A committee of thirty-two scholars began work in 1937; they did not attempt a new translation, but a new version based on its predecessors of 1611, 1881 and 1901, with due consideration given to most recent opinions. The New Testament was published in 1946 and the two Testaments together in 1952 – the Standard Revised Version.

Its welcome was surprising and was deserved. English readers on both sides of the Atlantic appreciated the fact that here was the Bible in good literary English, unspoilt by Americanisms and free from such  obsolescent words as ‘saith’ and ‘thou’. It was really the first of the twentieth-century Bibles which seemed to promise ‘to do for today and tomorrow what we Authorized Version did for the seventeenth and following centuries’. Criticism was nearly all based on doctrinal points, and an actual test conducted on 1,358 children in Ohio proved that it was more readily and accurately understood than was the Authorized Version. A translator unconcerned with doctrine could wish for nothing better.

Many readers will be surprised to learn that between 1902 and 1966 at least twenty-eight versions of the Bible, or at any rate of considerable parts of it, were produced in the English language.

 

Era, così come era stata concepita, una resa migliorata del testo greco e per questo motivo fu ampiamente approvata nei college e usata dagli studenti, perché la sua accuratezza testuale controbilancia altre caratteristiche. Non può essere letta con lo stesso piacere dei sensi: in breve, è un esempio di ciò che è già stato descritto come «traduttese».

Un’edizione della Revised Version con modifiche più accettabili per la cultura americana fu pubblicata nel 1901 ed è conosciuta come la American Standard Version. Era protetta da copyright, che nel 1928 fu acquisito dall’International Council of Religious Education e a un certo punto quest’organo decise che era necessaria una revisione. Una commissione di trentadue studiosi si mise al lavoro nel 1937. Non si cimentarono in una nuova traduzione, ma in una nuova versione basata sulle precedenti del 1611, 1881 e 1901, dando il dovuto peso alle opinioni più recenti. Il Nuovo Testamento fu pubblicato nel 1945 e i due Testamenti insieme nel 1952: la Standard Revised Version.

Fu accolta in modo sorprendente e meritato. I lettori inglesi da entrambi le parti dell’Atlantico apprezzarono il fatto che fosse una Bibbia in un buon inglese letterario, non contaminata da americanismi e libera da parole obsolete come «saith» e «thou». Fu davvero la prima delle Bibbie del Novecento che sembrava promettere «di fare per oggi e per domani, quello che l’Authorized Version ha fatto per il Seicento e i secoli successivi». Le critiche erano quasi tutte fondate su questioni dottrinali e un vero test condotto su 1358 bambini del’Ohio dimostrò che era più leggibile e comprensibile rispetto all’Authorized Version. Un traduttore che non si preoccupa della dottrina non potrebbe volere di meglio. Molti lettori saranno sorpresi di apprendere che tra il 1902 e il 1966 furono realizzate in inglese almeno ventotto versioni della Bibbia, o comunque di parti considerevoli.

 

 

Why did this happen? No translator of the Bible can hope to produce a greater literally masterpiece than the Authorized Version, and it consequence there is reason for an examination of the hopes and ideals of modern translators.

One cannot begin such an examination without recalling the universal, fundamental and wholly natural tendency among all peoples to prefer the language in which they read Holy Writ to be slightly archaic, old-fashioned if it please you, slightly different from the language of the market-place or even of the study, slightly mysterious in phrase and in image. All such people will read ‘And the veil of the Temple was rent in twain’ with far greater satisfaction than its modern paraphrase: ‘And the curtain in the Temple was torn in half’.

Obviously the Authorized Version satisfies these desires. Equally obviously there are many who sincerely believe that the message of the Bible can only be understood, appreciated, and in the literal sense assimilated into the reader’s character if it is put before him in the plain speech of modern times. Translators who share this opinion do not hope to do more than to produce a version in acceptable English, fit to be considered as a reasonable alternative to the Authorized Version. their belief must be that they are making the Bible easier to read, and that they are thereby increasing the number of its readers, a wholly laudable object.

