Monthly Archives: July 2014

Michele Valcarenghi, Magda Talamini, Herinneringen aan mijn jeugd: fragmenten uit Dizionario affettivo della lingua ebraica van Bruno Osimo

Herinneringen aan mijn jeugd: fragmenten uit Dizionario affettivo della lingua ebraica van Bruno Osimo

MICHELE VALCARENGHI

Fondazione Milano

Milano Lingue

Scuola Superiore per Mediatori Linguistici

via Alex Visconti, 18 20151 MILANO

Relatrice: professoressa MAGDA TALAMINI

Diploma in Mediazione Linguistica

Estate 2014

© Hoepli, Milano, 2001 per i testi citati

© Marcos y Marcos, Milano, 2011 per i testi citati

© Michele Valcarenghi per l’edizione italiana, 2014

ABSTRACT

ABSTRACT IN ITALIANO

Viene presentata la traduzione nederlandese di alcune voci del Dizionario affettivo della lingua ebraica di Bruno Osimo. Con l’ausilio del modello macrostrutturale di Torop vengono quindi analizzate le scelte traduttive più rilevanti emerse durante la resa metatestuale. Metatesto che riesce a mantenere la musicalità e la quasi totalità dei rimandi intratestuali, nonostante si sia reso necessario l’inserimento di un ampio apparato di note dovuto alle differenze tra la cultura emittente e quella ricevente.

Parole chiave: traduzione, voci, nederlandese, modello macrostrutturale, note

ENGLISH ABSTRACT

A Dutch translation of a selection of entries from Dizionario affettivo della lingua ebraica by Bruno Osimo is examined. The salient translation choices have been analysed on the basis of Torop’s top-down model. The musicality and most of the intertextual references have been preserved in the Dutch translation; however, due to the cultural differences between the source and target reader models, a set of explanatory notes have been worked into the target text.

Tags: translation, entries, Dutch, top-down model, notes

SAMENVATTING

Hier volgt de Nederlandse vertaling van enkele trefwoorden uit de Dizionario affettivo della lingua ebraica van Bruno Osimo. Door het gebruik van het macrostructurele model van Torop worden de belangrijkste vertalingskeuzes geanalyseerd die tijdens het vertalingsproces naar voren zijn gekomen. Deze vertaling heeft de muzikaliteit van het origineel en bijna alle interne verwijzingen behouden. Het is echter noodzakelijk gebleken een aanzienlijk aantal noten in te voeren, teneinde de culturele verschillen tussen de uitzendende en ontvangende cultuur te overbruggen.

Sleutelwoorden: vertaling, trefwoorden, Nederlands, macrostructurele model, noten

SOMMARIO

· ABSTRACT 1

· SOMMARIO 2

· PREFAZIONE 3
Il modello macrostrutturale di Torop 3

· ANALISI DELLA TRADUZIONE DELLE VOCI ‘MAMMESE
(O TAMPÒNICO)’, ‘MASCHIO’ E ‘CAMPI’
DEL DIZIONARIO AFFETTIVO DELLA LINGUA EBRAICA
DI BRUNO OSIMO 4

– Dominante, sottodominanti e lettore modello 4
I rimandi intertestuali 11

I realia 13

I campi espressivi 15

Le espressioni funzionali 18

Il residuo traduttivo 19

Le particolarità del nederlandese 20

Conclusioni 21

· TRADUZIONE DELLE VOCI –
VERTALING VAN DE TREFWOORDEN 23

Mammese (o Tampònico) – Mammaans (of Zeefjenees) 23
Maschio – Mannen 33
Campi – Kampen 43

Note al testo italiano 48

Noten bij de Nederlandse tekst 48

· RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 50

· BIBLIOGRAFIA 50

· RINGRAZIAMENTI 51

PREFAZIONE

L’analisi traduttologica che segue, relativa a tutto il testo tradotto, si concentra sulle più rilevanti particolarità incontrate nella traduzione verso il nederlandese. È stato scelto come riferimento il modello macrostrutturale di Torop.

Il modello macrostrutturale di Torop

L’individuazione della dominante, delle sottodominanti e del lettore modello sono il punto di partenza dell’analisi secondo il modello macrostrutturale di Torop (conosciuto anche come metodo cronotopico o metodo top-down). Il passo successivo consiste nell’individuazione delle parole chiave del testo per poter così determinare la macrostruttura sulla quale questo si regge e gli elementi linguistici che lo costituiscono. Gli elementi linguistici costituenti sono:

  • i rimandi intertestuali e i realia, elementi che mettono in relazione il testo e i suoi elementi culturali, con altri testi e culture;

  • i campi espressivi, che consistono nella ripetizione di frasi, parole, locuzioni e forme grammaticali; non si tratta di rimandi interni ma sono caratteristiche dell’espressività dell’autore;

  • le espressioni funzionali, parole posizionate in modo strategico all’interno del testo per collegare zone fisicamente distanti tra loro, creando in questo modo i cosiddetti rimandi intratestuali;

  • le parole concettuali, che esprimono concetti d’importanza fondamentale per il testo;

  • i deittici, parole che riflettono un rapporto individuale dell’autore nei confronti della situazione narrata.

Prototesto e metatesto vengono analizzati al fine di verificare in quale misura gli elementi individuati sono stati mantenuti nella traduzione, e quali invece generano un residuo traduttivo.1

ANALISI DELLA TRADUZIONE DELLE VOCI ‘MAMMESE (O TAMPÒNICO)’, ‘MASCHIO’ E ‘CAMPI’ DEL DIZIONARIO AFFETTIVO DELLA LINGUA EBRAICA DI BRUNO OSIMO

Dominante, sottodominanti e lettore modello

La dominante del testo è rappresentata dal significato che le singole voci – in senso lato – del dizionario hanno avuto nella vita dell’autore. Un significato che viene presentato attraverso il racconto di diverse esperienze relative alla sua infanzia. A questo proposito è molto importante il modo in cui l’autore le racconta. Il suo stile è caratterizzato da un singolare uso della punteggiatura, troviamo infatti periodi molto lunghi dove la scarsità di interpunzione rende la lettura poco agevole, ed elenchi dove le virgole sono state volutamente tralasciate.
Oltre al significato delle voci, è parte integrante della dominate anche la manipolazione della lingua. L’autore prende spesso un guscio sintattico e/o semantico del tutto normale e vi inserisce un nocciolo sintattico/semantico alieno. Sovverte la lingua senza però sfuggirle completamente; è anticonvenzionale all’interno di certe convenzioni. Analizzando più specificatamente le voci che sono state tradotte, che da un punto di vista teorico rientrano nella categoria delle parole concettuali, troviamo parole come «mammese» e «tampònico», parole che non esistono in italiano e la cui traduzione in una qualsiasi lingua si rivela complessa ma avvincente al tempo stesso. Con «mammese (o tampònico)»2 l’autore si riferisce alla lingua parlata dalla madre. Una lingua dove la realtà viene attenuata, addolcita, filtrata, tamponata. «Tampònico» deriva proprio da «tampone». Nella traduzione in nederlandese sono riuscito a mantenere la radice del primo nome di questa lingua creando «Mammaans». In nederlandese «mamma» si dice «mama» o «mam». Nel conio dell’autore ritroviamo il suffisso -ese, comunemente utilizzato in italiano per la formazione del nome delle lingue; pensiamo ad esempio a «francese», «cinese» e allo stesso «nederlandese». Nella creazione di «Mammaans» si è tenuto conto del suffisso -aans, spesso usato in nederlandese per indicare il nome delle lingue; pensiamo a «Italiaans», «Spaans» e «Afrikaans».
Relativamente a «tampònico» la traduzione è stata molto più complessa. «Tampon», che in nederlandese significa per l’appunto «tampone» ha come prima accezione quella di assorbente femminile, che poco si presta per descrivere quello che l’autore intende dire. Tra gli aggettivi usati in precedenza per descrivere la lingua «mammese» abbiamo usato «filtrata». L’idea di un filtro mi ha portato a «zeef» (setaccio) e da qui a «Zeefjenees». In nederlandese un altro suffisso usato per il nome delle lingue è -ees; pensiamo a «Chinees» e «Portugees». È stato poi usato un diminutivo di «zeef», «zeefje» per rendere «Zeefjenees» una parola quasi naturale per un parlante nederlandese e con un significato che non lascia spazio a fraintendimenti. Con «Mammaans» si è mantenuta la radice italiana, con «Zeefjenees» la si è cambiata, ma il principio morfologico resta identico. Il passo che segue è molto interessante per vedere come si è risolta la questione dell’etimologia di «tampònico»:

«Più che una lingua, è una difesa. È uno smorzamento, un ammosciamento. È un’attenuazione. È un materasso, un respingente, un tampone: l’etimo del secondo nome di questa lingua – tampònico – è incerto, ma molti studiosi propendono per l’attribuzione proprio a questo effetto di tamponamento di qualsivoglia componente affettiva di coinvolgimento».3

«Het is eerder een verdedigingsmechanisme dan een taal. Het is een matiging, een verslapping. Het is een vermindering. Het is een matras, een stootkussen, een zeef. De etymologie van de tweede naam van deze taal – Zeefjenees – is onzeker, maar vele onderzoekers wijzen de naam toe aan een zeef waardoor alle betrekkingen en emoties worden gegoten».

La questione è stata risolta utilizzando l’immagine di un setaccio attraverso il quale passano, vengono filtrati, setacciati tutti i rapporti e le emozioni. Solo quelli più fini, leggeri riescono a passare e a raggiungere l’autore.

La seconda voce tradotta è «maschio»4. In nederlandese non esiste un traducente esatto per questa parola; «mannelijk» può sembrare simile dal punto di vista visivo e sonoro però si tratta di un aggettivo. Di conseguenza si è optato per «mannen» che tradotto letteralmente significa «uomini». Dato che i protagonisti di questa voce sono l’autore e il padre, entrambi alle prese con questioni da maschi, da uomini, il sostantivo «mannen» mi è sembrata la scelta più adatta per la voce «maschio».

La terza voce tradotta è «campi»5. Per la traduzione in nederlandese è indispensabile prendere in considerazione il campo semantico della parola «campo»; termine che in italiano ha assunto una grandissima varietà di accezioni e usi. Di seguito ne elencherò solo alcuni. Un «campo» può essere uno spazio di terreno destinato alla coltivazione, un luogo dove si fanno esercitazioni militari, un terreno dove si svolgono le gare e gli incontri di vari sport, un accampamento (militare o meno), un recinto con costruzioni di vario genere dove vengono raccolte delle persone. È proprio quest’ultima accezione quella cui dobbiamo fare riferimento. La traduzione immediata in nederlandese è «velden» che però ha un campo semantico diverso rispetto alla voce italiana. Il termine che è stato scelto, «kampen», risponde perfettamente alle nostre esigenze, oltre ad assomigliare molto alla parola italiana. Non dobbiamo però dimenticare che, a differenza dell’italiano, il campo semantico di «kampen» non comprende alcun riferimento all’agricoltura o a luoghi dove si svolge un’attività sportiva, in questi casi si utilizza il sopracitato «velden». All’interno della traduzione, «velden» è stato usato nel passo che segue, quando si fa riferimento alla posizione della casa delle vacanze:

«Da bravo clandestino in una famiglia di clandestini, tutto era stato calcolato con precisione: la casa acquistata sull’angolo, in alto, al confine con i campi, in modo da essere vicini al Giacomo (che potava l’ulivo) e alla Nina (che ci dava le uova), e da poter partire senza fare rumore di shabàt senza svegliare il rabbino»6.

«Als perfecte illegaal in een familie van illegalen werd alles tot in het kleinste detail berekend: men kocht een hoekhuis hoog op de helling aan de rand van de velden zodat we dicht bij Giacomo waren (die de olijvenboom afsnoeide) en bij Nina (die ons eieren gaf), en zo konden we op sjabbat geluidloos vertrekken zonder de rabbijn wakker te maken».

La prima delle sottodominanti è sicuramente rappresentata, riprendendo quanto già anticipato in precedenza, dagli effetti sortiti dal particolare uso della punteggiatura nel testo. Una punteggiatura che vuole trasmettere l’idea di un flusso continuo e costante di pensieri. In molti casi, quando ci aspettiamo un punto, troviamo un virgola, e di conseguenza i periodi diventano molto lunghi. In nederlandese, lingua che si caratterizza per periodi brevi e concisi è stato molto difficile, se non in qualche raro caso, mantenere le stesse scelte di punteggiatura dell’autore. Periodi particolarmente lunghi, ma nonostante tutto comprensibili in italiano, sono stati spezzati in nederlandese perché il rischio di incomprensioni e fraintendimenti da parte del lettore nederlandofono era troppo alto. Di seguito viene riportato un paragrafo della voce ‘maschio’ in italiano e la sua traduzione in nederlandese:

«Dopo il giornalaio, scendevamo a piedi sul selciato lucido e scuro, a passi lenti, con i piedi in fuori da turisti, stando attenti a non scivolare perché era davvero lucido, e i sandali erano quello che erano, e passavamo accanto al negozio sulla sinistra che più tardi, in orario da turisti normali, metteva fuori una cesta enorme, tutta piena di bottigliette piccole, finti fiaschetti grandi come boccettine di profumo contenenti vini raccapriccianti dolcissimi, Lachrima Christi e altre miscele ottenute con acqua alcol zucchero aromi naturali coloranti, che una volta lo zio Arturo, generoso, mi ha comprato, litigando con papà, però bisognava berlo poco poco alla volta, mettere solo una goccia sulla lingua e poi basta per un po’, senza esagerare, che in mammese voleva dire “fra un mese controllo se ce n’è ancora”»7.

«Na bij de krantenkiosk te zijn geweest liepen we langzaam op het blinkende en donkere plaveisel met onze voeten die uitstaken zoals toeristen meestal doen. We zorgden ervoor om niet uit te glijden, omdat het plaveisel echt glibberig was en de sandalen niet echt slipvast. We liepen langs de winkel aan de linkerkant die later, wanneer de echte toeristen op straat liepen, een grote mand buitenzette vol met heel kleine flesjes, nep mandflesjes net zo groot als parfumflesjes met vreselijk zoete wijnen erin, Lachrima Christi en andere mengsels gemaakt van water alcohol suiker natuurlijke aroma’s kleurstoffen. Oom Arturo, die gul was, had eens één van die flesjes voor me gekocht, na ruzie te hebben gemaakt met papa, en ik mocht die wijn beetje bij beetje drinken. Ik mocht maar één druppel per keer op mijn tong laten vallen en daarna niets meer, zonder te overdrijven, wat in het Mammaans betekende: “over een maand controleer ik of er nog wijn in het flesje zit”».

Nel testo italiano l’intero paragrafo è costituito da un periodo ininterrotto, mentre la traduzione nederlandese è divisa in ben cinque periodi.
Come abbiamo detto, periodi particolarmente lunghi sono inusuali in nederlandese. L’uso del punto e virgola (;) è quasi completamente assente nei testi letterari e anche la lineetta (-) non ricorre spesso come in inglese. La traduzione riportata sopra è da preferire, ma esiste anche la possibilità di sostituire tutti i punti con le lineette. In questo modo l’intero passo resta composto da un solo periodo e si mantengono i vantaggi di maggior comprensione che la precedente divisione in più periodi aveva garantito. Di seguito vediamo come apparirebbe il sopracitato passo con l’applicazione delle scelte appena descritte:

«Na bij de krantenkiosk te zijn geweest liepen we langzaam op het blinkende en donkere plaveisel met onze voeten die uitstaken zoals toeristen meestal doen – we zorgden ervoor om niet uit te glijden, omdat het plaveisel echt glibberig was en de sandalen niet echt slipvast – we liepen langs de winkel aan de linkerkant die later, wanneer de echte toeristen op straat liepen, een grote mand buitenzette vol met heel kleine flesjes, nep mandflesjes net zo groot als parfumflesjes met vreselijk zoete wijnen erin, Lachrima Christi en andere mengsels gemaakt van water alcohol suiker natuurlijke aroma’s kleurstoffen – oom Arturo, die gul was, had eens één van die flesjes voor me gekocht, na ruzie te hebben gemaakt met papa, en ik mocht die wijn beetje bij beetje drinken – ik mocht maar één druppel per keer op mijn tong laten vallen en daarna niets meer, zonder te overdrijven, wat in het Mammaans betekende: “over een maand controleer ik of er nog wijn in het flesje zit».

Altro ottimo esempio a questo riguardo è rappresentato dal lungo elenco di lavori domestici che l’autore ha appreso durante l’adolescenza: «Poi da adolescente ho imparato a fare ogni genere di lavoro domestico: elettricista idraulico falegname muratore imbianchino»8. In questo caso però è stato possibile mantenere la punteggiatura dell’autore in quanto non intaccava la comprensione del metatesto: «Later, als puber, leerde ik alle huishoudelijke klussen: elektricien loodgieter timmerman metselaar huisschilder».

Altre sottodominanti sono il suono e le differenze di registro. Per quanto riguarda il suono pensiamo ad esempio alla frase detta dalle suore alla zia Argìa: «sia lodato Gesù Cristo»9 e quello che la zia, quasi del tutto sorda, effettivamente capisce: «l’ha mandata il macchinista?»10. Nella traduzione in nederlandese, grazie a una piccola modifica, si è ottenuta una rima perfetta: «geprezen zij de Heer» (sia lodato il Signore) e «stuurt de machinist u weer?» (l’ha mandata di nuovo il macchinista?). Altro interessante esempio è l’allitterazione «parametro paradigmatico di qualsiasi percezione»11 dove l’autore gioca con i suoni ‘par’ ‘par’ ‘per’. Per esprimere il concetto sarebbe bastato usare «parametro», ma l’autore ha scelto appositamente di esprimerlo con ironia per farlo diventare, secondo le sue stesse parole: «scientific-pomposo-bombastic». Nella traduzione in nederlandese «paradigmatische parameter van alle percepties» è stato possibile mantenere sia l’allitterazione sia il significato. Questo stesso esempio si presta perfettamente anche dal punto di vista delle differenze di registro. Possiamo, ad esempio, contrapporlo alla scena dove l’autore protesta con la madre su quanto un nuovo paio di scarpe somigli, o meno, a quello che lui vorrebbe acquistare:

«Al che io obbiettavo che erano diversissime, perché queste hanno una cucitura intorno, e sono marrone chiaro, e hanno il tacco di cuoio»12.

«Ik stribbelde tegen en zei dat die totaal anders waren, omdat deze een stiksel eromheen hadden, en licht bruin waren, en een leren hak hadden».

Sia nell’italiano sia nella traduzione nederlandese notiamo una certa insistenza nell’uso dei verbi quando l’autore cerca di far capire alla madre quanto le scarpe siano, in realtà, diverse tra loro. Il periodo preso in considerazione rappresenta anche un ottimo esempio di quelli che, sotto il profilo teorico, si definiscono campi espressivi. Questa ripetizione verbale è tipica di un bambino che si intestardisce e non la si può certo definire una scelta di registro alto, a maggior ragione se la confrontiamo con l’allitterazione presa ad esempio.

Il lettore modello del prototesto può essere una qualsiasi persona che riesca a non farsi tradire dal titolo dell’opera, non si tratta infatti di un vero e proprio dizionario ma di un romanzo che racconta l’infanzia dell’autore e la vita all’interno di una famiglia italiana con origini ebraiche negli anni’60. Il lettore modello del metatesto invece, potrebbe essere un nederlandofono interessato ad approfondire la storia di un italiano con un retroterra culturale e religioso atipico. Resta poi la possibilità che sia il lettore del metatesto sia quello del prototesto, conoscano Bruno Osimo attraverso altre pubblicazioni di carattere tecnico, e decidano di approfondire la loro conoscenza dell’autore.

I rimandi intertestuali

Prima di iniziare ad analizzare i rimandi intertestuali è interessante notare come l’autore ne abbia inseriti molti in tutta l’opera segnalandoli però come [nota del traduttore]. Chiaramente l’autore si considera un traduttore dal mammese (o tampònico) verso l’italiano. Dato che, traducendo verso il nederlandese, si è reso necessario inserire alcune note a spiegazione di rimandi – e realia – che l’autore considera scontati per il lettore del prototesto, quelle che l’autore chiama [nota del traduttore] saranno riportate nel testo in nederlandese con carattere corsivo [noot van de vertaler] (nota dell’autore), mentre le note che sono state aggiunte traducendo verso il nederlandese saranno segnalate in grassetto [noot van de vertaler] (nota del traduttore).

Sono inoltre da segnalare ripercussioni sull’apparato delle note a piè di pagina dei testi tradotti; ripercussioni che si sono create a causa dell’impaginazione. Infatti, i testi nelle due lingue, sono stati impaginati in due colonne, in maniera tale che ogni frase in italiano abbia nella colonna a fianco l’equivalente nederlandese. Per questo motivo è stato necessario intervenire sull’apparato delle note a piè di pagina eliminandole e raccogliendole, mantenendo sempre la distinzione per lingua, tutte insieme in una pagina alla fine della traduzione. Le note del prototesto verranno indicate con numeri romani, mentre quelle del metatesto attraverso numeri arabi.

Come anticipato, nel testo troviamo diversi rimandi intertestuali in forma di citazioni di altre opere letterarie, cinematografiche o musicali. Limiteremo l’analisi ai rimandi intertestuali non previsti dall’autore ma resisi necessari nella traduzione nederlandese.

Nel prototesto troviamo: «Le donne dovevano essere modeste, come diceva Manzoni»13. Probabilmente non tutti i lettori italiani sapranno che si tratta di una citazione dal primo capitolo de I promessi sposi di Alessandro Manzoni, ma sicuramente capiranno di chi si sta parlando dato che Manzoni è uno dei pilastri di tutti i corsi di letteratura italiana nelle nostre scuole. Per il lettore del metatesto invece, questo collegamento non è spontaneo. Difficilmente un nederlandofono medio ha mai sentito parlare di Alessandro Manzoni; di conseguenza si rende indispensabile l’inserimento di una nota del traduttore: «Citaat uit het eerste hoofdstuk van I promessi sposi (De verloofden) geschreven door Alessandro Manzoni (1785 – 1873) een Italiaans dichter en romanschrijver» (citazione dal primo capitolo de I promessi sposi, scritto da Alessandro Manzoni, 1785 – 1873, poeta e scrittore italiano).

Ciò che nel prototesto può sembrare ovvio non sarà per forza altrettanto nel metatesto. La questione può infatti essere affrontata anche con un approccio completamente diverso. Anziché mantenere (o addirittura ampliare) a tutti i costi un rimando intertestuale, esasperando il lettore del metatesto, è possibile decidere di eliminarlo purché questo non comprometta il prototesto. A titolo di esempio, analizziamo com’è stato affrontato il seguente rimando: «“Guarda i muscoli del” macellaio!»14. L’autore ha inserito una nota a piè di pagina rimandando a una canzone di De Gregori dal titolo I muscoli del capitano. Dato che l’eliminazione di questo rimando non compromette in alcun modo il prototesto, si è deciso di tradurre con: «Kijk naar de spieren van de slager!» (guarda i muscoli del macellaio) senza però inserire alcuna indicazione relativa al rimando intertestuale. Si genera in questo modo quello che, dal punto di vista teorico, si definisce un residuo traduttivo.

La citazione de Le nozze di figaro nella voce «mammese» rappresenta un esempio di rimando intertestuale molto particolare: «“A ubbidirvi, signor, son già disposto”. Emmanuel Conegliano, Le nozze di Figaro, atto primo, scena quarta»15. Anche se il librettista dell’opera in questione cambierà il suo nome in Lorenzo Da Ponte, l’autore decide di usare il nome precedente, Emmanuel Conegliano, dal quale si evince la possibile provenienza da una famiglia ebraica. Per conservare intatta tutta questa serie di rimandi, si è deciso di mantenere la citazione in lingua italiana anche nella versione nederlandese, scelta che si giustifica ulteriormente se consideriamo che le opere liriche, in genere, non vengono tradotte. È stata comunque inserita, nelle note, una traduzione della citazione per renderla fruibile a qualsiasi lettore del metatesto: «mijnheer, ik ben al gereed u te gehoorzamen».

I realia

Per quanto riguarda i realia, alcuni tra i più interessanti sono relativi alla cultura gastronomica italiana: «culatello» e «tortelli alla piacentina»16 non hanno un equivalente nederlandese, motivo per cui sono stati mantenuti in lingua italiana e sono stati spiegati con una breve nota; nello specifico: «een soort Italiaanse vleeswaren» (un tipico affettato italiano) e «een soort tortellini uit de provincie Piacenza» (un particolare tipo di tortellini tipici della provincia di Piacenza).

Altro particolare realia: «Dopo il barbiere arrivavamo al bar, dove papà prendeva il caffè, quello con la leva»17 che si riferisce ad un caffè preparato mediante una particolare macchina espresso dotata di una leva manuale. In questo caso si è optato per la versione nederlandese di «leva» ovvero «hefboom»: «Na de kapper gingen we naar het café waar papa een espresso bestelde, die met een apparaat met een hefboom werd gemaakt» (dopo essere stati dal barbiere andavamo al bar, dove papà prendeva un caffè, quello fatto con una macchinetta azionata da una leva); è stata poi inserita una nota in corrispondenza di «hefboom» spiegando brevemente in che cosa consistesse questa particolare macchina da caffè.

Interessante anche il caso seguente: «I turisti tedeschi ne andavano pazzi, perché nei loro inverni titanici guardando quel segno potevano pensare tutto il tempo all’Italia e al bagno e al caldo e alle camere zimmer.»18. Mi riferisco alla questione delle «camere zimmer». Nelle località di villeggiatura italiane, capita spesso di vedere cartelli con scritto «camere-rooms-zimmer», che indicano la possibilità di affittare una camera. Probabilmente l’autore, da piccolo, sarà rimasto molto sorpreso da questo particolare termine proveniente dalla lingua tedesca – Zimmer – e potrebbe aver deciso di usare questi due sostantivi, uno a fianco dell’altro per enfatizzare il concetto. In nederlandese si sono mantenuti entrambi i sostantivi, ma dato che per il lettore del metatesto sarebbe stato difficile capire la ragione di una simile scelta, si è segnalato in una nota l’ipotetico motivo: «In het Duits is ‘Zimmer’ een kamer. In vele Italiaanse toeristische plekken vindt men borden op straat met ‘camere-rooms-zimmer’ geschreven. Zo’n bord wordt gebruikt om verblijfsfaciliteiten aan te geven die te huur staan voor toeristen. De auteur heeft ‘Zimmer’ samen met ‘kamer’ gebruikt om zijn idee sterker over te dragen».

Ancora due realia che non possono sfuggire alla nostra analisi: il riferimento a «il Corriere» e «Topolino»19. In entrambi i casi si è ritenuto opportuno segnalare, all’interno di una nota, alcune informazioni indispensabili al lettore del metatesto per comprendere i due riferimenti. Relativamente a Il Corriere: «Il Corriere della Sera in 1876 opgericht, is een van de grootste Italiaanse kranten met een oplage van ca. 700.000 exemplaren» (Il Corriere della Sera, fondato nel 1876 è uno dei principali giornali italiani con una tiratura di circa 700.000 copie). Nei Paesi Bassi esiste una versione locale di «Topolino» alla quale si è fatto riferimento nella nota esplicativa: «Een wekelijks verschijnend Italiaans tijdschrift met stripverhalen van Walt Disney-figuren. Vergelijkbaar met de Nederlandse Donald Duck» (Una rivista settimanale con storie a fumetti dei personaggi Walt Disney. Paragonabile a «Donald Duck» nei Paesi Bassi).

I campi espressivi

Nel prototesto troviamo: «ingegneressa»20, parola che non esiste e che viene creata dall’autore rispettando però le regole morfologiche di formazione di una parola femminile. Ennesima dimostrazione che Osimo riesce a essere anticonvenzionale all’interno di certe convenzioni. Per la traduzione in nederlandese ci si è comportati esattamente come l’autore, attenendosi quindi alle regole di formazione di un sostantivo femminile partendo da uno maschile: «ingenieuresse».

Altro interessante esempio è costituito dall’espressione «marrone topo»21 usata per riferirsi al colore dei sandali del padre. L’autore si ispira a un colore esistente, il «grigio topo», per creare una metafora originale. Per analogia, nella traduzione ci si è comportati allo stesso modo, ispirandosi all’esistente «muisgrijs» (grigio topo) si è quindi creato: «muisbruin».

L’uso, nel prototesto, dell’espressione inglese «downtown»22 per riferirsi al viaggio dell’autore e di suo padre verso il paese per le spese del sabato mattina, crea un piacevole effetto ironico. Normalmente, infatti, l’espressione viene usata nel contesto di città e non di paese23. Questa scelta è interessante e perfetta se consideriamo che la casa delle vacanze si trova in alto rispetto al paese, di conseguenza, per raggiungerlo devono necessariamente scendere”, raggiungere la «downtown». Utilizzando la stessa parola inglese è stato possibile mantenere quest’effetto anche in nederlandese: «Toen we downtown aankwamen» (quando giungevamo downtown).

