Zuzana Jettmarová: Czech and Slovak Translation Theories

 

Zuzana Jettmarová: Czech and Slovak Translation Theories

JENNIFER PERLETTI

Fondazione Milano

Milano Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18   20151 MILANO

Relatore: professor Bruno Osimo

Diploma in Mediazione Linguistica

Dicembre 2010

 

 

© Zuzana Jettmarová

© Jennifer Perletti per l’edizione italiana 2010

 

Zuzana Jettmarová: Teorie Traduttive ceche e slovacche

(Zuzana Jettmarová: Czech and Slovak Translation Theories)

 

Abstract in italiano

In questa tesi è presentata un’analisi dei problemi traduttivi riscontrati in un capitolo preso da un lavoro di Zuzana Jettmarová riguardante le teorie traduttive ceche e slovacche. La tradizione ceca e slovacca è poco conosciuta e spesso malinterpretata. Vengono analizzati i problemi traduttivi riguardanti la traducibilità culturale, la traduzione di termini settoriali e non. Sono stati presi ad esempio alcuni termini per ogni categoria; per ogni termine è stata data la definizione e la motivazione che ha portato alla scelta di un determinato traducente e all’esclusione di altri.

 

English abstract

This thesis shows an analysis of the translation problems that have been found in a chapter of Zuzana Jettmarová’s book about the Czech and Slovak translation theories. The Czech and Slovak tradition is little known and often misinterpreted. The translation problems analysed in this thesis concern cultural translatability and the translation of technical terms and common words.  for each category some examples are provided; there is a definition for each term that has been analysed and the reason why a given translatant has been chosen instead of others.

 

Zusammenfassung

Diese Abschlussarbeit befasst sich mit Problemen der Übersetzung eines Kapitels aus dem Buch von Zuzana Jettmarová über Aspekte der tschechischen und slowakischen Übersetzungstheorie, deren Tradition nur wenig bekannt ist und oft falsch interpretiert wird. Im Mittelpunkt stehen Fragen der Übersetzbarkeit von Kulturen sowie der Übersetzung von Fach- und Standardsprache anhand einer Reihe von Beispielen. Für jedes Wort werden eine Definition und die Begründung angegeben, die zur entsprechenden Übersetzungsentscheidung geführt hat.

 

Sommario

 

1. Prefazione  3

1.1 Introduzione  4

1.2 Traducibilità Culturale  6

1.3 Traducibilità Settoriale  10

1.4 Traducibilità non Settoriale  13

2. Traduzione  18

3. Riferimenti bibliografici della prefazione  121

 

 

 

1. Prefazione


1.1 Introduzione

«For us structuralism automatically means our structuralism, but for the rest of the world it means the French one, and so the jolly misunderstanding keeps going on» (Volek 2005:135; transl. Z. J.)

Questa frase può essere considerata riassuntiva del testo da me tradotto per la tesi:

un testo teorico sullo strutturalismo. Qui però lo strutturalismo viene visto da un diverso punto di vista. Mentre tutti associano lo strutturalismo praghese a Jakobson e quindi al formalismo russo, in questo testo viene espressa una teoria diversa: viene analizzata la nascita dello strutturalismo praghese, che non ha nulla a che fare con il formalismo russo. Si analizzano le cause che hanno relegato lo strutturalismo praghese dietro una cortina di ferro impedendogli di diffondersi. È bene quindi dare una definizione delle diverse scuole.

• Strutturalismo praghese: nasce negli anni Venti a Praga, ed è il risultato di numerose assimilazioni: la tradizione ceca dell’estetica e della linguistica, il formalismo russo, la linguistica di Saussure, il modello del sistema epistemologico di Bühler, la fenomenologia di Husserl, la sociologia di Durkheim, la logica di Carnap ecc. Il campo della poetica strutturale praghese si concentra sulla dimensione del testo sia come artefatto sia come opera d’arte integrata nel suo contesto storico della recezione e con i suoi effetti contestuali; da qui l’origine di concetti dinamici della scuola di Praga come «norme» e «valori».

• Strutturalismo francese: nasce tra gli anni Sessanta e Settanta dagli studi di Ferdinand De Saussure, che intese la lingua come un sistema autonomo e unitario di segni, occupandosi dei valori e delle funzioni determinate dalle relazioni reciproche dei singoli elementi linguistici, considerati come parti di un ordinamento strutturale in continua interdipendenza e interazione. Secondo lo strutturalismo, la storia è un’insieme discontinuo di processi eterogenei retti da un sistema impersonale di strutture psico-antropologiche, culturali, economiche, ecc. Parallelamente, contro l’interpretazione della realtà in termini di divenire e progresso lo strutturalismo difende il primato di una considerazione volta a studiare la realtà come un insieme relativamente costante e uniforme di relazioni. Da qui la tendenza a privilegiare il punto di vista sincronico rispetto a quello diacronico.

• formalismo russo: la scuola formalista si è sviluppata in Russia negli anni Venti, i suoi maggiori esponenti sono stati: Viktor Šklovskij, Ûrij Tynânov, Boris Èjhenbaum, Roman Jakobson, Grigorij Vinokur. Il formalismo si è poi suddiviso in due distinti movimenti: l’OPOJÂZ (Obscestvo Izučeniâ Poetičeskogo Âzyka – La Società per lo studio del linguaggio poetico) a San Pietroburgo e il Circolo linguistico a Mosca. I formalisti più estremisti ritenevano che la forma avesse un valore preponderante rispetto al contenuto semantico, e che quindi il testo andasse analizzato esclusivamente nei suoi aspetti formali. In questo modo viene rovesciato il concetto stesso di «contenuto».

La traduzione di un testo così fortemente teorico, riguardante un argomento poco diffuso, mi ha portato ad avere diverse difficoltà nella sua traduzione, ho quindi deciso di effettuare un’analisi traduttologica, in cui descriverò i problemi riscontrati nella traduzione.

Qui di seguito verranno quindi suddivisi in punti e trattati i problemi da me affrontati. La suddivisione non rispecchia l’ordine in cui sono apparsi i problemi, ma è volta ad racchiudere in categorie le problematiche riscontrate.

1.2 Traducibilità Culturale

«People sometimes forget that an interpreter must translate not just from language to another but from one culture to another. Sometimes, the equivalent idea simply does not exist in both cultures» (Jurga Zilinskiene, titolare dell’agenzia Today Translations)

La differenza culturale ha infatti un’importanza estremamente rilevante ai fini della traduzione. È bene sottolineare infatti che Zuzana Jettmarová non è di madrelingua inglese. La scelta di scrivere in lingua inglese deriva dal desiderio di riuscire a diffondere le teorie dello strutturalismo ceco e slovacco fino ad ora relegate all’interno di un ambiente poco conosciuto, la cui lingua ne ha impedito la diffusione. Questo comporta che l’autrice in prima persona abbia dovuto trasformare il proprio concetto mentale in un testo scritto, non nella sua lingua madre, ma in inglese. Zuzana Jettmarová quindi non è solo autrice di questo testo, ma anche traduttrice. Il processo traduttivo lascia dietro di sé dei residui ai quali si aggiunge una differenza culturale tra la lingua del testo mentale e quella del testo scritto. La cultura è:

un complesso di idee, di simboli, di azioni e di disposizioni storicamente tramandati, acquisiti, selezionati e largamente condivisi da un certo numero di individui, mediante i quali questi ultimi si accostano al mondo in senso pratico e intellettuale (Fabietti 2004: 12).

Come si può ben capire da questa affermazione la cultura è un elemento di fondamentale importanza nella stesura di un testo, e ancora più importante nella sua traduzione. Ciò che per l’autore e per la sua cultura risulta scontato, può non esserlo per la cultura ricevente. Nel testo da me tradotto vi sono esempi, in cui si nota l’influenza culturale dell’autrice nel momento in cui ha dovuto stendere il testo, quindi nel passaggio dal ceco all’inglese, in quanto alcuni concetti/termini dati quasi per scontati, in realtà non lo sono per il lettore modello pensato dall’autrice. Il significato dei termini in questione sono infatti noti a quella fascia di lettori con un’istruzione semiotica alle spalle, ma per il lettore occidentale tali termini sono pressoché sconosciuti. Vi sono anche esempi in cui un determinato termine presenta un traducente diverso da quello inteso dall’autrice, proprio per le diverse influenze culturali dell’autore e del lettore.

Parlando concretamente analizzerò due esempi in particolare: il termine translativity e il concetto di literary translation, ovvero la differenza tra la traduzione artistica e la traduzione letteraria.

Inizialmente il termine «translativity» è stato da me erroneamente tradotto con il termine «traducibilità», mentre in realtà la traduzione corretta del termine è «traduzionalità». Il traducente inglese per «traducibilità»è  «translatability»: con questa parola si intende «la possibilità di sostituzione strutturale e culturale o funzionale e semantica, oltre che espressiva, degli elementi linguistici del prototesto con quelli del metatesto. La sostituzione funzionale è ottenuta nel metatesto mediante cambiamenti stilistici». (Popovič  2006:174)

La traduzionalità invece è la relazione comunicativa nella catena di comunicazione tra l’autore del prototesto e il ricevente del metatesto; a seconda del grado di traduzionalità di un testo, il lettore si rende più o meno facilmente conto che si tratta di un testo tradotto. La traduzionalità si realizza nel testo come aspettativa del lettore riflessa dalle opposizioni dialettiche versus metatesto, attualizzazione versus esotizzazione, storicizzazione versus modernizzazione. La traduzionalità si riflette nello stile deltesto e ha carattere semiotico di modellizzazione (Popovič  2006:174)

Quello che mi ha portato in errore nella traduzione del termine translativity è il fatto che culturalmente parlando, il termine è quasi praticamente sconosciuto, mentre può essere considerato parte integrante del vocabolario di uno studioso slavo con alle spalle degli studi linguistici. L’argomento della traduzionalità infatti, viene trattato all’interno del testo da me tradotto, senza alcuna spiegazione a riguardo, è dato quindi per scontato che il lettore sappia di cosa si sta parlando, mentre per quanto mi riguarda è stato necessario un approfondimento per coglierne il significato. Anton Popovič e Jiři Levý invece nelle loro pubblicazioni affrontano ampiamente il tema.

Passando ora al secondo esempio, in inglese parlando di literary translation ci si riferisce alla: translation of literary works (novel, short stories, plays, poems, etc). If the translation of non-literary works is regarded as a skill, the translation of fiction and poetry is much more of an art. (WordIQ Dictionary).

Quando Zuzana Jettmarová utilizza questo termine si riferisce alla «traduzione artistica» mentre noi ci riferiamo alla «traduzione letteraria». Nonostante questa differenza concettuale ho deciso di mantenere come traduzione  il termine «traduzione artistica». Ora cercherò di spiegare le differenze concettuali dello stesso termine (literary translation) nella mia cultura e in quella dell’autrice, in modo da poter esporre la mia scelta traduttiva difronte a questo problema.

Nella concezione italiana la traduzione artistica è un aspetto della traduzione letteraria, un approccio traduttivo al genere letterario in cui si presta particolare attenzione al mantenimento di espressioni e figure retoriche, nonché l’inconfondibile traccia personale del traduttore. Ma come già detto è semplicemente un aspetto della traduzione letteraria ed è quindi legato ad essa, questo non  significa che sia l’unico modo per tradurre un testo letterario, in quanto ad esempio in un testo poetico, si può decidere di applicare una traduzione artistica, rimanendo fedele alle rime e alla metrica e alle figure retoriche, modificando però in modo consistente il significato originale, oppure si può optare per una tipo traduzione in cui si tralascia questa fedeltà per una nei confronti del significato originale del testo.

Con il termine «traduzione letteraria» invece si identificano tutte quelle traduzioni fatte nell’ambito editoriale e non settoriale specialistico.

Per quanto riguarda la cultura dell’autrice si potrebbe dire che il concetto sia pressoché l’opposto. Inizialmente vi erano due tipi di testo: i testi artistici e i testi non-artistici (ossia i testi riguardanti la letteratura specialistica scientifica). Verso gli anni Cinquanta alcuni specialisti della seconda tipo hanno cominciato a considerare la traduzione solo dal punto di vista linguistico, ritenendo che il comune denominatore dei testi artistici e non fosse proprio la loro natura linguistica. In questo modo la traduzione dei testi artistici viene trattata come un caso particolare del concetto di «traduzione» e quindi analizzata come campo specifico. Questa concezione non ha però incontrato l’appoggio della maggior parte dei traduttori di testi artistici, i quali ritenevano che «sottolineando la natura linguistica del processo traduttivo, gli autori citati ignoravano la sua natura creativa e si sono impegnati nel ridar vita, sulla base della traduzione adeguata, all’antica concezione estetica della traduzione del testo artistico.» (Lûdskanov 2008:18) Hanno sviluppato così una concezione diversa di traduzione chiamata «concezione teorico-letterario».

Si può così notare che il concetto di «traduzione artistica» per l’autrice viene generalizzato nell’inglese perdendo così il carico di significato culturale inteso dall’autrice e nel cercare di riportare il testo in italiano ho quindi avuto un ulteriore ostacolo culturale e ho deciso di tradurre il termine literary translation con «traduzione artistica», proprio per rimanere fedele all’autrice e per mettere in risalto la differenza culturale, donando così nuovamente il carico di significato culturale andato perso nell’inglese.

1.3 Traducibilità Settoriale

Dopo una prima lettura, mi sono resa conto che la mia inesperienza riguardo alla traduzione di questo tipo di testi mi avrebbe portato ad avere difficoltà nell’uso di una terminologia corretta. All’interno del testo ho trovato molti termini settoriali di cui non conoscevo il significato. Alcuni dei termini che più mi hanno creato problemi sono stati:

• genre

• markedness

• trasduction

Qui di seguitò darò una definizione dei termini appena citati, per poi spiegare cosa mi ha causato dei problemi e come li ho risolti.

GENRE: Il termine «genre» deriva dal francese. È un termine ampiamente utilizzato nella retorica, teoria del testo e in tempi più recenti anche nella linguistica, per fare riferimento a un determinato genere di testo. Solitamente la definizione di «genre» si basa sul concetto che costituisca una convenzione particolare condivisa da un gruppo di testi riguardante il contenuto e/o la forma. È però difficile definire un particolare genere in termini di sufficienti proprietà testuali e necessità. Spesso accade infatti che mentre si identifica un determinato «genre» per la forma, questo sia diverso per il contenuto. È facile trovare  eccezioni ed è quindi altrettanto difficile, non essendoci regole fisse, riuscire a dare una definizione esatta del termine. Tradizionalmente, soprattutto nella letteratura si tende a considerare il «genre» come un insieme di forme fisse, ma allo stesso tempo la teoria enfatizza la dinamicità delle forme e delle funzioni. Persino l’ordine gerarchico è soggetto a continui cambiamenti. Vista quindi la sua dinamicità, anche la definizione stessa di «genere testuale» è relativa.

Per quanto riguarda la semiotica, il «genre» può essere considerato un codice condiviso, sotto forma di tacito contratto tra l’autore del testo e il lettore.

 

MARKEDNESS: Caratteristica che fa sì che una parte del testo risalti in confronto al contesto o al co-testo, si differenzi dall’enunciato nella forma in cui ce lo si potrebbe facilmente aspettare. Può essere lessicale (per esempio un salto di registro), sintattica (dislocazioni, frasi scisse) stilistica, grafica.

Il termine venne introdotto da  Roman Jakobson, che si occupò per primo dell’opposizione tra marcatezza e non-marcatezza nel 1921. Il suo obiettivo era quello di creare una teoria di significato generale, evidenziando le differenze principali tra il significato generale e contestuale nella morfologia e nella semantica. Il concetto di «marcatezza» è importante nella scienza della traduzione, perché mentre si traduce è necessario riconoscere la marcatezza delle caratteristiche del prototesto al fine di poterle mantenere nel metatesto.

 

SALIENCE:  is the state or condition of being prominent.

Nella semiotica il termine «salience» si riferisce alla relativa importanza o prominenza di un testo o di un segno. Quando si considera la «salience» relativa a un segno particolare in un contesto di altri segni, questa aiuta a classificare velocemente la grande quantità di informazioni in ordine di importanza e quindi a prestare attenzione a ciò che è più importante. Questo processo impedisce a un individuo di essere sovraccarico di informazioni.

In riferimento alla scienza della comunicazione la «salience» viene utilizzata come metro per valutare quanto una percezione prominente o rilevante coincida con la realtà.

 

Per quanto riguarda il termine «genre» ho pensato di tradurlo con il termine «genere», trovandolo però troppo generale, come si può ben notare dalla definizione sopra fornita, ho ritenuto necessario apportare un’aggiunta e ho quindi infine tradotto il termine con «genere testuale». In questo modo sono riuscita a essere più specifica agevolando il lettore nella comprensione del testo.

In riferimento al termine «markedness», una volta compreso il suo significato ho trovato un traducente settoriale adeguato così da poter infine tradurre il termine con «marcatezza».

Mi sono posta un problema relativo alla traduzione del termine «salience», in quanto tradurlo con importanza avrebbe potuto essere riduttivo e avrebbe persino potuto dare adito a fraintendimenti all’interno del testo, in quanto spesso nel testo, accanto al termine «salience» si trovava il termine «important», tradurre entrambi con «importanza» e «importante» avrebbe provocato confusione nel lettore e sarebbe stato più difficile comprendere il testo. Queste ragioni mi hanno portato a scegliere il traducente «prominenza» per tradurre il termine «salience».

1.4 Traducibilità non Settoriale

In questo capitolo mi occuperò invece dei problemi traduttivi riscontrati nei termini non settoriali. Alcuni termini, non sono linguistici, bensì termini settoriali di un altro/i settore/i, che vengono “presi in prestito” dal settore linguistico per poter meglio spiegare alcuni concetti. Questo vale per i termini «modelling» e «transduction».

Il termine «transduction» da me tradotto con trasduzione è solitamente usato nel campo della genetica e della biofisica. In campo genetico, la trasduzione è il processo attraverso il quale il DNA viene trasferito da un batterio a un altro tramite un virus.  Si riferisce inoltre a un processo per mezzo del quale un DNA estraneo può essere introdotto in un altra cellula tramite un virus che funge da vettore. È un mezzo comune usato dai biologi molecolari per inserire stabilmente un gene estraneo nel genoma di una cellula ospitante. Quando i batteriofagi (i virus che infettano i batteri) infettano una cellula batterica, il loro normale metodo di riproduzione prevede di sfruttalre il sistema di replicazione, trascrizione e traslocazione della cellula batterica ospitante per creare numerosi virioni, o completare particelle virali.mentre in biofisica la trasduzione è il processo per mezzo del quale un trasduttore accetta energia sotto una determinata forma e la restituisce energia correlata in una forma diversa, come la trasduzione onde acustiche sottoforma di voltaggio del microfono.

Entrambi gli usi di questo termine si riferiscono a una sorta di passaggio da un determinato elemento a un altro. Ed è proprio uno spostamento quello che intende  Doležel quando parla di «trasduzione» nel tempo e nello spazio: la percezione che si ha dello stesso messaggio viene influenzata  dalla distanza di tempo e da un differente spazio cosicché il messaggio viene percepito in modo diverso.

Questa relazione mi ha portato a usare il termine «trasduzione» sebbene non appartenesse a questo settore.

Per quanto riguarda il termine «modelling» invece, la sua definizione inglese è molto generica e il suo uso è comunque applicato ad altri settori:

modelling:

1. (Fine Arts & Visual Arts / Art Terms) (Non-sporting Hobbies / Modelmaking & Model Railways) the act or an instance of making a model

2. (Clothing & Fashion) the practice or occupation of a person who models clothes

3. (Psychiatry) a technique in psychotherapy in which the therapist encourages the patient to model his behaviour on his own

 

Mi è stato quindi difficile capire come tradurre il termine. Inizialmente lo avevo tradotto con «modellatura». La definizione di questo termine però non era appropriata, in quanto significa: conferimento o assunzione di una determinata forma.

Nel testo invece si parla ad esempio di

«modelling of hierarchically more complex structures (processes and products) yields models readily applicable to less complex structures.»

Quindi il termine «modellatura» non era adatto.

Il termine corretto da usare è «modellizzazione». Con tale termine si intende quel processo cognitivo che porta alla costruzione di un modello di un sistema fisico o processo reale attraverso l’applicazione dei principi basilari di una teoria.

La modellizzazione di un sistema fisico non è un’attività puramente mentale in quanto prevede l’interazione con oggetti reali nelle attività di osservazione e sperimentazione.

Newton, pur senza utilizzare i termini «modello» e «modellizzazione», è stato il primo che ha seguito tale approccio, chiamato modellizzazione Newtoniana.

Il termine «modellizzazione» viene utilizzato anche in campo matematico, rappresenta il processo che  consente di selezionare particolari aspetti di una  realtà (un fenomeno fisico, una situazione in campo  economico, un fenomeno naturale), di rappresentarli con i linguaggi della logica, stabilendo delle relazioni di tipo matematico.

Da queste definizioni si può notare che «modellizzazione» è il termine che più corrisponde a ciò che vine detto nel testo da me tradotto.

Vi sono altri termini invece dove non settoriali, appartenenti al linguaggio comune che mi hanno però creato problemi nella traduzione, in quanto un solo termine inglese può presentare più traducenti italiani, ed è opportuno individuare il traducente corretto a seconda del contesto. In questo caso, il termine che mi ha creato maggiori problemi è stato il termine «language» i cui traducenti possono  essere sia «lingua» che «linguaggio». Mi pare opportuno quindi dare la definizione del termine «language» per poi spiegare le differenze tra «lingua» e «linguaggio».

Secondo il Cambridge learner’s Dictionary (second edition) il termine «language» ha 4 significati:

1. COMMUNICATION [U] communication between people, usually using words.

2. ENGLISH/SPANISH/JAPANESE ETC [C] a type of communication used by the people of a particular country

3. TYPE OF WORDS [U] words of a particular type, especially the words used by people in a particular job

4. COMPUTERS [C,U] a system of instructions that is used to write computer programs

 

Secondo il dizionario Garzanti le definizioni di «lingua» e «linguaggio» sono:

LINGUA: sistema fonematico, grammaticale e lessicale per mezzo del quali gli appartenenti a una comunità comunicano tra loro.

