Monthly Archives: December 2013

Traducibilità del gergo criminale russo nelle intercettazioni telefoniche in Italia

Traducibilità del gergo criminale russo nelle intercettazioni telefoniche in Italia

Michela Cobelli

Fondazione Milano

Milano Lingue http://www.fondazionemilano.eu/lingue/

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18 20151 MILANO

Relatore: professor Bruno Osimo

Diploma in Mediazione linguistica

dicembre 2013

© Michela Cobelli per l’edizione italiana 2013

La traslitterazione dal russo è stata eseguita in conformità alla norma ISO/R 9:1995.

Abstract in italiano

Il proposito è affrontare il problema della traducibilità del gergo criminale russo nella realtà giudiziaria italiana. Partendo da alcuni stralci di intercettazioni telefoniche sono analizzate espressioni gergali russe da un punto di vista storico, linguistico e culturale. Più gli intertesti del gergo criminale russo sono impliciti, maggiore è per il mediatore linguistico la difficoltà di decodificarli perché i numerosi residui necessitano di una traduzione metatestuale. Nell’ultima parte è approfondita la figura del mediatore linguistico che deve tenere conto delle differenze culturali per tradurre il messaggio superficiale, ma anche le sue implicazioni. Si cerca di spiegare usi e costumi della criminalità russa.

English abstract

The purpose is to tackle the problem of translating Russian criminal slang in Italian judicial inquiries. Starting from a series of wiretap extracts, Russian slang expressions have been examined from a historical, linguistic and cultural point of view. The more the Russian criminal slang intertextuality is implicit, the harder the task of the translator, who must be able to take into account all the relevant cultural differences and ensure that neither what is explicit nor what is implicit is lost in translation. The project also explains the customs and traditions of Russian criminality.

Резюме на русском языке

Цель настоящей работы – рассмотреть вопрос переводимости русского воровского жаргона в итальянской судебной практике. В ходе работы, начиная с прослушивания нескольких телефонных разговоров, проанализированы некоторые российские жаргонные выражения с исторической, языковой и культурной точки зрения.Следует отметить, что, чем больше интертекст является имплицитным, тем больше у переводчика встречается трудностей при переводе, т.к. остаточные элементы необходимо передать посредством метатекстового перевода. Переводчик должен принять во внимание культурные различия и не только перевести поверхностные сообщения, но и их импликации. Кроме того, в данной работе затронуты обычаи русского преступного мира.

INDICE

1 PREFAZIONE……………………………………………………………………………………………………………………………5

1.1 Il gergo………………………………………………………………………………………………………………………………..5

2 LE INTERCETTAZIONI IN ITALIA……………………………………………………………………………………………………7

2.1 Le Forze di polizia………………………………………………………………………………………………………………….9

2.2 Contrabbando…………………………………………………………………………………………………………………….11

2.3 Ricettazione……………………………………………………………………………………………………………………….13

2.4 Le parolacce:Il mat russo………………………………………………………………………………………………………17

2.5 Gerarchia criminale……………………………………………………………………………………………………………..19

2.6 Il ruolo delle donne……………………………………………………………………………………………………………..24

2.7 La droga…………………………………………………………………………………………………………………………….27

3 MEDIAZIONE LINGUISTICA: ASPETTI E DIFFICOLTÀ DELLA TRADUCIBILITÀ DEL GERGO E DELLA MEDIAZIONE GIURIDICA……………………………………………………………………………………………………………32

4 APPENDICE……………………………………………………………………………………………………………………………35

5 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI…………………………………………………………………………………………………….39

1 PREFAZIONE

1.1 Il gergo

Nella mitologia greca Argo era il nome della nave che portò Giasone e gli Argonauti alla conquista del vello d’oro, dalla Grecia alla Colchide, sulle estreme rive del Mar Nero. Si diceva che la polena della nave potesse comprendere tutte le lingue ma che ne parlasse una sola, la “lingua degli uccelli”, comprensibile solamente mediante la magia (Argonautiche 2003). Dal francese argot, che inizialmente era la parlata della malavita e dei militari,in italiano il «gergo» è una forma di linguaggio utilizzata da certi gruppi sociali che non vogliono essere compresi da persone estranee al gruppo, e è configurata come un codice segreto, la cui funzione criptica da un lato esclude gli altri dalla comunicazione e dall’altro rafforza i legami e il senso di coesione interna, visto che i gerganti condividono attività, esperienze e ambiti di vita comuni (Treccani).Dal punto di vista linguistico il gergo, secondo la definizione di Cohen (1919) si appoggia su una lingua o su un dialetto preesistenti, sui quali si innesta un nuovo lessico, attraverso un processo definito appunto di rilessicalizzazione e di risemantizzazione, che implica l’utilizzo di particolari procedimenti fonomorfologici nella formazione di parole nuove e l’impiego massiccio di metonimie e metafore, sineddochi e altre figure retoriche, capaci di creare sempre nuove relazioni semantiche, a volte anche complesse, specie quando si basano sul gioco contrastivo fra lingua e dialetto. I gerghi storicamente attestati in Italia risalgono al tardo medioevo e si dividono tradizionalmente in due gruppi, quelli della malavita e quelli di mestiere. La linea di demarcazione non è sempre facilmente tracciabile, dato che la storia della malavita e del vagabondaggio, in cui si riconoscono alcune categorie di emarginati sociali (delinquenti, giostrai e giocolieri, ciarlatani, truffatori, questuanti, mendicanti e imbonitori), si mescola con la storia dei lavoratori migranti, che passano di paese in paese e di casa in casa nell’esercizio dei loro mestieri, come i calderai, i seggiolai, gli arrotini, gli spazzacamini, i muratori, i ciabattini, eccetera. Oggi, il linguaggio giovanile è considerato una sorta di gergo, perché è usato per lo più nell’interazione verbale all’interno del gruppo e è caratterizzato da un insieme di lessemi espressivi, metaforici distribuiti per aree geografiche. Il termine si è esteso a indicare i lessici speciali, infatti si usa spesso parlare di gergo burocratico, gergo sportivo, gergo giornalistico. Si può parlare di gergo studentesco anche se esso non caratterizza un ceto sociale, perché il gruppo non è stabile ma in continuo ricambio e in esso c’è un’esigenza di differenziazione che nasce da un particolare stato d’animo: un’opposizione polemica dello studente nei confronti dei suoi superiori (Beccaria 1973).

Studiare l’etimologia delle espressioni gergali russe è un compito straordinariamente difficile, poiché la formazione di queste parole è di gran lunga più ampia di quelle della lingua letteraria e si creano sulla base di elementi di diversi sistemi lessicali della lingua russa, ad esempio:

1. арбуз (arbùz) nella lingua letteraria significa «cocomero», in gergo ha il significato di «testa».

2. рожак (ròžak) è un’espressione puramente popolare e significa «testa».

3. бобочка (bòbočka) viene dal dialetto di Kursk боба, e in gergo vuol dire «camicia».

4. литерка (lìterka) è un socioletto: viene dalla parola литер (lìter) «documento di viaggio» ma in gergo militare significa «luogotenente».

5. шопник (šòpnik) viene dall’inglese shop e vuol dire «ladro specializzato nei furti nei negozi».

6. гасиловка(gasìlovka) è un’espressione gergale per dire «rissa» e ha origine sì dal verbo гасить (gasìt’) che in russo vuol dire «reprimere, soffocare», ma il suo significato è influenzato dal gergo giovanile, per il quale гасить (gasìt’) significa «fare a pugni» (Gračev 2009).

Il gergo russo si è formato negli ambienti malavitosi alla fine del Settecento quando lo zar Pietro I iniziò a varare una serie di riforme che avrebbero reso la Russia uno Stato più stabile e più moderno: tra queste la creazione di un sistema regolare di polizia e un apparato carcerario meglio organizzato. Fino al 1930 venivano arrestati e rinchiusi in carcere o nelle colonie penali gruppi di rivoluzionari o delinquenti comuni, ma è dal 1934, in seguito all’assassinio di Sergej Mironovič Kirov, importante esponente del partito comunista sovietico strettamente legato a Stalin, che cominciano«le grandi purghe» (Большой террор) ovvero la persecuzione su vasta scala di criminali, oppositori politici o sospetti tali, collaboratori di fiducia di Stalin, membri del governo, dell’esercito e della polizia politica, con accuse che andavano dal tradimento, alla cospirazione controrivoluzionaria, al sabotaggio o a alleanze con nemici dell’Unione Sovietica all’estero (Rjazanovskij 2008). Se non condannati subito a morte, i detenuti erano costretti ai lavori forzati e vivevano in condizioni disumane, tanto che spesso morivano di stenti o suicidi. I gulag nati per essere luoghi di rieducazione e di reinserimento nella società, diventarono in realtà delle vere e proprie scuole per il crimine, in cui i detenuti si univano in bande, reclutavano propri adepti e, una volta fuori, organizzavano delle vere e proprie gang. In carcere ai vertici di questi gruppi vi erano i ворвзаконе (vor v zakòne), i cosiddetti «ladri nella legge»: figure importantissime e ancora oggi molto influenti nel mondo criminale della Russia, come vedremo più avanti. Questi «ladri nella legge» obbediscono a un codice non scritto (la legge) di completa sottomissione alle leggi della vita criminale, tra cui il rifiuto del lavoro e delle attività politiche, l’obbligo di non collaborare con le autorità, di non avere una famiglia, non avere commerci, né soldi dichiarati, né case e nemmeno un indirizzo di residenza (Gurov 1990).

È quindi nei gulag che si inizia a parlare in феня(fénija): il gergo criminale russo. L’espressione gergale Ботатьпофене (bòtat’ po féne) vuol proprio dire «parlare nel gergo dei ladri»; con la sua variante фeнибoтать (féni bòtat’). Nonostante in russo «parlare» si dica говорить (govorìt’), la parola ботать (bòtat’) probabilmente viene dalla parola russa болтать (bòltat’) che significa «chiacchierare, parlare molto», e è entrata nell’uso colloquiale in forma gergale dopo varie rilessicalizzazioni di espressioni dialettali. In origine, ботатьнаофене (bòtat’ na oféne), voleva dire «parlare la lingua degli ofeni», gli офени (oféni), erano venditori ambulanti, per lo più vagabondi che commerciavano piccole merci, la cui parlata ha esercitato una grandissima influenza sul gergo russo. Dagli anni 1910-1930 la parola феня (fénja), senza la vocale iniziale «o», venne usata per distinguere il vero e proprio gergo criminale russo. Esiste anche un gioco di parole фенявботах (fénija v bòtah), che significa «conoscere il gergo dei ladri senza appartenere al mondo criminale» (Gračev 2009).