Others are evidently working under the inspiration of scholarship.

Learning and scholarship continuously improve our knowledge of the earliest sources of the Bible text and also of the languages in which it was written, so that we are becoming increasingly aware that in the traditional versions there are mistakes which can be corrected, obscure passages that need no longer remain difficult, and preferable readings to passages which at one time seemed to offer alternatives.

 

Perché? Nessun traduttore della Bibbia può sperare di creare un capolavoro letterario migliore della Authorized Version e di conseguenza vale la pena di esaminare le speranze e gli ideali del traduttori moderni.

Non si può cominciare un’analisi di questo tipo senza ricordare la tendenza universale, fondamentale e totalmente naturale in tutti i popoli a preferire, per le Sacre Scritture, una lingua piuttosto arcaica, fuori moda se preferite, un po’ diversa dalla lingua del mercato o anche dello studio, con frasi e immagini misteriose. Queste persone leggevano «and the veil of the Temple was rent in twain» con maggior soddisfazione rispetto alla parafrasi moderna «and the curtain in the Temple was torn in half».

È chiaro che l’Authorized Version soddisfa questi desideri. È ugualmente chiaro che ci sono molti che credono sinceramente che il messaggio della Bibbia possa essere capito, apprezzato e assimilato nel suo senso letterale solo nella lingua semplice dei tempi moderni. I traduttori che condividono questo pensiero non sperano di fare altro che produrre una versione in un inglese accettabile, che possa essere considerata un’alternativa alla Authorized Version. Il loro credo deve essere di realizzare una Bibbia più facilmente leggibile e quindi di aumentare il numero di lettori: scopo senz’altro lodevole.

Altri stanno evidentemente lavorando ispirati all’accademia. Lo studio e l’accademia migliorano continuamente la nostra conoscenza delle più antiche fonti del testo della Bibbia e anche le lingue in cui è stato scritto e così siamo sempre più consapevoli del fatto che nelle versioni tradizionali ci sono errori che possono essere corretti, passi oscuri che non è necessario rimangano difficili e letture preferibili a passi che un tempo sembravano offrire alternative.

 

 

These defects, and others, scholarship is now prepared to remove or reduce, to present us with a version of the Bible which is written in modern English and is accurate because it tells us, as nearly as is possible, what the original authors really meant us to read.

In an attempt to estimate fairly the results of revision, the principle of reader-analysis, used elsewhere, may helpfully be repeated, asking question, Why does anyone read the Bible? The readers may be divided into the following groups:

1)    The clergy and the theological students, who must always maintain a professional concern of the Bible, which fills the place of their fundamental textbook.

2)    The devout men and women who lead Christian lives, and who read the Bible regularly in the course of their devotions.

3)    Less regular readers who are, however, likely at any time to read a few verses, a page, or a chapter, solely for their own satisfaction.

4)    All the members of the congregations in churches and chapels, to whom the Bible is read aloud in public worship.

 

The first group hardly enters the present discussion, for professors are expected to know as much as possible of their subject, and like all scholars must keep abreast of its progress. But the facts remain that, first, a striving after scholarly accuracy is largely discounted by the absence of any indisputably accurate original Hebrew or Greek versions. The available sources are not ‘original’, they are copies, or copies of copies of copies, and all of them different and inaccurate and puzzling in various degrees.

 

 

L’accademia ora è pronta a rimuovere o ridurre questi e altri difetti, per darci una versione della Bibbia scritta in inglese moderno e che sia accurata perché ci dice il più possibile quello che gli autori originali davvero volevano che leggessimo.