LINGUAGGIO: facoltà degli esseri umani di comunicare tra loro per mezzo della lingua; la facoltà di esprimersi usando un qualsiasi sitema; l’insieme dei mezzi espressivi e stilistici propri di una determinta arte.

 

Si può quindi dedurre che per la lingua inglese il termine «language» comprende entrambi i traducenti italiani, ossia in questo caso la lingua inglese è generalizzante rispetto a quella italiana, che «offe la possibilità di distinguere senza specificazioni ulteriori la distinzione tra il termine più specifico «lingua» (con cui di norma s’intendono le lingue naturali) e il più generico «linguaggio», con cui s’intendono tutti i linguaggi, anche artificiali ed extratestuali, nel cui novero figurano anche quelli naturali, o lingue» (Bruno Osimo: Manuale del traduttore  2008:209).

Una citazione di Saussure a parer mio definisce bene la differenza tra «lingua» e «linguaggio»:

Ma che cos’è la lingua? Per noi, essa non si confonde con linguaggio; essa non ne è che una determinata parte, quantunque, è vero, essenziale. Essa è al tempo stesso un prodotto sociale della facoltà del linguaggio ed un insieme di convenzioni necessarie, adottate dal corpo sociale per consentire l’esercizio di questa facoltà negli individui. Preso nella sua totalità, il linguaggio è multiforme ed eteroclito; a cavallo di parecchi campi, nello stesso tempo fisico, fisiologico, psichico, esso appartiene anche al dominio individuale e al dominio sociale; non si lascia classificare in alcuna categoria di fatti umani, poiché non si sa come enucleare la sua unità. […]Separando la lingua dalla parole, si separa a un sol tempo: 1. ciò che è sociale da ciò che è individuale; 2. ciò che è essenziale da ciò che è più o meno accidentale. […]Il legame che unisce il significante al significato è arbitrario o ancora, poiché intendiamo con segno il totale risultante dall’associazione di un significante a un significato, possiamo dire più semplicemente: il segno linguistico è arbitrario.[…]

(F. de Saussure 1967: 19, 23-24, 83-93).

Una volta colta la differenza tra i due termini sono stata in grado di capire quando tradurre «language» con «lingua» e quando con «linguaggio».

 

 

2. Traduzione

 

 

Czech and Slovak Structuralism – Past and Present

When Jiří Levý published his České theorie překladu (Czech Theories of Translation) in 1957 and his pioneering Umění překladu (The Art of Translation) in 19631, he had a fully-fledged theoretical and methodological framework at his disposal – Prague Structuralism as it haddeveloped during its Classical period (mid 20s – late 40s) and after, as well as the Czech tradition of informed thinking about and discussions of translation functions and methods during the period between the late 19th and early 20th century. Outside his country, isolated behind the ‘iron curtain’, Prague Structuralism continued to be widely misinterpreted, being equated with Russian Formalism and so doomed to oblivion with the advent of post-structuralism. However, the reality was different. While in the 30s and in the post-WWII period Prague influenced not only European linguistic structuralism but also modern linguistics generally, misunderstandings may have arisen from the following two facts: (1) the incorrect assumption that the Russian formalist Roman Jakobson, an important figure in the Czech Classical period, represented once and for all the entirety of what is called Prague Structuralism2; and (2) the wrong assumption that Prague structuralism had been linked with French structuralism, and so both were discarded by post-structuralism in the mid 70s.

This is why one may encounter the surprising claim that “Many of the theoretical ideas and methods of analysis advanced in the post-structuralist period were introduced in the structuralist thought of the Prague School.” (Doležel 2000b: 634)

Identifying post-structuralism with a period in Western intellectual history rather than with a particular ontological or epistemological stance,

 

 

Lo strutturalismo ceco e slovacco – passato e presente.

Quando Jiří Levý pubblicò České theorie překladu (Teorie ceche della traduzione) nel 1957 e il pionieristico Umění překladu (L’arte della traduzione) nel 19631 aveva a disposizione un sistema teorico e metodologico completo: lo strutturalismo praghese così come si era sviluppato durante il periodo classico (metà degli anni Venti fino alla fine degli anni Quaranta) e successivamente, così come la tradizione ceca di una riflessione dotta sulle funzioni e i metodi della traduzione tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

Al di fuori del suo paese, isolato dietro una cortina di ferro, lo strutturalismo praghese continuava ad essere ampiamente mal interpretato, poiché veniva equiparato al formalismo russo e pertanto condannato all’oblio con l’avvento del post-strutturalismo. Tuttavia la realtà era diversa. Sebbene negli anni Trenta e nel secondo periodo post-bellico Praga non influenzasse soltanto lo strutturalismo della linguistica europea, ma anche la linguistica moderna in generale, le incomprensioni possono essere sorte a causa di due fattori: (1) la supposizione inesatta secondo la quale il formalista russo Roman Jakobson, una figura importante all’interno del periodo classico ceco, rappresentasse una volta per tutte l’insieme di ciò che veniva chiamato strutturalismo praghese2; (2) la supposizione errata secondo la quale lo strutturalismo  praghese fosse collegato a quello francese e così vennero entrambi messi da parte dal post strutturalismo alla metà degli anni Settanta.

Ecco perché qualcuno può imbattersi nella sorprendente affermazione «molte delle idee teoretiche e dei metodi di analisi avanzati nel periodo post-strutturalista sono stati introdotti nella corrente di pensiero strutturalista della scuola di Praga» (Doležel 2000b: 634).

Identificando il post-strutturalismo con un periodo della storia intellettuale occidentale piuttosto che con un particolare posizione ontologico o epistemologico,

Doležel (2000b: 634) points out that there is no historical continuity between Prague and French structuralism:

In the minds of many Western theorists, structuralism is associated with French structuralism; therefore, post-structuralism is commonly understood as a theoretical challenge to French structuralism. But the identification of structuralism with its French manifestation is a distortion of an aspect of twentieth century intellectual history. The term structuralism was coined when the concept of structuralism was formulated in Prague in the late twenties. French structuralism ignored this legacy.

This means that there was one road leading from Russia to the pre-war Prague centre ofstructuralist linguistics, aesthetics and poetics, and another one leading to post-war Paris. This also explains, as Doležel (2000b: 635) remarks, that Jakobson, considered a hero of French structuralism, was also considered as a direct link between Russian Formalism and French structuralism. Consequently, the resulting Prague and Paris paradigms were different from each other in spite of having had the ‘Jakobsonian Connection’, but at different times and in different circumstances.

Volek (2005: 296) notes that while French structuralist poetics concentrated on the code and also, in the early 60s, on the text as a carrier of potential meanings, the domain of Prague structuralist poetics was the dimension of text both as an artefact and as a work of art3 embedded in its historical context of reception and with its contextual effects; hence the origin of dynamic Prague concepts such as norms and values. Post-structuralism thus reacted to French structuralism only, while on the other hand French structuralism itself regarded Czech structuralism as a pre-structuralist phenomenon.4 This is also why the Derridean différence, based on the Saussurean linguistic systemic ‘value’,

 

 

Doležel (2000b: 634) evidenzia la mancanza di continuità storica tra lo strutturalismo praghese e quello francese:

nella mente di molti teorici occidentali, lo strutturalismo è associato allo strutturalismo francese; pertanto il post-strutturalismo viene comunemente inteso come una sfida teorica  allo strutturalismo francese. Ma identificare lo strutturalismo con la sua espressione francese è una distorsione di un aspetto della storia intellettuale del Novecento. Il termine strutturalismo è stato coniato quando il concetto di strutturalismo venne formulato a Praga verso la fine degli anni Venti. Lo strutturalismo francese ignora questo retaggio.

Questo significa che c’era solo una strada che prima della guerra conduceva dalla Russia al centro praghese della linguistica, estetica e poetica strutturali e un’altra che conduceva, dopo la guerra, a Parigi. Questo spiega anche, come fa notare Doležel, che jakobson, considerato un eroe dello strutturalismo francese, era anche considerato un collegamento diretto tra il formalismo russo e lo strutturalismo francese. Di conseguenza i paradigmi praghese e parigino che ne risultavano erano diversi l’uno dall’altro nonostante avessero avuto una “Jakobsonian Connection”, seppur in tempi e circostanze diversi.

Volek (2005:296) osserva che mentre la poetica dello strutturalismo francese si concentrava sul codice e anche, nei primi anni Sessanta, sul testo in quanto portatori dei significati potenziali, il campo della poetica strutturale praghese era la dimensione del testo sia come artefatto sia come opera d’arte3 integrata nel suo contesto storico della recezione e con i suoi effetti contestuali; scuola di Praga come «norme» e «valori». Il post-strutturalismo così fu una reazione soltanto allo strutturalismo francese, mentre dall’altro lato lo strutturalismo francese stesso considerava lo strutturalismo ceco come un fenomeno pre-strutturalista4. Questo è anche il motivo per cui la différence di Derrida, basata sul “valore” sistemico linguistico Saussureano,

 

based on the Saussurean linguistic systemic ‘value’, was miles away from the Czech concept of ‘meaning’ embedded in the context of communication.

It is true that the Classical period of Prague structuralism, also called semiotic or structural aesthetics as one of its branches represented the semiotics of art (the other branch was linguistic), was officially discontinued at the end of the 40s by the communist regime. The beginnings of this first period date back to the establishment of the Prague Linguistic Circle in 1926 and its Prague Theses presented in 1929 under the initiatives of such prominent figures as Vilém Mathesius, the Russian emigré Roman Jakobson, Bohuslav Havránek, Jan Mukařovský and many others. These four names are associated with the exceptional and forward-looking nature of Prague structuralism: Mathesius was a Czech linguist, conceiving his structuralist thoughts as early as in 1911, Jakobson was a Russian formalist – a linguist also involved in literary theory5, Havránek was a linguist involved in Slavic studies, and Mukařovský, perhaps the most important contributor to the development of Prague semiotics, was an outstanding personality in literary studies and aesthetics.

In the 1920s, Prague was also a meeting point for scholars from diverse disciplines and countries. This is why Prague structuralism is the result of numerous absorptions – the Czech aesthetic and linguistic tradition, Russian formalism, Saussurean linguistics, Bühler’s Organonmodel, Husserl’s phenomenology, Durkheim’s sociology, Carnap’s logic, etc.6 In 1939, with the advent of the Nazi regime and the German occupation of Czechoslovakia, Jakobson as a Jew fled to Sweden and then to the US where he continued his activities at

Harvard.

Although the Prague Circle was suspended and structuralism repressed from the early 50s as it was found incompatible with Marxist ideology, especially with its vulgarized version presented by Stalin, its development during the 50s was only slowed down, but not discontinued. Conditions were more relaxed for linguists (although they were required to follow the lines of Marxian linguistics) than for theoreticians of art:

era ben lontana dal concetto ceco di «significato» inglobato nel contesto della comunicazione.

È vero che il periodo classico dello strutturalismo praghese, conosciuto anche come estetica semiotica o strutturale in quanto uno dei suoi rami rappresentava la semiotica dell’arte (l’altro riguarda la linguistica), era stato ufficialmente interrotto alla fine degli anni Quaranta dal regime comunista. Gli inizi di questo primo periodo risalgono alla fondazione del Circolo linguistico di Praga nel 1926 e delle relative Tesi praghesi presentate nel 1929 su iniziativa di personaggi rilievo come Vilém Mathesius, l’esule russo Roman Jakobson, Bohuslav Havrànek, Jan Mukařovoský e molti altri. Questi quattro nomi sono associati all’eccezionale e progressista spirito d’avanguardia dello strutturalismo praghese: Mathesius era un linguista ceco, che aveva concepito i suoi pensieri strutturalisti già nel 1911, Jakobson era un formalista russo – un linguista impegnato anche nella teoria del testo5,  Havrànek era un linguista impegnato nella slavistica mentre  Mukařovoský, forse colui che ha dato il maggior contributo allo sviluppo della semiotica praghese, era una personalità prominente negli studi letterari e dell’estetica.

Negli anni Venti Praga rappresentava anche un punto di incontro per studiosi di varie discipline e paesi. È per questo motivo che lo strutturalismo praghese è il risultato di numerose assimilazioni: la tradizione ceca dell’estetica e della linguistica, il formalismo russo, la linguistica di Saussure, il modello del sistema epistemologico di Bühler, la fenomenologia di Husserl, la sociologia di Durkheim, la logica di Carnap ecc6. Nel 1939 con l’avvento del regime nazista e dell’occupazione tedesca della Cecoslovacchia, Jakobson, in quanto ebreo, fuggì in Svezia e successivamente negli Stati Uniti, dove continuò le sue attività alla Harvard.

Nonostante il circolo di Praga fosse stato sospeso e lo strutturalismo represso a partire dai primi anni Cinquanta, in quanto ritenuto incompatibile con l’ideologia marxista, specialmente nella versione volgarizzata propugnata da Stalin, il suo sviluppo durante gli anni Cinquanta fu soltanto rallentato, ma non interrotto.

 

Conditions were more relaxed for linguists (although they were required to follow the lines of Marxian linguistics) than for theoreticians of art:

art was to service the new Czechoslovak society in tune with the Soviet ideology, based on Marxism-Leninism and the method of socialist realism. Literature was seen as a prominent art form for mass conversion to Marxist ideology and the education of the masses. Now that domestic production was being aided by the influx of translations from Russia, this highlighted the need for the institutionalization of controlled and regulated translator practices and training, as well as for translation theory. And this is where Levý, the founder of Czechoslovak translation studies, came in.

Structuralism was revived in the 60s by the second generation, then suppressed in the 70s – 80s, and again revived in the early 90s by the third generation of Prague structuralists. All intermittent periods of suppression were accompanied by an exodus7 of Prague structuralists who continued their work at universities in the US, Canada, Germany, Switzerland and elsewhere. To make the picture more realistic – it was in fact only the first half of the 50s and the 70s that were tough periods for Prague semioticians – easier for their colleagues in linguistics.

Deconstruction, as a prominent poststructuralist trend, with its undermining poststructuralist metaphysical logocentrism, shares some common features with Prague school structuralism of the 40s thanks to its links with Russian formalism and the avantgarde (cf. e.g. Derrida’s deautomatization and Mukařovský’s deformation). But apart from the deconstructivist antilogocentric epistemology and its poetological practice, i.e. analysis, that does not fully comply with this epistemology, Doležel (2000b: 639) notes some other fundamental differences, e.g. that Prague posited a polyfunctional language adapted to the diverse communicative needs of society, while Derridean language was monofunctional and thus all social communication was to be conducted in poetic language.

 

arte significava servire la nuova società cecoslovacca conformemente all’ideologia sovietica, basata sul marxismo-leninismo e sul metodo del realismo socialista. La letteratura era vista come una forma d’arte importante per la conversione di massa all’ideologia marxista e all’istruzione delle masse. Ora che la produzione nazionale era stata favorita dall’afflusso di traduzioni dalla Russia, divenne evidente il bisogno di un’istituzionalizzazione della pratica e della formazione controllata e regolata del traduttore così come della teoria traduttiva. Ed è qui che entra in gioco Levý, il fondatore della scienza della traduzione cecoslovacca.

Lo strutturalismo venne riportato in auge negli anni Sessanta dalla seconda generazione, poi soppresso negli anni Settanta-Ottanta e riportato nuovamente in auge agli inizi degli anni Novanta dalla terza generazione degli strutturalisti praghesi. Tutti i periodi intermittenti di repressione furono accompagnati dall’esodo7 degli strutturalisti praghesi che continuarono il loro lavoro presso le università statunitensi, canadesi, tedesche, svizzere e altrove. Per rendere l’immagine più realistica, solo la prima metà degli anni Cinquanta e gli anni Settanta sono stati periodi duri per i semiotici praghesi, mentre sono stati più semplici per i loro colleghi linguisti.

La decostruzione, come importante tendenza post-strutturalista con il suo debilitante logocentrismo metafisico post-strutturalista, possiede alcune caratteristiche in comune con la scuola strutturalista praghese degli anni Quaranta grazie al suo collegamento con il formalismo russo e l’Avant-garde ( si veda per esempio la «de-automatization» di Derrida e «deformazione» di Mukařovoský).  Ma oltre all’epistemologia decostruttiva e anti-logocentrica e la sua pratica poetologica, ossia l’analisi, che non è completamente conforme con questa epistemologia, Doležel (2000b: 639) segnala altre differenze fondamentali, come per esempio che Praga postulava un linguaggio polifunzionale adattato alle varie esigenze di comunicazione della società, mentre il linguaggio Derridano era monofunzionale e quindi tutte le comunicazioni sociali vanno portate avanti nel linguaggio poetico.

 

Pragmatics is another poststructuralist trend, which, however, does not deny the logocentric basis of human cognition but strives to overcome the limitations of structuralism by linking signs to their socio-cultural, cognitive and other environments.

In making his comparison between Prague structuralism and pragmatics, Doležel (2000b: 639) categorizes pragmatics into three types: (1) indexical, (2) interactive and (3) ideological. Indexical pragmatics represents the classical type introduced by Bühler and Morris, with established relationships between messages and their users, between signs and their interpreters. The interactive type represents the relationship between communicative practices and humans in (inter)action (cf. theories of human/literary communication, speech-act theory etc.). The two types of pragmatics were inherent parts of Prague structuralism already in its Classical period. The official name for its semiotic literary branch was theory of literary communication; however, the general principle of Prague functionalism (including its purely linguistic branch) rested on the communicative function of elements in the message together with the hierarchy of communicative functions of the message as a whole, in a particular communicative use and context. This is where Levý’s theory and model of translation, as well as his analytical method, derive from. Levý’s approach was adopted by Popovič who pointed out its methodological advantages over the descriptive poetics of the time, in terms of bridging the gap between description and explanation (1975: 50):

 

What was missing was a view on translation as both text in communication and communication in text; this means a new dynamic view of literary activity in translating. The communication aspect casts light on new, unknown processes taking place during the course of the realization8 of an artistic text.

 

Doležel (2000b: 641) points out a striking difference: while during the western poststructuralist era, in isolated Czechoslovakia, scholars like Jiří Levý, Miroslav Procházka and members of the Nitra school (e.g. Anton Popovič and František Miko)

La pragmatica è un’altra tendenza post-strutturalista, che, tuttavia, non nega le basi logocentriche della cognizione umana ma si sforza di superare i limiti dello strutturalismo collegando i segni ai loro ambienti socio-culturali, cognitivo e altri. Paragonando lo strutturalismo praghese e la pragmatica,  Doležel (2000b: 639) classifica la pragmatica in tre tipi: (1) indicale, (2) interattiva e (3) ideologica. La pragmatica indicale rappresenta il tipo classico introdotto da Bühler e Morris, con relazioni stabilite tra i messaggi e i loro utenti, tra i segni e i loro interpreti. Il tipo interattivo rappresenta la relazione tra la pratica comunicativa e le (inter)azioni umane (vedi: teorie della comunicazione umana/letteraria, le teorie dell’atto discorsuale ecc.). I due tipi di pragmatica erano parti integranti dello strutturalismo praghese già nel periodo classico. Il nome ufficiale del il ramo della semiotica letteraria era teoria della comunicazione letteraria; tuttavia, il principio generale del funzionalismo praghese (incluso il ramo puramente linguistico) si basa sulla funzione comunicativa degli elementi nel messaggio insieme alla gerarchia delle funzioni comunicative del messaggio come insieme, in un particolare uso e contesto comunicativo. Da qui deriva la teoria e il modello di traduzione di Levý così come il suo metodo analitico. L’approccio di Levý è stato adottato da Popovič, il quale mette in evidenza i suoi vantaggi metodologici rispetto alla poetica descrittiva del tempo, per quanto riguarda il divario tra la descrizione e la spiegazione (1975: 50;  40 versione italiana):

Non erano presenti il concetto di «traduzione» come testo nella comunicazione e il concetto di comunicazione nel testo, e quindi mancava lo sguardo dinamico sul concetto di processo traduttivo. L’aspetto comunicativo mette in luce i processi che si verificano con la realizzazione8 del testo

Doležel (2000b: 641) evidenzia una differenza sorprendente: poiché durante l’era post-strutturalista occidentale, nell’isolata Cecoslovacchia, studiosi come Jiří Levý, Miroslav Procházka e i membri della scuola di Nitra (ad esempio: Anton Popovič e František Miko)

 

further advanced the literary communication theory on the Prague Classical foundations, and thus preserved its continuity, the conception of literary communication in western post-structuralism started with the wholesale rejection of the structuralist heritage.

Doležel explains this difference by pointing to the fact that Prague structuralism started with functional linguistics, transformed as early as the 30s – 40s into functional stylistics, which included both poetic and non-poetic types of language use. In other words, the Prague functional theory of communication, or language use, easily subsumed the study of literary poetics as well as the study of non-poetic discourses; this is why the specificity of literature could have been moved from language to language use. Sládek (2005: 160-161) sees another parallel dichotomy between structuralisms in the conception of structure; while poststructuralism, in its reaction to French structuralism, advocates open structures and instability of meaning, already in the 30s and 40s Mukařovský (1946, in 2000: 27) held to the concept of open structure, seeing it as a dynamic, energetic whole of dialectic contradictions; a structure was conceived of as a networked set of components, whose inner equilibrium is in turns constantly being disrupted and then re-established again, and therefore manifesting itself as a set of dialectic contradictions, i.e. while the identity of a structure is what survives over time, its internal hierarchical composition and the interrelationships of its components are in constant change due to reception processes. The structure as a whole is accessible to an observer only through its manifestations and functions.

This also means that readers/receivers themselves are an open, changing system, and so is the meaning of a message when it is undergoing the process of semiosis during reception, i.e. when becoming established as a semantic structure in the reader’s mind. But in contrast with extreme subjectivism and existential scepticism, Mukařovský and Prague structuralists seek objectivity on the level of supra-individuality, that is in collectivity or intersubjectivity, on which any communication is based.

