Caro diario. Piccola città e piccola gente in una grande storia di Nikolàj Leskóv Opera recensita: I preti della cattedrale, di Nikolàj Leskóv, Frassinelli, 1998, p. 438, 24.000 lire. Pubblicato su Diario della settimana del 16 settembre 1998, p. 64.

Nikolàj Semënovič Leskóv

I preti della cattedrale

Traduzione di Luigi Vittorio Nadai

Classici Frassinelli, p. 438, 24.000 lire

Leskóv è tra i classici russi dell’Ottocento uno dei meno noti in Italia. «Amico tra i nemici e nemico tra gli amici» (efficace definizione di Nadai in postfazione presa in prestito da Mihalkóv), è stato boicottato dalla critica iperideologizzata degli ambienti letterari russi della seconda metà del secolo scorso; da destra perché cercava di valutare con obbiettività episodi considerati aprioristicamente sovversivi come i moti studenteschi, da sinistra perché, anziché essere un intellettuale che «andava nel popolo», nel popolo ci era vissuto da sempre, e riusciva quindi a sentirsene parte, senza le ostentazioni e l’artificiosità del rampollo di buona famiglia.

La sua tecnica artigianale di scrittura l’aveva appresa dall’osservazione diretta della vita nel popolo nel corso dei molti viaggi compiuti per lavoro, e riflette la sua formazione autodidattica e la distanza dall’accademia. È evidente il parallelismo tra questa tecnica letteraria e l’arte della pittura delle icone — in particolare nel racconto L’angelo sigillato —, entrambe «traduzioni» di un tessuto artistico in una lingua più vicina a quella di Dio, per dirla con Benjamin.

Il suo romanzo breve Il pellegrino incantato — di prossima pubblicazione in questa stessa collana insieme col racconto Il mancino — ispirò a Walter Benjamin per questa sua particolare tecnica di scrittura «artigianale» il famoso saggio dell’Angelus Novus sul «Narratore». Il forte racconto Lady Macbeth in provincia di Mcensk fu fonte di ispirazione invece per 1ostakovic nell’opera Katerìna Izmàjlova, in programma tra l’altro al Maggio musicale fiorentino nell’allestimento di Lev Dodin. Nonostante la fecondità della sua opera, la fortuna editoriale di Leskóv è ingiustamente scarsa in Italia, dove la maggior parte dei suoi romanzi e racconti sono ancora inediti.

Ben venga quindi la pubblicazione di questo Soborjàne (1872), di cui esistevano soltanto due vecchie edizioni (1962 e 1963) intitolate I preti di Stàrgorod e Il clero del duomo. Vi si narra del protoereo Tuberózov che, con un pope e un diacono, costituiscono l’intera gerarchia del clero ortodosso della immaginaria «vecchia città», prototipo della città di provincia. Alcuni di questi ecclesiastici sono dediti a vizi minori poco compatibili con il loro ruolo, come il fumo o l’alcol e, dovendo contrastare l’«eresia» dei Vecchiocredenti, sono combattuti tra la loro missione e la tentazione di accettare bustarelle concedendo ai Vecchiocredenti di praticare in pace secondo rituali non più approvati dalle autorità ecclesiastiche centrali.

Il tran tran della piccola città, le sue piccole beghe tra atei dissacratori di scheletri e religiosi integralisti con una concezione fin troppo militante della propria missione, che li porta perfino a ricorrere alla forza fisica, con Tuberózov che cerca di fare da ago della bilancia, viene però interrotto dall’arrivo da Pietroburgo di quello che ora chiameremmo uno yuppie. Ex militante, ex idealista ed ex fautore dell’«andata nel popolo», è ora in pieno riflusso e punta col più brutale cinismo a fare carriera nel modo più veloce possibile, strumentalizzando tutto e tutti e gettando nello scompiglio la calma piatta della polverosa afa provinciale. Tra seduzioni, manipolazioni e ricatti, passa, ottiene ciò che vuole e se ne va, lasciando Stàrgorod come un orto dopo il passaggio di un cinghiale. E tutte le passioni che un tempo dividevano la piccola città appaiono ormai minuscole, secondarie e, in questo clima di malinconia dopo la tempesta, uno dopo l’altro i tre popi di Stàrgorod si spengono, si riavvicinano tra loro e se ne vanno per sempre.

Bruno Osimo

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