Nel tentativo di valutare con equità i risultati della revisione, il principio dell’analisi dei lettori, usato altrove, potrebbe essere utilmente ripetuto domandandosi «perché una persona legge la Bibbia?» I lettori possono essere divisi nei seguenti gruppi:

1)    Il clero e gli studiosi di teologia che devono sempre mantenere un interesse professionale per la Bibbia, che rappresenta il loro libro di testo fondamentale.

2)    Le donne e gli uomini devoti che conducono vite cristiane e che leggono la Bibbia regolarmente nel corso delle loro preghiere.

3)    I lettori meno regolari, che comunque è possibile leggano qualche verso, pagina o capitolo semplicemente per piacere personale.

4)    Tutti i membri delle congregazioni nelle chiese e nelle cappelle, ai quali la Bibbia viene letta ad alta voce durante le funzioni religiose.

 

Il primo gruppo difficilmente rientra in questo dibattito, dal momento che ci si aspetta che i professori sappiano il più possibile della loro materia e che come tutti gli studiosi si tengano aggiornati. Ma il punto rimane che, prima di tutto, il dibattito sull’accuratezza accademica è ampiamente inficiato dalla mancanza di una versione originale greca o ebraica incontestabile. Le fonti disponibili non sono “originali”, ma copie, o copie di copie di copie e sono tutte diverse, non accurate e enigmatiche a vario titolo.
The maker of a really new  translation has to choose between a number of imperfect sources, and in places of divergence he has to choose the one he prefers, or condemn them all and make his own emendation.

The second question asks how great is the appeal of pure scholarship in the world of today; what is its place, if any, in the Welfare State? One has nor heard the bishops and archbishops loudly proclaiming from the Episcopal pulpits the virtues of the latest translations, nor asking for their general use in their dioceses. And yet, since bishops may not illogically be supposed to represent in general the scholarly element in what is essentially a learned vocation, their doing so would be a justification of the scholars’ views, and would support the idea that scholarly accuracy in the text of the scriptures was of overwhelming importance.

The fourth group does not ask for much space, for its members have little opportunity to express their opinions on what is read to them, or to state their wishes as to what should be read. This leaves the second and third groups, which are much the largest, and therefore the most important for the translator who wishes to reach the hearts and minds of his readers. The fundamental fact about both the devout and the casual reader is that nearly all of them learned to know and to love the Authorized Version during the impressionable years of childhood. This is of overwhelming importance; all that is contained and implied in the phrase ‘at their mother’s knee’ colours the whole of their Bible reading.

The conservatism of children is well known; and it is a characteristic of all human minds that they resent and oppose change. That their opposition may be illogical, their resentment indefensible, and their whole attitude obstructionist, is of no significance, for their attitude is universal and constitutes a real factor in human progress in every sort of human activity.

 

Chi si appresta a realizzare una traduzione davvero nuova della Bibbia deve scegliere tra molte fonti imperfette e in caso di discrepanze deve optare per quella che preferisce o bocciarle tutte per fare la sua correzione personale.

La seconda domanda è «quanto interessa l’accademia pura nel mondo di oggi? Quale il suo posto, se ne ha uno, nel welfare state?» Nessuno ha mai sentito i vescovi e gli arcivescovi annunciare a gran voce dal pulpito le traduzioni appena uscite e neanche  chiedere che vengano usate nella diocesi. Tuttavia, dal momento che i vescovi dovrebbero rappresentare, non senza motivo, l’elemento accademico di quella che essenzialmente è una vocazione colta, il loro agire in questo modo sarebbe una giustificazione delle opinioni degli studiosi e confermerebbe l’idea che l’accuratezza accademica del testo delle scritture è di enorme importanza.