2 LE INTERCETTAZIONI IN ITALIA

In Italia, l’intercettazione, prevista e disciplinata dall’articolo 266 (e seguenti) del codice di procedura penale, è un mezzo tramite il quale si ricerca la prova di un reato e è consentita in caso di delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o la reclusione per un periodo superiore a cinque anni: delitti contro la pubblica amministrazione, delitti riguardanti sostanze stupefacenti, armi o sostanze esplosive, delitti di contrabbando, reati di ingiuria, minaccia, usura, attività finanziaria abusiva, manipolazione del mercato e molestie telefoniche.

Il pubblico ministero, laddove vi siano gravi indizi di reato, richiede al giudice per le indagini preliminari (salvo ipotesi d’urgenza) l’autorizzazione a disporre di un’intercettazione ambientale o telefonica mediante decreto motivato in cui indica modalità e durata delle operazioni. Di norma la durata non può superare i quindici giorni, ma è rinnovabile per periodi di ulteriori quindici giorni fino a un massimo di ventiquattro mesi nei casi di reati più gravi. Le comunicazioni intercettate sono registrate e trascritte, anche sommariamente, in un verbale e entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni sono disposte in segreteria. I verbali e le registrazioni sono conservati integralmente presso il Pubblico Ministero che ha disposto l’intercettazione fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione. Dopo di ché possono essere distrutte (Repubblica 2013).

A causa delle leggi sulla segretezza e sulla privacy che tutelano queste operazioni e i loro interessati, non mi è stato possibile accedere personalmente ai verbali di procedimenti penali o alle intercettazioni telefoniche effettuate da vari organi di polizia italiana nella lotta contro la piccola criminalità russa presente sul territorio milanese. L’unica soluzione, meno ambiziosa, ma ugualmente interessante, è stata quella di ricevere oralmente gli stralci di intercettazioni di seguito analizzate. Il lavoro di ricerca è tutto documentabile.

2.1 Le forze di polizia

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

I: какие были мусора?

U: были чёрные и эти местные.

I: всех пошугали.

I: Quali spazzature c’erano?

U: C’erano i neri e i locali.

I: Si sono tutti spaventati.

I: Che forze dell’ordine c’erano?

U: C’erano i Carabinieri e la Polizia Locale.

I: Si sono spaventati tutti.

Il testo è uno stralcio di intercettazione dei Carabinieri di Milano e riguarda un tentativo di rapina ai danni di una banca nei pressi di Milano. Qui e negli estratti successivi, la lettera I indica l’Intercettato, la lettera U l’utente che risponde.

La parola мусoр (mùsor) in russo significa «spazzatura» e nel gergo moderno viene attribuita a un rappresentante delle forze dell’ordine, anche se, quando comparve nel lessico degli emarginati sociali all’inizio del Novecento, indicava, in particolare, un «agente della polizia investigativa». Nonostante esista in ebraico la parola mùser che significa «guida, direttiva», la maggior parte delle parole gergali che si riferiscono agli organi di polizia ha una connotazione totalmente negativa, pertanto il nesso figurativo alla spazzatura è il più plausibile. I criminali usano altri termini per nominare la polizia in genere: ad esempio, мент(ment), parola usata nei discorsi criminali agli inizi del Novecento e tuttora diffusissima nella lingua colloquiale, nel gergo criminale si riferisce a un qualsiasi rappresentante delle forze dell’ordine. In ungherese mente (in russo ментик, méntik) era il nome della giacca corta della divisa dell’esercito austro-ungarico e i detenuti dei gulag la utilizzavano per nominare i propri aguzzini.

Un’altra importante parola contenuta nei giuramenti e nelle canzoni criminali, è гат (gat). Ci sono varie ipotesi sull’origine di questo termine: la prima è che probabilmente proviene dalla parola russa каторга (katòrga) «ergastolo», quindi гат (gat) indica «una persona che ha l’autorità di punire un’altra negandole la libertà», la seconda è che può avere origine da кат (kat) che significa «carnefice» e a sua volta derivante dalla parola russa катать (katàt’) «frustare» e «picchiare». La terza ipotesi, avvalorata dal fatto che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento la lingua criminale russa è stata influenzata da tanti germanismi, vuole che la parola гат (gat), provenga dal tedesco Gat«cella di isolamento». Detto questo, in russo, il termine гат (gat) assume due sfumature: indica un giustiziere che ha la possibilità di mandare un detenuto in isolamento e, riferito ai criminali rei di aver compiuto atti riprovevoli o di tradimento nei confronti dei propri compagni, significa «infame». In russo standard la parolaгад(gad) vuol dire «canaglia, vigliacco».

Da questi termini, derivano anche i sostantivi che indicano le stazioni di polizia: мусарня(musàrnja) eгадиловка(gadìlovka), espressioni puramente gergali, e ментовка(mentòvka),entrata nella lingua comune, tutte sempre con una connotazione dispregiativa.

In altre intercettazioni, non prese in esame, i rappresentanti delle forze dell’ordine vengono chiamati con nomi di animali, proprio per sottolineare il disprezzo e lo spregio nei loro confronti: легавые (legavýe), «cani da ferma»,пёс (pës) «cagnaccio», барбoс(barbòs) «cane da guardia» spesso tenuto in cortile, собака(sobàka) «cane», сука (sùka) «cagna»,дятел (djàtel)«picchio», perché rimanda all’atto del picchiare, дракон (drakòn) «drago» e змей(zmej) «serpente» (Gračev 2009).

In Russia il corpo di polizia (Полиция) dipende dal Ministero degli affari interni (Министерство внутренних дел Российской Федерации)e è riconoscibile per il colore blu scuro della divisa, il berretto con visiera e la targhetta identificativa (questa uniforme è entrata in vigore dal 2012 al posto di quella di colore grigio scuro). In Italia, invece, esistono cinque forze di polizia nazionali, la Polizia di Stato, i Carabinieri, la Guardia di Finanza, la Polizia Penitenziaria e il Corpo Forestale dello Stato, le quali dipendono da ministeri diversi. Chi si occupa di indagini è la Procura con la collaborazione, in particolare, di tre di queste: La Polizia di Stato, dipendente dal Ministero dell’Interno del Dipartimento Pubblica Sicurezza, che vigila sul mantenimento e la tutela dell’ordine pubblico; l’Arma dei Carabinieri, forza militare di polizia in servizio permanente di pubblica sicurezza con collocazione autonoma nell’ambito del Ministero della Difesa; la Guardia di Finanza, forza di polizia a ordinamento militare, dipendente direttamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Questi tre corpi di polizia al di là delle loro competenze sono riconoscibili per le uniformi diverse che indossano, tanto che tra i criminali russi in Italia, è uso comune identificarli proprio per il colore della loro divisa. I poliziotti sono chiamati «i blu», синие (sìnie), i carabinieri «i neri»чёрныеërnye), i finanzieri «i grigi»серые(sérye). I poliziotti della polizia locale, invece, un servizio di polizia fornito dagli enti locali statali, con competenza riferita al territorio dell’ente dal quale dipende, sono chiamati местные (méstnye)«i locali».

2.2 Contrabbando

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

U: Васия, у тебя дым остался?

I: да чтото есть а что тебе надо?

U: оставь мне шесть Марусьек красных и четырые Маруськи белых.

U: Vasija, ti è rimasto del fumo?

I: Si, c’è qualcosa. Cosa ti serve?

U: Lasciami sei marus’ka rosse e quattro bianche.

U: Vasija, ti è rimasto del tabacco?

I: Si, c’è qualcosa. Cosa ti serve?

U: Sei Marlboro rosse e quattro Marlboro light.

 

Questo estratto di intercettazione telefonica è stato estrapolato da una conversazione durante un’indagine della Guardia di Finanza di Milano sul contrabbando di sigarette. Il venerdì mattina, al parcheggio della fermata della metropolitana Cascina Gobba a Milano, c’è un mercato, al cui interno sono stati scoperti traffici illeciti coperti da attività legali. Furgoncini provenienti dall’est europeo trasportano turisti in Italia, pressoché ignari che lo stesso autista nasconda partite di sigarette contraffatte che poi rivenderà in Italia. Nonostante alla fine del 2012 (Il Giorno, 17/12/2012) siano stati sequestrati alcuni lotti di materiale contraffatto e siano stati arrestati i responsabili, sembra che questa attività non sia ancora cessata.

Il contrabbando dei tabacchi consiste nell’introduzione clandestina di sigarette nel territorio italiano in violazione delle leggi doganali. L’articolo 291 bis del Decreto del Presidente della Repubblica del 23 Gennaio 1973 numero 43 punisce chiunque introduce, vende, trasporta, acquista o detiene nel territorio italiano un quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando superiore a dieci chilogrammi convenzionali. La pena prevista è sia la multa di Euro 5,00 per ogni grammo di prodotto contrabbandato, sia la reclusione da due a cinque anni. La pena è aumentata se il contrabbando è effettuato con mezzi di trasporto appartenenti a terze persone estranee al reato. E’ previsto, inoltre, che la multa passi a Euro 25,00 per ogni grammo di prodotto e la reclusione da tre a sette anni, se il reato è commesso utilizzando mezzi di trasporto fraudolentemente alterati per occultare le sigarette, se il reato è commesso facendo uso di armi o utilizzando società di persone o di capitali. L’aggravante viene contestata quando, ad esempio, il tir utilizzato per il trasporto presenti un doppio fondo ove occultare il tabacco lavorato estero o altri artifizi idonei ad eludere i controlli doganali. La legge è ancora più severa se il contrabbando è gestito da una associazione costiuita da tre o più persone; in tal caso, l’articolo 291 quater, prevede la reclusione da tre ad otto anni per coloro che hanno costituito l’associazione per delinquere e, per i partecipanti all’associazione, la pena della reclusione da uno a sei anni. Lo Stato, quindi, punisce pesantemente il traffico di sigarette sia in termini di reclusione, sia di multa e a ciò si deve aggiungere che è sempre ordinata la confisca dei mezzi di trasporto modificati ad hoc ed utilizzati nel contrabbando.

In gergo criminale il contrabbandiere (контрабандист, kontrabandìst, in russo standard) viene chiamato Авиатор(aviàtor) che in russo significa «pilota». Дым (dym) in russo significa «fumo» e è un termine generico di riferimento al tabacco, in russo табак (tabàk).Маруська(Marùs’ka), invece, è una variante familiare del nome proprio Мария (Marija) «Maria», leggermente dispregiativo, e in russo è anche un nome usato come variabile metasintattica, cioè indica un elemento generico all’interno di una determinata categoria (per esempio: x, y, tizio, eccetera) ma, in gergo criminale, è un termine più specifico, perché si riferisce alle vere e proprie sigarette, che nella lingua standard si dicono сигареты(sigaréty).