Interessante da analizzare, è anche la scelta di scrivere alcune parole con la lettera maiuscola, come vediamo nel seguente passo:

«Continuando a camminare lungo il corso, sulla sinistra si apriva un anfiteatro di case in stile tardofascista delimitato da due vie in salita come rami rampicanti intorno a un Palazzo dalle grandi vetrate, un Palazzo Importante: lì nel grande salone papà si faceva tagliare la barba, eventualmente spuntare quei pochi capelli che aveva intorno alla pelata, e soprattutto i copiosi peli del naso e delle orecchie. A volte – molto di rado per fortuna – anche a me tagliavano i capelli, ma con la macchinetta che faceva male, perché quello era un posto da Maschi, al quale io ero ammesso in via provvisoria, solo perché raccomandato. Avevo firmato un patto col diavolo e non lo sapevo. Quindi non solo non dovevo azzardarmi a piangere quando con la macchinetta mi pizzicavano la pelle della nuca, ma, pur con l’occhio iniettato di lacrima, non dovevo nemmeno dar a vedere che provavo dolore»24.

«Terwijl we door de hoofdstraat bleven lopen verscheen aan de linkerkant een amfitheater van huizen in laat fascistische stijl. Aan de zijden van dat huizenblok waren twee oplopende straten die leken op klimtakken om een Paleis heen met grote ramen, een Belangrijk Paleis: daar in een grote salon liet papa zich scheren, en als het nodig was liet hij ook de haren rond zijn kale kop bijknippen, maar bovenal liet hij zijn overvloedige neus- en oorharen knippen. Soms – en dat gebeurde niet vaak gelukkig – werden ook mijn haren geknipt, maar met een tondeuse die pijn deed, omdat dit een plek voor Mannen was, en ik had hier een voorlopige toegang gekregen alleen omdat ik de juiste connecties bezat. Ik had een pact met de duivel gesloten, maar ik wist het zelf niet. Daarom moest ik meer doen dan niet huilen toen de tondeuse de huid van mijn nek vastgreep, ik moest zelfs met mijn ogen vol tranen niet laten zien dat ik pijn voelde.»

Le lettere maiuscole di «Palazzo Importante» vengono usate per sottolineare quanto quell’architettura sia imponente agli occhi del bambino, consapevole che si troverà faccia a faccia con situazioni più grandi di lui. Quest’ultimo discorso vale anche per «Maschi». Questa scelta è stata mantenuta anche all’interno della traduzione, come possiamo vedere da «Belangrijk Paleis» e «Mannen».

Nel prototesto troviamo anche l”espressione «l’esibizionismo è un morbo che colpisce a macchia di leopardo»25. L’autore usa un’espressione esistente in italiano «a macchia di leopardo» che però non esiste in nederlandese. Le opzioni a disposizione erano due: crearla ex novo in nederlandese od optare per la spiegazione dell’espressione con «op onregelmatige wijze» (in modo irregolare). È stata scelta la prima opzione: «die zich als een luipaardvlek verspreidt» perché penso esprima efficacemente l’idea di qualcosa che colpisce in modo diffuso ma senza uno schema logico o comunque prevedibile.

Nella traduzione della voce «mammese», incontriamo la seguente espressione: «versando fiumi e fiumi di pipì»26. L’autore intende dire che «se la faceva addosso». Approfittando dell’esistenza in nederlandese dell’espressione «in de broek plassen» che ricalca alla perfezione il significato di quella italiana, si è ritenuto opportuno usarla in questo contesto scrivendo: «plaste ik constant in mijn broek» (me la facevo costantemente addosso). Questa scelta si giustifica anche con l’impossibilità di usare lo stesso verbo dall’autore, «versare» (schenken), che rimanda in prima istanza al «servire delle bevande». Si sarebbe quindi creata un’imbarazzante incomprensione sul fatto che l’autore servisse la propria urina a degli ipotetici commensali.

In un passo della voce «maschio» troviamo l’espressione: «quasi senza soluzione di continuità»27. L’autore usa così un’espressione ormai consolidata nel vocabolario italiano per dire «senza interruzione della continuità» e quindi, «continuativamente». In nederlandese non esiste un’espressione simile e di conseguenza si è deciso di tradurla in modo tale da mantenere lo stesso significato di superficie con: «alsof er geen verband was tussen» (come se non ci fosse un legame tra).

Le espressioni funzionali

Relativamente alle espressioni funzionali, uno dei casi più interessanti da analizzare è contenuto nel seguente passo:

«In mammese, ‘vagamente simile’ si dice ‘proprio uguale’: se andavamo a comprare un paio di scarpe, lei diceva che erano proprio uguali a quelle che mi piacevano tanto e che non volevo cambiare. Al che io obbiettavo che erano diversissime, perché queste hanno una cucitura intorno, e sono marrone chiaro, e hanno il tacco di cuoio, ma lei insisteva che erano praticamente uguali. Come se in una disquisizione logica ci fosse spazio per la pratica!»28.

«In het Mammaans zeg je ‘bijna gelijk’, ‘praktisch hetzelfde’. Als we een paar schoenen gingen kopen, zei ze dat deze praktisch hetzelfde waren als die ik eigenlijk leuk vond en die ik eigenlijk wilde hebben. Ik stribbelde tegen en zei dat die totaal anders waren, omdat deze een stiksel eromheen hadden, en licht bruin waren, en een leren hak hadden, maar ze drong aan dat ze praktisch hetzelfde waren. Alsof er in een logische uiteenzetting ruimte zou kunnen zijn voor iets praktisch!».

L’autore gioca con «proprio uguali», «praticamente uguali» e «pratica» intessendo dei rimandi intratestuali. Nella traduzione in nederlandese si è ritenuto opportuno tradurre le tre parole in questione, con lo stesso traducente «praktisch» (praticamente): «praktisch hetzelfde», «praktisch hetzelfde» e «iets praktisch». In questo modo non solo si è mantenuta l’espressione funzionale scelta dall’autore, ma usando un solo traducente, si è anche rafforzato il rimando intratestuale.

Altra espressione funzionale molto interessante la troviamo nel seguente passo:

«In questa famiglia bislacca e tremendamente iniqua, per diventare qualcuno bastava concentrarsi molto intensamente e pensare “ce l’ho solo io, ce l’ho solo io, ce l’ho solo io”; “nemmeno dopo tanto”, tutti ti riconoscevano il titolo»29.

«In deze zotte en vreselijk onrechtvaardige familie moest je laten zien dat je bestond, je heel erg concentreren en denken “ik ben de beste, ik ben de beste, ik ben de beste”. “Niet echt veel later” erkende iedereen je als dé beste».

Nello specifico ci concentriamo su «ce l’ho solo io» e «ti riconoscevano il titolo». La prima espressione viene usata in italiano quando ci si vuole riferire ad una persona altezzosa e boriosa. Nella traduzione, data l’assenza in nederlandese di un traducente specifico si è scelto di trasformarla in «ik ben de beste» (sono il migliore). La seconda espressione è stata tradotta con «erkende iedereen je als dé beste» (ti riconoscevano il titolo di migliore). Con questa scelta si crea un rimando intratestuale più marcato nel metatesto, grazie all’espressione funzionale «de beste».

Il residuo traduttivo

Inevitabilmente la traduzione ha generato un residuo traduttivo, consistente in locuzioni, frasi e rimandi che non è stato possibile mantenere in traduzione, o che si è scelto di eliminare.

Sicuramente il caso più interessante e palese di residuo traduttivo riguarda il seguente passo:

«La mia disperazione non era per il cibo mortale, ma per il cibo celeste (il suo colore preferito) – per difendere la mia analisi logica»30.

«Mijn wanhoop kwam niet voort uit het voedsel voor het lijf maar uit het voedsel voor de ziel – om mijn logische analyse te verdedigen».

«Cibo mortale» e «cibo celeste» sono stati tradotti con «voedsel voor het lijf» (cibo per il corpo) e «voedsel voor de ziel» (cibo per l’anima). In nederlandese non è stato possibile mantenere il riferimento al colore azzurro e, di conseguenza, il riferimento tra parentesi al colore preferito della madre viene meno. Il metatesto riesce a mantenere il suo significato originario pur rinunciando a un piccolo riferimento che comunque non compromette il tessuto semantico dell’opera.

Altro interessante residuo traduttivo è quello dovuto all’omissione del rimando intertestuale alla canzone di De Gregori, già analizzato precedentemente. In questo caso, il residuo si genera a causa di una scelta volontaria.

Altro residuo traduttivo lo troviamo nella seguente frase in dialetto contenuta nella voce «campi»: «Sciùr Colòna, ma cusa l’aspèta a scapa’?»31. La frase viene poi spiegata, con grande ironia, attraverso una nota dell’autore in un italiano molto forbito. «Signor Colonna, invero, che cosa attende prima di porre in fuga la sua famiglia al sicuro?»32. Nella traduzione in nederlandese non avrebbe avuto senso tradurre la frase in un dialetto diverso dall’originale, motivo per cui ci si è limitati a riportarla in nederlandese standard «waar wacht u op om te vluchten meneer Colonna?» (che cosa aspetta a fuggire signor Colonna?) perdendo però il piacevole effetto ironico, presente nel prototesto, ottenuto dalla contrapposizione tra dialetto e italiano di registro alto.

Le particolarità del nederlandese

Il nederlandese è una lingua all’interno della quale le parole composte sono presenti in grande quantità. Nel caso specifico della traduzione che stiamo analizzando, all’interno della voce «maschio», nella frase d’apertura troviamo: «il sabato mattina»33. In italiano abbiamo due parole mentre in nederlandese diventa «zaterdagochtend», che è una parola unica. Una delle particolarità di questo dizionario consiste nel fatto che alcune parole al suo interno sono sottolineate. La sottolineatura non è una scelta casuale in quanto si sottolineano quelle parole che rimandano ad altre voci descritte nel dizionario stesso. Nel caso appena citato quindi, «sabato» rimanda alla voce «sabato» contenuta nel dizionario. In nederlandese non si è potuto sottolineare l’intero sostantivo «zaterdagochtend» perché avrebbe significato creare un rimando alla voce «sabato mattina», che non è contenuta nel dizionario. Per questo motivo, nel metatesto, si è deciso di sottolineare solo metà sostantivo in modo da mantenere inalterata la struttura dei rimandi all’interno del dizionario.

Conclusioni

Come già annunciato nella prefazione, l’analisi si è concentrata su quei casi particolari che sono affiorati nella traduzione del testo verso il nederlandese. Nonostante le particolarità descritte fino ad ora, il metatesto mantiene in gran parte le specificità del prototesto, si è infatti riusciti a mantenere la musicalità che l’autore ha previsto in certi casi e lo stesso si può dire dei rimandi intratestuali. L’apparato delle note è stato ampliato a causa dei frequenti realia ma questo non influisce sulla fluidità del testo. La revisione della punteggiatura, invece, si è rivelata in certi casi essenziale a causa della struttura propria del nederlandese, dove periodi troppo lunghi diventano di difficile comprensione per il lettore. Il residuo traduttivo è minimo e come abbiamo visto non intacca la struttura portante del testo così come non influisce sulla comprensione del messaggio, superficiale e profondo, dell’autore. Considerando l’ampliamento dell’apparato delle note nel metatesto possiamo dire che il residuo quasi scompare a favore di quello che si potrebbe definire un ‘approfondimento traduttivo’.

Sia il lettore del prototesto sia quello del metatesto, vivono un’esperienza di lettura simile. Per il primo, la maggior parte dei riferimenti sarà esplicita e il lettore riuscirà a coglierli senza alcuna difficoltà; per il secondo, invece l’ampio e approfondito apparato metatestuale riuscirà a colmare le differenze culturali che separano i due lettori modello. Di conseguenza, il metatesto risulterà meno immediato, relativamente ai rimandi, rispetto al prototesto.

TRADUZIONE DELLE VOCI – VERTALING VAN DE TREFWOORDEN

אימהיתMammese (o Tampònico)I

A ubbidirvi, signor, son già disposto.

Emmanuel Conegliano, Le nozze di Figaro, atto primo, scena quarta

La famiglia di mia madre è una famiglia di strampalati. Suo
nonno faceva il capostazione, e quindi da piccola mia nonna
aveva abitato in mille
appartamenti diversi,
quelli al piano
disopra delle
stazioni.

Una delle zitelle di famiglia, la zia Argìa, in non so quale dei numerosi paesini in cui hanno abitato, aveva trovato lavoro e andava tutti i giorni a cucire o ricamare dalle suore.
Aveva avuto il contatto
da un macchinista, collega del bisnonno.
La zia Argìa era quasi del tutto sorda. La prima volta che era arrivata dalle suore, le avevano detto “Sia lodato Gesù Cristo”, e lei – forse anche a causa della sua appartenenza a una cultura non cattolica – aveva capito “L’ha mandata il macchinista?”, e aveva risposto “Sì, mi ha mandato lui”.

Nella famiglia di mia mamma, l’esibizionismo era a un tempo esecrato e
venerato. Le donne dovevano essere modeste, come diceva Manzoni, tranne quelle che il nonno decideva che erano
speciali. L’esibizionismo è un morbo che colpisce a macchia di leopardo anche perché, come la macchia del leopardo, ha bisogno che intorno ci sia uno sfondo diverso per mostrarsi: in un mondo di soli esibizionisti, ci sarebbe l’estinzione della specie per suicidio collettivo. Ah, che bel mondo! E subito dopo la loro autoestinzione noi verremmo fuori dal cespuglio:
cucù!

In questa famiglia bislacca e tremendamente iniqua, per diventare qualcuno bastava concentrarsi molto intensamente e pensare “ce l’ho solo io, ce l’ho solo io, ce l’ho solo io”II, “nemmeno dopo tanto”III, tutti ti riconoscevano il titolo. Nata in
una famiglia così,
la mamma si è sentita
in dovere di fare
da sfondo. E a volte il dovere è vissuto come un diritto. Non sono riuscita a prendere il diploma perché c’era la guerra, però so tante cose lo stesso. Io non sono laureata, ma mio marito è ingegnere, e quindi io sono ingegneressa. E mio figlio, mio figlio… mio figlio è medico! Quando si è fidanzata con
papà nel 1946, la mamma lavorava come commessa nel magazzino di articoli per macchine per maglieria di suo padre.

Anche a lei l’espulsione razzista dalle scuole pubbliche – a undici anni, ne aveva sette meno di papà – aveva dato un senso forte d’identità ebraica. Poi c’erano stati gli anni della guerra, in cui non mangiava a sufficienza, in particolare non abbastanza
calcio. La malnutrizione le ha causato problemi fisici
permanenti. Da allora ha sempre avuto un bisogno non
confessato nemmeno a sé stessa da un lato di fare
economia, di non sprecare, per esempio in vestiti, dall’altro di essere sempre certa di avere scorte di cibo.
Non riesce a mangiare niente di fresco perché c’è sempre qualcosa da finire.

Mia madre non parla né
italiano né ebraico
(questa dell’ebraico la dico così, a scanso di equivoci,
perché molti quando sentono che sei ebreo non capiscono bene cosa vuol dire, e
pensano che tu parli ebraico,
anzi ‘ebreo’ o, a volte,
‘israeliano’): lei parla
mammese, detto anche
tampònico. Questa lingua non è ancora stata analizzata, ma consiste fondamentalmente nel fatto che non descrive la realtà come appare, ma come apparirebbe se non facesse paura. Se non mettesse in
imbarazzo. Se non facesse
provare dei sentimenti.
Più che una lingua,
è una difesa.
È uno smorzamento, un ammosciamento. È un’attenuazione. È un materasso, un respingente, un tampone: l’etimo del secondo nome di questa lingua – tampònico –
è incerto, ma molti studiosi propendono per l’attribuzione proprio a questo effetto di tamponamento di qualsivoglia componente affettiva di coinvolgimento.

Quand’ero piccolo imparavo com’è fatto il mondo dalle sue parole, come se non avessi i sensi per percepire direttamente la realtà. Non c’era nessuna coercizione nel modo in cui mi trattava, mi chiedeva sempre molto gentilmente dove
volevo andare, cosa volevo mangiare, per esempio, solo che poi mi convinceva – con le buone, sempre con le buone – che quello che io desideravo era in realtà un’altra cosa. Se io avevo voglia di andare ‘giù a giocare’ non appena avevo finito di mangiare, lei tamponava: “ma a quest’ora fa troppo caldo, vero? E poi passare tutto il pomeriggio giù a giocare è troppo, vero? E poi i bambini con cui giochi giù, l’Antonio, la Iris e la Antonella, non sono molto simpatici, vero?”

Se lei mi diceva che saremmo andati in montagna, d’inverno, con la neve, con i suoi amici e con gli amici di Carlo, e io lì avevo freddo, soffrivo come un cane per far funzionare gli sci di legno
con gli scarponi di ferro e gli attacchi di pietra, io gioivo e mi sentivo autentico nel gioire, perché era il sentimento predominante. Che importa se mi rompevo una gamba ed ero terrorizzato dal gelo e dalla erre straniera dei maestri di sci e pensavo che fosse un’esercitazione alla sopravvivenza per la prossima guerra?

In mammese, ‘vagamente simile’ si dice ‘proprio uguale’: se andavamo a comprare un paio di scarpe, lei diceva che erano proprio uguali a quelle che mi piacevano tanto e che non volevo cambiare.
Al che io obbiettavo che erano diversissime, perché queste hanno una cucitura intorno, e sono marrone chiaro, e hanno il tacco di cuoio, ma lei insisteva che erano praticamente uguali. Come se in una disquisizione logica ci fosse spazio per la
pratica! Questa negligenza deliberata mi faceva disperare, e io facevo scene isteriche; la mia disperazione non era per le scarpe, ma per l’incapacità della mamma di vedere le cose
come stavano:
sì, perché in fondo in fondo,
a sprazzi, avevo momenti
di autonomia in
cui mi era chiarissimo come stavano le cose,
ma allora come faceva lei – parametro paradigmatico di qualsiasi percezione – a non vederle? La mia disperazione non era per il cibo mortale,
ma per il cibo celeste (il suo colore preferito) – per difendere la mia analisi logica. Le scene non erano rivolte tanto a lei,
quanto al mondo, che non riconosceva la mia raffinata capacità d’analisi. E, proprio per reazione al mammese, ho sviluppato un’attenzione morbosa per il dettaglio.

Dato che lei era sempre
svagata, sempre a rincorrere le proprie visioni di parte, e a
cercare di convincermi che
le cose stavano proprio così,
io per distrarla da sé stessa ho sempre cercato in tutti i modi di attirare la sua attenzione.
Prima versando fiumi e fiumi di pipì. Poi da adolescente ho imparato a fare ogni genere di lavoro domestico: elettricista idraulico falegname muratore imbianchino. Poi ho imparato a cucinare, che è una cosa che a lei non è mai piaciuta tanto. Ma mi sono finalmente reso conto che è un amore tampònico il suo, per definizione così, che da lei non si può pretendere un affetto sfacciato, ma bisogna saper apprezzare l’amore màmmico attenuato. Anche quando è generosa, riesce a esserlo nel modo più catastrofico per la sua immagine, così che tutti pensano a lei ingenerosamente. Se ti fa un panino al prosciutto, di per sé ottimo, lo accompagna con un commento di scusa: “Volevo fartelo col culatello,
ma l’avevo finito”.
E il panino assume un
sapore meno
invitante. Se prepara gnocchi di
ricotta e spinaci conditi con
l’olio e il grana, si giustifica: “Volevo fare i tortelli alla piacentina della
nonna Elena, quelli a forma di caramella, ma non ho
fatto in tempo a fare
la pasta”.
È l’opposto di una
commerciante. Vende sé stessa al ribasso. Proprio per questo sento il bisogno di
proteggerla. Esibizionista, lei, non è stata mai.

Complimenti, mamma, e auguri!” Che in tampònico vuol dire: “Ti voglio un
oceano di bene”.

זכר MaschioIV

Il sabato mattina a Salò ci svegliavamo per primi, io e papà, e sgattaiolavamo fuori dalla camera senza far rumore.
Non si trattava di lavarsi
e vestirsi – avremmo
fatto rumore e
svegliato il
nemico – ma semplicemente di riinfilarsi alla bell’e meglio
i vestiti del giorno
prima. Papà si metteva i pantaloni corti. Dato che aveva un fisico globalmente magro, ma con una gran pancia che prima sparava verso l’esterno e poi gli cascava sopra l’inguine, i pantaloni lunghi se li faceva fare su misura, e sembravano due triangoli, con la base in alto e la punta
in basso. I pantaloni corti, però, del triangolo avevano solo la parte larga, e così in pantaloni corti era buffissimo,
perché erano di taglia
cinquantasei, ma poi dai tuboni mozzicati delle gambe
uscivano due stuzzicadenti, che erano le sue gambe magre magre e poco pelose, e i suoi
piedi magri magri e delicatissimi, che in vacanza calzava con dei sandali di pelle marrone topo aperti dietro e con
un incrocio di fasce di
pelle davanti.

M’infilavo anch’io pantaloncini corti e sandali e, saliti
sulla millecento
posteggiata
in discesa, papà toglieva il bloccasterzo e andavamo
giù a motore
spento; solo verso la fine,
poco prima della curva, quando avevamo raggiunto un certo momento papà girava la chiave dell’accensione poco poco, solo fino a far accendere la spia rossa, e lasciava andare il pedale della frizione lentamente, quasi senza soluzione di continuità tra la discesa libera dell’automobile priva di freni e la sua propulsione a motore, in terza. Da bravo clandestino in una famiglia di clandestini, tutto era stato calcolato con precisione: la casa acquistata sull’angolo, in alto, al confine con i campi, in modo da essere vicini al Giacomo (che potava l’ulivo) e alla Nina (che ci dava le uova), e da poter
partire senza fare rumore di shabàt senza svegliare
il rabbino.

Arrivando downtown, il traffico del sabato mattina che all’inizio era esiguo per non dire nullo si faceva più animato, perché era giorno di mercato. Mentre sulla destra si dispiegava il vialone alberato in discesa che arrivava fino all’inizio del lungolago, chiamato per qualche curioso motivo ‘piazza’, e al centro, sopra l’ampio marciapiede tra gli alberi, si organizzavano le bancarelle,
di fronte ci accoglieva l’arco con sopra l’orologio dove noi posteggiavamo, tra rare automobili sparse qua e là.
Proprio sotto l’arco, dentro le mura che erano molto profonde, tanto da poter ospitare al loro interno un giornalaio, compravamo il Corriere per papà, un lenzuolo bianco e sporco, e Topolino, che invece era sottile, non più di
un centimetro, e lucido,
fatto di carta patinata sottile colorata, con la costina punteggiata azzurra e bianca. Non che fosse una cosa che si poteva sempre, comprare Topolino, e nemmeno comprare il Corriere si faceva tutti i giorni.

Dopo il giornalaio, scendevamo a piedi sul selciato lucido e scuro,
a passi lenti,
con i piedi
in fuori da turisti,
stando attenti a non scivolare perché era davvero
lucido, e i sandali erano quello che erano, e passavamo accanto al negozio sulla sinistra che più tardi, in orario da turisti
normali, metteva fuori una cesta enorme, tutta piena di bottigliette piccole, finti fiaschetti grandi come boccettine di profumo contenenti vini raccapriccianti dolcissimi, Lachrima Christi e altre miscele ottenute con acqua alcol zucchero aromi naturali
coloranti, che una volta lo zio Arturo, generoso, mi ha comprato, litigando con
papà, però bisognava
berlo poco poco alla volta,
mettere solo una goccia sulla lingua e poi basta
per un po’,
senza esagerare, che in
mammese voleva dire “fra un mese controllo se ce n’è
ancora”. Il fiaschetto aveva due tappi: uno rosso,
a vite, con cinque
forellini, che quindi sembrava inutile come tappo,
ma invece era tutto studiato apposta per invogliare i genitori a comprarlo ai loro figli perché,
una volta consumato il vino – e che ci voleva? –
si poteva usare come salino, a tavola. I turisti tedeschi ne andavano pazzi, perché nei loro inverni titanici guardando quel segno potevano pensare tutto il tempo all’Italia
e al bagno e al caldo e
alle camere zimmer.

Continuando a camminare lungo il corso, sulla
sinistra si apriva un anfiteatro di case in stile tardofascista delimitato da due vie
in salita come
rami rampicanti intorno a un Palazzo dalle grandi vetrate, un Palazzo Importante: lì nel grande salone papà si faceva tagliare la barba, eventualmente spuntare quei pochi capelli che aveva intorno alla pelata, e soprattutto i copiosi peli del naso e delle orecchie. A volte – molto di rado per fortuna –
anche a me tagliavano i capelli,
ma con la macchinetta che faceva male, perché quello era un posto da Maschi, al quale io ero ammesso in via provvisoria,
solo perché
raccomandato. Avevo firmato un patto col diavolo e
non lo sapevo. Quindi non solo non dovevo azzardarmi a piangere quando con la macchinetta mi pizzicavano la pelle della nuca, ma, pur con l’occhio iniettato di lacrima, non dovevo nemmeno dar a vedere che provavo dolore.

Dopo il barbiere arrivavamo al bar, dove papà prendeva il caffè, quello con la
leva, e io mangiavo
qualcosa che mi guastava l’appetito. Poi scendevamo al lungolago dai vicoli e
lo risalivamo, prendendo
il mercato alle
spalle, in salita. I sacchetti di plastica non esistevano ancora, e a ogni bancarella ci davano dei sacchetti di carta, bagnati dalle verdure e dalla frutta, e così, di contrattazione in contrattazione, arrivavamo alla millecento carichi di pacchetti e di odori. Una spesa abbondante dalla quale
poi scaturivano i piatti
del papà.

Quando ci serviva anche la carne, andavamo a Gazzane.
Era un viaggio per me molto avventuroso perché le strade erano strette come la nostra macchina.
Papà imboccava con energia la salita del viale alberato della Tassoni su su fino alla strada dei Tórmini, come per andare a casa a Milano, ma da lì, anziché a sinistra, girava a destra, verso Roè VolcianoV, e poi girava ancora a destra in salita per una stradina strettissima, ché ogni volta che s’incrociava qualcuno
bisognava fare
centinaia di metri in
retromarcia e io ero
sicuro che prima o poi qualcuno avrebbe infilato le ruote in un fosso, o in un burrone,
o contro un
muro.

Il macellaio era all’incrocio di quattro di queste stradine strettissime, in cima a un colle interamente costruito in pietra, strade comprese. Bisognava tirare il freno a mano e mettere anche una pietra dietro la ruota, fatto gradevolmente poco
urbano. Davanti alla vetrina c’era un minimo slargo, comunque bisognava essere sempre pronti a spostare la millecento se fosse arrivato qualcuno. La
suspense era alta, ma papà sapeva fare tutto. Dentro la macelleria, che mi assaliva con quell’odore di sangue, di schegge di ossa, di marmo umido, non c’era mai da aspettare, eravamo sempre gli unici clienti. Potevamo sbizzarrirci. Compravamo rognone, fegato, animella e cervella. Che delizie!
Poi compravamo anche la carne vera e propria. Il macellaio aveva muscoli enormi che guizzavano
flop flop mentre maneggiava i muscoli di qualcun altro
e li faceva a fettine
bellissime. Il suo coltello più piccolo sembrava il
Titanic, e quando doveva tagliare le bistecche con l’osso tirava fuori una mannaia pesantissima che scagliava sulla carne da altezze astrali. “Guarda i muscoli del”VI macellaio!

C’era un vetro che separava la zona macellaio dalla zona bambino, però ugualmente papà,
quando il macellaio alzava la mannaia, mi metteva una mano davanti agli occhi e alla fronte. Io non capivo se il
problema fosse
vedere quello che succedeva (ma allora perché solo quando spaccava le ossa?),
sentire (ma allora perché non le orecchie?) o
semplicemente dare un
senso di
protezione. Spesso sento quella mano morbida e asciutta sugli occhi e sulla fronte che mi protegge mentre vedo le cose brutte davanti a me.

מחנותCampiVII

Quand’ero piccolo una delle narrazioni in mammese più
difficili da decifrare era quella sui campi. La mamma ogni tanto diceva di essere stata
nei campi, ma di cosa si trattasse non c’era nessun
indizio. Una cosa bella non era, perché era sempre collegata a fatti negativi. “In campo ero con Lalla, ma mi avevano separato
dalla nonna e dal nonno
e dalle sorelle”. “Dopo il
campo, quando ero dalla signorina Frey il dentista mi ha trovato sedici carie”. “In
campo ci davano i
sanguinacci, ma non li mangiava quasi nessuno, c’era un ragazzo giovane che se li faceva dare da tutti e se li mangiava lui”. “In campo quando ci facevano sbucciare le patate, ce ne nascondevamo sempre due o tre addosso, e poi le cucinavamo nella stufa”. “In campo rubavamo le mele per la zia Marta,
ché era l’unica cosa che mangiava”.