Il quarto gruppo non richiede un’ampia trattazione, dal momento che i credenti hanno poche possibilità di esprimere le loro opinioni su quello che viene loro letto. Rimangono il secondo e il terzo gruppo, che sono i più numerosi e quindi i più importanti per il traduttore che voglia raggiungere il cuore e la mente dei lettori. Il punto fondamentale sia per il lettore devoto sia per quello occasionale è che più o meno tutti hanno imparato a conoscere e ad amare l’Authorized Version da piccoli, quando si è più impressionabili. Questo è di importanza estrema; tutto ciò che è contenuto e sottinteso nella frase “at their mother’s knee” colora l’intera lettura della Bibbia. È noto che i bambini sono conservatori. È inoltre una caratteristica della mente umana rifiutare o ostacolare i cambiamenti. È irrilevante che la loro opposizione possa essere illogica, il loro risentimento indifendibile e la loro modo di pensare ostruzionistico, poiché il loro atteggiamento è universale e costituisce un vero fattore del progresso umano in ogni tipo di attività umana.

 

But there are others, and their name is legion, who form indeed the greater part of the rising generation. When Sir Arthur Quiller-Couch spoke of the prose of the Authorized Version, he said ‘It is in everything we see, hear, feel, because it is us, in our blood’.

These words occur at the end of a lecture which gave in May 1913. read today, more than half a century later, they might easily evoke the comment ‘It sure is not’. And this is true. The generation that learned of the Bible at their mother’s knees has been replaced by another; mothers have been more variously employed and their knees have found different functions. Their children have changed accordingly. At one time it was said that we do less than justice to the newer translations if we conclude that they have improved those parts of the Bible that nobody wants to read and have failed to leave those parts that everybody reads in the form in which all will continue to do so; but opinions also change, and the Bibles of the present century deserve a sympathetic consideration.

A survey of all these Bibles shows the uniform intention of making the book more freely read by the multitude. The example was set by Dr Weymuth, whose New Testament in modern speech in 1903 was the first undoubtedly successful attempt to present the gospels and epistles in the language of contemporary Englishmen. Other versions at about the same time were not so popular, and this may have been in part due to Weymouth’s scholarly yet balanced point of view.  He said that ‘without a tinge of antiquity it is scarcely possible that there should be that dignity of style that befits the sacred themes’. Clearly, the operative word is ‘tinge’, implying that the antiquity must not be obtrusive; and this opinion survives to the present day, for we have been told by Dr Alexander Jones of Liverpool that in forfeiting ‘biblical language’ we lose something that is ‘very precious’.

 

Ma ci sono anche altri, e potremmo dire che il loro nome è legione, che di fatto costituiscono la maggior parte della nuova generazione. Quando Sir Arthur Quiller-Couch parlò della prosa dell’Authorized Version disse «È in tutto ciò che vediamo, sentiamo, proviamo, perché è dentro di noi, nel nostro sangue».

Queste furono le sue parole alla fine di una conferenza che tenne nel marzo del 1913. Letta oggi, più di mezzo secolo più tardi, potrebbe facilmente suscitare il commento «non è di sicuro così». E questo è vero. Questa generazione che ha conosciuto la Bibbia sulle ginocchia della madre è stata sostituita da un’altra; la madre ha avuto un impiego più eterogeneo e le sue ginocchia hanno svolto altre funzioni. I loro figli sono cambiati di conseguenza. Una volta si diceva che non rendiamo affatto giustizia alle traduzioni più recenti se ci limitiamo a dire che hanno migliorato le parti della Bibbia che nessuno vuole leggere e invece hanno lasciato invariate le parti che tutti leggono nella forma in cui tutti continueranno a leggerle. Ma anche le opinioni cambiano e le Bibbie di questo secolo meritano una considerazione positiva.