Il colore è un elemento fondamentale per dare forma e nome a soggetti che non devono essere nominati. Il rosso e il bianco, in questo caso, rievocano i colori dei pacchetti delle sigarette Marlboro. Le rosse sono le sigarette contenute nel pacchetto rosso, mentre le bianche sono le sigarette contenute nel pacchetto bianco e sono light. Nel gergo criminale russo i colori evocano anche altri concetti, come ad esempio чёрныйворон (čërnyj vòron) letteralmente significa «corvo nero»: durante le deportazioni staliniane degli anni Venti, i ricercati venivano prelevati dalle loro case di notte, al buio (nero), e portati in prigione sui camion (i corvi, che nel leggendario comune sono animali che portano disgrazie) (Gračev 2009).

2.3 Ricettazione

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

U: а где они оставили вчерашнюю тачку?

I: там, за колоньо. она же палёная.

U: у тебя ксива есть, вчера братанызапалили свою тачкую. их чут не приняли чёрные. успели слинять.

U: Dove hanno messo lacarriola di ieri?

I: Lì, a Cologno. Ma èbruciata.

U: Tu hai i documenti, ieri i fratellihanno bruciatola carriola. E per poco non li hanno presi i neri. Han fatto in tempo a scolorirsi.

U: Dove hanno lasciato l’auto ieri?

I: A Cologno. Ma è stataabbandonata.

U: Tu hai idocumenti, ieri i socihanno abbandonato l’auto perché per poco non venivano presi dai Carabinieri. Han fatto in tempo a filarsela.

Uno dei reati più comuni tra i criminali russi in Italia è il reato di ricettazione. La ricettazione, prevista e punita dall’articolo 648 del Codice penale italiano, si configura quando chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve o occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, al quale egli non abbia partecipato, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere e occultare. Le bande russe presenti a Milano oltre a rubare auto per smontarle e rivenderne i pezzi, le sottraggono per commettere furti o rapine. In questa intercettazione della Guardia di Finanza di Milano, l’indagine era incentrata su una banda che aveva rubato un’automobile per compiere una rapina in una banca nei pressi di Cologno Monzese a Milano. La parola тачка (tàčka) nella lingua russa significa «carriola». In italiano ha una connotazione negativa, in russo invece è considerata uno strumento pratico e utile perché aveva aiutato l’uomo a portare pesi eccessivi e a alleggerirgli il carico di lavoro, perciò nel gergo criminale per «carriola» s’intende un’automobile idonea per gli scopi prefissati. La parola ксива (ksìva), puramente gergale, è apparsa alla fine dell’Ottocento e inizi Novecento, col significato di «documenti, passaporto». In ebraico kosav significa «approvato» e ktivah «scrittura». Ai tempi dei gulag la ксива (ksìva) era un messaggio scritto molto personale e importante che veniva passato illegalmente da cella a cella, da lager a lager, dal carcere alla libertà e viceversa. Палёнаятачка (palënaja tačka), ovvero «auto bruciata», dal verbo запалить (zapalìt’) «bruciare», non indica un’automobile che è stata letteralmente bruciata, ma che è stata rubata e successivamente abbandonata, perché come in questo caso, con l’arrivo dei Carabinieri, non è stato più possibile portare a termine la rapina. Interessante notare come anche in italiano nell’espressione «un’occasione bruciata», il verbo «bruciare» abbia un valore metaforico e indica «un’occasione sfuggita». L’auto senza libretto si traduce con машина без ксивы (mašìna bez ksìvy), invece левая ксива (lévaja ksìva), letteralmente si traduce come «documento sinistro», ma va inteso come «documento falso», questo perché, nonostante in russo e in italiano i due termini per dire «sinistra» siano etimologicamente diversi, sono entrambi di connotazione negativa. Perché? È stato molto stimolante cercare la risposta a questa domanda. L’aggettivo левый (lévyj) viene dall’antico slavo ecclesiasticoлѣвъ (lěvŭ) e, a sua volta,dal latino laevus el’aggettivo italiano«sinistro»sempre dal latino sinister.In latino questi aggettivi erano sinonimi e presentavano sempre e solo valenze semantiche negative sia nel senso primordiale concreto sia metaforico (ovvero «avverso, perverso, funesto, maligno, cattivo» eccetera). Tuttavia nel linguaggio religioso e esclusivamente con riferimento all’interpretazione dei segni augurali, connessi appunto alle alogicità delle credenze mistiche e superstiziose, sia laevus sia sinister potevano significare sia «beneaugurante, propizio» sia «maleaugurante, infausto», cioè potevano avere valenza semantica antitetica a seconda della credenza religiosa che variava da popolo a popolo e da un’epoca all’altra della storia di un medesimo popolo (Romaniello 2004). Infatti, per i Romani, un evento laevus era di buon auspicio perché “proveniente da oriente”, invece, per i Greci e altri popoli come i Russi, lo stesso evento era considerato infausto. Al contrario, un evento sinister, era maleaugurante per i Romani, ma propizio per i Greci o i Russi. In italiano della parola laevus c’è traccia solo nei linguaggi scientifici (chimica, matematica e medicina)ad esempio in «levogiro»: un composto otticamente attivo capace di far ruotare verso sinistra il piano di una luce polarizzata (Treccani). In russo invece non c’è traccia di parole che abbiano la radice sinister. Interessante quindi è stato notare che nelle due lingue è sopravvissuto il termine che, secondo i dettami della religione, aveva una connotazione negativa rimasta tale fino a oggi (Romaniello 2004).

La mano sinistra, ha anche un’importanza socio-culturale molto rilevante: nella cultura cristiana, era considerata la “mano del diavolo”, il quale è sempre raffigurato mancino e, non a caso, il segno della croce si fa con la mano destra. Negli anni Venti il mancinismo fu associato alla demenza e negli anni Quaranta fu messo in relazione con la dislessia e considerato addirittura una devianza, tanto che i bambini erano costretti a scrivere con la mano destra, fino agli anni Settanta in cui si è smesso di imporre l’uso della mano destra (Mendoza 1995).

Ecco che nel gergo criminale russo i documenti falsi riprendono questo concetto storico-culturale, e sono definiti «documenti sinistri», ovvero «falsi».

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

I: а вчера они были на движухе?

U: да. но был стрëм.

I: Ieri erano alla festa?

U: Sì. Ma era pericoloso.

I: Ieri han fatto il colpo?

U: Sì, ma è stato pericoloso.

Particolarmente interessante è stato analizzare le varie espressioni che avvertono un imminente pericolo. Атанда (atàndà) è un’espressione puramente gergale apparsa all’inizio del Novecento, e significa «basta, silenzio non urlate!». È un prestito dal francese Attendant che significa «in attesa». Le varianti di questa parola sono атанде! (atandé), Атандэ! (atandè) «aspettate!» e vogliono dire «attenzione! Prudenza!». Атанда (atàndà) era molto in uso presso i truffatori dei giochi delle carte, e solo dal 1940 è stata introdotta nel gergo dei ladri col significato di «pericolo». Espressioni come стоятьнаатанде (stojàt’ na atandé) «essere prudenti durante il compimento di un reato, avvertendo i complici in caso di pericolo» o метатьатанду (metàt’ atàndu) «rinnegare le proprie parole o le proprie promesse» sono molto usate dai criminali del gergo moderno. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta questo termine si è esteso nel gergo giovanile: атанда!Родителиприехали (atàndà, rodìteli prièhali) «attenti sono arrivati i genitori».

Dal termine атанда (atàndà) deriva la parola атас (atàs), anch’essa entrata successivamente nel gergo giovanile. Alcune espressioni con questo termine sono: стоятьнаатасе (stojàt’ na atàse) «trovarsi in pericolo nel momento del reato e segnalare al complice l’imminente minaccia di pericolo»,атасник (atàsnik) «persona in pericolo durante un reato» e атасказачий (atàs kazàčij) col significato di «rapina» anche se letteralmente significa «pericolo cosacco». I cosacchi furono impiegati durante la rivoluzione russa del 1905 con funzioni di polizia nei confronti dei rivoltosi, spesso per sedare tumulti, affrontare e disperdere cortei di rivoluzionari perciò, a causa della loro fama di feroci combattenti, era sufficiente la diffusione della voce che sarebbero intervenuti i cosacchi, perché cortei di dimostranti si sciogliessero spontaneamente.

Il termine вассер! (vàsser), espressione puramente gergale, è un avvertimento al ladro «attenzione! Pericolo! Guarda là!». Secondo il dizionario di I. P. Vorivod della città kazaka Alma-Ata la parola вассор (vàssor) è apparsa all’incirca nel 1937 col significato di «pericolo, attenzione». Dopo poco tempo questa parola acquisì un altro significato, quello di «un posto vuoto» o di «un affare irrecuperabile». Questo concetto riflette più tardi l’espressione голыйвассор (gòlyj vàssor), letteralmente «pericolo nudo», in gergo«insuccesso». Successivamente si è diffusa l’espressione colloquiale ливердавят (lìver davjàt), ovvero «ti vedono, si sono accorti di te, evidente pericolo» che negli anni Settanta ha cominciato a coincidere con la parola gergale стрём (strëm), usata per lo più nell’espressione быть/стоятьнастрёме (byt’/stojàt’na strëme), ovvero «essere di guardia» nel momento in cui viene commesso un reato (in gergo italiano «fare il palo»), anche se la parola sola viene usata come avvertimento di un pericolo. Il verbo стремить (stremìt’) «tenere d’occhio», viene dal verbo tedesco strömen«scorrere» dell’acqua. Cos’hanno in comune l’acqua e un pericolo? Nel gergo di Odessa вассер! (vàsser), dallo yidish Vàser«acqua!», era un avvertimento specifico, per chi si trovava in mare perché segnalava una perdita d’acqua nelle navi. Tra i ladri russi вода! (vodà) «acqua!» divenne un segnale di emergenza generico. Nel gergo criminale moderno vengono utilizzate una serie di parole con la parola вассер: вася (vàsja), segnale di pericolo e «poliziotto», васёк (vasëk) «giovane cadetto ladro», голыйвассер (gòlyj vàsser) «inutile, irrecuperabile, vino secco, droga diluita». Il termine зекс (zeks)«allarme» ha origine dall’espressione dialettale di Odessa стоятьназексе (stojàt’ na zékse) «stare all’occhio», infatti зекать (zekàt’) nella lingua criminale significa «guardare», dal tedesco sehen «vedere» e dal russo popolare зенки (zénki) «occhi». Ma зекс(zeks) potrebbe provenire anche dal tedesco Sechs «sei»: le guardie carcerarie avevano sei distintivi cuciti sulle loro divise e quando i prigionieri dei gulag avvistavano una guardia in avvicinamento urlavano il numero «sei» per allertare di un imminente pericolo (Gračev 2009).