 

hanno ulteriormente avanzato la teoria della comunicazione letteraria sulla base del periodo classico praghese e perciò preservato la sua continuità; la concezione della comunicazione letteraria nel post-strutturalismo occidentale è iniziata con il totale rifiuto dell’eredità strutturalista.

Doležel spiega questa differenza riferendosi al fatto che lo strutturalismo praghese è iniziato con la linguistica funzionale, trasformatasi già negli anni Trenta-Quaranta in stilistica funzionale, che include sia i tipi poetici e non dell’uso della lingua. In altre parole la teoria della comunicazione, o uso della lingua, funzionale praghese contemplava facilmente sia lo studio della poetica letteraria sia lo studio dei discorsi non-poetici; ecco perché la specificità della letteratura poteva essere spostata dalla lingua all’uso della lingua. Sládek (2005: 160-161) vede un’altra dicotomia parallela tra gli strutturalismi nella concezione di «struttura»; mentre il post-strutturalismo, nella sua reazione allo strutturalismo francese, è a favore della struttura aperta e dell’instabilità del significato, già negli anni Trenta e Quaranta  Mukařovoský (1946, in 2000: 27) rimaneva fedele al concetto di struttura aperta, come insieme dinamico ed energetico di contraddizioni dialettiche; la struttura era concepita come una serie di componenti collegate, il cui equilibrio interno viene costantemente infranto e ristabilito a fasi alterne e perciò si manifesta come una serie di contraddizioni dialettiche, ossia mentre l’identità di una struttura è ciò che sopravvive nel corso del tempo, la sua composizione gerarchica interna e le interrelazioni delle sue componenti sono in constante cambiamento a causa dei processi di ricezione. La struttura come insieme è accessibile a un osservatore soltanto attraverso le sue manifestazioni e funzioni. Questo significa che anche i lettori/riceventi stessi sono un sistema aperto, mutevole e così è il significato del messaggio quando subisce il processo di semiosi durante la ricezione, ossia quando viene riconosciuto come struttura semantica nella mente del lettore. Ma in contrasto con l’estremo soggettivismo e scetticismo esistenziale, Mukařovoský e gli strutturalisti praghesi cercano oggettività ad un livello di sovra-individualità, cioè nella sua collettività o intersoggettività, sul quale si basa ogni comunicazione.

 

 

And here is where contextually bound norms and cultural codes as intersubjective entities on the one hand, as well as the producer’s and receiver’s idiolects as (individual or group) subjective entities on the other, come in. Thus an artefact/text as a material object may have a number of different meanings, functions and values.

However, (the inherently deterministic) ideological pragmatics and Prague structuralism have been in opposition since the 30s. Doležel (2000b: 640), explaining why ideological interpretation of a literary work is a tautological trick and sharply distancing it from the Prague school of aesthetics and poetics as inherently empirical theories9, points out that the criticism of pragmatic determinism of art and literature by the Prague scholars was actually the reason why these scholars were silenced by the totalitarian Marxist/Stalinist ideology and its communist regime. More precisely, Prague structuralists believed in a trichotomy of: (a) immanent development of literary structures over time seen as a chronological series of sets of generic models with their centres and peripheries, (b) the author’s individual agency in producing a work of art based on deviations from contemporary models, and (c) contextual social factors. This is also why Prague semiotics respected the sociological dimension as an integral part of its theoretical and analytical modelling and, at the same time, could not be accused of immanentism10. Talking about the role of an individual in art, Mukařovský (1966: 223) conceptualized dialectical individual agency as an antagonistic external force reperesenting a contingency that is the carrier of social and ideological influences accidentally inflicted on the immanence of artistic structure.

The post-modern way of treating concepts, preferably metaphorical, is also something alien to Prague structuralism where Mukařovský, emphasizing the procedures of rigorous concept formation and systematization went even so far as to identify these procedures with structuralism; for him, a concept was defined by the position it occupied in the conceptual system network rather than by the itemization of its contents (Doležel 2000b: 644).

E qui si inizia a parlare di norme legate al contesto e codici culturali come entità intersoggettive da un lato e di idioletti dell’emittente e del ricevente  come entità soggettive (individuale o gruppo) dall’altro. In questo modo un artefatto/testo in quanto testo materiale può avere diversi significati, funzioni e valori.

Tuttavia, la pragmatica ideologica (intrinsecamente deterministica) e lo strutturalismo praghese sono in contrasto sin dagli anni Trenta. Doležel (2000b: 640), spiegando perché l’interpretazione ideologica di un opera letteraria è un tranello tautologico e distanziandola aspramente dalla scuola di estetica e poetica di Praga in quanto teoria intrinsecamente empirica9, evidenzia che la critica del determinismo pragmatico dell’arte e della letteratura da parte degli studiosi praghesi era in realtà la ragione per cui questi studiosi erano stati messi a tacere dall’ideologia totalitaria marxista/leninista e dal regime comunista. Più precisamente gli strutturalisti praghesi credevano in una tricotomia di: (a) lo sviluppo immanente delle strutture letterarie nel corso del tempo visto come una serie cronologica di un complesso di modelli generici con i loro centri e le loro periferie, (b) il ruolo individuale dell’autore nel produrre un’opera d’arte basata sulle deviazioni dai modelli contemporanei e  (c) dei fattori sociali contestuali. Anche per questo motivo la semiotica praghese rispettava la dimensione sociologica in quanto parte integrante della sua modellizzazione teorica e analitica e allo stesso tempo non poteva essere accusata di immanentismo10. Parlando del ruolo di un individuo nell’arte, Mukařovoský (1966: 223) concettualizzava il ruolo individuale dialettico come una forza antagonista esterna che rappresenta una contingenza, ossia il portatore di influenze sociali e ideologiche accidentalmente inflitte all’immanenza della struttura artistica.

La via post-moderna del trattamento dei concetti, preferibilmente metaforici, e anche qualcosa di alieno allo strutturalismo praghese dove Mukařovoský, enfatizzando le procedure di una rigorosa formazione e sistematizzazione dei concetti si è spinto fino a identificare queste procedure con lo strutturalismo; per lui, un concetto è definito dalla posizione che esso occupa nella rete del sistema concettuale piuttosto che dalla specificazione del suo contenuto (Doležel 2000b: 644).

Poststructuralist hermeneutics as represented by Ricoeur has structural analysis incorporated as one stage of interpretation: “And since a text is a quasi-individual, the validation of an interpretation applied to it may be said to give a scientific knowledge of the text.” (Ricoeur, quoted in Doležel 2000b: 645) – this is an example of the way Ricoeur approaches the distinction between natural sciences striving for regularities and laws on the one hand, and humanities concerned with individualized phenomena to understand them in their uniqueness. Doležel (2000b: 646) remarks that Prague structuralist poetics was both theoretical (universalist) – designing universal concepts, models and methods, and analytical (particularist) – testing these universal tools in the analysis of particular phenomena, thus at the same time enhancing the development of theoretical categories and stimulating new discoveries. Alternation, that is combining functional analysis with theoretical reflection, the procedure called the ‘zig-zag’ method, was typical of Prague structuralists, including Levý, and later the Slovaks Miko and Popovič.11

Back in the 20s, Mukařovský demonstrated this method himself by first constructing an abstract systemic theory (theoretical poetics), then applying it as a tool in textual analysis (analytical poetics) and through its application advancing the theory further; his analysis focused on narratological and stylistic structures of Czech poetry and prose, aiming to discover the author’s individuality and uniqueness against the background of established textual regularities. At the same time he discovered the correlation between the semantic structure and texture of a work of art – the fact that his semiotic analyses were not limited to linguistic style only resulted in another theoretical advancement; i.e. the form has thus become an integral part of semantics.

In the 40s and 60s, the same method was applied e.g. by Felix Vodička in literary historiography – in his attempt to reconstruct history in parallel with the construction of theory. Similarly, Levý’s history of translation published in 1957 preceded his theory of translation published in 1963. While working on his history Levý discovered that history was basically a series of translation methods related to translation functions in particular historical contexts.

L’ermeneutica post-strutturalista come rappresentata da Ricoeur incorpora l’analisi strutturale come uno stadio dell’interpretazione:«E dato che un testo è quasi-individuo, si può dire che la convalida dell’interpretazione ad esso applicata dia una conoscenza scientifica del testo» (Ricoeur, citato in Doležel 2000b: 645). Questo è un esempio del percorso con cui Ricoeur affronta la distinzione tra la scienza naturale che lotta per la regolarità e la legge da un lato e l’umanità che si interessa di fenomeni personali per capirli nella loro unicità. Doležel (2000b: 646) ribadisce che la poetica strutturalista praghese era sia teorica (universalista), ideando concetti, modelli e metodi universali, che analitica (particolarista), mettendo alla prova questi strumenti universali nell’analisi dei fenomeni particolari, incrementando così lo sviluppo delle categorie teoriche e stimolando nuove scoperte. L’alternanza, che unisce l’analisi funzionale e la riflessione teorica, la procedura chiamata metodo a “zig-zag”, era tipica degli strutturalisti praghesi, incluso Levý e successivamente gli slovacchi Miko e Popovič 11.

Tornando agli anni Venti, Mukařovoský dimostrò da solo questo metodo formulando innanzitutto una teoria sistemica astratta (poetica teorica), poi applicandola come strumento nell’analisi testuale (poetica analitica) e avanzando ulteriori teorie attraverso la sua applicazione;  le sue analisi si concentravano sulle strutture narratologiche e stilistiche della poesia e della prosa ceca, mirando a scoprire l’individualità e l’unicità dell’autore sullo sfondo di regolarità testuali consolidate. Allo stesso tempo egli scoprì la correlazione tra la struttura semantica e la tessitura di un’opera d’arte – il fatto che le sue analisi semiotiche non erano limitate allo stile linguistico che determinò un altro avanzamento teorico; ossia la forma è quindi diventata parte integrante della semantica. Negli anni Quaranta e Sessanta lo stesso metodo fu applicato per esempio da Felix Vodička nella storiografia letteraria, nel suo tentativo di ricorstruire la storia in parallelo con la formulazione della teoria. In modo simile, la storia della traduzione di Levý pubblicata nel 1957 ha preceduto la sua teoria della traduzione pubblicata nel 1963. Mentre lavorava sulla sua storia Levý ha scoperto che la storia era sostanzialmente una serie di metodi di traduzione collegati alle funzioni traduttive in particolari contesti storici.

Hand in hand with this method goes another important methodological aspect; while the positivist deterministic causality with its savoir pour prévoir had been put under scrutiny, Prague structuralism aimed at the anti-positivist savoir pour construire – re/constructing the object in its environment (both as an act and product of communication, as a category of social interaction in the culture), with a number of more or less active or relevant factors. More precisely, functionalism aimed not at establishing the causes of phenomena but at establishing the position of the latter within a higher-order whole. The advantage of the functional approach, as Levý (1971: 102) notes, is that it focuses on the internal structure of the system and not only on its relationships with the environment.12 Combined with the open systems theory, this approach has one methodological advantage: the researcher does not feel limited by any existing theoretical and conceptual networks but is free to search for, discover and extend them by any new factors or entities that may have been or have been found relevant in the origination (i.e. generation), make-up (i.e. structure) and functioning (i.e. position and value) of the object under study, on any level of the systemic hierarchy.

For Doležel (2000b), Prague in its epistemology anticipated Ricoeur’s ‘science of the individual’ as well as the underlying problem humanities face today – that is the need to treat both – lawlike universals and unique specifics. With the idea of ‘possible worlds’ restored to epistemological prominence today, Doležel believes that humanities can either opt for rational argument, systematic method, conceptual precision and empirical evidence, or for antirationality, random insight, conceptual sloppiness and ideological dogma.

Brief reference to Slovak structuralism will show that while between 1918 and 1993 the Czechs and Slovaks lived in one country, Czechoslovakia, they developed slightly different versions of structuralism. Matejov and Zajac (2005: 8-19) mapping the Slovak history, point out the following aspects: Slovak structuralism (with origins dating back to the 40s)

Un altro importante aspetto metodologico va di pari passo con questo metodo; mentre la causalità deterministica positivista con il suo savoir pour prévoir era stata messa sotto osservazione, lo strutturalismo praghese mirava all’anti-positivista savoir pour construire, ri/costruire l’oggetto nel suo ambiente (sia come atto e prodotto della comunicazione, sia come categoria di interazione sociale nella cultura), con alcuni fattori più o meno attivi o rilevanti. Più precisamente l’obiettivo del funzionalismo non era quello di stabilire le cause dei fenomeni ma quello di stabilire la posizione di questi ultimi all’interno di un insieme di ordine superiore. L’approccio funzionale, come osserva Levý (1971: 102), ha il vantaggio di concentrarsi sulla struttura interna del sistema e non soltanto sulle sue relazioni con l’ambiente12. Combinato con la teoria dei sistemi aperti, questo approccio ha un vantaggio metodologico: il ricercatore non si sente limitato da  reti teoriche e concettuali, ma è libero di ricercarle, scoprirle ed estenderle con ogni nuovo fattore o entità che può essere o è stato ritenuto rilevante nella creazione (la generazione), nella composizione (la struttura) e nel funzionamento (posizione e valore) dell’oggetto in esame, a qualsiasi livello di gerarchia sistemica.

Secondo Doležel (2000b), l’epistemologia della scuola di Praga ha anticipato la “scienza dell’individuo” di Ricoeur così come il problema implicito che le scienze umane si trovano a dover affrontare oggi: ossia il bisogno di affrontare sia gli universali dotati di regolarità sia gli specifici unici. Dato che nell’epistemologia attuale l’idea dei “mondi possibili” è di nuovo in primo piano, Doležel crede che le scienze umane possano optare o per la tesi razionale, il metodo sistematico, la precisione concettuale e l’evidenza empirica, o per anti-razionalismo, l’intuizione casuale, la sciatteria concettuale e il dogma ideologico.

Un breve riferimento allo strutturalismo slovacco mostrerà che tra il 1918 e il 1993 mentre cechi e slovacchi vivevano in un unico paese, la Cecoslovacchia, hanno sviluppato versioni leggermente diverse dello strutturalismo. Mappando la storia slovacca Matejov e Zajac (2005: 8-19) hanno evidenziato i seguenti aspetti: lo strutturalismo slovacco (le cui origini risalgono agli anni Quaranta)

 

was rooted in Czech structuralism, Russian formalism and scientism of the neo-positivist Vienna school. It was especially the influence of Vienna that markedly distanced the Slovaks from the Czechs, who adhered to Husserl’s phenomenology.

This resulted in two different orientations: while Mukařovský was developing his semiotic aesthetics, the Slovaks took to literary poetics (and from there to historical poetics in the 60s). František Miko, drawing on Bühler and semiotics, developed his general theory of style that was to be integrated in translation theory by Anton Popovič in the late 60s and was soon to become a fundamental underpinning of research conducted by the Nitra Center of Literary Communication, a research unit established at the University of Nitra in 1967.

Under the influence of Lotman’s semiotics13 and Polish literary structuralism14, Nitra was gradually developing its (socio)semiotics15 of literary communication, a broadly conceived project covering both theory and empirical research, by using the same zig-zag method as their Czech colleagues. The project encompassed a number of aspects, including metacommunication, translation (Anton Popovič) and interliterary communication (esp. Dionýz Ďurišin).

From the 50s to the 90s, Slovak structuralism underwent fluctuations like its Czech counterpart. Popovič and others, producing research and publishing results during the 70s and early 80s, must have somehow conceded and reconciled their scientism and rationalistic structuralism with Marxist methodology, which at the time was fortunately very different from the vulgarized Stalinist version that hit the Prague structuralists in the early 50s.

The result of the critical revision of structuralism in Slovakia that took place during the 90s is, in Matejov and Zajac’s (2005: 19) words,

 

 

era radicato nello strutturalismo ceco, nel formalismo russo e nello scientismo della Scuola neo-positivista di Vienna. Fu soprattutto l’influenza di Vienna che distanziò in modo considerevole gli slovacchi dai cechi, che aderivano alla fenomenologia di Husserl.

Questo ebbe come risultato due orientamenti diversi: mentre Mukařovský stava sviluppando la sua estetica semiotica, gli slovacchi si dedicavano alla poetica letteraria (e da lì alla poetica storica negli anni Sessanta). Františec Miko, basandosi su Bühler e sulla semiotica, sviluppò la sua teoria generale dello stile che doveva essere integrata nella teoria della traduzione di Anton Popovič verso la fine degli anni Sessanta e che presto sarebbe diventata un sostegno fondamentale della ricerca condotta dal Centro della Comunicazione Letteraria di Nitra, un’unità di ricerca istituita all’università di Nitra nel 1967.

Sotto l’influenza della semiotica di Lotman13 e dello strutturalismo letterario polacco14, Nitra stava gradualmente sviluppando la sua (socio)semiotica15 della comunicazione letteraria, un progetto di ampio respiro che ricopriva sia la teoria che la ricerca empirica utilizzando lo stesso metodo a zig-zag dei loro colleghi cechi. Il progetto comprendeva molti aspetti, tra cui la meta-comunicazione, la traduzione (Anton Popovič) e la comunicazione interletteraria (specialmente Dionýz Ďurišin).

Dagli anni Cinquanta agli anni Novanta, lo strutturalismo slovacco subì delle fluttuazioni così come il suo omologo ceco. Popovič e gli altri, facendo ricerche e pubblicandone i risultati durante gli anni Settanta e nei primi Ottanta, devono aver in qualche modo ceduto e riconciliato il loro scientismo e il loro strutturalismo razionalistico con la metodologia marxista, che al tempo fortunatamente era molto diversa dalla versione volgarizzata Staliniana che si abbatté lo strutturalismo praghese agli inizi degli anni Cinquanta.

Secondo Matejov e Zajac (2005: 19), il risultato della revisione critica dello strutturalismo in Slovacchia che ebbe luogo durante gli anni Novanta,

that although structuralism has become a tradition, the latter has in turn become part and parcel of analytical tools in Slovak literary studies.

In a discussion of the prospects for structuralism by the end of the 60s, Mukařovský stated that the term itself (i.e. structuralism) was not so important; what was crucial was that the principles of the structuralist approach should become part and parcel of research as he believed that it was a generally valid method for analysis and explanation of social and other phenomena (Grygar 2005: 206).

Ongoing Czech discussions since the early 90s, revising and confronting structuralism with parallel isms seem to suggest that Mukařovský’s anticipation was correct, although admitting that some Classical theoretical concepts might need revision and/or further elaboration (cf. e.g. Sládek 2005, Macura – Schmidt 1999). However, they need it not as the result of unavoidable confrontations between structuralism and ‘anti-structuralism’, as Doležel (2005: 14-15) calls the influential and popular poststructuralist branch of criticism (based on substantial ignorance of Czech structuralism as a result of slavica non legitur)16, but rather for their own sake against the background of the general rising tide of epistemological scepticism today.

Taking it from here, we shall now look at the development and make-up of the Czech and Slovak communication models as later applied to the field of translation in general, and translation of works of art in particular (i.e. the model of intercultural literary communication). It is pertinent to note that while it is true that today the social relevance and volume of translated fiction (prose, poetry, drama) may be significantly lower than before, the relevance of the model has not diminished, for two reasons: (1) fiction also includes such prolific genres as films and computer games, folklore – now in relation to interest in oral cultures, etc., (2) modelling of hierarchically more complex structures (processes and products) yields models readily applicable to less complex structures.                                                                                                                                                              
è che sebbene lo strutturalismo sia diventato una tradizione, quest’ultima a sua volta è diventata parte integrante degli strumenti di analisi della scienza del testo slovacca.

In un dibattito sulle prospettive dello strutturalismo alla fine degli anni Sessanta, Mukařovský affermò che il termine in sé (strutturalismo) non era così importante; quello che era essenziale era che i principi dell’approccio strutturalista diventassero parte integrante della ricerca poiché egli credeva fosse un metodo generalmente valido per l’analisi e la spiegazione dei fenomeni sociali e non (Grygar 2005: 206).

Dalle discussioni in corso in Cechia dai primi anni Novanta, dalla revisione e dal confronto dello strutturalismo con gli “ismi” paralleli, si direbbe che l’anticipazione di Mukařovský era corretta, nonostante si debba ammettere che alcuni concetti teorici classici abbiano bisogno di una revisione e/o di un’ulteriore elaborazione (Sládek 2005, Macura – Schmidt 1999).Tuttavia, ne hanno bisogno non in quanto risultato di un confronto inevitabile tra lo strutturalismo e l’«anti-strutturalismo», come Doležel chiama il ramo della critica post-strutturalista influente e diffusa (basato sulla sostanziale ignoranza dello strutturalismo ceco in conseguenza della regola slavica non legitur),16 ma piuttosto per una presa di posizione sullo sfondo di un’odierna marea generale di scetticismo epistemologico crescente.

Riprendendo da qui, guarderemo lo sviluppo e la composizione dei modelli di comunicazione cechi e slovacchi in quanto successivamente applicati al campo della traduzione in generale e alla traduzione delle opere d’arte in particolare (ossia il modello di comunicazione letteraria interculturale). È pertinente notare che mentre è vero che oggi l’importanza sociale e il volume della letteratura artistica tradotta (prosa, poesia, commedia) possono essere significativamente minori rispetto a prima, l’importanza del modello non è diminuita per due ragioni: (1) la letteratura artistica include anche alcuni generi testuali prolifici come i film e i giochi per i computer, il folklore, ora in relazione all’interesse per la cultura orale ecc., (2) la modellizzazione di strutture gerarchicamente più complesse (processi e prodotti) produce modelli prontamente applicabili a strutture meno complesse.

 

While a theoretical model may never be complete as it is a generalized and simplified representation of its object in all its diversified modalities, its analytical counterpart as a tool for empirical research may be (1) extended or modified as a result of new empirical findings heuristically discovered, and/or (2) streamlined in tune with a particular research focus of a particular researcher.