Uno sguardo generale su tutte queste Bibbie mostra l’intenzione uniforme di rendere il libro più facilmente leggibile da un vasto pubblico. L’esempio viene dal dottor J. Weymouth, il cui New Testament in Modern Speech del 1903 fu il primo e indiscutibilmente riuscito tentativo di presentare i Vangeli e le Epistole nella lingua degli inglesi moderni. Altre versioni pubblicate nello stesso periodo non furono così popolari e questo forse fu dovuto in parte al punto di vista accademico, anche se bilanciato, di Weymouth. Quest’ultimo affermò che  «senza un tocco di antico è poco probabile  che ci sia quella dignità stilistica che si addice ai temi sacri». È evidente che la parola chiave è «tocco» e ciò implica che l’antico non deve essere prominente. Questa opinione sopravvive ancor oggi, perché come dice il professor Alexander Jones di Liverpool, rinunciando alla «lingua biblica» perdiamo qualcosa di «molto prezioso».

 

There are detectable three distinct genera of twentieth-century Bibles. The most primitive are the simple paraphrases that have aimed at nothing more than plain, modern English, with little or no concern for textual accuracy. The most daring fall into the category of pseudo-translation, discussed in Chapter XIII, and in reading them one wonders what their successors will be like in a hundred years’ time. The temptation is irresistible to prophesy that our descendants may open the first chapter of Genesis and read: ‘Well, to start with, God made the earth and the sky; the earth was misshapen and empty and dark everywhere…and he said “Let’s have a light here”… “Ah, that’s good.”’

 

The second genus, which is commendably the largest contains real new translations make by real scholars, driven by devotion and enthusiasm. Many of these reach a surprisingly large number of readers, and their translators are deservedly rewarded. There is always great interest in noting and comparing the short expositions of their translators have included in their prefaces. And these differ. Dr James Moffatt, for example, whose New Testament was published in 1913 and Old Testament in 1924, wished to ‘present the books of the Old and the New Testaments in effective, intelligible English’. Monsignor Ronald Knox, whose translation has been received by the Roman Catholic Church as a worthy companion, or perhaps a successor, to the Douai Bible, aimed at a ‘timeless, acceptable’ English; and the Reverend J. B. Phillips, whose successes in this sphere have been the most spectacular, set himself the seemingly impossible task of ‘forgetting’ the Autohrized Version and the translating the Greek Testament ‘s if it were new’.

 

Si possono individuare tre generi distinti di bibbie del Novecento. Le più primitive sono le semplici parafrasi che miravano a nient’altro che a un inglese semplice e moderno, con un’accuratezza testuale minima, se non inesistente. Le più ardite costituiscono la categoria delle pseudotraduzioni, discusse nel capitolo XIII, la cui lettura ci fa domandare come saranno le traduzioni che verranno fra centinaia di anni. È irresistibile la tentazione di predire che i nostri successori potrebbero aprire il primo capitolo della Genesi e leggere «Bene, per cominciare Dio creò la terra e il cielo; la terra era deforme e vuota e tutta buia…e disse “Facciamo un po’ di luce qui”… ”Oh, così va bene”».

Il secondo tipo, che lodevolmente è il più numeroso, contiene traduzioni sicuramente nuove, fatte da veri studiosi, guidati da entusiasmo e devozione. Molte di queste versioni raggiungono una quantità sorprendente di lettori e i loro traduttori sono meritatamente ricompensati. È sempre grande l’interesse nell’annotare e confrontare le brevi esposizioni dei loro princìpi, che i traduttori espongono nelle prefazioni. E queste differiscono l’una dall’altra. Per esempio il professor James Moffatt, il cui Nuovo Testamento venne pubblicato nel 1913 e il Vecchio nel 1924, desiderava «presentare i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento in un inglese efficace e comprensibile». Il monsignor Ronald Knox, la cui traduzione è stata accolta dalla chiesa cattolica come degna compagna, o forse erede, della Bibbia di Douai, mirava a un «inglese senza tempo e accettabile». Il reverendo J. B. Phillips, i cui successi in questo campo furono i più spettacolari, si prefisse quello che sembrava l’impossibile obiettivo di «dimenticare» l’Authorized Version e di tradurre il Testamento greco «come se fosse nuovo».