In una prima parte della mia vita avere una mamma che era stata ‘nei campi’ mi bloccava,
se era una cosa così tremenda da non potersi nemmeno raccontare e spiegare doveva essere una catastrofe immensa. Io non capivo niente e, quando a scuola e un po’ anche a casa ho cominciato a sapere che c’era stata la Catastrofe, il Disastro, ossia la Shoàh,
a cui è stato eretto il monumento, ho pensato che
la mamma fosse stata internata nei campi di sterminio
e che lei si fosse salvata per miracolo. È stato soltanto molto tempo dopo che ho capito che ‘campi’ in mammese significa ‘campi profughi svizzeri’ dove lei è scappata insieme alla
sua famiglia e ha
vissuto un anno e mezzo.

Suo padre sembrava sordo al pericolo, e per organizzare la fuga ha aspettato che un conoscente gli dicesse “Sciùr Colòna, ma
cusa l’aspèta a
scapa’?”
VIII Allora aveva
preso un treno delle
ferrovie nord,
aveva proseguito fino al
capolinea e poi, una volta arrivato, aveva chiesto al macchinista di indicargli la casa di qualcuno che fosse in grado di aiutarlo per il passaggio
clandestino. Il nonno era vestito in modo talmente antiquato e poco naturale, che la prima impressione era quella d’un poliziotto in borghese, ma finalmente è riuscito a organizzare la fuga della numerosa famiglia a scaglioni di
tre persone, a una settimana di distanza l’uno
dall’altro perché la guardia ‘amica’ che chiudeva un occhio
(e apriva la tasca) aveva
il turno solo una volta alla settimana.

Di ritorno a Milano, la
mamma ha provato a dare l’esame di maturità, c’erano
sessioni riservate ai
profughi di guerra e
ai perseguitati
politici e
razziali. Non aveva mai frequentato il liceo. Le commissioni d’esame erano benevole
verso i candidati,
si teneva conto
della difficile situazione storica
e di quella loro
personale. Ma la mamma non riusciva a concentrarsi. Si sedeva davanti ai libri e
si distraeva. C’era qualcosa che la distoglieva, anche se un ragazzo carino l’aiutava a studiare matematica, e lei chissà a cosa pensava: nella sua mente già si vedeva sposata, e allora forse quel diploma non le sarebbe mai servito…

Il presidente della commissione incoraggiava la mamma, le faceva altre domande, ma lei proprio non era preparata, e non
è passata. Però, in
tampònico, “Anche se non sono laureata, molte cose le so perché ho letto e perché me le ha spiegate papà”.
Forse potevo fare così anch’io: fregarmene del titolo
di studio e delle
mie mutande.

I discorsi in mammese
sugli anni della persecuzione e poi della fuga e del soggiorno in Svizzera erano talmente ripetitivi e vaghi che hanno ottenuto l’effetto di farmi sottovalutare questo problema reale e di farmi
pensare che lei fosse una persona noiosa e sofferente di delirio di persecuzione che
aveva bisogno di lamentarsi d’un destino che non era poi
così male. Le è toccato un destino drammatico, ma tamponandolo in mammese s’è cancellata la differenza tra un campo profughi svizzero e un campo di sterminio tedesco. La confusione
tra il suo dramma e
la tragedia di molti altri ha prodotto in me una reazione di rigetto.

La mia rivolta adolescenziale – necessaria per preservare la salute mentale
ma crudele, insensata, e parzialmente autodistruttiva –
si è poi tradotta negli slogan a favore dei fedayin, che urlavo durante le manifestazioni.

אימהית Mammaans (of Zeefjenees)1

A ubbidirvi, signor, son già disposto.2

Emmanuel Conegliano, Le nozze di Figaro, atto primo, scena quarta

De familie van mijn moeder is een familie van mafkezen. Haar grootvader was stationschef en daarom hadden ze, toen mijn oma klein was, in duizenden verschillende appartementen gewoond, die woningen die zich op de eerste verdieping van stations bevinden.

Tante Argìa, een van de oude vrijsters van de familie, had een baan gevonden, ik weet niet in welke van de vele dorpjes waar ze gewoond hadden, en ging elke dag bij de nonnen naaien of borduren. Een machinist, collega van overgrootvader, had haar geholpen met het vinden van deze bezigheid. Tante Argìa was bijna volkomen doof. De eerste keer dat ze naar de nonnen ging, zeiden ze tegen haar: “Geprezen zij de Heer” maar tante had begrepen, waarschijnlijk door haar niet katholieke achtergrond “Stuurt de machinist u weer?”, en antwoordde “Ja, hij heeft me hier gestuurd”.

In de familie van mijn moeder was het exhibitionisme tegelijkertijd verafschuwd en vereerd. Vrouwen moesten bescheiden zijn3, zoals Manzoni beweerde, behalve die waarvan de grootvader besloot dat ze speciaal waren. Exhibitionisme is een ziekte die zich als een luipaardvlek verspreidt. Om zich te laten zien, zoals een luipaardvlek,
moet de achtergrond
anders zijn: in een wereld van exhibitionisten alleen zou dit soort uitsterven door gezamenlijke zelfmoord. Ach, wat een mooie wereld! En meteen na hun zelfveroorzaakte uitsterving zouden wij uit de struiken komen: kiekeboe!

In deze zotte en vreselijk onrechtvaardige familie moest je laten zien dat je bestond, je heel erg concentreren en
denken “ik ben de beste, ik ben de beste, ik ben de beste”4.
“Niet echt veel later”5 erkende iedereen je als dé beste. Mijn moeder, die in zo’n familie is geboren, heeft de plicht gevoeld om zich op de achtergrond te houden. En soms wordt de plicht als een recht ervaren. Ik heb geen diploma behaald
omdat er oorlog was, maar ik weet sowieso veel dingen. Ik ben niet afgestudeerd, maar mijn man is ingenieur, daarom ben ik ingenieuresse. En mijn zoon, mijn zoon… mijn zoon is arts!
Toen mijn moeder zich in 1946 met mijn vader verloofde, werkte ze als winkeljuffrouw in het pakhuis van haar vader, waar ze artikelen voor tricotagemachines verkochten.

De racistische uitzetting uit staatsscholen – ze was elf, zeven jaar jonger dan mijn vader
– had ook aan haar een sterk Joods identiteitsgevoel gegeven. En toen kwamen de oorlogsjaren, waarin ze niet genoeg at, waarin ze in het bijzonder niet voldoende calcium binnenkreeg. Ondervoeding heeft haar permanente fysieke schade aangericht. Sinds dat moment heeft ze altijd een – zelfs aan haarzelf – niet opgebiechte nood gehad. Aan de ene kant wilde ze zuinig zijn, niets verspillen, bijvoorbeeld kleren, aan de andere wilde ze zeker zijn dat er altijd genoeg voedsel op voorraad was. Het lukt haar nooit om iets vers te eten, want er is altijd iets anders dat op moet.

Mijn moeder spreekt geen Italiaans en ook geen Hebreeuws (ik begin hiermee om misverstanden te voorkomen aangezien, wanneer mensen horen dat je Joods bent, ze vaak niet goed begrijpen wat dat betekent en vaak denken dat je Hebreeuws spreekt, of nog beter ‘Joods’ of soms ‘Israëlisch’): zij spreekt Mammaans, ook Zeefjenees genaamd. Deze taal is nog nooit geanalyseerd, maar zorgt er kortweg voor
de werkelijkheid niet te beschrijven zoals hij is, maar hoe hij zou zijn
als hij geen angst zou opwekken. Als hij de mensen niet in verlegenheid zou brengen. Als hij geen gevoelens zou laten voelen. Het is eerder een verdedigingsmechanisme dan een taal. Het is een matiging, een verslapping. Het is een vermindering. Het is een matras, een stootkussen, een zeef.
De etymologie van de tweede naam van deze taal – Zeefjenees – is onzeker, maar vele onderzoekers wijzen de naam toe
aan een zeef waardoor
alle betrekkingen en
emoties worden
gegoten.

Toen ik klein was ontdekte ik de wereld door haar woorden alsof mij de zintuigen ontbraken
om de werkelijkheid zelf waar te nemen. Er was geen enkele dwang in de manier waarop ze me behandelde, ze vroeg me bijvoorbeeld altijd vriendelijk waar ik naartoe wilde gaan, wat ik wilde eten, maar dan overtuigde
ze mij – heel vriendelijk, altijd heel vriendelijk – dat wat ik
wilde, eigenlijk iets
anders was. Als ik meteen na het eten met de andere kinderen ‘buiten’ wilde gaan spelen, zeefde ze: “maar nu is het te warm, nietwaar? En de hele middag buiten spelen is
te lang, nietwaar? En de kinderen waarmee je speelt, Antonio, Iris en Antonella zijn niet echt aardig, nietwaar?”

Als ze zei dat we in de winter naar de bergen zouden gaan, met de sneeuw, met haar vrienden en met die van Carlo, en ik had het daar koud, en ik leed verschrikkelijk tijdens het skiën op de houten ski’s met de stalen skischoenen en de rotsen skibindingen, dan was ik blij en dat gevoel was echt omdat het het overheersende gevoel was.
Het maakte niet uit of ik een been brak, of ik bang was voor de vorst en voor de rare ‘r’ van de skileraren, en of ik dacht dat het een overlevingsoefening voor de volgende oorlog was.

In het Mammaans zeg je ‘bijna gelijk’, ‘praktisch hetzelfde’. Als we een paar schoenen gingen
kopen, zei ze dat deze
praktisch hetzelfde waren als die ik eigenlijk leuk vond en die ik eigenlijk wilde hebben.
Ik stribbelde tegen en zei dat die totaal anders waren, omdat deze een stiksel eromheen hadden, en licht bruin waren, en een leren hak hadden, maar ze drong aan dat ze praktisch hetzelfde waren. Alsof er in een logische uiteenzetting ruimte zou kunnen zijn voor
iets praktisch! Ik werd gek van deze opzettelijke nalatigheid en maakte hysterische scènes. Ik was niet wanhopig om de schoenen,
maar om het onvermogen van mijn moeder om de dingen te zien zoals ze in werkelijkheid waren:
ja, want diep van binnen ervoer ik af en toe onafhankelijkheidsmomenten waarin het mij duidelijk was hoe de dingen werkelijk in elkaar zaten. Maar hoe kon het zijn dat zij – paradigmatische parameter van alle percepties – dat niet
zag? Mijn wanhoop kwam niet voort uit het voedsel voor het lijf maar uit het voedsel voor de ziel
– om mijn logische analyse te verdedigen. Mijn hysterische optreden was niet tot haar gericht, maar tot de wereld, die mijn verfijnde analysevermogen niet erkende. En, juist als reactie op het Mammaans, heb ik een ziekelijke aandacht voor het detail ontwikkeld.

Aangezien ze altijd verstrooid was, altijd met eigenzinnigheid haar ideeën volgde, en mij probeerde te overtuigen dat
de dingen echt zo in elkaar zaten, heb ik altijd van alles gedaan om haar van haarzelf af te leiden en haar aandacht op mij te vestigen.
Toen ik klein was, plaste ik constant in mijn broek. Later, als puber, leerde ik alle
huishoudelijke klussen: elektricien loodgieter timmerman metselaar huisschilder. Daarna leerde ik koken, iets dat zij nooit echt leuk vond. Maar uiteindelijk ben ik erachter gekomen dat haar liefde is gezeefd, zo is het,
je kan van
haar geen allesomvattende
liefde eisen, maar je moet haar fijnere gezeefde moederliefde naar waarde leren schatten. Ook wanneer ze gul is, doet ze dat op de meest catastrofale manier voor haar imago, zodat iedereen denkt dat zij gierig is. Als ze een
broodje met ham voor je klaarmaakt, wat op zich heerlijk is, excuseert ze zich daarbij: “Ik wilde een broodje met culatello6 voor je klaarmaken, maar die was op”. Plotseling krijgt het broodje daardoor een minder uitnodigende smaak. Als ze gnocchi van
ricotta en spinazie klaarmaakt met olijfolie en Parmezaanse kaas, verontschuldigt ze zich: “Ik wilde tortelli alla piacentina7 van grootmoeder Elena maken, die met de vorm van een snoepje, maar ik heb geen tijd gehad om het deeg te maken”.
Zij is het tegenovergestelde van een winkelier. Ze zet zichzelf in de uitverkoop. Om die reden voel ik de behoefte om haar te verdedigen. Een exhibitionist is zij nooit geweest.

Gefeliciteerd, mam, en veel geluk!” In het Zeefjenees betekent dat: “Mijn liefde voor jou is net zo groot als de oceaan”.

זכרMannen8

Mijn vader en ik werden op zaterdagochtend in Salò gewoonlijk als eerste wakker en glipten uit de kamer zonder lawaai te maken.
We wasten ons niet en deden geen schone kleren aan – dan zouden we teveel lawaai hebben gemaakt en zou de vijand wakker zijn geworden – maar trokken gewoon, zo goed en zo kwaad als het ging, de kleren van de dag daarvoor weer aan. Papa droeg meestal een korte broek. Omdat hij een nogal mager lichaam had, maar een grote buik die eerst naar voren

schoot en dan over zijn
lies hing, liet hij zijn lange broeken op maat maken. Deze
leken op twee driehoeken, met de basis naar boven en de punt naar beneden. Van de driehoek hadden de korte broeken echter alleen de breedte daarom was hij met een korte broek aan altijd heel grappig. Die broeken waren maat zesenvijftig en uit de grote afgesneden broekspijpen verschenen twee tandstokers wat zijn hele magere en weinig behaarde benen waren. Ook zijn voeten waren heel mager en fijn. Tijdens de vakantie droeg hij altijd muisbruine leren sandalen die open waren aan de achterkant en een kruising van leren banden aan de voorkant hadden.

Ik deed ook een korte broek en sandalen aan, en toen we op de Fiat 1100 waren gestapt die met z’n neus naar beneden op een helling geparkeerd was, deed papa het stuurslot uit en zonder de motor aan te zetten gingen we naar beneden. Alleen aan het einde, vlak voor de bocht, draaide papa op een bepaald moment de contactsleutel om een heel klein beetje zodat alleen
het rode lichtje aanging. Dan liet hij langzamerhand de koppeling los in de derde versnelling, alsof er geen verband was tussen de
vrije afdaling van de auto
die niet remde en zijn motoraandrijving. Als perfecte illegaal in een familie van illegalen werd alles tot in het kleinste detail berekend: men kocht een hoekhuis hoog op de helling aan de rand van de velden zodat we dicht bij Giacomo waren (die de olijvenboom afsnoeide) en bij Nina (die ons eieren gaf), en zo konden we op sjabbat geluidloos vertrekken zonder de rabbijn wakker te maken.

Toen we downtown aankwamen nam het aantal auto’s van de zaterdagochtend geleidelijk toe omdat het
marktdag was. Aan de rechterkant liep de grote laan met bomen
naar beneden (die men om een of andere reden ‘plein’ noemt) die het begin van de boulevard langs het meer bereikte. In het midden, op de grote stoep tussen de bomen, werden de marktkramen geplaatst. Tegenover ons bevond zich de grote rondboog met de klok waar we parkeerden tussen de weinige auto’s die hier en daar stonden. Direct onder de boog, in de dikke muren, zo diep dat zich er een krantenkiosk in
bevond, kochten we de Corriere9 voor papa, een vies wit laken, en de Topolino10, die in tegenstelling met de krant heel dun was, niet dikker dan een centimeter, gemaakt van gekleurd glanzend papier, en met een boekrugje vol lichtblauwe en witte stipjes. Het was iets dat niet altijd kon,
de Topolino kopen, en ook de Corriere kochten we niet
elke dag.

Na bij de krantenkiosk te zijn geweest liepen we langzaam op het blinkende en donkere plaveisel met onze voeten die uitstaken zoals toeristen meestal doen. We zorgden ervoor om niet uit te glijden, omdat het plaveisel echt glibberig was en de sandalen niet echt slipvast. We liepen langs de winkel aan de linkerkant die later, wanneer de echte toeristen op straat liepen, een grote mand buitenzette vol met heel kleine flesjes, nep mandflesjes net zo groot als parfumflesjes met vreselijk zoete wijnen erin, Lachrima Christi en andere mengsels gemaakt van water alcohol suiker natuurlijke aroma’s kleurstoffen. Oom Arturo, die gul was, had eens één van die flesjes voor me gekocht, na ruzie te hebben gemaakt met papa, en ik mocht die wijn beetje bij beetje drinken. Ik mocht maar één druppel per keer op mijn tong laten vallen en daarna niets meer, zonder te overdrijven, wat in het Mammaans betekende: “over een maand controleer ik of er nog wijn in het flesje zit”. Het mandflesje had twee dopjes: het ene was rood, een schroefdop, met vijf kleine gaatjes erin waardoor het in eerste instantie nutteloos leek als dopje, maar eigenlijk was dit expres bedacht zodat ouders dit voor hun kinderen zouden kopen. Als de wijn dan op was – en dat was die natuurlijk heel snel – konden ze het flesje als zoutvaatje gebruiken. De Duitse toeristen waren er gek op omdat als ze tijdens hun titanische winters naar dat ding keken, ze de hele tijd aan Italië konden denken en aan het zwemmen en aan de warmte en aan de Zimmer11 kamers.

Terwijl we door de hoofdstraat bleven lopen verscheen aan de linkerkant een amfitheater van huizen in laat fascistische stijl. Aan de zijden van dat huizenblok waren twee oplopende straten die leken op klimtakken om een
Paleis heen met grote ramen, een Belangrijk Paleis: daar in een grote salon liet papa zich
scheren, en als het nodig was liet hij ook de haren rond zijn kale kop bijknippen, maar bovenal liet hij zijn overvloedige neus- en oorharen knippen. Soms – en dat gebeurde niet vaak gelukkig – werden ook mijn haren geknipt, maar met een tondeuse die pijn deed, omdat dit een plek voor Mannen was, en ik had hier een voorlopige toegang gekregen alleen omdat ik de juiste connecties bezat. Ik had een pact met de duivel gesloten, maar ik wist het zelf niet. Daarom moest ik meer doen dan niet huilen
toen de tondeuse de huid van mijn nek vastgreep, ik moest zelfs met mijn ogen vol tranen
niet laten zien dat ik
pijn voelde.

Na de kapper gingen we naar het café waar papa een espresso bestelde, die met een apparaat met een hefboom12 werd gemaakt, en ik at iets dat mijn eetlust zou bederven. Daarna liepen we naar beneden door de stegen naar de boulevard langs het meer en dan weer naar boven zodat de markt achter ons lag. Plastic tasjes bestonden er toen nog niet, en bij elke kraam kregen we papieren zakjes, die nat werden door het fruit en de groenten. Dus bereikten we, onderhandeling na onderhandeling de Fiat 1100 vol met pakjes en geuren. Een grote hoeveelheid boodschappen waaruit papa’s gerechten ontsprongen.

Als we ook vlees nodig
hadden, gingen we naar Gazzane. Dat was voor mij een heel avontuurlijke reis omdat de straten net zo breed waren als onze auto. Papa reed met veel kracht de helling op van de beboomde laan van Tassoni tot aan de Tòrministraat, alsof we terug naar huis in Milaan gingen, maar dan sloeg hij in plaats van naar links naar rechts af, richting Roè Volciano13, en daarna sloeg hij opnieuw naar rechts af naar een heel smal straatje opwaarts, waar elke keer dat je iemand tegenkwam, je honderden meter naar achteren moest rijden en ik was zeker dat vroeg of laat iemand de wielen in een greppel of in een ravijn zou hebben gereden, of tegen een muur zou hebben gebotst.

De slager was bij de kruising van vier van deze heel smalle straatjes, op een heuvel van stenen
gemaakt, zoals ook
de straatjes. Je moest aan de handrem trekken en ook een steen achter je wiel neerzetten, een zeer aangename niet stedelijke bezigheid. Voor de etalage was een kleine verbreding, maar je moest sowieso altijd paraat zijn om de Fiat 1100 te verplaatsen in het geval er iemand aankwam. De spanning was enorm, maar papa kon alles. In de slagerij,
die mij met die geur van bloed, van botfragmenten en van vochtig marmer aanviel, hoefden we nooit te wachten, we waren altijd de enige klanten. We konden ons uitleven. We kochten nieren, lever, zwezerik en hersenen. Wat een delicatessen! Daarna kochten we ook echt vlees. De slager had hele grote spierballen die heen en weer schoten flop flop terwijl hij de spieren van iemand anders vastgreep en in mooie dunne lapjes sneed. Zijn kleinste mes was net zo groot als de Titanic, en als hij een biefstuk met bot moest snijden, pakte hij een hele zware slagersbijl die hij vanuit de hoogte
van de sterren in het vlees hakte. “Kijk naar de spieren van de slager!”

Er was een raam dat het slagersgebied van het kindergebied scheidde, maar toch deed papa, wanneer de slager de slagersbijl omhoog hield, zijn hand altijd over mijn ogen en voorhoofd. Ik begreep niet wat het probleem was. Was het om mij niet te laten zien wat er gebeurde (maar waarom dan alleen wanneer de slager de botten brak?), of om te voorkomen dat ik zou horen (maar waarom bedekte hij dan mijn oren niet?) of wilde hij mij simpelweg een gevoel van bescherming geven? Vaak voel ik nog die zachte droge hand voor mijn ogen en voorhoofd, die mij beschermt wanneer ik nare dingen
tegenkom.

מחנות Kampen14

Toen ik klein was, was een van de moeilijkste verhalen die ik moest ontcijferen uit het Mammaans die over de kampen. Af en toe zei mama dat ze in de kampen was geweest, maar er was geen aanwijzing van waar het over ging. Het was vast niets leuks, omdat het altijd met negatieve gebeurtenissen verbonden was. “In het kamp was ik met Lalla, maar ze hadden me van oma en opa en mijn zussen gescheiden.” “Na het kamp, toen ik bij juffrouw
Frey woonde, vond de tandarts zestien gaatjes in mijn tanden.” “In het kamp gaven ze ons bloedworsten, maar bijna niemand at ze. Er was een jongen die alle bloedworsten verzamelde en opat.” “Toen ze ons in het
kamp aardappelen
lieten schillen,
verborgen we er altijd twee of drie in onze kleren en dan kookten we ze in de kachel.” “In het kamp stalen we appels voor tante Marta, omdat dat het enige was dat ze at.”

Toen ik jong was, was ik vaak geblokkeerd door het feit dat ik een moeder had die in ‘de kampen’ was geweest. Als het zo erg was dat je het niet eens kon vertellen en uitleggen, moest het een vreselijke catastrofe zijn geweest. Ik begreep er helemaal niets van en, toen ik op school en ook een beetje thuis kwam te weten dat de Catastrofe, de Ramp, ofwel de Shoah, waarvoor het monument is gebouwd, had plaatsgevonden dacht ik dat mama in de vernietigingskampen had gezeten en dat ze op een wonderbaarlijke wijze was overleefd. Slechts veel later ben ik erachter gekomen dat ‘kampen’ in het Mammaans ‘Zwitserse vluchtelingenkampen’ betekende, waarnaar zij met haar familie is gevlucht en waar ze voor anderhalf jaar heeft gewoond.

Haar vader leek zich eerst van geen gevaar bewust. Het heeft zover moeten komen dat een kennis tegen hem zei “Waar wacht u op om te vluchten meneer Colonna?”, voor hij de vlucht van zijn familie op touw zette. Hij had dus een trein van de Ferrovie Nord15 genomen, bereikte de eindhalte en toen hij aangekomen was, vroeg hij aan de machinist of er iemand in staat was om hem te helpen met de
illegale grensovergang. Opa was op zo’n ouderwetse en onnatuurlijke manier gekleed dat de eerste indruk die hij gaf die van een politieman in burger was. Maar uiteindelijk is het hem gelukt om de vlucht van zijn grote familie te organiseren, in ploegen van drie personen per keer met een week reisverschil tussen de verschillende ploegen, omdat de ‘vriendelijke’ bewaker die een oogje dichtkneep (en tegelijkertijd zijn portemonnee opendeed) slechts een keer per week dienst had.

Terug in Milaan heeft mijn moeder geprobeerd om haar eindexamen te behalen: er werden speciale tentamenperioden voor oorlogsvluchtelingen georganiseerd en voor mensen die werden vervolgd om politieke en raciale redenen. Ze had nooit op de middelbare school gezeten. De examencommissies waren welwillend tegenover de kandidaten, ze hielden rekening met de moeilijke historische omstandigheden en die van de kandidaten zelf. Maar moeder kon zich niet concentreren. Ze ging voor haar boeken zitten en werd constant afgeleid. Er was altijd iets dat haar aandacht trok, zelfs als een leuke jongen haar hielp met wiskunde, wie weet wat er dan in haar hoofd omging. Ze zag zichzelf al getrouwd en misschien zou ze dan haar diploma nooit meer nodig hebben gehad…

De commissievoorzitter moedigde moeder aan, hij stelde haar andere vragen, maar zij was echt niet voorbereid en haalde de eindexamens niet. In het Zeefjenees betekende dat: “Ook al ben ik niet afgestudeerd, ik weet veel dingen omdat ik veel lees en omdat papa ze me heeft uitgelegd”. Misschien zou ik ook hetzelfde kunnen doen! Mij niets aantrekken van een diploma en van mijn onderbroeken.

De verhalen in het Mammaans over de onderdrukkingsjaren en de daaropvolgende vlucht en het verblijf in Zwitserland waren zo vaag en werden zo vaak herhaald dat ik dit reële probleem heb onderschat. Ik heb als gevolg altijd gedacht dat moeder alleen vervelend was, aan vervolgingswaan leed en die constant behoefte had om te klagen over een lot dat eigenlijk zo slecht niet was. Zij maakte een dramatisch lot mee, maar ze zeefde het met het Mammaans zodat er geen verschil meer was tussen een Zwitsers vluchtelingenkamp en een Duits vernietigingskamp. De verwarring tussen haar drama en de tragedie van vele anderen heeft een afstotingsreactie in mij ontwikkeld.

Mijn opstandige puberteit –
die noodzakelijk was om mijn geestelijke gezondheid te bewaren maar die wreed, zinloos, en gedeeltelijk zelfvernietigend was – heeft zich in de kreten ten gunste van de Fedayin vertaald, die ik schreeuwde tijdens de betogingen.

 

Note al testo italiano

  1. Imahìt [nota del traduttore].

  2. Suggerimento del mio maestro di ballo liscio Roberto [nota del traduttore].

  3. Guccini 1976 [nota del traduttore]

  4. Zakhàr [nota del traduttore].

  5. Se questi nomi fossero inventati, li cambierei, perché suonano poco plausibili [nota del traduttore].

  6. De Gregori 1984 [nota del traduttore].

  7. Makhanòt [nota del traduttore].

  8. Signor Colonna, invero, che cosa attende prima di porre in fuga la sua famiglia al sicuro?” [nota del traduttore].

Noten bij de Nederlandse tekst

  1. Imahìt [noot van de vertaler].

  2. Mijnheer, ik ben al gereed u te gehoorzamen [noot van de vertaler].

  3. Citaat uit het eerste hoofdstuk van I promessi sposi (De verloofden) geschreven door Alessandro Manzoni (1785 – 1873) een Italiaans dichter en romanschrijver [noot van de vertaler].

  4. Aanwijzing van Roberto mijn stijldans leraar [noot van de vertaler].

  5. nemmeno dopo tanto” citaat uit het lied: Canzone quasi d’amore door Francesco Guccini – 1976 [noot van de vertaler].

  6. Een soort Italiaanse vleeswaren [noot van de vertaler].

  7. Soort tortellini uit de provincie Piacenza [noot van de vertaler].

  8. Zakhàr [noot van de vertaler].

  9. Il Corriere della Sera; in 1876 opgericht, het is een van de grootste Italiaanse kranten met een oplage van ca. 700.000 exemplaren [noot van de vertaler].

  10. Een wekelijks verschijnend Italiaans tijdschrift met stripverhalen van Walt Disney-figuren. Vergelijkbaar met de Nederlandse Donald Duck weekbald [noot van de vertaler].

  11. In het Duits is ‘Zimmer’ een kamer. In vele Italiaanse toeristische plekken vind je borden op straat met ‘camere-rooms-zimmer’ daarop geschreven. Zo’n bord wordt gebruikt om verblijfsfaciliteiten aan te geven die te huur staan voor toeristen. De auteur heeft ‘Zimmer’ samen met ‘kamer’ gebruikt om zijn idee sterker over te dragen [noot van de vertaler].