On its general level, the communication model was conceived to cover any human communication/interaction, then specifically in art through artistic signs, i.e. artefacts/texts

(objective structures) and their messages as works of art. In 1948 Mukařovský, having adopted Bühler’s three-function model relating language functions to participants in communication, extended the model by inserting the fourth, aesthetic function pertaining to the message itself:

 

 

Referential/Objects and Situations           

 

 

Aesthetic/Sign

 

 

Expressive/Sender                                   Appeal/Listener

 

Fig. 1. Mukařovský’s funtions in communication


Sebbene il modello teorico non possa essere mai completo in quanto è una rappresentazione generalizzata e semplificata del suo oggetto in tutte le sue modalità diversificate, il suo omologo analitico in quanto strumento per la ricerca empirica può (1) essere esteso o modificato in conseguenza di nuove scoperte empiriche in campo euristico  e/o (2) ottimizzato in accordo con un particolare focus di ricerca di un particolare ricercatore.

Al suo livello generale, il modello di comunicazione era concepito per coprire ogni comunicazione/interazione umana, a quel tempo specialmente nell’arte attraverso i segni artistici, ossia gli artefatti/testi (struttura oggettiva) e i loro messaggi come opere d’arte.

Nel 1948 Mukařovský, dopo aver adottato il modello a tre funzioni di Bühler che mette in relazione le funzioni della lingua con i partecipanti alla comunicazione, ha esteso il modello inserendo la quarta funzione, quella estetica riferita al messaggio stesso:

 

 

     Referenziale/Oggetti e Situazioni           

 

 

Estetica/Segno

 

 

Espressivo/Emittente                         Appello/Ascoltatore

 

Fig. 1. Le funzioni di Mukařovský nella comunicazione.

At a conference in Bloomington in 1958, Jakobson (1960) presented his six functions corresponding to six factors in verbal communication:

    

         Factors                                                                     Functions

 

                Context                                                            Referential/Cognitive

  Sender   Message  Addressee                       Emotive  Poetic  Conative

         Contact                                                            Phatic17

         Code                                                                 Metalinguistic18

 

Fig. 2. Jakobson’s functions in communication

In Mukařovský’s and Jakobson’s terms, a verbal message, produced, transmitted and perceived in the process of communication, and embedded in its socio-cultural context, always carries a dominating function (the dominant19); other functions may be present as accessory or ancillary. The dynamic aspect of function, pointing to the historicity, or sociohistorical embeddedness of verbal messages, implies that one and the same text may acquire different (especially. dominant) functions at different times and in different cultures. This important aspect, thoroughly treated by Mukařovský in his Aesthetic Norm, Function and Value as Social Facts (Czech version 1936/1966), is one of the cornerstone concepts underlying Prague functional dynamism, and sharply distancing it from other, static and ahistoric functionalisms. Mukařovský, concerned with the aesthetic function, explained how one and the same aesthetic object may lose its dominant, i.e. aesthetic, function over time and acquire another dominant function20.


Alla conferenza a Bloomington nel 1958, Jakobson (1960) ha presentato le sue sei funzioni corrispondenti ai sei fattori della comunicazione verbale:

 

Fattori                                                              Funzioni

 

                     Contesto                                                           Referenziale/Cognitiva

  Emittente  Messaggio  Ricevente                    Emotiva  Poetica  Conativa

           Contatto                                                            Fatica17

           Codice                                                               Metalinguistica18

 

Fig. 2. Le funzioni di Jakobson nella comunicazione

Secondo Mukařovský e Jakobson, un messaggio verbale, prodotto, trasmesso e percepito nel processo di comunicazione e racchiuso nel suo contesto socio-culturale, ha sempre una funzione dominante (la dominante19); altre funzioni possono essere presenti come accessorie o ausiliarie. L’aspetto dinamico di Funzione, in riferimento alla storicità o all’integrazione socio-storica del messaggio verbale, implica che il medesimo testo può assumere funzioni differenti (specialmente dominanti) in tempi e culture diverse. Questo aspetto importante, discusso a fondo da Mukařovský nella sua La funzione, la norma e il valore estetico come fatti sociali (versione ceca 1936/1966), è uno dei concetti fondamentali alla base del dinamismo funzionale praghese e fortemente separato dagli altri funzionalismi statici e astorici. Mukařovský, in relazione alla funzione estetica, ha spiegato come lo stesso oggetto estetico possa perdere la sua funzione dominante, cioè l’estetica, nel tempo e assumere un’altra funzione dominante20.

 

Applied to translation by Levý and Popovič, this pivotal dynamic concept has become one of the strongest descriptive and explanatory variables underlying the interrelationships between translation method, the product’s structure and its function/s, as well as its socio-cultural embedding.21

The dominant function (and other functions) of a verbal message as a whole, encoded in text structure, is gradually constituted from elements and their interrelationships in the receiver’s mind during the process of perception. On the completion of the reception process, understood as a combination of linear perception and interpretation22 based on the interaction of the sender’s and receiver’s sociolects and idiolects, shared world view, value systems, etc., functions (intended by the sender for the intended receiver), if perceived, turn into values for the receiver. The reception process itself is seen as an incremental operation normally completed when the reader perceives the last element of the text.

From the communicative aspect, the important feature of reception is that the reader is conceived as a ‘learning system’ – every new incremental textual unit perceived is interpreted against the background of the text perceived so far, and, at the same time, the perception and interpretation of the new unit modify the previously perceived part of the message in the reader’s cognition.23 To further bridge the part-and-whole ‘gap’, Mukařovský introduced the concept of the aperception frame; in the light of their (socio-cultural) experience with particular genres, readers, when exposed to a text identified or presented as belonging to a specific sub/genre, anticipate a certain frame of reference to the world, a specific textual/message structure, its typical ‘language’ or style and function, which are activated in memory at the point of encounter. Naturally, when receivers encounter textual structures as wholes or their parts that do not match their aperception frame, as e.g. in a translation – the perception process and its outcome (functions perceived as value)

 

Applicato alla traduzione da Levý e Popovič, questo concetto dinamico e importantissimo è diventato una delle più forti variabili descrittive ed esplicative che stanno alla base delle interrelazioni tra il metodo traduttivo, la struttura del prodotto e la/e sua/e funzione/i, così come la sua integrazione socio-culturale21. La funzione dominante (e le altre funzioni) di un messaggio verbale come insieme, codificato nella struttura testuale, è gradualmente costituita da elementi e dalle loro interrelazioni nella mente del ricevente durante il processo di percezione. Al completamento del processo di ricezione, inteso come una combinazione della percezione e dell’interpretazione lineare22 basata sull’interazione di socioletti e di idioletti del mittente e del ricevente, sulla visione del mondo, i sistemi di valori condivisi ecc. , le funzioni (progettate dall’emittente per il ricevente ipotizzato), se percepite, diventano valori per il ricevente. Il processo di ricezione stesso è visto come un’operazione incrementale completata normalmente quando il lettore percepisce l’ultimo elemento del testo.

Dall’aspetto comunicativo, la caratteristica importate della ricezione è che il lettore è concepito come un “sistema d’apprendimento”: ogni nuova unità testuale incrementale percepita è interpretata sullo sfondo del testo finora percepito e allo stesso tempo, la percezione e l’interpretazione della nuova unità modificano la precedente parte del messaggio percepita nella cognizione del lettore23. Per colmare ulteriormente il “divario” parziale e totale, Mukařovský ha introdotto il concetto di struttura appercettiva; alla luce della loro esperienza (socio-culturale) con particolari generi testuali, i lettori, quando vengono esposti a un testo identificato e presentato come appartenente a un sub/genere specifico, anticipano una certa struttura di riferimento al mondo, una specifica struttura testuale/di messaggio, il suo “linguaggio” o stile tipico e la funzione, che sono attivate nella memoria al momento dell’incontro. Naturalmente, quando i riceventi incontrano delle strutture testuali nel loro insieme o in parti che non corrispodono alla loro struttura appercettiva, come per esempio nella traduzione, il processo percettivo e il suo risultato (le funzioni percepite come valori)

 

are not habitual, but may later become so through further repeated encounters. This mechanism is the underpinning of Levý’s dynamic category of translativity with an explanatory force (cf. below).

Because one and the same artefact (text as objective material) may be perceived at a time (and/or in a culture) distanced from the time of its production, with all the ‘risks’ of different interpretation of the message (work of art), and hence its perceived functions and values, Doležel (2000a), inspired by Levý’s model of communication in translation, introduced the concept of transduction:

 

Author – Message – Receiver1      (transduction in time)

 

 

                           Receiver2    –    Receiver3  (transduction in time and space)

 

Fig.3. Doležel’s transduction in communication.

 

non sono abituali, ma possono successivamente diventare tali attraverso ulteriori incontri ripetuti. Questo meccanismo è il sostegno della categoria dinamica della traduzionalità con una forza esplicativa di Levý (riportato sotto).

Poiché lo stesso artefatto (testo come oggetto materiale) può essere percepito in un tempo (e/o in una cultura) distante dal tempo della sua produzione, con tutti i “rischi” di differenti interpretazioni dello stesso messaggio (opera d’arte) e da qui le sue funzioni e valori percepiti, Doležel (2000a) ispirato dal modello della comunicazione nella traduzione di Levý, ha introdotto il concetto di trasduzione:

 

Autore – Messaggio – Ricevente1    (trasduzione nel tempo)

                                                      

                            Ricevente2 – Ricevente3 (trasduzione nel tempo e nello spazio)

 

Fig. 3. la trasduzione nella comunicazione di Doležel

 

 

 

 


TRANSLATION THEORY

 

From Levý’s and Popovič’s perspective, translation as a message emerges as a result of threefold interpretation: (1) the interpretation of the world by the SLT author, (2) the translator’s interpretation of SLT’s message, and (3) the receiver’s interpretation of the message encoded in TLT. Differences in resulting interpretations, as well as misinterpretations, stem from objective socio-spatial distances conditioning both intersubjective and individual factors. To cater for such differences Popovič (1975) introduced the concept of experiential complex understood as the translator’s and the receiver’s set of internalized, individually acquired life-experience that is used as a background during production and reception processes.

In 1963, constructing the translation model on the lines of information theory, Levý (1963a, in 1971: 36-37) specifies the multiple communication chain as follows:

 

 Author                                        Translator24                                   Reader

Reality    –    Selection      –     Text25   –        Reading        –        Text      –       Reading

                    Stylization           (SLT)              Stylization              (TLT)              Concretization

 

Fig. 4. Levý’s communication chain in translation

Levý (1971: 48) points out that it is the translator’s/receiver’s passive idiolect that exerts influence on SLT interpretation, while, on the other hand, it is the translator’s active idiolect that leaves the imprint on the translated text.

 


Teoria della traduzione

 

Dalla prospettiva di Levý e Popovič, la traduzione come un messaggio emerge come un risultato di una triplice interpretazione: (1) l’interpretazione del mondo da parte dell’autore della cultura emittente, (2) l’interpretazione del traduttore del messaggio della cultura emittente e (3) l’interpretazione del ricevente del messaggio codificato nella cultura ricevente. Le differenze nelle interpretazioni che ne risultano, così come le interpretazioni errate, provengono dalle distanze socio-spaziali obiettive che condizionano sia i fattori intersoggettivi che quelli individuali. Per venire incontro a tali differenze Popovič (1975) ha introdotto il concetto di complesso esperienziale inteso come l’insieme delle esperienze di vita interiorizzate e acquisite individualmente del traduttore e del ricevente, che viene usato come sfondo durante il processo di produzione e ricezione.

Nel 1963, realizzando il modello di traduzione sulla base della teoria d’informazione, Levý (1963a, in 1971: 36-37) specifica la catena di comunicazione multipla come segue:

 

Autore                                        Traduttore24                                   Lettore

Realtà –  Selezione      –     Testo25   –         Lettura        –        Testo       –      Lettura

      Stilizzazione (cultura emittente) Stilizzazione  (cultura ricevente)  Concretizzazione

 

Fig. 4. la catena di comunicazione nella traduzione di Levý

 

Levý (1971: 48) fa notare che è l’idioletto passivo del traduttore/ricevente che esercita un’influenza sull’interpretazione della cultura emittente, mentre dall’altra parte è l’idioletto attivo del traduttore che lascia un’impronta sul testo tradotto.

 

Therefore translation can be viewed as a result of SLT values that were perceived by the translators’ passive idiolect, in combination with their active idiolect through which they articulated the values perceived from the SLT. At this point Levý, having carried out some experiments, formulates his hypotheses about translation universals (although he only speaks of assumed general tendencies) – those of stylistic levelling and generalization, as well as the translator’s tendency to overtranslation in terms of a tendency to highlight the SLT stylistic features assumed as being SLT- typical. In 1965 Levý (1971: 149n) observed explicitation in terms of additional surface syntactic structures, linking it with the psychological process of interpretation (SLT reception) and subsequent communication (TLT production). These tendencies were later incorporated into the conceptual category of shifts by Popovič (1975) and subcategorized (a) into constitutive, objectively or intersubjectively motivated shifts on the one hand, and individual, subjectively motivated shifts on the other; and (b) into resulting macrolevel and microlevel changes in expression.26

Obviously, the Czech understanding of translation equivalence was quite different from what was considered to have been the concept of the 60s – 70s in the West or in linguistic translation theories in the USSR and the GDR. But unfortunately, apart from Levý’s German version (1969) of his Art of Translation, the insight into the Czech theory of translation was confined to a mere handful of brief studies accessible in English, of which an even smaller number enjoyed wider circulation in TS. These include, first of all, Jakobson’s On Linguistic Aspects of Translation (1959) which, however, lacks the dynamic dimension and concentrates on the linguistic aspect of translatability from the functional perspective, hence the wrongly interpreted meme of ‘equivalence in difference’. The second well-known article is Jakobson’s Closing Statement presented at an interdisciplinary conference at the University of Indiana, Bloomington in 1958 and published under the title

 

 

Perciò la traduzione può essere vista come il risultato dei valori della cultura emittente che viene percepito dall’idioletto passivo dei traduttori, in combinazione con il loro idioletto attivo attraverso il quale hanno articolato i valori percepiti dalla cultura emittente. A questo punto Levý, dopo aver condotto alcuni esperimenti, formula le sue ipotesi sugli universali della traduzione (sebbene parli solo di presunte tendenze generali), quelle del livellamento stilistico e della generalizzazione, così come la tendenza del traduttore all’ipertraduzione in relazione alla tendenza di evidenziare le caratteristiche stilistiche della cultura emittente come se fossero tipiche della cultura emittente. Nel 1965 Levý (1971: 149n) ha osservato l’ esplicitazione in termini di strutture sintattiche superficiali aggiuntive, collegandolo con il processo psicologico di interpretazione (ricezione della cultura emittente) e con la conseguente comunicazione (produzione nella cultura ricevente). Queste tendenze sono state successivamente incorporate nella categoria concettuale dei cambiamenti traduttivi di Popovič (1975) e subacategorizzate (a) nei cambiamenti constitutivi, obiettivamente e intersoggettivamente motivate da un lato e individuali, soggettivamente motivate dall’altro; e (b) nei cambiamenti che determinano cambiamenti espressivi di macro livello e micro livello.26  

Ovviamente, la concezione ceca dell’equivalenza traduttiva era molto diversa da quello che si considera fosse il concetto degli anni Sessanta e Settanta in occidente o nelle teorie linguistiche della traduzione nell’Unione sovietica e nella Repubblica Democratica Tedesca. Ma sfortunatamente, eccezion fatta per la versione tedesca dell’arte della traduzione di Levý (1969) la comprensione della teoria ceca della traduzione era limitata a una mera manciata di brevi studi accessibili in inglese, di cui soltanto un numero ancora minore godeva di una più ampia circolazione nella scienza della traduzione. Si tratta prima di tutto di Gli aspetti linguistici della traduzione (1959) di Jakobson che tuttavia, non possiede la dimensione dinamica e si concentra sugli aspetti linguistici della traducibilità dalla prospettiva funzionale, da qui il meme erroneamente interpretato dell’“equivalenza nella differenza”. Il secondo articolo famoso è il Closing Statement di Jakobson presentato a una conferenza interdisciplinare alla Indiana University Bloomington nel 1958 e pubblicato con il titolo Linguistics and Poetics (1960), where he briefly presented his six communicative functions related to the communication model. Levý’s widely circulated Translation as a Decision Process (1967), presented at a 1966 conference in Moscow, and the less widely circulated Will Theory of Translation be of Use to Translators (1965) represent Levý as the author of the pragmatic minimax principle in translation, conceptualizing the translation decision process as a game – a series of interdependent cognitive processes under specific constraints, and empirically establishing the above mentioned procedural tendencies that later became known as translation universals.

In fact, what counts as equivalence is the reproduction in translation of the (communicatively relevant) functions of dominant SLT message elements (on different hierarchical structural levels, but understood semantically as meaning constituted by both form and content27) contributing to the realization of the intended dominant function of the TLT message as a whole. This can be achieved by substituting dominant SLT elements with TLT elements of a similar value (i.e. corresponding in function, and not necessarily in form and/or content) for the target receiver. Should the potential of the intended function of the whole message remain the same or rather similar, such a translation as a whole was considered to be an adequate translation. In other words, this meant that the semantic invariant core (Popovič 1975: 79n) of the original, now representing the intertextual invariant, was to a degree transferred through the functional substitution of the linguistic material on the textual level under specific socio-cultural conditions, while the remaining part of the translation’s semantics28  represented the variant conceived of as the result of translation shifts. While Levý (1969/1983: 23) outlined a structural taxonomy positing (a) elements that (should) remain invariable and (b) elements that are variable, i. e. substituted with TL equivalents, Popovič (1975) seeks an analytical-descriptive tool in Miko’s stylistic taxonomy in combination with shifts.

 

Linguistics and Poetics (1960), dove presenta brevemente le sei funzioni comunicative collegate al modello della comunicazione. L’opera di ampia circolazione di Levý La traduzione come processo decisionale (1967) presentato a una conferenza a Mosca nel 1966 e il meno conosciuto Will translation theories be of use to translators? (1965), rappresentano Levý come un autore del principio pragmatico minimax nella traduzione, concettualizzando il processo decisionale della traduzione come gioco: una serie di processi cognitivi interdipendenti sotto obblighi specifici, e istituendo empiricamente le tendenze procedurali sopracitate che successivamente saranno conosciute come gli universali della traduzione.

In effetti, ciò che conta come equivalenza è la riproduzione nella traduzione delle funzioni (comunicativamente rilevanti) degli elementi dominanti del messaggio della cultura emittente (a differenti livelli gerarchici strutturali, ma intesi semanticamente come significati costituiti sia dalla forma che dal contenuto)27 che contribuiscono alla realizzazione della funzione dominante voluta del messaggio della cultura ricevente nell’insieme. Questo può essere ottenuto sostituendo elementi della cultura emittente dominanti con elementi della cultura ricevente di un valore simile (ossia corrispondente nella funzione e non necessariamente nella forma e/o nel contenuto) per il destinatario della cultura ricevente. Se il potenziale della funzione voluta dell’intero messaggio dovesse rimanere uguale o, piuttosto, simile, questo tipo di traduzione come insieme veniva considerata una traduzione adeguata. In altre parole, questo significava che il nucleo invariante semantico (Popovič 1975: 79n) dell’originale, ora rappresentante l’invariante intertestuale, è stato spostato in una certa misura attraverso la sostituzione funzionale del materiale linguistico al livello testuale a specifiche condizioni socio-culturali, mentre la parte rimanente della traduzione semantica28 rappresentava la variante concepita come il risultato di cambiamenti traduttivi. Mentre Levý (1969/1983: 23) delineò una tassonomia strutturale ipotizzando (a) elementi che rimangono (dovrebbero rimanere) invariabili e (b) elementi variabili, ossia sostituiti con equivalenti della cultura ricevente, Popovič cerca uno strumento analitico-descrittivo nella tassonomia stilistica di Miko in combinazione con questi cambiamenti.

 

Consequently, Levý (1963/1983) and Popovič (1975) point out a series of other more or less dominant functions that translations may have and in fact had throughout history in the TLC, unlike the SLT in its culture (see below), including a complete change of the dominant function, and they point out that the position of translation within the receiving culture is different from the position of the original text/message in its culture. What is more, they point out that concepts such as translation and equivalence are socio-historical ones, dependent on world view, ideology and philosophy of a particular culture in a particular period29, which are reflected in a particular translation method and its underlying translation norm (cf. e.g. medieval vs. classicist vs. romanticist translation vs. modernist translation), and also derive from other interdependencies such as TLC aesthetics, literature, function of translation, the translator’s individuality, etc. as well as from heteronomous factors. They also posit the empirically derived fact that competing and different norms may coexist in the same period even for one and the same genre.

Therefore, especially important epistemological, dialectic categories for delimiting the concept and method of translation are those of noetic30 compatibility (Levý 1983), noetic subject/objectivism (Levý 1957/1996) and translativity (Levý 1963, Popovič 1975). They are both descriptive and explanatory categories whose introduction is intended to eliminate the static metaphors of faithful and free translation (i.e. a translation reading/not reading like an/the original, foreignizing or domesticating translation etc.), bringing in dynamic social and phenomenological, essentially anti-essentialistic aspects, while at the same time not conceding the validity of the extreme end of subject/individualism and extreme epistemological relativism.

Noetic compatibility brings in the distinction between illusionist31 and anti-illusionist translation/method/translator as two extreme poles on a scale; readers of illusionist translations, relying on an ‘agreement’ that the translation has preserved the SLT qualities and perceiving no traces of the mediator, believe they are reading e.g. Madame Bovary.

Di conseguenza Levý (1963/1983) e Popovič (1975) mostrano una serie di altre funzioni più o meno dominanti che la traduzione può avere e che in effetti ha avuto da sempre nella storia della cultura ricevente, diversamente dalla cultura emittente (vedi di seguito), tra cui un cambiamento completo della funzione dominante, e mostrano che la posizione della traduzione all’interno della cultura ricevente è diversa dalla posizione del testo/messaggio originale nella sua cultura. Per di più mostrano che concetti come traduzione ed equivalenza sono concetti socio-storici, che dipendono dalla visione del mondo, dall’ideologia e dalla filosofia di una particolare cultura in un particolare periodo,29 che vengono riflessi in un particolare metodo traduttivo e le sue norme di traduzione implicite (ad esempio traduzione medievale versus classicista versus romantica versus modernista) e inoltre derivano da altre interdipendenze quali l’estetica della cultura ricevente, la letteratura, la funzione della traduzione, l’individualità del traduttore ecc. così come da fattori eteronomi. Inoltre postulano il fatto derivato empiricamente che norme differenti e non compatibili possono coesistere nello stesso periodo anche per lo stesso genere testuale.