 

Obviously, there is nothing to prevent anyone from reopening the familiar Greek Testament, with which in years gone by he gained admission to Oxford or Cambridge, and setting about the same task, and, in fact, a number of men have done so. The most significant differences are to be found between the theologians, whose practical knowledge of Greek is almost limited to the New Testament, and those who have a classical scholar’s wider familiarity with the literature of ancient Greece.

The thirds and the most sophisticated genus contain the new translations made by committees of scholars, made slowly and with the greatest possible care, with reference to and comparisons of the most trustworthy of the ancient scripts. In our generations nothing has approached the New English Bible and the Jerusalem Bible.

A suggestion that a completely new translation of the Bible should be undertaken was made at the General Assembly of the Church of Scotland in 1946. the idea met with general approval, a committee was formed in the following year, and, meeting in Westminster Abbey under Bishop Hunkin of Truro, appointed three panels of translators and a fourth panel of literary advisers. General director of the whole enterprise was Professor C. H. Dodd of Cambridge.

The panels worked slowly, with constant interchange of drafts, corrections and opinions; and the version of the New Testament was approved in March 1960, representing thirteen years’ work.

 

È ovvio che non c’è niente che vieti di riaprire il solito Testamento greco, con il quale anni prima ci si è guadagnati l’ammissione a Oxford e Cambridge e prefiggersi lo stesso obiettivo e, infatti, in molti l’hanno fatto. Le differenze più significative vanno ricercate fra i teologi, la cui conoscenza pratica del greco è limitata quasi esclusivamente al Nuovo Testamento e coloro che invece hanno una dimestichezza più ampia e di stampo classico con la letteratura dell’antica Grecia.

Il terzo e più sofisticato tipo contiene le nuove traduzioni fatte da commissioni di accademici, lentamente e con la maggior cura possibile, con riferimenti a e paragoni con i testi antichi più attendibili. Nella nostra generazione niente ha eguagliato la New English Bible e la Jerusalem Bible.

La proposta di intraprendere una traduzione completamente nuova della Bibbia fu avanzata all’Assemblea Generale della Church of Scotland nel 1946. L’idea raccolse il consenso generale e negli anni successivi venne creato un comitato che, riunitosi nell’Abbazia di Westminster sotto la guida del vescovo Hunking di Truro, designò tre panel di traduttori e un quarto di consulenti letterari. Il direttore generale del progetto era il professor C. H. Dodd di Cambridge.

I panel lavoravano lentamente, con uno scambio continuo di bozze, correzioni e opzioni. La versione del Nuovo Testamento fu approvata nel marzo del 1960, dopo tredici anni di lavoro.

 

Professor Dodd has told us of the principles and ideals that the translators had set before themselves. They wished to produce a Bible which should be an accurate transcription of the best authenticated texts, which should be scholarly with no trace of pedantry, which above all should be couched in modern English idiom with a preference for short and simple sentences; and which should be equally suitable for reading aloud or for private study. If this were accomplished, the hope that the New English Bible would be universally accepted as an authoritative translation, and one which would encourage many to become more familiar with the words and doctrines of the scriptures.

Immediately on its publication the New English Bible received the widespread examination that was only to be expected, and Dr D. Nineham has done valuable service by editing a large collection of these reviews. They show, inevitably, a large number of individual comments on isolated words and phrases, most of which are negligible since there is no reason to suppose that the critics were better scholars than the translators. As a work of translation the New English Bible has received more care from competent scholars than had any of its predecessors: it is undoubtedly more easily read by the ‘ordinary man’ who does not know the Authorized Version particularly well, and is therefore likely to achieve its aim of producing a better and more widespread appreciation of the fundamentals of Christianity. The theologians have been more generous in their early assessments than have the purely literary critics; the have praised its faithfulness to the original Greek, and have especially commented the way in which  it succeeds in bringing out the differences between the styles  of the different books. This is an uncommon virtue in Bible translations: there is a tendency to translate as if all four gospels had been written in faultless, literary Greek of their time, whereas they were written in more colloquial styles, and with different feelings and purposes.