  12. Het gaat hier over een espressomachine met een manuele hefboom. Hiermee om een espresso te maken moet je de hefboom naar beneden trekken en wanneer je de gewenste hoeveelheid koffie in het kopje hebt, moet je het weghalen [noot van de vertaler].

  13. Als deze namen verzonnen zou zijn, zou ik ze veranderen, omdat ze niet plausibel klinken [noot van de vertaler].

  14. Makhanòt [noot van de vertaler].

  15. Noord-Italiaanse treinvervoerder [noot van de vertaler].

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Osimo Bruno, 2001. Propedeutica della traduzione, Milano: Hoepli.

Osimo Bruno, 2011. Dizionario affettivo della lingua ebraica, Milano: Marcos y Marcos.

Versione on-line e gratuita del Merriam-Webster, disponibile in internet all’indirizzo http://www.merriam-webster.com/dictionary consultato nel mese di luglio 2014.

BIBLIOGRAFIA

Geerts G., Heestermans H., met medewerking van Kruyskamp C., 1984. Groot woordenboek der Nederlandse taal, Utrecht/Antwerpen: Van Dale Lexicografie.

Lo Cascio V., 2009. Middelgroot woordenboek Nederlands – Italiaans, Utrecht/Antwerpen: Van Dale Uitgevers.

Lo Cascio V., 2009. Middelgroot woordenboek Italiaans – Nederlands, Utrecht/Antwerpen: Van Dale Uitgevers.

Versione on-line e gratuita del Nederlands Woordenboek, disponibile in internet all’indirizzo http://www.woorden.org/ consultato nel mese di luglio 2014.

Versione on-line e gratuita del vocabolario Treccani, disponibile in internet all’indirizzo http://www.treccani.it/vocabolario/ consultato nel mese di luglio 2014.

RINGRAZIAMENTI

Il primo ringraziamento va, senza ombra di dubbio, alla professoressa Magda Talamini che si è dimostrata da subito interessata e disponibile a collaborare al mio progetto di traduzione.
Un sentito ringraziamento anche al professor Andrew Tanzi i cui suggerimenti si sono rivelati fondamentali nella realizzazione dell’analisi.
Un grazie dal profondo del cuore a tutti i professori del dipartimento di nederlandese di Milano Lingue, senza i quali non avrei mai potuto apprendere la lingua ad un livello così alto. Nello specifico ringrazio Michel Dingenouts che per primo ha iniziato ad insegnarmi quello che noi chiamiamo più semplicemente olandese. Grazie Michel, ora più che mai sono soddisfatto della scelta fatta anni addietro. Grazie anche ad Annie Demol, la quale mi ha fatto scoprire la variante belga e capire di preferire quella olandese.
Un grazie anche a tutti i famigliari, amici, conoscenti e colleghi che mi hanno sopportato durante la stesura della tesi. Primo fra tutti, Mirko: grazie per non avermi ucciso anche se in certi momenti, a causa della tensione, sono stato particolarmente odioso. Grazie a mamma e papà che a dire il vero mi sopportano già da anni (e potrei dire la stessa cosa nei loro confronti). Grazie a Valentina che aveva iniziato a raccogliere titoli e titoli per un progetto di tesi che poi è completamente cambiato. Grazie a Laura che da dietro lo schermo del suo smartphone mi ha sostenuto più di tutti. Hartelijk bedankt aan Yannick die een boek uit de “bijzondere collectie” voor mij heeft geraadpleegd. Grazie a Giulia, Davide e Paolo che non hanno denunciato la mia sparizione alle autorità. Grazie anche alle colleghe della tana per il loro supporto morale ai miei esaurimenti universitari (e non).

1Osimo, B., Propedeutica della traduzione, Milano, Hoepli, 2001, pp.74-79,92.

2Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 39.

3Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 41.

4Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 90.

5Ibid., p. 177.

6Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 91.

7Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 92.

8Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 43.

9Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 39.

10Ibid.

11Ibid., p. 43.

12Ibid., p. 42.

13Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 39.

14Ibid., p. 95.

15Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 39.

16Ibid., p. 43 – 44.

17Ibid., p. 93.

18Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 92.

19Ibid., p. 91.

20Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 40.

21Ibid., p. 90.

22Ibid., p. 91.

24Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 93.

25Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 39.

26Ibid., p. 43.

27Ibid., p. 91.

28Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 42.

29Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 40.

30Ibid., p. 43.

31Osimo, B., Dizionario affettivo della lingua ebraica, Marcos y Marcos, 2011, p. 178.

32Ibid.

33Ibid., p. 90.

Valentina Fortichiari, «Lezione di nuoto. Colette e Bertrand, estate 1920». Guanda 2009, pagine 176, ISBN 9788860884114

Nel tuo libro racconti un periodo della vita di Colette. È stata molto lunga la fase di documentazione? Nella tua scrittura ha prevalso la parte documentaria o quella creativa-finzionale?

 

Valentina: Lunga sì, la parte preparatorio-documentativa. Non mi dilungo sulle letture (Colette non la conoscevo bene, dunque full immersion nelle sue opere ma soprattutto nei suoi epistolari, saggi, grandioso Sido e  Il puro e l’impuro), se non per ricordare – tra le tante biografie su di lei – un librone gigantesco, zeppo di testi ma soprattutto foto (lo cito forse nella mia Nota in fondo), che feci arrivare da Parigi, dove finalmente potevo vedere il “gruppo” in Bretagna, la casa, la baia, Bertrand, i costumi che indossavano, le attività. Ma per entrare in quel mood, per stare con loro, per descrivere le  nuotate, sono andata un mese intero (agosto, of course) là, ho cercato di infilarmi (invano) nella villa che è tuttora bellissima, ho nuotato ogni giorno nella baia, per “sentire” l’acqua, le correnti, le maree (il crampo di Colette, il mio), osservare sulla casa (dal mare), il giro del sole, le luci, studiare gli animali (gabbiani e cormorani, ho una collezione di piume e penne sulla mia scrivania). Dopo questa parte documentativa, è iniziata la scrittura mentale (prima, mentre andavo a Mont Saint-Michel che già conoscevo e amavo eccetera) e poi reale, mentre ero ancora in Bretagna. Dopo, tornata, tutto filava liscio come nuotare. Il lavoro finale, lungo, in levare: ho scarnificato per lasciare un osso di seppia. Ho aggiunto qua e là frasi di Colette.

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Il nuoto è un Leitmotiv della tua vita e della tua scrittura. Mi verrebbe da domandarti, ma mi sembra una domanda stupida: «È nato prima il nuoto o prima la scrittura?» Allora provo a essere diversamente stupido e ti chiedo: «È dal nuoto che nascono le idee per scrivere, o è dallo scrivere che nasce l’esigenza del nuoto?»

Valentina: Leggendo, notavo che mi piacevano gli scrittori che parlavano “anche” di nuoto (Cheever, il racconto del nobel cinese Gao Xingjian sul crampo del nuotatore). Scrivendo, nei primi tentativi, mi accorgevo che avevo sempre voglia di parlare del nuoto  (i ricordi, per esempio: ho iniziato a sei anni, perché gracile e fragile di salute, come tanti nuotatori buttati in acqua dai medici, ho fatto i cinque brevetti del Coni, poi entrata nel Nuoto club milanese con Neumann, famosissimo medico, poi suicida, le gare, i campionati italiani a Roma coi famosi azzurri, poi caduti nel disastro aereo di Brema, poi l’insegnamento del nuoto). Dopo Colette, ho capito che VOGLIO scavarmi la nicchia dell’acqua, sempre. Ho scritto tre racconti per Sette, una trilogia di animali marini, il terzo esce a fine luglio. Sto lavorando a Leonardo e l’acqua. Insomma, io ho bisogno di parlare  sempre di questo. Il nuoto ce lo infilerò sempre. Ieri è venuta la voce di un ragazzino libico che rischia di annegare: era sulla carretta del mare, coi trenta morti soffocati nella stiva. L’incipit è lui in acqua che sta per annegare e poi come si salva; il finale, lui che vede la schiusa delle uova delle tartarughe marine che vanno verso il mare d’istinto. Questo racconto è venuto da solo. Ho ascoltato.

Tuttavia, non so se la scrittura muove anche il bisogno di nuotare. Forse in me nuoto e scrittura – in questo momento – vanno per mano.

 

Sono pochi gli autori italiani che hanno scritto sia romanzi sia manualistica (per esempio «Nuotare tutti subito e bene», Tea 1998); ti sei dedicata anche a edizioni club divulgative «Le cento pagine più belle di» Dostoevskij (1981) e Goethe (1982). Guardando i tuoi titoli sembra che tu non abbia la malattia dell’intellettuale e dell’accademico italiano: la paura di “sporcarsi le mani”. È un’impressione corretta?

Valentina: Sì, è corretta. Almeno in parte. Ora ho accettato anche di scrivere una biografia di Leonardo (me lo ha chiesto ##@#@##@). Così romanzo e saggio si aiutano vicendevolmente. All’inizio c’era il bisogno di scrivere (solo saggistica), poi i campi si sono ‘ristretti’ e specializzati sui miei due ‘angeli’: Zavattini e Morselli. Una specializzazione serve a entrare in profondità. E a me piace questo. Sono curiosa ma deve piacermi ciò di cui mi occupo. Deve avere un legame con me. Adelphi mi chiese l’inventario delle carte di Morselli, a due anni dal suicidio. Non ho ancora smesso di studiarlo e mi riserva sorprese. Idem Za.

Non so se «sporcarsi le mani» sia in opposizione a malattie (vizi) degli intellettuali e degli accademici. Forse. Insegnare ciò che mi ha appassionato nella vita è sporcarsi le mani?

La scrittura narrativa per me è recente, troppo recente per considerarmi una scrittrice.

 

A pagina 172 scrivi: «Ciò che non so capire lo scrivo, per comprendere». Per te la scrittura è anche autoanalisi?

Valentina: Sì, lo è. Sempre. Ho iniziato la scrittura diaristica, mai interrotta, a tredici anni. Quando ho avuto necessità (forse curiosità) di un breve “salvagente” psicoanalitico, ho fatto la gioia del medico al quale leggevo il mio diario dei sogni. Ho un diario degli anni editoriali. Un diario delle letture e dei film. Una raccolta di diari nella mia libreria. Sono nipote di Zavattini, che mi ha passato il virus dell’autofiction (così la chiamano oggi, termine orribile). Il mio è innocuo, non amo parlare di me. Non amo dire «Io». Persino queste domande mi mettono a disagio, mi pare di esibire. Adoro il motto del buon Cerati (che non c’è più e che ho amato come modello di funzionario editoriale) :«con ironia esserci  sempre, apparire mai».  Stavo nell’ombra nel fare pubbliche relazioni, dietro gli Autori, sempre. Forse devo anche a loro se ora scrivo.

Quando ho scritto Colette, dovevo sopravvivere alla mia esperienza di separazione, e trovare “frammenti di un discorso amoroso”, ragionare sulla natura del sentimento amoroso. Forse mi ha preso la mano. La vicenda comunque era talmente bella in sé, che poi si è innestato il piacere di raccontarla.

valentina fortichiari2Alle pagine 7 e 8 scrivi: «Le case che stanno chiuse a lungo trattengono la temperatura fredda, non fanno passare tepori e fiati. I muri sono scudi contro il sole. Contro ogni fonte di luce». Da un lato rilevo il senso pratico della narratrice, dall’altra la valenza metaforica. Che ne pensi?

Valentina: È una metafora. Amo le similitudini. Quando scrivevo quella frase, io mi sentivo al buio e soffrivo. Avevo chiuso ogni porta. Dunque evitavo la luce. In Bretagna la luce ha effetti strani, può essere una non-luce. Mi piaceva l’idea delle case che si aprono durante le vacanze ma che hanno continuato una loro vita nei mesi invernali. Sì, è una metafora. Mi ci fai ragionare tu.

«Quando l’acqua è all’altezza del cuore, ha inizio la lezione di nuoto. Lei lo fa distendere e, standogli accanto, gli regge la schiena, ma l’altra mano tiene la sua nuca come si tiene la testa delicata di un neonato. E, facendolo galleggiare, cammina per insegnargli l’abbandono calmo della posizione supina e i corretti movimenti delle gambe» (49-50). Qui sembra trapelare una relazione tra lezioni di nuoto e lezioni d’amore e lezioni di sesso.

Valentina: Inizia tutto da questa frase: all’altezza del cuore. Non è casuale. È l’altezza corretta dell’acqua, dove ancora si deve toccare (toccare), ma è anche lo scatto per l’amore, il sesso, l’erotismo, la vita. LezionE al singolare vuol dire che volevo fare dell’acqua la metafora per l’iniziazione all’amore fisico, alla vita. I gesti del nuoto, dove le mani hanno importanza primaria, sono i gesti dell’amore, dove le mani guidano. I cinque sensi si applicano al nuoto, al sesso.

Insomma una metafora, in senso lato.

valentina fortichiari«… l’amore perfetto è quello che viene interrotto repentinamente, mentre è ancora vivo e forte». Ma quindi il matrimonio è destinato a interrompersi? oppure continua ma senza amore?

Valentina: Non credo interessi nessuno come la penso in materia di matrimonio. Dribblo con una frase di Julian Barnes, da Il senso di una fine: «Personalmente  amavo  il pensiero della nostra lunga esistenza insieme: quando le cose si fanno più lente e tranquille e quando la memoria diventa una collaborazione». Adoro quell’uso dell’imperfetto. Sul diario, l’avevo riportata vedendo un giorno una coppia di anziani curvi, che si tenevano per mano. Mi aveva turbata l’idea che ero fuggita per sempre da quella… probabilità. E avevo perduto il senso della memoria, è questo che viene a spezzarsi, a mancare, con un amore finito. Fuori o dentro un matrimonio.

Colette in fondo non ha rifiutato il matrimonio. Ma ciò che pensava sulla durata di un amore lo ha detto egregiamente e io – in quel momento – avevo bisogno di prove che un matrimonio «non può continuare senza amore».

Peirce e Freud. L’importanza di dire la verità nel discorso terapeutico, di Mara Camurri

Peirce e Freud. L’importanza di dire la verità nel discorso terapeutico

Peirce and Freud. The role of telling the truth in therapeutic speech

MARA CAMURRI

Université de Strasbourg

Institut de Traducteurs d’Interprètes et de Relations Internationales

Dipartimento di Lingue di Scuole Civiche Milano

Laurea Magistrale in Traduzione

supervisore: professor Bruno OSIMO

 Master: Arts, Lettres, Langues

Mention: Langues et Interculturalité

Spécialité: Traduction et interprétation

Parcours: Traduction professionnelle

estate 2014

 © 2000 Forum on Psychiatry and the Humanities of the Washington School of Psychiatry

© Mara Camurri per l’edizione italiana 2014

 Peirce e Freud. L’importanza di dire la verità nel discorso terapeutico

Peirce and Freud. The role of telling the truth in therapeutic speech

 

 

Abstract

 

Psychoanalysis requests the patient to express his thoughts verbally, including free associations and dreams, from which the therapist infers the unconscious conflicts causing the patient’s symptoms. Language has a liberating function, which can be clarified by Freud, structuralism and Peirce. Freud asks his patients not only to tell the truth, but also to promise absolute honesty (the fundamental rule of psychoanalysis). Structuralism explains very well the differentiating function of language which helps the mentally ill person to liberate him/herself from the domination of unmediated images. However, Peirce’s semiotic view of language deals better than structuralism with the Freudian insistence on telling the truth, and also introduces the idea of an interpretant which becomes a guide to action.

SOMMARIO

1. TRADUZIONE CON TESTO A FRONTE. 5

2. GLOSSARIO.. 47

2.1 GLOSSARIO DI CONSULTAZIONE RAPIDA INGLESE – ITALIANO.. 48

2.2 SCHEDE TERMINOLOGICHE.. 50

3. POSTFAZIONE. 66

3.1 ANALISI TESTUALE DELL’ORIGINALE.. 66

3.1.1 L’autore. 67

3.1.2 Il saggio. 67

3.2 ANALISI TRADUTTOLOGICA DELL’ORIGINALE.. 68

3.2.1 Il lettore modello. 68

3.2.2 Dominante e sottodominanti 69

3.2.3 Strategia traduttiva. 70

3.2.4 Individuazione e gestione del residuo traduttivo. 72

4. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 74

1. TRADUZIONE CON TESTO A FRONTE

 