Perciò categorie epistemologiche e dialettiche particolarmente importanti per delimitare il concetto e il metodo traduttivo sono quelle della compatibilità noetica30 (Levý 1983) del soggettivismo/oggettivismo noetico (Levý 1957/1996) e della traduzionalità (Levý 1963, Popovič 1975). Sono categorie sia descrittive che esplicative la cui introduzione serve a eliminare le metafore statiche della traduzione fedele e libera (ossia una traduzione che sembra/non sembra un/l’originale, una traduzione addomesticante o estraniante ecc.), introducendo aspetti dinamici sociali e fenomenologici, essenzialmente anti-essenzialistici mentre allo stesso tempo non viene concessa la validità dell’estrema fine del soggettivismo/individualismo e l’estremo relativismo epistemologico.

La compatibilità noetica porta alla distinzione tra traduzione/metodo/traduttore illusionista31 e anti-illusionista come i due poli estremi su una scala; i lettori delle traduzioni illusioniste, facendo affidamento su un “accordo” secondo cui la traduzione ha preservato le qualità della cultura emittente e non percependo tracce del mediatore, credono di leggere per esempio Madame Bovary.
 Should the translator step out from behind the scene by an unintended stumble, by exoticization, notes etc., recognized by the receiver, the illusion is dispelled. This category, linking the translator with the receiver, co-relates with the remaining two categories.

Noetic subjectivism as an ideological basis makes cultures concentrate on the ‘self’, and their translations, paradoxically, tend to retain the SLT specific and individual, alien, features (producing the traditionally termed ‘faithful’ translation), while under ideological objectivism translations tend to generalize or suppress such foreign features, highlighting those shared by the two or more cultures, or even substituting foreign elements for domestic ones (‘free’ translation). Concrete positions on the general subject-objectivism scale historically depend on translation functions related to specific TLC needs, as Levý (1957, 1996: 235) observed in the development of Czech translation methods between the Middle Ages and the 1930s, concluding that in Czech culture translation played a more significant role in the development of domestic literature than in Western cultures, and, in addition, functioned as a tool in the struggle for national survival. It goes without saying that both functions and needs are epistemologically bound up with human activity, which is the conditio sine qua non.

The translativity scale as a dynamic socio-semiotic category was introduced by Levý and developed by Popovič. Translativity, linking the SLT author and the TLT receiver, represents the salience of translation with foreign (alien) elements in form and/or content as perceived by the receiver. This is very important for at least four reasons: first the salience depends directly not on the translator’s method but on the distance between the SLT author (deriving from the temporal and spatial distance between cultures and languages as projected in the artefact32) and the receiver’s experience, i.e. the latter’s experiential complex. Because repeatability or repeated exposition arouse expectations, non-markedness and assimilation at the receiver’s end, it is a fairly dynamic and inter/subjective category related to the receiver’s

 

Se il traduttore dovesse uscire da dietro le quinte con un errore involontario, con un esotismo, con una nota ecc. facendosi riconoscere dal ricevente, l’illusione verrebbe dissipata. Questa categoria, che collega il traduttore con il ricevente, è in correlazione con le due categorie rimanenti.

Il soggettivismo noetico in quanto base ideologica fa concentrare le culture sul ”sé” e le loro traduzioni, paradossalmente tendono a conservare le caratteristiche estranee, specifiche e individuali della cultura emittente (producendo la traduzione tradizionalmente chiamata “fedele”) mentre con l’oggettivismo ideologico, le traduzioni tendono a generalizzare o soffocare questo tipo di caratteristiche estranee evidenziando quelle condivise da una o più culture, o addirittura sostituendo elementi estranei con elementi appartenenti alla propria cultura (traduzione “libera”). La posizione concreta riguardo alla scala generale del soggettivismo-oggettivismo dipende storicamente dalle funzioni traduttive correlate a specifici bisogni della cultura ricevente, come ha osservato Levý (1957-1996: 235) nello sviluppo dei metodi traduttivi cechi tra il medioevo e gli anni Trenta, giungendo alla conclusione che nella cultura ceca la traduzione ha un ruolo più significativo nello sviluppo della letteratura nazionale rispetto alle culture occidentali e inoltre è servito come strumento nella lotta per la sopravvivenza nazionale. Non serve neanche dire che sia le funzioni che i bisogni sono epistemologicamente legati all’attività umana, che è la conditio sine qua non.

La scala di traduzionalità come categoria dinamica socio-semiotica è stata introdotta da Levý e sviluppata da Popovič. La traduzionalità, collegando l’autore della cultura emittente e il destinatario della cultura ricevente, rappresenta la prominenza della traduzione con elementi stranieri (estranei) nella forma e/o contenuto percepita dal ricevente. Questo è molto importante per almeno quattro ragioni: primo la prominenza non deriva direttamente dal metodo del traduttore, ma dalla distanza tra l’autore della cultura emittente  (derivante da una distanza temporale e spaziale tra le culture e le lingue proiettate nell’artefatto32) e l’esperienza del ricevente, ossia il complesso esperienziale di quest’ultimo. Dato che la ripetibilità o l’esposizione ripetuta suscitano aspettative, la non marcatezza e l’assimilazione dalla parte del ricevente,

 

experiential complex, explaining why for some receivers in the same receiving culture and even at the same time, the perceived salience of the foreign may be different.

Second, it explains the process of appropriation as well as the dynamics of anti/illusionism in terms of their relation to the intended group of individuals as intended readers of the translation. Third, the receiving culture (as a collective entity or some part of it) may ascribe different values to translativity: + (positive), 0 (irrelevant) or – (negative), due to the general position on the subject-objectivism scale, its relationship to the SLC, etc. If the value is positive, translativity33 tends to be more salient (i.e. the method of exoticizing or creolizing translation is prominent) and original works may tend to be presented as translations (i.e. pseudotranslations). If the value is negative, translations tend to look like and be presented as non-translations (i.e. the overall method ranges from neutralizing to naturalizing). Fourth, in relation to the subject/objective category it explains that some foreign elements in translation may go unnoticed and get lost because the reader will not recognize them, as e.g. some foreign metres in poetry or allusions, etc. However, the reader may become sensitized to some qualities after repeated exposure to them. Last but not least the salience with alien elements may (temporarily) enhance entropy of the message with its consequences for efficiency34. This brings us further to the translator’s strategies.

Levý (1965) assumes that real translation is based on the intuitive minimax strategy, linked with the nature of human behaviour and the translator’s memory retrieval, rather than on the strategy of producing an ideal or optimal translation. The translator’s ‘pivot’ is the potential receiver through which the message and its functions can be realized. Therefore during the translation process, understood as the generation of a new, SLT derived, message carried by a new textual structure executed in different language material, the translator takes such decisions in the selection

 

è una categoria piuttosto dinamica e inter/soggettiva collegata al complesso esperienziale del ricevente, il che spiega perché per alcuni riceventi  nella stessa cultura ricevente e persino nello stesso periodo di tempo, la prominenza percepita dell’elemento estraneo può essere diversa.

Secondo, spiega il processo di appropriazione così come le dinamiche dell’anti/illusionismo per quanto riguarda la loro relazione con il gruppo designato di individui intesi come lettori della traduzione. Terzo, la cultura ricevente (come entità collettiva o alcune parti di essa) può attribuire valori diversi alla traduzionalità: + (positivo), O (irrilevante), o – (negativo), a causa della posizione generale sulla scala del soggettivismo/oggettivismo, la sua relazione con la cultura emittente ecc. Se il valore è positivo, la traduzionalità33 tende ad essere più prominente (ossia il metodo di traduzione esotizzante o creolizzante è prominente) e le opere originali tendono ad essere presentate come traduzioni (ossia pseudo-traduzioni). Se il valore è negativo, le traduzioni tendono ad sembrare e ad essere presentate come non-traduzioni (cioè il metodo globale spazia dalla neutralizzazione alla naturalizzazione). Quarto, in relazione alla categoria soggettiva/oggettiva spiega che alcuni elementi estranei nella traduzione possono passare inosservati e andare persi perché il lettore non li riconosce, come per esempio alcuni metri sconosciuti nella poesia o alcune allusioni ecc. Tuttavia il lettore può sensibilizzarsi ad alcune qualità con un’esposizione ripetuta. Ultimo ma non meno importante, la prominenza con elementi estranei può (temporaneamente) accrescere l’entropia del messaggio con le sue conseguenze sull’efficienza.34 Questo ci porta ancora alle strategie del traduttore.

Levý (1965) ritiene che la traduzione reale sia basata sulla strategia minimax intuitiva, collegata con la natura del comportamento umano e al reperimento di ricordi nella memoria del traduttore, piuttosto che su una strategia di produzione di una traduzione ideale o ottimale. Il “perno” del traduttore è il ricevente potenziale attraverso il quale possono essere realizzati il messaggio e le sue funzioni. Perciò durante il processo traduttivo, inteso come la generazione di un nuovo messaggio, derivato dalla cultura emittente, che portato da una nuova struttura testuale eseguita in diversi materiali di linguaggio, il traduttore prende alcune decisioni nella selezione

process as account for the estimated potential reaction of the receivers in their historical context so that to grant functionality in terms of the receivers’ values (cf. Levý’s generative model in this volume).

Popovič (1975) takes a step in another direction in his sociology of translation (a subcategory of praxeology) by postulating a typology of translations35 that deviate from the theoretical, processual and resulting ideal due to various contextual reasons. For Levý and Popovič this is the pragmatic and axiological dimension of their socio-semiotic communication model.

The receiver is an entity uniting the social (or collective) and the individual, and it is precisely the social aspect of cognition that constitutes the common ground in communication based on intersubjectively shared cultural codes, experience and hence derived expectations. Codes are generated by and constituted via previous social practices as models based on norms; while serving as models for behaviour they undergo changes during the process of human activity due to intended and/or unintended agency. For Mukařovský and Levý, the literary code, interpreted in semiotic terms as literary language, was most susceptible to change since, in general terms, a work of art with socially attributed artistic value involves the innovation of the current code (i.e. a specific structural model for a specific sub/genre) in parole, which in turn is the result of individual, socialized and creative agency. One of several problems in translation that are solved by translators may therefore be a situation where SLT structure is derived from a code already obsolete in TLC while at the same time the translation’s dominant function is intended to remain aesthetic, that is to have the potential of producing some aesthetic effect. And, vice versa, the SLT’s code may be well ahead of that of TLC (Levý 1998: 111). A parallel problem, among others, is e.g. the transfer of individual style based on innovation, i.e. its differentiating value against the background of the domestic code.

 

del processo che rappresentino la reazione potenziale stimata dei riceventi nel loro contesto sociale così che sia garantita la funzionalità per quanto riguarda i valori dei riceventi (vedi il modello generativo di Levý in questo volume).

Popovič (1975) si sposta in un’altra direzione con la sua sociologia della traduzione (una subcategoria della prasseologia) postulando una tipologia di traduzione35 che devia dall’ideale teorico, processuale e risultante a causa di varie ragioni contestuali. Per Levý e Popovič questa è la dimensione pragmatica e assiologica per il loro modello di comunicazione socio-semiotica.

Il ricevente è un’entità che riunisce il sociale (o collettivo) e l’individuale, ed è precisamente l’aspetto sociale della cognizione che costituisce il terreno comune nella comunicazione basato su codici culturali intersoggettivamente condivisi, esperienze e da qui le aspettative che ne derivano. I codici sono generati e costituiti attraverso precedenti pratiche sociali come modelli basati sulle norme; mentre servono da modelli per il comportamento, subiscono dei cambiamenti durante il processo dell’attività umana a causa di un’azione intenzionale e/o non intenzionale. Per Mukařovský e Levý il codice letterario interpretato in termini semiotici come linguaggio letterario, era più incline al cambiamento poiché, in termini generali, un opera d’arte con valori artistici attribuiti socialmente implica l’innovazione del codice corrente (ossia uno specifico modello strutturale per un sotto/genere specifico) nel discorso, che a sua volta è il risultato di un’azione individuale, socializzata e creativa. Uno dei tanti problemi traduttivi che sono stati risolti dai traduttori può perciò essere una situazione in cui la struttura del testo emittente è derivata da un codice già obsoleto nella cultura ricevente mentre allo stesso tempo la funzione dominante della traduzione è fatta per rimanere estetica, ossia per avere il potenziale per produrre alcuni effetti estetici. E viceversa il codice del testo emittente può essere più avanzato rispetto a quello della cultura ricevente (Levý 1998: 111). Un problema parallelo, tra gli altri è per esempio il trasferimento dello stile individuale basato sull’innovazione, ossia il suo valore differenziante sullo sfondo di un codice nazionale.

 

This is the point to introduce Levý’s concept of norm in translation. In general Levý (1963 and 1971: 103n) conceives norms as a historical category, as hierarchically structured systems that consist of instructions for selection from the paradigm of alternatives during the decision process, i.e. of requirements or rules, proposing to call them normemes as elements of norms, be it language or content. These elements are either accepted, or refused, or they may not be present in the current norm36: it is the constellation of these normemes that constitutes a partial norm; partial norms, in turn, may combine into higher-order norms. Levý’s (1971: 105) conception is exemplified by aesthetic norms of Classicism and Romanticism, as well as by the development of aesthetic norms in translation and in theatre from the Middle Ages to the end of the 19th century (cf. Levý’s article in this volume). It is the historically and socially constituted norms, past and contemporary, that run behind translation methods, hand in hand with translations’ prospective functions, most prominently related to the past and contemporary domestic literary norms; in turn, literary norms relate to the higher-order aesthetic norm. Human collective or individual agency comes in as a factor aiming at the prospective function in terms of a receiver’s value/s, and on the other hand, depending on the author’s or translator’s abilities, poetics, motives, values and positions that are subject to change during their lifespan37. As in the case of some other Czech structuralist concepts, the familiar category of centre vs its periphery is also applied to norms. On the basis of his empirical data Levý assumes that valid translation norms do not change through their simple negation but rather through their relaxation (cf. Levý in this volume). And again, it is of course agents’ activities and their products through which changes in norms are effected, while at the same time modifying the agents, i.e. both producers and consumers. Thanks to the hierarchical, open-systems theory, norm development in general, making allowance for the efficacy of heteronomous factors and structural elements, is not relegated to immanentism.

 

Questo è il momento di introdurre il concetto di  Levý di «norma» nella traduzione. In generale Levý (1963 e 1971: 103n) concepisce le norme come categoria storica, un sistema strutturato gerarchicamente che consiste nell’istruzione per la selezione dal paradigma delle alternative durante il processo decisionale, ossia dei requisiti o delle regole che egli propone di chiamare normemi in quanto elementi di norme, che siano esse lingua o contenuto. Questi elementi sono o accettati o rifiutati, o possono non essere presenti nelle norme attuali36: è la gamma di questi normemi che costituisce una norma parziale; le norme parziali a loro volta possono unirsi formando norme di ordine superiore.  La concezione di Levý (1971: 105) è esemplificata dalle norme estetiche del classicismo e del romanticismo, così come dallo sviluppo delle norme estetiche nella traduzione e nel teatro dal medioevo alla fine dell’Ottocento (vedi l’articolo di Levý in questo volume). Sono le norme, passate e contemporanee, costituite storicamente e socialmente che inseguono i metodi traduttivi, mano nella mano con le potenziali funzioni della traduzione, collegate in modo molto prominente alle norme testuali nazionali passate e presenti; a loro volta le norme letterarie sono in collegamento con norme estetiche di ordine più elevato. L’azione collettiva o individuale umana interviene come fattore che mira alla funzione potenziale per quanto riguarda i/il valore/i del ricevente e dall’altro lato dipende dall’abilità, dalla poetica, dai motivi, dai valori e dalle posizioni dell’autore o traduttore, che sono soggette a cambiamento durante il corso della loro vita37. Come nel caso di alcuni altri concetti strutturalisti cechi, anche la categoria familiare del centro versus  periferia viene applicata alle norme. Sulla base dei suoi dati empirici, Levý suppone che norme traduttive valide non cambiano attraverso la loro semplice negazione ma piuttosto attraverso il loro rilassamento (vedi Levý in questo volume). E ancora, i cambiamenti delle norme vengono certamente determinati attraverso le attività degli agenti e i loro prodotti, e allo stesso tempo vengono modificati gli agenti, cioè sia i produttori che i consumatori. Grazie alla teoria gerarchica dei sistemi aperti, lo sviluppo delle norme in generale, tenendo conto dell’efficacia dei fattori eteronomi e degli elementi strutturali, non è relegato all’immanentismo.

 

Levý’s dual norm in translation is in itself deliberately normative in that it postulates an ideal and at the same time a historically-bound illusionist type of literary translation.

The aim of the ideal translator’s activity is to render or convey the original work of art, that is to reproduce it as a work of art through one’s own creative activity (Levý 1998: 84) for the ideal reader. Levý is here concerned with the articulation of norms – a tool that might be used in contemporary Czech translation criticism for establishing translation value, derived from the relationship between a translation and pertinent TLC artistic norm/s. Thus the translation process involves two norms: the reproduction norm (requirement of fidelity, likeness; semantic or noetic value) and the artistic norm (requirement of elegance; aesthetic value). In both cases the translator faces the problem of conflicting SLT and TLT norms, in combination with the author’s individual style. “Beauty and fidelity are often counterposed, as if they were mutually exclusive. They may be mutually exclusive only when beauty is understood as prettiness, and truthfulness as literalness.” (Levý 1998: 93; transl. Z.J.). This is how the original object is reproduced, re-created and modified in the process.

For Levý, the resulting translation is a hybrid entity (the content derives from SLC, the language belongs to TLC), where its quality is directly proportional to the translators’ in/ability to resolve or reconcile the above contradictions by consistently applying a certain pre/conception of the translation (if there is one), that is an overall, uniform approach to the particular SLT during the translation process, which is closely related to the translation norm, the translator’s ideology or policy, and the resultant translation method; these in turn relate to the prospective function/s of translation stemming from cultural needs at a particular time, aiming at the receiver’s reception.

However, this straightforward relationship fits precisely the category of an ideal ‘classical, normative translation’, that is a model translation that would be appropriate

 

La duplice norma della traduzione di Levý è deliberatamente normativa in quanto postula un tipo illusionistico di traduzione artistica che è allo stesso tempo ideale e storico. L’obiettivo dell’attività del traduttore ideale è quello di esprimere o trasmettere l’opera d’arte originale, ossia riprodurla come opera d’arte attraverso la propria attività creativa (Levý 1998: 84) per il lettore ideale. Qui Levý si è occupato dell’articolazione delle norme, uno strumento che potrebbe essere usato nella critica della traduzione ceca contemporanea per stabilire il valore della traduzione, derivato dalla relazione tra una traduzione e la/e norma/e artistiche pertinenti della cultura ricevente. In questo modo il processo traduttivo coinvolge due norme: la norma di riproduzione (requisito di fedeltà, somiglianza; valore semantico o noetico) e la norma artistica (requisito di eleganza; valore estetico). In entrambi i casi il traduttore affronta i problemi conflittuali tra le norme della cultura emittente e quelle della cultura ricevente, in combinazione con lo stile individuale dell’autore. “La bellezza e la fedeltà sono spesso contrapposte, come se una escludesse l’altra. Potrebbero essere reciprocamente esclusive solo se la bellezza fosse intesa come eleganza, e la  veridicità come letteralità” (Levý 1998: 93). In questo modo l’oggetto originale viene riprodotto, ricreato e modificato nel processo.

Per Levý la traduzione che ne risulta è un’entità ibrida (il contenuto appartiene alla cultura emittente mentre la lingua alla cultura ricevente), in cui le sue qualità sono direttamente proporzionali all’abilità/incapacità del traduttore di risolvere o conciliare le contraddizioni precedentemente espresse tramite l’applicazione di una certa pre/concezione della traduzione (se ve n’è una) che è un approccio complessivo e uniforme al particolare testo d’origine durante il processo traduttivo, che è strettamente collegato alla norma traduttiva, all’ideologia o alla politica del traduttore e al metodo traduttivo che ne risulta; queste a loro volta si collegano alla/e futura/e funzione/i traduttiva/e derivanti dalle necessità culturali in un particolare periodo di tempo e che puntano alla ricezione.

Tuttavia, questa relazione diretta si adatta precisamente alla categoria di una “traduzione classica e normativa” ideale, ossia il modello traduttivo che sarebbe

in code and interpretation for a particular period and culture (Levý 1998: 102-104). Although Levý derived the dual norm from the modern Czech translation method and although he and Popovič (1975) see the past and present reality of translations as an array of standard-tosubstandard translations, with standard or normal translations reciprocating more or less the period normative ideal, the category of dual norm in literary translation can serve as an analytical tool because it relates to both the intended functions of translation from the prospective aspect and the transferred message from the retrospective one. This is because translation involves languages, discourses (their interrelated form and content endowed with aesthetic function) and their resulting values, pertaining to people (Levý 1963: 24). It is also for this reason that in 1967 Levý (1983: 31) qualifies contemporary linguistic theories of translation as reductive, i.e. reducing the issue of translation to the contact of two languages, or text types in general at best, while ignoring the translator’s participant role in the translation process and in the resulting structure of the translated work of art, i.e. in the two fundamental aspects38 of (literary) translation theory.

The question remains whether the dual norm can be conceptualized on a general level. Probably yes, because reproduction is bound to the historically conceptualized translation while the translation’s aesthetics at the receiving end is relevant for the translation to be perceived and regarded as a literary text in its TLC; but these relationships are not so straightforward.

There were numerous functions translation was intended to perform or performed through history. Deriving two of them from the concept of the dual norm, Levý, besides the aesthetic function pertaining to literary translation, points out the representation of the SLT enhanced by a noetic added value – that is information about the SLT and its culture.