Движуха (dvižùha) è una parola puramente gergale. Deriva dalla parolaдвижение (dviženie)che significa «movimento» e assume nel gergo il significato di «baldoria, trambusto» e, proprio a seguito di questa immagine, nel gergo giovanile vuol dire «festa». Nel gergo criminale, invece, il vocabolo viene usato per definire «un colpo». Una particolarità interessante è che, in italiano, «fare festa a qualcuno» significa «uccidere o danneggiare una persona»: probabilmente questa espressione deriva dalle antiche esecuzioni capitali che venivano rese pubblicamente e richiamavano tutta la popolazione della zona, come se fosse una festa (Treccani). Non è insolito che un colpo possa essere compiuto lasciando dietro di sé un crimine come un omicidio. Мокрое дело(mòkroe délo) «un affare bagnato», è un omicidio, (l’aggettivo «bagnato» richiama l’immagine del sangue), mentre, сухое дело(suhòe délo) «un affare asciutto», significa che il colpo è avvenuto senza, però, spargimento di sangue.

2.4 Le parolacce: il mat russo

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

I: ятутнадбывалтачкупиздатую. Надодвижуху сделать.

I: Ho trovato unacarriolabellissima. Bisogna fare una festa.

I: ho trovato un’automobilefighissima. Bisogna organizzare un colpo.

Questa intercettazione è stata estrapolata dai verbali della Polizia di Stato di Milano e mostra come espressioni volgari e parolacce non manchino nel lessico dei criminali russi. Ma una varietà particolare del turpiloquio russo merita una piccola spiegazione perché si tratta di una cornice culturale prettamente russa e estranea a altre culture: il cosiddetto мат(mat).

Il мат(mat)era il linguaggio sacro usato nei rituali pagani, nuziali, agrari legati alla fertilità della Madre-Terra (Мать Сыра Земля). I principi della fecondità erano associati al culto agrario, riconducibile a una divinità femminile, nella doppia funzione di partoriente e di nutrice, e a una maschile, «fertilizzatrice». La Grande Dea, madre di tutti gli esseri viventi, vegetali, animali e uomini, s’identificava con la Terra, dalla quale tutto originava e alla quale tutto era ricondotto, in un ciclo eterno. Con l’avvento del cristianesimo il мат(mat), che probabilmente deriva da мать (mat’)«madre», venne bandito perché manifestazione dei culti pagani e il suo linguaggio, legato alla sfera della sessualità, era considerato blasfemo (Ledeneva 1998).

La parola матoggi ha diversi significati: scacco matto, materassino da palestra, stuoia, parolaccia e bestemmia. L. I. Skvorzov, noto linguista russo, afferma che letteralmente la parola мат (mat)significa «grido» o «urlo» e è un’onomatopea che riporta ai suoni prodotti involontariamente da varie specie animali nel periodo del calore e a mugolii e ruggiti propri della fase di accoppiamento (Skvorzov 2003). In Russia parlare in pubblico dell’attività sessuale o degli organi genitali è sempre stato un tabù oltre che un reato perseguibile per legge, pertanto, quando vengono trattati questi argomenti, si tende a usare eufemismi o parole prestate dal latino. Il мат (mat) è un codice versatile nel quale l’arcaico si mescola con il moderno: ha la capacità di sfuggire il suo senso erotico descrivendo i sentimenti umani universali, esprimendo ammirazione e disprezzo, estasi e catastrofi. A seconda dell’intonazione, la frase ёб твою мать (ëb tvojù mat’), letteralmente «fotti tua madre», può voler dire sia «non ci credo!» sia «vai a farti fottere!». La frase полный пиздец(pòlnyj pizdéc) «fine assoluta», può voler dire «mandare tutto a puttane» oppure «sono fottuto». Il мат (mat) è formato esclusivamente da lessemi provenienti dalle radici еб– dal verbo ебать (ebàt’)«scopare», пизд- dal sostantivo пизда (pizdà)«figa», e хуй- daхуй (huj)«cazzo»e, sfruttando la flessibilità della lingua russa standard fatta di suffissi e prefissi, giochi di parole e doppisensi, dal мат (mat) si generano immagini antropomorfe: ad esempio, il significato della parola russa «cadere»упасть(upàst’) può essere espressa in tre forme del мат (mat): ёбнуться(ëbnut’sja, da еб), пиздануться(pizdanùt’sja, da pizdà), e хуякнуться(hujaknùt’sja, da huj): è l’orecchio russo che capta le sottigliezze dei tre diversi modi di cadere. Per dire «far niente» si usa la pittoresca espressione хуем груши околачивать(hùem grùši okolàčivat’) «far staccare le pere dall’albero a colpi di cazzo» che in italiano, per mantenere la parola «cazzo»tradurremmo con «cazzeggiare», perdendo, però, completamente la sfumatura spiritosa esistente nell’espressione russa (Erofejev 2003).

In un paese che ha sofferto la mancanza di libertà di parola, il мат (mat) svolge il ruolo di lingua della dissidenza, della protesta contro l’ideologia politica e religiosa e esprime aggressione. Chi ha governato la Russia ha sempre avuto interesse nel controllare la lingua: dagli zar a Lenin che hanno spinto a semplificarne la pronuncia, a Stalin con il suo saggio sulla linguistica da una prospettiva marxista(Stalin, 1950), a Hruščёv che voleva che si scrivessero le parole esattamente come si pronunciavano. Ma è dopo il crollo dell’Unione Sovietica che si rese necessario creare un nuovo vocabolario per decifrare la realtà criminal-capitalistica e l’esistenza di tantissimi neologismi provenienti dal gergo delle prigioni e dal mondo della droga. Quelle parole trasformarono il russo in una lingua ironica, coercitiva e pragmatica. Nello stesso momento il turpiloquio apparve anche nella letteratura. Solženicyn nel suo romanzo Una giornata di Ivan Denisovič rappresenta la parlata dei gulag facendo uso del мат (mat). Ma anche Puškin, Lermontov, Turgenev, Čechov hanno scritto in мат (mat) poesie o lettere personali mai pubblicate perché censurate dall’impero zarista prima e dal regime sovietico, più tardi. Oggi la Russia si divide sul futuro del мат (mat): i proibizionisti (le vecchie generazioni, insegnanti e intellettuali) che lo ritengono pornografico e offensivo, e i permissivisti, contrari a qualsiasi forma di proibizionismo, eppure per i vagabondi, i criminali, i contadini, i militari, gli alcolisti e i tossicodipendenti il мат (mat) non è un oggetto d’analisi, ma il loro ambiente linguistico naturale (Erofejev 2003).

2.5 Gerarchia criminale

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

I: тыизсебяфраеранестрой. ятебятримесяцакрышевал.

U: базаранет. ясвоёотработал.

I: Non fare il libero. Ti ho protetto tre mesi.

U: Non c’è discussione. Ho finito di lavorare.

I: Non fare lostronzo. Ti ho protetto per tre mesi.

U: Basta discutere. Mi sono sdebitato lavorando per te.

 

Intercettazione telefonica della Guardia di Finanza di Milano per sospetta estorsione: reato commesso da chi, costringendo taluno con violenza o minaccia a fare o omettere qualcosa, procura a sé o a altri un ingiusto profitto con danno altrui e è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 516 a euro 2.065 (articolo 629 codice penale).

È difficile dare una spiegazione chiara e definita della parolaфраер(fràer) perché il suo significato ha subìto nei secoli enormi cambiamenti e ogni cultura venuta in contatto con questo termine ne ha «personalizzato» il significato. Innanzitutto è una parola che viene dal tedesco: il Freier nella lingua popolare germanica è «il corteggiatore», e in gergo «la vittima di un reato» o«un cliente dei bordelli», mentre l‘aggettivo frei significa «libero».

Il termine фраер(fràer) in russo è un’espressione puramente gergale introdotta direttamente nel gergo criminale negli anni Venti con diversi significati: una persona oggetto di reato, una persona onesta, un uomo alla moda, un delinquente non professionista, uno stupido, ma anche il braccio destro del ворвзаконе (vor v zakòne). Usato come aggettivo significa «ricco» (probabilmente per un’associazione di pensiero: se una persona è libera, può vestire alla moda e pertanto è ricca) (Mokienko 2009).

Oggi, nella criminalità russa, фраер(fràer) ha un’accezione assolutamente negativa, perché chi è libero è colui che non fa parte del mondo criminale, non rispetta la legge dei ladri, e che, addirittura, può collaborare con la polizia. In italiano, a seconda del contesto, può avere diversi traducenti: nel caso della suddetta intercettazione, la frase intera può essere tradotta come non fare «lo stronzo»,«l’infame» o «l’ingrato».

Sempre nel testo sopra riportato, il verbo крышевать (kryševàt‘) significa «proteggere». Nella criminalità russa il крыша (krýša)«il protettore» è una figura molto importante e non ha nulla a che vedere col pappone di prostitute. Comparve nel maggio 1987 quando il governo sovietico emanò una serie di leggi che regolamentavano le attività individuali e collettive per una ristrutturazione dell’economia nazionale. A Mosca il primo segnale di quella rivoluzione fu il mercato Ryžskij in cui durante i fine settimana i rivenditori indipendenti delle numerose piccole aziende appena nate smerciavano di tutto, dai jeans agli adesivi. I «protettori»fecero la loro comparsa costringendo i commercianti a pagare il pizzo, dando così inizio al racket. La protezione riservata ai commercianti si limitava a evitare che altri крыша (krýša) estorcessero denaro ai propri protetti, poiché di fatto, i rapporti di protezione erano fondati sulla violenza e sulle minacce.Negli anni Novanta entrò in vigore un’altra legge sul settore bancario e in poco tempo nacquero una miriade di banche (tremila nella sola Mosca), le quali successivamente furono obbligate a essere «protette» dai крыша (krýša) e, se i dirigenti rifiutavano qualsiasi tipo di compromesso, soprattutto gestire i soldi sporchi della malavita, venivano uccisi. Insomma, tanto si rafforzava il mondo degli affari, tanto si evolvevano le organizzazioni criminali che diventarono dei veri e propri eserciti addestrati e organizzati, difesi da avvocati e gestiti da esperti della finanza. Il vecchio regime del ворвзаконе (vor v zakòne) si era sgretolato lasciando il posto a una nuova generazione di крыша (krýša), o padrini,caratterizzata dallo stile: ville, residenze lussuose e automobili costose. Negli anni Novanta i padrini controllavano oltre 40.000 società. Negli ultimi dieci anni si sono trasformati in rispettabili uomini d’affari, alcuni di loro sono nella ristretta cerchia d’élite politica e economica e sono diventati veri e propri partner commerciali alla pari. Gestiscono, tutt’oggi, attività legali come le esportazioni di gas e petrolio e, in Europa, vendono materiale e tecnologia nucleare (Gentelev 2011).