 

 

Il professor Dodd ci ha esposto i princìpi e gli ideali che i traduttori si erano imposti. Volevano creare una Bibbia che fosse un’accurata trascrizione dei migliori testi autenticati che, dal punto di vista accademico, non fosse per nulla pedante e che soprattutto fosse scritta nell’inglese moderno con una preferenza per le frasi semplici e corte. Inoltre volevano che fosse ugualmente adatta alla lettura pubblica e allo studio privato. Il raggiungimento di questi obiettivi avrebbe fatto sperare in un’accettazione universale come traduzione autorevole che avrebbe incoraggiato molti a prendere più confidenza con le parole e la dottrina delle scritture.

Immediatamente dopo la sua pubblicazione, come ci si aspettava, la New English Bible è stata ampiamente esaminata e il professor D. Nineham ha dato un prezioso contributo curando una vasta raccolta di recensioni. Queste inevitabilmente contengono molti commenti personali riguardo a parole e frasi isolate, la maggior parte delle quali sono trascurabili, dal momento che non c’è motivo di credere che i critici siano esperti più capaci dei traduttori. Come opera di traduzione la New English Bible ha ricevuto da studiosi competenti più  attenzione delle versioni precedenti: è indubbiamente più facile da leggere per «l’uomo comune» che non conosce particolarmente bene la Authorized Version; ha quindi probabilmente raggiunto il suo obiettivo di far apprezzare meglio e di più i fondamenti della Cristianità. I teologi sono stati più generosi nelle loro prime valutazioni di quanto non lo siano stati i critici puramente letterari. Hanno lodato la sua fedeltà all’originale greco e hanno elogiato in particolar modo come riesce a far emergere la differenza tra gli stili dei vari libri. Questa è una virtù poco comune nelle traduzioni della Bibbia: c’è una tendenza a tradurre come se i quattro Vangeli fossero stati scritti nel greco impeccabile e letterario del loro tempo, nonostante fossero scritti con stili più colloquiali e con sentimenti e scopi diversi.

 

The New English Bible is a welcome expression of contemporary opinion among theologians, and as such it is of the greatest value to students. Laymen have freely found fault with it, largely because it lacks the lilt and rhythm of the Authorized Version. Yet they have applauded its approach to ‘the current speech of our time’ and the abandonment of any foredoomed attempt to design a ‘timeless’ English, when there can be no such language.

 

The book is reported to have sold six millions copies in its first four years, proof, if proof were needed, that it is a really great achievement in an age in which neither Christianity nor scholarship is even moderately conspicuous. It is therefore worth recording the creation of a by-product of the translator’s labours in the form of revised text of the Greek New Testament, edited by Dr. R. V. G. Tasker.

 

While we are awaiting the Old Testament of the New English Bible the gap  is filled by  the publication of the Old Testament if the Jerusalem Bible in 1966. This very large volume takes its name from the School of Biblical Studies, where some years ago a group of Dominican scholars undertook a translation of the Hebrew and Greek texts into French. La Bible de Jérusalem was an unqualified success all over France and in other Roman Catholic countries.

The English version was also a new translation, made by English Catholics from the same sources and continuously compared with its French counterpart, a method of production that has had no precedent in translating. Readers and reviewers alike have praised the style of the translation with a surprising consistency, and there can be no doubt that this version appears in delightful and lucid English. Moreover, it reflects more than might be expected of the poetry of the poetical books and passages.

A final appraisal of so many translations covering so long a period of time is as nearly impossible as can be imagined, yet a few thoughts seem to be clear.