 

appropriato nel codice e nell’interpretazione di un particolare periodo e cultura (Levý 1998: 102-104). Sebbene Levý faccia derivare la duplice norma dal metodo moderno di traduzione ceca e sebbene lui e Popovič (1975) vedano la realtà passata e presente della traduzione come un assortimento di traduzioni che vanno dallo standard al substandard, in cui le traduzioni standard o normali ricambiano più o meno il periodo normativo ideale, la categoria della duplice norma nella traduzione artistica può servire da strumento analitico perché si riferisce sia alle funzioni traduttive intese dal punto di vista potenziale sia al messaggio trasferito dal punto di vista retrospettivo. Questo è perché la traduzione coinvolge lingue, discorsi (la loro forma interrelata e il loro contenuto dotato di funzioni estetiche) e i valori che ne risultano che si riferiscono alle persone (Levý 1963: 24). E’ anche per questa ragione che nel 1967 Levý (1983: 31) definisce riduttive le teorie traduttive della linguistica contemporanea, ossia riducono la questione della traduzione al contatto tra due lingue, o nel migliore dei casi a tipi due di testo in generale, ignorando il ruolo della partecipazione del traduttore all’interno del processo traduttivo e nella struttura dell’opera d’arte tradotta che ne risulta,  ossia nei due aspetti fondamentali38 della teoria della traduzione (artistica).

Resta il problema se la duplice norma può essere concettualizzata ad un livello generale. Probabilmente si, perché la riproduzione è legata alla traduzione concettualizzata storicamente mentre l’estetica della traduzione dal punto di vista della ricezione per la traduzione è importante essere percepita e considerata un testo letterario nella cultura ricevente; ma queste relazioni non sono dirette.

Nel corso della storia sono state numerose funzioni che la traduzione avrebbe dovuto eseguire o ha eseguito. Derivando due di queste funzioni dal concetto della duplice norma,  Levý, oltre alla funzione estetica di pertinenza della traduzione artistica, mette in evidenza la rappresentazione della cultura emittente incrementata dal valore noetico aggiunto – ossia le informazioni sul testo d’origine e la sua cultura.

 

Exoticizing translation (Popovič’s concept), conveying the local colour, may, under certain conditions, transform such information into a semiotic aesthetic value of translativity, but its salience in translation is not only norm dependent, as it also depends on the expected readers’ knowledge, their familiarity with the foreign culture and its artistic genres, i.e. on readers’ (literary) education and taste. Informative translation may also be perceived as a text with dominating aesthetic function thanks to the emotional component in an ideological translation conforming to the receiver’s ideology, social values and desires (Levý 1996: 50). This category of prototypical functions is normally called communicative function/s in functionalist theories. Levý and Popovič call it imminent communicative function/s or value/s to distinguish it from the following developmental ones, isolated from empirical research.

The second category of functions relates to the interaction between the domestic genresystem and the translated genre-system. Translated literature (or a part of it, even an individual author or a particular translation) in a particular period, may or may not un/intentionally influence the domestic system in either positive or negative ways; the effect may be temporary or lasting.

The third category of functions consists in the exchange of cultural assets in a wider sense: translation exerts a genre-differentiating function for domestic literature, and a unifying function in world literature.

Informative function usually increases with the growing distance of the two cultures in contact through translation, but again this is a category dependent on the reader’s presuppositions on the one hand, and on the other – whether the situation should or should not require the translator to un/intentionally contribute to the convergence or divergence of the two cultures in contact – which represents the fourth category of functions39.

Such a range of hierarchical functions had no counterpart in western conceptualizations of translation in Levý’s time.

 

Le traduzioni esotizzanti (il concetto di Popovič) comunicando il colorito locale, possono, stando a certe condizioni, trasformare tali informazioni nel valore estetico semiotico della traduzionalità, ma la prominenza nella traduzione non dipende soltanto dalle norme, in quanto dipende anche dalla conoscenza dei presunti lettori, la loro familiarità con la cultura straniera e i suoi generi artistici, ossia dall’istruzione (artistica) e dal gusto dei lettori. La traduzione informativa può anche essere percepita come un testo con una funzione estetica dominante grazie  alla componente emotiva di una traduzione ideologica che si conforma  all’ideologia, ai valori sociali e ai desideri del ricevente (Levý1996: 50). Questa categoria di funzioni prototipiche viene normalmente chiamata funzione/i comunicativa nelle teorie funzionaliste. Levý e Popovič la chiamano funzione/i o valore/i comunicativa imminente per distinguerla dalla successiva funzione evolutiva, isolata dalle ricerche empiriche.

La seconda categoria di funzioni si collega all’interazione tra il sistema di generi nazionali e il sistema di generi tradotti. La letteratura tradotta (o una parte di essa, persino un autore individuale o una particolare traduzione) in un particolare periodo può intenzionalmente o non influenzare il sistema nazionale sia in modi positivi che negativi; l’effetto può essere temporaneo o duraturo.

La terza categoria di funzioni consiste nello scambio di beni culturali in senso più ampio: la traduzione svolge una funzione di differenziazione dei generi per la letteratura nazionale e una funzione unificante per la letteratura mondiale.

La funzione informativa solitamente cresce con l’aumento della distanza delle due culture in contatto tramite la traduzione, ma di nuovo questa è una categoria dipendente dalle presupposizioni del lettore da un lato e dall’altro dal fatto – se la situazione dovesse o non dovesse richiedere al traduttore di contribuire intenzionalmente o non alla convergenza o alla divergenza delle due culture in contatto – che rappresenta la quarta categoria di funzioni.39

Una tale gamma di funzioni gerarchiche non ha avuto una controparte nelle concettualizzazioni della traduzione occidentale al tempo di Levý.

While the communicative function was incorporated in Nida, Catford, the Skopos and text-type theory suggested by Reiss and Vermeer, Newmark or by Hatim and Mason, cultural functions of translation were gradually discovered in the late 60s – early 70s by the Polysystem School40, and during the 70s – 80s by the Manipulation School. The fourth category of functions – that of the dynamics of cultures-in-contact, had to wait for its discovery until the post-modern 90s, reviving the old Romantic dichotomy of the self and the other41, however in rather a static way, and combined with ideologism, of quite a radical kind, at times.

 

THE THEORETICAL MODEL

The scheme of the procedural model, derived from the communication chain as an act of secondary communication, looks quite simple, containing a handful of basic categories. Although originally presented only for literary translation and having undergone some modifications, here it is presented in a generalized form:

Primary Communication                                    Secondary Communication (TLC)                                                    

                                                                             Tradition ( Social past)

Author – Text – Receiver1

                                                                    Rec.2/Translator – Translation – Receiver3

 

                                                                                                         Contemporary World

                                                                                                             ( Social reality)

                                                                                                                 Receiver4

Fig. 5. The communication scheme


Mentre la funzione comunicativa è stata accolta in Nida, in Catford, nella Skoposteoria e nella teoria dei tipi  testuali postulate da Reiss e Vermeer, Newmark o da Hatim e Mason, le funzioni culturali della traduzione sono state gradualmente scoperte nei tardi anni Sessanta e nei primi anni Settanta dalla scuola polisistemica40 e durante gli anni Settanta-Ottanta dalla Scuola della manipolazione. La quarta categoria di funzioni – quella delle dinamiche delle culture in contatto, ha dovuto attendere gli anni Novanta post-moderni per essere scoperta, rispolverando la vecchia dicotomia romantica del “proprio” e del “l’altrui”,41 tuttavia in un modo piuttosto statico e combinata con l’ideologismo, a volte di tipo fortemente radicale.

 

IL MODELLO TEORICO

Lo  schema del modello procedurale, derivato dalla catena della comunicazione come atto di comunicazione secondario, sembra molto semplice, poiché contiene un gruppetto di categorie di base. Sebbene sia stato originariamente presentato soltanto per la traduzione artistica e abbia subito alcune modifiche, viene presentato qui in una forma generalizzata:

Comunicazione primaria                                    comunicazione secondaria                                                            

                                                                             tradizione (passato sociale)

Autore – Testo – Ricevente1

                                                          Ric.2/Traduttore – Traduzione – Ricevente3

 

                                                                                          Mondo contemporaneo

                                                                                                  (realtà sociale)

                                                                                                      Ricevente4

Fig. 5. Lo schema della comunicazione

Horizontally, translation as process and product is linked with the translator and the receiver as agents and their qualities are projected in it. The vertical vector interconnects all the three horizontal entities with both the past (as surviving in the agents’ awareness) and present world thanks to their socially bound experience and education (transversal lines). Translation itself is bound to the tradition of (a) previous translations – their text structures and methods (i.e. norms) and (b) previous domestic textual production, especially in the same or related genres. Both can be seen as relatively autonomous open structured systems, with positively tested evidence of their mutual interference in terms of temporary or lasting influence or competition. As may become obvious from the scheme, such influences may only be effected through the human agents involved, and naturally also apply to the last entity – the contemporary world or socio-historical context – this is where in synchrony translation processes take place. However, the structuralist interrelatedness of synchrony and diachrony, or the widespread meme in DTS of synchrony in diachrony and vice versa, does not only mean the general assumption that, to put it lightly, any entity is the result of its past dis/continuous evolution influenced by autonomous and heteronomous factors. Historical evidence has it that the translator may, for some reasons, opt for a past translation method or a past domestic textual model rather than work with contemporary ones. Or, by contrast, translators may use a so-far non-existent method or face the task of transferring a text with no prototype in domestic or translated literature, be it literary or non-literary, oral or written. Should their option not match a similar prototype in TLC, thus positioning and accommodating the translation as a model in conformity with the expected receivers’ awareness and experience, the innovatory model is brought in through a stylistic calque.

Through the translator the secondary act is connected with the primary one. Translators are conceptualized as (specific) receivers of the SLT through whose cognition the SLT is transferred.

 

Orizzontalmente, la traduzione come processo e prodotto è collegata con il traduttore e il ricevente come agenti e le loro qualità sono proiettate in esso. Il vettore verticale interconnette tutte e tre le entità orizzontali sia con il mondo passato (in quanto sopravvive nella consapevolezza degli agenti) sia con il mondo presente grazie alla loro formazione ed esperienza socialmente collegate (linee trasversali). La traduzione a sua volta è collegata con la tradizione di (a) traduzioni precedenti – le loro strutture e metodi testuali (le norme) e (b) precedenti produzioni testuali nazionali, specialmente nello stesso genere o in uno correlato. Entrambi possono essere visti come sistemi strutturati autonomi e aperti, con un’evidenza testata in modo certo della loro interferenza reciproca in termini di influenza o competizione temporanea o duratura. Dallo schema risulta ovvio che questo tipo di influenze possono essere causate solo attraverso gli agenti umani coinvolti e naturalmente possono essere applicate all’ultima entità – il mondo contemporaneo e il contesto socio-storico – in cui si verificano i processi traduttivi nella sincronia. Tuttavia, l’interrelazione di sincronia e diacronia, o un meme diffuso nei Descriptive Translation Studies della sincronia nella diacronia e viceversa, non significa solo il generale presupposto secondo il quale, per farla semplice, ogni entità è il risultato di una dis/continua evoluzione passata influenzata da fattori autonomi ed eteronomi. L’evidenza storica sostiene che i traduttori possano, per alcune ragioni, optare per un metodo traduttivo passato o per un modello testuale nazionale passato piuttosto che un opera con metodi contemporanei. O invece i traduttori possono usare un metodo fino ad ora mai esistito o affrontare il compito di rendere un testo senza un prototipo nella letteratura nazionale o tradotta, sia esso letterario o no, orale o scritto. Se le loro scelte non dovessero combaciare con un prototipo simile nella cultura ricevente, conciliando la traduzione come un modello in conformità con la consapevolezza e l’esperienza del presunto ricevente, il modello innovatore verrebbe introdotto attraverso un calco stilistico.

Attraverso il traduttore l’atto secondario è connesso con quello primario. I traduttori sono concettualizzati come riceventi (specifici) del testo d’origine attraverso la cui cognizione viene trasferito il testo d’origine.

During the analytical and execution procedures in the translation process, the translator may take into account identical categories projected in the SLT.

The category of the contemporary world, namely the social one, is interrelated with all categories in the model. The agents are related to it through their experience, the text through contemporary norms and models, with the latter yielded by domestic or translatorial production as well as by receivers’ expectations based on their experience with them. Again, any conformation to or flouting of their expectations has a modifying effect on the receivers. In popular terms, the receivers may be favoured and the reception made the easiest for them, or they may get what they expect (the standard minimax effect), or they may be presented with an unexpectedly difficult reading. If the polar strategies become habitual, expectations are adjusted. The effect of the former is historically evidenced in popular reading for mass education and enlightment; the effect of the latter sensitizes the reader to foreign cultures, their discourses and aesthetics, gradually diminishing the salience of translativity.

From the scheme, it is also evident that a later receiver (Receiver4) perceives the translation against a different background (awareness of tradition, contemporary world). This accounts for the difference of meaning as well as for the aging of translation regarding the norms it was built on. In literary translation this is ascribed to the translators’ assumed tendency to respect the contemporary domestic repertoire and its aesthetic norms, as well as to the unavoidability of their presenting a TLT-bound and narrower interpretation of the SLT meaning. However, originals undergo the process of aging also due to the principle of abduction, although some may have such a potential interpretation range that, apart form their style, the core message ‘survives the ages’, as literary scholars would say;

 

Durante le procedure d’analisi  e d’esecuzione nel processo traduttivo, il traduttore può prendere in considerazione le stesse categorie progettate nel testo d’origine.

La categoria del mondo contemporaneo,  vale a dire quella sociale, è interrelata con tutte le categorie del modello. Gli agenti sono correlati ad essa attraverso la loro esperienza, il testo attraverso le norme e i modelli contemporanee, con quest’ultimi dati da una produzione nazionale o tradotta, così come le aspettative dei riceventi sono basate sulla loro esperienza con essi. Ancora, ogni conformazione o trasgressione delle loro aspettative ha un effetto modificante sui riceventi. In parole povere, i riceventi possono essere avvantaggiati e la ricezione resa più semplice per loro, o possono ottenere quello che si aspettano (un effetto standard minimax) o possono trovarsi di fronte ad una lettura inaspettatamente difficile. Se le strategie estreme diventano abituali, le aspettative vengono adattate. L’effetto della prima ipotesi è storicamente provato dalla lettura popolare per l’istruzione e l’educazione delle masse; l’effetto della seconda ipotesi sensibilizza il lettore nei confronti delle culture dei discorsi e dell’estetica stranieri, facendo diminuire a poco a poco la prominenza della traduzionalità.

È inoltre evidente dallo schema che un ricevente successivo (Ricevente4) percepisce la traduzione con uno sfondo diverso (consapevolezza della tradizione, mondo contemporaneo). Questa giustifica le differenze di significato così come l’invecchiamento della traduzione per quanto riguarda le norme su cui era stata costruita. Nella traduzione artistica questo è attribuito alla tendenza assunta dai traduttori a rispettare il repertorio contemporaneo nazionale e le sue norme estetiche, così come l’inevitabilità di presentare un testo tradotto che sia legato e più vicino all’interpretazione del significato del testo d’origine. Tuttavia, gli originali subiscono un processo di invecchiamento dovuto anche al principio dell’abduzione, nonostante alcuni possano avere una tale gamma di potenziali interpretazioni che, eccezion fatta per il loro stile, fa si che il cuore del messaggio “sopravviva all’età” come direbbe uno

 

such originals may be subjected to intralingual translation42 in terms of style and footnotes or glossaries.

External and internal translation processes are modelled as 2-in-1, but Levý proposed another, cognitive generative model based on this communication model (cf. Levý in this volume). What may not be evident from this account is that the category of the contemporary world, projected through actors’cognition, contains all kinds of social norms and repertories, social structures, institutions and practices, socially constructed values and beliefs, and even socially constructed concepts objectivized in structures and institutions, such as e.g. translation itself.

Nevertheless, Czech and Slovak structuralists kept their modelled autonomous structures and influences of heteronomous elements of other structures apart. To avoid misinterpretation it should be reiterated that such heteronomous influences are a systemic part and parcel of an open systems theory, except that they cannot be represented as conceptualized intra-systemic entities in a general model. This for example relates to such sociological factors as who selects texts for translation, concrete translation conditions, editorial policy and censorship, the translator’s individual dispositions and motives, etc. In other words, the theoretical model as an abstraction cannot reflect all concrete particularities. This is why we need analytical and critical models in combination with a suitable methodology. This strand has been amply demonstrated by research into the history of Czech and Slovak literary translation, though less so in literary translation criticism. But there is an interesting interconnection, relevant for current debates.

 

 

studioso di letteratura; tali originali possono essere soggetti a traduzioni intralinguistiche42 per quanto riguarda lo stile e le note a piè di pagina o i glossari.

I processi esterni ed interni di traduzione sono modellizzati nella forma due in uno, ma Levý ha proposto un altro modello cognitivo e generativo bastato su questo modello comunicativo (vedi Levý in questo volume). Quello che potrebbe risultare non evidente da questa descrizione è che la categoria del mondo contemporaneo, proiettata attraverso la cognizione degli autori, contiene tutti i tipi di norme sociali e i repertori, le strutture sociali, l’istituzione e la pratica, i valori costruiti socialmente e le credenze e persino i concetti costruiti socialmente che sono oggettivati nelle strutture e nelle istituzioni come per esempio la traduzione stessa.

Ciononostante, gli strutturalisti cechi e slovacchi hanno tenuto separate le strutture autonome e le influenze degli elementi eteronomi delle altre strutture modellizzate. Per impedire i malintesi è necessario ribadire che tali influenze eteronome sono parte integrante sistemica di una teoria di sistemi aperti, eccetto per il fatto che non possono essere rappresentate come entità intra-sistemiche concettualizzate in un modello generale. Questo per esempio riguarda fattori sociologici come chi seleziona i testi per le traduzioni, le concrete condizioni di traduzione, la politica editoriale e la censura, le disposizioni e le motivazioni individuali del traduttore, ecc. In altre parole, il modello teorico in quanto astrazione non può riflettere tutte le particolarità concrete. Ecco perché abbiamo bisogno di modelli analitici e critici in combinazione con una metodologia adeguata. Questa tendenza è stata ampiamente dimostrata da studi della storia della traduzione artistica ceca e slovacca, anche se la critica della traduzione artistica la recepisce di meno. Ma c’è un’interessante interconnessione, rilevante per i dibattiti attuali.

 

THE QUEST FOR A THEORY WITH AGENTS

AND IN SERVICE OF PRACTICE

 

The concepts of social and individual agencies in translation notably came in with the latest turn of TS to sociology. The social/collective and the individual as two integral antagonistic components of the dynamics of human entities, their activities and cultural codes have witnessed their comeback in humanities. For example, the recently debated neo-Marxist conceptual framework based on human agency as suggested by Bourdieu and his field model, however relevant it may be found in respect of the free market culture frame and contemporary western philosophy, has the disadvantage that it is neither methodologically nor theoretically worked out on hierarchically lower levels (especially in relation to the internal translation process and the product structure) for the pivotal focus on and analysis of our main object of study, as has been already pointed out elsewhere (e.g. Buzelin 2005, Chesterman 2006).

The currently debated utilitarian aspect of a theory, that is the idea of a theory in service of practice (possibly with research and researchers committed to improving the translator’s status or conditions43) has its precursors in western prescriptive or normative translation theories. They were criticized for well known reasons, especially from the positivistic standpoint. Holmes (1972, in Holmes 1988) saw the solution in the TS applied branch. In the 90s Chesterman (e.g. 1993, 1999) suggested a theory that would be built on the principle of from-is-to-ought to accommodate its axiological dimension. This is basically Levý’s design of his Art of Translation, a design of an original and coherent theory with an extension to the past and in particular to the contemporary ‘ought’.

 

ALLA RICERCA DI UNA TEORIA CON AGENTI

E AL SERVIZIO DELLA PRATICA

 

I concetti di «social agency» e «individual agency» nella traduzione come è noto sono stati introdotti con la svolta sociologica della scienza della traduzione. Il sociale/collettivo e l’individuale sono due componenti antagonisti necessari per le dinamiche delle entità umane, le loro attività e i loro codici culturali hanno testimoniato il loro ritorno tra le scienze umane. Per esempio, la struttura concettuale neo-marxista discussa recentemente, basata sulla agency umana come suggerito da Bourdieu e dal suo modello sul campo, per quanto importante per quanto riguarda la cultura del libero mercato e la filosofia occidentale contemporanea, ha lo svantaggio di non essere elaborato né metodologicamente né teoricamente nei livelli gerarchicamente più bassi (specialmente in relazione al processo traduttivo interno e alla struttura del prodotto) per l’importante punto focale e l’analisi del nostro oggetto di studio principale, come è stato già mostrato in precedenza. (Buzelin 2005, Chesterman 2006).

L’aspetto pratico di una teoria attualmente in discussione, cioè l’idea di una teoria al servizio della pratica (eventualmente con studi e ricercatori impegnati nel miglioramento della posizione e delle condizioni del traduttore43) ha il suo precursore nelle teorie traduttive prescrittive o normative. Sono state criticate per ragioni ben note, specialmente dalla prospettiva dei positivisti. Holmes (1972 in Holmes 1988) vedeva la soluzione nel ramo applicativo della scienza della traduzione. Negli anni Novanta Chesterman (1993, 1999) sosteneva una teoria che fosse costruita sul principio de “from-is-to-ought” per conciliare la dimensione assiologica. Questo è sostanzialmente il progetto di Levý per la sua Arte della traduzione, un progetto di una teoria originale e coerente con un’estensione verso il passato e in particolare al “ought” contemporaneo.

 

For pragmatic reasons in its time, the book was written with a dual purpose (scholarly knowledge and a tool for theoretical reflection of technical problems in literary translation, which might improve the quality of production) and for a dual audience (researchers and literary translators, respectively). However, as a meticulous scholar44 when it comes to theory and methodology, he was quite explicit about the difference between (a) a general theory and special theories built on empirical research, a verifiable theoretical model and hypotheses, (b) descriptive research based on an analytical model and methods and (c) translation criticism based on a critical model and methods (anchored in the concrete socio-cultural, historically established ‘ought’, i.e. translations vs. period conventions and the concept of an optimal, normative translation). This is how Levý’s book, aiming at a wider readership in a particular ideological atmosphere behind the ‘iron curtain’ should be interpreted.