Il базар(bazàr) è il «mercato». Quest’espressione gergale, entrata nella lingua colloquiale col significato di «chiasso, baccano», nel gergo vero e proprio significa «conversazione». In italiano è difficile tradurla se si volesse mantenere l’immagine del mercato inteso come luogo di contrattazione di prezzi e di ritrovo, pertanto, nell’esempio della suddetta intercettazione si può tradurre come «non c’è discussione», perché I ha ripagato un debito lavorando per U e ora non vuole più avere niente a che fare col suo protettore.

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

U:послущайбратан, можемвсёсработатьчистонатомжеместе.

I:нетбратан. тамоченьстрёмно.

U: дапацанызачасеёразберут.

U: Ascolta fratello, possiamo lavorare tutti in modo pulito in quel posto?

I: No fratello, è molto pericoloso.

U: Ma i ragazzi, la smonteranno in un’ora.

U: Ascolta fratello, è sicuro quel posto?

I: No. È molto pericoloso.

U: Ma i ragazzi, la smonteranno in un’ora.

Dai materiali delle indagini dei Carabinieri di Cassano d’Adda (Milano). In questa intercettazione gli utenti si stanno mettendo d’accordo sull’iter da seguire per il furto di un’auto. I delinquenti rubano le auto o per servirsene per compiere altri reati, o per rivenderne i pezzi. Nel testo in esame, l’auto rubata verrà smontata e impacchettata in un’ora e spedita in Ucraina, Moldavia o nei paesi dell’est. Ai fini delle indagini è utile conoscere quale posizione occupa ciascun membro all’interno della propria banda, perché a seconda del ruolo rivestito, la legge modula diversamente l’entità della pena comminata (articolo 416 bis codice penale , Libro II, Titolo V).

Negli anni Trenta i detenuti delle colonie penali formarono bande, all’interno delle quali esistevano delle regole da rispettare e una struttura gerarchica definita, al cui vertice c’era il ворвзаконе (vor v zakòne) «ladro nella legge», ossia un ladro che obbedisce a un codice i cui membri sono tenuti a rispettare. Secondo la tradizione russa il ladro infrangeva uno dei principi fondamentali su cui si basava l’apparato statale sovietico: l’abolizione della proprietà privata. Il codice d’onore non scritto (la legge dei ladri) prevedeva l’opposizione allo Stato, l’estraneità dalle leggi sovietiche, il rifiuto del lavoro e del matrimonio (Martinetti 1995). I ворвзаконе (vor v zakòne) erano una sorta di confraternita criminale, una casta quasi monastica, cavalleresca che riusciva a dirigere le proprie attività criminali dalle prigioni e che sopravvisse per tutto il periodo staliniano. Si distinguevano nelle prigioni anche per il fatto di presentare uno stile del tutto particolare: erano uomini legati a un mondo ricco di simboli, ladri coperti interamente da tatuaggi e accomunati da un codice linguistico, la феня(fénja). Si diventava ladri nella legge solo dopo una lunga esperienza di carcere e, dopo una sorta di assemblea generale, сходка(shòdka), che si svolgeva nelle stesse prigioni in presenza di altri ladri, si procedeva all’incoronazione del nuovo membro (Varese 2005). L’iniziato veniva presentato da due ladri nella legge che avevano il compito di fornire un resoconto circa la vita criminale del nuovo adepto, ricordando i suoi meriti all’interno del mondo carcerario, dimostrando che è stato fedele alla tradizione e sarebbe stato in grado di consolidare il gruppo dei ladri. Il motivo della discussione sulla candidatura del novizio era quello di scoprire se avesse avuto rapporti con la giustizia. Alla fine della discussione si univano le mani e si procedeva a pronunciare il giuramento, dando al novizio un soprannome. L’incoronazione rappresentava l’ammissione al mondo dei ladri e la notizia a essa relativa veniva diffusa in tutto il paese tramite la posta dei ladri (Martinetti 1995).

Oggi, dopo il crollo dell’Unione sovietica, i discendenti dei ворвзаконе (vor v zakòne) sono i пахан(pahàn) «i padrini». Esistono due teorie sull’origine di questo termine: la prima è che venga dall’espressione colloquiale папахен(papahèn) «paparino», la seconda sostiene che venga dalla parola пахарь (pàhar’) «aratore», un contadino che lavora, un capofamiglia. Tra gli anni Sessanta e Settanta nel gergo criminale gli viene attribuito il significato di «padrino» (Mokienko 2009). Oggi i padrini sono uomini d’affari, entrati nella vita politica ed economica della Russia, gestiscono attività legali come le esportazioni di gas e di petrolio e, in Europa, vendono tecnologia nucleare (Gentelev 2011).

Il braccio destro del padrino è il блатной(blatnòj), colui che ha legami stretti col suo superiore:in origine era una persona che aveva le conoscenze giuste per poter accedere a certi status speciali percorrendo strade più semplici di quelle autorizzate.Блат (blat) in russo è, infatti, «la raccomandazione», proviene dal tedesco Blatt, che significa «foglio di carta» (Ledeneva 1998). Nella Russia imperiale sì iniziò a parlare di blat, favori e raccomandazioni, già nel 1762, quando la zarina Ekaterina la Grande (di origini tedesche) estese la servitù della gleba su larga scala, concedendo terre e contadini ai capi del colpo di stato che l’aiutarono a salire al trono e a tutti i suoi favoriti (Rjazanovskij 2008).

I приблатнённые(priblatnënnye) sono i collaboratori dei блатные(blatnýe). In russo il suffisso при(pri-) indica avvicinamento.

Il шестёрка(šectërka) è, invece,un servo di basso rango destinato a servire i capi della banda perché è considerato un debole. La radice шесть(šest’) «sei» è legata al simbolo del numero «sei»: il distintivo cucito sulla manica dei poliziotti che richiamava un pericolo. Nel gergo russo esiste il verboшестерить (šesterìt’) che significa «fare il ruffiano, il lecchino».

Братан (bratàn) è un accrescitivo della parola Брат (brat), dato dal suffisso -an,e significa«fratello». Anche in italiano i membri di uno stesso gruppo si chiamano «fratelli» tra di loro, ma forse è il termine inglese bro che rende meglio l’idea del legame che unisce i membri delle associazioni criminose, che va al di là dei rapporti di parentela.

пацан(pacàn) è un termine di uso colloquiale, che molto probabilmente deriva dalla parola russa парень(pàren’)«ragazzo».Tra gli anni Trenta e Cinquanta ha subìto una trasformazione entrando a far parte del gergo criminale, e venne usata per indicare un «giovane ladro», mentre negli anni Sessanta veniva chiamato così un giovane candidato a essere un ladro nella legge. Dagli anni Settanta possiede ben quattro significati: 1. Rappresentante privilegiato dei gruppi nella BTK (Воспитательно-трудовая колония), la colonia penale di educazione, in cui venivano reclusi giovani tra i 14 e i 20 anni. 2. Giovane detenuto che infrangeva sistematicamente il regime nel ИТУ (исправительно-трудовая колония), la colonia penale di rieducazione in cui venivano reclusi gli adulti. 3) lesbica attiva 4) il fante nel gioco delle carte. Spesso questo termine viene affiancato da altre parole: пацанзелёный, (pacàn zelënyj) letteralmente «un ragazzo verde» ma col significato di «un ladro adolescente», пацанзолотой (pacàn zolotòj), letteralmente «un ragazzo d’oro», ma col significato di ladro minorenne,пацанправилный (pacàn pràvilnyj) letteralmente «un ragazzo corretto», col significato di un giovane criminale professionale e пацан приморённый (pacàn primorënnyj) letteralmente «ragazzo tormentato», ovvero un giovane allievo della ИТУ, che trasgredisce in modo lieve le regole del codice e viene obbligato a eseguire le pulizie nella cella (Mokienko 2009).

Vi sono, infine, una serie di delinquenti comuni, ex criminali, e individui in genere che, in base alle loro caratteristiche fisiche, sociali o comportamentali, si trovano nei gradini più bassi della scala gerarchica criminale. Tra questi vi sono i мужик (mužik) ovvero «i mugiki», i contadini della steppa, il cui termine assume un senso generico e dispregiativo di «contadino povero, rozzo e zotico», ci sono iчушка (čùška) «porcellini», чухон(čuhòn)«i menefreghisti»,обитенные(obitènnye) «gli offesi», петух(petùh) «i galli» o «i maneschi», козли (kòzli) «i caproni» eccetera (Mokienko 2009).

2.6 Il ruolo delle donne

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

I: привет братан! Где Димон?

U: привет братан! Димон свалил в Болонью, его маруха там живёт. он там с нашими пацанами сдыбался.

I: Ciao fratello! Dov’è Dimitrij?

U: Ciao fratello! Dimitrij si è buttato a Bologna. La sua donna vive lì. Egli è entrato in contatto con i nostri ragazzi.

I: Ciao fratello! Dov’è Dimitri?

U: Ciao fratello! Dimitrij è scappato a Bologna. La sua donna vive lì. Egli è in contatto con i nostri ragazzi.

 

Il ruolo che le donne rivestono nelle principali trame criminose è ben diverso da quello degli uomini. Ci sono delitti tipicamente maschili che per le loro modalità particolarmente articolate escludono a priori l’impiego delle donne. Il contrabbando di sigarette, ad esempio, prevede che i viaggi illeciti siano realizzati a bordo di potenti autoarticolati o furgoni, in cui il tabacco viene occultato dietro pesanti e sofisticati carichi di copertura e che in caso di inseguimenti si possano verificare episodi di speronamenti ai danni delle Forze dell’ordine e violente sparatorie.

Le donne sono attive in altri reati, in fasi differenti e a livelli molteplici, da quelli più marginali a quelli incredibilmente rilevanti. Nel primo caso, all’interno dei grandi cartelli dediti al traffico degli stupefacenti, in cui l’associazione a delinquere è multi-livellata, la presenza femminile è limitata alla gestione, anche occasionale, di depositi di transito della merce illecita (abitazioni comuni o capannoni). Invece, all’interno della tratta di essere umani, occupano un ruolo addirittura più secondario, quello di vittime costrette a prostituirsi in strada, in locali notturni o in casa. In Italia la prostituzione è regolatadallalegge 75 del 20 febbraio del 1958, meglio conosciuta come Legge Merlin, che punisce con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 258 a euro 10.329 […] chiunque […] abbia la proprietà o l’esercizio, sotto qualsiasi denominazione, di una casa di prostituzione, o comunque la controlli, […] partecipi alla proprietà, esercizio, direzione o amministrazione di essa e […] chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui.