Peirce and Freud

The Role of Telling the Truth

in Therapeutic Speech

Wilfried Ver Eecke

Peirce e Freud

L’importanza di dire la verità

nel discorso terapeutico

Wilfried Ver Eecke

Psychoanalysis attempts to help people who are caught up in dead-end strategies. It uses language to liberate them from these strategies. In this chapter I turn to Freud, structuralism, and Peirce to clarify the liberating function of language. The idea in Freud’s work that I concentrate upon is his demand for telling the truth. I then argue that structuralism is capable of highlighting very well the differentiating function of language which helps the mentally ill person to liberate herself from the domination of unmediated images, but that this theory is not as well equipped as Peirce’s semiotic view of language to deal with the demand for truth-telling in the therapeutic process. In discussing Peirce’s view of language, I also discuss how his view of the relation between talk and action differs from that of Freud. La psicoanalisi cerca di aiutare le persone che sono coinvolte in situazioni senza via di uscita. Per liberarle da tali situazioni utilizza la lingua. In questo capitolo mi occupo di Freud, dello strutturalismo e di Peirce per spiegare la funzione liberatoria della lingua. Nell’opera di Freud l’idea sulla quale mi concentro è la sua richiesta di dire la verità. Successivamente spiego che lo strutturalismo è in grado di evidenziare molto bene la funzione differenziante della lingua che aiuta la persona malata di mente a liberarsi dal dominio di immagini non mediate, ma che questa teoria non è così ben congegnata come la visione semiotica della lingua di Peirce in relazione alla richiesta di dire la verità nel processo terapeutico. Nell’analizzare il punto di vista di Peirce sulla lingua, esamino anche come la sua idea della relazione tra parola e azione differisca da quella di Freud.
The Liberating Function of Language in Freud La funzione liberatoria della lingua in Freud
In therapy, not all talk is liberating. For an illustration of what kind of speech liberates human beings, one might look to Freud’s papers on technique. In his “Further Recommendations on the Technique of Psychoanalysis”, Freud writes about the fundamental rule of psychoanalysis when he admonishes his patients: In terapia non tutte le conversazioni sono liberatorie. Per chiarire quale tipo di discorso è liberatorio per gli esseri umani, può essere utile esaminare gli scritti di Freud sulla tecnica. Nei suoi Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi, Freud scrive della regola fondamentale della psicoanalisi quando esorta i suoi pazienti:
What you tell me must differ in one respect from an ordinary conversation. Ordinarily you rightly try to keep a connecting thread running through your remarks and you exclude any intrusive ideas that may occur to you and any side-issues, so as not to wander too far from the point. But in this case you must proceed differently. You will notice that as you relate things various thoughts will occur to you which you would like to put aside on the ground of certain criticism and objections. You will be tempted to say to yourself that this or that is irrelevant here, or is quite unimportant, or nonsensical, so that there is no need to say it. You must never give in to these criticisms, but must say it in spite of them – indeed, you must say it precisely because you feel an aversion to doing so. Later on you will find out and learn to understand the reason for this injunction, which is really the only one you have to follow. So say whatever goes through your mind. Act as though, for instance, you were a traveller sitting next to the window of a railway carriage and describing to someone inside the carriage the changing views which you see outside. Finally, never forget that you have promised to be absolutely honest, and never leave anything out because, for some reason or another, it is unpleasant to tell it. [S.E. 12:134 – 35] In un punto il Suo racconto deve differenziarsi da una comune conversazione. Mentre Lei di solito cerca, giustamente, di tener fermo nella Sua esposizione il filo del discorso e di respingere tutte le idee improvvise e i pensieri secondari che lo intralciano, per non saltare, come si dice, di palo in frasca, qui deve procedere in modo diverso. Lei osserverà che durante il Suo racconto Le vengono in mente diversi pensieri, che vorrebbe respingere con determinate obiezioni critiche. Sarà tentato di dirsi: Questo o quello non c’entra oppure non ha alcuna importanza, oppure è insensato, perciò non c’è bisogno di dirlo. Non ceda mai a questa critica e nonostante tutto dica, anzi dica proprio perché sente un’avversione a dire. Il motivo di questa prescrizione – in fondo l’unica che Lei debba seguire – verrà a saperlo più tardi e imparerà a comprenderlo. Dica dunque tutto ciò che Le passa per la mente. Si comporti, per fare un esempio, come un viaggiatore che segga al finestrino di una carrozza ferroviaria e descriva a coloro che si trovano all’interno il mutare del panorama dinanzi ai suoi occhi. Infine non dimentichi mai di aver promesso assoluta sincerità e non passi sotto silenzio alcunché di cui le dispiaccia parlare per un motivo qualsiasi. (OSF 7:344)
At the end of his statement, he splits the recommendation in two parts, linguistically separated by the word “finally”. The first idea is a description of a process crucial to obtaining access to the unconscious. The second idea is a promise of absolute honesty. Al termine della sua affermazione, Freud divide la raccomandazione in due parti, separate linguisticamente dalla parola «infine». La prima idea è la descrizione di un processo fondamentale per avere accesso all’inconscio. La seconda idea è la promessa di assoluta sincerità.
The first idea deals with the process that alone gives access to the unconscious: saying whatever comes to one’s mind. Freud contrasts such manner of speaking with ordinary speech. Normally, he says, we “try to keep a connecting thread running through [our] remarks and… [we] exclude any intrusive ideas that may occur to [us] and any side-issues” (ibid.; my italics). Normal speech excludes. The purpose of the exclusion is to keep the unity of the story; however, it restricts the revealing process. Letting go of our control, responsible for producing unity in our story, so that indefinite revelation may occur in speaking is a process that Freud called free association (S.E. 20:40 – 47).[1] La prima idea riguarda l’unico processo che permette di accedere all’inconscio: dire tutto ciò che viene in mente. Freud confronta tale modo di parlare con il discorso comune. In genere, afferma, cerchiamo «di tener fermo nella [nostra] esposizione il filo del discorso e di respingere tutte le idee improvvise e i pensieri secondari» (ibid.; il corsivo è mio). Il discorso normale respinge. La finalità di respingere è di mantenere l’unità del racconto; tuttavia, così si frena il processo rivelatore. Allentare il controllo che crea unità nel nostro racconto, in modo che parlando possano emergere rivelazioni indefinite, è un processo che Freud chiamava libera associazione (OSF 10:107-114)[2]
This therapeutic method took the place of hypnosis, a technique that Freud had used in making symptoms disappear. When Freud noticed that patients treated by means of hypnosis created substitute symptoms, he at first used the technique of pressing his hand to his patients’ heads while asking them what came to their minds. Later he introduced the method of having his patients lie on a couch to talk about anything that came to mind. The significant change from the first to the third (and last) method was that talking was now done without hypnosis and thus with the patients’ full consciousness and full possession of will. With use of this last method, Freud left his patients with the ability to decide on their own what statements to make. Under the first method, hypnosis deprived his patients of such a choice. Questo metodo terapeutico sostituì l’ipnosi, un tecnica che Freud aveva utilizzato per fare scomparire i sintomi. Quando Freud si accorse che i pazienti trattati con l’ipnosi creavano sintomi sostitutivi, in un primo tempo usò la tecnica di premere la mano sulla testa del paziente chiedendogli cosa gli venisse in mente. In seguito introdusse il metodo di far sdraiare il paziente su un divano per parlare di tutto ciò che gli venisse in mente. Il passaggio significativo dal primo al terzo (e ultimo) metodo fu che ora la conversazione aveva luogo senza ipnosi e quindi con il paziente in stato di completa coscienza e pienamente in grado di esprimere la propria volontà. Seguendo questo ultimo metodo, Freud lasciava al paziente la facoltà di decidere per proprio conto quali affermazioni fare. Con il primo metodo, l’ipnosi privava i pazienti di tale scelta.
It is this opportunity for choice, flowing from his new technique, that Freud addresses in the second idea by insisting that his patients promise absolute honesty (Thompson 1994, 167 – 70). Freud thus makes a double moral demand: first, honesty and second, a promise to another person. Why this double moral demand? An explanation can be found in a footnote to Freud’s text: “Later, under the dominance of the resistances, obedience to it [the fundamental rule] weakens, and there comes a time in every analysis when the patient disregards it” (S.E. 12:135n). Here, Freud tells us that absolute honesty is impossible. Now, the honesty in question concerns honesty in revealing information about one’s own person. Thus, the honesty requested by Freud is a moral demand that concerns solely the patient’s attitude toward him or herself. However, Freud adds a second moral demand, one about an interpersonal relationship: the promise to be honest. Freud therefore makes the patient, from the beginning of the therapy, not only a moral agent (an honest talker), but also a moral coworker (someone who has made a promise to someone else).[3] È proprio questa possibilità di scelta, che nasce dalla sua nuova tecnica, che Freud richiama nella seconda idea quando pretende che i pazienti promettano assoluta sincerità (Thompson 1994:167-70). Freud così fa una doppia richiesta morale: in primo luogo la sincerità, e in secondo luogo una promessa a un’altra persona. Perché questa doppia richiesta morale? Una spiegazione si può trovare in una nota a piè di pagina nel testo di Freud: «In seguito, sotto il dominio delle resistenze, si cessa di seguirla [la regola fondamentale], e prima o poi per ciascuno viene il momento di superarla» (OSF 7:345n). Qui Freud ci dice che la sincerità assoluta è impossibile. Ora, la sincerità in questione è la sincerità nel rivelare informazioni su se stessi. Quindi la sincerità invocata da Freud è una richiesta morale che riguarda esclusivamente l’atteggiamento del paziente nei confronti di se stesso. Tuttavia, Freud aggiunge una seconda richiesta morale, che riguarda una relazione interpersonale: la promessa di essere sinceri. Freud pertanto rende il paziente, fin dall’inizio della terapia, non solo un agente morale (che parla sinceramente), ma anche un collaboratore morale (che ha fatto una promessa a un’altra persona).[4]
Let us analyze the implications of the double moral request. The first, the request to be honest, appears as a request by an outsider (the therapist) to a person with psychological difficulties. The request for honesty implies that the therapist affirms certain fundamental capacities in the patient, such as his ability to have a moral attitude toward words and persons. The patient is thereby credited with the capabilities to say true or false things to another and to judge the truth and falsity of his or her own statements. In addition, the patient is also granted the privilege of deciding whether or not to tell the truth, because Freud advises therapists not to try to confirm or disconfirm information given by the patient by checking with family members, friends or acquaintances. Freud thus makes the word of the patient the highest authority for establishing the truth about him- or herself. At the same time, the fact that the therapist must explicitly ask the patient to be honest is a warning that there is difficulty in eliciting honest talk about oneself. Freud points out that the patient will be tempted to deceive him- or herself by creating apparently legitimate excuses for not telling the complete truth. He therefore presents the patient with a conscious tool (the therapist’s explanation of why truth-telling will be difficult) to help him or her be more honest than he or she normally would be. Freud’s request for honesty thus affirms the patient’s abilities, but also warns and gives the patient a conscious tool to help increase honesty. Analizziamo le implicazioni della doppia richiesta morale. La prima, la richiesta di essere sinceri, si presenta come la richiesta di un estraneo (il terapeuta) a una persona con difficoltà psicologiche. La richiesta di sincerità comporta che il terapeuta confermi nel paziente alcune capacità fondamentali, come quella di avere un atteggiamento morale nei confronti di parole e persone. Al paziente si riconosce così la facoltà di dire il vero o il falso a un’altra persona e di giudicare la verità o la falsità delle sue stesse affermazioni. Inoltre al paziente è data la prerogativa di decidere se dire la verità oppure no, poiché Freud consiglia ai terapeuti di non cercare conferma o smentita delle informazioni fornite dal paziente controllando presso famigliari, amici o conoscenti. Freud così riconosce alla parola del paziente la più elevata autorità per stabilire la verità su se stesso. Allo stesso tempo, il fatto che il terapeuta debba chiedere esplicitamente al paziente di essere sincero è un avvertimento sulla difficoltà di riuscire a parlare sinceramente di se stessi. Freud sottolinea che il paziente sarà tentato di autoingannarsi inventando delle scuse apparentemente legittime per non dire tutta la verità. Quindi gli fornisce uno strumento consapevole (la spiegazione del terapeuta dei motivi per cui è difficile dire la verità) per aiutarlo a essere più sincero di quanto non sarebbe normalmente. La richiesta freudiana di sincerità conferma quindi le capacità del paziente, ma funge anche da avvertimento e gli fornisce uno strumento consapevole per aiutarlo a essere più sincero.
Freud does not stop here, however, but goes on to make a second request. He asks that the patient make a promise to the therapist to be honest. Freud states explicitly why that second demand is necessary. He claims that at one point or another, resistance will lead all patients to disregard the demand to be honest. Freud seems convinced that the conscious warning and the conscious tool given to the patient will be insufficient, though he does not seem prepared to say that his patients will become liars. Rather, Freud seems to say that his patients will be unable to remain truthful because unconscious forces will try to prevent the revelation of truth. Freud tuttavia non si ferma qui, ma avanza una seconda richiesta. Invita il paziente a promettere al terapeuta di essere sincero. Freud dichiara esplicitamente perché questa seconda richiesta è necessaria. Sostiene che prima o poi la resistenza porta tutti i pazienti a trascurare la richiesta di sincerità. Freud sembra convinto che l’avvertimento consapevole e lo strumento consapevole dati al paziente saranno insufficienti, tuttavia non intende dire che i suoi pazienti mentano consapevolmente. Piuttosto, Freud sembra dire che non sono in grado di restare sinceri perché forze inconsce tendono a impedire la rivelazione della verità.
I interpret Freud’s demand for a promise to tell the truth as an attempt to mobilize additional resources to deal with unconscious resistance to the revelation of truth. One possible way to clarify the meaning of these additional resources is to argue that a promise to another involves the hope for recognition by that other. As the promise requested is a promise to be moral, the hope for recognition present in this promise must be understood as a hope for recognition as a moral agent by another moral agent. Interpreto la richiesta freudiana di promettere di dire la verità come un tentativo di mobilitare risorse aggiuntive per affrontare la resistenza inconscia alla rivelazione della verità. Una possibile spiegazione del significato di tali risorse aggiuntive è l’idea che una promessa a un altro implica la speranza di riconoscimento da parte sua. Poiché la promessa richiesta è di carattere morale, la speranza di riconoscimento presente in questa promessa deve essere intesa quale speranza di riconoscimento come agente morale da parte di un altro agente morale.
Clearly, these two moral demands made by the therapist cannot be made gratuitously, as they in turn commit the therapist as well. The first demand for honesty is normally understood to commit the therapist to the moral duty to keep all information provided by the patient secret. The second demand exacting a promise to be honest commits the patient to a moral pact with the therapist and, in my view, obliges the therapist to accept the moral dimension of the therapeutic relation (S.E. 12:161). È chiaro che queste due richieste morali da parte del terapeuta non possono essere fatte in modo gratuito, poiché impegnano anche il terapeuta stesso. La prima richiesta di sincerità in genere sottintende l’impegno del terapeuta al dovere morale di mantenere segrete tutte le informazioni date dal paziente. La seconda richiesta, che esige la promessa di essere sinceri, impegna il paziente in un patto morale con il terapeuta e, a mio parere, obbliga quest’ultimo ad accettare la dimensione morale della relazione terapeutica (OSF 7:362).
According to the above analysis, therapeutic speech aims at truth. It is made difficult and sometimes impossible by resistance to telling the truth. I wish to explore in the remainder of the chapter how semiotics can explain better than, for instance, structuralism the demands made by Freud of the therapeutic process: telling the truth and overcoming the resistance to telling the truth. Secondo la suddetta analisi, il discorso terapeutico aspira alla verità. Raggiungere tale obiettivo è difficile e a volte impossibile a causa della resistenza a dire la verità. Nelle pagine seguenti vorrei esaminare come la semiotica possa spiegare meglio, ad esempio, dello strutturalismo le richieste di Freud nell’ambito del processo terapeutico: dire la verità e vincere la resistenza a dire la verità.
Understanding Different Dimensions of Language Comprendere le diverse dimensioni della lingua
THE STRUCTURALIST INTERPRETATION OF LANGUAGE L’INTERPRETAZIONE STRUTTURALISTICA DELLA LINGUA
Jacques Lacan has relied upon a structuralist interpretation of language in order to highlight the help that speaking can provide in dealing with resistances originating, for instance, in unconscious unmediated images (the imaginary). He articulates a helpful destructive function of language. Jacques Lacan si è affidato all’interpretazione strutturalistica della lingua per sottolineare l’aiuto offerto dall’espressione verbale nell’affrontare le resistenze che hanno origine, ad esempio, nelle immagini inconsce non mediate (l’immaginario). Teorizza quindi un’utile funzione distruttiva della lingua.
The structuralist view of language, introduced by Ferdinand de Saussure, stresses the idea that language is not possible without difference. That difference is present in the basic building blocks of language – sounds (phonemes) – but it is also present in words and their meanings. At the level of sounds, language is not possible if one cannot recognize the difference between different sounds. Spanish speakers do not recognize the difference between the sounds b and v. Under such a condition, one cannot use the English words bow and vow. People from East Asia speak languages where the difference between r and l is not recognized. Under that condition, the words red and led could not be used as meaningful words. La visione strutturalistica della lingua, proposta da Ferdinand de Saussure, sottolinea l’idea che non c’è lingua senza differenza. Tale differenza è presente nelle unità linguistiche minime – suoni (fonemi) – ma anche nelle parole e nei loro significati. Al livello dei suoni, la lingua non è concepibile se non si è in grado di riconoscere la differenza tra suoni diversi. Gli ispanofoni non riconoscono la differenza tra i suoni b e v. In tale condizione non è possibile usare le parole inglesi bow e vow. Gli abitanti dell’Asia orientale parlano lingue in cui la differenza tra r e l non è riconoscibile. In questa situazione le parole red e led non potrebbero essere parole significative.
The idea of difference is also central in the structuralist explanation of meaning. One of the phenomena that the structuralists want to explain is that a word can have different meanings over time, between different authors or between different languages. Therefore, Saussure objected to the theory that the meaning of a word is a fixed idea (Saussure 1959, 116). Instead, he defined the meaning of a word (the signified) as a chunk of the universe of all meaning. The chunk of meaning attached to a word is the meaning left over by all the other signifiers. Thus, the presence of two words in English, mutton and sheep, where French only has one word, mouton, means that the English word mutton has a different meaning than the French word mouton, even though they have the same root. The meaning of words consists in the differences imposed on the universe of meaning by the presence of all signifiers. The meaning of words is thus established by a system of differences. That system is not fixed – it is flexible, even floating. L’idea di differenza è importante anche nella concezione strutturalistica del significato. Uno dei fenomeni che gli strutturalisti vogliono spiegare consiste nel fatto che una parola può avere significati diversi nel corso del tempo, in autori diversi e in lingue diverse. Di conseguenza Saussure contestava la teoria che il significato di una parola fosse un concetto fisso (Saussure 1967:141). Piuttosto, definiva il significato di una parola (signifié) come una frammento dell’universo del significato complessivo. Il frammento di significato attribuito a una parola è il significato lasciato libero da tutti gli altri signifiant. Quindi l’esistenza di due parole inglesi, mutton e sheep, che corrispondono in francese a una sola parola, mouton, vuol dire che la parola inglese mutton ha un significato diverso dalla parola francese mouton, sebbene abbiano la stessa radice. Il significato delle parole consiste nelle differenze imposte all’universo dei significati dalla presenza di tutti i signifiant. Il significato di una parola è quindi stabilito da un sistema di differenze. Quel sistema non è fisso ma è flessibile, perfino fluttuante.
This theory can be applied, for example, to the floating meaning of the word courage in American English. Thus, as the word aggressivity loses its negative meaning and comes to mean being assertive, or being active, it starts appropriating meanings that in other languages are attached to the word courage (or its translation). Thus, using a word implies that the speaker asserts a chunk of meaning left over by the meaning associated with other words. Speaking thus requires making differences, requires making a cut in the universe of meaning and reserving a chunk of meaning to the word that is used. Questa teoria può essere applicata, ad esempio, al significato fluttuante della parola courage in inglese americano. Così, mentre la parola aggressivity perde il significato negativo e arriva a significare essere assertivo, o essere attivo, comincia ad appropriarsi di significati che in altre lingue sono associati alla parola courage (o ai suoi traducenti). Quindi, l’uso di una parola implica che il parlante le attribuisca una parte di significato lasciata libera dal significato associato ad altre parole. Parlare implica quindi fare differenze, ritagliare nell’universo dei significati un frammento di significato da riservare alla parola utilizzata.
Motivation is often guided by images. A mother says that she made her son a lawyer. Her somewhat passive son might fuse in the image that sustains his decision to remain a lawyer not only the desire of the mother but also all kinds of reasons: it is a profession in which one is allowed to talk a lot, one earns a good income, one’s good income is earned legally, one’s Saturdays are spent pleasantly, and one can easily change jobs in and out of public service. When the young person is asked, however, to say why he wants to be a lawyer, he is not able to present, all at once, the total attractiveness of the image of being a lawyer. Rather, he must start cutting up the attractiveness of the image and he must select specific reasons for the desirability of being a lawyer. The young person must start with a reason connected with either the income received by lawyers, or the Saturday habits of lawyers, or the opportunity to talk that lawyers have. Speaking (i.e., using language) thus imposes on the speaker the necessity of making differences, of cutting up what is a vague unity in the form of an image. La motivazione è spesso guidata da immagini. Una madre dice di aver fatto di suo figlio un avvocato. Il figlio, una persona piuttosto passiva, potrebbe fondere nell’immagine che sostiene la sua decisione di continuare a fare l’avvocato non solo il desiderio della madre ma anche qualsiasi altro tipo di motivo: è una professione che consente di parlare molto, si guadagna bene e in modo onesto, si trascorrono dei sabati piacevoli, ed è facile cambiare posto di lavoro dentro e fuori il settore pubblico. Tuttavia, se si chiede al giovane di dire perché vuole fare l’avvocato, non è in grado di esprimere, contemporaneamente, tutti gli aspetti interessanti dell’immagine dell’avvocato. Piuttosto, deve iniziare a scomporre l’attrattività dell’immagine e a selezionare i motivi particolari del valore della professione di avvocato. Il giovane deve iniziare con un motivo collegato o al reddito degli avvocati, o a come passano il sabato gli avvocati, o alla possibilità di parlare che hanno gli avvocati. Parlare (ossia, usare la lingua) impone quindi al parlante la necessità di fare delle differenze, di scomporre ciò che nella forma di un’immagine è un’entità vaga.
Lacan uses the structuralist interpretation of language to explain the liberating capability of language. In their capability of fusing, images can become illusionary and captivating. Language, by requiring the use of difference, breaks up, cuts up. If the patient is asked to talk about his or her captivating images, then we understand that the use of language is almost mechanically liberating (Muller and Richardson 1982, 8 – 9). Lacan usa l’interpretazione strutturalistica della lingua per spiegarne la capacità liberatoria. Con la loro possibilità di fondere tra loro diversi elementi, le immagini possono diventare illusorie e seducenti. La lingua, che impone l’uso della differenza, spezza e frammenta. Se si chiede al paziente di parlare delle proprie immagini seducenti, è comprensibile che l’uso della lingua sia quasi meccanicamente liberatorio (Muller e Richardson 1982:8-9).
By presenting the helpful function of language as its ability to cut up the vague unity present in images, the helping function of language is, in my view, reduced too much to a negative task. The more positive function of language is suggested by what might next happen to the young lawyer in his therapy sessions. He might start “giving involuntarily indices [about the role of his mother] which the astute analyst will seize upon in order to transform unconscious representations into language” (Vergote 1997, 56). I will, therefore, look for a way to better understand the positive contribution made by speaking in a psychoanalytic context. A positive function of speaking and of language is suggested by the two moral demands by Freud: honesty and the promise to be honest. Lacan himself understands the need for a positive function of language and formulates that need in the same moral vocabulary that Freud did: “The unconscious is that chapter of my history that is marked by a blank or occupied by a falsehood: it is the censored chapter. But the truth can be rediscovered: usually it has already been written down elsewhere” (1997, 50; my italics).[5] Presentando la funzione pratica della lingua come capacità di scomporre l’entità vaga delle immagini, tale funzione a mio parere viene eccessivamente ridotta a un compito negativo. Un ruolo maggiormente positivo della lingua è suggerito da ciò che potrebbe capitare al giovane avvocato nelle sedute di terapia successive. Potrebbe iniziare a «fornire indizi involontari [sul ruolo della madre] che l’abile analista è in grado di cogliere al volo per trasformare le rappresentazioni inconsce in lingua» (Vergote 1997:56). Cercherò quindi un modo per comprendere meglio il contributo positivo dell’espressione verbale in un contesto psicoanalitico. Una funzione positiva dell’espressione verbale e della lingua è suggerita dalle due richieste morali di Freud: la sincerità e la promessa di essere sinceri. Lacan stesso intuisce la necessità di una funzione positiva della lingua e formula questa esigenza con lo stesso vocabolario morale di Freud: «L’inconscio è quel capitolo della mia storia personale che è caratterizzato da uno spazio vuoto o occupato da una menzogna: è il capitolo censurato. Ma la verità può essere riscoperta: di solito è già stata scritta altrove» (1997:50; il corsivo è mio).[6]
The Freudian demand for honesty, like Lacan’s call for truth, requires that we also look for a theory of language that explicitly addresses the possibility for truth and thus honesty. I believe that Peirce’s view of language can better articulate than structuralism that kind of positive contribution language can make in the therapeutic process. La richiesta freudiana di sincerità, così come il richiamo di Lacan alla verità, ci impone anche di cercare una teoria della lingua che si dedichi esplicitamente alla possibilità della verità e dunque della sincerità. Credo che la visione peirceiana della lingua sia in grado di articolare meglio dello strutturalismo quel tipo di contributo positivo che la lingua può portare nel processo terapeutico.
A POSITIVE CONTRIBUTION OF LANGUAGE UN CONTRIBUTO POSITIVO DELLA LINGUA
In this section I relate, first, the Freudian demand for honesty to Peirce’s theory of induction and abduction (hypothesis), and second, the Freudian demand that the patient be a moral coworker in the achievement of true self-revelation to Peirce’s theory of the interpretant. In questo paragrafo metto in relazione innanzitutto la richiesta freudiana di sincerità con la teoria peirceiana dell’induzione e dell’abduzione (ipotesi) e, in seguito, la richiesta freudiana al paziente di essere un collaboratore morale nel raggiungere la vera autorivelazione con la teoria peirceiana dell’interpretante.
Freud’s demand for honesty. Freudian therapy is not a philosophical technique. It does not rely upon the formulation of general rules, such as “human beings are mortal” or “pain is unavoidable”. Freudian technique is concerned with labeling the particular. Take Freud’s example: “You ask who this figure in the dream can be.” The reported answer is: “It’s not my mother” (S.E. 19:235). Another of Freud’s examples is that of his friend saying: “Well, something has come into my mind… but it’s too intimate to pass on… Besides, I don’t see any connection, or any necessity for saying it.” Freud retorts, “You can leave the connection to me. Of course I can’t force you to talk about something that you find distasteful; but then you mustn’t insist on learning from me how you came to forget your aliquis” (S.E. 6:11). In my view, this request for honesty makes no sense without supposing that truth about particulars is possible. But how is truth about particulars possible? The skeptic trend in Anglo-American philosophy initiated by Hume has a predilection to present arguments against the possibility of induction. This is normally interpreted as an attack against conceptual insights (e.g., clouds cause rain). I interpret Hume’s sceptic views on induction as also undermining the possibility of simple linguistic statements about particulars (e.g., this is a table). Peirce is one philosopher who clearly sees the problem of talking about particulars but also argues explicitly against this sceptic tradition, as is clear from the following text: La richiesta freudiana di sincerità. La terapia freudiana non è una tecnica filosofica. Non si basa sull’elaborazione di regole generali quali «gli esseri umani sono mortali» o «il dolore è inevitabile». La tecnica freudiana si concentra sulla definizione del particolare. Consideriamo l’esempio di Freud: «Lei domanda chi possa essere questa persona del sogno». La risposta riferita è: «Non è mia madre» (OSF 10:197). Un altro degli esempi di Freud riguarda le parole di un conoscente: «Adesso per la verità mi è venuta in mente una cosa… troppo intima, però, per essere comunicata… del resto non vedo alcuna connessione e alcuna necessità di raccontarla». Freud replica: «Alla connessione ci penso io. Non posso costringerla a raccontare cose che le sono sgradevoli; ma allora non mi chieda di spiegarle come sia giunto a dimenticare la parola aliquis» (OSF 4:65-66). A mio parere, questa richiesta di sincerità non ha alcun senso se non ipotizziamo che sia possibile trovare la verità nei dettagli. Ma come si arriva alla verità nei dettagli? La tendenza allo scetticismo inaugurata da Hume nella filosofia angloamericana ha una predilezione per le argomentazioni contro la possibilità dell’induzione. Questo di solito è inteso come un attacco contro le intuizioni concettuali (ad es. «le nuvole provocano la pioggia»). Interpreto lo scetticismo di Hume nei confronti dell’induzione anche come negazione dell’esistenza di semplici affermazioni verbali sui dettagli (ad es. «questo è un tavolo»). Peirce è un filosofo che riconosce chiaramente il problema di parlare dei dettagli ma che si schiera anche esplicitamente contro questa tradizione di scetticismo, come è evidente nel seguente testo:
Looking out of my window this lovely morning I see an azalea in full bloom. No, no! I do not see that; though that is the only way I can describe what I see. That is a proposition, a sentence, a fact; but what I perceive is not proposition, sentence, fact, but only an image, which I make intelligible in part by means of a statement of fact. This statement is abstract; but what I see is concrete. I perform an abduction when I [do so much] as express in a sentence anything I see. The truth is that the whole fabric of our knowledge is one matted felt of pure hypothesis confirmed and refined by induction. Not the smallest advance can be made in knowledge beyond the stage of vacant staring, without making an abduction at every step. [quoted in Brent 1993, 72] Guardando dalla mia finestra in questo bel mattino di primavera vedo un’azalea in piena fioritura. No, no! Io non vedo questo, benché questo sia il solo modo in cui posso descrivere ciò che vedo. Questa è una proposizione, una frase, un fatto; però ciò che percepisco non è una proposizione, una frase, un fatto, ma solo un’immagine, che io rendo intelligibile in parte per mezzo di un’asserzione di fatto. Questa asserzione è astratta, ma ciò che vedo è concreto. Ogni volta che esprimo in una frase qualcosa che vedo io eseguo un’abduzione. La verità è che l’intero intreccio della nostra conoscenza è un feltro pressato fatto di pura ipotesi confermata e rifinita per mezzo dell’induzione. Non si può fare neppure il più piccolo avanzamento di conoscenza, oltre la fissità di uno sguardo vacuo, senza fare ad ogni passo un’abduzione. (citato in Eco e Sebeok 2004:33)
In the above quotation Peirce draws attention to the problem of knowing (labeling, describing) particulars – as Hume would – but also hints that such knowing is possible because of the processes of induction and hypothesis or abduction. In order to solve the problem of how truth about particulars is possible, I will therefore need to clarify Peirce’s ideas about the processes of both induction and hypothesis or abduction. An induction is the intellectual act of seeing some characteristic in many cases and concluding that that characteristic must be the case as a general rule for a class of objects, even for those members of the class not yet observed. Peirce says it succinctly: “By induction, we conclude that facts, similar to observed facts, are true in cases not examined” (CP 2.636). Applying the definition of induction to Peirce’s case of azaleas, that would mean that, in order to be able to say that a bush is an azalea, one must be convinced that unobserved azaleas will truly have a number of characteristics, such as twiglike branches, mostly dark green leaves if the plant is healthy, a specific kind of flower, etc. Peirce himself gives as an example of an induction the ability to transform the observation that the letters e, t, a, s, etc., approach 11¼ percent, 8½ percent, 7½ percent, etc., of all the letters in English texts into the rule that is must be so (Peirce 1992, 32). Nella citazione di cui sopra Peirce richiama l’attenzione sul problema della conoscenza (definizione, descrizione) dei particolari – altrettanto farebbe Hume – ma suggerisce anche che tale conoscenza è possibile grazie ai processi di induzione e ipotesi o abduzione. Per risolvere il problema di come sia possibile trovare la verità nei dettagli, devo quindi spiegare le idee di Peirce riguardo a entrambi i processi, di induzione e di ipotesi o abduzione. L’induzione è l’atto intellettuale per cui vediamo una determinata caratteristica in diversi casi e stabiliamo che quella caratteristica deve essere la regola generale per una classe di oggetti, anche quelli appartenenti alla stessa classe ma non ancora osservati. Peirce sintetizza così: «Con l’induzione stabiliamo che fatti simili a quelli osservati sono veri in casi non esaminati» (CP 2.636). Se applichiamo la definizione di «induzione» al caso delle azalee di Peirce, ne ricaviamo che, per poter dire che un cespuglio è un’azalea, dobbiamo essere convinti che le azalee non osservate hanno davvero alcune caratteristiche, come i rami sottili, le foglie in prevalenza verde scuro se la pianta è sana, un particolare tipo di fiore ecc. Peirce stesso presenta come esempio di induzione la capacità di trasformare l’osservazione che le lettere e, t, a, s ecc., rappresentano circa 11¼ per cento, 8½ per cento, 7½ per cento ecc., di tutte le lettere dei testi inglesi nella regola che determina che deve essere così (Peirce 1992:32).
To grasp what Peirce means by hypothesis or abduction, consider the following: Per comprendere cosa intenda Peirce con ipotesi o abduzione, consideriamo quanto segue:
By hypothesis, we conclude the existence of a fact quite different from anything observed, from which, according to known laws, something observed would necessarily result. [CP 2.636] Con l’ipotesi stabiliamo l’esistenza di un fatto completamente differente da alcunché di osservato, fatto da cui, in base a leggi note, qualcosa di osservato risulti necessariamente. (CP 2.636)
or oppure:
Long before I first classed abduction as an inference it was recognized by logicians that the operation of adopting an explanatory hypothesis – which is just what abduction is – was subject to certain conditions. Namely, the hypothesis cannot be admitted, even as a hypothesis, unless it be supposed that it would account for the facts or some of them. The form of inference, therefore, is this: The surprising fact, C, is observed; But if A were true, C would be a matter of course. Hence, there is reason to suspect that A is true. [CP 5.189] Molto tempo prima che classificassi l’abduzione come inferenza, i logici avevano riconosciuto che l’operazione di adottare un’ipotesi esplicativa – che è esattamente un’abduzione – era soggetta a certe condizioni. Vale a dire, l’ipotesi non può essere ammessa, anche solo come ipotesi, a meno che non si supponga che spieghi i fatti o alcuni di essi. La forma dell’inferenza è quindi la seguente: si osserva il sorprendente fatto C; ma se A fosse vero, C sarebbe spiegato come fatto normale. Perciò c’è ragione di sospettare che A sia vero. (CP 5.189)
A hypothesis or abduction, therefore, is the ability to conclude from observing in one object a number of characteristics that this object is a member of a certain class having a number of additional characteristics, some of which are not immediately visible but for which evidence can be found. Thus, if a bush has a number of characteristics, I can conclude that it is an azalea and from that first conclusion I can draw further conclusions, for example, that it is a plant and needs water and sunlight in order to flourish. Or a text is observed to have letters occurring with the frequency noted above. The text is by abduction or hypothesis then said to be an English text (Peirce 1992, 33-35). It therefore follows that the text will be understood by an English-speaking person and that I will not need to find a French speaker to translate it. Pertanto un’ipotesi o abduzione è la capacità di stabilire dall’osservazione in un oggetto di alcune caratteristiche, che questo oggetto fa parte di una determinata classe che ha anche altre caratteristiche, alcune delle quali non sono immediatamente visibili ma di cui si può trovare traccia. Così se un cespuglio ha alcune caratteristiche, posso concludere che si tratta di un’azalea e da questa prima conclusione posso trarre ulteriori conclusioni, per esempio che è una pianta e ha bisogno di acqua e sole per fiorire. Oppure in un testo si osserva l’occorrenza di lettere secondo la frequenza riferita sopra. Il testo è quindi riconosciuto per abduzione o ipotesi come testo inglese (Peirce 1992:33-35). Ne consegue che il testo sarà comprensibile per un parlante inglese e che non avrò bisogno di qualcuno che parli francese per tradurlo.
Truth then, for Peirce, is something that one arrives at by means of interpretative activity using knowledge of laws about the objects experienced. Saying something truthful is therefore something like a process, a communal process, even. It is a process because it requires the acquisition of knowledge of particular characteristics of concrete objects (e.g., azaleas, English texts). It is a process, too, because one must learn what other, less visible characteristics those objects have (azaleas are plants and thus carry out photosynthesis). It is a communal process because an individual is guided by others in discerning what bushes can properly be called azaleas and why. It is also a communal process because the discovery of the hidden characteristics of an object cannot possibly be the project of one individual alone – it is too infinite a task. More profoundly, it also involves the discovery of necessary hidden characteristics. Such necessary hidden characteristics Peirce calls laws of nature. They are true if they lead to successful actions in the world. The search for more successful actions requires the formulation of more adequate rules for action, which in turn give us a better understanding of the nature of the object under study. Both the need for more successful action and the creative effort to formulate more adequate rules are not solely individual events but communal ones as well. Both also rest upon the testimony of others (Colapietro 1989, 72). La verità per Peirce è quindi qualcosa a cui si arriva mediante un’attività di interpretazione e con la conoscenza delle leggi relative agli oggetti esperiti. Dire la verità pertanto è una sorta di processo, un processo collettivo anzi. È un processo perché richiede l’acquisizione della conoscenza di caratteristiche particolari di oggetti specifici (ad es. azalee, testi inglesi). È un processo anche perché impone la necessità di imparare quali altre caratteristiche meno visibili hanno quegli oggetti (le azalee sono piante e quindi effettuano la fotosintesi). È un processo collettivo perché un individuo è guidato dagli altri nel distinguere quali cespugli si possono esattamente chiamare azalee e perché. È un processo collettivo anche perché la scoperta delle caratteristiche nascoste di un oggetto non può assolutamente essere il progetto di un singolo individuo, trattandosi di un compito enorme. Più in profondità, implica anche la scoperta di caratteristiche nascoste necessarie. Peirce chiama tali caratteristiche «leggi di natura». Sono vere se portano ad azioni riuscite nel mondo. La ricerca di ulteriori azioni riuscite richiede la formulazione di regole di azione più idonee, che a loro volta ci diano una migliore comprensione della natura dell’oggetto di studio. Sia la necessità di altre azioni riuscite sia lo sforzo creativo di formulare regole più adatte non sono esclusivamente fatti individuali ma anche collettivi. Entrambi poi si affidano alla testimonianza degli altri (Colapietro 1989:72).
It is by connecting the demand for adequate rules of possible action to the requirement of correctly labeling objects (particulars) that Peirce overcomes Hume’s problem of induction and becomes able to argue that human beings can reach the truth. His argument is twofold. First, the correctness of an intellectual statement is not reduced to observation, but includes successful action rules (Peirce’s energetic interpretant) (35). Second, Peirce claims that the mind, as part of nature, is adapted to nature and is thus capable of comprehending the world in the sense that the mind can find out how to interact properly with the world. As the proper interaction with an azalea by a specialized biologist is much more demanding than the proper interaction by a weekend gardener, labeling a plant an azalea has a different meaning for the two. But both can label it correctly. È grazie al collegamento tra la richiesta di regole adeguate per una possibile azione e la necessità di definire correttamente gli oggetti (i particolari) che Peirce supera il problema dell’induzione di Hume e riesce a sostenere che gli esseri umani possono arrivare alla verità. La sua argomentazione è duplice. In primo luogo, la correttezza di un’affermazione intellettuale non è ridotta all’osservazione ma comprende regole per riuscire a compiere azioni (l’interpretante energetico di Peirce) (35). In secondo luogo, Peirce sostiene che la mente, in quanto parte della natura, è adattata alla natura e quindi è in grado di comprendere il mondo, nel senso che la mente può scoprire come interagire in modo appropriato con il mondo. Poiché l’interazione appropriata con un’azalea da parte di un biologo specializzato ha esigenze molto superiori rispetto all’interazione appropriata da parte di uno che ha l’hobby del giardinaggio, definire una pianta «azalea» ha un significato diverso per i due. Ma entrambi possono definirla correttamente.