Popovič (1971, 1975), Levý’s follower, designed the theory of translation as built from (a) general theory, (b) special theories (subcategorized into technical, journalistic and literary translation), (c) praxeology and (d) didactics.45 In his opinion, the subdiscipline of praxeology should complement the theoretical model of the translation process as the communicative functioning of translation because ‘real’ translations (i.e. processes and products) deviate from the ideal model due to concrete external social conditions46, hence his typological differentiation of translations. Praxeology, then, would explain the difference between the deductive theoretical model and reality, and come up with respective suggestions to improve translation practice, so that reality would get closer to the normative theoretical ideal, which, in consequence would improve practice with regard to the functioning and value of translation. Popovič’s praxeology, programmatically based on its own interdisciplinary research methodology and conceived as a subdiscipline concerned with translation practice with the aim of improving it through researchers’ proposals, represents almost a prototype ideal of the above mentioned endeavours and concerns in TS today

 

Per ragioni pragmatiche in  quel periodo il libro era stato scritto con un intento doppio (conoscenza erudita e uno strumento per la riflessione teorica su problemi tecnici nella traduzione artistica, il che poteva migliorare la qualità della produzione) e per un doppio pubblico (rispettivamente ricercatori e traduttori letterari). Tuttavia, in quanto studioso meticoloso44 quando si tratta di teoria e metodologia, era molto esplicito riguardo alla differenza tra (a) una teoria generale e teorie speciali costruite su ricerche empiriche, un modello teorico verificabile e ipotesi, (b) ricerca descrittiva basata su un modello d’analisi e metodi e (c)  critica della traduzione basata su un modello critico e metodi (ancorati nel “ought” socio-culturale concreto, stabilito storicamente, ossia la traduzione contro le convenzioni del periodo e il concetto di una traduzione normativa ottimale). Ecco come dovrebbe essere interpretato il libro di Levý, che mira ad un numero di lettori più ampio in una particolare atmosfera ideologica dietro “la cortina di ferro”.

Popovič (1971,1975), seguace di Levý, ha progettato la teoria della traduzione costituita da (a) teoria generale, (b) teorie speciali (sottocategorizzate in traduzione tecnica, traduzione giornalistica e traduzione artistica), (c) prasseologia e (d) didattica.45 Secondo lui, la subdisciplina della prasseologia doveva essere complementare al modello teorico del processo di traduzione come funzionamento comunicativo della traduzione perché la traduzione “reale” (cioè processi e prodotti) devia dal modello ideale a causa delle condizioni sociali concrete esterne46, da qui la sua differenziazione tipologica della traduzione. La prasseologia, allora, spiegherebbe la differenza tra il modello teorico deduttivo e la realtà, e trovare le rispettive proposte per migliorare la pratica della traduzione, così che la realtà si avvicini all’ideale teorico normativo, che, di conseguenza migliorerebbe la pratica con riguardo al funzionamento e al valore della traduzione. La prasseologia di Popovič, basata programmaticamente sulla propria metodologia di ricerca interdisciplinare e concepita come una sottodisciplina riguardante la pratica della traduzione con lo scopo di migliorarla attraverso le proposte dei ricercatori, rappresenta quasi un prototipo ideale degli interessi e degli impegni sopracitati nella scienza della traduzione odierna

 

– that is a theory, research and researchers acting in service of practice in order to help it or improve it.

Praxeology or theory of practice is also the denomination of Bourdieu’s sociology based on human action. Sociology of translation represented one of three branches in Popovič’s praxeology (1975), the other two being editorial practice of translation and methodology of translation criticism. Sociology was to be concerned with e.g. the selection of texts for translation (an ideological, political and economic issue) and the concrete social conditioning of the process and its product, also related to the status of translation practice and its professionalization, etc. Praxeological research has some coverage in both Slovak and Czech TS47, but it has to be carefully differentiated from what is known as the translator’s formulated poetics and other personal accounts which should themselves serve as objects of study.

 

OMNIPRESENT IDEOLOGY

 

For Czech and Slovak social semiotics it is in fact the receiver who determines the social functioning of an artistic work or its translation. Therefore ideology in the text cannot be reduced either to its inherent operativeness (i.e. the pragmatic dimension of ‘sign – user’) or to its thematic elements (‘meaning’) as it can also be carried by formal elements (their selection and syntax – i.e. on the paradigmatic and syntagmatic axes). This is also the case of literalist approaches to translation in earlier historical periods, making one wonder how such translations could have been functional, and yet, in one or more ways, they were .48

 

 

– cioè la teoria, ricerche e ricercatori agiscono al servizio della pratica al fine di aiutarla o migliorarla.

La prasseologia o la teoria della pratica è anche la denominazione della sociologia di Bourdieu basata sulle azioni umane. La sociologia della traduzione rappresentava uno dei tre rami della prasseologia di Popovič (1975), gli altri due erano la pratica editoriale della traduzione e la metodologia della critica traduttiva. La sociologia riguardava anche per esempio la selezione dei testi da tradurre (un problema ideologico, politico ed economico) e il concreto condizionamento sociale del processo e del suo prodotto, correlato anche allo stato della pratica traduttiva e alla sua professionalizzazione ecc. La ricerca prasseologica ha una certa copertura sia nella traduzione slovacca che ceca47, ma deve essere attentamente distinta da ciò che è conosciuto come la poetica formulata del traduttore e dagli altri resoconti personali che dovrebbero loro stessi essere oggetto di studio.

 

IDEOLOGIA ONNIPRESENTE

 

Per la semiotica sociale ceca e slovacca è in effetti il ricevente che determina il funzionamento sociale di un opera artistica o della sua traduzione. Perciò l’ideologia nel testo non può essere ridotta né alla sua operatività intrinseca (ossia la dimensione pragmatica di «segno – utente») né ai suoi elementi tematici («significato») in quanto possono essere portati da elementi formali (la loro selezione e la sintassi – ossia sull’asse pragmatico e sintagmatico). È anche il caso degli approcci letteralisti alla traduzione nei primi periodi storici, facendo sì che uno si chiedesse come tali traduzioni potessero essere funzionali, e tuttavia, in uno o più modi lo erano.48


Cultural ideology is inscribed in the text in its content or form in their interaction with the pragmatic dimension of the author/translator and receiver. The text contains sociosemes, which is a concept introduced in the late 70s (Pospíšil 2005: 207), i.e. elements of meaning (encoded in content or form), signs denoting in the particular sociocultural context and within the particular collective awareness some social meaning of facts experienced in life, including symbols constituted e.g. through encounters with art or with signs established in an artistic tradition. The sociosemes, mostly polyfunctional because they frequently relate to several aspects of world view, be it ethics and morals, politics, nationalism, religion etc., are conceived as dynamic structural units varying with the socio-historical context. This is why, paradoxically, the receiver may identify as sociosemes those sign units that had not been perceived as such by the author.

In respect of translation it is relevant to see what Levý (1971 in this volume) saw as pertinent and derived from Mukařovský, i.e. that the receiver’s reception is a combination of individual idiosyncracies as well as of collective internalized norms and social context – interpretations may result in the shift of the dominant function, in the reshuffling of intended functions carried by the elements in the structure, but also in perceiving as intended certain elements that the author may have never intended to function as such. Pospíšil (2005: 211), referring back to Mukařovský (1943, 1966) explains this intricacy by pointing out that for this structuralism the core theoretical assumption applies that the structure of functions of a work of art corresponds to the structure of needs of the individual or collective perceiver, hence the derived value of the work.

It is the predominant need or the social relevance in a particular society that determines the function and value of the text, and this is also why receivers in their particular culture and time perceive the functions as intentional on the production pole of the horizontal axis. As Mukařovský (1966: 64) points out, intentionality may be

 

L’ideologia culturale è inscritta nel testo nel suo contenuto o forma nella loro interazione con la dimensione pragmatica dell’autore/traduttore e il ricevente. Il testo contiene sociosemi, un concetto introdotto nei tardi anni Settanta (Pospíšil 2005: 207), ossia gli elementi del significato (codificati in contenuto o forma), segni che denotano nel particolare contesto socio-culturale e all’interno di una particolare consapevolezza collettiva alcuni significati sociali di fatti sperimentati nel corso della vita, inclusi i simboli costituiti per esempio attraverso gli incontri con l’arte o con i segni stabiliti in una tradizione artistica. I sociosemi, per la maggior parte polifunzionali poiché si relazionano frequentemente a numerosi aspetti della visione del mondo, che sia etica, morale,  politica, nazionalismo, religione ecc. , sono concepiti come unità dinamiche strutturali che variano con il contesto socio-storico. Ecco perché, paradossalmente, il ricevente può identificare come sociosemi quelle unità di segni che non sono state percepite così dall’autore.

Riguardo alla traduzione è importante vedere cosa Levý (1971 in questo volume) ha ritenuto pertinente e ha tratto da Mukařovský, ossia che la ricezione del ricevente è una combinazione di idiosincrasie individuali così come di norme collettive e contesti sociali interiorizzati – le interpretazioni possono determinare cambiamenti della funzione dominante, il rimescolamento di funzioni volute portate dagli elementi nella struttura, ma anche la percezione di certi elementi come voluti la cui funzione potrebbe non essere mai stata intesa in questo modo dall’autore. Pospíšil (2005: 211) riferendosi a Mukařovský (1943, 1966) spiega questa complessità evidenziando che per questo strutturalismo l’ipotesi teorica centrale richiede che la struttura delle funzioni di un’opera d’arte corrisponda alla struttura delle necessità del percettore individuale o collettivo, da qui i valori che provengono dall’opera.

È il bisogno predominante o la rilevanza sociale in una particolare società che determina la funzione e il valore del testo, e questa è anche la ragione per cui i riceventi nella loro particolare cultura e tempo percepiscono le funzioni come intenzionali nel polo della produzione sull’asse orizzontale. Come sottolinea Mukařovský (1966: 64), l’intenzionalità può essere afferrata solo se la guardiamo dal

grasped only if we look at it from the standpoint of the receiver whose anticipation of the author’s intention makes the receiver seek the semantic integral of the work; this in turn is generally bound to its genre affiliation. In the translation context this complex represents the standpoint of the translator, reader, editor and publisher, critic etc.

Ideological functions of translation are first and foremost laid bare by the very act of its ostension in certain contexts, in other contexts ostension may be concealed, intentions masked, but function/s can only ‘function’ at the receiver’s end, which certainly allows for un/intended manipulation as in any verbal interaction, be it direct or reported speech, be it non/fictional or semifictional discourse imaging worlds between the real and unreal in an artistic or non-artistic way. All such communication is subject to individual and contextual constraints as well as to the category of anti/illusionism. Translation, in addition, is constrained by the original as it is derived from it. This may be the point that makes the difference also, but not only, from the ideological perspective. However, there is no straightforward relationship between what the translator, under constraints, imports from the original and what is actually transferred into the TLC. This is because meanings and shifts in meaning are generated through the interaction of the internal context and the external context – even social meanings carried by signs are only realized through their perception in a concrete society. To make the picture more complicated – this social meaning may be imparted in the signs by the author, or by the translator, or it may be attributed to the signs by the receiver only.

This is nothing new – Mukařovský (1943, 1966: 93-94) points out that whatever the intentions of the author may have been, receivers may perceive them differently, depending on their individual and collective dispositions, which may even reshuffle the intended dominance and subordination of structural units.

 

punto di vista del ricevente la cui anticipazione dell’intenzione dell’autore gli fa ricercare la semantica integrale dell’opera; questo a sua volta è generalmente legato all’affiliazione a un genere testuale. Nel contesto traduttivo questo complesso rappresenta il punto di vista del traduttore, del lettore, dell’editor e dell’editore, del critico ecc.

Le funzioni ideologiche della traduzione sono rivelate prima di tutto dall’atto stesso della sua ostensione in certi contesti, in altri contesti l’ostensione può essere celata, le intenzioni mascherate, ma le funzioni/e può solo “funzionare” dalla parte del ricevente, che certamente tiene conto della manipolazione in/volontaria come in ogni interazione verbale,  sia essa un discorso diretto o riportato, un discorso finzionale/non finzionale o semifinzionale, immaginando mondi tra la realtà e l’irrealtà in un senso artistico o non artistico. Tutte queste comunicazioni sono oggetto delle limitazioni individuali e contestuali così come le categorie dell’illusionismo e dell’antillusionismo. La traduzione, in aggiunta, è limitata dall’originale poiché deriva da esso. Questo potrebbe essere il punto che fa la differenza anche, ma non soltanto, dalla prospettiva ideologica. Tuttavia, non ci sono relazioni dirette tra ciò che il traduttore, costretto, importa dall’originale e ciò che viene realmente trasferito nella cultura ricevente. Questa è anche la ragione per cui vengono generati i significati e i cambiamenti nei significati attraverso l’interazione di contesti interni ed esterni – anche i significati sociali portati dai segni sono realizzati soltanto attraverso la loro percezione in una società concreta. Per rendere il quadro più complicato – questo significato sociale può essere comunicato nei segni dall’autore, o dal traduttore, o può essere attribuito ai segni soltanto dal ricevente.

Questo non è niente di nuovo – Mukařovský (1943, 1966: 93-94), sottolinea che qualunque possano essere state le intenzioni dell’autore, i riceventi possono percepirle diversamente, dipende dalle loro disposizioni individuali e collettive, che possono persino rimescolare la dominanza voluta e subordinare le unità strutturali. Questo è il punto in cui l’intenzione di un autore interagisce con la ricezione, compresa quella del traduttore e conseguentemente quella del ricevente.

This is the point where an author’s intention interacts with reception, including that of the translator and consequently that of the receiver. So intentionality can only be fully understood if we look at it from the point of view of the receiver trying to identify the integral semantic unity of the artistic work against the background of the preconceived authorial intention in the particular genre, as Mukařovský (1943, 1966: 93-94) remarks.

In simple terms, the theoretical assumption, also valid for translation, is that the structure of a message corresponds to the receiver’s (individual or collective) structure of needs, and that this needs-related functioning constitutes its value. This is why a dominant need in a society at a particular time determines the function and value of a text, be it an original or a translation, and this is also why these two features are perceived as intentional. This may explain the ways texts are translated, perceived, and the criteria of their selection, but of course it is not an explanation of the origins of the receiver’s needs, nor of the needs of the receiver’s culture or their dynamism49.

However, this semiotic approach maintains the focus on its object of study – the sign as text and message, while the social context penetrates the sign through the author and receiver, whether we consider formal aspects, the content or the pragmatic aspect, as we hoped to demonstrate. To avoid losing the central object of translation studies, i.e. translation, for the sake of studying its external context, as may be the case when we borrow genuine sociological theories, it might be wiser to develop a sociological dimension in a theory that has such potential.

Limited space does not allow for a more detailed presentation and comparisons, thus potentially inviting some new misunderstandings. However, besides additional unavoidable risks involving her interpretation and some generalizations, it is the author’s hope that an interested reader will get some, albeit necessarily limited, access to a theory so far locked in other, less accessible, languages.

 

Così l’intenzionalità può essere interamente compresa soltanto se noi la guardiamo dal punto di vista del ricevente che prova ad identificare l’unità semantica integrale dell’opera d’arte sullo sfondo dell’intenzione precedentemente concepita dell’autore in un particolare genere testuale, come ribadisce Mukařovský (1943, 1966: 93-94).

In parole povere, l’ipotesi teorica, valida anche per la traduzione, è che la struttura del messaggio corrisponde alla struttura dei bisogni del ricevente (individuale o collettivo), e che questo funzionamento collegato ai bisogni costituisce il suo valore. Ecco perché un bisogno dominante in una società in un determinato momento determina la funzione e il valore di un testo, che sia un originale o una traduzione, e questo è anche il motivo per cui queste due caratteristiche sono percepite come intenzionali. Questo può spiegare i modi in cui i testi vengono tradotti, percepiti e i criteri della loro selezione, ma sicuramente non spiega le origini dei bisogni del ricevente, né i bisogni della cultura del ricevente o il loro dinamismo49.

Tuttavia, questo approccio semiotico mantiene l’attenzione sul suo oggetto di studio – il segno come testo e messaggio, mentre il contesto sociale penetra il segno attraverso l’autore e il ricevente, se consideriamo gli aspetti formali, l’aspetto del contenuto o quello pragmatico, come speravamo di dimostrare. Per evitare di perdere l’oggetto centrale della scienza della traduzione, ossia la traduzione, per studiarne il contesto esterno, come può essere il caso quando prendiamo in prestito teorie sociologiche vere e proprie, potrebbe essere più saggio sviluppare una dimensione sociologica in una teoria che ha tale potenziale.

Lo spazio limitato non permette una presentazione e una comparazione più dettagliate, perciò da adito potenzialmente a nuovi fraintendimenti. Tuttavia, accanto a inevitabili rischi aggiuntivi che coinvolgono la sua interpretazione e alcune generalizzazioni, l’autrice spera che il lettore interessato riuscirà ad avere più accesso, sebbene necessariamente limitato, a una teoria che fino ad ora è stata rinchiusa in altre lingue meno accessibili.

 

NOTES

 

  1. Its precursor was his habilitation thesis Základní otázky teorie prekladu (Fundamental Issues in Translation Theory) dated 1958; In 1958 he also published the textbook Úvod do teorie prekladu (Introduction to the Theory of Translation). The second version of The Art of Translation was completed by Levý in 1967 for the German translation published in 1969 as Die Literarische Übersetzung: Theorie einer Kunstgattung; its Russian translation was published in 1974 as Iskusstvo perevoda. His widely known article Translation as a Decision Process came out in 1967, the year of his premature death when he was only 40. Between the mid 50s and 1967 Levý wrote dozens of other articles and conference papers on translation and literature.
  2.  Volek (2005: 139) notes that the often cited works by Jakobson from the 50s and 60s are no longer representative of Prague structuralism .
  3. Czech structuralism, incl. Levý, distinguished between the artefact (text, sculpture, painting etc.) as a material object on the one hand, and its intersubjective existence as a work of art realized through the reception process, on the other. The artefact and the work of art represented two aspects of a sign.
  4. Doležel (2000b: 165) remarks that Czech structuralism is often criticized for its formalist and immanentist poetics, but perhaps it is more often the case that Prague poetics and aesthetics are simply eradicated from the map of 20th century poetics, i.e. totally ignored in “western” historical accounts and treatments of structuralism. On the other hand, Prague linguistics has been acknowledged as the post-Saussurean stage in the development of European structuralism.

 

NOTE

 

  1. Il suo precursore è stato la sua tesi di abilitazione Základní otázky teorie překladu (problemi fondamentali della teoria traduttiva) risalente al 1958; nel 1958 ha anche pubblicato un libro di testo Úvod do teorie překladu (introduzione alle teorie della traduzione). La seconda versione di Arte della traduzione è stata completata da Levý nel 1967 per la traduzione tedesca pubblicata nel 1969 con il titolo Die Literarische Übersetzung: Theorie einer Kunstgattung; la sua traduzione russa fu pubblicata nel 1974 col titolo Iskusstvo perevoda. Il suo famoso articolo Translation as a decisional process uscì nel 1967, l’anno della sua morte prematura quando aveva solo Quarant’anni. Tra la metà degli anni Cinquanta e il 1967  Levý scrisse decine di altri articoli e scritti per conferenze sulla traduzione e la letteratura.
  2. VOLEK (2005: 139) fa notare che spesso i lavori citati di Jakobson degli anni Cinquanta e Sessanta non sono più rappresentativi dello strutturalismo praghese.
  3. Lo strutturalismo ceco, incluso Levý, faceva distinzione tra l’artefatto (testo, scultura, dipinto ecc.) come oggetto materiale da un lato e la sua esistenza intersoggettiva come opera d’arte realizzata attraverso il processo di ricezione dall’altro. L’artefatto e l’opera d’arte rappresentavano i due aspetti di un segno.
  4. DOLEŽEL (2000B: 165) ribadisce che lo strutturalismo ceco è spesso criticato per la sua poetica formalista e immanentista, ma forse è più probabile che la poetica praghese e l’estetica siano state semplicemente sradicate dalla mappa della poetica del Novecento, ossia totalmente ignorate nei resoconti storici e nelle trattazioni dello strutturalismo “occidentali”. D’altro canto, la linguistica praghese è stata riconosciuta come fase post-saussureano nello sviluppo dello strutturalismo europeo.
    1. Jakobson was a professor at the university in the town of Brno; Levý worked there from 1964-1967.
    2. In 1936, Jakobson (quoted in Doležel 2000a: 164) said that Prague theory was the result of the symbiosis of Czech and Russian thinking, while at the same time it incorporated experience of West-European and American science. A critical account of the relationships between Russian formalism and Prague theory was published by Mukarovský in his review of the Czech translation of Shklovsky’s Teoriia prozy (Theory of prose) in 1934: among other he pointed out that Prague combined structural autonomy with the aspect of its conditioning sociocultural embeddedness.
    3. E.g. Lubomír Doležel (Canada), Kvetoslav Chvatík (Germany, Switzerland); Ladislav Matejka, Emil Volek and Peter Steiner (USA).
    4.  I.e. both its production and reception. Influenced by Lotman, the Slovaks use the term text for the combination of form and meaning.
    5. i.e. theories based on empirical study. The Czechs and Slovaks used the so called zig-zag method (which can be traced back to W. von Humboldt) – a dialectical interaction between empirical results and formulation/extension of a theory: Because of this principle, Levý and Popovic are considered descriptivists in Translation Studies. However, it is obvious that their descriptivism may not overlap with Toury’s DTS.
    6. Handling structures without people, or, as Bourdieu (1994) would have it – conceptualizing people as mere ‘epiphonemes’ of structures. The reason for this fundamental difference between French and Czech structuralism is that while the former drew more heavily on Saussurean systemic linguistic theory, the latter, i.e. Mukarovský’s functional approach, relied on Husserl’s phenomenology and Durkheim’s sociology.
    7. Jakobson è stato professore all’università della città di Brno; Levý ha lavorato lì dal 1964 al 1967.
    8. Nel 1936 Jakobson (citato in Doležel 2000a: 164) ha affermato che la teoria praghese era il risultato della simbiosi del pensiero ceco e di quello russo, mentre allo stesso tempo incorporava l’esperienza degli studi dell’Europa occidentale e dell’America. Un resoconto critico della relazione tra il formalismo russo e la teoria praghese fu pubblicato da Mukařovský nella sua recensione della traduzione ceca di Teoriia prozy (teoria della prosa) di Shklovskii nel 1934: tra l’altro evidenziò che Praga aveva combinato l’autonomia strutturale con l’aspetto della sua integrazione socio-culturale condizionante.
    9. Per esempio Lubomír Doležel (Canada), Květoslav Chvatík (Germania, Svizzera); Ladislav Matějka, Emil Volek e Peter Steiner (USA).
    10. Ossia sia la sua produzione che la sua ricezione. Influenzati da Lotman, gli slovacchi usano il termine text per la combinazione di forma e significato.
    11. Ossia le teorie basate sugli studi empirici. I cechi e gli slovacchi utilizzavano il metodo chiamato zig-zag (che può essere fatto risalire a W. Von Humboldt) – un’interazione dialettica tra i risultati empirici e la formulazione/estensione di una teoria: dato questo principio, Levý e Popovič sono considerati descrittivisti nella scienza della traduzione, tuttavia, il loro descrittivismo non può ovviamente coincidere con i Descriptive Translation Studies di Toury.
    12.  Occuparsi delle strutture senza le persone, o come sosterrebbe BOURDIEU (1994) – concettualizzare le persone come meri “epifonemi” delle strutture. La ragione di questa differenza fondamentale tra lo strutturalismo francese e ceco è che mentre il primo ricorreva più fortemente alla teoria linguistica sistemica Saussureana, il secondo, ossia l’approccio funzionale di Mukařovský, faceva affidamento sulla fenomenologia di Husserl  e sulla sociologia di Durkheim.
      1. Hence the difference between Popovic’s and Holmes’s TS paradigms: Popovic does not use the concepts of DTS and applied branches, and sees the development of the discipline as a dialectical movement between theory and analytical empiricism, while his praxeology as a pragmatic extension covers Holmes’s applied branch (Jettmarová 2005).
      2. Cf. Levý in this volume. Cf. also recent concerns over Bourdieu’s integration into TS.
      3. The Moscow-Tartu school was established by Lotman, Ivanov and Toporov in 1964.
      4. Especially the Warsaw Circle and E. Balcerzan.
      5. Czech structuralism was called sociosemiotics by Chvatík (1994: 55).
      6. E.g. the widely-known Literary Theory (1983) by Terry Eagleton presents structuralism as a bricolage of hackneyed half-truths and uninformed assumptions which make structuralism look like a list of deadly sins, e.g.linking Czech literary structuralism of the 60s directly and only with Saussure and Russian formalists, at the same time relegating it to the domain of philosophical idealism, and claiming that this structuralism eliminated the human subject and reduced it to the function of a non-personal structure, etc. (Doležel 2005: 123-124)
      7. Taken from B. Malinowski (1953).
      8. Adapted from A. Tarski (1933).
      9. The concept of the dominant was taken over from Russian Formalism (according to Jakobson 1935, published in Eagle 1971 and in Jakobson 1995: 37).