Nel gergo criminale russo le prostitute vengono chiamate in tanti modi, più o meno offensivi: амара (amàra) dal francese amour «amore», шлюха(šljùha) «puttana» è un’espressione popolare ironico-dipregiativa che deriva dal verbo шляться(šljàt’cja) «bighellonare» e indica una donna dissoluta e di facili costumi. È anche un gioco di parole tra l’antico termine шлюхота(šljùhota)«fango, sudiciume», eшляхта(šljàhta) così chiamata la «nobiltà» polacca e lituana dal Medioevo all’Ottocento. Infatti шляхи (šljàhi) venivano definite le donne nobili che avevano, per soldi o per divertimento, un comportamento dissoluto e provotatorio, inaccettabile secondo le tradizioni russe orientali.

Шалава(šàlava) «prostituta», è un termine influenzato dallo yidishšilev«combinare, unire», e veniva usato per designare una donna che si univa sessualmente con altri uomini. Путана (putàna) è una prostituta che si fa pagare con valuta straniera, probabilmente ha origine da due termini latini: puta che voleva dire «fanciulla» e putto. I putti nell’arte romana erano le figure di bambini nudi con le ali, raffigurati in scene erotiche o religiose su quadri, rilievi o vasi. Successivamente si generò una variante volgare femminile per cui puta o putta, voleva dire anche «prostituta». Un’altra versione, meno accreditata, vuole che nell’antica Roma esistesse una dea minore dell’agricoltura chamata Puta (dal verbo putare «potare») e che, durante la celebrazione della potatura, le sacerdotesse organizzassero delle orge in suo onore (Ernout-Meillet 2001). Блядь(bljàd’) «puttana» viene dall’antico verbo russo блядити (bljàditi) «non mantenere promesse, ingannare», ma a seguito di una contaminazione semantica, oggi il suo significato si avvicina di più al verbo anticoблудити (blùditi) «vagare errare» nel significato di una donna che non ha una meta precisa e che commette errori.Блуд (blùd)in russo significa «fornicazione». Sull’etimologia del termine Курва(Kùrva)«puttana» esistono due ipotesi: la prima, dal latino curvus «distorto, tortuoso, perverso», rievoca l’immagine di una donna che si è allontanata dalla retta via, l’altra, la più accreditata, vuole che provenga da курица (kùrica) «gallina». L’uso del termine «gallina» è influenzato dal francese, nella Francia dell’Ottocento una prostituta di lusso veniva chiamata cocotte «gallinella», termine che oggi viene usato affettuosamente per chiamare una ragazzina o una donna amata. Infine, центровая(centròvaja) è una prostituta molto richiesta, nella parola c’è il termine центр (centr) che significa «centro» (Mokienko 2009).

Al contrario, i reati per i quali le donne costituiscono un fattore determinante e rilevante in grado di aumentare esponenzialmente le possibilità di successo della trama criminale sono i delitti fiscali, connessi a traffici di natura illecita, in cui le donne si inseriscono ai livelli più alti dell’organizzazione criminale, con diffusione maggiore di quanto non accada nella realtà di numerosi Consigli di Amministrazione. È vicenda recentissima quella scoperta dall’indagine denominata «Caronte», condotta dai Carabinieri di Palermo, nella quale un’ex olimpionica di nazionalità russa era stata collocata, all’interno della complessa organizzazione criminale, al vertice di una società che noleggiava imbarcazioni di lusso attraverso le quali venivano assicurati trasporti illeciti di minori (Corriere del Mezzogiorno, ottobre 2013). Le donne a capo di queste organizzazioni o compagne dei boss si chiamanoмаруха(marùha) che può voler dire «donna», «compagna» o «prostituta». Molto usata nel mondo criminale sin dagli inizi del Novecento, маруха(marùha) viene da мара(màra)«strega»: nella mitologia slava era uno spirito maligno che personificava la morte. Nel gergo criminale ha assunto un valore denigratorio: маруха(marùha) è colei che condiziona, ad esempio, le schiave del sesso da un punto di vista psicologico, preservando per tale via i guadagni illeciti e riducendo al minimo l’eventualità di fenomeni di ribellione delle sottomesse (Gračev 2009).

In altre intercettazioni telefoniche è stata utilizzata dagli utenti un’altra parola riferita alla «donna-amante» del boss della banda: шкурля (škùrlja), ma purtroppo non ho trovato alcuna storia etimologica su questo termine.

2.7 La droga

Prototesto

Traduzione denotativa

Traduzione culturale

U:это чуваксел на кoлёса, думаю что скоро сядет на иглу.

I: я вчера удивался дымом.

U: Questotizioha iniziato con leruote, penso che presto comincerà con l’ago.

I: Io ieri mi sono strangolato col fumo

U: Questo tizio ha iniziato con lepasticche, penso che presto comincerà a bucarsi.

I: Io ieri ho fumato tantissimo.

La Russia è uno dei più importanti snodi del traffico internazionale di droga proveniente dall’Estremo Oriente e dall’Asia centrale e funge da ponte verso l’Europa. La crisi economica e sociale che è seguita al crollo dell’Urss e il conseguente strapotere di gruppi criminali hanno permesso il business del narcotraffico, facilitato da un lato dal fatto che i nuovi stati erano più concentrati a riorganizzarsi a livello amministrativo anziché a controllare i confini, rimasti praticamente aperti fino agli anni 1993-1994, e dall’altro lato dall’intensa cooperazione delle organizzazioni criminali nel favorire il traffico e lo smercio degli stupefacenti. La mafia russa alla fine degli anni Novanta si è alleata sia con i cartelli colombiani sia con i produttori di droga dell’Afghanistan per favorire il contrabbando di cocaina e oppio e facilitarne il transito, attraverso il territorio, verso l’Europa (ONU 2010).

La Russia consuma oltre 58 tonnellate all’anno di oppio e si stima che ben 70 tonnellate di eroina siano destinate alla sola Russia (in tutto il mondo ne vengono consumate 340 tonnellate totali). In termini economici il valore di mercato dell’eroina in Russia, ammonta a 55 miliardi di dollari. Secondo i dati forniti dal ministero della salute russo, nel 2009, dei circa cinque milioni di tossicodipendenti stimati nel paese, il 70% sono giovani di età compresa tra i 16 e i 30 anni e il numero di morti annuali è stato superiore ai 70.000.Alla rotta afghana dell’eroina, già avviata negli anni dell’occupazione sovietica dell’Afghanistan (1979-1989), si sono aggiunte nel giro di poco tempo la cocaina proveniente dall’America latina e le sostanze sintetiche di origine cinese e nordcoreana (ONU 2010).

In Italia, invece, il traffico di cocaina, organizzato dalla mafia colombiana, è controllato e gestito a livello locale dalla ‘ndrangheta e dalla Camorra (UNODC 2010). L‘articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 309/90 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), commina pene severissime (da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000) per tutte le condotte, se non autorizzate, connesse alla coltivazione, produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione, vendita, distribuzione, commercio, trasporto o consegna, per qualunque scopo, di sostanze stupefacenti. Tali sanzioni (articolo 73, comma 1 bis) sono estese anche a coloro che importano, esportano, acquistano, ricevono a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detengono sostanze stupefacenti o psicotrope, per uso non esclusivamente personale.

Il fenomeno della droga in Italia non è così agghiacciante come in Russia: secondo il Dipartimento delle politiche Antidroga italiano, nella Relazione annuale 2013, i soggetti tossicodipendenti con bisogno di trattamento risultano circa 438.500. La cocaina, dopo un tendenziale aumento nel 2007, segna una costante e continua contrazione di consumatori sino al 2012, stabilizzandosi nel 2013 con circa 81.100 dipendenti. Per quanto riguarda l’eroina si osserva un costante e continuo calo del consumo sin dal 2004 e oggi si contano circa 52.000 tossicodipendenti. È stato registrato, invece, un lieve aumento diconsumatori regolari dicannabis, che sono arrivati oggi a quota 145.000 (DPA 2013).

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità «sono da considerare sostanze stupefacenti tutte quelle sostanze di origine vegetale o sintetica che, agendo sul sistema nervoso centrale provocano stati di dipendenza fisica e/o psichica, dando luogo in alcuni casi a effetti di tolleranza (bisogno di incrementare le dosi con l’avanzare dell’abuso) ed in altri casi a dipendenza a doppio filo e cioè a dipendenza dello stesso soggetto da più droghe».

Possiamo suddividere le sostanze stupefacenti e psicotrope nei seguenti gruppi:

OPPIACEI

STIMOLANTI

DEPRESSIVI

ALLUCINOGENI

CANNABIS e derivati

Oppio

Cocaina

Barbiturici

Mescalina

Marijuana

Morfina

Amfetamine

Tranquillanti

L.S.D.

Hashish

Eroina

Crack

DOM (S.T.P.)

Olio di hashish

Metadone

Ecstasy o M.M.D.A.

 

EROINA героин

L’eroina si ottiene dalla trasformazione chimica della morfina, un derivato dell’oppio. Si presenta come polvere bianca o marrone, spesso granulare, amara, molto solubile in acqua, con odore di acido. Nel gergo russo viene chiamata in diversi modi e i più comuni sono:

Герасим(Geràsim) «Gerasimo»nome proprio maschile,Гербалайф (Gerbalajf)«Herbalife», nota azienda operante nel settore del benessere e della perdita del peso, Герман(Germàn)«Germano», nome proprio maschile: questi sostantivi hanno la particolarità comune di cominciare per гер-, le prime tre lettere in russo della parola «eroina».Перец(pérec) «pepe», probabilmente per il fatto che l’eroina si presenta sotto forma di polvere marrone,хмурый(hmùryj)«cupo»,тёмный (tëmnyj) «buio», probabilmente per l’alternanza di stati euforici e depressivi, o la forte eccitazione e passività che provoca l’uso di questa droga.Гавно(gàvno) «merda», Гриша (Grìša)diminutivo del nome proprio maschile «Gregorio»,эйч (èjč) lettera«H» pronunciata in inglese e iniziale della parola inglese heroin.

METADONE Метадон

È uno stupefacente morfinosimile, impiegato da anni nella terapia di mantenimento dei tossicomani da eroina. Ultimamente il Consiglio Superiore della Sanità ha ribadito che il metadone è uno stupefacente di media tossicità, in grado di indurre uno stato di specifica tossicodipendenza. Quindi il ricorso terapeutico, allo scopo di mitigare la sindrome di astinenza da morfinici, va sempre praticato in idonei ambienti di ricovero, cura o assistenza medica. Il metadone è una polvere cristallina bianca, amara, solubile in acqua, e nel gergo russo si chiama лошадка (lòšadka) «cavallina» e вода (vodà) «acqua».