 

La New English Bible è un’apprezzabile espressione dell’opinione contemporanea tra i teologi e come tale è di grandissimo valore per gli studenti. I laici l’hanno abbondantemente criticata, principalmente perché le mancano la cadenza melodiosa e il ritmo dell’Authorized Version. Tuttavia hanno lodato il suo approccio al «discorso parlato del nostro tempo e l’abbandono del tentativo utopistico di creare un inglese “senza tempo”», dove non può esistere una lingua di questo tipo.

Secondo i dati, il libro avrebbe venduto sei milioni di copie nei primi quattro anni, prova, se fosse necessario, che è davvero un grande successo in un’epoca in cui né cristianesimo né accademia sono anche solo moderatamente importanti. È quindi degna di nota la creazione di un prodotto collaterale delle fatiche del traduttore nella forma di un testo revisionato del Nuovo Testamento greco, curato dal dottor R. V. G. Tasker.

Mentre aspettiamo l’Antico Testamento della New English Bible, il vuoto è colmato dalla pubblicazione dell’Antico Testamento della Jerusalem Bible nel 1966. Questo grandissimo volume prende il nome dalla School of Biblical Studies, dove qualche anno fa un gruppo di studiosi domenicani ha intrapreso in francese una traduzione dei testi ebraici e greci. La Bible de Jérusalem è stata un successo senza pari in tutta la Francia e negli altri paesi cattolici romani.

La versione inglese era una versione nuova fatta da cattolici inglesi, confrontandola continuamente con la controparte francese e basata sulle stesse fonti, metodo produttivo che non aveva precedenti nella traduzione. I lettori e i recensori hanno lodato lo stile della traduzione con una coerenza sorprendente e senza dubbio questa versione è scritta in un inglese gradevole e chiara. Inoltre riflette più di quello che ci si aspetterebbe la poesia dei libri e dei passi poetici.

Un valutazione finale di così tante traduzioni che coprono un periodo così lungo è, come si può ben immaginare, quasi impossibile; tuttavia alcune riflessioni sembrano assodate.

 

The whole period from 1382 to 1966 has been one of almost continuous correction and revision, and there is no reason to suppose that this correction and revision will ever cease. Changes in our knowledge of the ancient languages occur and modify belief as to the nearest equivalents of various words and phrases. More rapidly our own language changes, both in the associations of words and the effects of idioms, so that what was once a good translation may become an incongruous one a decade or two later. Moreover, the readers differ. The historically minded may find satisfaction in the books of the Old Testament; the lovers of poetry, even though it be translated poetry, may share this satisfaction in the poetical books, and while the devout will want little beyond the gospels, the mystics may turn to the Revelation and the academic students to the sometimes involved words of St Paul. To make an ideal all-purposes Bible is probably as difficult or as impossible as to find a universally satisfying ideal in any other facet of human activity.

 

L’intero periodo che va dal 1382 al 1966 è stato caratterizzato da un’opera continua di correzione e revisione e non c’è motivo di credere che queste correzioni e revisioni cesseranno. Cambiamenti nella nostra conoscenza delle lingue antiche modificano le opinioni circa i traducenti più prossimi di parole e frasi varie. La nostra lingua cambia ancora più rapidamente, sia per quanto riguarda le associazioni di parole, sia negli effetti dei modi di dire, così che quella che una volta era una buona traduzione potrebbe diventare dieci o vent’anni più tardi disarmonica. Inoltre anche il lettore cambia. Quello interessato agli aspetti storici può trovare soddisfazione leggendo i libri dell’Antico Testamento; gli amanti della poesia, anche se tradotta, possono condividere questa soddisfazione per i libri poetici e mentre il devoto vorrà qualcosa di più dei Vangeli, i mistici potrebbero rivolgersi alla Rivelazione[1] e gli accademici alle parole a volte difficili di San Paolo. Realizzare una Bibbia ideale per tutti gli scopi è probabilmente difficile o impossibile quanto trovare un ideale in ogni altro aspetto dell’attività umana, che sia universalmente soddisfacente.


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[1] Solitamente tradotta come «Apocalisse».

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