 

 

 

  1. Da qui la differenza tra i paradigmi traduttivi di Popovič e Holmes: Popovič non usa il concetto dei Descriptives Translation Studies e dei rami applicativi, e vede lo sviluppo della disciplina come un movimento dialettico tra la teoria e l’empirismo analitico, mentre la sua prasseologia, in quanto estensione pragmatica copre il ramo applicativo di Holmes (Jettmarová 2005).
  2.  Vedi Levý in questo volume. Vedi anche i recenti interessi a proposito dell’integrazione nella scienza della traduzione di Bourdieu.
  3.  La scuola di Mosca-Tartu fu istituita da Lotman, Ivanov e Toporov nel 1964.
  4.  Specialmente il circolo di Varsavia e E. Balcerzan.
  5.  Lo strutturalismo ceco venne chiamato sociosemiotica da Chvatík (1994: 55)
  6.  Per esempio la famosa Literary Thoery (1983) di Terry Eagleton presenta lo strutturalismo come un bricolage di mezze verità trite e ritrite e presupposti disinformati che fa sembrare lo strutturalismo una lista di peccati mortali, per esempio collegare lo strutturalismo letterario ceco degli anni Sessanta direttamente e solamente con Saussure e i formalisti russi, rilegandolo allo stesso tempo al campo dell’idealismo filosofico e sostenendo che questo strutturalismo abbia eliminato il soggetto umano riducendolo alla funzione di una struttura non-personale ecc. (DOLEŽEL 2005: 123-124).
  7.  Preso da B. MALINOWSKI (1953).
  8.  Adattato da A. TARSKI (1933).
  9. il concetto di «dominante»è stato preso dal formalismo russo (secondo Jakobson 1935, pubblicato su Eagle 1971 e in Jakobson 1995: 37).
    1. Function was understood as the (intended) aim or purpose of communication, which in turn was seen as a teleological activity, i.e. social interaction aimed at some goal. As a relational concept, function depends on the receiver. For Mukarovský (1936: 54), aesthetic value was found to be a process co-determined by both the immanent development of the artistic structure and the changes in the structure of “social cohabitation”.
    2. Cf. ‘text-type’ translation theories (e.g. Skopos, Newmark) that also highlight the main function but lack this dynamism as well as their explicit socio-historical embeddedness.
    3. The reader’s interpretation is alternatively called concretization (a modified concept adapted from Ingarden’s phenomenological theory) to designate the resulting mental image of the work of art, in contrast with proficient interpretations by literary scholars or critics (cf. Levý 1983: 47). Mutatis mutandis for translation.
    4. This model of the reception process anticipated the principles of reception aesthetics (the Konstanz school) as well as any attempts to integrate hermeneutics. Levý (1963 in Levý 1971: 49) is explicit about the hierarchic structure of such perception, adding that at certain point of semantic accumulation of information, a new information increment results in the transformation of a series of semantic units into an instruction of how to understand this semantic series. This is how the structure of an artistic message gradually emerges or comes into being during the process of concretization in dependence on the reader’s idiolect.
    5. La funzione era intesa come lo scopo o il proposito (intenzionale) di comunicazione, che a sua volta era visto come attività teleologica, ossia l’interazione sociale mirata ad alcuni obiettivi. Come concetto relazionale la funzione dipende dal ricevente. Per Mukařovský (1936: 54), il valore estetico è risultato essere un processo co-determinato sia dallo sviluppo immanente della struttura artistica sia dai cambiamenti nella struttura della coabitazione sociale.
    6. Vedi le teorie di traduzione “testo-tipo” (per esempio Skopos, Newmark) che evidenziano anche la funzione principale ma mancano di questo dinamismo così come il loro esplicito coinvolgimento socio-storico.
    7. L’interpretazione del lettore è chiamata in alternativa concretizzazione (un concetto modificato adattato dalla teoria fenomenologica di Ingarden) per indicare l’immagine mentale dell’opera d’arte risultante, in contrasto con le abili interpretazioni degli studiosi o dei critici letterari (Levý 1983: 47). Mutatis mutandis per la traduzione.
    8.  Questo modello del processo ricettivo ha anticipato i principi dell’estetica della ricezione (la scuola di Konstanz) così come ogni tentativo di integrare l’ermeneutica.  Levý (1963 in Levý 1971: 49) è esplicito a proposito della struttura gerarchica di tale percezione, aggiungendo che ad un certo punto di accumulazione semantica dell’informazione, un nuovo incremento informativo determina la trasformazione di una serie di unità semantiche in un’istruzione su come capire queste serie semantiche. È così che le strutture di un messaggio artistico emergono gradualmente o nascono durante il processo di concretizzazione a seconda dell’idioletto del lettore.

 

 

 

  1. A more specific version (Levý 1963b: 25n) of the hypothetical process, proposed as a weakly normative one, breaks down the reading phase into the stages of (a) understanding and (b) interpreting, the latter including the establishment of a pre/conception of the translation by the translator. ‘Re-stylization’ is the execution stage, involving three potential transfer procedures: translation (relevant for the general component), substitution (relevant for the specific component) and transcription (relevant for the unique/individual component).
  2. he referential aspect of a work of art should not be equated with imitation of reality as is common for the reductionist and simplistic concept of mimesis in Western culture today. Literary representation is a more complex issue.
  3. All his subcategories are conceptualized and further classified in taxonomies. Expression is understood as a unit combining linguistic style and content.
  4. The same form or content may have different meaning in the TL/TLT/TLC, thus to achieve the same function the translator should use forms and contents that are potential carriers of that function, which is identified through the translator’s understanding and interpretation of the SLT element’s function on its the structural level and in the SLT as a whole). However, some forms or content in translation may, unlike their SLT counterparts, acquire additional function/s in translation, e.g. adding local or historical colour, and thus become dominant elements. This depends on the prospective function of a translation and the translator’s pre/conception of it.
  5. Una versione più specifica (Levý 1963b: 25n) del processo ipotetico, proposta come versione debolmente normativa, divide la fase della lettura in stadi di (a) comprensione e (b) interpretazione, quest’ultimo include la formazione di una pre/concezione della traduzione da parte del traduttore. La “re-stilizzazione” è uno stadio esecutivo, che coinvolge tre potenziali procedure di trasferimento: traduzione (rilevante per la componente generale), sostituzione (rilevante per la componente specifica) e trascrizione (rilevante per la componente unica/individuale).
  6. L’aspetto referenziale di un’opera d’arte non dovrebbe essere fatto coincidere con l’imitazione della realtà, comune per il concetto reduzionista e semplicista della mimesi nella cultura occidentale odierna. La rappresentazione letteraria è una questione più complessa.
  7.  Tutte le sue sottocategorie sono concettualizzate e ulteriormente classificate in tassonomie. L’espressione è intesa come un’unità che combina lo stile linguistico e il contenuto.
  8. La stessa forma o contenuto può avere un significato differente nella traduzione/testo tradotto/cultura ricevente, perciò per ottenere la stessa funzione il traduttore dovrebbe usare forme e contenuti che sono portatori potenziali di quella funzione, che è identificata attraverso la comprensione e l’interpretazione della funzione degli elementi del testo emittente sul suo livello strutturale e del testo emittente nel suo insieme da parte del traduttore. Tuttavia, alcune forme e contenuti nella traduzione possono, a differenza delle loro controparti nel testo emittente, acquisire funzioni addizionali nella traduzione, per esempio ulteriore colore locale o storico, e perciò diventare elementi dominanti. Questo dipende dalla funzione prospettiva di una traduzione e della pre/concezione che ne ha il traduttore .
    1. i.e. meaning (whether cognitive or emotive) constituted by both form and content. Semiotically (Chvatík 2001: 128), although the meaning of a sign is constituted in the cognition of an individual interpreting the sign, the intersubjective validity of the meaning is constituted by the social structure on whose background it is concretized by the individual.
    2. From this point, current debates on the a/historicity or the westernized concept of translation (e.g. Tymoczko 2006) lose some of their relevance. As Popovic (1983) points out, there is no universal definition of translation because it is a historical relational concept that can either be empirically derived from the structure of translations (as a projected communication in the text), or determined through its position among other texts (especially derived texts, i.e. metatexts). Popovic (1975) opts for the latter option and integrates his metatext theory, positioning translation on the scale between token-token and token-type models. Translations may be used as prototexts with domestic texts derived from them – as is the case of translation’s developmental function.
    3.  i.e. epistemological.
    4. The concept, derived from illusio (ludus), was used in Czech semiotic aesthetics, especially in theatre studies, to denote the tendency to create images in such a way so that they would invoke in the receiver the illusion of their real existence. In other words, to create a model of an existing or non-existing prototype that would be accepted by the receiver as a prototype on the agreed principle of a play, i.e. ‘as if’. Pseudotranslations (i.e. texts only pretending to have been derived from their prototype originals) misuse this principle.

 

 

  1. Ossia il significato (sia esso cognitivo o emotivo) costituito sia dalla forma che dal contenuto. Semioticamente (Chvatík 2001: 128) sebbene il significato di un segno sia costituito nella cognizione di un’interpretazione individuale di un segno, la validità intersoggettiva del significato è costituita dalla struttura sociale sul cui sfondo è concretizzata dall’individuo.
  2. Da questo punto, gli attuali dibattiti sull’a/storicità o il concetto occidentalizzato di traduzione (per esempio Tymoczko 2006) hanno perso un po’ della loro importanza. Come fa notare Popovič (1983), non ci sono definizioni universali di traduzione perché è un concetto relazionale storico che può essere o derivato empiricamente dalle strutture delle traduzioni (come una comunicazione proiettata in un testo) o determinato attraverso la sua posizione tra gli altri testi (specialmente i testi derivati, ossia i metatesti). Popovič (1975) opta per l’ultima opzione e integra la sua teoria del metatesto, collocando la traduzione su una scala tra il modello token-token e quello token-type. Le traduzioni possono essere usate sia come prototesti con i testi nazionali derivati da essi – sia succede nel caso della funzione evolutiva della traduzione.
  3. Ossia epistemologico.
  4.  Il concetto, derivato dall’illusio (ludus), era usato nella semiotica estetica ceca, specialmente negli studi teatrali, per denotare la tendenza a creare immagini in modo tale da evocare nel ricevente l’illusione della loro reale esistenza. In altre parole, per creare un modello di un prototipo esistente o inesistente, che venga accettato dal ricevente come un prototipo sul principio convenuto della commedia, ossia “come se”. La pseudotraduzione (ossia i testi fingono solamente di essere stati derivati dai loro prototipi originali) fa cattivo uso di questo principio.
    1. Hence Popovic’s (1975) translativity dichotomies of here-and-now, here-and-then, there-and-now and there-and-then, defined in terms of the own, the other, the new and the old in their combination.
    2. Cf. Toury’s law of interference.
    3. This phenomenon was also hypothetized by Nida (1964), however without its dynamic dimension.
    4. Real translations and translators may deviate from the theoretical model in a number of aspects and for a variety of reasons. The general communication model cannot account for all concrete nuances and manifestations. Apart from autotranslation, intermediated translation, compiled translation, plagiarized translation, concealed translation, polemic or substandard translation, the translator may not respect, for various reasons, the current translation norm or some communication factors and relations in their proportions dictated by current norms, including the concept of translation and equivalence.
    5. The Czech concept of an open structure allows for non-systemic elements be present in the structure, and viceversa – for originally integrated elements to leave the structure via its periphery.
    6. Cf. e.g. Bourdieu’s habitus and trajectory.
    7. For Czech structuralism, the intended function at the production end and the resulting value at the reception end are inherent in both aspects, therefore translations are seen as hybrids. Value is then related to the translation’s social circulation (i.e. its functioning and positioning);

 

 

 

  1. Da qui le dicotomie della trazionalità di Popovič (1975): qui-e-ora, qui-e-allora, lì-e-ora, lì-e-allora; definite in termini di il proprio, l’altrui, il nuovo e il vecchio nella loro combinazione. Questi possono riflettere nello stile e/o nel contenuto della traduzione. Se le soluzioni del traduttore nel testo mostrano una fluttuazione tra le dicotomie, è segno di una mancanza di metodo e di pre/concezione.
  2. Vedi la legge dell’interferenza di Toury.
  3. Questo fenomeno era stato ipotizzato anche da Nida (1964), tuttavia senza la sua dimensione dinamica.
  4. Le traduzioni reali e i traduttori possono deviare dal modello teorico in numerosi aspetti e per svariate ragioni. Il modello generale di comunicazione non può rendere conto di tutte le sfumature e le manifestazioni concrete. Eccetto per l’autotraduzione, la traduzione intermedia, la traduzione redatta, la traduzione plagiata, la traduzione nascosta, la traduzione polemica o substandard, il traduttore può non rispettare, per molte ragioni, la norma della traduzione attuale o alcuni fattori comunicativi e le relazioni nelle loro proporzioni dettate dalle norme correnti, incluso il concetto di traduzione ed equivalenza.
  5.  Il concetto ceco di struttura aperta non tiene conto degli elementi non-sistemici presenti nella struttura e viceversa – degli elementi originariamente integrati per lasciare la struttura tramite la sua periferia.
  6.  Vedi esempio dell’habitus e della traiettoria di Bourdieu.
  7.  Per lo strutturalismo ceco, la funzione voluta dalla parte della produzione e il valore risultante dalla parte della ricezione sono intrinseci in entrambi gli aspetti, perciò le traduzioni sono considerate ibridi. Il valore è poi correlato alla circolazione sociale della traduzione (ossia al suo funzionamento e alla sua

 

this circulation, in turn, relates with heteronomous factors or structures in the social context.

  1. The period of the 19th century Revival in the Czech culture that had been surviving under the dominating German/Austrian rule is a perfect example of contradictory parallel norms and functions; while translations from German aided the distancing of the two cultures by applying the domesticating method, translations from Slavic languages/cultures sought cultural convergence, supporting the idea of Pan-Slavism.
  2. For intercultural relationships in TS see esp. Lambert in Delabastita et al. (2006: 37-62, 84-85, 111-116).
  3. The dichotomy of foreignization and domestication in translation was introduced by Schleiermacher and recently re-introduced by Venuti. Levý, in the early 1960s, ushered in the umbrella concept of translativity as a scale with the two poles and related it explicitly to the category of the receiver, thus turning it into a dynamic and historical concept with both descriptive and explanatory potential.
  4. Jakobson’s concept (1960) proposed next to his interlingual and intersemiotic translation.
  5. Similar to the ambitions of Bourdieu’s sociology and his researcher.
  6. In the 1960s, Levý established the Group for Exact Methods and Interdisciplinarity in Brno.
  7. For a comparison of Popovic’s and Holmes’s paradigms cf. Jettmarová (2005). In places Popovic subsumes didactics under praxeology.

 

 

 

collocazione); questa circolazione, a sua volta collega i fattori eteronomi o le strutture nel contesto sociale.

  1. Il periodo del Revival dell’Ottocento nella cultura ceca che è sopravvissuto alle regole della dominazione tedesca/austriaca è un perfetto esempio di norme e funzioni parallele contraddittorie; mentre le traduzioni dal tedesco miravano a distanziare le due culture applicando il metodo addomesticante, le traduzioni dalle lingue/culture slave ricercavano una convergenza culturale, supportando l’idea del panslavismo.
  2. Per le relazioni interculturali nella scienza della traduzione vedi  Lamberti in Delabastita et al. (2006: 37-72, 84-85, 111-116)
  3.  la dicotomia di estraniazione e addomesticamento nella traduzione sono state introdotte da Schleiermacher e recentemente re-introdotte da Venuti.  Levý, agli inizi degli anni Sessanta, ha introdotto nel vasto concetto della traduzionalità come una scala con due poli e lo ha collegato esplicitamente alla categoria del ricevente, trasformandolo così in un concetto dinamico e storico con un potenziale sia descrittivo che esplicativo.
  4.  Il concetto di Jakobson (1960) proposto accanto alla sua traduzione interlinguistica e intersemiotica.
  5.  Simile alle ambizioni della sociologia di Bourdieu e al suo ricercatore.
  6.  Negli anni Sessanta,  Levý ha fondato il gruppo per i metodi esatti e l’interdisciplinarità a Brno.
  7. Per un paragone tra i paradigmi di Popovič e Holmes vedi Jettmarová (2005). Popovič classifica a volte la didattica sotto la prasseologia.

 

 

  1. This may cast doubt on the strength of the descriptive and explanatory hypotheses of the communication theory and its model (specifically in Popovic). Modelling is treated e.g. by Levý (1971: 69-70). Normativity as a subdiscipline (deriving the ‘ought’ from general principles) was part of some semiotic theories, occupying a slot between the pure and descriptive semiotics (Osolsobe 2002: 162).
  2.  On the conceptual and theoretical levels elaborated e.g. by Ján Ferencík (1982).
  3. Whether they have or have not been functional can only be discerned from manifested receptions (e.g. reviews, polemics, etc.) and consequent effects, but also from the fact that these complied with the translation norm of the time. Cf. also Jettmarová on advertising (2003, 2004).
  4.  ‘Need’ has become a buzzword in Translation Studies and it can be conceptualized  from different disciplinary angles. For Czech and Slovak structuralism need is a contextually internalized part of the experiential complex in the individual, while culture needs may be said to derive from ideology of the culture-in-time and the status quo of the system in focus. Studies on history of translation and literature are explicit and specific about who or what is behind the constitution of needs. (cf. e.g. Levý 1957 and Vodicka 1969).

 

 

  1.  Questo può gettare dubbi sulla forza delle ipotesi descrittive ed esplicative della teoria comunicativa e del suo modello (specificamente in Popovič). La modellizzazione è trattata per esempio da Levý (1971: 69-70) la normatività come sottodisciplina (derivando il “ought” da principi generali) era una parte delle teorie semiotiche, che occupava un posto tra la semiotica pura e quella descrittiva (Osolsobě 2002: 162).
  2. Su livelli concettuali e teoretici elaborati per esempio da Ján Ferenčík (1982).
  3.  Sia che siano o meno funzionali possono soltanto essere distinti dalle ricezioni manifestate (per esempio la recensione, la polemica ecc.) e dagli effetti che ne derivano, ma anche dal fatto che questi hanno rispettato la norma traduttiva del tempo. Vedi anche Jettmarová sulla pubblicità (2003-2004).
  4.  La parola “bisogno” è diventata di moda nella scienza della traduzione e può essere concettualizzata da diversi angoli disciplinari. Per lo strutturalismo ceco e slovacco il bisogno è una parte interiorizzata contestualmente del complesso esperienziale dell’individuo, mentre si può dire che i bisogni della cultura derivino dall’ideologia della cultura-nel-tempo e dallo status quo del sistema in questione. Gli studi sulla storia della traduzione e della letteratura sono espliciti e specifici a proposito di chi o cosa c’è dietro la costituzione dei bisogni (vedi per esempio Levý 1957 e Vodička 1969).

 

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3. Riferimenti bibliografici della prefazione

 

 

 

 

 

 

 

 

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