COCAINA кокаин

Nasce dalla raffinazione delle foglie della pianta di coca. Si presenta generalmente in polvere, cristallina, bianca, simile al sale fine e allo zucchero raffinato tendente a ingiallire al prolungato contatto con l’aria. Si può trovare anche sotto forma di compresse, tavolette o allo stato liquido in fiale. In gergo russo viene chiamata: га́нжа (gànža) «ganja», nome indigeno delle sommità fiorite della canapa indiana. кокос (kòkos) «cocco», кокс(koks) «coke», un carbone derivato dalla distillazione del petrolio, Николай Николаевич(Nikolàj Nikolàevič), nome proprio e patronimico «Nicola figlio di Nicola», sono sostantivi che riprendono il suono kok- di «cocaina» in russo. Снег(sneg) «neve» o мел (mel) «gesso» per la sua forma tendenzialmente in polvere e il colore bianco. Номер 1(nòmer odìn) «numero uno» o первый(pérvyj) «primo», così chiamata anche in inglese.

ANFETAMINA Амфетамин

Gruppo di farmaci ad azione eccitante usati anche nella terapia di alcune malattie nervose, sotto stretto controllo medico. Prodotta spesso in laboratori clandestini, si trova sul mercato sottoforma di polveri cristalline più o meno biancastre, in fiale o pasticche e capsule di vario colore e forma. Si assume generalmente per via orale o per iniezione endovenosa. Gli effetti che ne derivano sono simili a quelli provocati dalla cocaina: eccitazione, potenziamento delle capacità intellettive e della memoria, annullamento delle sensazioni di fame, di dolore e di sforzo fisico e quali sintomi secondari tremori, irritabilità, loquacità e ansietà. In gergo: Амфа (àmfa) abbreviazione di «anfetamina», витамин (vitamìn) «vitamina»,Федя (Fédja)diminutivo russo del nome proprio maschile Fëdor, спиды (spìdy) dall’inglese speedy«velocità», скорость (skòrost’) «velocità», шустрый (šùstryj)«svelto», быстрый (býstryj) «veloce» come viene chiamata in inglese, probabilmente per la rapidità degli effetti, oppure капча (kapča) «captcha» acronimio inglese di completely automated public turing test to tell computers and humans apart: un test utilizzato per richiedere all’utente di scrivere quali siano le lettere o i numeri presenti in una sequenza che appare distorta o offuscata sullo schermo. Probabilmente perché sotto effetto dell’anfetamina, il mondo circostante appare alterato proprio come i codici che appaiono sullo schermo.

L.S.D. ЛСД

È il più potente allucinogeno conosciuto. Si presenta sotto forma di pillole di varie dimensioni, di piccoli francobolli o zollette di zucchero. Gli effetti dell’assunzione portano all’intensificazione delle esperienze sensoriali quali il colore, il suono e il tatto, allucinazioni, visive e uditive, e a un’errata percezione del tempo e dello spazio. Segni d’intossicazione sono pupille dilatate e tremori. In gergo troviamo: микродот(mìkrodot), in inglese per microdot si intendono le pasticche più piccole,двадцать пятое(dvàdcat’ pjàtoe) «venticinque»dal nome col quale è anche chiamata questa droga, LSD-25, Лиза (Lìza) diminutivo del nome proprio femminile«Elisabetta»,ли́зер(lìzer) da «acido lisergico», кислота (kislotà) «acido», лимон (limòn) «limone», Люся(Ljùsja) diminutivo del nome femminile russo «Ljudmila».

ECSTASY экстази

È un composto chimico derivato dall’anfetamina. Si presenta sotto forma di pillole, capsule o pastiglie di vario colore con l’indicazione della quantità di dosaggio e quindi con effetti variabili, distinti in psichici e fisici. In gergo viene nominata витамин E(vitamìn e) «vitamina E», come in inglese,o semplicemente E o Ешка ška), vezzeggiativo della lettera «e», oppure рейв (réiv) «rave», festa illegale con musica elettronica dove facilmente l’ecstasy circola.

MARIJUANA марихуана

Èricavata dalle infiorescenze e dalle foglie della pianta della «cannabis indica» mischiate. Appare come una mistura somigliante vagamente al tabacco o all’origano, di colorazione variante dal verde chiaro al verde scuro o al bruno. Анаша́(anašà),баш(baš)dall’inglese bash «colpo» o, in slang, «festa», беладонна (beladònna) «belladonna», una pianta velenosa,дед(déd)«nonno», дядя(djàdja) «zio», шишки (šìški)«pezzi», probabilmente per il fatto che viene venduta in piccoli pezzi, appunti.Infine Мария Ивановна (Marìja Ivànovna) nome proprio e patronimico «Maria di Ivan», Мара (Màra) o Маша (Màša), diminutivi del nome «Maria» eМэри(Mèri) dall’inglese Mary.

HASHISH Га́шиш

Viene prodotta dalla resina della cannabis (canapa indiana). Si presenta in forma solida, di colore marrone, emanante un forte odore e viene assunta fumandola. In gergo: гаш (haš) o хэш(hèš) abbreviazioni di hashish,гарсон (garsòn) dal francese garçon«ragazzo», probabilmente per il fatto che a fumarla sono tendenzialmente i giovani, Галя(Gàlja), diminutivo del nome proprio femminile «Galina», камень(kàmen’) «pietra, sasso» per la loro forma tipica di piccoli sassolini duri da sminuzzare, oppureдурь (dur’)«capriccio, ghiribizzo». Хлеб (hleb) «pane», Геннадий(Gennàdij)nome proprio maschile.

Qualsiasi tipo di droga sotto forma di pasticca, viene chiamata колeсo (kоlecò) in russo standard «la ruota», perché la forma della pasticca ricorda una ruota(Mokienko 2009).

Il gergo della droga spesso coincide con il linguaggio dei giovani e lì, in virtù di un’operazione creativa, i significati propri di molti termini subiscono estensioni metaforiche, che poi, spesso, tracimano nella lingua colloquiale di molti parlanti senza distinzione d’età. In molti casi l’accostamento, sul piano sincronico, di due vocaboli che in realtà hanno etimologia diversa (per esempio, Гашиш e Геннадий) costituisce un fenomeno comunissimo nell’attività linguistica di ogni parlante, per cui si hanno talvolta slittamenti indebiti nel significato di alcuni termini. Si parla, pertanto, di paretimologia quando la spiegazione etimologica è arbitraria, basata su assonanze e associazioni o influenzata da lingue straniere. Conti anche il fatto che il gergo della droga è una forma di linguaggio utilizzata per evitare di essere compresi da persone estranee e si configura come un codice segreto, la cui funzione criptica da un lato esclude dalla comunicazione gli altri e dall’altro rafforza i legami e il senso di coesione interna (Treccani).

3 MEDIAZIONE LINGUISTICA: ASPETTI E DIFFICOLTÀ DELLA TRADUCIBILITÀ DEL GERGO E DELLA MEDIAZIONE GIURIDICA

Quando si parla di «traducibilità» si intende la possibilità di sostituire a livello strutturale, culturale o espressivo gli elementi linguistici del prototesto con quelli del metatesto. Il livello più elementare di traducibilità è quello lessicale, mentre il livello più alto è quello culturale. Le difficoltà della traducibilità di quest’ultimo livello sono legate ai problemi insiti nel testo e nella cultura, poiché se il testo è portatore di un implicito culturale (una serie di informazioni date per scontate in una cultura ma diverse in un’altra) il traduttore deve tenere conto delle differenze culturali e di tutto ciò che è implicito nell’enunciato. Due lingue differenti danno una forma linguistica diversa agli stessi concetti e, anche in ambito simile, presentano spesso significati non perfettamente sovrapponibiIi. Il contenuto implicito di una cultura si manifesta quando la cultura emittente e la cultura ricevente prese in considerazione danno per scontate cose diverse, per cui il non-detto culturale, una sorta di inconscio collettivo, può venire a galla solo se viene messo in relazione tra le due culture (Osimo 2010).

Le espressioni gergali sono un tipico esempio di enunciati legati alla storia e alla cultura del paese in cui vengono usate. Più gli intertesti sono impliciti, e di conseguenza il significato da cogliere non è solo quello esplicitato dalle parole ma anche quello sottinteso da esse, maggiore è la difficoltà per il mediatore di decodificarli perché i numerosi residui necessitano di una traduzione metatestuale. La competenza del mediatore è evidentemente importante perché deve recepire le sottigliezze e decidere di tradurre o non tradurre l’elemento della traduzione che può essere ritenuto una sottodominante meno prioritaria, difficile o addirittura impossibile da tradurre. Tenere conto delle differenze culturali significa, pertanto, tradurre non solo il messaggio superficiale, ma anche le sue implicazioni (Osimo 2010).

Il lavoro svolto dal mediatore linguistico nel settore giuridico-legale solleva alcune problematiche: l’articolo 111 della Costituzione dispone che «nel processo penale la legge assicura che la persona accusata di un reato […] sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo» e che il diritto all’interprete è direttamente ricollegabile al principio universale del diritto alla difesa, riconosciuto come «inviolabile in ogni suo stato e in ogni grado del procedimento» (articolo 24.2). Nonostante questo riconoscimento normativo, l’attuazione concreta della tutela linguistica rimane contraddittoria:

– il codice di procedura penale non contraddistingue le competenze dell’interprete da quelle del traduttore, contrariamente a quanto avviene in ambito formativo e professionale.

– l’incarico può essere conferito a chiunque sia ritenuto dall’autorità procedente capace di adempiere al compito «bene e fedelmente». Vale a dire che è auspicabile, ma non vincolante, nominare professionisti o persone in possesso di un diploma o di una laurea in interpretazione o traduzione.

– la normativa non impone che la lingua utilizzata nel procedimento sia la lingua madre della persona alloglotta, ma basta che le sia «sufficientemente nota».

Tali incongruenze si ripercuotono sulla qualità dell’assistenza linguistica e pertanto sull’efficacia difensiva dell’imputato. È intuitivo come un traduttore, che in genere lavora solo sulla lingua scritta, non sia ipso facto in grado di interpretare oralmente dichiarazioni spesso complesse e estese senza una preparazione specifica e come, viceversa, un interprete non necessariamente possieda la forma mentis e le competenze di un traduttore giuridico. Oltre a ciò uno straniero che parla una lingua minoritaria, ha poche possibilità di usufruire di un’assistenza adeguata, data la difficoltà di reperire sul mercato professionisti in grado di lavorare con combinazioni linguistiche rare, rendendo così più arduo il lavoro degli inquirenti che si ritrovano a avere una documentazione poco accurata e precisa (Curtotti-Nappi 2002).