Peirce’s claim that human beings are capable of correctly labeling particulars makes us realize the sensibleness of the Freudian demand for honesty. Peirce’s view that labeling particulars includes rules of appropriate behavior lets us see that correct labeling suggests or even demands certain actions, even if they are painful. Freud’s demand for honesty is a demand for a virtue. Honesty, like all virtues, can carry burdens. Honesty is the willingness to carry the difficulty and the pain of knowing particulars (e.g., acknowledging first that the female figure wears a blouse like one’s own mother, and thus that this domineering female is one’s mother, and, second, that one needs to protect oneself against domineering persons, even if they are one’s relatives). L’affermazione peirceiana che gli esseri umani sono in grado di definire correttamente i particolari ci fa comprendere la ragionevolezza della richiesta freudiana di sincerità. L’idea peirceiana che la definizione dei particolari comprende regole di comportamento appropriato ci mostra che la definizione corretta suggerisce o perfino richiede alcune azioni, anche se dolorose. La richiesta freudiana di sincerità è una richiesta di virtù. La sincerità, come tutte le virtù, può portare con sé dei fardelli. La sincerità è la volontà di accettare la difficoltà e il dolore di conoscere i particolari (ad es. prendendo atto innanzitutto che la figura femminile indossa una camicetta come la propria madre, quindi che questa donna dominante è la propria madre, e infine che è necessario proteggersi dalle persone dominanti, anche se si tratta dei propri familiari).
The idea that truth is possible, that it rests on a process, and that it can be painful can be used to understand one fundamental aspect of the therapeutic process, namely, the partiality or distortion in the revelation of truth. Thus, Freud interprets a denial as a half-truth, because it labels the repressed and then marks it with a negation (S.E. 19:235 – 36). Elsewhere, he interprets a negation followed by either new material or an indirect confirmation (associations of similar nature, etc.) as a confirmation of the partial truth of the negated interpretation (S.E. 23:262ff.). L’idea che la verità sia possibile, che si basi su un processo e che possa essere dolorosa può farci capire un aspetto fondamentale del processo terapeutico, vale a dire la parzialità o distorsione nella rivelazione della verità. Freud quindi interpreta una negazione come mezza verità, poiché definisce qualcosa di rimosso e lo segna con una negazione (OSF 10:197-198). In un altro punto Freud interpreta una negazione seguita da nuove informazioni o da una conferma indiretta (associazioni dello stesso tipo ecc.) come conferma della verità parziale dell’interpretazione negata (OSF 11:546 e seguenti).
In his study “Negation”, Freud describes the moment in which he appeals to the honesty of the patient in order to move beyond the denial and thus to establish a more complete truth. He confesses, though, that such an intellectual acknowledgment is not the solution to the patient’s problems yet, because intellectual truth is here separated from emotional acceptance. Intellectual truth does not lead to proper action (S.E. 19:236) and can therefore not be considered the highest form of truth. Nel saggio «La negazione» Freud descrive il momento in cui fa appello alla sincerità del paziente per andare oltre la negazione e stabilire così una verità più completa. Deve ammettere, tuttavia, che un tale riconoscimento intellettuale non è ancora la soluzione ai problemi del paziente, poiché la verità intellettuale qui è separata dall’accettazione emotiva. La verità intellettuale non porta a un’azione corretta (OSF 10:198) e perciò non può essere considerata la forma più elevata di verità.
Freud’s report about the two phases in denial and his judgment that intellectual acceptance alone is insufficient can be clarified by Peirce’s above explained theory of knowledge of particulars. Intellectual acceptance of a dream content often takes the form of, “I guess I have to conclude that this domineering figure in my dream is my mother, because the hair, the blouse, the bracelet, the shoes all belong to my mother.” The intellectual acceptance of a dream content does not take the form of, “Yes, this domineering woman is my mother and domineering women must be avoided.” Intellectual acceptance of a dream content is connecting a new string of characteristics with an old string that was firmly action-guiding without allowing the new string of characteristics the right to become a guide for action (for an additional example, see Ver Eecke 1984, 145). Emotional acceptance of a dream content is allowing the new string of characteristics the right to become a guide for action. The two strings of characteristics are summarized by two different labels, or in the language of Peirce, two different interpretants: the old string results in the interpretant mother, whereas the new string results in the interpretant domineering. If one keeps in mind the action-oriented aspect of labeling particulars (of using interpretants), then the difference between intellectual and emotional acceptance of a dream content is the difference between saying that the female figure in one’s dream is my domineering mother or my domineering mother. The first method of labeling gives no guide to deal with a domineering mother; the second method of labeling, on the contrary, gives a guide for action – take distance, stand up, etc. Il resoconto di Freud sulle due fasi della negazione e il suo giudizio sull’insufficienza della sola accettazione intellettuale possono essere spiegati dalla teoria peirceiana della conoscenza dei particolari esposta sopra. L’accettazione intellettuale del contenuto di un sogno prende spesso la forma di: «Immagino di dover concludere che questa figura dominante del sogno sia mia madre, perché i capelli, la camicetta, il bracciale e le scarpe appartengono tutti a mia madre». L’accettazione intellettuale del contenuto di un sogno non prende la forma di: «Sì, questa donna dominante è mia madre e le donne dominanti sono da evitare». L’accettazione intellettuale del contenuto di un sogno associa una nuova serie di caratteristiche a una vecchia serie che era una forte guida per l’azione, senza attribuire alla nuova serie la facoltà di diventare a sua volta una guida per l’azione (per un ulteriore esempio, vedi Ver Eecke 1984:145). L’accettazione emotiva del contenuto di un sogno permette alla nuova serie di caratteristiche di diventare un’indicazione pratica. Le due serie di caratteristiche sono sintetizzate da due diverse definizioni o, nel linguaggio peirceiano, due diversi interpretanti: la vecchia serie è rappresentata dall’interpretante «madre», mentre la nuova serie dall’interpretante «dominante». Se pensiamo alla funzione pratica della definizione dei particolari (l’uso degli interpretanti), la differenza tra l’accettazione intellettuale e quella emotiva del contenuto di un sogno equivale alla differenza tra dire che la figura femminile del sogno è la «madre dominante» o «la madre dominante». Il primo metodo di definizione non dà indicazioni di comportamento nei confronti di una madre dominante; il secondo metodo di definizione, al contrario, dà indicazioni pratiche: prendere le distanze, difendersi ecc.
In order to clarify how therapy can help the patient move beyond mere intellectual acceptance of truth and toward emotional acceptance of it, we need to understand the intersubjective dimension of speech. Freud discusses this in his demand for a promise of honesty, and Peirce, in his theory of human beings as semiotic. Per chiarire come la terapia possa aiutare il paziente a passare dalla semplice accettazione intellettuale a quella emotiva della verità, dobbiamo comprendere la dimensione intersoggettiva del discorso. Freud la esamina nella sua richiesta di promettere sincerità, e Peirce nella sua teoria degli esseri umani come esseri semiotici.
Freud’s demand that the patient be a moral coworker in achieving true self-revelation. As I have already discussed Freud’s view of the patient as a moral coworker, I wish to start this section by clarifying Peirce’s thoroughgoing semiotic view of human beings. “When we think,” says Peirce, “we ourselves, as we are at the moment, appear as a sign.” Furthermore, “everything which is present to us is a phenomenal manifestation of ourselves” (Peirce 1992). Peirce goes on to give such examples as feelings, images, conceptions, and other representations. These phenomenal manifestations of ourselves become signs of ourselves because they become available for interpretation and thus are guiding our actions in a positive or a negative way. They do not have to be signs in the narrow sense of the word. They become so when we think, when we interpret (Colapietro 1989, 53). La richiesta di Freud al paziente di essere un collaboratore morale nel raggiungere la vera autorivelazione. Poiché ho già esposto la visione freudiana del paziente come collaboratore morale, vorrei iniziare questa sezione spiegando la visione semiotica complessiva degli esseri umani secondo Peirce. «Quando pensiamo» afferma Peirce «noi stessi, come siamo in quel momento, fungiamo da segno». Inoltre, «qualsiasi cosa a noi presente è una manifestazione fenomenica di noi stessi» (Peirce 1992). Peirce prosegue portando ad esempio sentimenti, immagini, concezioni e altre rappresentazioni. Queste manifestazioni fenomeniche di noi stessi diventano segni di noi stessi poiché si rendono soggette a un’interpretazione e quindi guidano le nostre azioni in modo positivo o negativo. Non è necessario che siano segni nel senso stretto della parola. Lo diventano quando pensiamo, quando interpretiamo (Colapietro 1989:53).
By incorporating feelings, images, and thoughts (conceptions) into his theory of the sign, Peirce has made his theory applicable to much of what psychoanalysis is about. Let us therefore see how his description of the human being as a semiotic being opens up some possibilities for understanding the therapeutic dialogue. Includendo nella sua teoria del segno i sentimenti, le immagini e i pensieri (concezioni), Peirce l’ha resa applicabile in gran parte dell’ambito psicoanalitico. Vediamo quindi come la sua descrizione dell’essere umano come essere semiotico apre alcune possibilità di comprensione del dialogo terapeutico.
A sign has, of course, some materiality. But it is a materiality that represents. According to Peirce, representing requires “three references: 1st, it is a sign to some thought which interprets it; 2nd, it is a sign for some object to which in that thought it is equivalent; 3rd, it is a sign, in some respect or quality, which brings it into connection with its object” (Peirce 1992, 38). For Peirce, a sign is to be interpreted by some thought. However, “to what thought does that thought-sign which is ourself address itself?” (38 – 39). According to Peirce it addresses itself to another thought. We are therefore multiple strings of interpreting thoughts. “Each former thought suggests something to the thought which follows it, i.e., is the sign of something to this latter” (39). However, each of us has had the experience of stopping one train of thought and pursuing another one. Here is an example. First thought-series: While making waffles for my children and their friends, I anticipate their chatter, their grateful faces. Second thought-series: Suddenly, I remember not having paid the traffic ticket now lying on my desk. I am afraid that my payment will be too late. Maybe I can drive to the Bureau of Traffic Adjudication in person. I hate the thought. It will take two to three hours, there will be long lines, etc. Back to the first thought-series: The voice of my son calls me back to the waffle breakfast. I see the empty table and ask for help setting the table. I bring the plate with waffles to the table and notice the small chunks of wood missing from the table legs. Third thought-series: No effort is needed to remind me that Appollo, our dog, had chewed them off when he was a puppy. Here and there, the legs of our furniture show marks of puppy activities. Appollo is cute but he is still a problem. Naturalmente un segno ha una certa materialità. Ma è una materialità che rappresenta. Peirce sostiene che la rappresentazione richiede «tre riferimenti: primo, è un segno rivolto a qualche pensiero che lo interpreta; secondo, è un segno per qualche oggetto al quale in quel pensiero è equivalente; terzo, è un segno sotto qualche aspetto o in qualche qualità che lo pone in connessione con il suo oggetto» (Peirce 1992:38). Secondo Peirce, un segno deve essere interpretato da un pensiero. Tuttavia, «a quale pensiero si rivolge quel pensiero-segno costituito da noi stessi?» (38-39). Peirce afferma che si rivolge a un altro pensiero. Pertanto siamo molteplici serie di pensieri interpretanti. «Ogni pensiero precedente suggerisce qualcosa al pensiero che lo segue, ovvero, è il segno di qualcosa in relazione a quest’ultimo» (39). Tuttavia, ognuno di noi ha avuto l’esperienza di interrompere una concatenazione di pensieri e seguirne un’altra. Ecco un esempio. Prima serie di pensieri: mentre preparo i waffle per i miei figli e i loro amici, pregusto le loro chiacchiere e i loro volti riconoscenti. Seconda serie di pensieri: all’improvviso mi ricordo di non aver pagato la multa che ora è sulla mia scrivania. Temo che pagherò in ritardo. Forse potrei andare di persona al comando di polizia locale. Odio l’idea. Ci vorranno da due a tre ore, ci saranno code interminabili ecc. Di nuovo alla prima serie di pensieri: la voce di mio figlio mi riporta alla colazione con i waffle. Vedo la tavola libera e chiedo aiuto per apparecchiare. Metto in tavola il piatto con i waffle e mi accorgo che alle gambe del tavolo mancano dei pezzetti di legno. Terza serie di pensieri: non ho bisogno di sforzarmi per ricordare che Appollo, il nostro cane, li ha mordicchiati via quando era cucciolo. Qua e là, le gambe dei nostri mobili mostrano tracce del passaggio di un cucciolo. Appollo è carino ma è ancora un problema.
Peirce does not deny that we do what I have just described, remarking, “Our train of thought may, it is true, be interrupted” (ibid.). But Peirce is also drawing attention to another aspect of thought interruption. If one train of thought can be interrupted by another, it must be the case that there are multiple trains of thought running at the same time. Peirce said it more radically. Instead of arguing that for one train of thought to be interrupted there must be at least two trains of thought, he simply writes: “But we must remember that, in addition to the principal element of thought at any moment, there are a hundred things in our mind to which but a small fraction of attention or consciousness is conceded” (ibid.; my italics). This observation is for Peirce the occasion to redescribe what we called “interruption of a train of thought.” Instead of interruption, Peirce describes it by saying that “a new constituent of thought gets the uppermost,” and he explicitly denies “that the train of thought which it displaces is broken off altogether.” For Peirce we are, therefore, multiple trains of thought at once. Peirce non nega che facciamo quanto ho appena descritto, e osserva che «la nostra concatenazione di pensieri può, è vero, essere interrotta» (ibid.). Ma Peirce richiama anche l’attenzione su un altro aspetto dell’interruzione del pensiero. Se una concatenazione di pensieri può essere interrotta da un’altra, vuol dire che nella nostra testa ci sono molteplici concatenazioni di pensieri simultaneamente. Peirce si è espresso in modo più radicale. Invece di sostenere che per una concatenazione di pensieri che si interrompe deve essercene almeno un’altra, scrive semplicemente: «Ma dobbiamo ricordare che, in qualsiasi momento, oltre all’elemento principale del pensiero, ci sono centinaia di cose nella nostra mente alle quali è concessa soltanto una piccola frazione di attenzione o coscienza» (ibid.; il corsivo è mio). Questa osservazione dà a Peirce l’occasione di descrivere nuovamente ciò che abbiamo chiamato «interruzione della concatenazione di pensieri». Invece di chiamarla «interruzione», Peirce la descrive dicendo che «un nuovo costituente del pensiero prende il sopravvento», e nega esplicitamente «che la concatenazione di pensieri cui si sostituisce viene interrotta del tutto». Secondo Peirce quindi noi siamo molteplici concatenazioni di pensieri allo stesso tempo.
One could ask why a self does not combine several trains of thought, given that unity is a goal of the self, according to Peirce (Colapietro 1989, 75). The answer might lie in the following consideration. Any thought is an interpretation of some aspect of reality and, as such, is an interpretation of some particular event. In interpreting that particular event, it provides an experience that confirms, contradicts, or is unrelated to previous experience. All semiotic experience for Peirce is providing a guide for action. Semiotic experience unrelated to or contradicting previous experience cannot easily be integrated. This is all the more difficult, because for Peirce, knowledge of particulars leads to the formation of habits because of the successful action that it gives rise to (90). As long as a human being encounters new – unrelated or contradictory – experiences, he or she will not be able to readily integrate them. These new experiences will therefore become the basis for new trains of thougth. Ci si potrebbe chiedere perché un Sé non unisca diverse concatenazioni di pensieri, dato che secondo Peirce l’unità è un obiettivo del Sé (Colapietro 1989:75). La risposta forse è nella seguente riflessione. Un pensiero è un’interpretazione di un aspetto della realtà e, in quanto tale, è un’interpretazione di un evento particolare. Nell’interpretare quel particolare evento, offre un’esperienza che conferma, contraddice o è indipendente dalle esperienze precedenti. Tutta l’esperienza semiotica per Peirce dà indicazioni di comportamento. L’esperienza semiotica che non è collegata all’esperienza precedente o che la contraddice non è facilmente integrabile. Tutto poi risulta ancora più difficile in quanto, secondo Peirce, la conoscenza dei particolari porta alla formazione di abitudini in seguito alle azioni riuscite a cui dà luogo (90). Quando un essere umano si imbatte in un’esperienza nuova – indipendente o contradditoria – non è in grado di integrarla facilmente. Queste nuove esperienze diventano quindi la base di nuove concatenazioni di pensieri.
The idea that we as human beings are multiple trains of thought goes well with two of Peirce’s other views. The first concerns Peirce’s denial of the existence of intuition. He writes: “We have no power of Intuition, but every cognition is determined logically by previous cognitions” (Peirce 1992, 30). From this he concludes that “the striking in of a new experience is never an instantaneous affair, but is an event occupying time, and coming to pass by a continuous process. Its prominence in consciousness, therefore, must probably be the consummation of a growing process” (39). Thus, for Peirce, the hundreds of trains of thought do not all simultaneously force themselves into consciousness. Rather, trains of thought are processes that follow a logical path toward their consummation. Let us call that invisible path toward consummation the “incubation period” of a train of thought. During that incubation period, these trains of thought do not gain prominence in consciousness. However, just because a train of thought is not prominently present in consciousness does not mean that it has ceased “abruptly and instantaneously” (ibid.). We are bundles of multiple trains of thought, the prominence in consciousness of which shifts over time. Prominence of one train of thought is not to be interpreted as interruption of other ones. Thus, every human being is more thought than he or she appears to be. The talking cure might be considered from this point of view as a technique that allows a train of thought to appear in words before its normal consummation process has taken place. The other side of the coin is that the talking cure allows the emergence of trains of thought that are not ready to be a guide for action. L’idea che, in quanto esseri umani, siamo molteplici concatenazioni di pensieri, si sposa bene con altri due concetti di Peirce. Il primo riguarda la negazione peirceiana dell’esistenza dell’intuizione. Peirce scrive: «Non abbiamo alcun potere di intuizione, ma ogni cognizione è determinata logicamente da cognizioni precedenti» (Peirce 1992:30). Da questa affermazione conclude che «l’irruzione di una nuova esperienza non è mai un fatto istantaneo, ma è un evento che occupa del tempo e che si compie dopo un processo continuo. Perciò la sua importanza nella coscienza deve essere probabilmente il completamento di un processo di crescita» (39). Quindi, secondo Peirce, le centinaia di concatenazioni di pensieri non si impongono tutte contemporaneamente nella coscienza. Piuttosto, sono processi che seguono un percorso logico fino al loro completamento. Quel percorso invisibile verso il completamento è chiamato «periodo di incubazione» di una concatenazione di pensieri. Durante il periodo di incubazione, queste concatenazioni di pensieri non acquisiscono una posizione di rilievo nella coscienza. Tuttavia, solo perché una concatenazione di pensieri non occupa un posto preminente nella coscienza non significa che sia terminata «improvvisamente e istantaneamente» (ibid.). Siamo un fascio di molteplici concatenazioni di pensieri, la cui rilevanza nella coscienza cambia nel corso del tempo. La rilevanza di una concatenazione di pensieri non deve essere interpretata come l’interruzione di altre. Pertanto ogni essere umano è più pensiero di quanto non appaia. Da questo punto di vista, la terapia basata sul dialogo può essere considerata una tecnica che consente a una concatenazione di pensieri di manifestarsi a parole prima che avvenga il suo processo di completamento. Il rovescio della medaglia è che la terapia basata sul dialogo permette la comparsa di concatenazioni di pensieri che non sono ancora pronte a diventare indicazioni pratiche.
Peirce adds a second view. He draws a radical conclusion from redescribing an apparent interruption of thought as the coming into prominence of another thought series. That radical conclusion is that the interruption of a train of thought is not possible before death. A train of thought can go into an incubation period, but “there is no… thought belonging to this series, subsequently to which there is not a thought which interprets or repeats it” (ibid.). Here Peirce jumps from a possibility to a postulated necessity. Indeed, he writes, “there is no exception, therefore, to the law that every thought-sign is translated or interpreted in a subsequent one, unless it be that all thought comes to an abrupt and final end in death” (ibid.). One way of justifying Peirce’s reasoning is to note that what is possible would be actualized, given enough time. If enough time has passed and something that is possible is still not actualized, we need to suppose the existence of a counter-force hindering the actualization of that particular possibility. Peirce aggiunge un secondo concetto. Descrivendo nuovamente un’apparente interruzione del pensiero come l’acquisizione di importanza da parte di un’altra serie di pensieri, trae una conclusione radicale. Questa conclusione radicale è che l’interruzione di una concatenazione di pensieri non è possibile prima della morte. Una concatenazione di pensieri può entrare in un periodo di incubazione, ma «non c’è… pensiero che appartiene a questa serie, successivamente al quale non ci sia un pensiero che lo interpreta o lo ripete» (ibid.). Qui Peirce passa da una possibilità a una necessità postulata. Scrive infatti: «non c’è quindi alcuna eccezione alla legge secondo cui ogni pensiero-segno è tradotto o interpretato in uno successivo, tranne quando tutti i pensieri giungono a una fine improvvisa e definitiva con la morte» (ibid.). Se vogliamo giustificare il ragionamento di Peirce possiamo considerare che ciò che è possibile infine si attualizza, se ne ha il tempo sufficiente. Se è trascorso abbastanza tempo e qualcosa di possibile ancora non si è attualizzato, dobbiamo supporre l’esistenza di una forza contraria che impedisce l’attualizzazione di quella particolare possibilità.
Enriched with Peirce’s semiotic view of the human being, I now wish to clarify two Freudian ideas. First, there is Freud’s understanding of repression as a failure to translate a message (an inscription) from a lower level of consciousness into a higher one. In 1925 Freud published two articles, translated as “A Note upon the ‘Mystic Writing-Pad’” and “Negation”. In the first, Freud explicitly concludes that a writing-pad is a good model for the functioning of the perceptual apparatus of our mind (S.E. 19:232). In “Negation”, Freud observed that patients are able to disclose a painful truth upon the condition of being able to deny it as is evident from the following text: “Thus the content of a repressed image or idea can make its way into consciousness, on condition that it is negated” (235). Let us recall Freud’s example of a patient who related a dream with a female figure in it. To the question of who that female could be, the patient answered, “It’s not my mother”. Freud interprets this statement by saying, “So, it is his mother.” Freud continues, “It is as though the patient had said: ‘It’s true that my mother came into my mind as I thought of this person, but I don’t feel inclined to let the association count’“ (ibid.). Con l’aiuto della visione semiotica peirceiana dell’essere umano, vorrei ora spiegare due idee freudiane. Per primo vediamo il concetto freudiano di rimozione come mancata traduzione di un messaggio (un’iscrizione) da un livello inferiore di coscienza a uno superiore. Nel 1925 Freud pubblicò due articoli, tradotti come «Nota sul “notes magico”» e «La negazione». Nel primo, Freud conclude esplicitamente che un notes è un buon esempio del funzionamento dell’apparato percettivo della nostra psiche (OSF 10:68). Nella «Negazione» Freud osservò che i pazienti sono in grado di rivelare una verità spiacevole a condizione di poterla negare, come è evidente nel seguente testo: «Così il contenuto rimosso di un’immagine o di un’idea può farsi strada nella coscienza, a condizione di essere negato» (OSF 10:198). Riprendiamo l’esempio di Freud del paziente che riferiva un sogno dove compariva una figura femminile. Alla domanda su chi potesse essere quella donna, il paziente rispose: «Non è mia madre». Freud interpreta questa affermazione dicendo «Dunque, è sua madre». Freud prosegue: «È come se il paziente avesse detto: “È vero che mi è venuta in mente mia madre pensando a questa persona, ma non sono disposto a considerare questa associazione”» (ibid.).
In Peirce’s semiotic theory, there is a train of thought that produces a female figure, which in turn can be a sign that is to be further interpreted. The thought interpreting the sign is “mother”. However, there is a force resisting that thought, preventing it from being allowed to play the function of interpretant. What is the nature of this force which could interfere with a thought becoming an interpretant? For Peirce, that interfering force is another train of thought, such as, “I know that I do not despise my mother that much.” As a consequence, the first train of thought goes underground and disappears from consciousness. Secondo la teoria semiotica di Peirce, c’è una concatenazione di pensieri che crea una figura femminile, che a sua volta può essere un segno da interpretare ulteriormente. Il pensiero che interpreta il segno è «madre». Tuttavia c’è una forza che si oppone a quel pensiero, e gli impedisce di svolgere la funzione di interpretante. Qual è la natura di questa forza che potrebbe trattenere un pensiero dal diventare un interpretante? Secondo Peirce, la forza che interferisce è un’altra concatenazione di pensieri, quale «so che non disprezzo mia madre a tal punto». Di conseguenza, la prima concatenazione di pensieri viene celata e scompare dalla coscienza.
Let us call all those trains of thought that are not free to let the next thought perform the role of interpretant “unconscious trains of thought.” These unconscious trains of thought will by definition cease to be unconscious when and if a succeeding thought is able to perform the role of interpretant. But, also by definition, there are forces that prevent such interpretative performances (unmediated, unconscious images that dominate a person’s psychic life, other conflicting trains of thought, lack of imagination, lack of appropriate words). Peirce says as much in the following text: Chiamiamo tutte quelle concatenazioni di pensieri che non sono libere di lasciar svolgere al pensiero successivo il ruolo di interpretante «concatenazioni di pensieri inconsce». Queste cesseranno di essere inconsce quando e se un pensiero riuscito sarà in grado di svolgere il ruolo di interpretante. Ma sempre per definizione, queste sono forze che impediscono tali prestazioni interpretative (immagini inconsce non mediate che dominano la vita psichica di un individuo, altre concatenazioni di pensieri in conflitto, mancanza di immaginazione o di parole appropriate). Peirce si esprime in modo simile nel testo seguente:
There are, as I am prepared to maintain, operations of the mind which are logically exactly analogous to inferences excepting only that they are unconscious and therefore not subject to criticism. But that makes all the difference in the world; for inference is essentially deliberate, and self-controlled. Any operation which cannot be controlled, any conclusion which is not abandoned, not merely as soon as criticism has pronounced against it, but in the very act of pronouncing that decree, is not of the nature of rational inference – is not reasoning. (CP 5.108) Ci sono, come sono disposto a sostenere, operazioni della mente che dal punto di vista logico sono esattamente analoghe a inferenze, eccetto solo che sono inconsce e perciò non soggette a critica. Ma questo fa una grande differenza; perché l’inferenza è sostanzialmente intenzionale, e autocontrollata. Ogni operazione che non può essere controllata, ogni conclusione che non è abbandonata, non semplicemente appena la critica si pronuncia a sfavore, ma nell’atto stesso di pronunciare quel giudizio, non è nella natura dell’inferenza razionale, non è un ragionamento. (CP 5.108)
Freud’s demand to be honest leaves the task of interpretative performance to the patient alone. He or she is asked to make the commitment to be honest. However, Freud’s demand to the patient to make a promise to the therapist to be honest means that the healing interpretative performance becomes a joint moral enterprise. When the patient fails in the required interpretative performance, typically by not finding the appropriate interpretant (sign), that is not the end of the effort. The therapist can allow and help the patient to make detours that prepare the needed interpretative performance, that is, finding the appropriate interpretants. La richiesta freudiana di sincerità lascia il compito della prestazione interpretativa al solo paziente. Gli si chiede di impegnarsi ad essere sincero. Tuttavia, la richiesta di Freud al paziente di promettere sincerità al terapeuta significa che la prestazione interpretativa terapeutica diventa un’impresa morale congiunta. Quando il paziente non riesce a  dare l’interpretazione richiesta, di solito perché non trova il (segno) interpretante appropriato, non vuol dire che lo sforzo finisca lì. Il terapeuta può permettere al paziente di fare delle deviazioni e aiutarlo in questo al fine di preparare la prestazione interpretativa richiesta, ovvero trovare gli interpretanti appropriati.
Helping a patient find the appropriate interpretant is exactly what Freud did in the analysis of forgetting of foreign words. When Freud’s friend did not know why he forgot the word aliquis in a Latin proverb, Freud invited him to tell what came to his mind. From aliquis the patient made associations with St. Simon and ritual blood-sacrifice, St. Augustine, and St. Januarius. Freud then offered the interpretation that the calendar saints and the reference to blood are “a brilliant allusion to women’s periods”, which, just like aliquis in the proverb, should not (better not) disappear (S.E. 6:11). It should be noted, however, that even if the therapist is committed to helping the patient to carry out interpretative performance, the therapist is not authorized to perform the semiotic activity for the patient. The promise of truthful semiotic activity was made by the patient, not by the therapist. More importantly, the interpretative activity of the therapist is not semiotic activity of the patient. In the case of Freud’s friend, the semiotic activity of the friend took the form of confessing a number of things, such as having a girlfriend, that the lady in question was Italian, and that he went with her to Naples (ibid.). Aiutare il paziente a trovare l’interpretante appropriato è esattamente ciò che faceva Freud nell’analisi della dimenticanza di parole straniere. Quando il conoscente di Freud disse di non sapere perché aveva dimenticato la parola aliquis in un proverbio latino, Freud lo invitò a dire tutto ciò che gli veniva in mente. Partendo da aliquis il paziente fece delle associazioni con san Simonino e il sacrificio rituale del sangue, sant’Agostino e san Gennaro. Freud allora offrì l’interpretazione che i santi del calendario e il riferimento al sangue fossero «una brillante allusione al ciclo femminile» che, proprio come l’aliquis nel proverbio, non dovrebbe scomparire (sarebbe meglio che non scomparisse) (OSF 4:66). Bisogna osservare, tuttavia, che anche se il terapeuta si impegna ad aiutare il paziente nella prestazione interpretativa, il terapeuta non è autorizzato a svolgere l’attività semiotica al posto del paziente. La promessa di sincera attività semiotica è stata fatta dal paziente, non dal terapeuta. Ancora più importante, l’attività interpretativa del terapeuta non è l’attività semiotica del paziente. L’attività semiotica, nel caso del conoscente di Freud, ha preso la forma della confessione di alcune cose, come il fatto di avere una fidanzata, che la donna in questione era italiana, e che era andato con lei a Napoli (ibid.).
Freud did not possess or did not apply the above rule of semiotic interpretation early in his career. His failure in the case of Dora can be attributed in part to his attempt to impose his own interpretations upon Dora, namely that Dora herself was in love with her seducer, Mr. K. Later in his career, Freud advocated a much more respectful attitude toward patients when giving interpretations, as is evident from his statement, “We do not pretend that an individual construction is anything more than a conjecture which awaits examination, confirmation or rejection” (S.E. 23:265). All’inizio della sua carriera Freud non padroneggiava o non applicava la suddetta regola dell’interpretazione semiotica. Il suo insuccesso nel caso di Dora può essere attribuito in parte al suo tentativo di imporre la propria interpretazione a Dora, cioè che Dora stessa fosse innamorata del suo seduttore, il Sig. K. Più avanti nella sua carriera, Freud assunse un atteggiamento di maggiore rispetto nei confronti dei pazienti quando offriva delle interpretazioni, come risulta evidente dalla sua affermazione «Alla singola costruzione attribuiamo solo il valore di un’ipotesi in attesa di verifica, conferma o confutazione» (OSF 11:549).
The semiotic rule that the patient herself must do the interpreting was clearly expressed by Freud when he wrote that “one must be careful not to give a patient the solution of a symptom or the translation of a wish until he is already so close to it that he has only one short step more to make in order to get hold of the explanation for himself” (S.E. 12:140). Clearly, the later Freud was closer to Peirce’s view of semiotic activity than the Freud who was treating Dora. La regola semiotica che il paziente stesso deve farsi carico dell’interpretazione è stata espressa chiaramente da Freud quando ha scritto che «si dovrà usare prudenza, al fine di non comunicare la soluzione di un sintomo o la traduzione di un desiderio prima che il paziente non vi si trovi talmente vicino da dover fare soltanto un breve passo ancora per impadronirsene egli stesso» (OSF 7:349). Indubbiamente a questo punto della sua carriera Freud era più vicino alla visione peirceiana dell’attività semiotica di quanto non lo fosse mentre curava Dora.
Let us now turn to the Freudian claim that therapeutic activity does not end at the moment when the patient is able to acknowledge intellectually a thought connection, for example, that the female figure in the dream is “mother”. According to Freud, full intellectual acceptance of the repressed does not mean that the repressive process is removed (S.E. 19:236). Ora passiamo all’affermazione di Freud secondo cui l’attività terapeutica non finisce nel momento in cui il paziente è in grado di riconoscere a livello intellettuale una connessione tra i pensieri, per esempio, che la figura femminile del sogno è la «madre». Secondo Freud, l’accettazione intellettuale completa del rimosso non significa che il processo di rimozione sia stato eliminato (OSF 10:198).
Peirce’s pragmatic semiotics allows us to articulate this curious discrepancy between intellectual and emotional acceptance. Peirce rejects an intellectualist semiotics. He argues instead that “the whole function of thought is to produce habits of action” (Peirce 1992, 131). Semiotic activity creates an interpretant that is a guide to action. Semiotic activity can be defective when there is no interpretant or when what appears to be an interpretant is not a guide for action (Vergote 1997, 63). Indeed, as I have argued before, Peirce would say that a patient who accepts, intellectually but not emotionally, that the female figure in his dream must be his mother, even though she is also domineering, has not yet made the connection with the thought that his mother is a domineering woman, because knowing that a person is domineering includes the rule for action: be on your guard against such a person. I interpret Peirce to claim that it is false to believe that one knows that a particular person is domineering without accepting and acting upon the rule: be on your guard against such a person. La semiotica pragmatica peirceiana ci permette di esprimere questa insolita discrepanza tra l’accettazione intellettuale e quella emotiva. Peirce rifiuta una semiotica intellettualista e sostiene invece che «l’intera funzione del pensiero è di produrre abitudini pratiche» (Peirce 1992:131). L’attività semiotica crea un interpretante che dà indicazioni di comportamento. L’attività semiotica può essere inadeguata quando manca l’interpretante o quando ciò che sembra un interpretante non riesce a dare indicazioni pratiche (Vergote 1997:63). Anzi, come ho affermato in precedenza, Peirce direbbe che un paziente che accettasse, a livello intellettuale ma non emotivo, che la figura femminile del suo sogno è la madre, sebbene sia dominante, non ha ancora fatto il collegamento con il pensiero che la madre è una donna dominante, perché essere consapevoli che una persona è dominante significa accettare la regola di comportamento: stai in guardia da una persona così. Credo che Peirce intendesse dire che è sbagliato credere che qualcuno possa sapere che una certa persona è dominante senza accettare la regola: stai in guardia da una persona così e agisci di conseguenza.
What Peirce explicitly connects, Freud leaves separated. It seems to me that Freud does not interpret the promise to be honest as also including the requirement that the patient be able to find a proper guide for action. He does not do so because he believes that repression makes satisfactory action impossible, because “the patient’s condition is such that, until her repressions are removed, she is incapable of getting real satisfaction” (S.E. 12:165). Freud is so convinced about the inability of the patient to find a proper guide for action that he demands that treatment be made in a state of abstinence (153-54). Describing the reasons for not allowing the patient to make substantial decisions during psychoanalytic treatment, he writes, “The patient’s need and longing should be allowed to persist in her, in order that they may serve as forces impelling her to do work and to make changes, and… we must beware of appeasing those forces by means of surrogates” (165). For Freud, the work of true self-revelation is a precondition for satisfactory decision-making. Ciò che Peirce collega esplicitamente, Freud lascia separato. Ho l’impressione che Freud non interpreti la promessa di sincerità anche in funzione della necessità per il paziente di trovare istruzioni di comportamento adeguate. Non lo fa perché crede che la rimozione renda impossibile agire in modo opportuno, poiché «la paziente – per il suo stato e fintanto che non sono eliminate le rimozioni – è incapace di appagamento effettivo» (OSF 7:368). Freud è talmente convinto dell’incapacità della paziente di trovare un’indicazione di comportamento adeguata che richiede di effettuare la cura in stato di astinenza (367). Descrivendo i motivi per cui non si deve consentire al paziente di prendere decisioni concrete nel corso della terapia psicoanalitica, scrive: «occorre lasciar persistere nella malata i bisogni e i desideri, come forze propulsive al lavoro e al mutamento, evitando quindi di metterli a tacere con surrogati» (368). Per Freud il lavoro di vera autorivelazione è una precondizione per prendere decisioni adeguate.
Freud and Peirce might, however, not be so far apart. Indeed, Pierce sees a connection between semiotic activity and the creation of a guide for action. Freud sees a connection between the inability to discover any guide for action and the inability to produce true self-revelation because of the presence or repression. Freud clearly gives priority to semiotic activity separated from any concerns for immediate action in order to prepare for semiotic activity that once more can provide a guide for action. However, in his later writings Freud develops a position that is similar to Peirce’s. He stresses that it is the patient who must find action-directed semiotic activity. Freud advises against the therapist suggesting sublimation possibilities when talking has undone inhibitions: “As a doctor, one must above all be tolerant to the weakness of a patient… many people fall ill precisely from an attempt to sublimate their instincts beyond the degree permitted by their organization and… in those who have a capacity for sublimation the process usually takes place of itself as soon as their inhibitions have been overcome by analysis” (119). Tuttavia, Freud e Peirce potrebbero non essere così distanti l’uno dall’altro. È vero che Peirce vede un collegamento tra attività semiotica e creazione di istruzioni di comportamento. Freud vede un collegamento tra l’incapacità di trovare istruzioni di comportamento e l’incapacità di una vera autorivelazione a causa della rimozione. Freud attribuisce chiaramente la priorità a un’attività semiotica separata da qualsiasi preoccupazione d’azione immediata per essere pronti a un’attività semiotica che ancora una volta possa offrire indicazioni pratiche. Tuttavia, nei suoi ultimi scritti Freud sviluppa una posizione simile a quella di Peirce. Sottolinea che è il paziente a dover trovare un’attività semiotica finalizzata all’azione. Freud mette in guardia dai terapeuti che ipotizzano possibilità di sublimazione quando il dialogo ha delle inibizioni incompiute: «Come medici dobbiamo essere innanzitutto tolleranti verso la debolezza del malato […] molte persone si sono ammalate proprio nel tentativo di sublimare le pulsioni oltre la misura consentita dalla loro organizzazione, mentre in coloro che hanno capacità di sublimazione questo processo suole compiersi da sé, appena le loro inibizioni siano state superate attraverso l’analisi» (OSF 6:540).
If we interpret sublimation as successful action, we can affirm that Freud, like Peirce, connects successful human action with the action being grounded in the semiotic context. Freud sees truthful self-revelation as a precondition for such self-directed action. Freud does not fully analyze the nature of successful sublimation as self-directed action. Peirce calls it successful semiotic activity or semiosis. Se interpretiamo la sublimazione come azione riuscita, possiamo affermare che Freud, come Peirce, collega la riuscita delle azioni dell’uomo con il loro fondamento nel contesto semiotico. Freud considera l’autorivelazione sincera una precondizione per tali azioni autodirette. Freud non analizza del tutto la natura della sublimazione riuscita come azione autodiretta. Peirce la chiama «attività semiotica riuscita» o «semiosi».
Conclusion Conclusioni
A structuralist analysis of language sees the liberating possibilities of language mainly in its differentiating function. Freud makes two moral requests of his patients: that they be honest, and that they promise to be honest. Peirce’s view of language allows us to make sense of Freud’s demand of honesty. Peirce affirms that human beings have the capability of performing semiotic activity in which particulars can be labeled truthfully, and thus one can say that commitment to honesty is note an empty commitment. Peirce’s view of language allows us also to clarify Freud’s moral demand that his patients promise to be honest. The promise to the therapist makes the patient and the therapist moral coworkers. The patient accepts the burden of truthful semiotic activity, which, in Peirce’s view, leads to the creation of an interpretant that is a guide for action. The therapist accepts the burden of helping the patient toward such liberating semiotic activity. In his later writings, Freud stresses that such help needs to restrain itself in order to allow the patient to perform the semiotic activity him- or herself. The request for honesty affirms in the patient a form of agency that is only fully realized if the patient him- or herself can perform semiotic activity and if that semiotic activity will become action-guiding in a successful way. Un’analisi strutturalistica della lingua vede le possibilità liberatorie della lingua principalmente nella sua funzione differenziante. Freud fa due richieste morali ai suoi pazienti: essere sinceri e promettere di essere sinceri. La concezione peirceiana della lingua ci permette di dare un senso alla richiesta freudiana di sincerità. Peirce afferma che gli esseri umani hanno la capacità di svolgere un’attività semiotica i cui particolari possono essere definiti sinceramente, e quindi si può dire che l’impegno alla sincerità non è insignificante. La visione peirceiana della lingua ci consente anche di spiegare la richiesta morale di Freud che i suoi pazienti promettano di essere sinceri. La promessa al terapeuta rende paziente e terapeuta collaboratori morali. Il paziente accetta il fardello di una sincera attività semiotica, che, secondo Peirce, porta alla creazione di un interpretante che offre istruzioni di comportamento. Il terapeuta accetta il fardello di aiutare il paziente in questa attività semiotica liberatoria. Negli ultimi scritti, Freud sottolinea che tale aiuto deve limitarsi per permettere al paziente di svolgere da sé l’attività semiotica. La richiesta di sincerità conferma nel paziente un tipo di attività che si realizza completamente solo se il paziente stesso è in grado di svolgere un’attività semiotica e se tale attività offre valide istruzioni di comportamento.
Notes Note
I benefited from suggestions and comments made by Joseph Brent and John Muller and from the editorial assistance of Thane Naberhaus and Joe Kakesh. Mi sono avvalso dei consigli e dei commenti di Joseph Brent e John Muller e dell’assistenza redazionale di Thane Naberhaus e Joe Kakesh.
References Riferimenti bibliografici
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«Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi. Inizio del trattamento», 1913, vol. 7, pagine 333-352.

«Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi. Ricordare, ripetere, rielaborare», 1914, vol. 7, pagine 353-361.

«Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi. Osservazioni sull’amore di traslazione», 1914, vol. 7, pagine 362-374.

«Negazione», 1925, vol. 10, pagine 195-201.

«Nota sul “notes magico”», 1924, vol. 10, pagine 59-68

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Vergote, Antoine, La Psychanalyse à l’Épreuve de la Sublimation, Paris, Les Éditions du Cerf, 1997.

 

 

 

 

 

 

 

 

2. GLOSSARIO

 

 

In questa sezione sono presenti:

 

  • Un glossario di consultazione rapida inglese-italiano che contiene i termini inglesi con i rispettivi traducenti italiani;
  • Le schede terminologiche relative a tutti i termini elencati nel glossario di consultazione rapida.

Ogni scheda riporta il termine inglese, il traducente italiano, il dominio di appartenenza (psicoanalisi o semiotica), una frase in cui appare il termine all’interno del testo, la definizione in italiano e l’indicazione della fonte da cui è tratta la definizione.

Tutte le fonti che compaiono nelle schede sono riportate per esteso nei riferimenti bibliografici a pag. 74.

Le schede presentano anche una casella per eventuali note; nel caso dei termini relativi alla psicoanalisi, in questa casella è indicato il termine tedesco originale da cui deriva quello inglese usato dall’autore nel testo.

 

 

 

2.1 GLOSSARIO DI CONSULTAZIONE RAPIDA INGLESE – ITALIANO

 

TERMINE INGLESE TERMINE ITALIANO
Abduction Abduzione
Abstinence Astinenza
Consciousness Coscienza
Couch Divano
Domineering Dominante
Dream Sogno
Free association Libera associazione
Fundamental rule Regola fondamentale
Habit Abitudine
Hypnosis Ipnosi
Imaginary Immaginario
Interpretant Interpretante
Interpretation Interpretazione
Motivation Motivazione
Negation Negazione
Neurosis Nevrosi
Phoneme Fonema
Psychoanalysis Psicoanalisi
Recognition Riconoscimento
Representation Rappresentazione
Repression Rimozione
Resistance Resistenza
Semiosis Semiosi
Semiotics Semiotica
Sign Segno
Signified Signifié
Signifier Signifiant
Speech Discorso
Structuralism Strutturalismo
Sublimation Sublimazione
Symptom Sintomo
Unconscious Inconscio

 

 

 

 

2.2 SCHEDE TERMINOLOGICHE

 

TERMINE EN: Abduction Dominio: Semiotica
TERMINE IT: Abduzione Fonte definizione: Osimo 2011:259.
Contesto: «A hypothesis or abduction, therefore, is the ability to conclude from observing in one object a number of characteristics that this object is a member of a certain class having a number of additional characteristics, some of which are not immediately visible but for which evidence can be found» pagine 21-22.
Definizione: «Tipo particolare di inferenza logica che consiste nel risalire, sulla base di un evento, alla regola generale che spiega tale evento. L’abduzione propone solo congetture, quindi con un valore di incertezza molto elevato; tuttavia queste congetture, quando si rivelino rispondenti alla realtà, danno modo di interpretarla con un elevatissimo tasso di creatività. Il termine è stato coniato da Charles Sanders Peirce, fondatore della semiotica.»
Note: Il termine non va confuso con «induction» (induzione), che indica il processo logico per cui dall’osservazione di casi particolari si sale ad affermazioni universali.

 

TERMINE EN: Abstinence Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Astinenza Fonte definizione: Galimberti 1999:52.
Contesto: «Freud is so convinced about the inability of the patient to find a proper guide for action that he demands that treatment be made in a state of abstinence» pagina 40.
Definizione: Regola che caratterizza la situazione analitica vietando all’analista il soddisfacimento dei desideri del paziente e obbligandolo ad astenersi da consigli sulla vita reale dello stesso. L’astinenza contrasta il principio di piacere, a cui tendono le dinamiche inconsce, e tutela l’autonomia del paziente.
Note: Termine DE: Abstinenz

 

TERMINE EN: Consciousness Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Coscienza Fonte definizione: American Psychoanalitic Association 1993.
Contesto: «The significant change from the first to the third (and last) method was that talking was now done without hypnosis and thus with the patients’ full consciousness and full possession of will» pagina 8.
Definizione: «Consapevolezza (coscienza) mentale degli eventi esterni e dei fenomeni mentali. […] Gli stati alterati della coscienza sono conseguenza di fattori psicologici e fisiologici come per esempio il sonno, la fatica, la malattia, l’ipnosi e le sostanze chimiche. Di norma comportano ipervigilanza o una minore consapevolezza degli stimoli esterni, oltre alla sospensione di funzioni dell’Io come l’esame di realtà.»
Note: Termine DE: Bewusstsein

 

TERMINE EN: Couch Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Divano Fonte definizione: Galimberti 1999:52.
Contesto: «Later he introduced the method of having his patients lie on a couch to talk about anything that came to mind» pagina 8.
Definizione: Elemento della cornice formale e delle regole che sono alla base della seduta analitica come è prevista dall’ortodossia della scuola freudiana. Il divano su cui si sdraia il paziente favorisce la regressione necessaria al trattamento analitico in vista della successiva ricostruzione e disloca il paziente dalla forma abituale della comunicazione quotidiana facilitandogli un contatto col mondo dei ricordi e dei sogni. Derivato dai primi trattamenti che sfruttavano l’effetto catartico dell’ipnosi, il divano è stato mantenuto nella pratica analitica da Freud.
Note: Termine DE: Couch

 

TERMINE EN: Domineering Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Dominante Fonte definizione: Galimberti 1999:334.
Contesto: «I guess I have to conclude that this domineering figure in my dream is my mother, because the hair, the blouse, the bracelet, the shoes all belong to my mother» pagina 26.
Definizione: Caratteristica di una persona che assume un ruolo di potere nei confronti degli altri.
Note: Termine DE: dominierend

 

TERMINE EN: Dream Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Sogno Fonte definizione: Galimberti 1999:983.
Contesto: «Take Freud’s example: “You ask who this figure in the dream can be.” The reported answer is: “It’s not my mother”» pagina 18.
Definizione: Attività mentale che si svolge durante il sonno e di cui è possibile conservare, dopo il risveglio, immagini, pensieri, emozioni che hanno caratterizzato la scena onirica. La psicoanalisi di Freud assegna al sogno un significato psicologico rintracciabile attraverso l’interpretazione. Il sogno è la forma nella quale un pensiero scartato dal preconscio, o persino dalla coscienza della vita vigile, ha potuto rifondersi grazie alle favorevoli condizioni create dallo stato di sonno.
Note: Termine DE: Traum

 

TERMINE EN: Free association Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Libera associazione Fonte definizione: Galimberti 1999:105-106.
Contesto: «Normal speech excludes. The purpose of the exclusion is to keep the unity of the story; however, it restricts the revealing process. Letting go of our control, responsible for producing unity in our story, so that indefinite revelation may occur in speaking is a process that Freud called free association» pagine 7-8.
Definizione: La libera associazione è la regola fondamentale, nel trattamento analitico, per la ricognizione dell’inconscio e l’interpretazione dei sogni. Si chiede al paziente di rinunciare volontariamente, per quanto gli riesce, alla censura cosciente e di esprimere liberamente i suoi pensieri, sentimenti, speranze, sensazioni, idee, senza badare se gli sembrano sgradevoli, insensati, non pertinenti o non rilevanti. Freud assegna alla scoperta della libera associazione l’emancipazione della psicoanalisi dalle metodiche ipnotiche, prima praticate, che non consentivano al paziente una presa di coscienza dei contenuti inconsci che emergevano durante il trattamento. La libera associazione è influenzata anche da resistenze che possono risultare indicative di ciò che il paziente vuole tacere o evitare di conoscere.
Note: Termine DE: Freie Assoziation

 

TERMINE EN: Fundamental rule Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Regola fondamentale Fonte definizione: Galimberti 1999:895.
Contesto: «In his “Further Recommendations on the Technique of Psychoanalysis”, Freud writes about the fundamental rule of psychoanalysis when he admonishes his patients…» pagina 6.
Definizione: Regola che struttura la situazione analitica dove l’analizzato è invitato a dire tutto ciò che pensa senza scegliere o tralasciare nulla di ciò che gli viene in mente. Questo procedimento è indicato da Freud come una delle tre vie di accesso all’inconscio; al medesimo scopo servono l’interpretazione dei sogni del paziente e l’analisi delle sue azioni mancate e casuali.
Note: Termine DE: Grundregel

 

TERMINE EN: Habit Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Abitudine Fonte definizione: Galimberti 1999:2.
Contesto: «This is all the more difficult, because for Peirce, knowledge of particulars leads to the formation of habits because of the successful action that it gives rise to» pagina 31.
Definizione: Prodotto terminale dell’apprendimento che si esprime in una modalità d’essere e di agire che tende a ripetersi in forma pressoché identica. In quanto acquisita, l’abitudine si distingue dagli automatismi innati che sono condotte motorie che si attivano di fronte a determinate stimolazioni.
Note: Termine DE: Gewohnheit

 

TERMINE EN: Hypnosis Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Ipnosi Fonte definizione: Galimberti 1999:556.
Contesto: «The significant change from the first to the third (and last) method was that talking was now done without hypnosis and thus with the patients’ full consciousness and full possession of will» pagina 8.
Definizione: Condizione psichica, eteroindotta o autoindotta, caratterizzata da uno stato intermedio tra la veglia e il sonno, denominato trance, dove si assiste a una riduzione delle capacità critiche, un aumento della suggestionabilità e una limitazione dell’attenzione alle sole richieste formulate dall’ipnotizzatore. Freud utilizzò l’ipnosi nel trattamento dell’isteria, ma successivamente si rese conto che la condizione di semincoscienza in cui si trova il paziente in condizioni ipnotiche non consente a quest’ultimo di elaborare il proprio vissuto psichico, per cui il sintomo scomparso può riapparire sotto altra forma. Fu così che Freud abbandonò il metodo catartico indotto per via ipnotica per inaugurare la psicoanalisi.
Note: Termine DE: Hypnose

 

TERMINE EN: Imaginary Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Immaginario Fonte definizione: Galimberti 1999:509.
Contesto: «Jacques Lacan has relied upon a structuralist interpretation of language in order to highlight the help that speaking can provide in dealing with resistances originating, for instance, in unconscious unmediated images (the imaginary)» pagina 13.
Definizione: L’immaginario per Lacan è una delle tre dimensioni essenziali del campo psichico da lui articolato in: reale, immaginario e simbolico. La nozione di immaginario è stata elaborata da Lacan nella descrizione dello stadio dello specchio dove il bambino confonde se stesso con la sua immagine riflessa. L’immaginario è quell’Io colto nello specchio, esterno al soggetto e oggettivizzato.
Note:

 

TERMINE EN: Interpretant Dominio: Semiotica
TERMINE IT: Interpretante Fonte definizione: Volli 2003:22.
Contesto: «The two strings of characteristics are summarized by two different labels, or in the language of Peirce, two different interpretants» pagina 26.
Definizione: L’interpretante è una qualunque altra rappresentazione riferita allo stesso oggetto. L’unico modo che abbiamo per conoscere l’oggetto di un segno passa per la formulazione di un altro segno che lo interpreti. L’interpretazione non deve necessariamente assumere una forma verbale.
Note:

 

TERMINE EN: Interpretation Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Interpretazione Fonte definizione: Galimberti 1999:542-543.
Contesto: «His failure in the case of Dora can be attributed in part to his attempt to impose his own interpretations upon Dora, namely that Dora herself was in love with her seducer, Mr. K.» pagine 37-38.
Definizione: Attribuzione di un significato a un’apertura di senso. L’interpretazione psicoanalitica per Freud qualifica la psicoanalisi distinguendola da tutte le altre psicologie. L’interpretazione di un sogno, di un sintomo, di un lapsus, consiste nel determinare il suo significato. Per questo occorre cogliere il significato latente delle produzioni del paziente e, nella cura, comunicarglielo per consentirgli di rendere conscio l’inconscio.
Note: Termine DE: Interpretation

 

TERMINE EN: Motivation Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Motivazione Fonte definizione: Galimberti 1999:667-668.
Contesto: «Motivation is often guided by images. A mother says that she made her son a lawyer. Her somewhat passive son might fuse in the image that sustains his decision to remain a lawyer not only the desire of the mother but also all kinds of reasons» pagina 15.
Definizione: Fattore dinamico del comportamento animale e umano che attiva e dirige un organismo verso una meta. Le motivazioni possono essere coscienti o inconsce. La teoria psicoanalitica sposta la ricerca della motivazione dal piano conscio al piano inconscio, dove le pulsioni sessuali e aggressive determinano i comportamenti in base alle vicissitudini a cui queste pulsioni vanno incontro.
Note: Termine DE: Motivierung

 

TERMINE EN: Negation Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Negazione Fonte definizione: Galimberti 1999:679.
Contesto: «Elsewhere, he interprets a negation followed by either new material or an indirect confirmation (associations of similar nature, etc.) as a confirmation of the partial truth of the negated interpretation» pagina 25.
Definizione: Termine psicoanalitico introdotto da Freud per indicare quella modalità per cui contenuti rimossi possono accedere alla coscienza alla sola condizione di essere negati. La negazione è un modo per prendere conoscenza del rimosso, in verità è già una revoca della rimozione, non certo però un’accettazione del rimosso.
Note: Termine DE: Verneinung

 

TERMINE EN: Neurosis Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Nevrosi Fonte definizione: Galimberti 1999:692-693.
Contesto: «Psychoanalytic treatment must have no regard for any consideration, because the neurosis and its resistances are themselves without any such regard» pagina 9.
Definizione: Disturbo psichico senza causa organica i cui sintomi sono interpretati dalla psicoanalisi come espressione simbolica di un conflitto che ha le sue radici nella storia del soggetto e che costituisce un compromesso tra il desiderio e la difesa.
Note: Termine DE: Neurose

 

TERMINE EN: Phoneme Dominio: Semiotica
TERMINE IT: Fonema Fonte definizione: Beccaria 1996:307.
Contesto: «The structuralist view of language, introduced by Ferdinand de Saussure, stresses the idea that language is not possible without difference. That difference is present in the basic building blocks of language – sounds (phonemes) – but it is also present in words and their meanings» pagina 13.
Definizione: Minima unità fonologica che, entro la lingua in questione, non si lascia analizzare in unità fonologiche più piccole e successive. Il suono linguistico considerato in quanto entità di un particolare sistema, oggetto di studio della fonologia.
Note:

 

TERMINE EN: Psychoanalysis Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Psicoanalisi Fonte definizione: American Psychoanalitic Association 1993.
Contesto: «Psychoanalysis attempts to help people who are caught up in dead-end strategies. It uses language to liberate them from these strategies» pagina 5.
Definizione: «Disciplina scientifica elaborata da Sigmund Freud e dai suoi seguaci incentrata sullo studio della psicologia umana. Solitamente si considera che abbia tre campi di applicazione: 1. metodi di indagine della mente; 2. corpo sistematico di conoscenze sul comportamento umano (teoria psicoanalitica); e 3. modalità di terapia per malattie emozionali (trattamento psicoanalitico). Il metodo di indagine comporta l’uso dell’associazione libera e l’analisi dei sogni, dei processi di pensiero e del comportamento in relazione agli affetti. Il termine metodologia psicoanalitica solitamente si riferisce allo studio sistematico del metodo psicoanalitico in sé.»
Note: Termine DE: Psychoanalyse

«Psicoanalisi» è considerata la dicitura corretta, mentre il termine «Psicanalisi» (senza la «o») si riferisce solo alla psicoanalisi di orientamento lacaniano.