Nel lavoro del mediatore è fondamentale tenere a mente che i termini giuridici sono profondamente radicati in un contesto socio-istituzionale e il loro significato può mutare con il modificarsi di quel contesto. La lingua giuridica è caratterizzata da complessità e verbosità a livello sintattico tali da permettere la massima precisione e accuratezza, di conseguenzala componente che presenta maggiori difficoltà per il traduttore è certamente la terminologia, tratto altamente differenziato e differenziante tra le varie lingue che è al centro dei processi interpretativi e costituisce il momento focale dei processi traduttivi (traduzione di cariche, ruoli, uffici, istanze e atti).Perché l’analisi del senso, ovvero l’interpretazione, sia effettuata correttamente, è necessaria, ovviamente, un’ottima conoscenza del sistema giuridico in cui è stato prodotto il prototesto e un’attenta analisi del testo può evitare errori di false equivalenze, per esempio, nel caso in cui le lingue o i sistemi giuridici coinvolti nella traduzione siano affini.

Per quanto riguarda l’interpretazione orale, oltre alla conoscenza approfondita dei sistemi giuridici della cultura emittente e ricevente, si incontrano altre difficoltà: durante gli interrogatori il mediatore linguistico si trova, da un lato, di fronte a persone estranee al linguaggio giuridico, o di livello culturale mediobasso, o in stato di forte emotività, il cui linguaggio piò essere frammentato e confuso e, dall’altro si interfaccia con operatori giudiziari che usano un linguaggio tecnico e più complesso, per questo deve essere abile a cambiare registro, passando da un linguaggio più semplice a un registro più formale e viceversa.

A differenza dell’interpretazione di trattativa in ambito medico o commerciale, in cui entrambe le parti concorrono per il medesimo obbiettivo e sono più disponibili a chiarire eventuali fraintendimenti (il medico e il paziente collaborano per guarire la malattia, il compratore e il venditore per concludere un accordo reciprocamente vantaggioso), nell’interpretazione giuridica, le due parti sono in conflitto e la collaborazione, molto spesso, viene meno perché, l’operatore giudiziario cerca la verità (per via diretta o mediata), mentre l’imputato, per paura o per scelta, può far finta di non capire, omettere particolari importanti o non svelarla proprio. Entra, così, in gioco una componente non poco importante, il fattore psicologico per cui il mediatore deve essere in grado di riconoscere e far presente le ambiguità e le sfumature del parlante, deve cercare di capire se derivano da incomprensioni culturali o linguistiche, indipendenti dalla volontà dell’indagato o intenzionali. La collaborazione di mediatori può essere d’aiuto per instaurare rapporti di fiducia tali da far collaborare le vittime perché è attraverso la tutela della vittima che si cerca di incentivare la collaborazione con le istituzioni giudiziarie e reprimere il reato. Tuttavia il mediatore dovrà risolvere unicamente le problematiche di ordine linguistico e non andare oltre la sua sfera di competenza: deve essere imparziale, evitando di dare consigli o di far trapelare le sue impressioni e emozioni; deve essere preciso, chiedendo chiarimenti su eventuali ambiguità, restando fedele al contenuto del messaggio e rispettando il senso dato da chi parla; e discreto, mantenendo la riservatezza sugli affari trattati e provvedendo alla salvaguardia dei documenti in proprio possesso (Russo-Mack 2005).

4 APPENDICE

 

CODICE DI PROCEDURA PENALE

PARTE PRIMA

LIBRO TERZO
PROVE

TITOLO III
Mezzi di ricerca della prova

Capo IV
Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni

Art. 266.
Limiti di ammissibilità.

1. L’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione è consentita nei procedimenti relativi ai seguenti reati:

a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’articolo 4;

b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’articolo 4;

c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;

d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive;

e) delitti di contrabbando;

f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato (1), molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono;

f-bis) delitti previsti dall’articolo 600-ter, terzo comma, del codice penale, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1 del medesimo codice. (2)

2. Negli stessi casi è consentita l’intercettazione di comunicazioni tra presenti. Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale, l’intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.

Art. 266-bis.
Intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche.

1. Nei procedimenti relativi ai reati indicati nell’articolo 266, nonché a quelli commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche, è consentita l’intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi.

Art. 267.
Presupposti e forme del provvedimento.

1. Il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari l’autorizzazione a disporre le operazioni previste dall’art. 266. L’autorizzazione è data con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini.

1-bis. Nella valutazione dei gravi indizi di reato si applica l’articolo 203. (1)

2. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone l’intercettazione con decreto motivato, che va comunicato immediatamente e comunque non oltre le ventiquattro ore al giudice indicato nel comma 1. Il giudice, entro quarantotto ore dal provvedimento, decide sulla convalida con decreto motivato. Se il decreto del pubblico ministero non viene convalidato nel termine stabilito, l’intercettazione non può essere proseguita e i risultati di essa non possono essere utilizzati.

3. Il decreto del pubblico ministero che dispone l’intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni. Tale durata non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di quindici giorni, qualora permangano i presupposti indicati nel comma 1.

4. Il pubblico ministero procede alle operazioni personalmente ovvero avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria.

5. In apposito registro riservato tenuto nell’ufficio del pubblico ministero sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l’inizio e il termine delle operazioni.

(1) Comma inserito dall’art. 10 della L. 1 marzo 2001, n. 63.

Art. 268.
Esecuzione delle operazioni.

1. Le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni è redatto verbale.

2. Nel verbale è trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate.

3. Le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica. Tuttavia, quando tali impianti risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria.

3-bis. Quando si procede a intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, il pubblico ministero può disporre che le operazioni siano compiute anche mediante impianti appartenenti a privati.

4. I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati in segreteria insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l’intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga.

5. Se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

6. Ai difensori delle parti è immediatamente dato avviso che, entro il termine fissato a norma dei commi 4 e 5, hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche. Scaduto il termine, il giudice dispone l’acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, che non appaiano manifestamente irrilevanti, procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione. Il pubblico ministero e i difensori hanno diritto di partecipare allo stralcio e sono avvisati almeno ventiquattro ore prima.

7. Il giudice dispone la trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l’espletamento delle perizie. Le trascrizioni o le stampe sono inserite nel fascicolo per il dibattimento.

8. I difensori possono estrarre copia delle trascrizioni e fare eseguire la trasposizione della registrazione su nastro magnetico. In caso di intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche o telematiche i difensori possono richiedere copia su idoneo supporto dei flussi intercettati, ovvero copia della stampa prevista dal comma 7. (1)

(1) La Corte Costituzionale, con,ha dichiarato sentenza 10 ottobre 2008, n. 336 l’incostituzionalità del presente articolo “nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate.”

Art. 269.
Conservazione della documentazione.

1. I verbali e le registrazioni sono conservati integralmente presso il pubblico ministero che ha disposto l’intercettazione.

2. Salvo quanto previsto dall’articolo 271 comma 3, le registrazioni sono conservate fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione. Tuttavia gli interessati, quando la documentazione non è necessaria per il procedimento, possono chiederne la distruzione, a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato o convalidato l’intercettazione. Il giudice decide in camera di consiglio a norma dell’articolo 127.

3. La distruzione, nei casi in cui è prevista, viene eseguita sotto controllo del giudice. Dell’operazione è redatto verbale.

Art. 270.
Utilizzazione in altri procedimenti.

1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza.

2. Ai fini della utilizzazione prevista dal comma 1, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni sono depositati presso l’autorità competente per il diverso procedimento. Si applicano le disposizioni dell’articolo 268 commi 6, 7 e 8.

3. Il pubblico ministero e i difensori delle parti hanno altresì facoltà di esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati nel procedimento in cui le intercettazioni furono autorizzate.

Art. 270-bis.
Comunicazioni di servizio di appartenenti al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza e ai servizi di informazione per la sicurezza. (
1)

1. L’autorità giudiziaria, quando abbia acquisito, tramite intercettazioni, comunicazioni di servizio di appartenenti al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza o ai servizi di informazione per la sicurezza, dispone l’immediata secretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti tali comunicazioni.

2. Terminate le intercettazioni, l’autorità giudiziaria trasmette al Presidente del Consiglio dei ministri copia della documentazione contenente le informazioni di cui intende avvalersi nel processo, per accertare se taluna di queste informazioni sia coperta dal segreto di Stato.

2. Prima della risposta del Presidente del Consiglio dei ministri, le informazioni ad esso inviate possono essere utilizzate solo se vi è pericolo di inquinamento delle prove, o pericolo di fuga, o quando è necessario intervenire per prevenire o interrompere la commissione di un delitto per il quale sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. Resta ferma la disciplina concernente la speciale causa di giustificazione prevista per attività del personale dei servizi di informazione per la sicurezza.

4. Se entro sessanta giorni dalla notificazione della richiesta il Presidente del Consiglio dei ministri non oppone il segreto, l’autorità giudiziaria acquisisce la notizia e provvede per l’ulteriore corso del procedimento.

5. L’opposizione del segreto di Stato inibisce all’autorità giudiziaria l’utilizzazione delle notizie coperte dal segreto.

6. Non è in ogni caso precluso all’autorità giudiziaria di procedere in base ad elementi autonomi indipendenti delle informazioni coperte dal segreto.

7. Quando è sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, qualora il conflitto sia risolto nel senso dell’insussistenza del segreto di Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri non può più opporlo con riferimento al medesimo oggetto. Qualora il conflitto sia risolto nel senso della sussistenza del segreto di Stato, l’autorità giudiziaria non può acquisire né utilizzare direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali è stato opposto il segreto di Stato.

8. In nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte costituzionale. La Corte adotta le necessarie garanzie per la segretezza del procedimento.

(1) Articolo inserito dall’art. 28 della L. 3 agosto 2007, n. 124

Art. 271.
Divieti di utilizzazione.

1. I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli articoli 267 e 268 commi 1 e 3.

2. Non possono essere utilizzate le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni delle persone indicate nell’articolo 200 comma 1, quando hanno a oggetto fatti conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvo che le stesse persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati. 3. In ogni stato e grado del processo il giudice dispone che la documentazione delle intercettazioni previste dai commi 1 e 2 sia distrutta, salvo che costituisca corpo del reato.

5 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Beccaria G.L. a cura di (1973), I linguaggi settoriali in Italia. Milano: Bompiani 7-59.

Berruto G. 2004 Prima lezione di sociolinguistica. Roma-Bari: Laterza.

Cohen M. 1919 «Note sur l’argot». Bulletin de la Société de linguistique de Paris, 21:132-147.

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