 

TERMINE EN: Recognition Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Riconoscimento Fonte definizione: Galimberti 1999:905.
Contesto: «One possible way to clarify the meaning of these additional resources is to argue that a promise to another involves the hope for recognition by that other» pagina 11.
Definizione: «Figura della motivazione che è alla base di quelle forme di autorealizzazione che in ambito sociale induce al raggiungimento del prestigio, del potere e dell’affermazione di sé per soddisfare quelle che dal punto di vista psicoanalitico sono indicate come esigenze connesse al narcisismo, all’ideale dell’Io o a tendenze aggressive sublimate.»
Note: Termine DE: Anerkennung

 

TERMINE EN: Representation Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Rappresentazione Fonte definizione: Galimberti 1999:887.
Contesto: «He might start “giving involuntarily indices [about the role of his mother] which the astute analyst will seize upon in order to transform unconscious representations into language”» pagina 16.
Definizione: In psicologia si intende per rappresentazione il rinnovarsi dell’esperienza percettiva in assenza dello stimolo sensoriale. La rappresentazione consente di tenere mentalmente presenti situazioni o oggetti un tempo percepiti ma al momento assenti.
Note: Termine DE: Vorstellung

 

TERMINE EN: Repression Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Rimozione Fonte definizione: Galimberti 1999:910.
Contesto: «He does not do so because he believes that repression makes satisfactory action impossible, because “the patient’s condition is such that, until her repressions are removed, she is incapable of getting real satisfaction”» pagina 40.
Definizione: Termine psicoanalitico che si riferisce a un processo inconscio che consente di escludere dalla coscienza determinate rappresentazioni connesse a una pulsione il cui soddisfacimento sarebbe in contrasto con altre esigenze psichiche. In quanto processo inconscio, la rimozione va distinta dalla repressione che è cosciente.
Note: Termine DE: Verdrängung

 

TERMINE EN: Resistance Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Resistenza Fonte definizione: Galimberti 1999:899-900.
Contesto: «Later, under the dominance of the resistances, obedience to it [the fundamental rule] weakens, and there comes a time in every analysis when the patient disregards it» pagina 9.
Definizione: Termine psicoanalitico che si riferisce all’opposizione inconscia, da parte del soggetto sottoposto ad analisi, ad accedere alle proprie dinamiche profonde. Secondo Freud la resistenza si accentua man mano che nel trattamento analitico ci si avvicina al nucleo centrale patogeno.
Note: Termine DE: Widerstand

 

TERMINE EN: Semiosis Dominio: Semiotica
TERMINE IT: Semiosi Fonte definizione: Volli 2003:21.
Contesto: «Peirce calls it successful semiotic activity or semiosis» pagina 42.
Definizione: Processo di produzione e circolazione del senso. Interviene solo nel momento in cui qualcuno istituisce un nesso tra un’unità, che in questo momento diventa espressione (un suono, un fenomeno atmosferico ecc.) e un’unità che funge da contenuto.
Note:

 

TERMINE EN: Semiotics Dominio: Semiotica
TERMINE IT: Semiotica Fonte definizione: Beccaria 1996:648-650.
Contesto: «Peirce’s pragmatic semiotics allows us to articulate this curious discrepancy between intellectual and emotional acceptance. Peirce rejects an intellectualist semiotics» pagina 39.
Definizione: Teoria generale dei segni sia verbali sia non verbali, in ordine alla loro significazione, produzione, trasmissione e interpretazione. Pur avendo origini lontanissime nel tempo, la semiotica si è costituita come scienza con Ch. S. Peirce e F. de Saussure, da cui la duplice denominazione di semiotica in ambito anglofono e semiologia in ambito francofono. Per Saussure la semiologia è la naturale estensione della linguistica, e il segno è l’unione arbitraria (cioè convenzionale) di un significante e di un significato. Peirce invece articola una semiotica intorno alla nozione di interpretante, per cui un segno ne interpreta un altro, e intorno alla tripartizione dei segni in indici, icone e simboli a seconda che abbiano un rapporto di contiguità, similarità o convenzionalità col loro referente.
Note:

 

TERMINE EN: Sign Dominio: Semiotica
TERMINE IT: Segno Fonte definizione: Osimo 2011:25-26-310.
Contesto: «In Peirce’s semiotic theory, there is a train of thought that produces a female figure, which in turn can be a sign that is to be further interpreted. The thought interpreting the sign is “mother”» pagine 34-35.
Definizione: «Nella semiotica di Peirce, è “segno” qualsiasi oggetto che sia interpretato come tale; in tale categoria rientrano tanto gli oggetti quanto le parole. Restringendo la questione al solo testo verbale, le parole sono segni che rimandano, attraverso interpretanti, a oggetti.» Mentre Peirce produceva questo concetto, il linguista elvetico Saussure elaborava la sua teoria del segno in totale indipendenza e con risultati molto diversi: per Saussure il segno è la relazione tra un significato e un significante, vale a dire tra un concetto e un’immagine acustica. Si tratta di una concezione bidimensionale, mentre Peirce introduce un terzo elemento, l’interpretante, che aggiunge una dimensione soggettiva e realistica. Secondo Peirce un segno non rimanda direttamente all’oggetto che vuole significare, ma tale riferimento è mediato dalla mente della persona che sta codificando il segno stesso.
Note:

 

TERMINE EN: Signified Dominio: Semiotica
TERMINE IT: Signifié Fonte definizione: Beccaria 1996:655.
Contesto: «Instead, he defined the meaning of a word (the signified) as a chunk of the universe of all meaning» pagina 14.
Definizione: La dicotomia signifié-signifiant si è diffusa nella linguistica moderna a partire da Saussure, anche se ha radici più antiche. Il signifié è la parte del segno che indica ciò che vogliono dire le parole, cioè il loro senso, le cose a cui si riferiscono.
Note: Il termine francese Signifié è usato abitualmente anche nella lingua italiana, anche se è possibile tradurlo con il termine italiano «Significato».

 

TERMINE EN: Signifier Dominio: Semiotica
TERMINE IT: Signifiant Fonte definizione: Beccaria 1996:655.
Contesto: «The chunk of meaning attached to a word is the meaning left over by all the other signifiers» pagina 14.
Definizione: La dicotomia signifié-signifiant si è diffusa nella linguistica moderna a partire da Saussure, anche se ha radici più antiche. Il signifiant è la parte del segno che indica le parole in quanto si distinguono da ciò che vogliono dire, dal loro senso.
Note: Il termine francese Signifiant è usato abitualmente anche nella lingua italiana, anche se è possibile tradurlo con il termine italiano «Significante».

 

TERMINE EN: Speech Dominio: Semiotica
TERMINE IT: Discorso Fonte definizione: Osimo 2011:276.
Contesto: «In order to clarify how therapy can help the patient move beyond mere intellectual acceptance of truth and toward emotional acceptance of it, we need to understand the intersubjective dimension of speech» pagina 27.
Definizione: «Testo verbale attualizzato, non necessariamente orale. Ogni discorso costituisce un sistema culturale.»

 

Note:

 

 

TERMINE EN: Structuralism Dominio: Semiotica
TERMINE IT: Strutturalismo Fonte definizione: Beccaria 1996:704-706.
Contesto: «I then argue that structuralism is capable of highlighting very well the differentiating function of language which helps the mentally ill person to liberate herself from the domination of unmediated images…» pagina 5.
Definizione: Il termine può essere usato per indicare due movimenti della cultura del Novecento, collegati ma distinti. Il primo è relativo alla linguistica strutturale e si riferisce principalmente alla linguistica di ispirazione saussuriana in Europa, e di ispirazione bloomfieldiana negli Stati Uniti. Fra le principali tendenze in Europa troviamo, oltre al gruppo saussuriano di Ginevra, la scuola di Praga con Trubeckoj e Jakobson e la scuola di Copenhagen con Hjelmslev. Il secondo movimento, per il quale si usa l’etichetta di strutturalismo in generale, è un fenomeno principalmente francese, che si manifesta soprattutto negli anni Sessanta, e che segna l’adozione di concetti della linguistica strutturale in tutta una serie di discipline, dalla storia, all’antropologia alla psicoanalisi (Lacan), alla critica letteraria. La teoria psicoanalitica elaborata da Lacan ha preso le mosse da Freud e dalla sua terapia basata sul dialogo; secondo Lacan questa è possibile solo se si prende alla lettera che l’inconscio è strutturato come un linguaggio e come tale è da trattare con gli strumenti dello strutturalismo e della linguistica.
Note:

 

TERMINE EN: Sublimation Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Sublimazione Fonte definizione: Galimberti 1999:1013.
Contesto: «Freud advises against the therapist suggesting sublimation possibilities when talking has undone inhibitions» pagina 41.
Definizione: Termine psicoanalitico che indica il meccanismo responsabile dello spostamento di una pulsione sessuale o aggressiva verso una meta non sessuale e non aggressiva che trova una valorizzazione a livello sociale, come l’attività artistica o la ricerca intellettuale.
Note: Termine DE: Sublimierung

 

TERMINE EN: Symptom Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Sintomo Fonte definizione: Galimberti 1999:977.
Contesto: «This therapeutic method took the place of hypnosis, a technique that Freud had used in making symptoms disappear» pagina 8.
Definizione: Indizio di uno stato morboso. In medicina si fa la distinzione tra il segno, che è un fenomeno oggettivo che l’esaminatore assume come indice di un processo patologico, e il sintomo che è un fenomeno soggettivo avvertito dal paziente e che va poi decodificato. In psicoanalisi Freud individua nella rimozione l’evento responsabile della formazione di un sintomo. Lacan, adottando la terminologia saussuriana che distingue tra significante e significato, tratta il sintomo come un segno linguistico che funge da significante di un elemento inconscio.
Note: Termine DE: Symptom

 

TERMINE EN: Unconscious Dominio: Psicoanalisi
TERMINE IT: Inconscio Fonte definizione: Galimberti 1999:518-21.
Contesto: «The first idea is a description of a process crucial to obtaining access to the unconscious. The second idea is a promise of absolute honesty» pagina 7.
Definizione: L’aggettivo si riferisce a tutti quei contenuti psichici che non compaiono nell’orizzonte attuale della coscienza. Il sostantivo indica il luogo dell’apparato psichico dove si trovano tutti quei contenuti a cui è stato rifiutato l’accesso al sistema conscio tramite la rimozione.
Note: Termine DE: Unbewusste

 

 

 

3. POSTFAZIONE

 

 

3.1 ANALISI TESTUALE DELL’ORIGINALE

 

Il saggio tecnico che ho tradotto è tratto dalla raccolta Peirce, Semiotics, and Psychoanalysis, edita da The Johns Hopkins University Press di Baltimore nel 2000 a cura di John Muller e Joseph Brent. Il volume contiene i seguenti dieci saggi che analizzano le teorie del fondatore della semiotica Charles Sanders Peirce in relazione alla psicoanalisi freudiana:

 

  • A Brief Introduction to the Life and Thought of Charles Sanders Peirce di Joseph Brent;
  • Peircean Reflections on Psychotic Discourse di James Phillips;
  • Protolinguistic Phenomena in Psychoanalysis di John E. Gedo;
  • Hierarchical Models in Semiotics and Psychoanalysis di John Muller;
  • Feeling and Firstness in Freud and Peirce di Joseph H. Smith;
  • Peirce and Freud. The Role of Telling the Truth in Therapeutic Speech di Wilfried Ver Eecke;
  • Peirce and Psychopragmatics: Semiosis and Performativity di Angela Moorjani;
  • Peirce and Derrida: From Sign to Sign di David Pettigrew;
  • Further Consequences of a Singular Capacity di Vincent Colapietro;
  • Gender, Body, and Habit Change di Teresa de Lauretis.

 

 

 

 

3.1.1 L’autore

 

L’autore del saggio è Wilfried Ver Eecke, professore di filosofia e psicologia presso la Georgetown University di Washington, D.C. negli Stati Uniti, dove insegna dal 1967. Svolge inoltre l’attività di consulente filosofico e psicoterapeuta.

Ha conseguito un dottorato in filosofia all’Università di Lovanio in Belgio, un master in economia alla Georgetown University ed è stato ammesso per la formazione psicoanalitica alla Freudian Society di New York.

I suoi interessi e campi di ricerca sono principalmente: Hegel; la filosofia della psicoanalisi con particolare interesse per i problemi etici connessi alla cura dei malati mentali; etica ed economia; filosofia contemporanea; il concetto di persona; la filosofia politica e sociale.

 

3.1.2 Il saggio

 

Il saggio «Peirce and Freud. The Role of Telling the Truth in Therapeutic Speech» tratta la visione semiotica di Peirce e la sua applicazione alla psicoanalisi. È un testo specialistico pensato per un pubblico colto e competente in materia di psicologia e di semiotica. Molti concetti vengono dati per scontati, non vengono spiegati e si presume quindi che i lettori già conoscano l’ambito di studio.

Vi sono inoltre molte citazioni tratte da opere di altri autori che presentano la difficoltà di inquadrare esattamente il contesto per chi non avesse delle conoscenze di base sull’argomento.

A livello sintattico, il testo si presenta abbastanza frammentato. L’autore spesso privilegia l’uso di frasi brevi e delle ripetizioni, e il ritmo di lettura di conseguenza viene spesso spezzato. Sono presenti molti termini settoriali sia della semiotica, sia della psicologia e psicoanalisi.

 

 

 

 

3.2 ANALISI TRADUTTOLOGICA DELL’ORIGINALE

 

3.2.1 Il lettore modello

 

È possibile individuare il lettore modello immaginato dall’autore dal tipo di scelte da lui effettuate in fase di stesura del testo.

Il destinatario di questo saggio deve necessariamente essere una persona istruita, con una buona cultura generale e delle basi altrettanto buone di filosofia e psicologia. Conosce la psicoanalisi e anche la semiotica. Siamo in grado di affermarlo perché vediamo che l’autore sceglie di considerare implicite alcune nozioni, dando per scontato che il lettore abbia già una certa familiarità con gli argomenti trattati.

Vediamo ad esempio che, nel caso della psicoanalisi, si presuppone tutta una serie di conoscenze da parte del lettore per cui non è necessario spiegare in cosa consiste il trattamento psicoanalitico né quali siano i suoi obiettivi. Non solo, nel testo sono riportati stralci di alcune opere di Sigmund Freud che il lettore deve conoscere per capire le argomentazioni presentate. È il caso di un brano tratto dalla Psychopahtology of Everyday Life che viene citato come esempio della richiesta freudiana di sincerità:

Another of Freud’s examples is that of his friend saying: “Well, something has come into my mind… but it’s too intimate to pass on… Besides I don’t see any connection, or any necessity for saying it.” Freud retorts, “You can leave the connection to me. Of course I can’t force you to talk about something that you find distasteful; but then you mustn’t insist on learning from me how you came to forget your aliquis” (pagina 18)

Dopo aver citato questo brano, l’autore prosegue senza dare ulteriori spiegazioni. Chi non ha letto Freud non può avere idea di cosa sia l’aliquis che ha dimenticato l’amico di Freud, né del motivo per cui lo ha dimenticato. Soltanto più avanti, verso la fine del saggio, troviamo la spiegazione dell’aneddoto:

 

When Freud’s friend did not know why he forgot the word aliquis in a Latin proverb, Freud invited him to tell what came to his mind. […] Freud then offered the interpretation that the calendar saints and the reference to blood are “a brilliant allusion to women’s periods,” which, just like aliquis in the proverb, should not (better not) disappear (pagina 37)

Sempre riferendosi a Freud, Ver Eecke cita «il caso di Dora»: «His failure in the case of Dora can be attributed in part to his attempt to impose his own interpretations upon Dora, namely that Dora herself was in love with her seducer, Mr. K.» (pagina 38). Anche in questo caso l’autore dà per scontato che il lettore conosca questo caso clinico di Freud e non ritiene di doverlo raccontare nei particolari né di riassumerlo brevemente.

Non è solo il caso della psicoanalisi freudiana: vediamo che anche le teorie peirceiane e lacaniane sono presentate senza bisogno di introduzioni particolari e con l’uso di un linguaggio settoriale dato per acquisito. Per esempio il concetto di «strutturalismo» compare nel testo senza alcuna precisazione. Si fanno anche dei brevi cenni a Hume, e questo presuppone delle conoscenze di filosofia.

 

3.2.2 Dominante e sottodominanti

 

Il saggio di Ver Eecke è di carattere tecnico-scientifico e non narrativo. L’obiettivo del testo è di presentare al lettore una serie di argomentazioni che lo convincano della bontà delle tesi esposte dall’autore su quello specifico argomento. La funzione principale, e dunque la dominante, è la funzione conativa. Ne consegue che viene fatto largo uso di terminologia specifica relativa alla psicoanalisi e alla semiotica, ma anche alla psicologia in generale e alla filosofia. La precisione terminologica è quindi una sottodominante.

Per quanto riguarda lo stile, l’autore non fa scelte stilistiche o estetiche particolari. L’esposizione è asciutta e lineare, non molto ricercata. Ver Eecke tra l’altro non è madrelingua inglese ma nederlandese, quindi è probabile che il suo stile sobrio sia dovuto anche a questo.

 

 

 

3.2.3 Strategia traduttiva

 

I primi passi da compiere per elaborare una strategia traduttiva sono la lettura attenta e la comprensione del testo. In questa fase si individuano il lettore modello e la dominante e si ricava una prima idea sullo stile dell’autore e il linguaggio da lui utilizzato, quindi sugli strumenti da usare per affrontare la traduzione.

Se il testo è ricco di terminologia settoriale specifica, come in questo caso, è necessario procedere alla traduzione dei termini tecnici. Per la ricerca terminologica ho consultato enciclopedie e dizionari cartacei e online, ma soprattutto ho controllato se i testi su quell’argomento specifico utilizzavano una terminologia e un linguaggio particolari, che ho confrontato con i traducenti trovati. Ho poi raccolto i termini in un glossario, dove ho assegnato a ognuno il dominio «psicoanalisi» o «semiotica». È stato più facile reperire materiale relativo alla psicoanalisi che alla semiotica, che è ancora un terreno poco esplorato in Italia.

Mentre traducevo ho tenuto sempre presente il lettore modello cui si rivolge il saggio. Possiamo considerare il destinatario del metatesto molto simile a quello del prototesto, quindi un lettore colto e informato. Partendo da questo presupposto ho cercato di tenere un registro alto e adatto a un testo scientifico. Non ho semplificato il testo della traduzione ricorrendo a termini più comuni di quelli usati dall’autore perché ho immaginato per il testo italiano lo stesso tipo di pubblico del testo originale inglese. Questa scelta a volte ha pregiudicato la scorrevolezza del testo a favore della chiarezza e della precisione terminologica. È stato spesso necessario riproporre anche nel metatesto una serie di inevitabili ripetizioni, poiché l’uso dei sinonimi nel caso dei termini tecnici non è possibile senza falsare il messaggio del testo. Ho cercato di proporre sinonimi e alternative solo per parole generiche e non settoriali.

Questo saggio presenta molte citazioni di opere di altri autori. Ho quindi controllato se esistevano già delle traduzioni dei testi citati e dove è stato possibile ho proposto le traduzioni pubblicate, per esempio nel caso delle opere di Freud. Oltre a Freud, gli unici autori di cui ho trovato traduzioni italiane sono Ferdinand de Saussure, Lacan (in parte) e Peirce. Di Peirce ho recuperato stralci di opere tradotte da diversi autori ma, in generale, a parte un brano citato da Umberto Eco, non mi sono sembrate molto affidabili perché spesso gli stessi termini venivano tradotti diversamente, quindi ho scelto di usare la mia traduzione. In tutti i casi in cui mi sono avvalsa delle traduzioni italiane disponibili, ho inserito i testi consultati sia nei riferimenti bibliografici della traduzione italiana, sia nei miei riferimenti bibliografici nell’ultima pagina di questo lavoro. Nei riferimenti bibliografici della traduzione ho anche inserito i numeri delle pagine in cui si trovano i saggi all’interno dei volumi delle opere di Freud, così è più facile per il lettore capire la collocazione dell’intero saggio e non solo della citazione isolata.

Parlando sempre delle opere di Freud, nelle citazioni ho conservato la traduzione italiana proposta nelle Opere di Sigmund Freud (OSF) della Bollati Boringhieri, ma in un paio di casi ho ritenuto necessario effettuare delle modifiche. Il primo caso si trova nella citazione a pagina 6. La traduzione nelle OSF propone: «Lei di solito cerca, giustamente, di tener fermo nella Sua esposizione il filo del discorso e di ricacciare tutte le idee improvvise e i pensieri secondari che lo intralciano…». Nella mia traduzione ho sostituito «ricacciare» con «respingere», perché lo stesso verbo viene usato altre tre volte, una nella stessa citazione e due nella pagina successiva, e in quei contesti il verbo «respingere» mi è sembrato più appropriato e più corretto. Sono giunta a questa conclusione anche dopo aver consultato la versione originale nelle Gesammelte Werke di Freud, dove il verbo tedesco è abweisen (respingere, rifiutare). Ritengo che questo cambiamento renda la traduzione più comprensibile in tutti i passaggi in cui il verbo è presente e che non crei comunque problemi di disorientamento al lettore nel caso consultasse le OSF e trovasse un verbo diverso.

Ho fatto lo stesso ragionamento anche per un’altra citazione di Freud, a pagina 40. Qui la traduzione nelle OSF definisce Dora «ammalata» invece di «paziente». Poiché il testo inglese parla di «patient» ma è comunque una traduzione, ho voluto verificare anche questo termine nel testo originale tedesco, dove ho trovato il termine «Patientin». A questo punto ho deciso di cambiare la traduzione italiana in «paziente», che non solo è il termine più corretto nel contesto, ma è anche il traducente esatto del termine tedesco originale.

Un altro caso particolare è costituito dai termini «signified» e «signifier» (pagina 14), che ho deciso di tradurre con i termini originali in lingua francese «signifié» e «signifiant». I due termini francesi sono ormai entrati nell’uso della lingua italiana nel settore della linguistica, inoltre tradurre «signified» con «signifié» invece di «significato» mi ha anche permesso di evitare ambiguità con la traduzione di «meaning».

Un’ultima considerazione riguarda le note inserite dall’autore nel testo. Nel saggio originale le note sono riportate alla fine del saggio, appena prima dei riferimenti bibliografici. In questo documento ho preferito invece inserirle come note a piè di pagina sia nella versione originale sia nella traduzione italiana, in modo che sia possibile leggere la nota con la relativa traduzione e poi tornare subito con lo sguardo al testo.

 

3.2.4 Individuazione e gestione del residuo traduttivo

 

Il saggio tradotto non presenta riferimenti a una cultura emittente particolare che potrebbero creare dei problemi di residuo nella traduzione. C’è solamente un caso in cui un riferimento culturale si perde, ma è trascurabile: quando l’autore fa un esempio di concatenazione di pensieri e parla dell’ufficio dove si pagano le multe, presumibilmente a Washington, D.C., dove vive, lo chiama Bureau of Traffic Adjudication (pagina 29). Nella mia traduzione questo ufficio è diventato il «comando di polizia locale», che in Italia è il luogo più simile a quello indicato dall’autore. In questo caso l’obiettivo del testo è di far capire al lettore che la persona in questione si è ricordata all’improvviso di non aver ancora pagato una multa e sta pensando di farlo al più presto. Il luogo specifico dove effettuerà il pagamento non è di nessun interesse per il lettore, quindi ho ritenuto opportuno privilegiare la scorrevolezza del passaggio usando un traducente immediatamente riconoscibile da un lettore italiano. Se si fosse trattato di un ente che per il tipo di traduzione (giuridica per esempio) o per il contesto rivestiva una certa importanza, avrei dovuto probabilmente mantenere il nome originale e proporre una traduzione di servizio tra parentesi o in una nota a piè di pagina. Non era questo il caso.

I problemi di residuo che potrebbe creare questo testo sono più che altro relativi alla specificità dei temi trattati sia nel testo sia nelle numerose citazioni. La maggior parte degli autori citati non sono stati tradotti in italiano e potrebbero quindi essere sconosciuti al lettore del metatesto. La traduzione della citazione potrebbe quindi rivelarsi insufficiente a comprendere a fondo l’argomento in quanto il contesto in cui si inserisce non è noto.

La materia trattata presenta una certa complessità e l’autore non fornisce spiegazioni ma dà per scontata una cultura di base sull’argomento da parte del lettore. Nella versione italiana non è compito del traduttore inserire delle spiegazioni che l’autore ha deciso di omettere nel proprio saggio. Questo potrebbe creare un residuo nella traduzione italiana ma, presumendo che il lettore del metatesto abbia le stesse caratteristiche del lettore modello del prototesto, questo problema non dovrebbe sorgere.

Una caratteristica della lingua inglese che si perde nella traduzione italiana è l’uso politically correct dei pronomi sia al maschile sia al femminile. Nel testo si parla in diverse occasioni della figura del paziente in terapia psicoanalitica, e ci si riferisce a questa persona usando i pronomi «him- or herself» oppure «him or her». Nella traduzione italiana ho scelto di usare soltanto il pronome o particella maschile perché mantenere entrambi i generi avrebbe appesantito notevolmente il testo, facendo inciampare il lettore in molti punti dove non è necessario in quanto non si tratta di conservare la terminologia specifica, ma una caratteristica che è tipica dell’uso della lingua inglese ma non (ancora) di quella italiana.

 

 

 

 

 

 

4. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

AMERICAN PSYCHOANALITIC ASSOCIATION, 1993, Dizionario di psicoanalisi, Milano, Sperling & Kupfer.

BECCARIA, GIAN LUIGI, 1996, Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, Torino, Einaudi.

ECO, UMBERTO, e SEBEOK, THOMAS A., 2004, Il segno dei tre: Holmes, Dupin, Peirce, Milano, Bompiani.

FREUD, SIGMUND, 1975-1980, Opere, a cura di Cesare L. Musatti, 12 volumi, Torino, Bollati Boringhieri.

GALIMBERTI, UMBERTO, 1999, Enciclopedia di psicologia, Torino, Garzanti.

LACAN, JACQUES, 1974, Scritti, a cura di Giacomo B. Contri, Torino, Einaudi.

OSIMO, BRUNO, 2011, Manuale del traduttore. Guida pratica con glossario, Milano, Hoepli.

OSIMO, BRUNO, 2002, Storia della traduzione. Riflessioni sul linguaggio traduttivo dall’antichità ai contemporanei, Milano, Hoepli.

OSIMO, BRUNO, 2004, Traduzione e qualità. La valutazione in ambito accademico e professionale, Milano, Hoepli.

PEIRCE, CHARLES SANDERS, 2003, Opere, a cura di Massimo Bonfantini e Giampaolo Proni, Milano, Bompiani.

SAUSSURE, FERDINAND DE, 1967, Corso di linguistica generale, a cura di Tullio De Mauro, Bari, Laterza.

SCARPA, FEDERICA, 2008, La traduzione specializzata. Un approccio didattico professionale, Milano, Hoepli.

VOLLI, UGO, 2003, Manuale di semiotica, Bari, Laterza.

 



[1] Lacan went even further and argued that liberating speech not only violates the rules for telling a story, but also violates other rules of language (e.g., lexical rules). Thus, for Lacan, all misspeech is a successful revelation of the unconscious, as Freud also understood when he analyzed the word familionär (Lacan 1977, 58)

[2] Lacan si spinse anche oltre e sostenne che il discorso liberatorio non infrange solo le regole del racconto, ma anche altre regole della lingua (ad es., regole lessicali). Di conseguenza, secondo Lacan, ogni errore fatto nel parlare è una felice rivelazione dell’inconscio, come fu chiaro anche a Freud quando analizzò la parola familionär (Lacan 1977:58).

[3] For an interesting example of how difficult it is to execute these demands, see S.E. 12:135 – 36n, where Freud writes, “I once treated a high official, who was bound by his oath of office not to communicate certain things because they were state secrets, and the analysis came to grief as a consequence of this restriction. Psychoanalytic treatment must have no regard for any consideration, because the neurosis and its resistances are themselves without any such regard.”

[4] Per un esempio interessante di quanto sia difficile soddisfare queste richieste, vedi OSF 7:345n, dove Freud scrive: «Una volta ho avuto in cura un alto funzionario che in grazie del suo giuramento di servizio era tenuto a non comunicare un certo numero di cose perché erano segreti di Stato; ebbene, il trattamento fallì proprio a causa di questa limitazione. Il trattamento psicoanalitico deve porsi al di là di ogni riguardo, dal momento che nevrosi e resistenze non hanno riguardi per nulla e per nessuno».

[5] See also Lacan (1977), 34 and 40. For a very brief example of a Lacanian analysis based on a structuralist understanding of language see Peraldi (1987):59 – 63. The effort at reaching the truth can also be observed there. Peraldi (the therapist) writes, “Mr. D. (the patient) noticed it [the double meaning of the expression] immediately and burst into laughter. Then he decided to analyze it very carefully” (61; my italics) and “then Mr. D. remembered with some uneasiness” and finally “he suddenly remembered” (62).

[6] Vedi anche Lacan 1977:34 e 40. Per un breve esempio di un’analisi lacaniana basata su una concezione strutturalistica della lingua vedi Peraldi 1987:59-63. Qui si può osservare lo sforzo di arrivare alla verità. Peraldi (il terapeuta) scrive: «Il Sig. D. (il paziente) l’ha notato [il doppio significato dell’espressione] immediatamente ed è scoppiato a ridere. Poi ha deciso di analizzarlo molto attentamente» (61; il corsivo è mio) e «poi il Sig. D. ha ricordato con un certo disagio» e infine «gli è venuto in mente all’improvviso» (62).